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DOTTORATO DI RICERCA IN Diritto Internazionale e Diritto dell’Unione Europea
CICLO XXVI
COORDINATORE Prof. Luigi Sbolci
La responsabilità internazionale dello Stato per fatti illeciti ultra vires:
il problema dell’attribuzione
Settore Scientifico Disciplinare Ius/13
Dottorando Tutore
Dott.ssa Andreoli Francesca Prof. Gaja Giorgio
Coordinatore
Prof. Sbolci Luigi
Anni 2011/2013
INDICE SOMMARIO
Premessa 5
CAPITOLO I CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE
Sezione ICENNI IN MATERIA DI RESPONSABILITÁ
DELLO STATO PER FATTI ILLECITI INTERNAZIONALI
1. Presupposti e contenuto della responsabilità internazionale dello Stato 82. I principali tentativi di codificazione della materia 11
2.1. Le codificazioni private 112.2. La codificazione sotto l’egida delle organizzazioni internazionali 13
2.2.1. La Società delle Nazioni 132.2.2. L’Organizzazione delle Nazioni Unite 14
Sezione IIIL DIBATTITO DOTTRINALE SULL’ATTRIBUZIONE ALLO STATO DI FATTI ILLECITI INTERNAZIONALI
1. Premessa 162. Individuazione dei principali orientamenti dottrinali in tema di
attribuzione di condotte allo Stato 212.1. Tesi che riconoscono rilevanza esclusiva al diritto interno 212.2. Tesi che si ispirano al criterio di effettività 24
3. Implicazioni derivanti dall’accettazione delle due differenti tesi sull’organizzazione dello Stato dal punto di vista del diritto internazionale con riferimento alla questione dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires 28
4. Le diverse impostazioni seguite in dottrina circa il problema dei fatti illeciti ultra vires 294.1. La tesi che rigetta l’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires degli
organi statali sulla base della rilevanza esclusiva del diritto interno nell’organizzazione dello Stato 29
4.2. La tesi che riconosce la responsabilità internazionale dello Stato per i fatti illeciti ultra vires dei propri organi sulla base della teoria del rischio statale 31
4.3. La tesi che accoglie l’attribuzione allo Stato dei comportamenti ultra vires dei soli organi statali superiori 33
4.4. La tesi che ammette in generale l’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires degli organi statali 36
4.5. L’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires nei progetti di codificazione elaborati da istituzioni private 37
5. Piano generale dell’indagine 40
1
CAPITOLO II IL PRINCIPIO DELL’ATTRIBUZIONE ALLO STATO
DEI FATTI ULTRA VIRES DEI PROPRI ORGANI NELLA PRASSI E NELLA GIURISPRUDENZA INTERNAZIONALI PIÚ ANTICHE
1. Considerazioni introduttive circa l’individuazione della prassi e della giurisprudenza rilevanti 43
Sezione IL’INIZIALE MANCATO RICONOSCIMENTO DEL PRINCIPIO
DELL’ATTRIBUZIONE ALLO STATO DELLE CONDOTTE ULTRA VIRES DEI PROPRI ORGANI
1. Considerazioni sulla prassi degli Stati nel diciannovesimo secolo 462. In particolare, la prassi degli Stati Uniti 473. Segue: la prassi degli Stati latinoamericani 494. La giurisprudenza arbitrale del diciannovesimo secolo 535. Conclusioni circa la prassi e la giurisprudenza esaminate 58
Sezione IILA GRADUALE AFFERMAZIONE ED IL CONSOLIDAMENTO DEL PRINCIPIO
DELL’ATTRIBUZIONE ALLO STATO DEI FATTI ULTRA VIRES DEI PROPRI ORGANI NELLA PRIMA METÁ DEL VENTESIMO SECOLO
1. La prassi degli Stati Uniti 602. La prassi degli Stati latinoamericani 653. La prassi degli Stati europei 654. La giurisprudenza arbitrale dei primi anni del secolo: gli arbitrati nei casi
venezuelani 705. Segue: le sentenze nei casi La Masica e The Coquitlam 736. La giurisprudenza degli anni venti: le sentenze della Commissione
generale dei reclami Stati Uniti/Messico nel caso Youmans e della Commissione Francia/Messico nel caso Caire 74
7. Le altre decisioni rese dalla Commissione generale dei reclami Stati Uniti/Messico tra il 1926 ed il 1930 79
8. Segue: la sentenza resa nel caso Stephens, un caso di responsabilità per comportamenti di organi di fatto che hanno agito contrariamente alle istruzioni ricevute 83
9. Sentenze rese da altre Commissioni arbitrali negli anni 1930/1950 8510. Il parere reso dalla Corte internazionale di giustizia nel caso Certaines
dépenses des Nations Unies 87
Sezione IIILA QUESTIONE DELLA RESPONSABILITÁ DELLO STATO
PER FATTI ILLECITI ULTRA VIRES NEI LAVORI DI CODIFICAZIONE INTRAPRESI TRA IL 1926 ED IL 1930 SOTTO L’EGIDA
DELLA SOCIETÁ DELLE NAZIONI
1. Il rapporto del Sottocomitato del Comitato di esperti 892. Le risposte degli Stati ai punti V, n. 2 b) e 2 c) del questionario redatto dal
Comitato di esperti 912.1. Le risposte negative 91
2
2.2. Le risposte positive 923. La base di discussione N°13 elaborata dal Comitato preparatorio della
Conferenza per la codificazione progressiva del diritto internazionale e le posizioni degli Stati nella Conferenza 943.1. Le posizioni critiche rispetto all’attribuzione allo Stato dei fatti ultra
vires 953.2. L’orientamento favorevole al principio dell’attribuzione dei fatti ultra
vires accolto nella base di discussione N° 13 983.3. L’emendamento proposto dalla delegazione svizzera 1013.4. L’articolo 8, par. 2, al.1 adottato in prima lettura dalla Terza
Commissione 1034. Riflessioni conclusive circa l’evoluzione della prassi internazionale 104
CAPITOLO IIIIL PRINCIPIO DELL’ATTRIBUZIONE ALLO STATO DEI FATTI
ULTRA VIRES DEI PROPRI ORGANI NELLA PRASSI E NELLA GIURISPRUDENZA INTERNAZIONALI RECENTI
Sezione ILA CODIFICAZIONE DEL PRINCIPIO DELL’ATTRIBUZIONE ALLO STATO
DEI FATTI ULTRA VIRES DEI PROPRI ORGANI DA PARTE DELLA COMMISSIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE
1. Il principio dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires nei rapporti di García–Amador 109
2. La nozione di organo nel progetto di articoli adottato in prima lettura 1123. Il principio dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires nel quarto
rapporto di Ago 1164. Il dibattito in seno alla Commissione circa l’art. 10 proposto dal relatore
speciale e la sua approvazione 1215. Le prese di posizione degli Stati con riferimento all’art. 10 adottato dalla
Commissione 1256. L’ampliamento della nozione di organo nel progetto di articoli adottato in
seconda lettura 1297. Il principio dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires nel primo
rapporto di Crawford 1338. L’art. 7 del progetto adottato in seconda lettura: elementi comuni e di
distinzione rispetto all’art. 10 adottato in prima lettura 134
Sezione IILA PRASSI E LA GIURISPRUDENZA INTERNAZIONALE
CONTEMPORANEE E SUCCESSIVE AI LAVORI DI CODIFICAZIONE DELLA COMMISSIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE
1. Premessa 1362. La prassi degli Stati 1373. La giurisprudenza arbitrale 145
3.1 Le pronunce rese dal Tribunale dei reclami Iran/Stati Uniti 1453.2 Le sentenze rese da Tribunali arbitrali istituiti in ambito ICSID prima
dell’adozione in seconda lettura del progetto di articoli della CDI 1493.3 Segue: le sentenze rese successivamente all’adozione in seconda
lettura del progetto di articoli della CDI 1553
4. La giurisprudenza in tema di tutela internazionale dei diritti dell’uomo 1614.1 Le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo 161
4.1.1 La Corte europea dei diritti dell’uomo: la sentenza resa nel caso Irlanda c. Regno Unito 161
4.1.2 La sentenza Assanidze c. Georgia 1654.1.3 La sentenza Ilascu e altri c. Moldova e Russia 166
4.2 Le sentenze della Corte interamericana dei diritti dell’uomo 1694.2.1 La sentenza resa nel caso Velásquez Rodríguez 1694.2.2 La sentenza resa nel caso Mapiripán Massacre c. Colombia 1714.2.3 Altre sentenze della Corte interamericana in cui è stato
enunciato il principio della responsabilità internazionale dello Stato per attività ultra vires dei propri organi 176
4.3 L’orientamento del Comitato dei diritti umani 1785. La giurisprudenza del Tribunale penale internazionale per la ex-Iugoslavia 1806. La giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia 185
6.1 La sentenza resa nel caso delle Attività militari e paramilitari in e contro il Nicaragua 185
6.2 La sentenza resa nel caso delle Attività militari sul territorio del Congo 188
6.3 La sentenza resa nel caso della Applicazione della Convenzione sul genocidio 190
7. Osservazioni sulla prassi e giurisprudenza recenti 194
CONCLUSIONI
1. Riepilogo dei risultati acquisiti 2002. Il principio della responsabilità internazionale dello Stato per i fatti illeciti
ultra vires dei propri organi de iure: responsabilità per fatto proprio o responsabilità oggettiva? 203
3. Prospettive de iure condito e de iure condendo: i limiti della regola che impone di attribuire allo Stato i fatti ultra vires dei propri organi 206
4. La responsabilità internazionale dello Stato per i fatti illeciti ultra vires dei propri organi di fatto 213
Indice dei casi citati 218
Bibliografia 224
4
PREMESSA
La presente ricerca prende in esame il problema dei fatti illeciti ultra vires degli organi
statali al fine di accertare se lo Stato sia tenuto a rispondere internazionalmente delle
condotte illecite non autorizzate tenute dai propri organi nell’esercizio delle funzioni
ufficiali, in quanto fatti ad esso attribuibili nell’ordinamento internazionale.
È un principio ampliamente accolto che i comportamenti degli organi statali devono
considerarsi fatti dello Stato quale soggetto internazionale, non essendo invece ad esso
riferibili le condotte di privati. Gli organi statali, oltre a poter tenere condotte in conformità
alla propria competenza e comportamenti a titolo privato, possono tenere nell’esercizio
delle proprie funzioni ufficiali anche delle condotte non autorizzate. Nel caso in cui un
individuo-organo adotti un comportamento ultra vires si è in presenza di una condotta
tenuta nell’esercizio delle proprie funzioni, la cui adozione è però avvenuta nel mancato
rispetto dell’ordinamento dello Stato di cui è parte. Si tratta in sostanza di una situazione
intermedia rispetto agli estremi rappresentati, da una parte, dai comportamenti adottati
dagli organi in conformità alla propria competenza e, dall’altra, dalle condotte da essi tenute
nella propria capacità privata.
Lo scopo della presente ricerca è, in altri termini, quello di verificare se, ogniqualvolta un
organo statale commette un fatto illecito internazionale adottando ex qualitate un
comportamento in violazione della propria competenza o delle istruzioni ricevute, si possa
egualmente parlare di fatto dello Stato quale soggetto internazionale oppure si è in
presenza di condotte assimilabili a quelle tenute da semplici privati.
Il problema dell’attribuzione di fatti ultra vires allo Stato ai fini della responsabilità
internazionale è tradizionalmente posto soltanto con riferimento ad individui o enti che
hanno la qualità di organi in base al diritto interno. La presente indagine si colloca invece
nella prospettiva di esaminare se il problema della responsabilità internazionale dello Stato
per i fatti illeciti ultra vires si estende anche a coloro che sono integrati nell’apparato statale
sulla base di elementi fattuali. In linea di principio, infatti, regole di attribuzione analoghe a
quelle che si fondano sulla qualità formale di organo di un individuo agente potrebbero
ritenersi applicabili anche con riferimento ad individui non formalmente integrati all’interno
dell’apparato statale, sulla base del fatto che la determinazione delle competenze assegnate
può essere condotta mediante un rinvio ai vari elementi di fatto che attestano un legame
con lo Stato.
5
La dimostrazione della validità di questa ipotesi di lavoro avverrà attraverso la
soluzione di due distinte questioni: da una parte si tratta di stabilire se trova effettivamente
riscontro nella prassi internazionale un principio che riconosce la responsabilità
internazionale dello Stato per i fatti illeciti ultra vires di individui o enti che godono dello
status organico in base all’ordinamento statale e, in caso positivo, quali siano i criteri alla
luce dei quali una condotta non autorizzata di un organo deve reputarsi un fatto statale
nell’ordinamento internazionale e in quali circostanze, viceversa, deve essere assimilata ad
un comportamento di un semplice privato; dall’altra si vuole invece determinare se, alla luce
delle soluzioni preconizzate dalla prassi internazionale, il medesimo criterio attributivo trovi
applicazione anche con riferimento ad individui non formalmente integrati all’interno
dell’apparato dello Stato.
Per meglio chiarire il contesto entro cui si colloca la questione dell’attribuzione allo
Stato dei fatti ultra vires, si è ritenuto opportuno in prima battuta considerare il dibattito
dottrinale intorno al fenomeno dell’attribuzione avendo cura di mettere in rilievo il ruolo
svolto dal diritto interno al fine della riferibilità di una condotta allo Stato quale soggetto
internazionale. Egualmente funzionale alla successiva trattazione della possibilità di riferire
allo Stato in ambito internazionale una condotta non autorizzata dei propri organi, è stata
reputata anche la trattazione dei differenti approcci seguiti in dottrina con specifico
riferimento alla problematica in esame.
L’indagine circa la responsabilità internazionale dello Stato per i fatti illeciti ultra
vires sarà condotta attraverso lo studio dei dati ricavabili dalla prassi internazionale e sarà
divisa in due parti. Seguendo un criterio cronologico, la prima sarà dedicata all’analisi della
prassi internazionale anteriore ai lavori di codificazione della Commissione del diritto
internazionale al fine di evidenziare le diverse tappe che hanno portato dal rigetto al
progressivo riconoscimento del principio della responsabilità allo Stato dei fatti ultra vires
dei propri organi, avendo cura di considerare le condizioni in funzione delle quali una
condotta ultra vires deve essere ritenuto un fatto dello Stato nell’ordinamento
internazionale e, in quali circostanze, un fatto di un organo deve essere assimilato ad un
fatto di un privato ad esso non attribuibile. Un’apposita sezione nell’ambito di questo
capitolo sarà dedicata ai lavori di codificazione avvenuti sotto l’egida della Società delle
Nazioni in ragione della rilevanza che questi hanno assunto con riferimento alla
codificazione del principio della responsabilità internazionale dello Stato per fatti illeciti ultra
vires dei propri organi.
La seconda parte, invece, sarà dedicata alla codificazione del principio
dell’attribuzione allo Stato delle condotte ultra vires dei propri organi da parte della
6
Commissione del diritto internazionale e all’esame della prassi più recente. Tale parte offrirà
utili spunti di riflessione con riferimento sia alla cristallizzazione del criterio attributivo dei
fatti ultra vires degli organi de jure sia alla possibilità che il medesimo criterio trovi
applicazione anche con riferimento ad individui non formalmente integrati all’interno
dell’apparato dello Stato.
CAPITOLO I
CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE
7
SOMMARIO: Sezione I. Cenni in materia di responsabilità dello Stato per fatti illeciti internazionali: 1. Presupposti e contenuto della responsabilità internazionale dello Stato – 2. I principali tentativi di codificazione della materia – 2.1 Le codificazioni private - 2.2 La codificazione sotto l’egida delle organizzazioni internazionali – 2.2.1 La Società delle Nazioni – 2.2.2 L’Organizzazione delle Nazioni Unite. Sezione II. Il dibattito dottrinale sull’attribuzione allo Stato di fatti illeciti internazionali: 1. Premessa – 2. Individuazione dei principali orientamenti dottrinali in tema di attribuzione di condotte allo Stato – 2.1 Tesi che riconoscono rilevanza esclusiva al diritto interno – 2.2 Tesi che si ispirano al criterio di effettività – 3. Implicazioni derivanti dall’accettazione delle due differenti tesi sull’organizzazione dello Stato dal punto di vista del diritto internazionale con riferimento alla questione dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires – 4. Le diverse impostazioni seguite in dottrina circa il problema dei fatti illeciti ultra vires – 4.1 La tesi che rigetta l’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires degli organi statali sulla base della rilevanza esclusiva del diritto interno nell’organizzazione dello Stato – 4.2 La tesi che riconosce la responsabilità internazionale dello Stato per i fatti illeciti ultra vires dei propri sulla base della teoria del rischio statale – 4.3 La tesi che accoglie l’attribuzione allo Stato dei comportamenti ultra vires dei soli organi statali superiori - 4.4 La tesi che ammette in generale l’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires degli organi statali – 4.5 L’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires nei progetti di codificazione elaborati da istituzioni private - 5. Piano generale dell’indagine
Sezione I
CENNI IN MATERIA DI RESPONSABILITÁ DELLO STATO PER FATTI ILLECITI
INTERNAZIONALI
1. Presupposti e contenuto della responsabilità internazionale dello Stato
Ogni ordinamento giuridico contiene delle regole volte ad istituire la responsabilità dei
propri soggetti nel caso in cui commettano un comportamento illecito. Ciò risulta valido
anche nel diritto internazionale, che fa derivare dal mancato rispetto di un obbligo la
responsabilità del soggetto che ne è autore1.
Se non fosse prevista una responsabilità internazionale a carico dell’autore di un fatto
illecito, ciò equivarrebbe a negare la stessa esistenza di un ordine giuridico internazionale e
gli Stati non sarebbero tenuti a conformarsi alle sue norme2.
La responsabilità internazionale è dunque l’insieme di situazioni giuridiche che il diritto
internazionale collega al verificarsi di una violazione di una sua regola di diritto 3, non avendo
particolare rilievo la natura consuetudinaria o pattizia dell’obbligo violato4.
1 La Corte internazionale di giustizia ha affermato tale principio nella sentenza resa nel caso Barcelona Traction, Light and Power Company, Limited, I.C.J. Reports, 1970, p. 33, par. 36. 2 Tale eventualità è stata prevista da Verdross il quale ha sottolineato che “Eine Leugnung dieses Grundsatzes würde das Völkerrecht zerstören, da mit der Verneinung der Verantwortlichkeit für begangenes Unrecht auch die Pflicht der Staaten, sich völkerrechtgemäss zu verhalten, aufgehoben würde”. VERDROSS, Völkerrecht, 4 ͣ ed., Wien, 1959, p. 295.3 CARREAU, Droit international, Etudes internationales, Paris, 1986, pp. 397-398; JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA e TANZI, La responsabilité internationale des Etats, in Droit international – Bilan et perspectives, vol.1, Paris, 1991, p. 367.4 “The general principles of International Law concerning State responsibility are equally applicable in the case of breach of treaty obligation, since in the international law field there is no distinction between contractual and tortius responsibility, so that any violation of a State of any obligation, of whatever origin gives rise to State responsibility.” Sentenza arbitrale resa nel caso Rainbow Warrior, in Reports of International Arbitral Awards, vol. 20, p. 251, par. 75. Si veda anche la sentenza resa nel caso Gabčíkovo-Nagymaros, in cui la Corte internazionale di giustizia ha stabilito che “when a State has committed an internationally wrongful act, its International responsibility is likely to be involved
8
Le norme in tema di responsabilità internazionale sono definite secondarie in quanto
stabiliscono le conseguenze derivanti dalla violazione delle norme primarie che sanciscono
gli obblighi di condotta5.
Con riferimento al contenuto delle situazioni giuridiche che vengono ricomprese nella
nozione di “responsabilità internazionale”, sono state elaborate tre diverse concezioni.
Secondo la prima, di cui Anzilotti è il principale sostenitore, la responsabilità
internazionale farebbe sorgere soltanto un nuovo rapporto giuridico bilaterale comportante
l’obbligo di riparazione da parte dello Stato offensore nei confronti dello Stato leso 6. In base
alla seconda, che fa capo a Kelsen, l’unica forma di responsabilità internazionale prevista dal
diritto internazionale generale sarebbe la soggezione ad una sanzione che potrebbe essere
inflitta dallo Stato leso, da intendersi come misura implicante l’impiego della forza allo scopo
di infliggere una pena oppure di ottenere l’adempimento coercitivo di un obbligo7. La terza
concezione infine, elaborata da Ago, ricomprende nella responsabilità internazionale sia
l’obbligo dello Stato di riparare un pregiudizio causato allo Stato leso sia la facoltà di questi
di infliggere una sanzione, non implicante necessariamente l’uso della forza8.
whatever the nature of the obligation it has failed to respect.”, I.C.J. Reports, 1997, p. 7, par. 47.5 La possibilità di distinguere fra norme primarie e secondarie ha in passato dato vita ad un acceso dibattito. Tale distinzione venne per la prima volta proposta da Ago in seno ad una sottocommissione della Commissione di diritto internazionale. Si veda a tal proposito AGO, Working Paper, in ILC Yearbook, 1963, vol. II, p. 252. Tre membri della suddetta sottocommissione, invece, consideravano impossibile codificare le regole della responsabilità internazionale prescindendo dalle regole primarie. Secondo Briggs, ad esempio, “Mr Ago’s paper somewhat artificially stressed the distinction between the international law of State responsibility and the law relating to the treatment of aliens”, in Report of the ILC, Yearbook of the International Law Commission, 1963, vol. II, p. 231. La maggioranza della sottocommissione ha alla fine rigettato la posizione di questi oppositori e durante l’esame da parte della Commissione del primo rapporto del relatore Ago nel 1969 è stata accettata l’idea di limitare i lavori di codificazione alla responsabilità internazionale strictu sensu, cioè alle norme secondarie. Si vedano a tal proposito i commenti di Yasseen, Ramangasoavina, Castrén, Nagendra Singh, Tammes, Albònico, Ushakov, Ustor, Eustathiades, Castañeda, in ILC Yearbook 1969, vol. I, pp. 104-107. Per un’analisi della distinzione tra norme primarie e norme secondarie in relazione alla responsabilità internazionale degli Stati si consultino le conclusioni di AGO, Troisième rapport sur la responsabilité internationale, in Annuaire de la Commission du droit International, 1971, vol. II-1, pp. 212–213 e di CRAWFORD, First Report on State Responsibility, in Yearbook of the International Law Commission, 1998, vol. II-1, pp. 6 –7.6 ANZILOTTI, Teoria generale della responsabilità dello Stato nel diritto internazionale, Firenze, 190, p. 62. Si veda anche EAGLETON, The Responsibility of States in International Law, New York, 1928, p. 22; BROWNLIE, State Responsibility, I, Oxford, 1983, p. 33.7 Si veda KELSEN, Unrecht und Unrechtfolgee im Völkerrecht, Wien, 1932, p. 489 ss., pp. 545 ss. e 568 ss.8 Si veda AGO, Troisième rapport sur la responsabilité internationale, in Annuaire de la Commission du droit International, 1971, vol. II-1, p. 222, par. 43; MORELLI, Nozioni di diritto internazionale, 7ᵃed., Padova, 1967, p. 356 ss. Il diritto di infliggere una sanzione allo Stato responsabile può in alcune circostanze essere esercitato anche da Stati terzi. Si veda a tal proposito DUPUY, Le fait générateur de la responsabilité internationale des Etats, in Recueil des cours, 1984-V, p. 25; ZEMANEK, La responsabilité des Etats pour faits internationalement illicites, ainsi que pour faits internationalement licites, Institut des Hautes Etudes Internationales de Paris, Cours et travaux, Responsabilité internationale, Paris, 1987, p. 60.
9
La possibilità per lo Stato di essere considerato internazionalmente responsabile per la
violazione di obblighi previsti da norme internazionali e parimenti di invocare la
responsabilità di altri Stati deve essere considerata un attributo della sua sovranità e del suo
rapportarsi nella comunità internazionale con enti egualmente sovrani9.
Il principio che ricollega ad un fatto illecito internazionale la responsabilità del proprio
autore è stato ampiamente riconosciuto dalla dottrina10 e altresì confermato dalla prassi
statale e dalla giurisprudenza internazionale11.
Sebbene secondo la concezione tradizionale la commissione da parte di uno Stato di un
illecito internazionale è il necessario presupposto affinché sorga la sua responsabilità12, una
parte della dottrina ipotizza l’esistenza di norme internazionali che impongono agli Stati di
riparare i danni derivanti da attività lecite13. Tale concezione si è sviluppata soprattutto in
relazione alle attività tecnologiche ed industriali ed alla protezione dell’ambiente, per
garantire che lo Stato, pur essendo libero di svolgere o far svolgere negli spazi soggetti alla
sua sovranità qualsiasi attività, risponda degli eventuali danni causati al territorio di altri
Stati. Lo Stato sarebbe pertanto responsabile dei danni causati da attività (anche le più
pericolose) poste sotto il proprio controllo, anche nel caso in cui non sia ad esso attribuibile
9 Si tratta della parafrasi di una famosa formula utilizzata dalla Corte Permanente di Giustizia Internazionale nel caso The SS Wimbledon, PCIJ Series A, No 1, p. 4, par. 25.10 Così ANZILOTTI, Teoria generale della responsabilità dello Stato nel diritto internazionale , Firenze, 1902 (ristampato a cura della SIOI in “Opere di D. Anzilotti”, vol. II, tomo 1, Padova, 1956); KELSEN, Unrecht und Unrechtfolge im Völkerrecht, Zeitschrift für öffentliches Recht , 1932; AMERASINGHE, State Responsibility for Injuries to Aliens, Oxford, 1967, p. 3; GRAEFRATH, OESER, STEINIGER, Völkerrechtliche Verantwortlichkeit des Staaten, Berlin, 1977; BROWNLIE, System of the Law of Nations, State Responsibility, I, Oxford, 1983; CRAWFORD, State Responsibility: General Part, Cambridge, 2013.11 AGO, Troisième rapport, cit., p. 205, par. 30.12 Vedi infra, p. 16.13 Si vedano, tra gli altri, FIORE, Il diritto internazionale codificato e la sua sanzione giuridica, 5 ͣed., vol. I, Napoli, 1915, pp. 303-304; FAUCHILLE, Traité de droit international public, Tome I, Paris, 1922, pp. 521-522; RÉGLADE, Les perspectives qui ouvrent les doctrines objectivistes du doyen Duguit pour un renouvellement de l’étude du droit international public, Revue générale de droit international public, 1930, pp. 381-419; GOLDIE, Special Regimes and Pre-emptive Activities in International Law, The International and Comparative Law Quarterly, vol. II, 1962, p. 670 ss.; ID., Liability for Damage and the Progressive Development of International Law, ivi, 1965, p. 1189 ss.; ID., Concepts of Strict and Absolute Liability and the Ranking of Liability in terms of Relative Exposure to Risk , Netherlands International Law Review, vol. 16, 1985, p. 175 ss.; JENKS, Liability for Ultra-Hazardous Activities in International Law, in Recueil des cours, 1966, I, p. 99 ss.; DUPUY, La responsabilité international des Etats pour les dommages d’origine technologique et industrielle, Paris, Pedone, 1977, p. 170; POLITI, Miniere d’Uranio nelle Alpi Marittime, inquinamento transfrontaliero e tutela internazionale dell’ambiente, Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 1981, p. 541 ss. ; PISILLO MAZZESCHI, “Due diligence” e responsabilità internazionale degli Stati, Milano, 1989, p. 128 ss. Buona parte della dottrina internazionalstica si oppone alla tendenza favorevole ad affermare forme di responsabilità senza illecito. Si vedano, tra gli altri, QUADRI, Diritto internazionale pubblico, 5 ͣ ed., Napoli, 1968, pp. 590-507; ID., Cours général de droit international public, in Recueil des Cours, 1964, p. 461 ss; CONFORTI, Diritto internazionale, 7 ͣ ed., Napoli, 2012, pp. 407-410.
10
alcuna colpa o mancanza di diligenza o, addirittura, non sia ad esso riferibile alcuna
condotta.
2. I principali tentativi di codificazione della materia
La responsabilità internazionale dello Stato è regolata da norme generali non scritte e da
accordi bilaterali o multilaterali disciplinanti aspetti specifici della materia, non esistendo a
tutt’oggi una convenzione di portata generale. Durante il secolo scorso sono stati elaborati
alcuni progetti di codificazione relativi alla responsabilità internazionale dello Stato su
iniziativa di privati o di istituzioni private14 oppure sotto l’egida di organizzazioni
internazionali. La maggior parte di tali progetti è accomunata dal considerare unicamente
l’aspetto della responsabilità internazionale dello Stato per danni causati sul proprio
territorio alla persona o ai beni di stranieri15. Si suppone che tale limitazione possa trovare
giustificazione nell’abbondante ed omogenea prassi esistente all’epoca in materia.
2.1 Le codificazioni private
Tra il 1926 ed il 1930 numerose associazioni o istituzioni private hanno elaborato dei
progetti in tema di responsabilità internazionale dello Stato in previsione dei lavori di
codificazione intrapresi da parte della Società delle Nazioni. Fra i principali tentativi sembra
opportuno ricordare il secondo capitolo del Draft Code of International Law inerente le
Rules Concerning Responsibility of a State in Relation to the Life, Person and Property of
Aliens, elaborato nel 1926 dalla sezione giapponese dell’International Law Association
congiuntamente alla Association of International Law of Japan16, la risoluzione circa la
Responsabilité internationale des Etats à raison des dommages causés sur leur territoire à la
personne et aux biens des étrangers adottata nel 1927 dall’Institut de droit international
nella sessione tenutasi a Losanna17, la Draft Convention on the Responsibility of States for
14 Saranno di seguito presi in considerazione esclusivamente i tentativi di codificazione utili ai fini della presente ricerca. Per un elenco dettagliato dei numerosi lavori di codificazione si veda AGO, Premier rapport sur la responsabilité des Etats, Historique de l’oeuvre accomplie jusqu’ici en ce qui concerne la responsabilité internationale des Etats, in Annuaire de la Commission du droit international,1969, vol. II, pp. 131-146, par. 7-107.15 Per un esame dell’opera di codificazione della materia si vedano AGO, op. ult. cit., p. 131, par. 5, ripubblicato in Annuaire de la Commission du droit international, 1962, vol. 2, p. 129 ss.; AGO, Scritti sulla responsabilità internazionale degli Stati, Napoli, 1979-1986; SPINEDI & SIMMA, United Nations Codification of State Responsibility, New York, 1987; REUTER, Trois observations sur la codification de la responsabilité internationale des Etats pour fait illicite, in Mélanges Virally, Paris, 1991.16 Draft Code of International Law, The International Law Association 1926, Report of the Thirty-fourth Conference (August 5ᵗʰ to August 11ᵗʰ), London, 1927, pp. 382-383.17 Annuaire de l’Institut de Droit International,1969, vol. II, Annexe II, p. 142 ss.
11
Damage Done in their Territory to the Person or Property of Foreigners redatta nel 1929
dalla Harvard Law School18 e il Progetto di Convenzione sulla responsabilità degli Stati per i
danni causati sul loro territorio alla persona o ai beni degli stranieri elaborato nel 1930 da
parte della Deutsche Gesellschaft für Völkerrecht19.
Più recentemente, nel 1961, la Harvard Law School ha pubblicato una Draft Convention
on the International Responsibility of States for Injuries to Aliens rivedendo il progetto
redatto nel 192920. Nel 1965 l’American Law Institute ha elaborato un progetto dal titolo
Restatement of the Law on Responsibility of States for Injuries to Aliens 21 ed, infine, nel 1973
i professori Graefrath e Steiniger hanno predisposto un progetto di convenzione sulla
responsabilità internazionale22.
Gli unici due progetti individuali che hanno tentato di individuare delle norme in grado di
disciplinare la responsabilità internazionale dello Stato indipendentemente dall’obbligo
violato sono il Draft Treaty Concerning the Responsibility of States for Internationally Illegal
Acts preparato da Strupp nel 192723 e la Draft Convention on the Responsibility of States for
International Wrongful acts preparata da Roth nel 193224.
2.2 La codificazione sotto l’egida delle organizzazioni internazionali
2.2.1 La Società delle Nazioni
Il 22 settembre 1924 l’Assemblea della Società delle Nazioni ha adottato una
risoluzione con la quale richiedeva al Consiglio di convocare un Comitato di esperti con
18 American Journal of International Law, 1929, Special Supplement, vol. 23, pp. 131-218.19 Entwurf eines Abkommens über die Verantwortlichkeit der Staaten für die Schädigungen von Person und Vermögen fremder Staatsangehöriger auf ihrem Gebiete, testo originale riprodotto in VON MÜNCH, Das Völkerrechtliche Delikt in der moderner Entwicklung der Völkerrechtsgemeinschaft, Frankfurt, 1963, pp. 327-332. Per la traduzione in francese si veda AGO, Premier Rapport, cit., pp. 155-157.20 American Journal of International Law, 1961, pp. 545-584.21 Gli articoli più significativi del progetto sono riprodotti in WHITEMAN, Digest of International Law, vol. 8, Washington, 1967, p. 810. Una versione revisionata del progetto sotto il nome di Restatement of the Law è stata adottata dall’Istituto nel 1986 ed è rinvenibile in The Foreign Relations Law of the United States, St. Paul, Minn., 1987, vol. 1.22 Entwurf eines Abkommens über völkerrechtliche Verantwortlichkeit, Neue Justiz, 1973, vol. 27, pp. 227-228.23 Staatsvertrag, betreffend die Haftung eines Staates für völkeerrechtswidrige Handlungen . Il testo originale è riprodotto in VON MÜNCH, op. cit., pp. 333-334. 24 Entwurf eines Abkommens über die Haftung der Staaten für völkerrechtlich unerlaubte Handlungen . Il testo è rinvenibile in ROTH, Das völkerrechtliche Delikt vor und in den Verhandlungen auf der Haager Kodifikationskonferenz 1930, Frankfurter Abhandlungen zum modernen Völkerrecht, 1932, pp. 177-178, par. 34.
12
l’incarico di stilare una lista di argomenti di diritto internazionale da sottoporre a
codificazione25.
Fra questi figurava anche la responsabilità internazionale degli Stati per danni causati sul
proprio territorio alla persona o ai beni di stranieri, il cui studio è stato demandato dal
Comitato di esperti ad un sottocomitato composto da Gustavo Guerrero e Wang Hui-Chang.
Sulla base del rapporto del sottocomitato, il Comitato di esperti ha elaborato un
questionario che è stato sottoposto insieme al rapporto all’esame degli Stati membri della
Società delle Nazioni, al fine di valutare se la materia potesse essere oggetto di una
convenzione internazionale.
A seguito della risposta favorevole da parte della maggioranza degli Stati26, l’Assemblea
Generale della Società delle Nazioni ha convocato una Conferenza per la codificazione del
diritto internazionale, la cui preparazione è stata affidata ad un Comitato preparatorio.
Durante la prima sessione dei lavori il Comitato preparatorio ha elaborato una lista di
punti che è stata sottoposta all’attenzione degli Stati membri della Società delle Nazioni. Nel
corso delle successive sessioni il Comitato si è occupato di esaminare le risposte ricevute e
di preparare delle basi di discussione per la Conferenza per la codificazione del diritto
internazionale, che ha avuto luogo a L’Aja tra il 12 marzo ed il 13 aprile 193027.
L’argomento della responsabilità degli Stati per i danni causati sul proprio territorio alla
persona o ai beni degli stranieri è stato affrontato dalla Terza Commissione, che ha adottato
in prima lettura il testo di dieci articoli. A causa del conflitto circa il contenuto delle regole
primarie in tema di trattamento degli stranieri, la Terza Commissione non ha avuto modo di
prendere in considerazione tutte le basi di discussione e, per tale ragione, ha rinunciato a
dare una forma definitiva agli articoli approvati ed ha informato la Conferenza di non essere
in grado di presentare delle conclusioni inerenti tale materia.
A seguito del fallimento della Conferenza di codificazione del 1930, la Società delle
Nazioni ha rinunciato a farsi portatrice di ulteriori iniziative volte a codificare l’istituto della
responsabilità internazionale degli Stati.
2.2.2 L’Organizzazione delle Nazioni Unite
25 Il testo della risoluzione è riprodotto in American Journal of International Law, 1926, Special Supplement, vol. 20, pp. 2-3.26 Soltanto Francia, Giappone, Paesi Bassi e Venezuela hanno dubitato dell’opportunità di una convenzione internazionale su tale argomento. Le risposte al questionario sono rinvenibili in American Journal of International Law , 1928, Special Supplement, pp. 15 -21.27 Société des Nations, Actes de la Conférence pour la codification du droit international, tenue à La Haye du 13 mars au 12 avril 1930, séances des Commissions, vol. IV, procès-verbaux de la Troisième Commission, Responsabilité des Etats en ce qui concerne les dommages causés sur leur territoire à la personne ou aux biens des étrangers, Genève, 1930, annexe I, pp. 198-202.
13
Come organo sussidiario dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite incaricato di
promuovere la codificazione e lo sviluppo progressivo del diritto internazionale, la
Commissione del diritto internazionale (CDI) ha inserito la responsabilità internazionale
dello Stato nella lista delle quattordici materie suscettibili di essere codificate28. Durante la
sua prima sessione, il 7 dicembre 1953, l’Assemblea Generale ha adottato una risoluzione
799 (VII) mediante la quale chiedeva alla CDI di procedere alla codificazione dei principi di
diritto internazionale inerenti la responsabilità dello Stato29.
A seguito di tale risoluzione, nel 1955, la CDI ha nominato Francisco García Amador
relatore speciale per il tema della responsabilità internazionale degli Stati. Egli ha presentato
tra il 1956 ed il 1961 sei rapporti limitati al solo studio della responsabilità dello Stato per
danni causati sul proprio territorio alla persona o ai beni degli stranieri30. Alcuni membri
della CDI hanno mostrato il loro dissenso nei confronti di un tale approccio restrittivo
considerando necessario codificare le regole della responsabilità internazionale in
generale31.
Con l’adozione il 18 dicembre 1961 della risoluzione 1686 (XVI)32, l’Assemblea Generale
ha raccomandato alla CDI di proseguire nella codificazione della materia e, dal momento che
García Amador non era più membro della Commissione, è stato nominato come nuovo
relatore speciale Roberto Ago. Egli ha accolto le critiche formulate circa l’approccio
previamente adottato e ha deciso di affrontare il tema focalizzandosi sulle conseguenze
della violazione di un obbligo internazionale, senza occuparsi delle norme sostanziali la cui
violazione è all’origine della responsabilità internazionale.
Durante la sua ventisettesima sessione nel 197533, la CDI ha stabilito in maniera definitiva
la struttura del progetto da elaborare. Esso è stato diviso in tre parti: la prima parte avrebbe
riguardato le origini della responsabilità internazionale di uno Stato e mirato a stabilire
quando un fatto può essere ad esso attribuito, quando si possa affermare che tale fatto 28 AGO, Premier Rapport, cit., p. 136, par. 46; GRAEFRATH e STEINIGER, Kodifikation der völkerrechtlichen Verantwortlichkeit, Neue Justiz, 1973, vol. 27, p. 225. 29Il testo inglese della risoluzione è rinvenibile sul sito web dell’Assemblea Generale al link http://daccess-dds-ny.un.org/doc/RESOLUTION/GEN/NR0/086/64/IMG/NR008664.pdf. In tal sede non verrà presa in considerazione la questione della responsabilità internazionale dello Stato da fatto lecito, ma soltanto la responsabilità derivante dal mancato rispetto da parte dello Stato di obblighi internazionali per esso vigenti nel momento in cui si compie il fatto.30 I sei rapporti di García Amador sono riprodotti in Yearbook of the International Law Commission, rispettivamente 1956, II, p. 175 ss.;1957, II, p. 119 ss.; 1958, II, p. 49 ss.; 1959, II, p. 1 ss.;1960, II, p. 38 ss.;1961, II, p. 1 ss.31 Si vedano gli interventi di VERDROSS, Yearbook of the International Law Commission, 1960, vol. I, p. 298, par. 10, e TOUNKINE, ibid., pp. 302 – 303, par. 44.32 Il testo della risoluzione è rinvenibile in Yearbook of the United Nations, 1961, p. 525.33 Il rapporto della Commissione sui suoi lavori della ventisettesima sessione sono contenuti in Yearbook of the International Law Commission, 1975, vol. II, pp. 51 – 113.
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comporti la violazione di un obbligo internazionale e quali siano le circostanze eccezionali
che precludono l’illiceità di comportamenti non conformi agli obblighi internazionali dello
Stato; la seconda parte si sarebbe occupata del contenuto della responsabilità
internazionale, cioè delle conseguenze che un fatto illecito internazionale comporta e la
terza parte, infine, dell’attuazione della responsabilità internazionale.
Nel 2001 l’opera di codificazione intrapresa dalla CDI è pervenuta ad una conclusione con
la sottoposizione di un progetto di articoli all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite34, la
quale non ha però ritenuto opportuno adottarlo come progetto di convenzione da
sottoporre ad una conferenza diplomatica, limitandosi invece a prendere nota degli articoli e
a raccomandarli all’attenzione degli Stati35.
Gli articoli della CDI, il cui progetto era stato adottato in prima lettura nel 199636, sono
frutto di uno sforzo quarantennale che ha impegnato come relatori speciali degli illustri
giuristi.
La prima parte del progetto trae origine dagli otto rapporti presentati tra il 1969 ed il
1980 dal relatore speciale Roberto Ago37, la seconda parte fa seguito ai sette rapporti del
relatore speciale Willelm Riphagen38 e ai primi quattro rapporti del relatore speciale
Arangio-Ruiz39 ed infine la terza parte si fonda sui successivi tre rapporti del medesimo
relatore speciale40.
34 Il progetto è contenuto in Yearbook of the International Law Commission, 2001, vol. II, parte II, p. 43 ss. Gli articoli ed il commento della CDI sono riprodotti anche in CRAWFORD (ed.), The International Law Commission’s Articles on State Responsibility, Cambridge, 2002.35 Si veda la risoluzione A/56/83 del 12 dicembre 2001, in cui viene altresì proposto di prendere nuovamente in considerazione il tema della responsabilità internazionale all’Assemblea Generale nella sessione del 2004. Si vedano anche le successive risoluzioni A/59/35 del 2004, A/62/61 del 2007 e A/65/19 del 2010.36 Il testo del progetto di articoli approvato in prima lettura dalla CDI può essere letto in lingua inglese in Rivista di diritto internazionale, 1997, p. 582 ss.37 I rapporti sono contenuti in Yearbook of the International Law Commission, rispettivam. 1969, II, p. 129 ss.; 1970, II, p. 189 ss.; 1971, II (parte 1), p. 203 ss.;1972, II, p. 77 ss.; 1976, II (parte 1), p. 3 ss.;1977, II (parte 1), p. 3 ss.; 1978, II (parte 1), p. 29 ss.;1979, II (parte 1), p. 3 ss. Tutti i rapporti, ad eccezione del secondo, sono stati riprodotti in AGO, Scritti, cit., II.38 I rapporti sono contenuti in Yearbook of the International Law Commission, rispettivam. 1980, II (parte 1), p. 105 ss.; 1981, II (parte 1), p. 81; 1982, II (parte 1), p. 25 ss.; 1983, II (parte 1), p. 3 ss.; 1984, II (parte 1), p. 5 ss.;1985, II (parte 1), p. 3 ss.; 1986, II (parte 1), p. 1 ss.39 I rapporti sono contenuti in Yearbook of the International Law Commission, rispettivamente 1988, vol. II (parte 1), p. 6 ss.; 1989, vol. II (parte 1), p. 1 ss.; 1991, vol. II (parte 1), p. 1 ss.; 1992, vol. II (parte 1), p. 1 ss.40 Il quinto rapporto di Arangio-Ruiz, contenuto nello Yearbook of the International Law Commission, 1993, vol. II, pp. 1-59, è dedicato interamente alla parte terza del progetto. Il sesto ed il settimo rapporto (rispettivamente in Yearbook of the International Law Commission, 1994, vol. II, p. 4 ss. e Yearbook of the International Law Commission, 1995, vol.II, pp.3-33) riguardano tematiche inerenti sia la seconda che la terza parte; mentre l’ottavo rapporto, contenuto nello Yearbook of the International Law Commission, 1996, vol. II, pp. 1-15) riguarda una parte inerente la soluzione delle controversie che è stata successivamente omessa dal progetto adottato dalla Commissione.
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La seconda lettura, a seguito di cui il progetto è stato definitivamente adottato, si basa
invece sui quattro rapporti del relatore speciale James Crawford41.
Sezione II.IL DIBATTITO DOTTRINALE SULL’ATTRIBUZIONE DELLE CONDOTTE ALLO STATO
DI FATTI ILLECITI INTERNAZIONALI
1. Premessa
Secondo il diritto internazionale generale, affinché il comportamento di uno Stato faccia
sorgere la sua responsabilità è necessario non solo che il fatto sia stato tenuto in violazione
di una regola di diritto internazionale per esso vigente (elemento oggettivo dell’illecito
internazionale), ma anche che il fatto sia ad esso attribuibile come soggetto di diritto
internazionale (elemento soggettivo dell’illecito internazionale)42.
Gli Stati, come soggetti di diritto rientranti nella categoria degli enti collettivi, possono
agire esclusivamente attraverso la condotta materiale di persone fisiche o giuridiche.
L’operazione attributiva, mediante l’utilizzo di appositi criteri, fa in modo che gli autori
materiali di un comportamento risultino dei semplici strumenti attraverso cui l’ente
41 Su alcune delle questioni più delicate in esame nella seconda lettura si veda Symposium: State responsibility, European Journal of International Law, 1999, pp. 339–460.42 I due elementi costitutivi di un fatto illecito internazionale sono stati codificati all’art. 2 del progetto di articoli della CDI. Anche la dottrina è concorde nel riconoscere questi due elementi come necessari al fine del sorgere della responsabilità internazionale dello Stato. Si vedano tra i tanti AGO, Le délit international, in Recueil des cours, 1939–II, p. 441; EUSTATHIADES, Les sujets du droit international et la responsabilité internationale – nouvelles tendances, in Recueil des cours, 1953–III, p. 422; CONDORELLI, L’imputation à l’Etat d’un fait internationalement illicite: solutions classiques et nouvelles tendances, in Recueil des cours, 1984-VI, pp. 24–25; CHENG, General Principles of Law as applied by International Courts and Tribunals, second edition, Cambridge, 1987, p. 170; PRZETACZNIK, The International Responsibility of States for the Unauthorized Acts of their Organs, Sri Lanka Journal of International Law, 1989, vol. 1, pp. 154-155; PELLOPNÄÄ e FITZMAURICE, Taking of Property in the Practice of the Iran-United States Claims Tribunal, Netherland Yearbook of International Law, 1988, vol. XIX, pp. 73-74; JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA e TANZI, op. cit., p. 368; SACHARIEW, Les circonstances excluant l’illicéité, in La responsabilité internationale, Paris, 1987, p. 89; SIMMA, Bilateralism and Community Interest in the Law of State Responsibility, in International Law in a time of Perplexity: Essays in Honour of Shabtai Rosenne, London, 1989, p. 821; STERN, Conclusions générales, in La responsabilité internationale, Paris, 1991, p. 319; WYLER, L’illicite et la condition des personnes privées, Paris, 1995; STERN, The Elements of an Internationally Wrongful Act, in The Law of International Responsibility (a cura di Crawford, Pellet, Olleson), Oxford, 2011, pp. 193–220.
16
collettivo svolge le proprie funzioni43. La questione dell’attribuzione44 di una condotta allo
Stato ai fini della responsabilità internazionale viene generalmente risolta mediante la
distinzione fra fatti di organi e fatti di privati. È difatti ampiamente sostenuto che lo Stato
risponde del comportamento di tutti i suoi organi, non essendo invece ad esso riferibile la
condotta di privati.
La specificità del legame che unisce l’individuo-organo allo Stato risiede nella sua
appartenenza all’organizzazione statale, per cui l’esistenza della qualità organica in capo ad
un individuo implica l’accertamento della sua effettiva appartenenza all’organizzazione dello
Stato45.
Con riferimento alle condizioni in presenza delle quali un individuo può essere
considerato come facente parte dell’organizzazione dello Stato ai fini attributivi, esistono
alcuni principi ampiamente condivisi.
Il principio che attribuisce allo Stato le condotte di individui o enti che rivestono la
qualifica di organi o di organi di suoi enti pubblici territoriali alla stregua dell’ordinamento
interno non è stato nella sostanza mai messo in discussione né nella prassi né nella dottrina
più recenti.
La stessa Corte internazionale di giustizia ha fatto più volte riferimento a tale criterio di
attribuzione, precisando che si tratta di un principio di diritto internazionale
consuetudinario46.
43 ANZILOTTI, La responsabilité internationale des Etats à raison des dommages soufferts par des étrangers, Revue générale de droit international public, 1906, p. 291; STRUPP, Das völkerrechtliche Delikt, Handbuch des Völkerrechts, Stier-Somlo (a cura di), vol. IV, Berlin-Stuttgart-Leipzig, p. 35; CAVAGLIERI, Règles générales du droit de la paix, in Recueil des cours, 1929–I, p. 546; COHN, La théorie de la responsabilité internationale, in Recueil des cours, 1939–II, p. 250; KELSEN, Théorie du droit international public, in Recueil des cours, 1953–III, p. 88; PRZETACZNIK, La responsabilité internationale de l’Etat à raison des préjudices de caractère moral et politique causés à un autre Etat , Revue générale de droit international public 1974, p. 937; SHAW, International Law, second edition, Cambridge, 1986, p. 411; CHRISTENSON, Attributing acts of omission to the State, MJIL 1991, vol. 12, p. 312 e p. 322; KRESS, L’organe de facto en droit international public. Réflexions sur l’imputation à l’État de l’acte d’un particulier à la lumière des développement récents, Revue générale de droit international public, 2001, p. 93 ss.; PALCHETTI, L’organo di fatto dello Stato nell’illecito internazionale, Milano, 2007, p. 4 ss.44 Il processo attributivo non opera esclusivamente nel campo della responsabilità internazionale, bensì viene in questione ogniqualvolta si prospetta una condotta statale a cui una norma di diritto internazionale riconosce effetti giuridici.45 “The reference to State organs covers all the individual or collective entities which make up the organization of the State and act on its behalf”. Così il commentario al testo di articoli sulla responsabilità degli Stati preparato dalla CDI, in Yearbook of the International Law Commission, 2001, vol.2, p. 40, par. 6. 46 Si veda il parere reso nel caso Difference Relating to Immunity from Legal Process of a Special Rapporteur of the Commission on Human Rights, Advisory Opinion, I.C.J. Reports, 1999, p. 87, par. 62; la sentenza resa nel caso LaGrand (Germany v. United States of America), I.C.J. Reports, 2001, p. 40, par. 267; la sentenza resa nel caso Application of the Convention on the prevention and punishment of the crime of genocide, I.C.J. Reports, 2007, p. 13 ss.
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Dalla prassi internazionale meno antica è desumibile come sia totalmente ininfluente, al
fine di riconoscere una condotta come atto statale dal punto di vista dell’ordinamento
internazionale, la funzione esercitata (sia essa legislativa, esecutiva o giudiziaria47), il luogo
del suo svolgimento ed il rango superiore o subalterno dell’organo48.
Data la natura recente del fenomeno della decentralizzazione da parte dello Stato di
funzioni un tempo considerate sovrane, la prassi relativa ai comportamenti di enti pubblici
non territoriali non è molto vasta. Sebbene non del tutto uniforme, sembra orientarsi verso
l’attribuzione allo Stato delle condotte degli organi di quegli enti che in base al diritto
interno esercitano prerogative del pubblico potere.
La validità del principio secondo cui sono attribuibili allo Stato i comportamenti degli
individui o enti che godono della qualità di organi dello Stato in base all’ordinamento
interno è in genere fatta derivare da una costatazione che attiene al modo in cui
l’ordinamento internazionale si atteggia rispetto al problema di definire l’organizzazione
interna dello Stato.
Presupponendo l’esistenza di un diritto degli Stati ad auto-organizzarsi 49, il riferimento al
diritto interno ai fini della determinazione della qualità di organo viene reputato la logica
conseguenza di una sorta di riserva di campo assicurata al diritto interno con riferimento alla
definizione dell’organizzazione dello Stato50.
D’altro canto, è largamente accettata anche l’idea che il criterio del riferimento al diritto
interno non abbia un carattere esclusivo, per cui può essere attribuito allo Stato, in presenza 47 Durante i secoli passati alcuni autori hanno sostenuto il principio della non responsabilità dello Stato per i comportamenti tenuti dall’autorità giudiziaria sulla base dell’indipendenza del potere giudiziario oppure dell’autorità della cosa giudicata. Questa tesi è stata accolta in due sentenze arbitrali rese dal Senato di Amburgo nel caso Croft, rinvenibili in LAPRADELLE, POLITIS, Recueil des arbitrages internationaux, tomo II: 1856–1872, Paris, 1923, pp. 1–27, e dal governo del Nicaragua nel caso Le Phare, LA FONTAINE, Pasicrise internationale – Histoire documentaire des arbitrages internationaux, tomo I, Berne, 1902, pp. 225–227.48. Si avrà l’occasione di trattare la distinzione tra organi superiori e organi subalterni nella sezione dedicata all’analisi della prassi internazionale in tema di attribuzione allo Stato di fatti illeciti ultra vires, in quanto in numerosi casi l’attribuzione è stata negata con riferimento ai comportamenti non autorizzati tenuti da organi subalterni.49 Tale espressione è stata coniata da CONDORELLI, L’imputation à l’Etat d’un fait internationalement illicite, cit., p. 28. Altri autori hanno invece parlato della libertà che il diritto internazionale concede agli Stati di dotarsi di una propria organizzazione. Così, tra gli altri, PERASSI, Lezioni di diritto internazionale, Padova, 1961, p. 105; VERHOEVEN, Droit international public, Paris, 2000, p. 83.50 AGO, Le délit international, cit., p. 463. La libertà dello Stato di auto-organizzarsi è stata riconosciuta nella sentenza resa nel caso delle attività militari e paramilitari in Nicaragua e contro il Nicaragua dalla Corte internazionale di giustizia, la quale ha constatato che lo Stato possiede il fondamentale diritto di scegliere il sistema politico, economico e sociale che preferisce, a patto però che tale libertà non causi un pregiudizio al rispetto del diritto internazionale. In I.C.J. Reports, 1986, p. 131, par. 258. Si veda anche AGO, Le délit, cit., p. 463; ZEMANEK, op. cit., p. 366; STRUPP, Eléments du droit international public universel, européen et américain, vol. I, Paris, 1930, pp. 208–209. Secondo Condorelli sarebbe più corretto parlare del diritto di uno Stato ad ottenere che gli altri Stati non si ingeriscano nella propria organizzazione piuttosto che di un vero e proprio diritto ad auto-organizzarsi. Si veda ID., L’imputation à l’Etat d’un fait internationalement illicite, cit., p. 30.
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di determinate condizioni, anche il comportamento adottato da individui che il diritto
interno non qualifica come organi. La possibilità di riferire allo Stato i fatti di individui o enti
ad esso legati da un rapporto di fatto è confermata dalla prassi e trova giustificazione anche
in considerazioni di carattere generale. Sembra possibile affermare che l’esistenza di una
libertà dello Stato di auto-organizzarsi non implichi la libertà di escludere a propria
discrezione che individui o enti sprovvisti della qualità formale di organi possano far sorgere
la responsabilità dello Stato per un fatto illecito internazionale da esso commesso.
L’esigenza di garantire la certezza delle relazioni internazionali porta a restringere la
rilevanza del diritto interno ai fini dell’attribuzione, in modo tale da evitare che uno Stato
possa invocare disposizioni del suo ordinamento per negare la propria responsabilità
rispetto al comportamento di individui o enti che non sono qualificati come organi dal diritto
interno, pur essendo di fatto integrati nell’apparato statale.
Dal momento che l’organizzazione di fatto dello Stato coincide solitamente con quanto
risulta dall’applicazione delle norme interne, sono in prima battuta i dati che si ricavano da
tale ordinamento a stabilire la riferibilità allo Stato di un dato comportamento. Nel caso in
cui invece l’organizzazione di fatto si discosta dalle indicazioni fornite dal diritto interno, il
riferimento alla organizzazione fattuale dello Stato giustifica che siano ad esso riferite le
condotte di individui che, pur non godendo della qualità organica in base al diritto interno,
risultano in fatto integrati all’interno dell’organizzazione dello Stato, così come in talune
circostanze giustifica l’esclusione dell’attribuzione di comportamenti di individui che hanno
la qualità di organi.
I principi generali ora indicati forniscono la cornice nella quale si inserisce il problema
della responsabilità internazionale dello Stato per i fatti illeciti ultra vires.
Oltre a poter adottare dei comportamenti conformi alla propria competenza e
comportamenti a titolo privato, gli organi statali possono tenere nell’esercizio delle proprie
funzioni ufficiali delle condotte non autorizzate.
Un organo agisce ultra vires ogniqualvolta adotta ex qualitate un comportamento in
violazione di istruzioni ricevute conformemente al diritto interno, o viola la propria
competenza secondo il diritto interno o comunque la normativa interna51.
51 STRUPP, op. cit., p. 36; ROTH, op. cit., p. 18; FREEMAN, op. cit., p. 290; COUSSIRAT-COUSTERE e EISEMANN, L’enlèvement de personnes privées et le droit international, Revue générale de droit international public, 1972, p. 365. CONDORELLI, op. cit., p. 81, reputa che, quando un organo adotta un comportamento contrario al diritto internazionale, viola contemporaneamente le disposizioni di diritto interno volte a regolare la sua competenza dal momento che nella grande maggioranza degli ordinamenti giuridici interni viene stabilita la primazia del diritto internazionale sulla normativa interna.
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Si tratta di una situazione intermedia rispetto agli estremi rappresentati, da una parte,
dai comportamenti adottati dagli organi in conformità alla propria competenza e, dall’altra,
dalle condotte tenute dagli organi nella propria capacità privata52.
Nel caso in cui un individuo-organo adotti un comportamento ultra vires si è in definitiva
in presenza di una condotta tenuta nell’esercizio delle proprie funzioni, la cui adozione è
però avvenuta nel mancato rispetto dell’ordinamento dello Stato di cui è parte.
Per stabilire se sia possibile attribuire allo Stato i comportamenti adottati ultra vires dai
propri organi de jure occorre quindi approfondire il ruolo svolto dal diritto interno ai fini
dell’attribuzione di condotte allo Stato nell’ordinamento internazionale.
Si potrebbe però sostenere che la regola in materia di attribuzione di fatti ultra vires può
trovare applicazione anche con riferimento a situazioni nelle quali le competenze assegnate
ad un individuo o ente sono state determinate sulla base di elementi di fatto. Nonostante il
riferimento al diritto interno consenta in genere di ottenere indicazioni precise circa il
contenuto e i limiti delle funzioni assegnate ad un individuo o ente all’interno
dell’organizzazione dello Stato, ciò non significa che la determinazione delle competenze
assegnate non possa essere anche condotta attraverso l’esame dei vari elementi di fatto che
attestano l’integrazione dell’individuo o ente all’interno dell’apparato statale.
Ammettere a priori che il problema dell’attribuzione di fatti ultra vires può sorgere
esclusivamente con riferimento ad individui o enti legati allo Stato da un rapporto formale,
equivale a riconoscere che il diritto internazionale rinvia al diritto interno al fine di
determinare se un individuo o ente ha agito in maniera competente e, soltanto in un
secondo momento, stabilisce mediante propri criteri se la condotta debba essere riferita allo
Stato.
In linea di principio potrebbe invece essere il diritto internazionale a distinguere, secondo
propri criteri, quando individui che non hanno la qualità di organi in base al diritto interno
hanno adottato dei comportamenti nell’esercizio delle proprie funzioni oppure in qualità di
privato ai fini di determinarne l’attribuzione allo Stato.
Per meglio chiarire il contesto entro cui si colloca la questione dell’attribuzione allo Stato
dei fatti ultra vires, può essere innanzitutto utile considerare il dibattito dottrinale intorno al
fenomeno dell’attribuzione avendo cura di mettere in rilievo il ruolo svolto dal diritto
52 Secondo parte della dottrina, il principio in base a cui lo Stato non risponde dei comportamenti tenuti dai propri organi nella loro capacità privata incontra un’eccezione nel diritto internazionale umanitario: il testo dell’art. 3 della Quarta Convenzione dell’Aja concernente le leggi e gli usi della guerra terrestre stabilisce infatti che la parte belligerante è responsabile di tutte le condotte tenute da persone facenti parte le proprie forze armate, indipendentemente quindi dalla condizione che abbiano agito in qualità ufficiale. Il testo della suddetta disposizione è stato ripreso anche dall’art. 91 del primo Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 1949 relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali.
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interno al fine della riferibilità di una condotta allo Stato quale soggetto internazionale.
Egualmente funzionale alla successiva trattazione della possibilità di riferire allo Stato in
ambito internazionale una condotta non autorizzata dei propri organi, sembra essere inoltre
la trattazione dei differenti approcci seguiti in dottrina con riferimento alla definizione della
nozione di organo.
2. Individuazione dei principali orientamenti dottrinali in tema di attribuzione di condotte allo Stato
2.1 Tesi che riconoscono rilevanza esclusiva al diritto interno
La dottrina si è a lungo confrontata sul problema di stabilire quando una condotta o una
manifestazione di volontà di un individuo o ente dovrebbe essere considerata come propria
dello Stato53. Le varie soluzioni prospettate possono essere ricondotte a due orientamenti di
fondo: da una parte ci sono gli autori secondo cui il problema di sapere in quali circostanze il
comportamento di un individuo deve essere riferito allo Stato può essere risolto
esclusivamente grazie al riferimento all’ordinamento interno, dall’altra ci sono invece coloro
che reputano il diritto interno solo uno dei vari elementi in base a cui si determina la
possibilità di attribuire una condotta di individui o enti allo Stato54.
Le tesi che attribuiscono rilevanza esclusiva al diritto interno ai fini della determinazione
dei presupposti per riferire un’attività allo Stato riconoscono, come i fatti di quest’ultimo,
solo le condotte tenute da individui o enti che possiedono la qualità di organi in base al
diritto interno e che agiscono rispettando le competenze loro conferite dal medesimo
ordinamento55.
I principali sostenitori di tale tesi, in virtù della difficoltà di trovare una giustificazione ai
dati della prassi in contrasto con il principio della rilevanza esclusiva del diritto interno,
53 Per le principali posizioni dottrinali con riferimento all’elemento soggettivo della responsabilità internazionale si veda SPINEDI, Responsabilità internazionale, in Enciclopedia giuridica, vol. XXVII, Roma, 1985, p. 3.54 All’interno di entrambi gli orientamenti possono rilevarsi in realtà posizioni che si differenziano fortemente quanto alle rispettive premesse teoriche. La tesi della rilevanza esclusiva del diritto interno, ad esempio, è sostenuta sia da autori che reputano che spetti al diritto interno regolare l’organizzazione dell’apparato statale, sia da autori che al contrario ammettono l’esistenza di norme internazionali di organizzazione. Ugualmente, l’altro orientamento è condiviso da autori che muovono da concezioni differenti circa la natura, giuridica o fattuale, dell’organizzazione statale.55 Così ANZILOTTI, Teoria generale, cit., p. 130; DE VISSCHER, La responsabilité des Etats, in Bibliotheca Visseriana Dissertationum Ius Interrnationale Illustrantium, vol. 2, 1923, p. 91; STRUPP, op. cit., p. 36. Per un’analisi delle motivazioni che hanno spinto parte della dottrina ad identificare l’organizzazione dello Stato dal punto di vista del diritto internazionale con l’ordinamento interno si veda ARANGIO-RUIZ, Gli enti soggetti dell’ordinamento internazionale, Milano, 1951.
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hanno finito per ammettere che esigenze di certezza dell’ordinamento giuridico impongono
delle eccezioni ad esso56.
Anche autori che ritengono che il diritto internazionale organizzi i propri soggetti hanno
sostenuto che l’attribuzione di un comportamento di un individuo o ente ad un soggetto
internazionale sia frutto di un’operazione giuridica regolata da norme internazionali di
organizzazione che richiedono che vi sia un legame giuridico tra l’ente collettivo e l’individuo
o ente. Secondo alcuni, tale legame sarebbe determinabile mediante un rinvio che il diritto
internazionale opererebbe nei confronti del diritto interno57. Al fine di tenere conto dei dati
offerti dalla prassi internazionale, alcuni autori hanno riconosciuto un carattere variabile al
rinvio al diritto interno, con la conseguenza che l’eventualità che il diritto internazionale
faccia riferimento alle regole di diritto interno per determinare se il comportamento di
individui è attribuibile allo Stato debba essere valutata caso per caso58.
La principale critica che è stata mossa nei confronti delle suddette concezioni è che esse
finivano in realtà per ammettere l’esistenza di ulteriori criteri di attribuzione rispetto al
riferimento esclusivo al diritto interno per riuscire a superare la difficoltà di conciliare i dati
della prassi con le premesse teoriche59.
La tesi dell’esclusiva rilevanza del diritto interno è stata, infine, recentemente sostenuta
anche da alcuni autori che hanno individuato nel comportamento omissivo di altri organi
dello Stato il presupposto della sua responsabilità per i comportamenti di individui che
agiscono di fatto per suo conto.
Pur riconoscendo che nella prassi lo Stato è tenuto a rispondere dei comportamenti di
individui o enti che non godono del legame organico in base al diritto interno, tali autori
hanno sostenuto che ciò non implica che tali comportamenti debbano essere considerati
delle condotte statali. Nel caso in esame la responsabilità internazionale sorgerebbe in virtù
56 La questione della necessità di riconoscere delle eccezioni era sorta per la difficolta di conciliare il principio della rilevanza esclusiva del diritto interno con la prassi orientata a considerare attribuibili allo Stato i comportamenti adottati dagli organi al di fuori delle proprie competenze.57 Così PERASSI, Lezioni di diritto internazionale, Padova, 1961, p. 102 ss.; ROMANO, Corso di diritto internazionale, 3ᵃ ed., Padova, 1933, p. 207. In un secondo momento, anche Anzilotti ha finito per accogliere questa concezione. Si veda ANZILOTTI, Corso di diritto internazionale, 4ᵃ ed., Padova, 1955, p. 224 ss.58 La natura variabile del rinvio era sostenuta in virtù di una difficoltà di conciliare la concezione della rilevanza delle norme internazionali in tema di organizzazione con la riferibilità allo Stato di comportamenti di enti, quali Stati federali e altri enti pubblici territoriali, che non godono in base al diritto interno di una personalità giuridica distinta rispetto a quella statale. Si veda ROMANO, op. cit., p. 208. Il problema di attribuire allo Stato i comportamenti tenuti da un organo al di fuori delle proprie competenze veniva invece risolto sostenendo che il diritto internazionale opera un rinvio esclusivamente nei confronti delle norme interne che conferiscono lo status organico e non di quelle che regolano le competenze. Per una critica di questa concezione si veda AGO, Troisième rapport, cit., p. 246; PALCHETTI, op. cit., pp. 9 – 10.59 Per una critica di queste concezioni si veda AGO, Troisième rapport, cit., p. 246.
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di una condotta omissiva dello Stato, il quale sarebbe venuto meno all’obbligo di assicurare
un certo comportamento da parte di individui incaricati di esercitare in fatto determinate
funzioni per suo conto60.
Tale concezione sembra egualmente criticabile, in quanto arriva a far dipendere la
determinazione dei casi in cui la condotta di individui che hanno agito in fatto per conto
dello Stato può far sorgere la sua responsabilità internazionale dal contenuto della norma
primaria. Non sembra inoltre trovare riscontro nella prassi l’idea secondo cui,
parallelamente ad una norma internazionale che impone allo Stato di non tenere una certa
condotta, ne esista anche una che gli imponga di evitare che quel comportamento sia tenuto
da individui che agiscono di fatto per suo conto, pur non godendo formalmente della qualità
organica.
2.2 Tesi che si ispirano al criterio di effettività
Le tesi che rifiutano le concezioni che riconoscono rilevanza esclusiva al diritto interno ai
fini dell’attribuzione di condotte allo Stato si ispirano al principio di effettività, l’unico in
grado di spiegare come il diritto interno ed elementi fattuali concorrano entrambi a
delineare l’organizzazione dello Stato.
Partendo dal presupposto che l’organizzazione di fatto dello Stato coincide solitamente
con quanto previsto dalle norme interne, sarà necessario in prima analisi riferirsi ai dati che
si ricavano da tale ordinamento per determinare la possibilità di attribuire allo Stato un
certo comportamento. Soltanto quando tale coincidenza non sussiste, il principio
dell’effettività permette di riferire allo Stato le condotte di individui che, pur non godendo
della qualità organica in base al diritto interno, sono in fatto integrati nell’apparato statale.
Le differenti tesi che negano la rilevanza esclusiva del diritto interno al fine di
determinare l’organizzazione dello Stato si differenziano però quanto al ruolo affidato al
principio di effettività con riferimento alla soluzione del problema dell’attribuzione. La
diversa rilevanza riconosciuta in dottrina al principio di effettività ai fini della soluzione del
problema dell’attribuzione riveste attualmente un ruolo cruciale anche rispetto
all’accertamento della qualità di organo61.
60 Si veda RIPHAGEN, State Responsibility: New Theories of Obligations in Interstate Relations , in Macdonald e Johnston (a cura di), The Structure and Process of International Law: Essays in Legal Philosophy Doctrine and Theory, Dordrecht/Boston/Lancaster, 1986, pp. 587 – 591; ID., Septième rapport sur la responsabilitè des Etats, in Annuaire de la Commission du droit international , 1986, vol. II-1, p. 11. Per una critica a tale concezione si veda PALCHETTI, op. cit., p. 11.61 Per maggiori approfondimenti circa l’origine dell’espressione “organo” si vedano ROMANO, Nozione e natura degli organi costituzionali dello Stato, Palermo, 1898; DONATI, La persona reale dello Stato, 1921, ora in ID, Scritti di diritto pubblico, Padova, 1966, p. 227 ss.
23
Un primo orientamento accomuna le tesi che concepiscono l’attribuzione di condotte
allo Stato come il mero accertamento di una situazione di fatto. Sostenitori di tale
concezione sono quegli autori secondo cui il legame giuridico tra l’ente collettivo e
l’individuo viene stabilito mediante un rinvio alla sua organizzazione effettiva.
Il diritto internazionale si limiterebbe pertanto a prendere in considerazione
l’organizzazione di cui lo Stato risulta in fatto essere provvisto, senza individuare a priori
quali siano le condizioni in presenza delle quali una certa condotta debba essere ad esso
attribuita. A differenza della concezione che postula un rinvio all’ordinamento interno dello
Stato, questa tesi non ha riguardo al dato formale e valorizza le norme interne solo nel caso
in cui servano ad individuare l’organizzazione in fatto esistente62.
Un approccio marcatamente fattuale è invece sostenuto da quegli autori che negano sia
l’esistenza di norme internazionali di organizzazione sia che l’attribuzione allo Stato di
comportamenti di individui sia un’operazione giuridica regolata da norme di diritto
internazionale. L’ente collettivo è considerato un ente reale legato ai suoi agenti da un
rapporto materiale, per cui l’attribuzione viene intesa come l’accertamento di un legame
fattuale tra l’ente soggetto internazionale e le persone fisiche o giuridiche che agiscono
effettivamente in suo conto. Entrambe le suddette tesi ritengono impossibile individuare in
maniera rigida i presupposti in presenza dei quali una certa condotta può essere riferita allo
Stato: il principio di effettività, difatti, riconosce all’interprete il compito di determinare caso
per caso il livello di integrazione dell’individuo agente nella struttura reale dello Stato63.
Muovendo dal presupposto che il diritto internazionale prende in considerazione
esclusivamente l’organizzazione che lo Stato si è effettivamente dato al fine di determinare
quali individui godono della qualità organica, il riferimento al diritto interno alla luce di tali
concezioni viene a costituire soltanto uno degli elementi idonei a determinare quale sia
l’effettiva organizzazione statale. Nel caso in cui ci sia un contrasto fra l’organizzazione che
risulta dal riferimento al diritto interno e la sua organizzazione effettiva, il diritto
internazionale farebbe riferimento a quest’ultima. Secondo tale concezione, pertanto, il
riferimento al diritto interno sarebbe insufficiente a qualificare un individuo o ente come
62 Così VERDROSS, Règles générales du droit de la paix, in Recueil des cours, 1929, p. 464 ss.; MORELLI, Nozioni di diritto internazionale, 7ᵃ ed., Padova, 1967, p. 183 ss. Quest’ultimo autore non esclude che in determinate circostanze il diritto internazionale possa determinare in maniera autonoma le condizioni attributive di una condotta allo Stato. Si veda MORELLI, op. cit., p. 186 ss.63 Così ARANGIO-RUIZ, Gli enti soggetti, cit., p. 362 ss; ID., Deuxième rapport sur la responsabilitè des Etats, in Annuaire de la Commission de droit international, 1989, vol. II-1, p. 56 ; PALMISANO, Colpa dell’organo e colpa dello Stato nella responsabilità internazionale: spunti critici di teoria e prassi , in Comunicazioni e studi, vol. XIX – XX, 1992, p. 675; ID., Stato (soggettività internazionale), in CASSESE (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, pp. 5706 – 5707.
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organo statale, bensì sarebbe necessario attestare che i dati che si ricavano dalla
organizzazione giuridica trovino una effettiva conferma nella realtà di fatto64.
Contrapposto alle precedenti concezioni è invece l’orientamento, prevalente in dottrina,
che considera l’attribuzione di un fatto illecito allo Stato come un fenomeno regolato da
norme di diritto internazionale, che non si limiterebbero ad operare un rinvio nei confronti
dell’ordinamento interno o dell’organizzazione statale effettiva, ma indicherebbero i
presupposti giuridici in presenza dei quali un comportamento deve essere considerato come
fatto dello Stato. Tale approccio normativo reputa rilevante il dato effettivo ai fini attributivi
solo nel caso in cui trovi pieno riscontro in regole giuridiche internazionali65.
La posizione accolta dalla CDI nel risolvere il problema dell’attribuzione allo Stato di un
certo comportamento ai fini della responsabilità internazionale è plasmata sulle indicazioni
fornite dal relatore speciale Ago, sostenitore della concezione di tipo normativo 66. Pur
partendo dal presupposto che il diritto internazionale non è in grado di determinare quale
sia l’organizzazione dello Stato né di individuare quali individui al suo interno godono dello
status organico, Ago giungeva a sostenere che l’operazione attributiva è regolata dal diritto
internazionale sulla base di criteri totalmente autonomi rispetto a quelli che disciplinano la
riferibilità di una condotta allo Stato sul piano del diritto interno. Ago considera difatti
l’organizzazione dello Stato come un fascio di strutture reali, intendendo con ciò affermare
che essa, pur essendo un dato di fatto, è sul piano del diritto internazionale una realtà
strutturata sulla base di regole giuridiche67.
La concezione normativa in tema di attribuzione di condotte è stata affermata anche
dalla Corte internazionale di giustizia. Nella sentenza resa nel caso United States Diplomatic
64 “Nel caso di contrasto fra organizzazione effettiva ed organizzazione giuridica, è soltanto alla prima che bisogna avere riguardo per determinare in concreto se ricorrono o meno i presupposti da cui l’ordinamento internazionale fa dipendere l’imputazione al soggetto della volontà o dell’attività individuale”. Cfr. MORELLI, Nozioni di diritto internazionale, cit., p. 188. L’orientamento secondo cui le norme di diritto interno rilevano ai fini dell’accertamento della qualità di organo soltanto nel caso in cui siano indicative dell’organizzazione fattuale dello Stato è condivisa anche da ARANGIO-RUIZ, Deuxième rapport, cit., p. 55, par. 174 e PALMISANO, Colpa dell’organo e colpa dello Stato, cit., p. 681, nota 152.65 Si veda AGO, Troisième rapport, cit., p. 245 ss.; AMERASINGHE, Imputability in the law of State responsibility for injuries to aliens, Revue égyptienne de droit international 1966, p. 92; ID., State Responsibility for Injuries to Aliens, Oxford, 1967, p. 49; CHENG, op. cit., pp. 180 – 181.66 Il principio secondo cui l’attribuzione di condotte è un’operazione giuridica operante secondo criteri del diritto internazionale è stato codificato dalla CDI all’art. 3 del progetto di articoli sulla responsabilità internazionale. Si veda il testo dell’articolo e il relativo commento in Yearbook of the International Law Commission, 2001, vol. II - 2,67 “Par organisation de l’Etat il faut entendre l’appareil de ce dernier, l’ensemble des structures concrètes par lesquelles il manifeste son existence et exerce son action. Il va se de soi que la formation de ces structures et la prévision de cette action sont l’objet d’une réglementation juridique, réglementation que l’Etat lui-même et lui seul peut établir”. Così AGO, Troisième rapport, cit., p. 249. Per una critica a questa concezione dell’organizzazione dello Stato si veda LENOBLE, Responsabilité internationale et contrôle territorial, Revue belge de droit international, 1981-82, p. 99.
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and Consular Staff in Tehran, la Corte ha fatto riferimento ai comportamenti giuridicamente
imputabili allo Stato iraniano per verificarne la responsabilità internazionale68. Ugualmente
nella sentenza resa il 27 giugno del 1986 nel caso Military and Paramilitary Activities in and
against Nicaragua la Corte ha menzionato “the legal process of imputing the act to a
particular State for the purpose of establishing responsibility…”69 e nella sentenza resa il 27
febbraio 2007 nel caso Application of the Convention on the prevention and punishment of
the crime of genocide essa ha riconosciuto la necessità di determinare se gli atti di genocidio
potevano essere attribuiti alla allora Repubblica federale di Iugoslavia “under the rules of
customary international law of State responsibility”70.
Per quanto concerne l’accertamento della qualità organica, la concezione normativa si
fonda invece sulla valorizzazione dei dati ricavabili dal riferimento all’ordinamento statale,
comprensivo però anche della prassi eventualmente formatasi in deroga alle norme interne
di diritto positivo71. Sebbene si ammetta che la qualità organica possa essere accertata
anche sulla base di elementi fattuali, l’esistenza di un legame effettivo tra un individuo o
ente e lo Stato non viene riconosciuta come condizione necessaria per considerare tale
individuo o ente come organo. Nel caso in cui invece lo status organico di un individuo o
ente è accertato in base al diritto interno, non si deve controllare se nella realtà elementi
fattuali confutano il riconoscimento di tale qualità, essendo di per sé decisivo il dato
formale72.
Tale tesi arriva anche ad ammettere la prevalenza del risultato derivante dal riferimento
all’ordinamento interno rispetto ad eventuali indicazioni contrarie desumibili dalla
situazione esistente in fatto73. La rilevanza generalmente accordata al diritto interno ai fini
68 I.C.J. Reports 1980, p. 29, par. 56.69 I.C.J. Reports, 1986, p. 39, par. 57.70 I.C.J. Reports, 2007, p. 23, par. 108.71 AGO, Troisième rapport, cit., p. 245 ss.; AMERASINGHE, Imputability in the law of State responsibility for injuries to aliens, cit., p. 92; ID., State Responsibility for Injuries to Aliens, cit., p. 49; CHENG, op. cit., pp. 180 – 181; SALERNO, Genesi e usi della nozione di organo nella dottrina internazionalista italiana, Rivista di diritto internazionale, 2009, p. 921 ss.72 “…la condition nécessaire pour que le droit des gens impute un tort à l’État, c’est qu’il se trouve en face d’une conduite d’une personne physique qui dans l’organisation interne de l’État, soit qualifiée d’organe”. Cfr. AGO, Le délit international, in Recueil des cours de la Académie de droit international, vol. 68 (1939-II), p. 465. Ago ripropone tale concetto nel 1971, quando presenta il suo terzo rapporto sulla responsabilità internazionale alla Commissione di diritto internazionale. ID., Troisiéme rapport, cit., p. 198 ss.73 La tesi secondo cui la condotta di un individuo che abbia la qualità di organo secondo il diritto interno deve essere in ogni caso attribuita allo Stato sembra corrispondere alla posizione della Commissione del diritto internazionale. Nel corso del dibattito che ha portato all’adozione in prima lettura dell’art. 5, alcuni membri hanno sollevato la questione circa la possibilità di riconoscere la qualità organica indipendentemente dalla circostanza che trovasse corrispondenza nella realtà effettiva. In paricolare Hambro ha osservato come “by contrast with article 8, article 5 dealt with acts which would always be attributed to the State, because the person or group of persons performing them was categorized as a State organ by the internal law of the State concerned”. In Yearbook of the
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della determinazione della qualità organica trova giustificazione sia nella circostanza che
l’organizzazione giuridica interna dello Stato e quella effettiva in larga misura coincidono, sia
nell’esigenza di garantire la sicurezza delle relazioni internazionali.
Quando uno Stato attribuisce l’esercizio di pubbliche funzioni ad un individuo o ente e ne
inserisce l’attività nella sua organizzazione di governo, induce gli altri Stati a considerare tale
individuo o ente come organo. Mediante il diritto interno lo Stato fornisce difatti delle
importanti indicazioni circa il modo di essere della propria organizzazione di governo ed
esigenze di certezza delle relazioni internazionali impongono pertanto di tutelare la
prospettiva di altri Stati che fanno affidamento sui dati da esso derivanti74.
Negli ultimi decenni alcuni autori hanno invece ammesso l’attribuzione allo Stato dei fatti
dei propri organi indipendentemente dal legame che qualifica giuridicamente il
comportamento dell’individuo o ente nell’ordinamento statale75, mentre altri ancora sono
giunti ad ammettere che l’accertamento della qualità organica possa avvenire sulla base di
parametri differenti rispetto all’ordinamento statale. La qualifica di organo in base al diritto
interno diverrebbe difatti soltanto uno dei possibili indizi dello status di organo dello Stato ai
fini del diritto internazionale, dal momento che è l’accertamento fattualmente effettivo
dell’organo che rappresenta la condizione generale per riferire dei comportamenti allo Stato
sul piano internazionale76.
3. Implicazioni derivanti dall’accettazione delle due differenti tesi sull’organizzazione dello Stato dal punto di vista del diritto internazionale con riferimento alla questione dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires
L’approccio normativo e l’approccio fattuale in tema di attribuzione di condotte allo Stato
si distinguono nettamente con riferimento al modo di porsi nella valutazione dei dati offerti
dalla prassi internazionale. Mentre l’approccio normativo ritiene plausibile ricavare dai dati
della prassi internazionale dei criteri giuridici in grado di determinare in base a quali
condizioni una certa condotta di individui o enti è riferibile allo Stato quale soggetto
internazionale, l’approccio fattuale non ammette che la questione attributiva possa essere
risolta sulla base di criteri giuridici astratti, in quanto ritiene che spetti all’interprete
International Law Commission, 1973-I, p. 51, par. 31. Una identica indicazione è contenuta anche nel progetto adottato in seconda lettura. Su questa problematica il commentario dell’art. 4 si limita a rilevare che “when the law of a State characterizes an entity as an organ, no difficulty will arise ”. UN doc. A/56/10, p. 82.74 Per approfondire il ruolo giocato dall’esigenza di garantire la certezza delle relazioni internazionali con riferimento al principio dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires vedi infra, p. 36 ss.75 CONDORELLI, L’imputation à l’État d’un fait internationalement illicite: solutions classiques et nouvelles tendances, in Recueil des cours, vol. 189 (1984-IV), p. 26 ss.76 PALCHETTI, L’organo di fatto nell’illecito internazionale, cit.,p. 251 ss.
27
determinare l’intensità del vincolo che lega l’individuo agente allo Stato sulla base della
rilevazione di elementi di fatto di volta in volta differenti.
Ai fini limitati della presente indagine si preferisce non accogliere a priori alcuna delle
ricostruzioni teoriche sopracitate del fenomeno dell’attribuzione del fatto illecito al soggetto
internazionale.
Si pensa infatti che l’approfondita analisi della prassi internazionale in tema di
attribuzione di fatti ultra vires allo Stato possa essere anche l’occasione per verificare se
l’operazione attributiva debba essere considerata un’operazione disciplinata da regole
giuridiche oppure consti nel mero accertamento di un legame fattuale esistente tra l’ente
soggetto internazionale e le persone fisiche o giuridiche che effettivamente agiscono per suo
conto.
Come previamente accennato77, le modalità mediante cui accertare la qualità organica
dipendono dalla rilevanza riconosciuta al principio di effettività ai fini della soluzione del
problema dell’attribuzione. Reputando che soltanto l’esame dei dati offerti dalla prassi
permetta di determinare quale tra l’approccio fattuale e quello normativo al problema
dell’attribuzione di condotte allo Stato sia maggiormente aderente alla realtà, l’indagine
circa la possibilità di riferire allo Stato sul piano internazionale le condotte non autorizzate
dei propri organi fornisce in via indiretta l’occasione di verificare anche il ruolo del diritto
interno e di elementi fattuali nell’accertamento della qualità organica.
4. Le diverse impostazioni seguite in dottrina circa il problema dei fatti illeciti ultra vires
4.1 La tesi che rigetta l’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires degli organi statali
sulla base della rilevanza esclusiva del diritto interno nell’organizzazione dello Stato
Durante la seconda parte del diciannovesimo secolo, numerosi autori hanno assimilato a
dei semplici privati gli organi statali che nel loro agire eccedevano la competenza oppure
contravvenivano alle istruzioni ricevute, sulla base del fatto che non erano in grado di
rappresentare validamente la volontà statale78.
77 Vedi supra, p. 24 ss.78 “…on the basis of the premise – in itself irrefutable – that the organization of a State is determined exclusively by the law of that State, wrongly seek to conclude that it is impossible to attribute to the State, at the international level also, the action of a person who strictly speaking does not possess the character of a State organ under municipal law or who, although possessing such character does not act in accordance with the provisions of municipal law which defines that organ’s scope of action.” Cfr. AGO, Fourth Report on State Responsibility, in Yearbook of International Law Commission, 1972, vol. II, p. 234, par. 111.
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Riconoscendo rilevanza esclusiva al diritto interno in materia di organizzazione dello
Stato e di accertamento della qualità organica, finivano per ammettere che tutte le condotte
tenute da individui che non possedevano tale status in virtù del diritto statale o che, pur
possedendolo, non agivano in linea con le disposizioni in tema di competenza dovevano
essere considerati fatti di privati.
La tesi secondo cui lo Stato non risponde sul piano internazionale dei comportamenti
tenuti dai propri organi ultra vires è stata in passato sostenuta, tra gli altri, da Bluntschli79,
Calvo80, Hall81, Chrétien82, Piedelièvre83, Fiore84, Despagnet85 e Fauchille86.
Un’ulteriore distinzione veniva operata, da parte dei suddetti autori, fra le condotte
tenute dagli organi sul territorio del proprio Stato e quelle degli organi all’estero, nel senso
di ritenere che lo Stato era tenuto a rispondere nell’ordinamento internazionale in maniera
maggiormente restrittiva dei comportamenti illeciti adottati dagli organi sul proprio
territorio.
Mentre risultavano attribuibili allo Stato tutti i comportamenti tenuti dagli organi che
operavano per suo conto all’estero, i fatti ultra vires commessi da un organo sul territorio
del proprio Stato facevano sorgere una responsabilità meramente personale dell’individuo-
organo. La responsabilità statale sul piano internazionale veniva in essere esclusivamente in
caso di complicità o di diniego di giustizia da parte di altri organi dello Stato87.
La tesi volta ad assimilare i fatti ultra vires tenuti dagli organi statali a quelli di semplici
privati si basava presumibilmente su una applicazione analogica in diritto internazionale
della teoria del mandato di diritto interno. Lo Stato pertanto non veniva considerato
responsabile in diritto internazionale delle condotte ultra vires dei propri organi in virtù del
principio di diritto interno secondo cui il mandante non è responsabile delle condotte del
79 Le droit international codifié, 4ᵃ edizione, Paris, 1886. p. 273, par. 466; Das moderne Völkerrecht der civilisirten Staten als Rechtbuch dargestellt, 3ᵃ edizione, Nördling, 1878, pp. 261–262.80 Le droit international théorique et pratique, tomo 3, 1887, Paris, p. 120, par. 1263 e p. 135, par. 1274.81 “….when the acts done are in excess of the powers of the person doing them the State is not bound or responsible…”. In A Treatise of International Law, third edition, Oxford, 1890, p. 322, par. 106.82 Principe de droit international public, Paris, 1893, pp. 391 – 392, par. 420.83 Précis de droit international public ou droit des gens, tomo I, Paris, 1894, pp. 318 – 319, par. 368.84 Trattato di diritto internazionale pubblico 3° ed., Milano, 1887, vol. I, pp. 426 - 427.85 Cours de droit international public, Paris, 1905, p. 564.86 Traité de droit international public, 8ᵃ edizione, Paris, 1922, p. 525, par. 298.87 “Dans l’intérieur des limites juridictionnelles, les agents de l’autorité de toute classe sont personnellement seuls responsables dans la mesure établie par le droit public interne de chaque Etat. Lorsqu’ils manquent à leurs devoirs, excèdent leurs attributions ou violent la loi, ils créent, selon les circonstances, à ceux dont ils ont lésé les droits un recours légal par les voies administratives ou judiciaires; mais à l’égard des tiers, nationaux ou étrangers, la responsabilité du gouvernement qui les a institués reste purement morale et ne saurait devenir directe et effective qu’en cas de complicité ou de déni de justice manifeste”. Cfr. CALVO, op. cit.. Si veda anche BLUNTSCHLI, op. cit., p. 273, par. 466.
29
mandatario in caso di eccesso dei limiti del mandato. Tale assimilazione fra il rapporto
organico ed il mandato è stata successivamente abbandonata dalla maggioranza della
dottrina, sebbene anche nel corso del ventesimo secolo alcuni autori abbiano sostenuto la
tesi dell’impossibilità di attribuire allo Stato i comportamenti tenuti da un organo ultra vires.
Nel 1926 tale tesi è stata ad esempio difesa da Guerrero nel quadro dei lavori di
codificazione del diritto internazionale intrapresi sotto l’egida della Società delle Nazioni 88 e
ancora nel 1968 Rolando Quadri ha sostenuto che la responsabilità internazionale dello
Stato con riferimento a condotte ultra vires degli organi statali può sorgere esclusivamente
in relazione al mancato adempimento da parte di altri organi di un obbligo di prevenzione o
repressione del fatto illecito89.
4.2 La tesi che riconosce la responsabilità internazionale dello Stato per i fatti illeciti
ultra vires dei propri organi sulla base della teoria del rischio statale
Nel ventesimo secolo, si è assistito in ambito dottrinale ad una progressiva affermazione
del principio della responsabilità internazionale dello Stato per le condotte ultra vires dei
propri organi. Mentre nel corso del diciannovesimo secolo la dottrina era unanime
nell’assimilare a semplici privati gli organi che nel loro agire eccedevano la competenza
oppure contravvenivano alle istruzioni loro impartite in quanto la loro attività non poteva
essere collegata alla volontà statale, a partire dal ventesimo secolo alcuni autori hanno
iniziato a ritenere che lo Stato era tenuto a risponderne nell’ordinamento internazionale,
nonostante tali comportamenti non potessero essere considerati dei fatti dello Stato.
I principali esponenti di tale corrente dottrinale sono Heinrich Triepel90, Dionisio
Anzilotti91, Karl Strupp92, Walther Burckhardt93, Charles De Visscher94 e Agostino Soldati95.
Partendo dall’assunto che spetta all’ordinamento interno regolare i poteri e le
competenze dei propri organi, tali autori arrivavano a concludere che soltanto le condotte
88 Vedi infra, p. 89 ss.89 Secondo Quadri, Diritto internazionale pubblico, 5ᵃ edizione, Napoli, 1980, p. 594, “quando gli organi superano i limiti della loro competenza, l’obbligo dello Stato di rispondere dei danni causati agli atti degli organi sussiste nella misura in cui lo Stato risponde dei danni prodotti da atti di privati individui, essendochè l’atto dall’organo posto in essere fuori della sua competenza va assimilato ad un atto privato”.90 TRIEPEL, Völkerrecht und Landesrecht, Leipzig, 1899, p. 349.91 ANZILOTTI, La responsabilité internationale, cit., p. 289.92 STRUPP, Das völkerrechtliche Delikt, cit., pp. 37–38.93 BURCKHARDT, Die völkerrechtliche Verantworlichkeit der Staaten, Bern, 1924, pp. 10–12.94 DE VISSCHER, La responsabilitédes Etats, cit., pp. 91–92.95 SOLDATI, La responsabilité des Etats dans le droit international, Duchemin, 1934, pp. 52–62.
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tenute dagli organi statali nel rispetto delle disposizioni di diritto interno in tema di
competenza potevano essere considerate fatti dello Stato96.
La corrente dottrinale che si è sviluppata a partire dal ventesimo secolo ha però
incontrato la difficoltà di conciliare le suddette premesse teoriche con i dati desumibili dalla
prassi internazionale, che si erano nel frattempo orientati nel senso di ritenere lo Stato
responsabile dei comportamenti ultra vires dei propri organi. La soluzione accolta nella
prassi internazionale era ritenuta in contrasto con la logica giuridica e poteva, a loro parere,
trovare giustificazione soltanto nella necessità di garantire la sicurezza delle relazioni
internazionali97.
Non potendo procedere in ogni occasione all’esame delle disposizioni di diritto interno di
un altro Stato al fine di verificare se un organo aveva rispettato nell’esercizio delle proprie
funzioni i limiti della propria competenza, uno Stato non poteva negare di aver agito
ogniqualvolta un organo adottava un comportamento che all’esterno appariva determinato
dalla sua volontà. Tale assunto, in chiara contraddizione con le premesse, aveva lo scopo di
conciliare le conclusioni con i dati desumibili dalla prassi internazionale. Investendo dello
status organico alcuni individui o enti e fornendo loro gli strumenti necessari all’esecuzione
della propria funzione, secondo tali autori, lo Stato era tenuto a rispondere
nell’ordinamento internazionale dell’apparenza che aveva contribuito a creare. Al fine di
garantire la sicurezza delle relazioni internazionali, lo Stato era quindi tenuto a rispondere
delle condotte non autorizzate dei propri organi nel caso in cui l’illecito era stato reso
possibile in virtù dello status organico di cui un individuo o ente godevano o dell’autorità
che derivava loro dall’esercitare una funzione ufficiale98.
Pur non essendo attribuibili allo Stato sul piano internazionale in quanto non conformi al
diritto interno, i fatti ultra vires degli organi possedevano comunque le caratteristiche
tipiche del fatto statale, in quanto si collegavano all’organizzazione dello Stato e si
producevano in occasione dell’esercizio di funzioni ufficiali. La responsabilità internazionale
dello Stato, nell’ipotesi degli illeciti ultra vires dei propri organi, si fondava quindi su una
garanzia che esso assicurava agli altri soggetti di diritto internazionale per i fatti dannosi che
derivavano dalla propria organizzazione interna.
96 “Un atto di questo genere non è in alcun modo un atto dello Stato, ma un puro atto individuale.[…]Anche qui è assai più razionale e rispondente al vero dire che l’ordine internazionale fa valere le sue esigenze”. ANZILOTTI Teoria generale della responsabilità dello Stato nel diritto internazionale, Scritti di diritto internazionale pubblico, vol. I, Padova, 1956, pp. 132-134.97 ANZILOTTI, La responsabilité internationale, cit., p. 289; DE VISSCHER, La responsabilité des Etats, cit., p. 92.98 Per ulteriori approfondimenti circa la condizione attributiva dell’apparenza della funzione vedi infra, p. 208 ss.
31
4.3 La tesi che accoglie l’attribuzione allo Stato dei comportamenti ultra vires dei soli
organi statali superiori
All’inizio del ventesimo secolo, parte della dottrina ha sostenuto che la volontà statale
poteva essere validamente rappresentata solo dai suoi organi superiori, per cui lo Stato era
tenuto a rispondere in ambito internazionale solo dei fatti ultra vires da essi tenuti, ad
esclusione di quelli adottati dagli organi subalterni. Il principale fautore di tale teoria è
Borchard, il quale sosteneva che potevano essere direttamente attribuiti allo Stato in diritto
internazionale soltanto i comportamenti tenuti dagli organi superiori nell’esercizio delle
proprie funzioni, che avessero agito nel rispetto dei limiti della loro competenza o meno99.
Gli atti e le omissioni degli organi subalterni venivano equiparati ai comportamenti di
privati, per cui la responsabilità internazionale dello Stato poteva sorgere solo in caso di
ratifica del comportamento, di mancata prevenzione o repressione del fatto illecito oppure
per diniego di giustizia da parte degli organi superiori100.
Tale concezione è stata affermata anche dalla Draft Convention on the Responsibility of
States for Damage Done in their Territory to the Person or Property of Foreigners redatta nel
1929 dal Professor Borchard per la Harvard Law School. L’art. 7 lett. a) stabiliva difatti che
uno Stato è internazionalmente responsabile dei danni causati solo dai propri organi
superiori nell’esercizio delle funzioni101. Il commentario della suddetta disposizione chiariva
che un organo superiore che aveva tenuto un comportamento ultra vires poteva
considerarsi averlo adottato nella sua qualità ufficiale a condizione che avesse agito entro il
quadro generale delle sue funzioni102. In base alla condizione attributiva della competenza
generale, lo Stato doveva rispondere internazionalmente di tutte le condotte degli organi
che, pur non avendo nello specifico la competenza ad adottare il comportamento
generatore dell’illecito, godevano comunque della competenza a tenere dei comportamenti
dello stesso genere o tipologia
Il sorgere di tale tesi è stata con grande probabilità influenzato dalla distinzione operata
fra organi superiori e organi subordinati rinvenibile nell’ordinamento interno degli Stati Uniti
99 BORCHARD, The Diplomatic Protection of Citizens Abroad or the Law of International Claims , New York, 1916, pp. 185–186. Si veda anche il commentario relativo all’art. 7 della Draft Convention on the Responsibility of States for Damage Done in their Territory to the Person or Property of Foreigners preparata nel 1929 dalla Harvard Law School sotto la direzione di Borchard in American Journal of International Law, 1929, Special Supplement vol. 23, p. 163.100 BORCHARD, The Diplomatic Protection, cit., p. 189.101 “A state is responsible if an injury to an alien results from the wrongful act or omission of one of its higher authorities within the scope of the office or function of such authority, if the local remedies have been exhausted without adequate redress”. American Journal of International Law 1929, Special Supplement vol. 23, p. 136.102 Ibid., p. 163.
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e di alcuni paesi dell’America latina103. Negli Stati Uniti, ad esempio, il diritto interno
prevede che la parte lesa da una condotta di un organo subordinato possa presentare un
ricorso per far valere i propri diritti solo nei confronti dell’individuo organo colpevole e non
dell’amministrazione dello Stato. Parimenti la giurisprudenza ha per lungo tempo operato
una distinzione tra due categorie di organi, gli “officers” e gli “employees”, reputando
l’attività statale costituita soltanto dai comportamenti adottati dai primi.
In realtà ad una attenta analisi dei casi giurisprudenziali citati da Borchard al fine di
dimostrare la validità della sua tesi104, si può notare come la ragione che ha spinto gli arbitri
a rigettare le richieste di risarcimento non risiede tanto nell’impossibilità di riferire allo Stato
i comportamenti adottati dagli organi subordinati quanto nel mancato previo esaurimento
dei ricorsi interni ad opera della parte lesa e nel conseguente rigetto della possibilità di
esercitare la protezione diplomatica105.
La teoria secondo cui sarebbe necessario operare una distinzione nell’attribuzione di
comportamenti allo Stato in funzione del rango superiore o subalterno dell’organo è stata
superata nelle prassi diplomatica e nella giurisprudenza arbitrale del ventesimo secolo106.
Durante i lavori di codificazione intrapresi sotto l’egida della Società delle Nazioni il
Governo tedesco, nel rispondere ad un quesito riguardante i comportamenti degli organi
superiori dell’esecutivo, ha sostenuto che gli illeciti ultra vires commessi dagli organi
subalterni devono essere attribuiti allo Stato in ambito internazionale107.
103 AGO, Troisièmme rapport, cit., p. 264, par. 153; PRZETACZNIK, The International Responsibility of States, cit., pp. 130–131; QUÉNEUDEC, op. cit., pp. 60–61.104 Si veda la sentenza resa nel caso Leichardt in cui la Commissione mista istituita fra Stati Uniti e Messico ha rigettato la richiesta di risarcimento degli Stati Uniti nei confronti del Messico in quanto “…for the wrongs and injuries inflicted by private persons or by paltry petty officers, chest in a little brief authority, like the governor’s secretary, for instance, they must resort to the courts of the country, and in such cases only appeal to their own sovereign when the courts of the country refuse to do their duty…”. Cfr. MOORE, op. cit., vol. III, pp. 3133–3134. Si tratta di una sentenza non datata, resa in virtù di una Convenzione conclusa fra i due Stati il 4 luglio 1868. Si veda anche il caso Slocum, ibid., p. 3141; Smith, ibid., p. 3146; Burn, ibid., p. 3140; Bensley, ibid., pp. 3016–3017.105 EAGLETON, op. cit., pp. 48 – 49; FREEMAN, op. cit., pp. 284–285.106 In realtà già nell’ultimo decennio del diciannovesimo secolo in alcune occasioni era stata sottolineata la mancata pertinenza di tale distinzione. Si veda il caso Star and Herald, in cui il governo colombiano ha cercato di negare la riferibilità di un fatto illecito ultra vires in virtù del grado subordinato dell’organo che aveva tenuto la condotta. Cfr. MOORE, op. cit. , pp. 779–780.107 “Un employé subalterne….qui sans posséder les attributions nécessaires pour représenter son Etat à l’extérieur, procède à un acte contraire au droit international en entrant, dans l’exercice de ses fonctions, en contact avec un étranger, engage donc la responsabilité de l’Etat exactement comme un acte contraire au droit international et commis par le gouvernement lui-même. Dans l’un comme dans l’autre cas, il s’agit, au sens légal, d’une infraction au droit international commise par l’Etat lui-même”. Cfr. Società delle Nazioni, Conférence pour la codification du droit international, Bases de discussion établies par le Comité préparatoire à l’intention de la Conférence, Supplément au tome III, Responsabilité des Etats en ce qui concerne les dommages causés sur leur territoire à la personne au aux biens des étrangers. Réponses des Gouvernements à la liste de points, Genève, 1929, p. 52.
33
Nella sentenza resa nel 1927 dalla Commissione generale dei reclami fra Messico e Stati
Uniti nel caso Massey, ad esempio, il commissario Nielsen ha rigettato l’argomentazione che
il Governo messicano, al fine di negare la propria responsabilità internazionale, incentra sul
rango subordinato dell’organo che aveva permesso l’evasione di un detenuto colpevole di
aver ucciso un cittadino statunitense108.
Egualmente la Commissione europea dei diritti dell’uomo in un rapporto del 25 marzo
1976 nel caso Irlanda c. Regno Unito ha reputato senza fondamento la tesi del Regno Unito
che negava la propria responsabilità internazionale per la violazione dell’art. 3 della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo sulla base dell’impossibilità di considerare come
fatti dello Stato i comportamenti tenuti dagli organi subordinati109.
Alla luce degli sviluppi della prassi internazionale, lo stesso Borchard in un articolo
pubblicato nel 1929110 ha negato la pertinenza di una distinzione nell’attribuzione di
comportamenti allo Stato in funzione del rango dell’organo, riconoscendo che qualunque
individuo o ente che gode dello status organico in virtù del diritto interno deve essere
considerato un organo dello Stato e i suoi comportamenti sono suscettibili di essere
attribuiti allo Stato stesso111.
4.4 La tesi che ammette in generale l’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires degli organi statali
Nel corso del ventesimo secolo, la dottrina si è sempre più orientata ad ammettere la
responsabilità internazionale dello Stato per le condotte tenute dai propri organi eccedendo
108 “I believe that it is undoubtedly a sound general principle that, whenever misconduct on the part of any such persons, whatever may be their particular status or rank under domestic law, results in the failure of a nation to perform its obligations under international law, the nation must bear the responsibility for the wrongful acts of its servants”. Cfr. Report of International Arbitral Awards, vol. IV, p. 159. Si veda anche il caso Way, ibid., pp. 391–401; il caso Baldwin, ibid., vol. VI, pp. 328–333. 109 “L’Etat ne peut être engagé pour les actes de tous ses organes, agents et fonctionnaires. Comme pour la responsabilité au regard du droit international en général, le rang de ceux-ci n’importe pas, en ce sens qu’en tout état de cause leurs actes sont imputés à l’Etat.” CEDH Mém., vol. 23 – I, p. 393. Per una approfondita analisi del caso si veda infra, p. 161 ss.110 BORCHARD, Theoretical Aspects of the International Responsibility of States, Zeitschrift für ausländisches öffentliches Recht und Völkerrecht, 1929, pp. 223-250.111 Si veda anche QUÉNEUDEC, op. cit., pp. 55–68; AMERASINGHE, op. cit., p. 106; AGO, Troisième rapport, cit., pp. 262–267; CHRISTENSON, The Doctrine of Attribution in State Responsibility, International Law of State Responsibility for Injuries to Aliens, Charlottesville, 1983, p. 331; PRZETACZNIK, op. cit., pp. 135–136; BROWNLIE, op. cit., pp. 447–448. La tesi favorevole ad una distinzione dell’attribuzione dei comportamenti in funzione del rango dell’organo è stata sostenuta anche più avanti nel ventesimo secolo da alcuni autori: FENWICK, International Law, 3ᵃ ed., New York, 1952, pp. 280–281; BRIERLY, The Law of Nations: an Introduction to the International Law of Peace, 6ᵃ ed., Oxford, 1963, pp. 285–286; VON GLAHN, Law among Nations, an Introduction to Public International Law, 5ᵃ ed., New York, 1986, p. 232.
34
i limiti della competenza oppure contravvenendo alle istruzioni ricevute, e ciò li ha indotti ad
abbandonare la tesi del rilievo esclusivo del diritto interno112.
Secondo questo filone dottrinale, l’attribuzione di una condotta allo Stato quale soggetto
internazionale consta in un’operazione totalmente indipendente rispetto alla sua
attribuzione allo Stato nell’ordinamento interno. Partendo dal presupposto che il diritto
internazionale è in grado di individuare secondo propri criteri quando una condotta deve
essere considerata un fatto statale sul piano internazionale, tali autori arrivavano a
sostenere che, al fine di garantire la sicurezza delle relazioni internazionali, un
comportamento non autorizzato di un organo è comunque da considerare un fatto
attribuibile allo Stato nell’ordinamento internazionale, nonostante non possa dirsi riflettere
la “volontà” statale.
Un orientamento leggermente differente è stato seguito da Condorelli. Secondo tale
autore, lo Stato esercita il proprio diritto ad auto-organizzarsi nel momento in cui affida ad
una persona fisica o giuridica l’esercizio di pubbliche funzioni. Dovendo sopportare le
conseguenze di tale scelta, lo Stato si troverebbe in una situazione di estoppel che gli
impedirebbe di contraddirsi nel sostenere di non aver agito nel caso in cui uno degli organi
da lui designati ha adottato un comportamento nell’esercizio delle sue funzioni, ma ultra
vires113.
È opportuno osservare che è ormai del tutto prevalente la tesi che lo Stato sia tenuto a
rispondere in diritto internazionale di tutti i comportamenti adottati dai propri organi,
indipendentemente dalla circostanza che essi abbiano ecceduto i limiti della competenza
112 Si veda AGO, Le délit international, Recueil des cours de I'Académie de droit international de La Haye, 1939, p. 469 ss.; AMERASINGHE, Imputability in the Law of State Responsibility for Injuries to Aliens, Revue egyptienne de droit international, 1966, p. 104 ss.; ANZILOTTI, Corso di diritto internazionale, Padova, 1955, pp. 387-388; CHENG, General Principles of Law as Applied by International Courts and Tribunals, London, 1953, p.201 ss.; DAHM, Völkerrecht, Stuttgart, 1961, p. 182; DECENCIERE-FERRANDIERE, La responsabilité Internationale des Etats à raison des dommages subis par des étrangers, Paris, 1925, p. 70; EAGLETON, The Responsibility of States in International Law, New York, 1928, p. 57; FISCHER, La Responsabilité internationale de l’Etat pour les comportements ultra vires de ses organes, Lausanne, 1993, p. 165 ; FREEMAN, Responsibility of States for unlawful acts of their armed forces, in Recueil des cours de I'Académie de droit international de La Haye, 1955-II, p. 29; FURGLER, Grundprobleme des völkerrechtlichen Verantwortlichkeit der Staaten unter besonderer Berucksichtigimg der Haager Kodifikationskonferenz, sowie der Praxis der Vereinigten Staaten und der Schweiz, Zürich, 1948, pp. 25-26; GUGGENHEIM, Traité de droit international public, Genève, 1954, p. 5 ss.; MONACO, La responsabilità internazionale dello Stato per fatti degli individui, Rivista di diritto internazionale, 1939, p. 22 ss.; QUÉNEUDEC, La responsabilité Internationale de l’Etat pour les fautes personnelles de ses agents , Paris, 1966, pp. 119-120; REUTER, La responsabilité Internationale, Droit international public (cours), Paris, 1956, p. 87 ss.; ROSS, A Textbok of International Law, London, 1947, pp. 252-253; STARKE, Imputability of International Delinquencies, The British Year Book of International Law, 1938, p. 109 ss.; SCHWARZENBERGER, International Law, London, 1957, p. 615 ss.; SERENI, Diritto internazionale, Milano, 1962, pp.1507-1508; PRZETACZNIK, The International Responsibility of the State, cit., p. 153. 113 CONDORELLI, L’imputation à l’Etat d’un fait internationalement illicite, cit., p. 86.
35
come previsti dal diritto interno o abbiano contravvenuto alle istruzioni ricevute, e ciò sulla
base del fatto che abbiano agito ex qualitate114. Restano peraltro controverse le precise
circostanze in cui sono da attribuire i fatti ultra vires.
4.5 L’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires nei progetti di codificazione elaborati
da istituzioni private
In tutti i progetti di codificazione elaborati dalle istituzioni private nel periodo
antecedente la Conferenza di codificazione del 1930 viene riconosciuto il principio della
responsabilità internazionale dello Stato per i comportamenti ultra vires dei propri organi
sulla base della loro riferibilità allo Stato sul piano internazionale.
Nel secondo capitolo del Draft Code of International Law inerente le Rules Concerning
Responsibility of a State in Relation to the Life, Person and Property of Aliens elaborato nel
1926 dal ramo giapponese dell’International Law Association congiuntamente alla
Associazione di diritto internazionale del Giappone veniva stabilita la responsabilità
internazionale dello Stato per tutti i comportamenti tenuti dagli organi nella loro qualità
ufficiale. L’art. 1 del secondo capitolo, intitolato “Rules Concerning the Responsibility of a
State in Relation to the Life, Person and Property of Aliens”, affermava che “A State is
responsible for injuries suffered by aliens…through willful act, default or negligence of the
official authorities in the discharge of their official functions…”115.
Affermando che lo Stato è tenuto a rispondere dei comportamenti adottati dagli organi
nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali, tale disposizione ammetteva implicitamente che la
responsabilità internazionale dello Stato sussisteva anche nel caso in cui le condotte non
fossero state autorizzate.
In maniera più esplicita l’art. 1 della risoluzione adottata nel 1927 dall’Institut de Droit
International sulla Responsabilité internationale des Etats à raison des dommages causés sur
leur territoire à la personne et aux biens des étrangers ammetteva la responsabilità
internazionale dello Stato in caso di illecito commesso dagli organi nella loro qualità ufficiale
anche nel caso in cui avessero agito non rispettando le disposizioni di diritto interno in tema
114 BORCHARD, Theoretical aspects, cit., pp. 22 –231; FREEMAN, The International Responsibility, pp. 23–26; STARKE, Imputability, cit., pp. 110–111; VON MÜNCH, op. cit., pp. 172–182; REUTER, op. cit., pp. 602–603; COUSSIRAT – COUSTERE e EISEMANN, op. cit., pp. 365–367; CHRISTENSON, op. cit., p. 621; BROWNLIE, System of the Law of Nations, State Responsibility, Oxford, 1983, pp. 145–150; ZEMANEK, op. cit., p. 367; SMITH, State Responsibility and the Marine Environment, Oxford, 1988, pp. 31–34.115 AGO, Premier rapport, cit., allegato II, p. 146.
36
di competenza e avessero abusato dei mezzi messi loro a disposizione in virtù della funzione
svolta:
“ L'Etat est responsable des dommages qu'il cause aux étrangers par toute
action ou omission contraire à ses obligations internationales, quelle que soit
l'autorité de l'Etat dont elle procède: constituante, législative,
gouvernementale ou judiciaire. Cette responsabilité de l’Etat existe, soit que
ses organes aient agi conformément, soit qu’ils aient agi contrairement à la loi
ou à l’ordre d’une autorité supérieure. Elle existe également lorsque ces
organes agissent en dehors de leur compétence, en se couvrant de leur qualité
d’organes de l’Etat, et en se servant des moyens mis, à ce titre, à leur
disposition”116.
Lo Stato era quindi tenuto a rispondere in ambito internazionale dei comportamenti ultra
vires adottati dai suoi organi anche nei casi in cui neanche in apparenza potevano sembrare
rientrare nel quadro della loro competenza, allorché il compimento dei fatti illeciti nella
qualità di organi dello Stato era stato reso possibile dall’uso abusivo degli strumenti messi
loro a disposizione per il regolare esercizio delle pubbliche funzioni. Il considerare tali
condotte dei fatti statali nell’ordinamento internazionale trovava pertanto giustificazione
nell’esistenza di un rapporto tra il comportamento che aveva generato l’illecito e i mezzi
messi a disposizione per lo svolgimento delle mansioni attribuite.
Anche il Progetto di Convenzione sulla responsabilità degli Stati per i danni causati sul
loro territorio alla persona o ai beni degli stranieri, elaborato nel 1930 da parte della
Deutsche Gesellschaft für Völkerrecht, disponeva all’art. 4, par. 1, che la responsabilità di
uno Stato nell’ordinamento internazionale non poteva venire meno per il fatto che un
organo avesse agito nel mancato rispetto delle proprie competenze come stabilite dal diritto
interno117.
Su suggerimento della Commissione del diritto internazionale, la Harvard Law School ha
deciso di rivedere negli anni cinquanta il progetto di codificazione redatto dal Professor
Borchard nel 1929118 e ha delegato tale compito ai Professori Sohn e Baxter. La Draft
116 Annuaire de l’Institut de droit International 1927, vol. 33, p. 330. Anche l’art. 2 del progetto preparato nel 1927 dal Professor Strupp affermava che : “Eine Haftung wird nicht dadurch aufgehoben, dass einer der […] bezeichneten Personen oder Verbände seine Zuständigkeit überschritten hat, sofern er nach den für ihn bestehenden Züständigkeitsvorschriften die in Frage stehende Handlung an sich begehen konnte”. VON MÜNCH, op. cit., allegato 6, p. 333. 117 AGO, Premier rapport, allegato VIII, p. 155.. 118 Vedi supra, p. 11 ss.
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Convention on the International Responsibility of States for Injuries to Aliens, pubblicata nel
1961, riconosce all’art. 15 che un fatto illecito commesso da un organo può essere attribuito
allo Stato nel caso in cui abbia agito “within the scope of the actual or apparent authority or
within the scope of the function”119.
Il principio della responsabilità internazionale dello Stato per i fatti illeciti ultra vires degli
organi statali è stato infine affermato nel 1965 dall’American Law Institute nel paragrafo 169
del Restatement of the Law on Responsibility of States for Injuries to Aliens, secondo cui un
comportamento adottato da un organo può essere attribuito allo Stato nel caso in cui abbia
agito nell’ambito della sua competenza reale o apparente. Il paragrafo 207 lett. c), del
progetto adottato sempre dall’American Law Institute nel 1986 afferma invece che lo Stato è
responsabile delle violazioni degli obblighi da esso assunti in diritto internazionale risultanti
da condotte dei propri organi “acting within the scope of authority or under colour of such
authority”.
Il commentario di tale disposizione precisa inoltre che risulta irrilevante ai fini del sorgere
della responsabilità internazionale che le condotte non siano state autorizzate o conosciute
dall’autorità nazionale responsabile, oppure che siano contrarie alle disposizioni del diritto
interno. Vi si legge:
“A State is responsible for acts of officials and officials bodies, national or
local, even if the acts were not authorized or known to the responsible national
authority, indeed even if expressly forbidden by law, decree or instruction”120.
5. Piano generale dell’indagine
La presente indagine intende verificare l’esistenza in diritto internazionale di un principio
che riconosce la responsabilità dello Stato per i fatti illeciti tenuti nel mancato rispetto della
propria competenza o delle istruzioni ricevute da parte di individui o enti integrati nel suo
apparato statale. Nell’analizzare i dati ricavabili dalla prassi internazionale, oltre a verificare
se una condotta tenuta da un organo ultra vires sia o meno attribuibile allo Stato, si intende
effettuare un’analisi critica delle condizioni attributive, come i criteri in base ai quali una
condotta non autorizzata di un organo deve essere reputata un fatto statale
119 American Journal of International Law, 1961, vol. 55, p. 576.120 Restatement of the Law, The Foreign Relations Law of the United States, Minnesota, American Law Institute Publishers, 1987, vol. I, p. 96.
38
nell’ordinamento internazionale e in quali circostanze, invece, deve essere assimilata ad un
fatto di un privato.
L’indagine si colloca inoltre nella prospettiva di esaminare se il problema dell’attribuzione
dei fatti ultra vires si pone soltanto con riferimento ad individui o enti che godono dello
status organico in base al diritto interno oppure se si estende anche a coloro che sono
integrati nell’apparato statale sulla base di elementi fattuali. In tal modo si avrà cura di
approfondire il ruolo giocato dal diritto interno sia con riferimento all’operazione di
attribuzione di condotte allo Stato nell’ordinamento internazionale sia rispetto
all’accertamento della qualità organica.
Se infatti si suppone che il principio dell’attribuzione di fatti ultra vires allo Stato sia una
regola attributiva individuata dal diritto internazionale soltanto in connessione alla categoria
generale di organo, la presente indagine può costituire anche l’occasione per verificare se la
qualità organica può essere accertata non soltanto grazie al riferimento al diritto interno,
ma anche sulla base della rilevazione di un legame effettivo dell’individuo o ente con lo
Stato.
Se il rinvio all’ordinamento statale consente indubbiamente di ottenere informazioni
puntuali circa il contenuto e i limiti delle funzioni, nel caso degli organi di fatto la questione
dell’attribuzione di condotte ultra vires allo Stato finirebbe per assumere una minore
rilevanza dal momento che il rispetto delle competenze risulterebbe inglobato nel problema
dell’accertamento della qualità di organo, trattandosi di stabilire se il grado di controllo
esercitato dallo Stato sulle condotte di un individuo è sufficiente a giustificarne
l’attribuzione.
Se si arrivasse alla conclusione che i criteri attributivi che si fondano sulla qualità formale
di organo di un individuo agente non possono essere applicati ad individui che sono legati
allo Stato da un rapporto di fatto a causa del necessario riferimento al diritto interno per la
determinazione delle funzioni lui spettanti, si potrebbe asserire che il diritto internazionale
assicura al diritto interno una sorta di riserva di campo non soltanto in relazione alla
definizione dell’organizzazione dello Stato ma anche in merito alla determinazione del
contenuto e dei limiti di tali funzioni121.
La validità di tale visione formalistica circa gli elementi necessari per determinare quali
siano le funzioni svolte da un individuo o ente all’interno dell’organizzazione dello Stato
verrà vagliata alla luce dei dati desumibili dalla prassi internazionale. In linea di principio,
121 Questa tesi è stata sostenuta da Ago, Quatrième rapport, cit., p. 78, par. 2, nota 4. Secondo Kress, tale osservazione “serait sans doute trop formelle et ignorerait la possibilité de l’application de la conception mutatis mutandis”, in L’organe de facto en droit international public. Réflexions sur l’imputation à l’Etat de l’acte d’un particulier à la lumière des développements récents, Revue générale de droit International public, 2001, p. 135.
39
infatti, regole di attribuzione analoghe a quelle precedentemente descritte potrebbero
ritenersi applicabili anche con riferimento ad individui non formalmente integrati all’interno
dell’apparato statale, sulla base del fatto che la determinazione delle competenze assegnate
può essere condotta mediante un rinvio ai vari elementi di fatto che attestano il loro stretto
legame con lo Stato.
La dimostrazione della validità di questa ipotesi di lavoro sembra passare attraverso la
soluzione di due distinte questioni: da una parte si tratta di stabilire se trova effettivamente
riscontro nella prassi internazionale l’esistenza di un principio che riconosce la
responsabilità internazionale dello Stato per i fatti illeciti ultra vires di individui o enti che
possiedono lo status organico e, in caso positivo, quali siano i criteri in base ai quali una
condotta non autorizzata di un organo deve reputarsi un fatto statale nell’ordinamento
internazionale e in quali circostanze, viceversa, deve essere assimilata ad un
comportamento di un semplice privato; dall’altra si vuole invece determinare se, alla luce
delle soluzioni preconizzate dalla prassi internazionale, il medesimo criterio attributivo trovi
applicazione anche con riferimento ad individui non formalmente integrati all’interno
dell’apparato statale.
Attraverso l’esame del primo dei due problemi ci si propone quindi di approfondire il
ruolo giocato dal diritto interno con riferimento all’operazione di attribuzione di condotte
allo Stato e all’accertamento della qualità organica. L’esame del secondo mira invece a
verificare se le regole di attribuzione che si fondano sulla qualità di organo dell’individuo
agente si prestano ad essere applicate anche con riferimento ad individui le cui funzioni
sono determinate sulla base di elementi fattuali.
Come già precedentemente rilevato, l’esame delle suddette questioni sarà condotto a
partire dallo studio dei dati ricavabili dalla prassi internazionale. Oltre che soddisfare
esigenze di carattere metodologico, tale approccio risulta preferibile in quanto consente di
analizzare il problema dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires alla luce di una
prospettiva poco esplorata. L’attenzione prestata dalla dottrina alla ricostruzione del modo
in cui si atteggia la prassi con riferimento al problema dell’attribuzione allo Stato
nell’ordinamento internazionale di condotte tenute nel mancato rispetto delle competenza
appare infatti limitata ai soli organi de jure e trova spesso origine in valutazioni di carattere
teorico.
L’indagine sarà divisa in tre parti. Seguendo un criterio cronologico, la prima sarà
dedicata all’analisi della prassi internazionale anteriore ai lavori di codificazione della
Commissione del diritto internazionale al fine di evidenziare le diverse tappe che hanno
portato dal rigetto al progressivo riconoscimento del principio della responsabilità allo Stato
40
dei fatti ultra vires dei propri organi, avendo cura di considerare le condizioni in funzione
delle quali una condotta ultra vires deve essere ritenuto un fatto dello Stato
nell’ordinamento internazionale e, in quali circostanze, un fatto di un organo deve essere
assimilato ad un fatto di un privato ad esso non attribuibile. La seconda, invece, sarà
dedicata alla codificazione del principio dell’attribuzione allo Stato delle condotte ultra vires
dei propri organi da parte della Commissione del diritto internazionale e all’esame della
prassi più recente. L’ultima intende infine analizzare i risultati acquisiti avendo cura di
approfondire la nozione di organo ai fini dell’attribuzione e di rilevare se il principio
dell’attribuzione dei fatti ultra vires allo Stato trovi applicazione anche con riferimento ad
individui o enti ad esso legati da un rapporto fattuale.
CAPITOLO II
IL PRINCIPIO DELL’ATTRIBUZIONE ALLO STATO DEI FATTI ULTRA VIRES DEI PROPRI ORGANI NELLA PRASSI E NELLA GIURISPRUDENZA INTERNAZIONALI PIÙ ANTICHE
SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive cirva l’individuazione della prassi e della giurisprudenza rilevanti. Sezione I. L’iniziale mancato riconoscimento del principio dell’attribuzione allo Stato delle condotte ultra vires dei propri organi: 1. Considerazioni sulla prassi degli Stati nel diciannovesimo secolo – 2. In particolare, la prassi degli Stati Uniti – 3. Segue: la prassi degli Stati latinoamericani – 4. La giurisprudenza arbitrale del diciannovesimo secolo – 5. Conclusioni circa la prassi e la giurisprudenza esaminate. Sezione II. La graduale affermazione ed il consolidamento del principio dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires dei propri organi nella prima metà del ventesimo secolo: 1. La prassi degli Stati Uniti – 2. La prassi degli Stati latinoamericani – 3. La prassi degli Stati europei – 4. La giurisprudenza arbitrale dei primi anni del secolo: gli arbitrati nei casi venezuelani – 5. Segue: le sentenze nei casi La Masica e The Coquitlam – 6. La giurisprudenza degli anni venti: le sentenze della Commissione generale dei reclami Stati Uniti/Messico nel caso Youmans e della Commissione Francia/Messico nel caso Caire – 7. Le altre decisioni rese dalla Commissione generale dei reclami Stati Uniti/Messico tra il 1926 ed il 1930 – 8. Segue: la sentenza resa nel caso Sthephens, un caso di responsabilità per comportamenti di organi di fatto che hanno agito contrariamente alle istruzioni ricevute – 9. Sentenze rese da altre commissioni arbitrali negli anni 1930/1950 – 10. Il parere reso dalla Corte internazionale di giustizia nel caso Certaines dépenses des Nations Unies. Sezione III. La questione della responsabilità dello Stato per fatti illeciti ultra vires nei lavori di codificazione intrapresi tra il 1926 ed il 1930 sotto l’egida della Società delle Nazioni: 1. Il rapporto del Sottocomitato del Comitato di esperti – 2. Le risposte degli Stati ai punti V, n. 2 b) e 2 c) del questionario redatto dal Comitato di esperti – 2.1 Le risposte negative – 2.2 Le risposte positive – 3. La base di discussione N° 13 elaborata dal Comitato preparatorio della Conferenza per la codificazione progressiva del diritto internazionale e le posizioni degli Stati nella Conferenza – 3.1 Le posizioni critiche rispetto all’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires – 3.2
41
L’orientamento favorevole al principio dell’attribuzione dei fatti ultra vires accolto nella base di discussione N° 13 – 3.3 L’emendamento proposto dalla delegazione svizzera – 3.4 L’articolo 8 par. 2, al.1 adottato in prima lettura dalla Terza Commissione – 4. Riflessioni conclusive circa l’evoluzione della prassi internazionale.
1. Considerazioni introduttive circa l’individuazione della prassi e della giurisprudenza
rilevanti
Prima di procedere all’esame delle prese di posizione degli Stati e della giurisprudenza,
sembra opportuno individuare la prassi rilevante con riferimento alla questione della
responsabilità dello Stato per i fatti illeciti ultra vires, al fine di evitare eventuali errori
interpretativi122.
La circostanza che uno Stato venga chiamato a risarcire un danno causato da un
individuo agente eccedendo la propria competenza non può considerarsi sempre un
elemento sufficiente per concludere che tale condotta è stata considerata un fatto statale
ad esso attribuito.
E’ ben possibile, infatti, che in tale circostanza si sia reputato che l’individuo non avesse
agito nella sua qualità ufficiale, bensì in quanto privato, ma che lo Stato sia stato considerato
responsabile del danno causato in ragione del mancato rispetto degli obblighi di
prevenzione o repressione spettanti ad altri organi123.
Al fine di asserire con certezza che uno Stato sia stato ritenuto internazionalmente
responsabile di un fatto illecito tenuto ultra vires da un suo organo, è inoltre necessario
verificare che la condotta tenuta nella qualità ufficiale, ma eccedendo i limiti della
competenza oppure contravvenendo alle istruzioni impartite, non sia stata successivamente
approvata da organi aventi l’autorità di riparare il torto. In tale ipotesi occorre verificare che
la violazione non sia stata sanata in virtù di una legittimazione della condotta ex post facto
da parte di organi che ne avevano l’autorità.
Si consideri ad esempio il caso Straughan v. United States. Un ufficiale della marina
britannica aveva illegittimamente arrestato alcuni disertori a bordo di un’imbarcazione
americana. La United States Court of Claims, nel considerare la Gran Bretagna responsabile
dell’illecito, ha posto l’accento sul fatto che il mancato rispetto delle disposizioni di diritto
122 In numerosi casi giurisprudenziali del diciannovesimo secolo in cui viene attestata la responsabilità internazionale dello Stato per illeciti commessi da un proprio organo, la questione del compimento della condotta ultra vires non viene affrontata nonostante ve ne fosse stata l’occasione. Tale silenzio può essere in parte spiegato dalla circostanza che le sentenze erano state rese sulla base di convenzioni in cui venivano esplicitamente indicate le categorie di illeciti per cui lo Stato doveva essere considerato responsabile. Si veda il caso Only Son del 1853 in MOORE, History and Digest of the International Arbitrations to which the United States has been a party, 1898, vol. IV, pp. 3404–3405; il caso William Lee in MOORE, Ibid., p. 3405 ss. e il caso Donoughho in MOORE, Ibid., p. 3012 ss. 123 Vedi infra, sezione 1, par. 5.
42
interno in termini di competenza era stato sanato a posteriori dallo stesso Governo
britannico, il quale si era opposto al loro rilascio, reso possibile solo a seguito di 5 anni di
negoziati tra i due Governi124. Questo caso non può dunque essere citato a favore della tesi
della responsabilità statale per fatti illeciti internazionali ultra vires.
Ugualmente, nel caso Poggioli, lo Stato italiano ha sostenuto la responsabilità
internazionale del Venezuela per danni causati da organi statali nel mancato rispetto delle
istruzioni ricevute, non tanto perché i fatti erano comunque riferibili allo Stato, quanto per
la loro successiva approvazione da parte delle autorità superiori125.
Nella prassi statale meno recente, la questione dell’attribuzione allo Stato di fatti ultra
vires è stata inoltre spesso confusa con il problema dell’attribuzione allo Stato delle
condotte degli organi subordinati, talora non reputati fatti dello Stato nell’ordinamento
internazionale.
Ciò porterebbe a spiegare perché il Governo ricorrente, al fine di rendere più certo
l’accertamento della responsabilità internazionale, tendeva a mettere in luce il fatto che
l’illecito dell’organo subalterno fosse stato successivamente ratificato da parte dell’autorità
centrale.
Sarebbe infine errato interpretare come un’assimilazione della condotta ultra vires ad un
fatto di un privato la circostanza che uno Stato o un tribunale internazionale respingano un
ricorso presentato da uno Stato per conto di un proprio cittadino che ha subito un torto da
parte di un organo agente al di fuori della propria competenza, invitandolo a rivolgersi alle
corti nazionali.
Un tale atteggiamento potrebbe essere interpretato nel senso dell’impossibilità di
invocare la responsabilità internazionale di uno Stato senza aver prima esaurito i ricorsi
interni, piuttosto che come negazione dell’attribuzione allo Stato di un fatto ultra vires.
Un esempio in tal senso ci è fornito dalla lettera inviata dal Ministro degli Stati Uniti in
Austria ad un cittadino statunitense che sosteneva di essere stato vittima di una illecita
aggressione da parte delle forze di polizia austriache e che aveva richiesto al Governo
statunitense di far valere la responsabilità internazionale dell’Austria. Secondo il Ministro:
124 Il caso è citato da MERON, International responsibility of States for unauthorized acts of their officials, The British Yearbook of International Law, London, 1957, pp. 106-107. 125 In SIOI–CNR, La prassi italiana di diritto internazionale, vol. II, serie 2, n. 36. Si veda anche il caso Compagnie Générale des Asphaltes de France in cui la Commissione mista dei reclami, istituita tra Venezuela e Regno Unito in base ai Protocolli del 1903,ha considerato il Venezuela responsabile per atti ultra vires tenuti dal proprio console a Trinidad sulla base “…of the failure of the Government of Venezuela, after knowledge thereof, to make seasonable disclaimer of his acts and seasonable correction of his mistakes. If the respondent Government authorized or directed some of these acts, or only ratified them by silence and acquiescence, its responsibility is the same.” Cfr. Reports of International Arbitral Awards, vol. IX, p. 396.
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“... A Government can only be held responsible when it sanctions the action
of its officials, done in violation of law; it ought not to be held responsible for
unauthorized acts which it promptly disowns upon being cognizant thereof; the
responsibility in such case falls upon the offending official. Your remedy lies in a
private action against the municipal officers who committed the outrage upon
you wilfully or through over-zeal in the performance of a supposed duty”126.
Nonostante a prima vista la lettera sembri affermare il principio dell’impossibilità di
riferire allo Stato le condotte non autorizzate di organi e sembri paragonarle a fatti di privati,
un’attenta lettura suggerisce che in realtà viene affermata l’esigenza del previo esaurimento
dei ricorsi interni. Il riferimento al necessario previo esaurimento dei ricorsi interni indica
implicitamente l’impossibilità di rivendicare la responsabilità internazionale finché non ci si
assicura che l’adempimento dell’obbligo internazionale non può essere garantito facendo
ricorso ai rimedi messi a disposizione dall’ordinamento interno127.
Ai fini di una corretta valutazione della prassi internazionale sembra inoltre opportuno
anticipare che, fino agli anni trenta del ventesimo secolo, nelle prese di posizione degli Stati
e nella giurisprudenza non si fa menzione della possibilità di attribuire i fatti ultra vires allo
Stato, quanto piuttosto solo della responsablità o meno dello Stato per i fatti in questione.
Sezione I
L’INIZIALE MANCATO RICONOSCIMENTO DEL PRINCIPIO DELL’ATTRIBUZIONE ALLO STATO
DELLE CONDOTTE ULTRA VIRES DEI PROPRI ORGANI
1. Considerazioni sulla prassi degli Stati nel diciannovesimo secolo
Nel 19° secolo le prese di posizione degli Stati in tema di attribuzione di comportamenti
ultra vires degli organi statali non sono uniformi. Nella prassi nordamericana e
latinoamericana, ad esempio, si rinvengono più volte prese di posizione in cui si afferma
l’impossibilità di rendere lo Stato responsabile dei comportamenti tenuti dagli organi in
contraddizione alle disposizioni del rispettivo ordinamento interno.
Nella prassi nordamericana l’assimilazione dei comportamenti ultra vires degli organi
statali a condotte di privati veniva affermata sulla base di una trasposizione in diritto
internazionale di norme vigenti nel sistema giuridico interno, mentre per gli Stati
126 Stati Unitid’America, Dipartimento di Stato, Foreign Relations of the United States (Washington, D.C., U.S. Government Printing Office, 1894), p. 25.127 Si veda AGO, Quatrième rapport, cit., p. 75, par. 10.
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latinoamericani la ragione deve piuttosto essere ricercata nel contesto storico di
riferimento128.
Convinti che non fosse rispettato nelle relazioni internazionali il principio dell’eguaglianza
fra Stati sovrani, gli Stati latinoamericani hanno inserito nella propria Costituzione delle
clausole che prevedevano il primato del diritto interno sul diritto internazionale al fine di
limitare i casi in cui potesse sorgere la loro responsabilità a quelli previsti dal proprio
ordinamento.
Per le medesime ragioni hanno anche affermato di non essere tenuti al rispetto di regole
di diritto internazionale consuetudinario sviluppate dalle potenze coloniali, in quanto
finalizzate esclusivamente a cristallizzare il loro potere. Nei contratti di concessione conclusi
tra uno Stato latinoamericano e un concessionario estero era inoltre usuale inserire la
clausola Calvo.
In base a tale clausola il concessionario si impegnava a sottomettere le eventuali
controversie nate fra le parti alle corti dello Stato che aveva accordato la concessione e a
farle risolvere in base al diritto di tale Stato, rinunciando pertanto ad un eventuale
intervento in protezione diplomatica del proprio Stato129.
2. In particolare, la prassi degli Stati Uniti
Uno dei casi della prassi più significativi in cui viene asserito il principio secondo cui un
comportamento tenuto ultra vires da parte di un organo statale deve essere assimilato ad
una condotta privata è il caso Tunstall risalente al 1885. Un cittadino britannico di nome
Tunstall aveva tentato nel 1878 di fuggire dallo Stato del Nuovo Messico in cui risiedeva a
seguito della comunicazione da parte del vice-sceriffo del luogo di un ordine di sequestro del
suo bestiame. Nel tentativo di fermare la sua fuga, il vice-sceriffo aveva formato una
squadra, i cui componenti erano in parte nemici personali del fuggiasco. Una volta che essi
lo ebbero raggiunto, lo uccisero.
Attribuendo la responsabilità della morte di un proprio cittadino allo sceriffo, il Governo
britannico presentò una richiesta di risarcimento al Governo degli Stati Uniti. In una nota
128 BORCHARD, Responsibility of States for Damage Done in their Territories to Person or Property of Foreigners, American Journal of International Law 1926, vol. 20, p. 739; FRREMAN, The Contribution of the Inter-American Juridical Committee and the Inter-American Council of Jurists to the Codification and Development of International Law, ASIL,1965, p. 24.129 Si veda DIEZ DE VELASCO, La protection diplomatique des sociétés et des actionnaires, Recueil des cours, 1974-I, p. 96 ss.; LLANOS MANSILLA, Theoria y Practica del Derecho International Publico, El Estado como Sjeto de Derecho International, Santiago, 1980, p. 514; TÉNÉKIDES, Considérations sur la clause Calvo, essai de justification du système de la nullité intégrale, Revue générale de droit international public, 1936, pp. 278–281.
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diplomatica del 1° giugno del 1885, il Segretario di Stato americano Bayard rigettò tale
richiesta sostenendo che la responsabilità internazionale di uno Stato non può sorgere nel
caso in cui un organo tenga nella sua qualità ufficiale un comportamento in contravvenzione
agli ordini lui impartiti, soprattutto se spinto da motivazioni di astio personale.
La circostanza che la condotta fosse stata tenuta dall’organo statale nell’esercizio delle
proprie funzioni risultava irrilevante in virtù della motivazione puramente personale che lo
aveva spinto ad agire. Ad avviso di Bayard:
“Killing in personal malice, by an officer, of a defendant in a civil process in
such officer’s hands, such killing being subsequent to the execution of the writ,
is as collateral to the official action of the officer as would be the commission of
arson against the dwelling, or rape of a member of the family, of the party
(defendant) by such an officer after the civil process has been served…..for the
personal motive which may prompt an agent to do unlawful act not within the
scope of his agency, and entirely collateral to it, can in no wise affect the
question of the alleged responsibility of the principal for the agent’s acts…”130.
I comportamenti adottati da un organo nell’esercizio delle proprie funzioni ma in
contravvenzione alle istruzioni ricevute o alle disposizioni di diritto interno in tema di
competenza dovevano a suo parere essere assimilati agli atti di semplici privati, di cui lo
Stato non è tenuto a rispondere nell’ordinamento internazionale131. Dal momento che la
condotta non poteva considerarsi un fatto statale sul piano interno, in quanto tenuta nel
mancato rispetto degli ordini ricevuti, la responsabilità statale risultava impossibile anche
nell’ambito dell’ordinamento internazionale.
Alla luce del caso sopracitato, l’ordinamento interno sembra pertanto assumere un ruolo
fondamentale ai fini della riferibilità di comportamenti allo Stato in quanto una condotta
può ritenersi ad esso attribuibile soltanto nel caso in cui sia stata tenuta da un organo nel
rispetto delle disposizioni di diritto interno volte a definirne le funzioni e la portata della sua
competenza.
130 Cfr. MOORE, op. cit., vol. VI, Washington, 1906, p. 664 e p. 742. Tale nota diplomatica è stata citata dal Governo degli Stati Uniti nelle risposte fornite al questionario presentato all’attenzione degli Stati dalla Società delle Nazioni. Si veda Società delle Nazioni, Conferenza per la codificazione del diritto internazionale, Bases de discussion établies par le Comité préparatoire à l’intention de la Conférence, Supplément au tome III, Responsabilité des Etats en ce qui concerne les dommages causés sur leur territoire à la personne au aux biens des étrangers. Réponses des Gouvernements à la liste de points: Réponses du Canada et des Etats-Unis d’Amérique, Genève, 1929, p. 17.131 “ …it was not an act of the Government. It was executed neither by its orders, nor in any way for its benefit, but, on the contrary, in opposition to its laws and in violation of its peace.” Cfr. MOORE, op. cit., p. 672.
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Il principio della responsabilità dello Stato per le condotte tenute ultra vires da un
proprio organo è stato nuovamente negato dal Segretario di Stato Bayard nel caso American
Bible Society del 1885. In tale circostanza egli affermò che il diritto internazionale non
prevede che uno Stato risponda dei danni causati da un proprio organo ad uno straniero nel
caso in cui il comportamento risulta essere stato adottato al di fuori del quadro della sua
competenza sia reale che apparente132.
Non potevano pertanto considerarsi fatti dello Stato quale soggetto internazionale non
soltanto i comportamenti adottati dall’organo realmente al di fuori della propria
competenza, ma anche quelli che apparivano ai terzi come tenuti nel suo rispetto,
nonostante il reale superamento dei limiti delle proprie funzioni.
Il riferimento alla competenza non soltanto reale ma anche apparente dell’organo è stata
ripresa dal Segretario di Stato americano Adee in una lettera del 14 agosto 1900 indirizzata
all’ambasciatore italiano a Washington Baron Fava.
Nonostante prendesse in considerazione esclusivamente i comportamenti adottati dagli
organi subordinati, egli sostenne che:
“the general rule of international law observed by the United States is that
sovereigns are not liable in diplomatic procedure for damages occasioned by
misconduct of petty officials and agents acting out of the range not only of their
real but of their apparent authority”133.
La circostanza che un comportamento tenuto da un organo ultra vires non poteva
considerarsi un fatto dello Stato sul piano internazionale è stato infine ribadito il medesimo
anno dal Ministro della giustizia statunitense Griggs nell’ambito del caso Seal Fisheries
Behring Sea134.
Dopo aver ammesso il carattere illecito di un sequestro di armi operato da alcuni organi
degli Stati Uniti a bordo di una imbarcazione straniera, Griggs ha asserito che tale condotta
ultra vires era da assimilare al fatto di un semplice privato dichiarando che “the torts of an
officer may subject him to suit, but, not being within the orders as agent of the
Governament, the latter is not responsible for them”135.
132 “…it is a rule of international law that sovereigns are not liable, in diplomatic protection, for damages to a foreigner when arising from the misconduct of agents acting out of the range not only of their real but of their apparent authority.” Cfr. MOORE, op. cit., p. 743.133 MOORE, op. cit., p. 743.134 Si veda MERON, op. cit., p. 91. Tale caso è stato citato anche da PRZETACZNIK, The international responsibility of the States for the ultra vires acts of their organs , cit., p. 138 e The international responsibility of States for unauthorized acts of their organs, cit., p. 166.135 Ibid., p. 91.
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3. Segue: la prassi degli Stati latinoamericani
Anche nella prassi latinoamericana più risalente vi sono dei casi in cui viene asserita
l’impossibilità di riconoscere come fatti dello Stato in virtù del diritto internazionale i
comportamenti non autorizzati dei propri organi.
Un primo caso degno di nota riguarda una vicenda relativa alla decisione del Governo
colombiano di sospendere la pubblicazione dei quotidiani per un periodo di sei mesi a
seguito di alcune sommosse interne. Grazie ad un decreto del Presidente della Repubblica
della Colombia venne comunque concessa la diffusione di un periodico statunitense
pubblicato a Panama (all’epoca provincia colombiana) dal nome Star and Herald a patto che
si occupasse con cautela di questioni politiche.
Una settimana prima che venisse ripristinata la libertà di stampa, un ulteriore decreto
presidenziale ordinò al Governatore di Panama di avvisare il quotidiano americano di porre
fine al suo atteggiamento critico rispetto all’operato del Governo, pena la sua sospensione.
A causa del rifiuto del periodico di pubblicare alcuni documenti che erano stati inviati
all’editore dal Governatore panamense, quest’ultimo decise di dare seguito all’ordine
ricevuto dal governo centrale e di sospendere per due mesi la pubblicazione del giornale
nonostante la libertà di stampa fosse stata reintrodotta da qualche settimana.
A seguito delle proteste degli Stati Uniti, il Governo colombiano ordinò al generale Vila di
procedere senza indugio alla revoca della sospensione. Il generale si rifiutò di dare seguito
alle istruzioni ricevute dal proprio Governo e il 25 maggio 1886, una volta spirato il termine
della sospensione, presentò le proprie dimissioni.
Interessa qui notare il diverso atteggiamento adottato dalle parti rispetto alla necessità di
distinguere ai fini attributivi se una condotta di un organo è stata tenuta nel rispetto o meno
dei limiti della competenza. Il Governo colombiano ha negato di essere responsabile del
comportamento del Governatore di Panama facendo valere la tesi secondo cui uno Stato
non è chiamato a rispondere delle condotte ultra vires dei propri organi:
“according to the practice of nations and international law, no Government
is responsible for acts of its agents or subalterns which are not in perfect accord
with the faculties conferred upon them by law or the instructions which the
government itself may have given them...if, disobeying the laws or legal
instructions, they should adopt some procedure or take some measure that is
beyond their powers, their acts are illegal, arbitrary, and make them personally
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responsible for the consequences... For a government to share with its agents
the responsibility of acts of this nature it would be necessary that, having been
able to avoid them, it has not done so: that once accomplished, it has not
attempted to frustrate their effects: that it had not disapproved the conduct of
the agent: in a word, that it had ratified or sanctioned them in some manner” 136.
La condotta tenuta da un organo nel mancato rispetto delle istruzioni ricevute viene in
tale circostanza assimilata ad un comportamento di un privato. Ne deriva l’impossibilità di
attribuire tale fatto allo Stato, la cui responsabilità internazionale può sorgere in tale
occasione soltanto in ragione del mancato rispetto degli obblighi di protezione, cioè del fatto
che altri organi statali non hanno preso le misure idonee a prevenire o a reprimere tali atti.
In una successiva nota diplomatica del 10 novembre 1896 il Ministro degli affari esteri
colombiano ha tentato invece di fondare la mancanza di responsabilità internazionale dello
Stato sulla distinzione tra organi subordinati e superiori:
“…..according to the practice of nations and national legislation, no
government is responsible for the acts of its agents or subalterns which are not
in perfect accord with the faculties conferred upon them by law or the
instructions which the government itself may give them…..If there is any
responsibility, it must not be exacted from the Government, but from the
functionary who exceeded the powers with which he was invested through the
courts of Colombia”137.
Le condotte tenute da un organo subordinato nella sua qualità ufficiale ma nel mancato
rispetto dei limiti della propria competenza non potevano a suo parere essere riferite allo
Stato in quanto assimilabili alle condotte di semplici privati. Ne derivava soltanto la
responsabilità personale dell’individuo-organo che, non conformandosi alla competenza lui
conferitagli dall’ordinamento interno, non era in grado di rappresentare validamente la
volontà statale.
136 Cfr. MOORE, op. cit., pp. 779–780. Il Ministro degli affari esteri colombiano reitererà le sue osservazioni in un successivo rapporto: “Neither was it permissible that they should desire to make the National Government responsible for an act executed without its permission or authorization by an agent whose conduct was disapproved afterwards….To give such an extension to the responsibility of governments would have been but little in conformity with what is established by the common consent of natural right and the practice of nations”. In Papers Relating to the Foreign Relations of the United States, 1886, Washington, p. 231.137 Nota indirizzata al Ministro degli Stati Uniti in Colombia, ibid., p. 225.
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Un ulteriore caso in cui un Governo latinoamericano ha rifiutato di riconoscere che uno
Stato è tenuto a rispondere internazionalmente dei comportamenti non autorizzati dei
propri organi è rinvenibile nell’ambito delle controversie sorte tra Italia e Perù per il
risarcimento dei danni subiti da alcuni cittadini italiani durante la guerra civile peruviana del
1894-1895.
Il Ministro degli affari esteri peruviano aveva indirizzato una nota diplomatica a diversi
Stati stranieri, fra cui l’Italia, in cui respingeva la propria responsabilità internazionale per gli
illeciti commessi ultra vires dalle autorità civili e militari del proprio paese in ragione
dell’impossibilità di riconoscere come fatti statali le condotte che non avevano alcun legame
con le loro competenze come stabilite dal diritto interno.
Secondo il Perù, uno Stato non poteva essere considerato internazionalmente
responsabile:
“…for damage caused by agents of the authority by virtue of acts unrelated
to their legal functions, if the Government disapproves of and censures their
conduct and subjects the offending official to appropriate proceedings to give
effect, in accordance with the law, to the civil and criminal responsibility he has
incurred….the State incurs responsibility and a diplomatic claim is justified only
in cases where damage and injuries are inflicted on aliens by acts contrary to
the provisions of treaties or, in the absence of these, to the law of nations,
which are committed by the Government or its civil and military agents in the
performance of their functions, on the orders or with the approval of the
Government and…by an absolute denial of justice” 138.
La responsabilità internazionale di uno Stato poteva pertanto sorgere nel caso in cui i
suoi organi commettevano, nell’esercizio delle proprie funzioni, un fatto illecito tenuto nel
rispetto delle istruzioni ricevute in quanto ad esso attribuibile sul piano internazionale.
Nell’eventualità in cui, invece, un organo adottava un comportamento in violazione delle
istruzioni ricevute conformemente al diritto interno o violava la propria competenza
secondo il diritto interno, si era in presenza di una condotta di un semplice privato non
attribuibile allo Stato, che poteva però essere l’occasione del sorgere della sua
responsabilità internazionale nel caso in cui ulteriori organi non rispettavano eventuali
obblighi di prevenzione o repressione loro spettanti.
138 In AGO, Fourth Report on State Responsibility, Yearbook of the International Law Commission, 1972, vol. II, p. 77, par. 17.
50
Con riferimento a tale controversia, assume particolare rilevanza anche l’atteggiamento
contrario assunto dai Governi italiano e spagnolo139. Le prese di posizione degli Stati europei
mirano principalmente a rigettare l’ipotesi che sia possibile richiedere un indennizzo per un
danno subito da un proprio cittadino solo se viene provato che gli organi responsabili
dell’illecito hanno agito su diretti ordini del Governo140.
Non essendo riusciti a risolvere la controversia mediante vie diplomatiche, i Governi
peruviano e italiano hanno firmato il 25 novembre 1899 un accordo con cui sottomettere i
reclami all’arbitrato del Ministro di Spagna a Lima Gil de Uríbarri.
4. La giurisprudenza arbitrale del diciannovesimo secolo
La responsabilità internazionale dello Stato per i comportamenti tenuti dagli organi in
contraddizione alle disposizioni del proprio ordinamento interno è stata negata nel
diciannovesimo secolo anche in alcune sentenze arbitrali.
Nel caso Lacaze un cittadino francese lamentava che il suo arresto avvenuto nel 1858 e la
messa sotto sequestro della sua impresa da parte delle autorità doganali di Concordia
fossero avvenute secondo una procedura contraria alle disposizioni del diritto interno
argentino.
Lacaze richiese un risarcimento al Governo argentino, il quale dopo alcuni anni accettò di
sottomettere la controversia ad arbitrato. Sebbene la Commissione arbitrale abbia
riconosciuto la responsabilità internazionale dello Stato, nelle motivazioni della sentenza è
contenuta una considerazione di ambigua interpretazione:
“...Whereas, although this indemnity should have been claimed before the
courts of ordinary law directly from the employee who caused the injury by an
abuse of his powers, the Argentine Government, by agreeing to diplomatic
intervention in this case and by consenting to its referral to arbitration, has
assumed responsibility for the reparation due”141.
Risulta difficile chiarire se con tale dichiarazione la Commissione arbitrale abbia voluto
ricordare che nel caso di specie il Governo argentino aveva rinunciato ad esigere dal
ricorrente il previo esaurimento dei ricorsi interni, oppure abbia ritenuto che una condotta
139 Vedi infra, p. 66 ss.140 AGO, ibid., p. 78, par. 17. 141 AGO, Fourth Report, cit., p. 83, par. 33.
51
ultra vires di un organo subordinato non può far sorgere la responsabilità dello Stato
nell’ordinamento internazionale142.
Tale ultima tesi era stata sostenuta dal procuratore della Confederazione argentina che
in un rapporto del 21 maggio 1860 aveva affermato che nel caso in cui la condotta
dell’amministratore della dogana di Concordia fosse stata contraria al diritto interno,
sarebbe sorta soltanto la responsabilità personale dell’organo e non quella della
Confederazione143.
Una sentenza che è stata spesso erroneamente citata come una pronuncia in cui viene
asserita l’impossibilità di riconoscere lo Stato internazionalmente responsabile per i fatti
ultra vires dei propri organi è quella resa nel caso Joseph Forrest v The United States of
Venezuela144. La Commissione arbitrale istituita tra Stati Uniti e Venezuela ha rigettato la
richiesta di risarcimento formulata da un ricorrente americano sulla base del fatto che il
ritardato scarico da parte delle autorità portuali venezuelane di una grande quantità di
farina di una imbarcazione dal nome William Yeaton che, a seguito della riconquista del
territorio da parte delle forze spagnole, era stata sequestrata, non poteva essere
considerato un fatto statale sul piano internazionale.
Il commissario venezuelano Andrade motivò la decisione della Commissione richiamando
la tesi di Calvo secondo cui lo Stato incorre solo in una responsabilità morale per tutte le
azioni ed omissioni tenute dai propri organi nell’adempimento delle proprie funzioni
pubbliche:
“it is a principle of International law well recognized by civilized nations, that
governments are not ordinarily at least, held to be responsible, pecuniarily for
the acts of their officers in the exercise of their public duties, a principle more
than once supported by the opinion of the most prominent American
jurisconsults”145.
142 Gli autori di una nota dottrinale che ha accompagnato la pubblicazione di tale caso hanno ritenuto che l’arbitro con tale considerazione avesse voluto sostenere la tesi secondo cui la condotta ultra vires di un organo subordinato non può essere attribuita allo Stato. Si veda DE LAPRADELLE e POLITIS, op. cit., pp. 299–304.143 Ibid., p. 294.144 Si tratta di una sentenza non datata, ma resa in virtù della Convenzione del 5 dicembre 1885, p. 70. MOORE, op. cit., p. 2946 ss. 145 “it is a principle of International law well recognized by civilized nations, that governments are not ordinarily at least, held to be responsible, pecuniarily for the acts of their officers in the exercise of their public duties, a principle more than once supported by the opinion of the most prominent American jurisconsults.” Cfr. MOORE, op. cit., vol. III, Washington, 1898, p. 2947. Il Commissario venezuelano ha espresso la medesima opinione nella sentenza resa nel caso De Brissot and others, ibid., pp. 2949–2967.
52
L’impossibilità di riconoscere lo Stato responsabile sul piano internazionale non sembra
qui però essere limitata esclusivamente ai fatti ultra vires, ma a qualsiasi condotta tenuta da
organi statali.
L’ultima sentenza arbitrale in cui è stata espressamente ammessa la tesi
dell’impossibilità di riconoscere lo Stato responsabile per i fatti ultra vires dei propri organi è
stata resa il 30 settembre 1901 nel caso Gadino, nel quadro dell’arbitrato istituito tra Italia e
Perù nel 1899 per il risarcimento dei danni subiti da alcuni cittadini italiani durante la guerra
civile peruviana del 1894-1895. Il reclamo numero 20 fu presentato dal ricorrente Jacinto
Gadino il quale lamentava di essere stato detenuto e torturato da alcuni agenti di polizia.
Dopo aver riconosciuto la contrarietà delle condotte all’ordinamento interno
peruviano146, l’arbitro ha ritenuto che il Perù non fosse tenuto a risponderne in ambito
internazionale in quanto aveva provveduto a dare inizio a dei procedimenti penali nei
confronti dei responsabili. Secondo l’arbitro Gil de Uríbarri :
“un principe de droit international, universellement reconnu, veut que
lorsqu’un Gouvernement n’emploie pas les moyens en son pouvoir pour
empêcher une agression contre un étranger neutre qui respecte et observe les
lois du pays où il réside, ou ne châtie pas les délinquants, il engage sa
responsabilité internationale, et que par conséquent l’étranger outragé a le
droit de réclamer la réparation du préjudice causé selon le cas; mais que le
même principe décharge de toute responsabilité le Gouvernement qui a
satisfait à l’un ou l’autre de ces devoirs”147.
Anche in tale circostanza l’arbitro ha quindi ritenuto che la responsabilità internazionale
in caso di un comportamento ultra vires di un organo statale può sorgere esclusivamente in
caso di un mancato adempimento da parte dello Stato dell’obbligo di prevenzione o di
repressione del fatto illecito che aveva causato un danno allo straniero, equiparando
pertanto il comportamento di un organo incompetente a quello di un privato.
La giurisprudenza arbitrale del diciannovesimo secolo è però caratterizzata da un elevato
grado di incertezza: mentre alcuni tribunali, come quelli appena menzionati, hanno rigettato
l’idea che lo Stato sia tenuto a rispondere sul piano internazionale dei comportamenti ultra
146 “….les coupables ont commis à raison de ces faits une faute grave, cela prouve seulement la volonté qui anima le ministère fiscal de châtier les auteurs des procédés auxquel Jacinto Gadino a été soumis au commissariat, procédés qu’aucune loi n’autorise dans aucun pays civilisé…… ledit certificat prouve l’attentat inqualifiable commis sur Gadino au commissariat, qu’il n’y avait aucun droit de soumettre à de tels procédés”. Cfr. Report of International Arbitral Awards, vol. XV, p. 415, par. 7–8.147 Ibid., p. 415, par. 9–10.
53
vires degli organi, altri l’hanno esplicitamente o implicitamente ammessa. Una implicita
ammissione della validità del suddetto principio è ad esempio rinvenibile nella sentenza resa
nel 1870 nel caso Canada da parte dell’arbitro Thornton, chiamato a dirimere una
controversia sorta tra Brasile e Stati Uniti148. Un’imbarcazione brasiliana, denominata
Canada, si era incagliata nelle acque territoriali brasiliane. Il tentativo di salvare la nave
intrapreso dal capitano e dal suo equipaggio è stato impedito con l’uso della forza
dall’intervento di un ufficiale brasiliano insieme ad alcuni soldati in armi.
A seguito della perdita dell’imbarcazione, il capitano li ha ritenuti responsabili
dell’accaduto. Il Governo brasiliano ha declinato la sua responsabilità e, dopo essersi
rifiutato di pagare agli Stati Uniti una somma di denaro a titolo di risarcimento, ha deciso di
accettare di sottoporre la controversia all’arbitro di Thornton. Abbracciando la tesi
sostenuta dal Governo degli Stati Uniti secondo cui la condotta degli organi brasiliani
costituiva un eccesso di potere di cui il Brasile doveva rispondere nell’ordinamento
internazionale149, l’arbitro pur riconoscendo che la condotta era stata tenuta ultra vires ha
condannato il Brasile al pagamento di un risarcimento per i danni causati150.
Nonostante l’arbitro non abbia esplicitato le ragioni che lo avevano portato a
pronunciarsi in tal senso, sembra plausibile sostenere che abbia giocato un ruolo
determinante il fatto che gli organi statali si erano avvalsi dei poteri loro conferiti rendendo
impossibile all’equipaggio di opporsi all’evento dannoso.
Valorizzando tale elemento, sembra che Thornton abbia voluto sottolineare che lo Stato
è tenuto a rispondere in ambito internazionale dei fatti ultra vires degli organi statali anche
quando neanche in apparenza possono rientrare nel quadro della propria competenza
allorché il compimento delle condotte illecite sia stato reso possibile da un uso abusivo dei
mezzi messi a disposizione dell’organo in virtù della funzione svolta.
Una sentenza in cui si è avuta una chiara enunciazione del principio secondo cui lo Stato
deve rispondere internazionalmente dei comportamenti dei propri organi anche se tenuti
nel mancato rispetto delle prescrizioni di diritto interno in tema di competenza o delle
istruzioni loro impartite è quella resa nel caso Speyers dalla Commissione arbitrale costituita
tra Stati Uniti e Messico in virtù di una Convenzione del 4 luglio 1868.
148 LAPRADELLE e POLITIS, op. cit., pp. 622–635.149 Ibid., p. 629.150 Ibid., p. 633. In numerose sentenze arbitrali rese della seconda metà del diciannovesimo secolo si è avuta l’attribuzione di condotte di organi allo Stato senza che fosse specificata la natura ultra vires o meno del comportamento. Si veda anche la sentenza resa nel caso Donoughho, MOORE, op. cit., vol. III, pp. 3012–3014; il caso Only son, MOORE, op. cit., vol. IV, pp. 3404–3405; il caso William Lee, ibid., pp. 3405–3407.
54
Un cittadino americano aveva importato dei beni in Messico adempiendo al pagamento
di alcune tasse alle importazioni imposte da un regolamento doganale promulgato dal
generale a capo delle forze militari della regione in cui risiedeva. A seguito dell’abrogazione
del regolamento in quanto confliggente con una legge messicana adottata dal Congresso, le
autorità messicane hanno confiscato i beni sostenendo che la loro importazione era
avvenuta nel mancato rispetto del diritto interno.
Il membro messicano della Commissione sosteneva che l’importazione dei beni era stata
illegittima in quanto lo Stato messicano non poteva dirsi vincolato da un regolamento che il
generale non aveva la competenza di promulgare in base al testo della Costituzione
messicana. L’importazione dei beni risultava illegale alla luce della legge messicana vigente,
per cui il sequestro risultava essere pienamente giustificato.
Il membro americano della Commissione ha invece sostenuto che i beni erano stati
importati in maniera regolare, dal momento che il regolamento doganale del generale
Avalos impegnava il Governo messicano.
Il superarbitro Lieber ha rigettato l’argomentazione addotta dal Governo messicano al
fine di negare la propria responsabilità internazionale, dal momento che:
“what can a private individual do if the military commander of a whole
State, pressed by rebellion, prescribes a tariff (…), if this tariff, contradictory to
the general law of the land though it be, is openly maintained for a long time
and apparently countenanced by the general government (…)”151.
Uno straniero residente in Messico non poteva difatti sottrarsi dal rispettare un
regolamento ufficiale in vigore nel territorio di uno Stato e apparentemente approvato dal
Governo, dal momento che era per lui impossibile valutarne la liceità o meno rispetto
all’ordinamento interno152.
In tale circostanza l’elemento valorizzato dall’arbitro al fine di ritenere lo Stato
responsabile sul piano internazionale per la condotta ultra vires dei propri organi sembra
essere il fatto che agli occhi della vittima il comportamento era apparso come tenuto
dall’organo nel rispetto della competenza, nonostante il reale superamento dei limiti delle
proprie funzioni. Viene difatti dato rilievo al punto di vista della vittima che, al momento del
151 MOORE, op. cit., vol. III, p. 2870.152 “The individual, and especially the alien, could not possibly ascertain and distinguish, and therefore was not bound to do so. Nemo ad impossibilia obligatur.” Loc. cit. Si veda anche la sentenza resa nel caso Parrott, in cui la Commissione arbitrale istituita tra Stati Uniti e Messico ha ritenuto il Messico responsabile per un sequestro illegittimo avvenuto nei confronti dei beni di un cittadini americano, ibid., pp. 3009–3011.
55
compimento del fatto illecito da parte dell’organo, ha commesso in buona fede un plausibile
errore di apprezzamento.
5. Conclusioni circa la prassi e la giurisprudenza esaminate
Nel corso del diciannovesimo secolo, le prese di posizione degli Stati e la giurisprudenza
internazionale hanno in diverse occasioni rigettato la responsabilità dello Stato per i
comportamenti adottati dai propri organi ultra vires. A tal riguardo è opportuno notare
come nella prassi più antica la questione dei fatti ultra vires degli organi statali non veniva
trattata in funzione della loro attribuibilità allo Stato quale soggetto di diritto internazionale,
ma soltanto nel senso di indagare se lo Stato ne fosse internazionalmente responsabile.
Nonostante non se ne facesse una esplicita menzione, nei pochi casi in cui la responsabilità
internazionale dello Stato per i fatti illeciti ultra vires è stata ammessa, ha presumibilmente
trovato fondamento sulla loro attribuzione allo Stato quale soggetto internazionale.
Alla luce dei dati della prassi finora esaminata, le condotte tenute da un organo nel
mancato rispetto delle disposizioni di diritto interno o delle istruzioni ricevute venivano
assimilate ai comportamenti adottati da un semplice privato, di cui lo Stato non era tenuto a
rispondere sul piano internazionale, se non per il fatto, imputabile ad ulteriori organi, di non
aver prevenuto o represso tali condotte pur essendo in grado di farlo.
L’ordinamento interno finiva per assumere un ruolo decisivo ai fini dell’attribuzione di
condotte allo Stato quale soggetto internazionale, in virtù della confusione della
determinazione delle persone fisiche o giuridiche facenti parte della macchina statale con
l’operazione di attribuzione allo Stato dei comportamenti adottati in determinate condizioni
dalle persone facenti parte la sua organizzazione. Veniva inoltre operata una identificazione
tra la definizione di un dato comportamento di un organo come fatto attribuibile allo Stato
nel diritto interno e la corrispondente definizione nell’ordinamento internazionale. Secondo
tale concezione, al fine di comprendere quando una condotta poteva essere attribuita allo
Stato sul piano internazionale, il diritto internazionale doveva rifarsi all’organizzazione
statale e alla ripartizione delle competenze previste dal diritto interno.
In base a tali presupposti, una condotta poteva essere considerata attribuibile allo Stato
sul piano internazionale soltanto nel caso in cui era stata tenuta da un organo statale in
conformità con le disposizioni di diritto interno volte a definirne le funzioni e la portata della
sua competenza. Nel caso in cui adottava un comportamento ultra vires, un organo non era
invece ritenuto in grado di rappresentare validamente la volontà statale dal momento che
aveva oltrepassato le funzioni conferitegli dal diritto interno.
56
I fatti ultra vires degli organi statali erano pertanto assimilati ai comportamenti di
semplici privati, in occasione dei quali uno Stato poteva essere ritenuto internazionalmente
responsabile esclusivamente per un suo eventuale mancato adempimento ad un obbligo di
prevenzione o repressione di tali condotte, cioè per il mancato rispetto di un proprio obbligo
di diligenza.
È opportuno comunque notare come già alla fine del diciannovesimo secolo alcuni
tribunali hanno esplicitamente o implicitamente ammesso la possibilità che lo Stato sia
tenuto a rispondere sul piano internazionale dei comportamenti ultra vires dei propri organi.
Pur ammettendo che l’organizzazione statale tende di regola a coincidere con quanto risulta
dall’applicazione delle norme interne, l’operazione di attribuzione allo Stato
nell’ordinamento internazionale dei comportamenti adottati in determinate condizioni dalle
persone facenti parte la sua organizzazione inizia ad essere concepita come autonoma
rispetto alla definizione di quali possano considerarsi sue condotte sul piano interno.
L’abbandono della tesi che attribuiva rilevanza esclusiva al diritto interno al fine di
determinare l’organizzazione dello Stato permetteva di ampliare notevolmente il novero
degli individui o enti le cui condotte erano ad esso attribuibili. Potevano pertanto
riconoscersi come propri dello Stato anche quei comportamenti di individui che godevano
della qualità organica in base al diritto interno nel caso in cui non avevano agito nel rispetto
delle competenze loro attribuite in base a tale ordinamento oppure delle istruzioni loro
impartite.
Sembra comunque opportuno notare come nella prassi più antica la responsailità dello
Stato per i fatti illeciti ultra vires venga preconizzata soltanto con riferimento ad individui o
enti che godono della qualità organica in base al diritto interno, in quanto si ritiene
necessario un rinvio al diritto interno dello Stato al fine di determinare quali siano le
funzioni esercitate.
I dati desumibili dalla prassi internazionale suggeriscono inoltre che gli elementi
valorizzati dall’interprete al fine di ritenere lo Stato responsabile delle condotte ultra vires
degli organi statali sono spesso stati la circostanza che il comportamento era stato reso
possibile in virtù dello status organico di cui un individuo o ente godevano e dell’autorità
che derivava loro dall’esercitare una funzione ufficiale. Lo Stato doveva pertanto rispondere
soltanto di quei comportamenti adottati da un organo che, nonostante il reale superamento
dei limiti delle proprie funzioni, apparivano ai terzi come tenuti nel rispetto della
competenza. Particolare riguardo veniva riservato al punto di vista della vittima la quale non
poteva plausibilmente rendersi conto del mancato rispetto della competenza o delle
istruzioni ricevute da parte dell’organo. Come corollario del criterio dell’apparenza della
57
funzione, la responsabilità internazionale dello Stato non poteva invece sorgere nel caso in
cui la condotta illecita dell’individuo-organo, pur essendo tenuta nell’esercizio delle funzioni,
appariva manifestamente estranea alla sua competenza.
Sezione II
LA GRADUALE AFFERMAZIONE ED IL CONSOLIDAMENTO DEL PRINCIPIO
DELL’ATTRIBUZIONE ALLO STATO DEI FATTI ULTRA VIRES DEI PROPRI ORGANI
NELLA PRIMA METÀ DEL VENTESIMO SECOLO
1. La prassi degli Stati Uniti
La prassi degli Stati durante il secolo ventesimo si è progressivamente orientata nel senso
della necessità di considerare lo Stato internazionalmente responsabile per i comportamenti
tenuti da un organo ultra vires. Per quanto concerne le prese di posizione degli Stati Uniti, è
possibile notare come durante gli ultimi decenni del diciannovesimo secolo questo abbia
modulato l’accettazione o il rigetto di tale principio in base alle circostanze.
Con riferimento al caso Star and Herald (1885- 1899), ad esempio, il Ministro
statunitense a Bogotà ha sostenuto l’esigenza di considerare lo Stato responsabile per
qualsiasi condotta tenuta da un organo statale nell’esercizio delle proprie funzioni
indipendentemente dal rispetto o meno delle disposizioni di diritto interno in tema di
competenza o delle istruzioni impartite. A suo parere, se fosse stato ammesso il principio
contrario:
“…any commander of an American man of war, while in a Colombian port,
taking offence at the authorities, might shell a city and destroy it, but his
Government would not be held responsible because he in so doing had
exceeded his authority and must be held personally responsible for the act.
Such an interpretation of treaties and international law would be dangerous in
the extreme, and could not be submitted to by nations”153.
La motivazione addotta in tale circostanza al fine di reputare le condotte ultra vires dei
fatti statali nell’ordinamento internazionale si ispira all’esigenza di garantire la sicurezza
delle relazioni internazionali, che sarebbe altrimenti totalmente illusoria nel caso in cui uno
Stato potesse sottrarsi alla sua responsabilità internazionale, in caso di commissione di un
153 Foreign Relations, 1899, p. 227.58
illecito da parte di uno dei suoi organi, obiettando il mancato rispetto delle prescrizioni di
diritto interno che ne regolano la competenza. La sicurezza delle relazioni internazionali
imporrebbe invece di riconoscere che uno Stato ha agito sul piano internazionale
ogniqualvolta persone o enti incaricati di agire per suo conto adottano dei comportamenti in
suo nome, senza che abbia alcuna importanza il fatto che non abbiano rispettato i limiti
formali della propria competenza, abbiano violato disposizioni del diritto interno oppure
abbiano contravvenuto alle istruzioni loro impartite dai superiori.
La medesima posizione è stata assunta dal Governo degli Stati Uniti nel 1885 nel caso
Young, in cui veniva lamentata l’uccisione di un cittadino americano ad opera di alcuni
soldati appartenenti alle truppe governative peruviane. In risposta alla presa di posizione del
Governo peruviano secondo cui non poteva essere ritenuto responsabile del fatto in quanto
non aveva avuto i mezzi per poterlo prevenire, il Segretario di Stato Bayard ha ribadito come
un comportamento tenuto da un organo nella sua qualità ufficiale non può essere
paragonato ad una condotta di un privato:
“It was not a case of collateral misconduct dictated by private malice, in
which case the Peruvian Government might disclaim responsibility. It was an
act….by an agent of that Government while in the line of his duty….The mere
fact that soldiers, duly enlisted as such, commit acts without orders from their
superiors in command, does not exempt their Government from liability for
such acts. A government may be responsible for the misconduct of its soldiers
when in the field, or when acting, either actually or constructively, under its
authority, if such misconduct, even though it had been forbidden by it, was in
contravention of the rules of civilized warfare”154.
In virtù dello stretto legame intercorrente fra l’illecito e la funzione ufficiale svolta, il
Segretario di Stato reputava impossibile non considerare uno Stato responsabile per i
comportamenti tenuti dai suoi organi nell’esercizio delle proprie funzioni.
Come si è visto, la tesi contraria alla responsabilità internazionale dello Stato per le
condotte ultra vires dei suoi organi è stata invece sostenuta nel medesimo periodo dal
Governo degli Stati Uniti nel caso Tunstall e nel caso American Bible Society155.
Soltanto nel ventesimo secolo le prese di posizione del Governo statunitense sono
diventate uniformi nel senso di ammettere il principio della responsabilità internazionale
154 MOORE, op. cit., vol. VI, pp. 758–759. Si veda anche la sentenza resa nel caso Pears, ibid., pp. 762–764.155 Vedi supra, p. 47.
59
dello Stato per le condotte ultra vires dei propri organi. Una delle prime manifestazioni di
tale tendenza è rappresentata dal caso Miller, in cui il Dipartimento di Stato statunitense nel
1910 ha contestato il rifiuto del Segretario di Stato cubano di versare un risarcimento per
l’aggressione di un marinaio americano avvenuta per mano di un agente di polizia sulla base
del fatto che si fosse trattato di un comportamento ultra vires156.
A partire dagli anni ’30 del ventesimo secolo, il principio secondo cui uno Stato è tenuto a
rispondere in ambito internazionale dei comportamenti illeciti adottati dai propri organi nel
mancato rispetto delle disposizioni di diritto interno o delle istruzioni ricevute non è più
stato messo in discussione nella prassi degli Stati ad eccezione di qualche raro caso.
Nel caso Royal Holland Llyod, A Corporation v. The United States, risalente al 1932, due
agenti della dogana statunitense, in contravvenzione alla legislazione americana in vigore,
avevano rifiutato di accordare ad una nave olandese l’autorizzazione a lasciare il porto di
New York.
Il Governo degli Stati Uniti ha tentato di sfuggire alla propria responsabilità
internazionale eccependo che secondo il proprio ordinamento interno lo Stato non era
tenuto a rispondere dei comportamenti non autorizzati dei propri organi157.
La Corte dei reclami statunitense ha rigettato tale argomento precisando di potersi
pronunciare esclusivamente sulla base del diritto internazionale e ha riconosciuto il principio
della responsabilità internazionale dello Stato per le condotte illecite tenute ultra vires dai
propri organi:
“The rights of the plaintiff as a citizen of a friendly foreign power, when
considered in the light of the principles of the law of nations, are very different
than those of a plaintiff relying wholly upon the municipal laws of the United
States……(who) does not admit, by its statutes, any responsibility for the
tortious or unauthorized acts of its officers. But in its relations with foreign
nations the United States bears….a wide, unlimited, unrestricted and vicarious
responsibility for the acts of its administrative officials and its military and naval
forces….Governments are responsible, in their international intercourse, for the
acts of their authorized agents, and if such acts were mistaken, or wrongful,
156Il Segretario di Stato cubano aveva cercato di giustificare il suo rifiuto di risarcire l’illecito causato dal proprio organo sulla base del fatto che “…there is no ground upon which this Government should accept Miller’s claim….because the State is not responsible for the acts of its agents except when deliberately executed by order of the Government – a circumstance which does not attend the case in point…”. HACKWORTH, Digest of International Law, vol. V, 1943, pp. 570-571.157 “The Government of the United States is not liable under its own laws for the alleged illegal and unauthorized acts of its officers, as it has never subjected itself to liability for the torts or wrongful acts of its officers”. Cfr. American Journal of International Law, vol.26, p. 399.
60
liability arises against the Government itself for the consequences of the error
or the wrong”158.
Tale pronuncia risulta particolarmente rilevante in quanto viene operata una netta
distinzione tra la definizione della responsabilità dello Stato per un dato comportamento nel
diritto interno e la corrispondente responsabilità nell’ordinamento internazionale. Viene
difatti ammessa la possibilità che, con riferimento alla medesima condotta, possa sorgere
per lo Stato una responabilità sul piano internazionale, nonostante non sia invece chiamato
a risponderne nell’oridinamento interno.
Alla luce di tale sentenza sembra desumibile che il diritto interno, pur regolando il
fenomeno dell’organizzazione dello Stato, risulta del tutto ininfluente con riferimento
all’attribuzione di comportamenti ad esso nell’ordinamento internazionale. Esercitando il
proprio diritto ad auto-organizzarsi attraverso l’affidamento dell’esercizio di pubbliche
funzioni a persone fisiche o giuridiche, lo Stato sarebbe difatti tenuto a rispondere sul piano
internazionale dei comportamenti da esse tenuti ogniqualvolta queste agiscono per suo
conto, indipendentemente dal rispetto delle disposizioni di diritto interno o delle istruzioni
ricevute.
Un’ulteriore vicenda in cui un comportamento illecito adottato da un organo nel
mancato rispetto delle istruzioni ricevute è stato riconosciuto come un fatto di cui lo Stato è
chiamato a rispondere in ambito internazionale è il caso Colom y Piris del 1933.
Un cittadino statunitense di nome Edouardo Colom y Piris, mentre era in carcere nella
Repubblica Domenicana in attesa di essere processato per alcune sue affermazioni
riguardanti il Presidente della Repubblica, è stato segretamente prelevato da un membro
della guardia presidenziale e successivamente ucciso.
Il Dipartimento di Stato americano ha reputato che il Governo dominicano dovesse
rispondere in ambito internazionale dell’accaduto, dal momento che l’uccisione del proprio
cittadino era avvenuta a causa di un comportamento di un organo statale che aveva agito
contravvenendo all’incarico di proteggere colui la cui vita era stata distrutta159. Nonostante
l’organo avesse agito contravvenendo alle istruzioni impartitegli, il comportamento doveva
comunque essere riferito allo Stato in quanto tenuto nella sua capacità ufficiale.
158 Ibid., pp. 409 – 410.159 “…this Government has no other alternative than to hold the Dominican Government responsible for the death of the American citizen in question….it seems to be clearly established in the present case….that the murder was the act of an official of the Government of the Dominican Republic who was charged by that Government with the duty of protecting the life which he destroyed”. HACKWORTH, Digest, cit., vol. V, p. 570.
61
Il Governo domenicano ha in tale circostanza riconosciuto la propria responsabilità
internazionale e ha accettato di pagare una somma di denaro a titolo di risarcimento agli
eredi dell’individuo ucciso.
Un altro caso nell’ambito del quale uno Stato è stato chiamato a rispondere delle
condotte dei propri organi tenute ex qualitate è il caso Talamas del 1957, in cui due agenti
di polizia haitiani avevano percosso a morte un cittadino americano nel corso di un
interrogatorio160.
Il Dipartimento di Stato americano, oltre a riconoscere in capo al Governo di Haiti la
responsabilità internazionale per il mancato adempimento dell’obbligo di repressione del
fatto illecito, ha sostenuto che la stessa uccisione di Talamas fosse un fatto illecito di cui lo
Stato era tenuto a rispondere in ambito internazionale, in quanto provocata da un proprio
organo che aveva agito nella sua capacità ufficiale.
L’elemento valorizzato al fine di ritenere tale condotta un fatto statale nell’ordinamento
internazionale e di distinguerla dal comportamento di un semplice privato è stato difatti la
circostanza che l’individuo aveva trovato la morte proprio mentre era sotto la custodia dei
suddetti organi, cioè quando questi erano in servizio ed esercitavano le funzioni pubbliche
loro conferite161.
2. La prassi degli Stati latinoamericani
Sebbene in maniera meno omogenea, a partire dall’ultima decade del diciannovesimo
secolo, anche gli Stati latinoamericani hanno iniziato a riconoscere lo Stato
internazionalmente responsabile per i fatti illeciti ultra vires dei propri organi.
Nel caso Campbell risalente al 1899, ad esempio, il Governo di Haiti ha accettato di
versare dieci mila dollari a titolo di risarcimento al Governo degli Stati Uniti per
un’aggressione ad opera di suoi soldati nei confronti di alcuni cittadini americani162.
Egualmente nel 1907 il Governo del Guatemala nel caso Shine e Milligen ha pagato un
risarcimento dei danni a dei cittadini americani che erano stati selvaggiamente picchiati e
successivamente imprigionati da alcuni agenti della polizia163.
160 WHITEMAN, Digest of International Law, cit., vol. 8, pp. 898–899.161 Il Dipartimento di Stato americano ha inoltre precisato che l’ipotesi che un organo compie un fatto illecito ultra vires deve essere tenuta distinta dal caso in cui un tale comportamento viene adottato da un privato: “…Talamas met death while in custody of local officials, thus differentiating the case from that where an alien meets death at the hands of a private individual”. Ibid., p. 898.162 MOORE, op. cit., vol. VI, pp. 764–765.163 HACKWORTH, op. cit., vol. V, p. 575. Sempre il Governo del Guatemala ha riconosciuto la sua responsabilità internazionale con riferimento ad un’aggressione subita da alcuni stranieri residenti sul
62
Nel caso Columbia e Buffalo164, il Governo di Panama ha presentato delle scuse ufficiali e
ha pagato un risarcimento al Governo statunitense per i comportamenti illeciti tenuti ultra
vires da alcuni suoi organi di polizia, che avevano maltrattato in più occasioni dei cittadini
americani.
Infine nel 1922, nel caso Scott, il Governo del Nicaragua ha accettato di versare un
risarcimento per i danni derivanti dai comportamenti tenuti da parte di un governatore di
provincia che aveva fatto imprigionare in violazione del diritto interno un cittadino
americano residente in loco165.
3. La prassi degli Stati europei
Per quanto concerne gli Stati europei, il principio della responsabilità dello Stato per le
condotte ultra vires degli organi statali ha trovato pieno riconoscimento sin dalla seconda
metà del diciannovesimo secolo.
Nel 1887 in occasione dell’uccisione con un colpo di arma da fuoco di un cacciatore
francese sul territorio di Vexaincourt da parte di un soldato tedesco, il Ministro degli Esteri
francese ha sostenuto che la Germania dovesse rispondere internazionalmente del fatto del
proprio organo nonostante si trattasse di un comportamento contrario alle sue prescrizioni
di diritto interno in tema di utilizzo lecito di arma da fuoco. La Germania non ha mai
contestato la sua responsabilità internazionale con riferimento a tale episodio e ha
prontamente provveduto a pagare un lauto risarcimento danni alla famiglia della vittima166.
Nell’ambito delle controversie sorte tra Italia e Perù per il risarcimento dei danni subiti
da alcuni cittadini italiani durante la guerra civile peruviana del 1894-1895, il Governo
britannico ed il Governo spagnolo sono stati chiamati ad esprimere una loro opinione su
sollecitazione del Governo italiano con riferimento alla possibilità di riconoscere il Perù
responsabile per i comportamenti tenuti da alcuni suoi organi ultra vires.
Il Governo britannico ha sostenuto l’inammissibilità della teoria espressa dal Perù,
secondo cui uno Stato è responsabile dei soli comportamenti tenuti dai propri organi nel
rispetto degli ordini ricevuti, affermando invece che uno Stato deve ritenersi responsabile
sul piano internazionale di tutti i comportamenti da essi tenuti nella loro qualità ufficiale:
proprio territorio ad opera di propri organi nel 1906. Si tratta di un caso senza titolo, rinvenibile Ibid., p. 571.164 HACKWORTH, op. cit., pp. 567-568.165 HACKWORTH, op. cit., pp. 609–610. Si vedano anche il caso Columbia e il caso Buffalo. Ibid., pp. 567-568.166 Il caso Vexaincourt è stato citato da KISS, Répertoire de la pratique française en matière de droit international public, tomo III, Paris, 1965, pp. 533–538.
63
“…the theory that officials of the State are not responsible for acts which are
not the consequence of orders directly given them by their Government to be
inadmissible…hence all Governments should always be held responsible for all
acts committed by their agents by virtue of their official capacity”167.
Anche il Governo spagnolo ha sostenuto la tesi della responsabilità del Perù per tutti i
comportamenti tenuti da suoi organi nell’esercizio delle proprie funzioni in ragione della
circostanza che non è possibile sottrarsi ad essi sulla base dell’autorità da essi esercitata:
"[. . .] por los [danos] que causen los agentes de la autoridad en virtud de actos
ajenos a sus atribuciones legates, si el Gobierno desaprueba y condena su
conducta y somete el funcionario culpable al juicio correspondiente para hacer
efectiva, conforme a la ley, la responsabilidad civil y criminal en que hubiese
incurrido…Dediicese de todos los principios que dejo establecidos, que solo
afectan la responsabilidad del Estado y pueden, por tanto, ser materia de
reclamacion diplomdtica, los danos y perjuicios causados a los extranjeros por
actos contraries a las estipulaciones de los tratados y, en defecto de estos, al
derecho de gentes, practicados por el Gobierno o sus agentes civiles y militares
en el ejercicio de sus funciones, en virtud de orden suya o con su aprobacion y,
como he dicho en otro lugar, la denegacion absoluta de justicia"168.
Lo Stato veniva quindi ritenuto internazionalmente responsabile per i comportamenti
tenuti dagli organi statali nell’esercizio delle proprie funzioni, indipendentemente dalla
circostanza che fossero stati in qualche modo autorizzati dal proprio Governo. Alla luce di
tale dichiarazione sembra che gli elementi in grado di giustificare la responsabilità dello
Stato per i comportamenti illeciti ultra vires degli organi statali sono l’impossibilità da parte
di un terzo in buona fede sia di valutare nella maggior parte delle circostanze se l’organo
abbia effettivamente agito nel rispetto della competenza sia di sottrarsi all’illecito a causa
dell’abuso dell’autorità messa lui a disposizione per lo svolgimento regolare delle proprie
funzioni.
Alla luce dell’irrilevanza delle disposizioni del diritto interno con riferimento al sorgere
della responsabilità internazionale dello Stato, il Governo spagnolo sembra voler privilegiare
167 AGO, Quatrième rapport, cit., p. 77, par. 17.168 Archivio del Ministero degli Affari esteri italiano, serie politica P., No. 43. La traduzione in lingua inglese è rinvenibile in AGO, Quatrième rapport, cit., p. 77, par. 17.
64
la sicurezza delle relazioni internazionali riconoscendo che uno Stato agisce ogniqualvolta un
proprio organo tiene una condotta nell’esercizio delle proprie funzioni169.
Il Governo italiano non ha potuto che approvare tali prese di posizione e, in un parere del
19 febbraio 1899, il Consiglio del contenzioso diplomatico del Ministero degli affari esteri ha
affermato l’esigenza che uno Stato risponda internazionalmente di tutti i comportamenti
tenuti dagli organi nell’esercizio delle proprie funzioni, in primis per l’impossibilità di
resistervi in virtù della loro qualità ufficiale ed in secundis per la difficoltà di distinguere a
livello pratico quando un comportamento sia stato tenuto su ordini del proprio Governo o
meno:
“…. we can only endorse the views of the British and Spanish
Governments…, it is impossible to maintain that a government is not required
to compensate aliens for damage occasioned by its agents in the performance
of their functions…. We consider inadmissible the theory which maintains that
a government should not be held responsible for the acts committed by its
agents in the performance of their functions or by virtue of their official
capacity when such acts are not the consequence of orders received directly
from the government”170.
Il principio della responsabilità internazionale dello Stato per tutti i comportamenti tenuti
dai propri organi nella loro qualità ufficiale ha trovato pieno riconoscimento anche in prese
di posizione di Stati europei dell’inizio del ventesimo secolo. Nel caso Panther risalente al
1906, ad esempio, il Governo tedesco ha riconosciuto di dover rispondere
internazionalmente degli illeciti commessi ultra vires da suoi organi sul territorio dello Stato
brasiliano.
Il comandante di una nave da guerra tedesca ancorata in un porto brasiliano aveva
ordinato ad alcuni ufficiali di scendere a terra al fine di cercare un marinaio che nei giorni
precedenti aveva disertato, senza però richiedere previamente l’autorizzazione alle autorità
del posto. Gli ufficiali tedeschi una volta sbarcati hanno ucciso alcuni civili e costretto con la
forza degli altri a cooperare nelle ricerche.
Il Governo tedesco ha riconosciuto la propria responsabilità internazionale per quanto
avvenuto e ha fornito assicurazioni di punire i responsabili allo Stato brasiliano, il quale ha
da quel momento considerato risolta la controversia171.
169 AGO, ibid., p. 78, par. 17. 170 Il testo del parere è rinvenibile in lingua inglese in AGO, ibid., p. 78, par. 17.171 Revue générale de droit international public, 1906, pp. 201–202.
65
Nell’ambito della prassi europea il principio della responsabilità internazionale dello
Stato per fatti illeciti ultra vires dei propri organi non è mai più stato messo in discussione a
partire dagli anni trenta.
Il 28 dicembre 1936 un membro del personale dell’ambasciata del Belgio a Madrid, il
barone Jaeques de Borchgrave, è stato trovato morto nella periferia della città. Sulla base di
vari indizi il Governo del Belgio era giunto alla conclusione che la morte era stata provocata
da truppe al servizio del Governo spagnolo dal momento che:
“seuls les éléments appartenant aux forces au service du Gouvernement
avaient pu perpétrer l’assassinat en usant des armes qui leur avait été remises
et abusant de l’autorité dont ils étaient revêtus”172.
Mediante compromesso i due Stati hanno rimesso il caso alla Corte permanente di
giustizia internazionale al fine di stabilire se il Governo spagnolo dovesse rispondere sul
piano internazionale dell’assassinio.
Il Belgio ha sostenuto la responsabilità internazionale della Spagna in virtù del fatto che
uno Stato deve rispondere di tutti i comportamenti adottati dai propri organi,
indipendentemente dalla circostanza che siano stati tenuti al di fuori dei limiti della
competenza.
Facendo esplicito riferimento al testo della risoluzione adottata nel 1927 dall’Institut de
droit international, il Belgio ha poi individuato nell’agire nella propria capacità ufficiale e
nell’uso dei mezzi messi a disposizione in virtù della funzione svolta le condizioni necessarie
al fine del sorgere della responsabilità internazionale di uno Stato nel caso in cui i suoi
organi abbiano agito ultra vires173.
Lo Stato sarebbe pertanto tenuto a rispondere internazionalmente dei fatti illeciti ultra
vires dei propri organi nel caso in cui appaiono agli occhi dei terzi come tenuti nella propria
qualità ufficiale oppure a patto che il loro compimento sia stato reso possibile da un uso
abusivo dell’autorità e dei mezzi messi loro a disposizione per lo svolgimento regolare delle
funzioni.
Nonostante la Corte non abbia potuto pronunciarsi in merito alla controversia in quanto i
Governi hanno di comune accordo deciso di risolverla mediante mezzi diplomatici, sembra
opportuno notare come la Spagna abbia alla fine accettato di pagare una somma a titolo di
risarcimento come richiesto dal Governo belga.
172 Caso Borchgrave, CPJI plaidoiries 1937, Serie C, N° 83, pp. 26–27, par. 38.173 Ibid., p. 26, par. 36.
66
Una circostanza in cui la responsabilità internazionale di uno Stato per comportamento
ultra vires di propri organi è stata fatta dipendere dalla sola condizione che avessero agito
nella loro qualità ufficiale è il caso relativo all’incidente aereo del 27 luglio 1955174.
Un aereo civile della compagnia israeliana El Al Israel Airlines Ltd., inavvertitamente
penetrato nello spazio aereo della Bulgaria, era stato abbattuto da alcuni velivoli della difesa
anti-aerea di tale Stato. Tutti i passeggeri e l’intero equipaggio hanno trovato la morte nel
tragico incidente.
Israele, Stati Uniti e Regno Unito, gli Stati di cui erano cittadini le vittime, hanno inviato
una nota di protesta al Governo bulgaro in cui richiedevano una piena riparazione per il
danno subito175.
In una nota del 4 agosto 1955 il Governo bulgaro, dopo aver evidenziato come il velivolo
israeliano avesse deviato in maniera evidente rispetto al suo normale itinerario ed aver
riconosciuto che le forze della difesa anti-aerea non avevano preso tutte le misure
necessarie a costringere l’aereo ad atterrare, ha espresso “…a profound regret for this great
disaster which has caused the death of completely innocent people….. It will cause to be
identified and punished those guilty of causing the catastrophe to the Israeli aircraft and will
take all the necessary steps to ensure that such catastrophes are not repeated on the
Bulgarian territory”176.
Tali brani della nota diplomatica bulgara dimostrano come i militari abbiano
presumibilmente agito in violazione del proprio ordinamento interno o delle istruzioni
ricevute.
Nelle conclusioni il Governo bulgaro ha inoltre ammesso di dover rispondere in ambito
internazionale del comportamento illecito tenuto ultra vires dai propri organi affermando
che “…is prepared to assume responsibility for compensation due to their families, as well as
its share of compensation for material damage”177.
A seguito delle richieste di risarcimento formulate da parte dei Governi israeliano,
statunitense e britannico, il Governo bulgaro ha invece negato la propria responsabilità
internazionale per l’accaduto, giustificando il proprio comportamento con la circostanza che
l’aereo israeliano aveva profondamente penetrato il proprio spazio aereo.
174 I.C.J. Reports, 1959, pp. 127-146.175 Le note di protesta sono riprodotte in WHITEMAN, Digest of International Law, cit., pp. 891– 892.176 AGO, Fourth report on State responsibility, cit., p. 81, par. 26.177 Ibid., p. 81, par. 26. Al fine di stabilire la responsabilità internazionale del Governo bulgaro per l’accaduto, anche lo Stato israeliano ha fatto riferimento alle conclusioni espresse nella suddetta nota diplomatica. Del medesimo avviso sono AGO, Fourth Report, cit., p. 88, par. 27 e PRZETACZNIK, The International Responsibility of States, cit., p. 172.
67
In una nota diplomatica dell’8 agosto 1957, trasmessa al Governo statunitense per mezzo
del Governo svizzero, la Bulgaria ha reso noto di essere però disponibile al pagamento di
una somma di denaro ex gratia ai familiari delle vittime178.
Sembra opportuno notare che il Governo bulgaro non ha tentato di sottrarsi alla propria
responsabilità internazionale per l’accaduto sulla base del mancato rispetto da parte dei
propri organi delle disposizioni di diritto interno in tema di competenza, bensì ha invocato la
colpa del pilota come possibile causa di esclusione dell’illecito.
4. La giurisprudenza arbitrale dei primi anni del secolo: gli arbitrati nei casi
venezuelani
A partire dal ventesimo secolo si è assistito ad un riconoscimento generalizzato da parte
della tribunali internazionali del principio della responsabilità dello Stato per le condotte
ultra vires dei propri organi. Le sentenze rese dalle Commissioni miste dei reclami
nell’ambito dei così detti “arbitrati venezuelani”179 possono però considerarsi una sorta di
“trait d’union” tra la giurisprudenza del diciannovesimo e quella del ventesimo secolo in
quanto, nonostante non venga più prevista un’assimilazione dei fatti illeciti ultra vires degli
organi statali a dei comportamenti di privati, in alcune circostanze la responsabilità
internazionale dello Stato viene fatta dipendere dall’atteggiamento adottato da parte del
Governo rispetto alla condotta illecita ultra vires.
Una pronuncia in cui la responsabilità internazionale del Venezuela è stata fatta derivare
dall’implicita approvazione da parte dello Stato di una condotta illecita tenuta ultra vires da
un proprio organo è quella resa dalla Commissione mista Gran Bretagna/Venezuela nel caso
Compagnie Générale des Asphaltes de France180. Un’impresa britannica che si occupava dello
sfruttamento delle risorse minerarie aveva subito delle forti perdite per la cessazione della
sua attività in Venezuela a causa del rifiuto da parte del console venezuelano a Trinidad
178 International Court of Justice Memories 1959, p. 30. I Governi israeliano, britannico e statunitense si sono opposti ad un tale regolamento delle controversie, reputando il Governo bulgaro l’unico responsabile della catastrofe. La questione della responsabilità internazionale della Bulgaria è stata sottomessa alla Corte Internazionale di Giustizia, la quale nella pronuncia del 26 maggio 1959 si è però dichiarata incompetente a pronunciarsi sulla questione. I.C.J. Reports 1959, pp. 127–147.179 Gli “arbitrati venezuelani” traggono origine da una controversia sorta tra la Repubblica del Venezuela e numerosi cittadini stranieri ivi residenti che reclamavano il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento per danni subiti sul suo territorio. Al fine di dirimere la controversia furono create dieci Commissioni miste in virtù della firma di altrettanti protocolli tra il Venezuela e gli Stati Uniti (protocollo del 17 febbraio 1903), il Belgio (7 marzo 1903), il Regno Unito (13 febbraio e 7 maggio 1903), la Francia (19 febbraio 1902 e 27 febbraio 1903), la Germania (13 febbraio e 7 maggio 1903), l’Italia (13 febbraio e 7 maggio 1903), il Messico (26 febbraio 1903), i Paesi Bassi (28 febbraio 1903), la Spagna (2 aprile 1903) e i paesi del Nord Europa (10 marzo 1903).180 RSA vol. ix, pp. 389 – 398.
68
(colonia britannica) di accordare alle imbarcazioni di tale compagnia l’autorizzazione ad
entrare sul proprio territorio.
Dopo aver riconosciuto che il console aveva agito eccedendo le competenze conferitegli
dal diritto interno, il superarbitro ha fondato la responsabilità internazionale del Venezuela
sul mancato esplicito disconoscimento della condotta da parte del Governo:
“The umpire holds….that the question of responsibility of Venezuela for the
acts of their consul at Trinidad is found in the failure of the Government of
Venezuela, after knowledge thereof, to make reasonable disclaimer of his acts
and reasonable correction of his mistakes. If the respondent Government
authorized or directed some of these acts, or only ratified them by silence and
acquiescence, its responsibility is the same”181.
A partire dalle decisioni rese dalle Commissioni miste dei reclami con riferimento alle
controversie sorte tra la Repubblica del Venezuela e numerosi cittadini stranieri ivi residenti,
la responsabilità internazionale dello Stato per i fatti illeciti ultra vires dei propri organi sorge
non più in virtù del fatto che ulteriori organi statali hanno omesso di adottare le misure
idonee a prevenire o reprimere tali comportamenti, bensì alla luce della circostanza che per
il diritto internazionale tali fatti sono attribuibili allo Stato.
Nella sentenza resa nel caso Maal la Commissione mista Paesi Bassi/Venezuela ha
condannato il Governo venezuelano a versare un risarcimento dei danni causati dalla
condotta illecita di un proprio poliziotto, il quale aveva costretto un cittadino olandese a
svestirsi in pubblico prima di procedere al suo arresto.
Nel motivare la propria decisione il superarbitro Plumley non ha fatto alcun riferimento
all’atteggiamento assunto dal Governo venezuelano rispetto all’organo responsabile del
fatto illecito, bensì ha ritenuto il pagamento di un risarcimento al Governo olandese come
costituente l’equa riparazione di un danno causato ad un altro soggetto in virtù dello stesso
fatto tenuto ultra vires da parte dell’organo nell’esercizio delle proprie funzioni:
“….the acts of their subordinates in the line of their authority however
odious their acts may be, the Government that those in discharge of this
important duty of the Government of Venezuela have been reprimanded,
punished or discharged, the only way in which there can be an expression of
181 Ibid., p. 396. Si vedano anche il caso Davy, ibid., pp. 467 – 469, e il caso Poggioli, ibid., vol. X, pp. 669–692.
69
regret on the part of the Government and a discharge of its duty toward the
subject of a sovereign and a friendly State is by making an indemnity thereof in
the way of money compensation”182.
In altre pronunce infine il Venezuela è stato condannato a pagare una somma a titolo di
risarcimento per un fatto illecito ultra vires di un proprio organo nonostante il responsabile
fosse stato previamente punito.
Ad esempio, nella sentenza resa nel caso Metzger dalla Commissione mista
Germania/Venezuela, il superarbitro Duffield, dopo aver appurato che il militare
venezuelano che aveva violentemente aggredito un cittadino tedesco aveva agito nella sua
qualità ufficiale, ha riconosciuto la responsabilità internazionale del Venezuela per il fatto
illecito ultra vires del proprio organo malgrado tale Stato avesse già provveduto al suo
arresto183.
Pur dovendosi interpretare la punizione del responsabile come volontà dello Stato di non
ratificare o approvare il comportamento illecito del proprio organo, sembra opportuno
sottolineare come la responsabilità internazionale dello Stato sia stata fatta dipendere dalla
circostanza che il fatto illecito ultra vires fosse un fatto dello Stato sul piano internazionale,
in quanto l’organo lo aveva compiuto dell’esercizio delle proprie funzioni.
5. Segue: le sentenze nei casi La Masica e The Coquitlam
Nel periodo antecedente i lavori della Conferenza di codificazione del 1930, numerose
pronunce arbitrali hanno confermato il principio dell’attribuzione allo Stato dei
comportamenti tenuti dagli organi nel mancato rispetto delle disposizioni di diritto interno
in tema di competenza o delle istruzioni loro impartite.
Tale principio è stato espressamente affermato nella sentenza resa il 7 dicembre 1916
nel caso La Masica da parte del re di Spagna Alfonso XIII, nominato arbitro in base ad un
compromesso siglato tra Honduras e Gran Bretagna nel 1914. In relazione all’uccisione di un
cittadino britannico ed il ferimento di un secondo da parte di alcuni soldati dell’Honduras,
che avevano agito sotto la supervisione di un superiore contravvenendo alle disposizioni del
diritto interno, l’arbitro ha stabilito che l’Honduras doveva comunque risponderne
internazionalmente sulla base di “…principles of international law, in conformity with which
182 Reports of International Arbitral Awards, vol. X, pp. 732–733.183 Reports of International Arbitral Awards, vol. X, pp. 417–420.
70
a State is bound on certain occasions, to make good the damage caused to foreign nationals
by illegal acts of omission or commission on the part of its authorities”184.
Nella sentenza resa nel 1920 nel caso The Coquitlam, il Tribunale arbitrale Gran
Bretagna/Stati Uniti ha rigettato la teoria del Governo statunitense secondo cui gli Stati Uniti
non erano tenuti a rispondere nell’ordinamento internazionale di un fatto illecito commesso
da un agente doganale sulla base del fatto che aveva agito in buona fede. Egli aveva
sequestrato l’imbarcazione britannica The Coquitlam credendo a torto che fosse stata
violata la legislazione doganale americana. Il Tribunale, non considerando la colpa un
elemento costitutivo del fatto illecito internazionale, ha affermato che lo Stato dovesse
rispondere nell’ordinamento internazionale della condotta tenuta ultra vires da un proprio
organo185.
6. La giurisprudenza degli anni venti: le sentenze della Commissione generale dei reclami Stati
Uniti/Messico nel caso Youmans e della Commissione Francia/Messico nel caso Caire
Una delle più significative pronunce, che rappresenta il punto di arrivo dell’evoluzione e
dell’affermazione progressiva del principio dell’attribuzione allo Stato delle condotte tenute
dagli organi statali pur nel mancato rispetto dei limiti della competenza, è stata resa dalla
Commissione generale dei reclami Stati Uniti/Messico nel caso Youmans. È interessante
notare come tale decisione sia contemporanea alle prese di posizione adottate da alcuni
Stati nell’ambito dei primi tentativi di codificare la materia della responsabilità
internazionale dello Stato186.
La sentenza, resa nel 1926, considera il caso di tre cittadini americani di nome Youmans,
Connelly e Arnold, all’epoca impiegati in una società britannica, oggetto nel 1880 di atti di
violenza da parte di una folla di messicani. Dieci soldati, in compagnia del loro diretto
superiore, erano stati inviati ad Angangueo con la missione di proteggerli e di reprimere i
tumulti187. In luogo di eseguire gli ordini ricevuti, i soldati hanno sparato a uno degli stranieri
e hanno preso parte alla rivolta uccidendo gli altri due. Secondo il Governo degli Stati Uniti
184 AGO, Fourth Report, cit.,p. 85, par. 38.185 Owners of the Cargo “Coquitlam” (Great Britain) v. United States, Reports of Internationl Arbitral Awards, vol. VI, pp. 45–48. Anche in altre pronunce i tribunali arbitrali hanno affermato la responsabilità internazionale di uno Stato indipendentemente dalla buona fede dell’organo che aveva commesso l’illecito: Owners of the “Tattler” (United States) v. Great Britain, American Journal of International Law, 1921, pp. 297–301; Charterers and Crew of the “Kate” (Great Britain) v. United States, American Journal of International Law, 1922, vol. 16, pp. 328333.186 Vedi infra, p. 92 ss.187 Thomas H. Youmans (USA) v. United Mexican States, Reports of International Arbitral Awards, vol. IV, p. 115 ss.
71
non c’era alcun dubbio che il Messico aveva l’obbligo di rispondere di tali comportamenti in
ambito internazionale:
“These troops, at a moment when they had the mob under control, and
when the complete quelling of the riot seemed an immediate possibility, in
utter disregard of the obligations of their office as preservers of the peace and
with wanton and deliberate violation of law, opened fire on the three
Americans, instantly killing one and joining with the infuriated mob in the
inhuman slaughter of the other two who were fleeing for their lives from their
burning cabin, which had been deliberately set fire to over their heads. It seems
almost needless to remark that such conduct on the part of soldiers or police,
under orders to preserve the peace and protect the lives and property of
peaceable inhabitants, on the plainest principles of international law and
independent of the treaty stipulations between the two nations, which are
contravened by such proceedings, renders the Government in whose service
they are employed, justly liable to the Government of the men, whose lives
were thus wantonly and needlessly sacrificed"188.
Il Messico si opponeva alla possibilità di rispondere internazionalmente dell’accaduto
sulla base della circostanza che i fatti illeciti sarebbero stati tenuti dagli organi nella loro
qualità privata:
“….even if it were assumed that the soldiers were guilty of such
participation, the Mexican Government should not be held responsible for the
wrongful acts of ten soldiers and one officer….who, after having been ordered
by the highest official….to protect American citizens, instead of carrying out
orders given them acted in violation of them in consequence of which the
Americas were killed….a Government is not responsible for malicious acts of
soldiers committed in their private capacity”189.
Secondo il Governo messicano, il fatto di aver agito contravvenendo agli ordini impartiti
rendeva i comportamenti tenuti dai soldati messicani assimilabili a quelli di semplici privati
di cui lo Stato non è tenuto a rispondere in ambito internazionale. In tale circostanza il
188 Ibid., p. 114, par. 8.189 Ibid., p. 115, par. 11 e p. 116, par. 14.
72
Messico riproponeva pertanto la vecchia argomentazione secondo cui possono ritenersi fatti
dello Stato sul piano internazionale soltanto i comportamenti tenuti da un organo statale in
conformità con le istruzioni impartite o le disposizioni di diritto interno volte a definirne le
funzioni e la portata della competenza.
La Commissione generale dei reclami Stati Uniti/Messico, istituita nel 1923 mediante una
Convenzione, ha condannato il Messico a riparare il danno subito dai cittadini statunitensi
criticando fortemente le argomentazioni addotte dal Governo messicano190.
La Commissione ha osservato che, se fosse vero che possono essere attribuiti allo Stato
esclusivamente i comportamenti tenuti dagli organi nei limiti della competenza stabiliti dal
diritto interno, qualsiasi illecito commesso da un organo nella propria qualità ufficiale
dovrebbe essere considerato estraneo all’ambito della sua competenza dal momento che
nessuna disposizione di diritto interno prescrive la violazione di obblighi di diritto
internazionale.
La Commissione ha ritenuto inoltre impossibile considerare le uccisioni di Angangueo
come delle condotte tenute da soldati nella loro capacità privata in quanto, al momento
dell’adozione del comportamento:
“….the men were on duty under the immediate supervision and in the
presence of a commanding officer. Soldiers inflicting personal injuries or
committing wanton destruction or looting always act in disobedience of some
rules laid down by superior authority. that any acts committed by soldiers in
contravention of instructions must always be considered as personal acts.”191.
A parere della Commissione, il causare nella propria qualità ufficiale dei danni ad
individui o ai loro beni deve considerarsi sempre un comportamento imputabile allo Stato
anche se contrario agli ordini ricevuti. La responsabilità internazionale dello Stato per tali
condotte diverrebbe illusoria se venisse accettata la teoria secondo cui i comportamenti non
autorizzati di soldati sono assimilabili a fatti di privati.
Un’altra significativa pronuncia, in cui si è affermato il principio dell’attribuzione allo
Stato delle condotte tenute dagli organi statali nel mancato rispetto dei limiti della
competenza, è la decisione resa il 7 giugno 1929 dalla Commissione dei reclami
190 La Commissione ha riconosciuto in capo al Messico tre differenti forme di responsabilità internazionale: una responsabilità diretta per la partecipazione dei soldati all’uccisione; una responsabilità per il fatto di altri organi in virtù della mancata adozione di misure preventive da parte delle autorità messicane ed infine una responsabilità per il fatto della mancata cattura e punizione dei responsabili da parte di altri organi.191 Ibid., p. 86, par. 40.
73
Francia/Messico nel caso Caire. La Commissione era stata chiamata ad accertare se il
Messico fosse tenuto a rispondere internazionalmente dell’uccisione di un cittadino
francese da parte di alcuni funzionari messicani a seguito del suo reiterato rifiuto di fornire
loro un’ingente somma di denaro192.
Il Governo del Messico ha negato di dover rispondere dell’accaduto in ambito
internazionale dal momento che i funzionari avevano agito non solamente all’insaputa del
proprio capo, ma anche contravvenendo ad un espresso mandato193.
Il Presidente della Commissione arbitrale, Verzijil, ha rigettato tale argomentazione
chiarendo come la circostanza che un organo agisce o meno entro i limiti della propria
competenza deve considerarsi ininfluente ai fini dell’attribuzione di fatti illeciti allo Stato sul
piano internazionale:
“Il est notoire que, dans ce domaine, les conceptions théoriques ont
beaucoup évolué dans les derniers temps et que notamment l'oeuvre novatrice
de Dionisio Anzilotti a frayé le chemin aux idées nouvelles qui ne subordonnent
plus à une "faute" quelconque de l'Etat sa responsabilité pour les actes de ses
fonctionnaires…je les considère en tout cas comme parfaitement correctes, en
tant qu'elles tendent à grever l'Etat, en matière internationale, de la
responsabilité pour tous les actes commis par ses fonctionnaires ou organes et
qui constituent des actes délictueux au point de vue du droit des gens,
n'importe que le fonctionnaire ou l'organe en question ait agi dans les limites de
sa compétence ou en les excédant ”194.
Riprendendo quanto sostenuto in dottrina da Bourquin, l’arbitro Verzijil ha osservato
che, sebbene in base alle norme di diritto interno un fatto illecito ultra vires non possa
essere considerato un fatto dello Stato, la sua responsabilità internazionale si fonda in tale
ipotesi su una garanzia che esso presta agli altri Stati per fatti dannosi che derivano
dall’attività della propria organizzazione interna. La responsabilità internazionale,
nell’ipotesi di fatti illeciti ultra vires degli organi statali, trova quindi la sua ragion d’essere in
una esigenza propria dell’ordinamento internazionale: i rapporti diverrebbero difatti
eccessivamente insicuri se gli Stati esteri fossero costretti a tenere conto delle disposizioni di
192 Reports of International Arbitral Awards , vol. V, p. 519 ss.193 “ …la responsabilité du Mexique serait exclue par les faits suivants: a) les auteurs du crime n'étaient que des militaires isolés;b) ils ont agi, non seulement à l'insu du chef des troupes villistes, mais encore à l'encontre d'un mandat exprès de mise en liberté…” Ibid., p. 519.194 Ibid., pp. 529-530.
74
diritto interno, spesso estremamente complesse, che disciplinano la ripartizione delle
competenze e delle funzioni all’interno di uno Stato. A suo giudizio al fine del sorgere della
responsabilità internazionale dello Stato per comportamenti illeciti tenuti dai propri organi
ultra vires, è necessario però che questi :
“aient agi au moins apparemment comme des fonctionnaires ou organes
compétents, ou que, en agissant, ils aient usé de pouvoirs ou de moyens
propres à leur qualité officielle”195.
Ai fini della sicurezza delle relazioni internazionali uno Stato deve pertanto rispondere sul
piano internazionale dei comportamenti non autorizzati dei propri organi dal momento che,
riconoscendo lo status organico a determinati individui o enti e fornendo loro i mezzi
necessari all’esecuzione delle proprie funzioni, non può rifiutare di esserne
internazionalmente responsabile purché all’esterno la condotta appaia come tenuta da un
individuo-organo nella propria qualità ufficiale196.
Nel caso di specie gli autori dell’assassinio del cittadino francese erano dei militari
messicani che avevano abusato della propria qualità ufficiale al fine di ottenere una somma
di denaro. Sempre in qualità di ufficiali della brigata del generale Tomas Urbina, inoltre, lo
avevano trasportato in una caserma delle truppe di occupazione e successivamente lo
avevano ucciso in risposta al suo rifiuto di accontentarli.
Nonostante avessero agito al di fuori della propria competenza e per finalità prettamente
personali, lo Stato era tenuto a rispondere sul piano internazionale dei fatti illeciti ultra vires
dei propri organi in quanto erano stati compiuti nell’esercizio delle proprie funzioni e
mediante l’utilizzo degli strumenti messi loro a disposizione. L’unica circostanza in cui lo
Stato non è tenuto a rispondere delle condotte dei propri organi è solo nel caso in cui siano
prive di una connessione con la funzione ufficiale e siano state quindi tenute nella loro
qualità privata197.
Sembra possibile dedurre quindi che, pur non potendosi configurare come fatti
rappresentativi della volontà statale in quanto compiuti dagli organi abusando della propria
autorità, lo Stato ne era comunque internazionalmente responsabile perché si trattava di
195 Ibid., p. 530.196 A sostegno della sua tesi, l’arbitro Verzijil ha inoltre fatto menzione della risoluzione dell’’ Institut de Droit International adottata a Losanna nel 1927. Vedi supra, p. 38 ss.197 “…le fait pour un fonctionnaire d’agir en dehors de sa compétence n’exempte pas l’Etat de sa responsabilité internationale, toutes les fois que ce fonctionnaire s’est autorisé de sa qualité officielle, l’Etat n’étant pas responsable dans le seul cas où l’acte n’a eu aucun rapport avec la fonction officielle et n’a été, en réalité, qu’un acte d’un particulier” . Ibid., pp. 530–531.
75
condotte che possedevano le caratteristiche tipiche di un fatto statale e si erano inoltre
prodotte in occasione dell’attività dello Stato.
7. Le altre decisioni rese dalla Commissione generale dei reclami Stati Uniti/Messico
tra il 1926 ed il 1930
La Commissione dei reclami Stati Uniti/Messico ha reso numerose altre decisioni tra il
1926 ed il 1930 in cui ha affermato la responsabilità internazionale dello Stato per
comportamenti illeciti ultra vires dei propri organi.
Nella decisione resa il 16 novembre 1926 nel caso Falcón, ad esempio, gli Stati Uniti sono
stati ritenuti responsabili per l’uccisione di un contrabbandiere messicano da parte di alcuni
soldati che avevano aperto il fuoco contrariamente alle disposizioni dei regolamenti
militari198. Egualmente, nella decisione resa nel caso Conception Garcìa, gli Stati Uniti sono
stati dichiarati responsabili per la morte di una donna messicana causata da un militare
statunitense in circostanze analoghe199.
Nella decisione resa il 16 novembre 1926 nel caso Quintanilla la Commissione generale
dei reclami ha ritenuto gli Stati Uniti responsabili del comportamento di un proprio sceriffo il
quale, dopo aver arrestato un individuo resosi responsabile di molestie nei confronti di una
ragazza, lo aveva assassinato durante il tragitto verso la prigione.
Secondo la Commissione uno Stato è tenuto a rispondere nell’ordinamento
internazionale dei comportamenti irregolari dei propri organi nei confronti di detenuti posti
sotto la propria custodia, in quanto tenuti nella qualità ufficiale durante l’esercizio delle
proprie funzioni200.
Particolarmente significativa per la distinzione tra un comportamento privato e uno ultra
vires è invece la sentenza resa nel caso Mallén il 27 aprile 1927201.
Era accaduto che Juan Franco, agente della polizia statunitense di El Paso, nel Texas,
avesse aggredito per ben due volte il console messicano Francisco Mallén verso il quale
nutriva dei risentimenti di natura personale.
198 D. Guerrrero Vda De Falcón (United Mexican States) v. United States of America, Reports of International Arbitral Awards, vol. IV, pp. 104–106.199 Teodoro Garcìa and M.A. Garza (United Mexican States) v. United States of America , Reports of International Arbitral Awards, ibid., pp. 119–123.200 “A foreigner is taken into custody by a State official. It would go too far to hold that the Government is liable for everything which may befall him. But it has to account for him. The Government can be held liable if it is proven that it has treated him cruelly, harshly, unlawfully”. Francisco Quintanilla (United Mexican States) v. United States of America, ibid., p. 103, par. 3.201 Francisco Mallén (United Mexican States) v. United States of America, ibid., pp. 173–190.
76
Nel corso della prima aggressione l’agente Juan Franco aveva espresso la sua intenzione
di uccidere il console e, dopo averlo avvicinato, lo aveva schiaffeggiato facendogli cadere a
terra il cappello. In tale circostanza la Commissione ha ritenuto che il comportamento
dovesse essere considerato una condotta illegale tenuta nella sua qualità privata da un
individuo che per coincidenza godeva dello status di organo in virtù del diritto interno202. Gli
Stati Uniti non erano pertanto tenuti a rispondere di questo atto.
La seconda aggressione si è svolta invece qualche mese più tardi quando Juan Franco,
salito su di un veicolo su cui si trovava anche il console, lo aveva più volte colpito con pugni
e sotto minaccia della sua arma da fuoco lo aveva condotto al carcere di El Paso dove lo ha
imprigionato.
La Commissione ha ritenuto senza fondamento il tentativo di Franco di giustificare il suo
operato con la volontà di sanzionare il console Mallén per un illegittimo porto d’armi dal
momento che in primis la legislazione del Texas in tema di porto di armi da fuoco veniva
attuata in modo da permettere ai funzionari del Governo messicano che erano soliti passare
il confine di portare un’arma ed in secundis il procuratore della contea ad El Paso aveva
esplicitamente concesso a Mallén di farlo, assicurandolo che non avrebbe dovuto subire
alcuna conseguenza.
Anche nell’eventualità in cui la reale intenzione di Franco fosse stata quella di dare
esecuzione al diritto interno del Texas, anzichè un semplice pretesto per eseguire una
vendetta privata, secondo la Commissione l’organo si era spinto assai al di là dei limiti
previsti per lo svolgimento della sua funzione ufficiale.
Tale seconda aggressione è stata considerata dalla Commissione un fatto di cui lo Stato
doveva rispondere sul piano internazionale sebbene l’organo avesse agito nella sua qualità
ufficiale contravvenendo alle disposizioni di diritto interno.
Gli elementi valorizzati al fine di dimostrare la qualità ufficiale dell’organo sono stati la
circostanza che al momento della commissione dell’illecito Franco era in servizio, avesse
mostrato il distintivo ed il fatto che non avrebbe mai potuto imprigionare Mallén se non
avesse agito in qualità di agente di polizia:
“It is…essential to note that both Governments consider Franco's acts as the
acts of an official on duty (though he came from the Mexican side), and that the
evidence establishes his showing his badge to assert his official capacity. Franco
could not have taken Mallén to jail if he had not been acting as a police officer.
202 “ The evidence as to the first assault on Consul Mallén…..clearly indicates a malevolent and unlawful act of a private individual who happened to be an official; not the act of an official” . Ibid., vol. IV, p. 174, par. 4.
77
Though his act would seem to have been a private act of revenge which was
disguised, once the first thirst of revenge had been, satisfied, as an official act
of arrest, the act as a whole can only be considered as the act of an official”203.
La seconda aggressione è stata pertanto reputata un fatto attribuibile allo Stato sul piano
internazionale, e non il comportamento di un semplice privato, sulla base dell’esistenza di
un legame fra il fatto e gli strumenti messi a disposizione dell’organo per il regolare
esercizio delle proprie funzioni.
Alla luce di tale pronuncia, sembra desumibile che lo Stato non può quindi negare di
avere agito quando l’autorità e i mezzi messi a disposizione rappresentano la condicio sine
qua non per la realizzazione del fatto da parte dell’organo, in quanto elementi in grado di
attestare che in quella data circostanza egli ha agito nella sua qualità ufficiale.
La Commissione ha quindi riconosciuto in capo agli Stati Uniti con riferimento alla
seconda aggressione sia una responsabilità “diretta” per la condotta del suo funzionario, sia
una responsabilità per il fatto di altri organi per non aver prevenuto il suo verificarsi204.
Il Governo degli Stati Uniti ha riconosciuto la propria responsabilità internazionale per il
fatto ultra vires del proprio organo ammettendo che:
“…an official or other acting in a broad sense for the United States was…
found to have perpetrated an injustice upon Mr. Mallén….it would be
incumbent either upon the State of Texas or the National Government to
accord him reparation for this injuries”205.
Nella sentenza resa nel caso Way del 1928 la Commissione ha ritenuto il Messico
internazionalmente responsabile per il comportamento ultra vires di un proprio organo206.
Un pubblico ministero messicano aveva emanato nei confronti di un cittadino
statunitense un mandato di arresto che risultava essere nullo per mancanza di motivazioni.
203 Ibid., p. 177, par. 7.204 “The circumstance that within two months Franco, using the very same uncouth words to show his aversion for Mallen, availed himself of another opportunity to "get" Mallen, this second time misusing his official capacity, shows how imprudently and improperly the authorities acted in maintaining such a man, without any preventive measure, in a position in which he might easily cause great harm to peaceful residents. Mallen not long after August 25, 1907, applied to the county attorney at El Paso in order to inquire whether he was authorized to carry a pistol. The authorities of Texas therefore should have realized the risks they incurred by maintaining Franco in office and by not protecting Mallen from violence at the hands of Franco, and they must bear the full responsibility for their action..” Ibid., p. 175, par. 5.205 Ibid., p. 177, par. 9.206 William T. Way (USA) v. United Mexican States, ibid., pp. 391– 401.
78
La sua esecuzione era stata affidata ad alcuni agenti della forza pubblica ai quali era stata
concessa la possibilità di usare le armi “as may be suitable”207. A seguito della resistenza
opposta nei confronti dell’arresto, il cittadino statunitense è stato brutalmente ucciso. La
Commissione generale dei reclami ha riconosciuto la responsabilità internazionale del
Messico “for this tragic violation of personal rights secured by Mexican law and by
International law”208.
Da ultimo nell’ambito della pronuncia resa nel caso Kling209, riprendendo le
argomentazioni sviluppate nel caso Youmans210, la Commissione ha affermato che l’omicidio
di un cittadino statunitense da parte di alcuni soldati messicani in servizio non poteva essere
considerato un comportamento tenuto a titolo privato211.
8. Segue: la sentenza resa nel caso Stephens, un caso di responsabilità per
comportamenti di organi di fatto che hanno agito contrariamente alle istruzioni
ricevute
207 Reports of International Arbitral Awards, vol. IV, p. 393.208 Ibid., vol. IV, p.401. Con riferimento a fatti illeciti ultra vires di poliziotti o funzionari di cui il Messico è stato ritenuto responsabile sul piano internazionale si vedano anche il caso Roper v. United Mexican States, AJIL 1927, pp. 777-778 e il caso Putnam v. United Mexican States, AJIL 1927, vol. 21, pp. 783-791. Per arresti illegali effettuati da funzionari senza una valida ragione si vedano inoltre il caso Kalklosch v. United Mexican States, Reports of the International Arbitral Awards, vol. IV, pp. 412-414; Knotts v. United Mexican States, RSA ibid., pp. 537-538. In alcune circostanze infine il Messico è stato ritenuto internazionalmente responsabile per l’abuso di potere delle proprie autorità amministrative quando hanno tenuto in carcere dei cittadini americani per un periodo eccessivo prima di procedere al loro giudizio. Si vedano i casi Roberts v. United Mexican States, AJIL 1927, vol. 21, pp. 537-561; Turner v. United Mexican States, AJIL 1928, VOL. 22, pp. 663-667 e Chazen v. United Mexican States, Reports of the International Arbitral Awards, vol. IV, pp. 564-575. 209 Lillie S. Kling v. United Mexican States, AJIL 1931, vol. 25, pp. 367-380.210 Vedi supra, p. 74 ss.211 La Commissione dei reclami Stati Uniti/Messico ha reso altre sentenze inerenti l’assassinio da parte di soldati messicani di cittadini americani nel caso Agnes Connelly (USA) v. United Mexican States (23 novembre 1926), American Journal of International Law 1927, pp. 579 – 581; Mary Evangeline Arnold Munroe (USA) v. United Mexican States (17 maggio 1929), Reports of International Arbitral Awards, vol. IV, p. 538. Per quanto concerne fatti illeciti non autorizzati di soldati, con riferimento ai quali il Governo messicano è stato ritenuto internazionalmente responsabile, è possibile ancora citare numerosi casi. Si vedano la sentenza resa il 16 novembre 1926 nel caso J.W. and N.L. Swinney v. United Mexican States, AJIL 1927, pp. 562-566 e RSA vol. IV, pp. 98-101. Nell’ambito del caso Gordon v. United Mexican States, il giudice Nielsen ha fatto riferimento alla pronuncia resa dalla medesima Commissione nel caso Youmans al fine di sostenere, contrariamente all’opinione della maggioranza dei suoi membri, che il comportamento illecito di due soldati messicani doveva essere attribuito allo Stato: il 23 novembre 1912, un cittadino statunitense di nome Gordon era stato accidentalmente ucciso da due militari messicani che si allenavano a sparare dal recinto di un forte. La maggioranza dei membri della Commissione non ha aderito alle conclusioni del Governo degli Stati Uniti, secondo cui gli organi avevano tenuto tale comportamento nell’esercizio delle proprie funzioni, e ha ritenuto che lo Stato non dovesse risponderne sul piano internazionale in quanto tali spari dovevano essere assimilati ad un atto di natura privata che non aveva alcun legame con l’esercizio della funzione ufficiale. AJIL 1931, vol. 25, pp. 384-388.
79
Il caso Stephens aveva ad oggetto la questione della responsabilità del Messico per
l’uccisione di un cittadino statunitense da parte di un individuo, di nome Valenzuela, che
apparteneva ad un gruppo di irregolari che svolgevano funzioni di polizia nella regione di
Chihuahua, dove le forze regolari erano assenti in quanto impegnate a sedare rivolte nel sud
del paese212.
La notte in cui è avvenuta l’uccisione Valenzuela era in servizio insieme ad altri due
uomini, sotto il comando di un sergente. Essi stavano apparentemente agendo in linea con
la General ordinance for the army del 1897 e, in particolare, con l’art. 176 che obbligava tutti
gli individui che venivano fermati per un controllo di fermarsi per agevolare la loro
identificazione. Quando i quattro uomini hanno visto avvicinarsi la macchina di Stephens, il
sergente ha ordinato a due di loro esclusivamente di fermare il veicolo. Valenzuela, invece,
ha contravvenuto alle istruzioni e ha immediatamente sparato, provocando la morte del
conducente.
Il Messico ha negato la propria responsabilità internazionale sulla base del fatto che
l’autore dell’illecito aveva agito contravvenendo alle istruzioni ricevute dal proprio
superiore:
“Being under the orders of a sergeant, the guards should have halted the car
in accordance with his instructions, and Mexico contends that they were
merely ordered to stop the automobile, without being ordered to fire at it”213.
La Commissione, una volta preso atto che Valenzuela, oltre a non aver rispettato le
istruzioni del sergente, aveva in effetti agito in violazione delle regole previste
dall’ordinamento messicano in relazione ad attività di ispezione condotte da organi statali,
ha comunque ritenuto il fatto illecito attribuibile al Messico indipendentemente dalla
circostanza che fosse un atto punibile nell’ordinamento interno214.
La possibilità di ritenere la condotta del Valenzuela un fatto dello Stato sul piano
internazionale ha trovato giustificazione nella circostanza che esso poteva essere assimilato,
ai fini dell’attribuzione, ad un membro dell’esercito regolare in virtù della particolare
situazione della regione messicana in cui operava:
212 Charles S. Stephens and Bowman Stephens (U.S.A.) v. United Mexican States , in Reports of International Arbitral Awards, vol. IV, pp. 265-268.213 Ibid., p. 267, par. 6.214 “Bringing the facts to the tests expounded in paragraph 5 of the last cited opinion, there can be no doubt about the reckless character of the act. To hold this means a different thing from establishing that Valenzuela's act under Mexican law was punishable, a question which it is not for this Commission to decide…”. Ibid., p. 267.
80
“Responsibility of a country for acts of soldiers in cases like the present one,
in the presence and under the order of a superior, is not doubtful. Taking
account of the conditions existing in Chihuahua then and there, Valenzuela
must be considered as, or assimilated to, a soldier”215.
Il riferimento alla circostanza che l’esercito regolare era assente nella regione di
Chihuahua non deve però essere inteso come un’allusione all’ipotesi dell’agente di
necessità. Dalla pronuncia risulta in verità che l’autore dell’illecito è stato immediatamente
arrestato dalle autorità civili dello Stato, a riprova del fatto che queste avevano comunque il
controllo della regione pur in assenza dell’esercito regolare.
La riferibilità allo Stato della condotta illecita è stata inoltre giustificata dalla circostanza
che Valenzuela aveva agito nell’esercizio delle proprie funzioni216. Questo riferimento è
significativo, in quanto la distinzione tra condotte poste in essere nell’esercizio delle funzioni
e comportamenti tenuti nella qualità privata è il criterio per stabilire quali tra le attività di un
organo possono essere attribuite allo Stato. La sua applicazione per riferire allo Stato il fatto
ultra vires di un membro di una forza irregolare sembra confermare l’impressione che
l’attribuzione trovi giustificazione in una sostanziale assimilazione di tale individuo ad un
organo statale. Nella decisione resa nel caso Stephens, sembra pertanto implicitamente
riconosciuta la possibilità di riferire allo Stato le condotte non autorizzate anche rispetto alla
situazione di individui che esercitano in fatto funzioni di governo per conto dello Stato, a
patto che agiscano nella loro capacità ufficiale.
9. Sentenze rese da altre commissioni arbitrali negli anni 1930/1950
Negli anni successivi, la giurisprudenza arbitrale offre poche sentenze che trattano il
problema della responsabilità internazionale dello Stato per i fatti illeciti tenuti ultra vires
dai propri organi.
Merita comunque di essere ricordata la sentenza resa il 27 giugno 1933 nel caso Colunje
dalla Commissione generale dei reclami Stati Uniti/Panama. Il Governo statunitense è stato
215 Ibid., p. 267, par. 7.216 “There should be no difficulty for the Commission to hold that Valenzuela when trying to halt the car acted in the line of duty”. Ibid., p. 267, par. 6.
81
ritenuto internazionalmente responsabile per il comportamento non autorizzato di un
proprio organo217.
Nel 1917 un giudice della zona del canale di Panama (all’epoca posta sotto
amministrazione americana) aveva emesso un mandato di arresto nei confronti di un
cittadino panamense di nome Guillermo Colunje, per aver violato le leggi postali americane
in vigore nella zona.
Un agente di polizia statunitense si era recato in territorio panamense e aveva attirato
Colunje con falsi pretesti nella zona del canale al fine di poterlo arrestare.
La Commissione generale dei reclami Stati Uniti/Panama ha rigettato la tesi del Governo
degli Stati Uniti secondo cui il comportamento del proprio organo doveva in quella
circostanza essere assimilato a quello di un privato in quanto non era stato incaricato di
tenere tale comportamento. Malgrado il carattere ultra vires della condotta tenuta dal
poliziotto, la Commissione generale dei reclami Stati Uniti/Panama ha ritenuto che il
Governo statunitense dovesse rispondere in ambito internazionale per il fatto illecito
commesso da un proprio organo dal momento che quest’ultimo aveva agito nell’esercizio
delle proprie funzioni218.
Venendo agli anni successivi alla seconda guerra mondiale, merita ricordare che la
Commissione di conciliazione franco–italiana, istituita in virtù dell’articolo 83 del Trattato di
pace del 1947, si è occupata della questione della responsabilità internazionale di uno Stato
per fatti illeciti ultra vires di organi statali nelle decisioni rese il 17 gennaio 1953 nel caso
Différend Dame Mossé219 e il 5 luglio 1954 nel caso Différend Joseph Ousset220.
Il primo caso riguardava la illecita confisca di beni di una cittadina francese compiuta nel
1944 da due agenti di polizia della Repubblica di Salò. Il Governo italiano sostenne che si
trattasse “d’un vulgaire pillage” compiuto da alcuni funzionari nella loro capacità privata e
che, pertanto, non fosse tenuto a risponderne in ambito internazionale221.
Dopo aver rigettato la tesi italiana, la Commissione di conciliazione ha ritenuto che la
condotta fosse stata tenuta intra vires ed ha poi aggiunto che la circostanza che gli organi
avessero agito al di fuori dei limiti regolamentari della competenza non doveva comunque
portare a dedurre che il reclamo non avesse alcun fondamento:
217 Guillermo Colunje (Panama) v. United States, Reports of the International Arbitral Awards, vol. VI, pp. 342–344.218 “For this act of a police agent in the performance of his functions, the United States of America should be held liable”. Ibid., p. 534.219 Reports of International Arbitral Awards, vol. XIII, pp. 486–495.220 Reports of International Arbitral Awards, vol. XVIII, pp. 258-270.221 Ibid., p. 489.
82
“…si même on devait admettre qu’Albertini et les fonctionnaires qui
l’accompagnaient avaient agi…en dehors des limites réglementaires de
compétence de leur service, on ne devrait pas déduire de cela, sans plus, que la
demande n’est pas fondée. Il faudrait encore examiner une question de droit,
…. A savoir si, dans l’ordre international, la responsabilité de l’Etat doit être
admise pour les actes accomplis par les fonctionnaire dans les limites
apparentes de leurs fonctions, selon une ligne de conduite qui n’était pas
entièrement opposée aux directives reçues”222.
L’enunciazione da parte della Commissione della esigenza di considerare se
nell’ordinamento internazionale uno Stato è responsabile dei comportamenti adottati dai
propri organi nei limiti apparenti della funzione, secondo una linea di condotta non
totalmente opposta rispetto alle istruzioni ricevute, sembra significativa circa l’orientamento
favorevole alla responsabilità internazionale dello Stato per i fatti illeciti ultra vires dei suoi
organi223.
Dalla sentenza nell’affare Dame Mossé sembra plausibile dedurre che nel caso in cui un
organo statale appaia agire nella sua qualità ufficiale agli occhi di un terzo, risulta irrilevante
ai fini dell’attribuzione di condotte l’effettivo rispetto della competenza dal momento che
sarebbe eccessivamente oneroso richiedere a quest’ultimo di verificare se il rappresentante
dello Stato abbia effettivamente agito in linea con le disposizioni del diritto interno oppure
con le istruzioni lui impartite. Il corollario della condizione attributiva dell’apparenza della
funzione risiede nell’impossibilità di considerare le condotte ultra vires degli organi dei fatti
dello Stato nell’eventualità in cui l’incompetenza degli organi è a tal punto manifesta da
risultare incontrovertibile agli occhi dei terzi.
Ne deriverebbe che lo Stato non è tenuto a rispondere nell’ordinamento internazionale
dei fatti dei propri organi sia nel caso in cui adottino dei comportamenti totalmente privi di
legame rispetto alle funzioni loro assegnate, vale a dire nel caso in cui agiscano nella loro
capacità privata, sia nel caso in cui tengano una condotta totalmente estranea alla propria
competenza, pur agendo nell’esercizio delle funzioni.
La medesima Commissione, nella sentenza resa nel caso Différend Joseph Ousset del 5
luglio 1954, ha ritenuto che il Governo italiano fosse tenuto a rispondere nell’ordinamento
internazionale del comportamento di un proprio organo che aveva agito ultra vires, dal
momento che:
222 Ibid., p. 494.223 Così anche AGO, Quatrième rapport, cit., p. 84, par. 42.
83
“si celui-ci (de Bernardis) outrepassa son mandat de contrôle, le
Gouvernement italien doit en être rendu responsable, car c’est lui qui avait
nommé le sieur Bernardis, et il aurait dû le surveiller”224.
Sebbene la condotta oggettivamente considerata abbia i caratteri di un fatto dello Stato
contrario al diritto internazionale, il modo in cui è stato posto in essere impedirebbe di
considerarlo ad esso attribuibile. Lo Stato ne dovrebbe però comunque rispondere sul piano
internazionale in virtù del concetto di culpa in eligendo, ovvero per aver affidato l’esercizio
di determinate funzioni pubbliche ad un individuo o ente assolutamente inidoneo a tale
scopo.
10. Il parere reso dalla Corte internazionale di giustizia nel caso Certaines dépenses des
Nations Unies
Nel periodo considerato, la Corte permanente di giustizia Internazionale e la Corte di
giustizia internazionale non hanno mai avuto l’occasione di pronunciarsi specificatamente
sulla questione della responsabilità internazionale dello Stato per gli illeciti commessi ultra
vires dai propri organi.
La questione della possibilità di attribuire allo Stato i comportamenti adottati dai suoi
organi nel mancato rispetto delle disposizioni di diritto interno o delle istruzioni ricevute era
stata sollevata dalle parti di fronte alla Corte permanente di giustizia Internazionale (1937)
nel caso Borchgrave ed alla Corte internazionale di giustizia (1959) nel caso relativo
all’incidente aereo del 27 luglio 1955, ma in entrambi i casi non vi è stata l’opportunità per la
Corte di pronunciarsi nel merito225.
Si può tuttavia ricordare che la Corte internazionale di giustizia ha fatto riferimento alla
questione del rilievo da riconoscere agli atti ultra vires nell’ambito del parere consultivo reso
il 20 luglio 1962 nel caso Certaines dépenses des Nations Unies226.
Con l’adozione della risoluzione n. 1731 (XVI) del 1961, l’Assemblea Generale delle
Nazioni Unite aveva richiesto alla Corte Internazionale di Giustizia di determinare se alcune
spese, precedentemente autorizzate dalla stessa Assemblea Generale per finanziare le
operazioni delle Nazioni Unite in Congo e la Forza d’urgenza delle Nazioni Unite in Medio
224 Reports of International Arbitral Awards, vol. XIII, pp. 258–270.225 Vedi supra, p. 69 ss.226 Certaines dépenses des Nations Unies, Avis consultatif du 20 juillet 1962, C.I.G. Recueil, 1962, pp. 151–180.
84
Oriente, potessero essere considerate delle spese dell’organizzazione alla luce dell’art. 17
par. 2 della Carta delle Nazioni Unite227.
La Corte ha rilevato che, al fine di determinare se tali spese fossero effettivamente delle
spese dell’organizzazione ai sensi del suddetto articolo, era necessario considerarle in
rapporto ai fini delle Nazioni Unite: soltanto una spesa in linea con i fini dell’organizzazione
poteva dirsi propria delle Nazioni Unite. La Corte ha inoltre sottolineato che, se una
determinata condotta rilevante nell’ambito delle funzioni dell’organizzazione veniva tenuta
da un organo non competente a farlo, non ne derivava necessariamente che la spesa
sostenuta non fosse una spesa dell’organizzazione visto che:
“le droit national comme le droit international envisagent des cas où une
personne morale, ou un corps politique, peut être lié envers les tiers par l’acte
ultra vires d’un agent”228.
È tuttavia opportuno sottolineare che in tale circostanza la Corte internazionale di
giustizia non ha fatto esplicito riferimento ad un caso di responsabilità internazionale per
fatto illecito.
La Corte non ha infatti espressamente affermato che uno Stato è tenuto a rispondere
nell’ordinamento internazionale dei comportamenti illeciti adottati ultra vires dai propri
organi, bensì ha ricordato il principio generale in base a cui l’irregolarità di una condotta di
un agente può in alcuni casi non inficiare gli obblighi assunti da parte di un soggetto nei
confronti dei terzi.
Sezione III.
LA QUESTIONE DELLA RESPONSABILITÀ DELLO STATO PER FATTI ILLECITI ULTRA VIRES NEI
LAVORI DI CODIFICAZIONE INTRAPRESI TRA IL 1926 ED IL 1930
SOTTO L’EGIDA DELLA SOCIETÀ DELLE NAZIONI
1. Il rapporto del Sottocomitato del Comitato di esperti
Nella lista di argomenti di diritto internazionale da sottoporre a codificazione stilata da
un Comitato di esperti in seno alla Società delle Nazioni figurava anche la responsabilità
227 Yearbook of the United Nations 1961, pp. 510–511 e pp. 569 –572.228 Ibid., pp. 473–477, spec. p. 474.
85
internazionale degli Stati per danni causati sul proprio territorio alla persona o ai beni di
stranieri, il cui studio venne demandato ad un sottocomitato composto da Gustavo Guerrero
e Wang Hui-Chang229. Alla luce della rilevanza che tali lavori hanno assunto con riferimento
alla codificazione del principio della responsabilità internazionale dello Stato per fatti illeciti
ultra vires dei propri organi, si è ritenuto opportuno separare la sua trattazione dalle
ulteriori prese di posizione assunte dagli Stati nel medesimo lasso temporale e di dedicarvi
un’apposita sezione. Il problema di sapere se uno Stato sia tenuto a rispondere a livello
internazionale dei fatti illeciti ultra vires dei propri organi è stato difatti per la prima volta
impostato nel senso di accertare se possono essere riferiti allo Stato sul piano
internazionale.
Il principio dell’impossibilità di riferire allo Stato in ambito internazionale le condotte
tenute ultra vires dagli organi statali è stato inizialmente accolto nel rapporto redatto dal
suddetto sottocomitato nel 1926. Vi si legge:
“if the act of the official is accomplished outside the scope of his
competence, that is to say, if he has exceeded its powers, we are then
confronted with an act which, juridically speaking, is not an act of the State. It
may be illegal, but, from the point of view of international law, the offence
cannot be imputed to the State…”230.
Mentre riconosceva che lo Stato era tenuto a rispondere in ambito internazionale dei
comportamenti adottati dai propri organi nel rispetto delle competenze, Guerrero
considerava che le condotte ultra vires dovevano essere assimilate a quelle dei privati, in
quanto il mancato rispetto dell’ordinamento giuridico dello Stato nel corso dell’esercizio
delle funzioni implicava che gli organi non erano in grado di riflettere la volontà statale231.
Richiamandosi al principio della rilevanza esclusiva del diritto interno al fine di determinare
l’organizzazione dello Stato, Guerrero limitava fortemente il numero delle ipotesi in cui una
condotta era attribuita allo Stato. Potevano riconoscersi come propri dello Stato soltanto i
comportamenti di individui che godevano della qualità organica in base al diritto interno e
229 Si veda supra, p. 13 ss. Con riferimento alla questione della responsabilità dello Stato per I fatti illeciti ultra vires, sembra inoltre opportuno puntualizzare che il rapporto è stato materialmente redatto dal solo membro Guerrero.230 Report of the Sub-Committee , riprodotto in lingua inglese in ROSENNE, League of Nations, Committee of Experts for the Progressive Codification of International Law (1925-1928), vol. 2, Documents, p. 123.231 “…the act of the official, accomplished within the limit of his competence, is, from the point of view of international law, an act of the State, because it constitutes an application of the national law…”. Ibid., p. 123.
86
che avevano agito nel rispetto delle competenze loro attribuite in base a tale
ordinamento232.
Non essendo considerato un fatto statale in ambito internazionale, un comportamento
ultra vires di un organo poteva essere l’occasione del sorgere della responsabilità
internazionale dello Stato soltanto per fatto o omissione propri, cioè nella circostanza in cui
altri organi non assumevano una condotta di prevenzione e repressione imposta dal diritto
internazionale233.
La tesi sostenuta da Guerrero si avvicinava alla posizione assunta da alcuni Stati
dell’America Latina nei precedenti decenni, secondo la quale, in linea con quanto previsto
dall’ordinamento interno, lo Stato non è tenuto a rispondere in ambito internazionale dei
fatti ultra vires dei propri organi.
Sulla base delle medesime premesse teoriche, anche nel rapporto del Sottocomitato si
affermava che possono essere considerati fatti dello Stato in ambito internazionale soltanto
quelle condotte che sono state ad esso attribuite in virtù di norme interne234.
2. Le risposte degli Stati ai punti V, n. 2 b) e 2 c) del questionario redatto dal Comitato di
esperti
Sulla base del rapporto del Sottocomitato, il Comitato di esperti ha elaborato un
questionario che è stato sottoposto all’esame degli Stati membri della Società delle Nazioni
al fine di valutare se la materia potesse tornare oggetto di una convenzione internazionale.
Il problema della responsabilità internazionale dello Stato per le condotte ultra vires dei
propri organi è stata inserito al punto V, N° 2 b) e N° 2 c) del questionario.
Il quesito era così formulato:
232 Guerrero ha sostenuto tale opinione anche in La codification du droit international, La Première Conférence (La Haye, 13 mars – 12 avril 1930), pubblicazioni della Revue générale de droit international public, n. 2, Paris, 1930. Vi si legge: “…an irregularity on the part of an official is an individual act, which is not willed by the State and may even be the result of malice on the part of the official…Act of private persons and acts of officials who exceeded their powers are alike private acts…”. Ibid., p. 109. Guerrero ha fortemente difeso la sua tesi durante il dibattito relativo alla base di discussione N° 13. Vedi infra, p. 97.233 Ibid., p. 124. Sostenitore di una definizione restrittiva di diniego di giustizia, Guerrero sosteneva che questo si limitasse al solo rifiuto di permettere ad uno straniero di far valere i suoi diritti. Ibid., p. 126 e p. 130.234 Per una critica alla tesi sostenuta da Guerrero si veda BORCHARD, Responsibility of States, cit., pp. 743–744; MERON, op. cit., p. 92; PRZETACZNIK, op. cit., p. 139. Le conclusioni del Sottocomitato sono state espressamente rigettate nella sentenza resa nel caso Caire, citata supra, p. 76 ss.
87
“La responsabilité de l’Etat se trouve-t-elle engagée dans les cas suivants et,
dans l’affirmative, quel est le fondement de l’obligation: Actes ou omissions de
fonctionnaires:
(….)
b) Actes accomplis par des fonctionnaires sur le territoire national en
s’autorisant de leur qualité officielle (actes de fonction) mais en dehors de leur
compétence?235
c) Actes accomplis en pays étranger par des fonctionnaires tels que des
agents diplomatiques ou des consuls, agissant dans les limites apparentes de
leur fonctions, mais en les dépassant réellement? ”236.
2.1 Le risposte negative
Gli unici Governi che hanno risposto negativamente al punto V, N° 2 b) della richiesta di
informazioni, assimilando la condotta ultra vires tenuta dagli organi statali al
comportamento di un privato, sono stati quelli ungherese, norvegese e polacco.
Il Governo polacco ha affermato che il fatto illecito ultra vires tenuto da un organo nella
sua qualità ufficiale non può essere considerato “une activité d’Etat comme personne
juridique”237, pertanto la responsabilità internazionale dello Stato può in tal caso sorgere
esclusivamente in caso di mancato rispetto da parte di altri organi di un obbligo di
prevenzione o repressione del comportamento illecito oppure per diniego di giustizia238. Per
quanto concerne invece il punto V, N° 2 c), il Governo polacco ha sostenuto che devono
essere considerati attribuibili allo Stato tutti i comportamenti dei propri agenti diplomatici,
ma non le condotte ultra vires tenute dagli altri suoi funzionari all’estero239.
Anche il Governo norvegese ha sostenuto che lo Stato debba considerarsi responsabile
degli illeciti ultra vires soltanto nel caso di illeciti commessi dai propri rappresentanti
all’estero, negando invece tale possibilità per quelli compiuti da propri organi sul territorio
nazionale.
Il Governo ungherese ha fornito una risposta negativa al quesito posto dal questionario,
ritenendo non attribuibili allo Stato come soggetto internazionale tutti i fatti illeciti degli
235 SdN, Bases de discussion, cit., p. 74.236 Ibid., p. 78.237 SdN, Bases de discussion, cit., p. 77.238 Il Governo polacco si è esplicitamente riferito alla quarta conclusione del rapporto del sottocomitato, affermando che “L’admission de la responsabilité pourrait survenir dans des cas exceptionnels, prévus au point 4 des thèses du Comité d’expert….”. Ibid., p. 77.239 SdN, ibid., p. 81.
88
organi statali indipendentemente dal rispetto delle disposizioni di diritto interno in tema di
competenza:
“Il est vrai qu’il existe également dans le droit international l’opinion que les
actes des personnes autorisées à représenter l’Etat (par exemple, ses
représentants à l’étranger) peuvent directement établir la responsabilité
internationale des Etats…Toutefois, cette opinion n’est pas encore
généralement reconnue dans la pratique internationale"240.
2.2 Le risposte positive
La maggioranza degli Stati ha invece risposto positivamente ad entrambi i quesiti posti
nel questionario. Molti hanno difatti risposto positivamente al quesito formulato dal punto
V, N° 2b), rigettando le conclusioni formulate dal Sottocomitato241, ed hanno fornito una
risposta analoga anche con riferimento al punto V, N° 2c)242.
È curioso notare che il Sottocomitato ha redatto la domanda nel punto V, N° 2b) in
maniera differente rispetto a quella relativa al punto V, N° 2 c). Solamente con riferimento a
questo ultimo punto viene fatta menzione della possibilità di attribuire allo Stato i
comportamenti adottati da un organo che, nonostante l’effettivo superamento dei limiti
delle proprie funzioni, appaiono come tenuti nel rispetto della competenza. È
probabilmente per tale ragione che numerosi Governi hanno fatto menzione di tale criterio
nel riconoscere il principio dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires degli organi statali.
Ad esempio, secondo il Governo austriaco:
“l’Etat est directement responsable des dommages causés à des étrangers
par des actes contraires au droit des gens et effectués par ses organes
effectivement ou apparemment dans l’accomplissement de leurs devoirs”243.
240 Ibid., p. 83.241 I Governi di dodici Stati si sono esplicitamente espressi in senso favorevole a tale quesito: Africa del Sud, Bases de discussion, p. 74; Australia, ibid.; Austria, ibid., p. 75; Belgio, ibid.; Finlandia, ibid., p. 76; Gran Bretagna, ibid.; India, ibid.; Giappone, ibid.; Nuova Zelanda, ibid., p. 77; Paesi Bassi, ibid.; Canada, ibid., supplement au tome III, p. 3; Germania, ibid., pp. 168-169.242 SdN, Bases de discussion, pp. 78-81. Il Governo norvegese ha invece ammesso, come abbiamo visto, che lo Stato è tenuto a rispondere in ambito internazionale dei comportamenti ultra vires dei propri organi all’estero, ibid., p. 81.243 SdN, Bases de discussion, p. 75. Il Governo austriaco ha presentato delle osservazioni simili anche con riferimento al punto V, N° 2a), SdN, ibid., p. 71.
89
Alla luce di tale risposta, possono considerarsi fatti dello Stato quale soggetto
internazionale le sole condotte ultra vires di un organo che appaiono ai terzi come tenute
nella propria qualità ufficiale. La condizione attributiva dell’apparenza della funzione sembra
dare grande rilievo alla prospettiva della vittima che, al momento del compimento del fatto
illecito, può avere commesso in buona fede un plausibile errore di apprezzamento.
Nonostante il superamento dei limiti delle funzioni, le condotte dell’organo appaiono ai terzi
come tenute nel rispetto della competenza. Nel paragrafo successivo il Governo austriaco ha
espresso il logico corollario del criterio attributivo dell’apparenza della funzione, sostenendo
che lo Stato non è invece tenuto a rispondere in ambito internazionale dei fatti dei propri
organi nel caso in cui, pur avendo agito in qualità ufficiale, hanno tenuto una condotta al di
fuori delle proprie competenze in maniera manifesta244.
Mentre alcuni Governi sembrano aver implicitamente appoggiato la condizione
attributiva dell’apparenza della funzione semplicemente rispondendo in maniera
affermativa alla domanda posta al punto V, n°2c)245, i Governi dell’Australia246, del Belgio247,
della Gran Bretagna248 e del Giappone249 hanno fatto esplicito riferimento alla condizione
attributiva dell’apparenza della funzione riprendendo fedelmente la formula proposta dal
Sottocomitato con riferimento al punto V, N° 2 c). I Governi della Bulgaria, della Danimarca,
della Cecoslovacchia e degli Stati Uniti non hanno invece preso chiaramente posizione con
riferimento a tale questione250.
3. La base di discussione N° 13 elaborata dal Comitato preparatorio della Conferenza per la codificazione progressiva del diritto internazionale e le posizioni degli Stati nella Conferenza
Dall’analisi delle risposte fornite dai Governi, il Comitato preparatorio ha desunto che la
maggioranza degli Stati era favorevole al principio dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra
vires tenuti dai propri organi in virtù dell’esigenza di garantire la sicurezza delle relazioni
internazionali. Se lo Stato non fosse stato ritenuto responsabile nell’ordinamento
internazionale delle condotte illecite tenute dagli organi (nel proprio territorio come
all’estero) nel mancato rispetto delle disposizioni di diritto interno riguardanti la loro 244 SdN, Bases de discussion, p. 75 e p. 179.245 Così la risposta del Sud Africa, SdN, Bases de discussion, p. 78 e quella fornita dal Governo norvegese, ibid., p. 78.246 SdN, Bases de discussion, p. 78.247 Ibid., p. 78.248 Ibid., p. 80. I Governi dell’India e della Nuova Zelanda si sono associati all’opinione espressa dal Governo britannico.249 Ibid., p. 80.250 SdN, Bases de discussion, p. 75 e p. 78 (Bulgaria), p. 75 e pp. 78-79 (Danimarca), p. 77 e p. 81 (Cecoslovacchia) e SdN, ibid., supplément au tome III, pp. 16-17 (Stati Uniti).
90
competenza sarebbe stato eccessivamente limitato l’intero regime della responsabilità
internazionale251.
Sulla base delle risposte fornite dagli Stati al punto V, N° 2b), il Comitato preparatorio ha
redatto la base di discussione N° 13 che è stata successivamente presa in considerazione nel
corso della Conferenza per la codificazione del diritto internazionale del 1930. Il testo di tale
base di discussione era il seguente:
“La responsabilité de l’Etat se trouve engagée si le dommage subi par un
étranger résulte d’actes accomplis par ses fonctionnaires, même en dehors de
leur compétence, mais en s’autorisant le leur qualité officielle, lorsque ces actes
sont contraires aux obligations internationales de l’Etat”252.
Prendendo atto delle osservazioni formulate dagli Stati con riferimento al punto V, N° 2
c) della richiesta di informazioni, il Comitato preparatorio ha invece indicato che è
sufficiente che un agente diplomatico o consolare adotti un comportamento che rientri
“dans les limites apparentes des fonctions” affinché lo Stato sia tenuto a risponderne sul
piano internazionale253. Alla luce di tali risposte ha poi redatto la base di discussione n° 14,
che però non è stata esaminata per mancanza di tempo. Tale base di discussione prevedeva
che:
“Les actes accomplis par les fonctionnaires d’un Etat en pays étranger (tels
que les agents diplomatiques ou les consuls) agissant dans les limites
apparentes de leur fonctions sont imputables à cet Etat et peuvent, à ce titre,
engager la responsabilité de celui-ci”254.
251 Osservazioni al punto V, N° 2b), Bases de discussion, p. 78. Sembra interessante notare che in dottrina numerosi autori si sono espressi nello stesso senso. Così JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA: “…State responsibility would become illusory since a State official is hardly instructed or authorized to commit wrongful acts..”, in International Law in the Past Third of a Century, cit., p. 277; CONDORELLI: “…si une telle excuse devait être admise, ceci reviendrait pratiquement à abolir le régime de la responsabilité internationale tout entier”, op. cit., p. 81; BRIERLY: “Si l’on adoptait cette règle restrictive, la responsabilité de l’Etat serait grandement limitée, car, dans la plupart des cas où un dommage est causé à un étranger par l’action d’un fonctionnaire, on trouvera que celui-ci a agi contrairement aux lois de l’Etat auquel il appartient et, par conséquent, en dehors de sa propre compétence ou autorité”, in Règles générales du droit de la paix, p. 172.252 SdN, Actes de la Conférence, cit., Allegato 1, p. 198.253 Ibid., p. 82.254 SdN, ibid., p. 198.
91
Proprio a causa delle importanti divergenze sorte in seno alla Terza Commissione con
riferimento a tale base di discussione, il delegato italiano ha proposto di sospendere il
dibattito e di trattare l’annosa questione in una ulteriore conferenza255.
3.1 Le posizioni critiche rispetto all’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires
Nel corso del dibattito in seno alla Conferenza per la codificazione del diritto
internazionale alcuni Stati hanno proposto di eliminare la base di discussione n° 13. Tale
proposta è stata avanzata ad esempio dal delegato del Governo messicano, Suarez, il quale
aveva anticipato la tesi dell’impossibilità di attribuire allo Stato i comportamenti adottati dai
propri organi ultra vires già nel dibattito relativo alla base di discussione n° 12 riguardante la
responsabilità dello Stato per le condotte tenute entro i limiti della competenza256.
Il delegato egiziano, Badawi Pacha, si è egualmente espresso a favore dell’eliminazione di
tale base di discussione in ragione della mancanza di una distinzione tra organi subordinati e
superiori ai fini dell’attribuzione di fatti allo Stato. A suo parere soltanto gli organi superiori
sarebbero stati in grado di esprimere la volontà statale: pertanto tutti i loro comportamenti
potevano essere considerati fatti statali nell’ordinamento internazionale
indipendentemente dal rispetto dei limiti della competenza stabiliti dal diritto interno:
“Dans ce domaine, on ne peut pas se détacher de l’idée, qu’on doit
considérer que l’organe officiel qui engage la responsabilité de l’Etat
internationalement, doit être capable d’exprimer la volonté de l’Etat….Mais
tandis que j’admets sans difficulté qu’un fonctionnaire supérieur exprime la
volonté de l’Etat, j’ai les plus grandes difficultés à considérer de même les
fonctionnaires subalternes”257.
Il delegato rumeno, Sipsom, ha invece giustificato la sua proposta di eliminazione della
base di discussione in virtù del fatto che l’organo incompetente non può per definizione
rappresentare lo Stato e pertanto i comportamenti di un organo che contravviene alle
disposizioni di diritto interno in tema di competenza devono essere assimilati a quelli di
semplici privati, non essendo in grado di esprimere validamente la volontà statale:
255 SdN, Actes de la Conférence, cit., p. 88.256 SdN, Actes de la Conférence, cit., pp. 82-83. Questa presa di posizione riflette le argomentazioni che il Governo messicano ha tentato di far valere in occasione di varie controversie. Si vedano ad esempio i casi Caire e Youmans, supra, p. 74 ss.257 Ibid., p. 97.
92
“L’incompétent par définition ne représente pas l’Etat dans une telle
manifestation; ce n’est pas en tant que délégué ou représentant de l’Etat qu’il
commet cet acte. Donc, ne représentant pas l’Etat, il ne peut pas l’engager et
ne peut le rendre responsable de l’Inexécution d’une obligation internationale
qu’il n’a pas la charge de remplir. Qu’est le fonctionnaire incompétent au
regard d’un tel acte? Un simple particulier…je crois devoir me rallier à l’opinion
de ceux qui demandent la suppression de la base de discussion N° 13, ce qui
impliquera que, dans le cas d’incompétence, l’Etat n’est pas responsable”258.
Le proposte di soppressione della base di discussione N°13 si fondavano sull’idea che un
organo statale che non è in grado di esprimere validamente la volontà dello Stato non può
con la propria condotta far sorgere la sua responsabilità internazionale. Mentre per il
Governo egiziano solo gli organi superiori che agivano ex qualitate erano in grado di
rappresentare validamente la volontà statale, indipendentemente dalla qualificazione del
comportamento tenuto come ultra vires o meno, per il Governo rumeno invece, spettando
al diritto interno regolare l’attribuzione di un comportamento dell’individuo-organo allo
Stato, è proprio l’aver agito ultra vires a renderlo un puro atto individuale.
Nel corso del dibattito Gustavo Guerrero, in qualità di delegato del Salvador, ha
continuato a sostenere la tesi da lui espressa nel rapporto del Sottocomitato e ha proposto
di sostituire il testo della base di discussione n° 13 con uno nuovo in cui veniva enunciata
l’impossibilità di riconoscere lo Stato responsabile per i comportamenti illeciti tenuti dagli
organi ultra vires:
“La responsabilité de l’Etat ne se trouve pas engagée si le dommage subi par
un étranger résulte d’actes accomplis par ses fonctionnaires en dehors de leur
compétence même en s’autorisant de leur qualité officielle ”259.
Le proposte di eliminazione della base di discussione n° 13, una volta messe ai voti in
seno alla Terza Commissione, sono state rigettate dalla maggioranza degli Stati e Guerrero
ha ritirato il testo da lui proposto260.
258 SdN, Actes, pp. 99-100. Riprendendo una comparazione fatta da Guerrero durante il dibattito, il delegato rumeno ha sostenuto che, nel caso in cui uno Stato fosse chiamato a rispondere internazionalmente delle condotte ultra vires dei propri organi, esso diverrebbe una sorta di enorme compagnia assicurativa chiamata a risarcire tutti i danni subiti dagli stranieri per mano sia dei propri organi che dei privati. Ibid., p. 99.259 Ibid., p. 88.260 SdN, ibid., p. 102.
93
3.2 L’orientamento favorevole al principio dell’attribuzione dei fatti ultra vires
accolto nella base di discussione N° 13
Il principio dell’attribuzione allo Stato delle condotte tenute ex officio dai propri organi in
violazione delle istruzioni ricevute, della propria competenza secondo il diritto interno o
comunque in violazione del diritto interno è stato accolto dalla maggioranza degli Stati al
termine di un acceso dibattito in seno alla terza Commissione della Conferenza di
Codificazione261. Tra le delegazioni che hanno approvato la base di discussione N° 13,
numerose hanno motivato la loro opinione.
Il delegato del Sud Africa, ad esempio, ha sostenuto che lo Stato è tenuto a rispondere in
ambito internazionale dei fatti illeciti ultra vires dei propri organi in ragione di un suo
mancato opportuno controllo sul loro operato. Il fondamento del riconoscimento di tali
comportamenti come fatti statali risiede in un omesso controllo da parte di altri organi, che
ha avuto l’effetto di far partecipare lo Stato alla commissione dell’illecito. In un
emendamento proposto con riferimento alla base di discussione n° 13, il delegato
sudafricano ha avuto modo di precisare che la responsabilità internazionale dello Stato per
comportamenti ultra vires può sorgere solo se esso, pur possedendo i mezzi per poter
impedire la sua adozione, non ha mostrato un livello di diligenza congruo ad uno Stato
civilizzato262.
La teoria appena esposta si differenzia da quella secondo cui può sorgere la
responsabilità internazionale dello Stato all’occasione di una condotta ultra vires di un
proprio organo in base alla mancata prevenzione o repressione del fatto illecito oppure per
diniego di giustizia, in quanto considera comunque un tale comportamento un fatto dello
Stato.
Guerrero ha fortemente criticato la tesi sostenuta dal delegato sud africano in quanto a
suo parere, nonostante lo Stato abbia l’obbligo di vigilare sul buon funzionamento della
261 Alcuni Stati hanno sostenuto il principio enunciato dalla base di discussione N° 13 senza però motivare la loro posizione. Tra gli altri si veda la Germania, ibid., p. 87; gli Stati Uniti, loc. cit.; l’Italia, ibid., p. 88; il Portogallo, ibid., p. 93; la Svizzera, ibid., pp. 94-95; i Paesi Bassi, ibid., pp. 97-98; la Gran Bretagna, ibid., p. 100; la Grecia, ibid., p. 225; la Spagna, ibid., p. 217.262 Secondo la delegazione del Sud Africa, la responsabilità internazionale di uno Stato può sorgere “si l’Etat avait le moyen d’empêcher l’abus de pouvoir en montrant, dans la direction de ses services et le contrôle de ses fonctionnaires, la diligence que, compte tenu des circonstances, on pouvait attendre d’un Etat civilisé”, “Observations et propositions”, cit., pp. 202–203.
94
propria organizzazione interna, esso non è tenuto a rispondere sul piano internazionale dei
comportamenti ultra vires dei propri organi dal momento che non sono in grado di
rappresentare validamente la volontà statale. La responsabilità internazionale potrebbe
pertanto sorgere in occasione di una tale condotta soltanto se ulteriori organi omettessero
di punire coloro che avevano tenuto il comportamento in ragione dell’assenza di una
legislazione adeguata o di una mancata diligenza da parte della autorità. Il fatto attribuibile
allo Stato e fonte della sua responsabilità internazionale non sarebbe quindi la condotta
ultra vires, bensì il comportamento illecito tenuto in sua occasione da parte di ulteriori
organi statali263.
Il delegato dell’India ha invece affermato la responsabilità internazionale dello Stato per
comportamenti ultra vires dei propri organi in virtù della teoria del rischio statale264. Sulla
base dell’assunto che i danni derivanti da un’imperfezione del sistema governativo devono
essere supportati dall’intera comunità anziché da singoli individui, egli arrivava a riconoscere
un obbligo per lo Stato di rispondere nell’ordinamento internazionale delle condotte ultra
vires dei propri organi derivanti da carenze della sua organizzazione interna265.
De Visscher, in qualità di delegato del Belgio, ha sostenuto che il comportamento di un
organo che ha ecceduto la propria competenza non può essere considerato un fatto dello
Stato. Partendo da tale assunto, egli però giungeva ad ammettere che lo Stato è tenuto a
riparare i danni commessi da un proprio organo sulla base del legame intercorrente tra
l’organo responsabile e lo Stato che lo ha istituito, indipendentemente dalla circostanza che
questo abbia agito nel rispetto della propria competenza.
Il fondamento della responsabilità internazionale dello Stato per comportamenti ultra
vires dei propri organi risiederebbe a suo parere nella esigenza di garantire la sicurezza delle
relazioni internazionali che diverrebbe del tutto illusoria nel caso in cui uno Stato potesse
sottrarsi alla sua responsabilità internazionale facendo valere il mancato rispetto da parte
dell’organo delle disposizioni di diritto interno266.
La responsabilità internazionale dello Stato fondata sulla sicurezza delle relazioni
internazionali ha una natura prettamente oggettiva, “fondée sur le seul rapport de causalité
entre l’activité d’un Etat et le fait contraire au droit international”267.
263 GUERRERO, La codification du droit international, cit., pp. 112-113.264 Per un approfondimento della teoria del rischio statale si veda VON MÜNCH, op. cit., p. 173; GIERKE, Die Genossenschaftsttheorie und die deutsche Rechtsprechung, Berlin, 1887, pp. 743 – 809; BORCHARD, Responsibility of States, cit., p. 519.265 SdN, Actes de la Conférence, cit., pp. 93-94266 SdN, Actes de la Conférence, cit., pp. 98 – 99. Si veda anche DE VISSCHER, La responsabilité des Etats, cit., p. 92.267 Ibid., p. 92.
95
Ricordando che uno straniero non è tenuto a conoscere “exactement les limites de la
compétence du fonctionnaire”, il delegato svizzero, Dinichert, ha affermato che lo Stato è
tenuto a rispondere sul piano internazionale delle condotte dei propri organi “aussi
longtemps que l’incompétence n’apparaît pas d’une manière manifeste”268. Dopo aver poi
sostenuto che la responsabilità internazionale dello Stato deve essere ammessa con
riferimento alle condotte illecite tenute dai propri organi nel quadro apparente delle loro
funzioni, il delegato svizzero ha fatto allusione anche alla base di discussione N° 14,
affermando che i medesimi principi dovevano essere ammessi senza alcuna distinzione sia
con riferimento ai funzionari sul suolo nazionale sia ai diplomatici o consoli all’estero269.
Nonostante il diritto interno francese non prevedesse la responsabilità dello Stato per i
comportamenti irregolari dei propri organi, il delegato della Francia ha invece sostenuto che
lo Stato deve rispondere nell’ordinamento internazionale dei loro fatti illeciti ultra vires in
virtù della circostanza che gli stranieri non hanno la possibilità di partecipare
all’organizzazione interna dello Stato e non devono pertanto essere chiamati a subire le
conseguenze di comportamenti di organi che non hanno scelto270.
Il delegato del Governo francese ha inoltre chiarito che ai fini del sorgere della
responsabilità internazionale di uno Stato per fatto illecito tenuto da un organo al di là delle
proprie competenze è necessario che lo straniero abbia potuto credere che questo stesse
agendo nell’esercizio delle proprie funzioni. Riprendendo la tesi sostenuta dal Governo
svizzero, egli ha affermato che :
“…pour que la responsabilité de l’État soit engagée il faut que l’acte commis
par le fonctionnaire en dehors de sa compétence l’ait été dans des conditions
telles que l’étranger ait pu croire que le fonctionnaire agissait dans l’exercice de
ses fonctions….L’élément essentiel, en pareille matière, c’est la tromperie dont
l’étranger a pu être victime. Il faut que l’étranger, peu au courant des moeurs,
des usages, de l’organisation administrative du pays dans lequel il vit, ait pu
croire que l’agent de l’administration agissait dans l’exercice de ses
fonctions”271.
268 SdN, Actes de la Conférence, cit., p. 95.269 SdN, ibid., p. 94 e p. 234.270 SdN, Actes de la Conférence, cit., p. 96. La teoria della mancata partecipazione dello straniero all’organizzazione interna dello Stato al fine di non ammetterne la responsabilità internazionale per fatti illeciti ultra vires dei propri organi è stata fortemente criticata da Guerrero. A suo parere se tale teoria fosse stata riconosciuta come valida si sarebbe potuti giungere a sostenere che uno straniero non è tenuto a rispettare le leggi di uno Stato in quanto non ha preso parte alla sua elaborazione. GUERRERO, La codification du droit international, Paris, Pedone, 1930, pp. 114 -115.271 SdN, Actes de la Conférence, cit., p. 97. I delegati del Belgio e dell’Italia hanno egualmente approvato la presa di posizione della Svizzera. Si veda SdN, ibid., pp. 98-99 e p. 101.
96
Potrebbero quindi essere attribuiti allo Stato soltanto quei comportamenti adottati da un
organo che, nonostante l’effettivo superamento dei limiti delle proprie funzioni, appaiono ai
terzi come tenuti nel rispetto della competenza. La condizione attributiva dell’apparenza
della funzione finirebbe per dare rilievo al punto di vista della vittima, che, al momento del
compimento del fatto illecito, ha commesso in buona fede un errore di apprezzamento. Il
corollario di tale criterio risiede quindi nell’impossibilità di considerare come fatti dello Stato
nell’ordinamento internazionale i comportamenti illeciti adottati dai propri organi nel caso
in cui la vittima avesse potuto rendersi conto della loro effettiva incompetenza.
Il delegato statunitense, pur condividendo la tesi della responsabilità internazionale dello
Stato per le condotte ultra vires dei propri organi, riteneva che la formulazione della base di
discussione N° 13 non fosse del tutto corretta. A suo parere, il criterio risultava
eccessivamente restrittivo là dove stabiliva che uno Stato deve ritenersi internazionalmente
responsabile di un comportamento ultra vires di un proprio organo solo nel caso in cui abbia
effettivamente agito nel quadro generale delle competenze, essendo invece sufficiente a
suo avviso ai fini attributivi che abbia agito ex officio. Allo stesso tempo reputava che lo
Stato non fosse tenuto a rispondere in ambito internazionale delle condotte tenute
dall’organo manifestamente fuori dall’ambito della propria competenza, non esistendo
alcun tipo di legame tra il comportamento e la funzione ufficiale svolta272.
Un altro Stato tra quelli sostanzialmente favorevoli al principio enunciato nella base di
discussione N° 13, ma che ne ha criticato la formulazione, è stato il Giappone, il cui delegato
ha sottolineato che doveva essere ammessa l’attribuzione di fatti ultra vires allo Stato solo
nell’eventualità in cui l’organo apparisse all’esterno come aver agito nella sua qualità
ufficiale273.
3.3 L’emendamento proposto dalla delegazione svizzera
Pur ammettendo il principio della responsabilità internazionale dello Stato per i fatti
illeciti ultra vires dei propri organi, alcuni Stati hanno ritenuto che non si trattasse di un
principio assoluto.
Il primo Stato ad aver proposto una limitazione è stato l’Austria nell’ambito della sua
risposta al punto V, N° 2b) della richiesta di informazioni preparata dal Comitato di esperti.
272 SdN, Actes de la Conférence, cit., p. 87.273 SdN, Actes de la Conférence, cit., p. 98.
97
Secondo il Governo austriaco, uno Stato è tenuto a rispondere in ambito internazionale
dei comportamenti illeciti adottati ultra vires dagli organi statali soltanto se almeno in
apparenza hanno agito nell’esercizio delle proprie funzioni. Nel paragrafo successivo, la
medesima idea è stata espressa in forma negativa, per cui viene escluso che uno Stato sia
internazionalmente responsabile delle condotte illecite tenute dai propri organi nel caso in
cui la loro incompetenza risulta manifesta274.
Riprendendo la formula negativa proposta dal Governo austriaco, la delegazione svizzera
ha successivamente presentato alla Terza Commissione un emendamento alla base di
discussione N° 13 che prevedeva di escludere la responsabilità internazionale dello Stato
nell’ipotesi in cui l’incompetenza dell’organo era manifesta o il comportamento da esso
adottato non aveva alcun tipo di rapporto con la sua funzione275.
La motivazione addotta dal Governo svizzero a favore di una tale limitazione del principio
si basa sulla circostanza che uno straniero non ha la possibilità di conoscere gli esatti limiti
della competenza di un organo come stabiliti dal diritto interno. Uno Stato pertanto non
sarà tenuto a rispondere dei comportamenti illeciti dei propri organi nel caso in cui la loro
manifesta incompetenza permetteva allo straniero di sfuggire agli effetti dannosi provocati
dall’abuso di potere del funzionario.
Allo stesso tempo, però, la responsabilità internazionale dello Stato non sorge nei casi in
cui :
“on se trouve en présence d’un fonctionnaire se comportant de telle
manière qu’on puisse dire que, sans aucun doute il ne peut pas agir
conformément aux instructions qu’il doit avoir reçues…à supposer, bien
entendu, que l’incompétence manifeste qui apparaît à l’étranger, permit à cet
étranger, de telle ou de telle manière, d’échapper aux effets dommageables de
l’abus de pouvoir du fonctionnaire”276.
Numerose delegazioni hanno approvato l’emendamento svizzero, ritenendo insufficiente
la base di discussione N°13277. Tra di esse sembra opportuno citare quella del Governo
olandese, il cui delegato ha fatto presente che, ai fini del sorgere della responsabilità
internazionale dello Stato, è necessario prendere in considerazione un elemento soggettivo,
274 SdN, Bases de discussion, cit., p. 75 e p. 179.275 SdN, Actes, cit., p. 94 e p. 234.276 Ibid., p. 95.277 Il delegato del Governo francese ha proposto una differente formulazione dell’emendamento svizzero: “Si son erreur (dell’organo) est si grossière, si manifeste, qu’elle éclate à des yeux tant soit peu avertis, il me paraît constant que la responsablité de l’Etat ne peut être engagée”. Ibid., p. 96.
98
consistente nel chiedersi se lo straniero aveva realmente la possibilità di rendersi conto
dell’incompetenza dell’organo278.
Anche il delegato del Governo belga, De Visscher, ha ritenuto necessario prevedere una
limitazione al principio della responsabilità internazionale dello Stato per i fatti illeciti ultra
vires dei propri organi: uno straniero può rendersi conto quando un organo agisce
eccedendo la propria competenza in maniera evidente e deve pertanto sopportarne le
conseguenze nel caso in cui abbia cercato di trarne vantaggio279.
Una delegazione che si è invece fermamente opposta all’approvazione
dell’emendamento è stata quella sudafricana, sulla base del fatto che un tale limite al
principio generale avrebbe potuto costituire una scappatoia per gli Stati, i quali avrebbero
potuto in numerosi casi sfruttarla al fine di sfuggire alla propria responsabilità
internazionale280. Considerando il criterio di attribuzione dell’aver agito nella propria qualità
ufficiale eccessivamente restrittivo281, il delegato del Sud Africa ha inoltre proposto un
emendamento che prevedeva che lo Stato deve rispondere nell’ordinamento internazionale
dei comportamenti adottati dai propri organi “in the exercise of official power” e nel caso in
cui manchi al proprio obbligo di sorveglianza e di controllo282. In tale ultima circostanza
naturalmente lo Stato sarebbe comunque internazionalmente responsabile per un fatto o
omissione propri, anche se l’offesa viene materialmente rappresentata da un fatto compiuto
da un individuo-organo nella sua qualità privata.
3.4 L’articolo 8, par. 2, al.1 adottato in prima lettura dalla Terza Commissione
La base di discussione N° 13, come emendata su proposta della Svizzera, è stata
approvata dalla Terza Commissione il 25 marzo 1930 ed è stata successivamente inviata al
Comitato di redazione, il quale ne ha fatto confluire il testo in quello che sarebbe divenuto
l’art. 8, par. 2, del progetto di articoli adottato in prima lettura dalla Terza Commissione
della Conferenza:
278 Il delegato del Governo olandese ha dichiarato di essere disposto ad accettare l’emendamento svizzero a patto che fosse in tal modo modificato: “Dans le cas cependant où un fonctionnaire aurait agi en dehors de sa compétence, la responsabilité de l’Etat ne serait pas engageé au cas où l’étranger aurait dû comprendre que l’incompétence du fonctionnaire était manifeste ou que l’acte commis par lui n’avait aucun rapport avec sa fonction”. Ibid., p. 98.279 Ibid., p. 98.280 Ibid., pp. 98–99.281 Secondo il delegato sudafricano, basandosi soltanto sul criterio attributivo della qualità ufficiale, uno Stato riuscirebbe a sfuggire facilmente alla propria responsabilità internazionale nel caso in cui gli organi, abusando dei mezzi messi loro a disposizione in virtù della funzione svolta, fanno chiaramente sapere alla vittima che stanno tenendo la condotta nella propria qualità privata. Ibid., p. 86.282 Ibid., 86.
99
“La responsabilité internationale de l’Etat se trouve également engagée si le
dommage subi per un étranger résulte d’actes contraires aux obligations
internationales de l’Etat accomplis par ses fonctionnaires en dehors de leur
compétence, mais sous le couvert de leur qualité officielle ”283.
La limitazione al principio generale è stata inserita nel secondo capoverso dell’art. 8, nel
par. 2 e prevede che:
“Toutefois, la responsabilité internationale de l’Etat ne sera pas engagée si
l’incompétence du fonctionnaire était si manifeste que l’étranger devait s’en
rendre compte et pouvait, de ce fait, éviter le dommage”284.
A causa dei numerosi dissensi sorti, la Terza Commissione ha rinunciato a presentare alla
Conferenza delle conclusioni relative alla responsabilità degli Stati per danni causati sul loro
territorio alla persona o ai beni degli stranieri285.
4. Riflessioni conclusive circa l’evoluzione della prassi internazionale
A partire dall’inizio del ventesimo secolo la prassi degli Stati e la giurisprudenza
internazionale hanno progressivamente riconosciuto il principio della responsabilità
internazionale dello Stato per i comportamenti tenuti ex officio dai propri organi in
violazione di istruzioni ricevute, della propria competenza secondo il diritto interno o
comunque in violazione del diritto interno. Tale evoluzione si collega alla considerazione
dell’impossibilità per uno Stato di invocare una disposizione del proprio ordinamento al fine
di sottrarsi alla responsabilità internazionale. Sembrano pertanto ampiamente superate le
tesi che riconoscevano rilevanza esclusiva al diritto interno al fine di determinare
l’attribuzione dell’illecito internazionale allo Stato, secondo cui dovevano ammettersi come
propri dello Stato soltanto i comportamenti adottati intra vires da individui o enti dotati
della qualità organica in base al diritto interno.
283 SdN, Actes de la Conférence, cit., p. 238.284 Ibid., p. 238. Secondo Borchard, tale limitazione è stata inserita soltanto per venire incontro alle esigenze degli Stati che si erano opposti al principio della responsabilità internazionale dello Stato per i fatti illeciti ultra vires dei propri organi. BORCHARD, Responsibility of States, cit., p. 531.285 L’attribuzione allo Stato dei comportamenti ultra vires dei propri organi è stata una delle questioni che ha maggiormente ostacolato i lavori di codificazione della Conferenza. Si veda VON MÜNCH, op. cit., p. 174.
100
È opportuno notare come, anche nella prassi internazionale dei primi anni del ventesimo
secolo, il problema dei fatti illeciti internazionali ultra vires venga ancora posto soltanto nel
senso di accertare se lo Stato sia tenuto a risponderne internazionalmente, piuttosto che
indagare la possibilità di considerarli fatti dello Stato quale soggetto di diritto internazionale.
Il principio della responsabilità dello Stato per i fatti illeciti ultra vires dei propri organi
non può comunque definirsi ancora pienamente cristallizzato all’inizio del novecento. Per
quanto concerne le prese di posizione degli Stati, ad esempio, tale principio veniva
generalmente invocato dallo Stato leso, al fine di rivendicare la responsabilità internazionale
dello Stato il cui organo aveva commesso il fatto. Ciò a riprova del fatto che, nella
corrispondenza diplomatica, le considerazioni di stampo giuridico sono spesso legate alle
particolarità del caso di specie e alle ragioni di natura prettamente politica.
Per quanto concerne la giurisprudenza internazionale, le decisioni rese dalle Commissioni
miste dei reclami nell’ambito degli arbitrati venezuelani possono considerarsi una sorta di
“trait d’union” tra la giurisprudenza del diciannovesimo e quella del ventesimo secolo in
quanto, nonostante non venga più prevista un’assimilazione dei fatti illeciti ultra vires degli
organi statali a comportamenti di privati, in alcune circostanze la responsabilità
internazionale dello Stato è fatta dipendere dall’atteggiamento adottato da parte del
Governo rispetto alla condotta illecita non autorizzata, quale ad esempio il suo mancato
esplicito disconoscimento.
Nonostante non si faccia ancora menzione dell’attribuzione di condotte allo Stato, a
partire dalle decisioni rese dalle Commissioni miste dei reclami con riferimento alle
controversie sorte tra la Repubblica del Venezuela e numerosi cittadini stranieri ivi residenti,
si è ammesso che la responsabilità internazionale dello Stato per i fatti illeciti ultra vires dei
propri organi sorga non in virtù del fatto che ulteriori organi statali hanno omesso di
adottare le misure idonee a prevenire o reprimere tali comportamenti, bensì alla luce della
circostanza che per il diritto internazionale tali fatti fossero riferibili allo Stato.
Le pronunce più significative, che rappresentano il punto di arrivo dell’evoluzione e
dell’affermazione progressiva del principio della responsabilità dello Stato per le condotte
tenute dagli organi statali pur nel mancato rispetto dei limiti della competenza, sono state
rese a partire dagli anni venti del ventesimo secolo.
Al fine del sorgere della responsabilità internazionale dello Stato per comportamenti
tenuti dai suoi organi ultra vires, è stato ritenuto necessario che questi avessero agito
almeno in apparenza nel rispetto delle competenze previste dal diritto interno oppure si
fossero avvalsi di mezzi messi loro a disposizione in virtù della funzione svolta.
101
Se ne desume che nel caso in cui un organo agisce nella sua qualità ufficiale, il fatto che il
comportamento è stato adottato al di fuori della sua competenza risulta in sé irrilevante ai
fini del sorgere della responsabilità internazionale dello Stato, il quale non è tenuto a
rispondere nell’ordinamento internazionale delle condotte dei propri organi soltanto nel
caso in cui siano prive di una connessione con la funzione ufficiale e siano state quindi
tenute a titolo privato.
Egualmente, nell’ambito dei lavori di codificazione avvenuti sotto l’egida della Società
delle Nazioni, la maggioranza degli Stati ha rigettato la tesi di Guerrero secondo cui le
condotte ultra vires degli organi non potevano essere considerate fatti statali
nell’ordinamento internazionale.
Mentre alcuni Stati hanno reputato che condotte tenute da funzionari nel territorio
nazionale, servendosi della propria qualità ufficiale ma eccedendo i limiti della propria
competenza, dovessero essere assimilati ad atti di privati in quanto non rappresentativi della
volontà statale, la maggioranza ha affermato il principio generale della responsabilità
internazionale dello Stato per fatti illeciti ultra vires dei propri organi.
Dal momento che il diritto internazionale impone allo Stato l’obbligo di organizzarsi in
maniera adeguata e di esercitare un controllo sufficiente sull’attività dei propri organi, si
arrivava a concludere che un comportamento illecito non autorizzato da essi tenuto dovesse
comportare la responsabilità internazionale dello Stato in ragione della sua partecipazione
all’esecuzione del fatto, in virtù del suo omesso controllo o sorveglianza sui propri organi.
Rifacendosi alla teoria del rischio statale, lo Stato doveva quindi rispondere
internazionalmente di tali fatti illeciti in quanto erano frutto di carenze della propria
organizzazione interna. Poichè soltanto lo Stato gode della facoltà di scegliere quali individui
o enti dotare dello status organico, questi aveva come contropartita il dovere di sopportare
in ambito internazionale le conseguenze delle proprie scelte. La responsabilità
internazionale dello Stato, nell’ipotesi dei fatti illeciti ultra vires dei suoi organi, si fondava
quindi su una garanzia che esso prestava agli altri soggetti internazionali per i fatti dannosi
causati dall’attività della propria organizzazione interna, in modo tale da assicurare la
sicurezza delle relazioni internazionali.
Con riferimento alla prassi internazionale finora esaminata, la questione di sapere se lo
Stato sia tenuto a rispondere sul piano internazionale dei fatti illeciti ultra vires dei propri
organi si è posta esclusivamente rispetto a coloro che godono dello status di organo in base
al diritto interno. La possibilità di applicare questo principio anche alla situazione di individui
che esercitano in fatto funzioni di governo per conto dello Stato sembra riconosciuta in
102
maniera implicita soltanto nella decisione resa nel caso Stephens286. In tale circostanza il
Messico aveva tentato di sfuggire la propria responsabilità internazionale sostenendo che
l’individuo autore dell’illecito, un privato incaricato di svolgere una pubblica funzione, aveva
agito senza rispettare le istruzioni ricevute. La Commissione, pur riconoscendo che erano
state violate le disposizioni dell’ordinamento interno in relazione ad attività di ispezioni
condotte da organi statali, ha comunque ritenuto che il fatto fosse attribuibile allo Stato.
Coloro che hanno reputato possibile che lo Stato rispondesse internazionalmente dei
fatti illeciti ultra vires dei propri organi hanno individuato anche delle eccezioni a tale
principio.
In numerose circostanze si è ad esempio sostenuto che possono essere considerati fatti
dello Stato quale soggetto internazionale le sole condotte ultra vires di un organo che
appaiono da questo tenute nel rispetto dei limiti della propria competenza. Risulterebbero
pertanto attribuibili allo Stato quei comportamenti adottati da un organo che, nonostante il
reale superamento dei limiti delle proprie funzioni, appaiono ai terzi come tenuti intra vires.
La condizione attributiva dell’apparenza della funzione finisce per dare rilievo al punto di
vista della vittima che, al momento del compimento del fatto illecito, può aver commesso in
buona fede un plausibile errore di apprezzamento.
Dal momento che il criterio dell’apparenza della funzione non era in grado di fornire in
alcune circostanze una soluzione soddisfacente con riferimento ai danni subiti dagli
stranieri, nella prassi internazionale si è fatto ricorso da parte di alcuni Stati al criterio
attributivo dei mezzi messi a disposizione dell’organo in ragione della funzione svolta.
Dal momento che in alcuni casi il terzo avrebbe potuto ragionevolmente rendersi conto
che l’organo nell’agire non stava rispettando la propria competenza, ma non per questo
evitare di subire il danno, tale ulteriore criterio permetteva di riferire allo Stato i
comportamenti ultra vires adottati dagli organi statali anche nei casi in cui neanche in
apparenza potevano sembrare rientrare nel quadro della competenza, allorché il
compimento dei fatti illeciti era stato reso possibile da un uso abusivo dei mezzi messi a
disposizione da parte dello Stato per l’esercizio regolare delle funzioni.
È stato infine sostenuto in alcune circostanze che lo Stato non è tenuto a rispondere sul
piano internazionale dei fatti illeciti ultra vires dei propri organi nel caso in cui la loro
incompetenza è a tal punto manifesta da apparire incontrovertibile agli occhi del terzo leso.
Tale limitazione al principio generale sembrava trovare riscontro nella prassi dell’epoca ed è
stata inoltre codificata, su proposta della Svizzera, all’art. 8 par. 2 del progetto di articoli
286 Vedi infra, p. 83 ss.103
adottato in prima lettura dalla Terza Commissione della Conferenza di codificazione istituita
in seno alla Società delle Nazioni.
Alla luce della prassi fin qui esaminata sembra pertanto possibile affermare che, al fine di
garantire la sicurezza delle relazioni internazionali, lo Stato è tenuto a rispondere sul piano
internazionale delle condotte non autorizzate dei propri organi nel caso in cui l’illecito è
stato reso possibile in virtù della qualità di organo di cui un individuo o ente godono in base
al diritto interno e dell’autorità che deriva loro dall’esercitare una funzione ufficiale.
Secondo tale schema concettuale, la responsabilità internazionale dello Stato per i fatti
illeciti ultra vires dei propri organi sarebbe invece esclusa sia nel caso in cui un organo agisca
nella propria capacità privata, sia nel caso in cui esso tenga una condotta totalmente
estranea alla propria competenza, pur agendo nell’esercizio delle funzioni.
CAPITOLO III
IL PRINCIPIO DELL’ATTRIBUZIONE ALLO STATO DEI FATTI ULTRA VIRES DEI PROPRI ORGANI NELLA PRASSI E NELLA GIURISPRUDENZA INTERNAZIONALE RECENTI
SOMMARIO: Sezione I. La codificazione del principio dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires dei propri organi da parte della Commissione del diritto internazionale: 1. Il principio dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires nei rapporti di García–Amador – 2. La nozione di organo nel progetto di articoli adottato in prima lettura - 3. Il principio dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires nel quarto rapporto di Ago – 4. Il dibattito in seno alla Commissione circa l’art. 10 proposto dal
104
relatore speciale e la sua approvazione – 5. Le prese di posizione degli Stati con riferimento all’art. 10 adottato dalla Commissione – 6. L’ampliamento della nozione di organo nel progetto di articoli adottato in seconda lettura - 7. Il principio dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires nel primo rapporto di Crawford – 8. L’art. 7 del progetto adottato in seconda lettura: elementi comuni e di distinzione rispetto all’art. 10 adottato in prima lettura. Sezione II. La prassi e la giurisprudenza internazionale contemporanee e successive ai lavori di codificazione della Commissione del diritto internazionale: 1. Premessa – 2. La prassi degli Stati - 3. La giurisprudenza arbitrale – 3.1 Le pronunce rese dal Tribunale dei reclami Iran/Stati Uniti – 3.2 Le sentenze rese da Tribunali arbitrali istituiti in ambito ICSID prima dell’adozione in seconda lettura del progetto di articoli della CDI - 3.3 Segue: Le sentenze rese successivamente all’adozione in seconda lettura del progetto di articoli della CDI - 4. La giurisprudenza in tema di tutela internazionale dei diritti dell’uomo – 4.1 Le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo – 4.1.1 La Corte europea dei diritti dell’uomo: la sentenza resa nel caso Irlanda c. Regno Unito – 4.1.2 La sentenza Assanidze c. Georgia – 4.1.3. La sentenza Ilascu e altri c. Moldova e Russia – 4.2 Le sentenze della Corte interamericana dei diritti dell’uomo – 4.2.1 La sentenza resa nel caso Velásquez Rodríguez– 4.2.2 La sentenza resa nel caso Mapiripán Massacre c. Colombia – 4.2.3 Altre sentenze della Corte interamericana in cui è stato enunciato il principio della responsabilità internazionale dello Stato per attività ultra vires dei propri organi – 4.3 L’orientamento del Comitato dei diritti umani – 5. La giurisprudenza del Tribunale penale internazionale per la ex-Iugoslavia – 6. La giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia – 6.1 La sentenza resa nel caso delle Attività militari e paramilitari in e contro il Nicaragua - 6.2 La sentenza resa nel caso delle Attivitá militari sul territorio del Congo – 6.3 La sentenza resa nel caso della Applicazione della Convenzione sul genocidio - 7. Osservazioni sulla prassi e giurisprudenza recenti.
Sezione ILA CODIFICAZIONE DEL PRINCIPIO DELL’ATTRIBUZIONE ALLO STATO DEI FATTI ULTRA
VIRES DEI PROPRI ORGANI DA PARTE DELLA COMMISSIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE
1. Il principio dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires nei rapporti di García-
Amador
Come precedentemente accennato287, anche la Commissione del diritto internazionale
(CDI) si è occupata di codificare i principi di diritto internazionale inerenti la responsabilità
internazionale dello Stato e, alla luce dell’importanza del suo contributo all’identificazione
della regola in materia di attribuzione allo Stato di fatti illeciti ultra vires dei propri organi, si
è ritenuto opportuno dedicarvi un’apposita sezione.
In quanto organo sussidiario dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite incaricato di
promuovere la codificazione e lo sviluppo progressivo del diritto internazionale, la CDI ha
inserito la responsabilità internazionale dello Stato nell’elenco delle quattordici materie
suscettibili di essere codificate e, nel 1955, ha nominato Francisco García Amador come
primo relatore speciale per tale tema.
Nel corso della nona sessione della Commissione del diritto internazionale, il relatore
speciale ha presentato il suo secondo rapporto dedicato allo studio della responsabilità dello
Stato in ragione dei danni causati sul proprio territorio alla persona o ai beni degli
stranieri288. Per la prima volta il problema dei fatti illeciti internazionali ultra vires viene qui
287 Vedi supra, p. 14 ss.288 GARCÍA–AMADOR, Second Report on the International Responsibility of the States for injuries caused in its territory to the person or property of aliens, Yearbook of the International Law Commission, 1957, vol. II, p. 104 ss. Il primo rapporto, risalente al 1956, aveva un carattere introduttivo e si limitava solamente ad enunciare tra le questioni da esaminare quella dell’attribuzione allo Stato dei comportamenti ultra vires dei propri organi.
105
studiato in termini di attribuzione di condotte, e non di responsablità internazionale. Ci si
domanda cioè se le condotte tenute dagli organi statali, eccedendo i limiti della competenza
oppure contravvenendo alle istruzioni ricevute, possano ritenersi dei fatti dello Stato quale
soggetto internazionale e non più soltanto se lo Stato sia tenuto a risponderne
internazionalmente.
Il rapporto del relatore considerava il problema dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra
vires solo con riferimento agli organi del potere esecutivo, come se escludesse
implicitamente che gli organi appartenenti al potere legislativo o giudiziario potessero
adottare tali tipi di condotte289.
L’art. 3, par. 2, del progetto del relatore prevedeva che la responsabilità internazionale di
uno Stato potesse sorgere nel caso in cui un funzionario statale adottava un comportamento
illecito eccedendo la propria competenza, ma agendo “by virtue of his official capacity”290.
Il paragrafo successivo conteneva una deroga al principio precedentemente esposto, in
quanto stabiliva che lo Stato non era tenuto a rispondere sul piano internazionale di un tale
comportamento nel caso in cui la mancanza di competenza fosse talmente evidente da
permettere allo straniero di rendersene conto ed evitare quindi il danno:
“Notwithstanding the provisions of the foregoing paragraph, the
international responsibility of the State shall not be involved if the lack of
competence was so apparent that the alien should have been aware of it
and could, in consequence, have avoided the injury”291.
Il caso in cui l’organo tenga una condotta in maniera manifestamente incompetente
viene paragonato dal relatore ad un comportamento di un semplice privato, di cui lo Stato
non è tenuto a rispondere nell’ordinamento internazionale.
Lo Stato sarebbe pertanto internazionalmente responsabile del comportamento illecito
non autorizzato dei propri organi nel caso in cui questi appaiano agire agli occhi del terzo nel
quadro delle loro funzioni, mentre la responsabilità internazionale non potrebbe sorgere nel
caso in cui le condotte apparissero manifestamente estranee alla loro competenza.
Al fine di garantire maggiore sistematicità al progetto, nel sesto rapporto presentato nel
1961, il relatore García–Amador ne ha presentato una seconda versione. I vari articoli
riguardanti l’attribuzione di condotte allo Stato sono riuniti all’interno di un unico capitolo.
La questione dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires è trattata dall’art 12, disposizione
289 Alcuni autori hanno fortemente criticato tale distinzione. Si veda VON MÜNCH, op. cit., p. 180.290 GARCÍA–AMADOR, Second Report on the International Responsibility of the States, cit., p. 107.291 Ibid., p. 145.
106
dedicata agli atti e le omissioni degli organi e dei funzionari in generale. Essa era così
formulata:
“1. An act or omission which contravenes international law is imputable
to the State if the organs or officials concerned acted within the limits of
their competence. 2. An act or omission shall likewise be imputable to the
State if the organs or officials concerned exceeded their competence but
purported to be acting in their official capacity. 3. Notwithstanding the
provisions of the foregoing paragraph, the act or omission shall not be
imputable to the State if the act exceeding the competence of the officials
or organs concerned was by its nature totally outside the scope of their
functions and powers, even though they may to some extent have relied on
their official position or used the means at their disposal by reason of that
position. 4. Similarly, the act or omission shall not be imputable to the State
if it was so manifestly outside the competence of the organ or official
concerned that the alien should have been aware of the fact and could, in
consequence, have avoided the injury. 5. For the purposes of the provisions
of this article, the act or omission shall be proved in conformity with the
municipal law of the State to which it is imputed”292
Alla luce di tale disposizione potevano essere pertanto considerati fatti dello Stato quale
soggetto internazionale le sole condotte tenute ultra vires da un organo che apparivano alla
vittima come tenute nella propria qualità ufficiale, nonostante l’effettivo superamento dei
limiti delle proprie funzioni. Nel caso in cui invece il terzo in causa avesse potuto rendersi
conto dell’incompetenza dell’organo e avesse di conseguenza potuto evitare il danno, il
fatto ultra vires era assimilabile al fatto di un privato e non poteva pertanto essere attribuito
allo Stato.
Occupata con la codificazione di altre materie, la CDI non ha potuto poi procedere
all’esame dei progetti di articoli presentati da García-Amador prima che egli lasciasse la
Commissione. Nessuno dei progetti di articolo presentati è stato dunque adottato dalla CDI.
2. La nozione di organo nel progetto di articoli adottato in prima lettura
292 GARCÍA–AMADOR, Sixth Report on the International Responsibility of the States for injuries caused in its territory to the person or property of aliens, Yearbook of the International Law Commission, 1961, vol. II, pp. 47-48.
107
Con l’adozione il 18 dicembre 1961 della risoluzione 1686 (XVI), l’Assemblea Generale ha
raccomandato alla CDI di proseguire nella codificazione della responsabilità internazionale
dello Stato ed è stato nominato come nuovo relatore speciale Roberto Ago. Accogliendo le
critiche formulate circa l’approccio previamente adottato, egli ha deciso di affrontare il tema
focalizzandosi sulle conseguenze della violazione di un obbligo internazionale, senza
occuparsi delle norme sostanziali la cui violazione è all’origine della responsabilità
internazionale.
I principi in tema di attribuzione dell’illecito internazionale contenuti nel progetto di
articoli approvato in prima lettura dalla Commissione del diritto internazionale si rifanno in
larga misura proprio all’impianto proposto dal relatore Ago. Si ritiene dunque opportuno
soffermarsi sulla concezione accolta da quest’ultimo.
Pur partendo dal presupposto che l’operazione di riferire una certa condotta di individui
allo Stato è regolata da precisi criteri stabiliti da norme di diritto internazionale che sono del
tutto autonomi rispetto a quelli che disciplinano l’attribuzione di un fatto allo Stato
nell’ordinamento interno, Ago esclude che l’organizzazione dello Stato sia un fenomeno
regolato dal diritto internazionale. L’organizzazione dello Stato è per il diritto internazionale
un dato di fatto, costituendo “l’ensemble des structures concrètes par lesquelles il manifeste
son existence et exerce son action”293.
Sul piano del diritto internazionale, però, l’organizzazione dello Stato deve comunque
essere intesa come una realtà strutturata in base a regole giuridiche di cui lo stesso Stato si
è dotato, finendo così per essere identificata con la sua organizzazione giuridica interna 294.
La logica conseguenza derivante da tali premesse è che gli organi dello Stato corrispondono
a quegli individui o enti che godono di tale qualità in base al diritto interno statale.
Individuando nel riferimento al diritto interno l’unico criterio per identificare gli individui
che possiedono la qualità organica ai fini dell’attribuzione di una condotta allo Stato, il
progetto di articoli elaborato da Ago e, sulla base di esso, il progetto di articoli adottato in
prima lettura dalla CDI finisce per accogliere una nozione restrittiva di organo295.
In virtù dell’importanza assegnata al dato formale di diritto interno ai fini della
rilevazione della qualità di organo, nel progetto di articoli adottato in prima lettura si
293 AGO, Troisième rapport, cit., p. 249. 294 “Par organisation de l’Etat il faut entendre l’appareil de ce dernier, l’ensemble des structures concrètes par lesquelles il manifeste son existence et exerce son action. Il va se de soi que la formation de ces structures et la prévision de cette action sont l’objet d’une réglementation juridique, réglementation que l’Etat lui-même et lui seul peut établir ”. Così AGO, Troisième rapport, cit. p. 249.295 L’art. 5 del progetto adottato in prima lettura stabiliva: “Aux fins des présents articles, est considéré comme un fait de l'Etat d'après le droit international le comportement de tout organe de l'Etat ayant ce statut d'après le droit interne de cet Etat, pour autant que, en l'occurrence, il ait agi en cette qualité.”
108
rinviene inoltre una distinzione fra gli organi e gli individui che, pur se formalmente
sprovvisti della qualità di organi, sono incaricati in base al diritto interno dell’esercizio di
prerogative del potere di governo296.
Tale categoria si distingue da quella degli individui o enti che godono della qualità di
organi dello Stato per il fatto di essere organi di enti che possiedono una personalità
giuridica di diritto interno distinta da quella dello Stato, pur assolvendo funzioni per suo
conto297. Secondo la CDI, le condotte di tali organi sono attribuibili allo Stato limitatamente
al caso in cui siano state tenute nel rispetto dei compiti espressamente loro conferiti dal
diritto interno298.
Fondandosi sul principio dell’autonomia del diritto internazionale nell’individuare i criteri
giuridici capaci di chiarire in presenza di quali condizioni un dato comportamento può essere
considerato un fatto dello Stato, Ago sostiene allo stesso tempo l’esistenza di criteri
attributivi ulteriori rispetto a quello del riferimento al diritto interno e maggiormente ispirati
al principio di effettività. Egli fa essenzialmente riferimento alle ipotesi in cui lo Stato si
avvale di individui o enti esterni all’apparato dello Stato al fine di svolgere determinate
attività.
296 Il principio in base al quale il comportamento di un individuo o un ente, che non sia formalmente organo dello Stato, è ad esso attribuito nella circostanza in cui gli siano state delegate funzioni di stampo pubblicistico è stato codificato nell’art. 5 del progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati adottato in seconda lettura dalla Commissione del diritto internazionale. L’art. 5 ha recentemente assunto una particolare rilevanza al fine di imputare agli Stati le condotte delle private military and security companies impiegate all’estero da taluni Stati in situazioni post-conflittuali. Si vedano SPINEDI, La responsabilità dello Stato per comportamenti di private contractors, in La codificazione della responsabilità internazionale degli Stati alla prova dei fatti. Problemi e spunti di riflessione , (a cura di Spinedi, Gianelli, Alaimo), Giuffré, Milano, 2006. Milano, 2006, pp. 67-103; LEHNARDT, Private Military Companies and State Responsibility, in From Mercenaries to Market. The Rise and Regulation of Private Military Companies, Oxford, 2007, pp. 139-157. Si veda la sentenza resa dal Tribunale arbitrale dei reclaim tra Iran-Stati Uniti nel caso Hyatt International Corporation v Government of the Islamic Republic of Iran, in Iran-US CTR, vol. 9, p. 93 e la sentenza resa dalla Corte internazionale di giustizia nel caso Military and Paramilitary Activities in and against Nicaragua, in I.C.J. Reports, 1986, p. 14. 297 Si veda AGO, Troisième rapport, cit., p. 246. Ugualmente nell’opinione individuale nel caso Military and Paramilitary Activities in and against Nicaragua, il giudice Ago ritenne di non poter qualificare i membri della CIA come organi degli Stati Uniti per il fatto che essa costituiva sul piano del diritto interno un ente dotato di personalità giuridica diversa da quella dello Stato. In I.C.J. Reports 1986, p. 188.298 “La justification de l'attribution à l'Etat, d'après le droit international, du comportement d'un organe de l'une ou de l'autre des entités ici envisagées réside toujours, en dernière analyse, dans le fait que le droit interne de l'Etat a conféré à l'entité en question l'exercice de certaines prérogatives de la puissance publique. Il va de soi que, pour pouvoir être considéré comme un fait de l'Etat à des fins de responsabilité internationale, le comportement de l'organe d'une entité de ce genre doit avoir trait à un secteur d'activité à l'égard duquel l'entité en question est chargée de l'exercice des prérogatives indiquées. Ainsi, par exemple, le comportement d'un organe d'une société de chemins de fer à laquelle certains pouvoirs de police ont été réservés sera considéré comme un fait de l'Etat d'après le droit international s'il entre dans le cadre de l'exercice de ces pouvoirs". Cfr. Annuaire de la Commission du droit international, 1996, vol. II – 1, p. 293, par. 17.
109
Tra i vari criteri di attribuzione che si basano sull’esistenza di un legame fattuale tra
l’individuo agente e lo Stato, quello di portata generale fonda l’attribuzione allo Stato di un
comportamento tenuto da un individuo che non gode della qualità organica in virtù del
diritto interno sulla circostanza che abbia agito in fatto dietro istruzioni o sotto il controllo di
organi statali299. L’individuo non diviene organo dello Stato ai fini del diritto internazionale,
ma il suo comportamento è ugualmente attribuibile allo Stato.
L’esclusione della possibilità che elementi fattuali possano avere un ruolo nel
determinare lo status di organi dello Stato di individui che il diritto interno non qualifica
come tali, finisce per ricondurre lo schema elaborato dal relatore e accolto dalla
Commissione a delle regole attributive che si differenziano in base al tipo di relazione che
lega l’individuo agente allo Stato.
L’approccio della Commissione si fonda difatti sulla distinzione fra coloro che sono
formalmente legati allo Stato e gli individui che agiscono in fatto su istruzione, o sotto la
direzione o il controllo, di organi statali.
Nonostante il riferimento al diritto interno permetta indubbiamente di fissare un criterio
dotato di un elevato grado di certezza, rimane il fatto che la scelta di non dare rilevanza alla
possibilità che tra Stato ed individuo sussista un legame fattuale differente rispetto a quello
che prevede un controllo statale su ogni specifico comportamento adottato relega i criteri di
attribuzione ispirati al principio di effettività ad un ruolo marginale nel sistema elaborato.
In base ad esso, infatti, le condotte tenute nell’esercizio delle funzioni da individui che
godono della qualità organica in virtù del diritto interno sono attribuibili allo Stato sul piano
299 L’art. 8 del progetto adottato in prima lettura prevedeva: “Est aussi considéré comme un fait de l'Etat d'après le droit international le comportement d'une personne ou d'un groupe de personnes si: a) il est établi que cette personne ou ce groupe de personnes agissait en fait pour le compte de cet Etat; ou b) cette personne ou ce groupe de personnes se trouvait exercer en lait des prérogatives de la puissance publique en cas de carence des autorités officielles et dans des circonstances qui justifiaient l'exercice de ces prérogatives”. L’art. 8, lett. a) faceva genericamente riferimento ad individui che “agiscono per conto dello Stato”. Non sembra pertanto da escludere che la possibilità di riferire allo Stato le condotte di individui che non godono dello status organico in base al diritto interno potesse essere interpretata in maniera estensiva. Così SPINEDI, La responsabilità dello Stato per i comportamenti di private contractors, in Spinedi, Gianelli, Alaimo (a cura di), La codificazione della responsabilità internazionale degli Stati alla prova dei fatti, Milano, 2006, p. 84. Alla luce dei lavori della Commissione del diritto internazionale, l’interpretazione prevalente con riferimento all’ambito di applicazione dell’art. 8, lett. a) conduce soltanto all’ipotesi dell’individuo che agisce su istruzioni di organi dello Stato. Nel commentario della suddetta disposizione si precisa in effetti che “[…] dans chaque hypothèse concrète où il s'agit d'établir une responsabilité internationale de l'Etat, il doit effectivement être prouvé que la personne ou le groupe de personnes ont vraiment été chargés par des organes de l'Etat de remplir une certaine fonction ou d'exécuter une certaine tâche, qu'ils ont accompli une besogne donnée sur l'instigation de ces organes”. Cfr, Annuaire de la Commission du droit international, 1974, vol. II, p. 296. A conferma di questa interpretazione restrittiva dell’art. 8 lett. a), viene solitamente richiamata l’argomentazione sostenuta da Ago nella sua opinione separata resa nel caso delle attività militari e paramilitari degli Stati Uniti in e contro il Nicaragua, in I.C.J. Reports, 1986, pp. 188-189.
110
internazionale senza che sia necessario determinare in base a quale impulso essi abbiano
agito300. Nel caso di comportamenti tenuti da un organo, è necessario quindi stabilire se chi
ha agito intrattiene con lo Stato un rapporto a tal punto stretto tale da giustificare
l’attribuzione in via generale ad esso del suo comportamento, salvo naturalmente il limite
delle condotte tenute a titolo privato. Nel caso in cui invece l’individuo agente sia privo di un
legame formale con l’apparato statale, risulta necessario accertare che abbia tenuto delle
condotte dietro istruzioni o sotto il controllo di organi al fine di considerarli fatti statali sul
piano internazionale. La possibilità di riferire allo Stato un comportamento sul piano
internazionale dipende dall’accertamento dell’esistenza tra l’ente e l’individuo-agente di un
rapporto puntuale che si è venuto a costituire in ragione e nei limiti delle istruzioni
ricevute301.
3. Il principio dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires nel quarto rapporto di Ago
Come precedentemente rilevato, il relatore Ago reputa che un particolare regime
attributivo trovi applicazione in relazione agli organi statali ed agli enti abilitati dal diritto
interno all’esercizio di prerogative del pubblico potere in virtù del legame formale che li lega
allo Stato
In sede di inquadramento generale delle regole in materia di attribuzione di condotte,
Ago utilizza quindi il termine “organo” per indicare coloro che sono legati allo Stato da un
tipo di vincolo particolarmente intenso, in virtù del quale si realizza la massima
identificazione tra un individuo o ente e l’organizzazione statale.
Proprio la realizzazione del massimo livello di identificazione tra un individuo o ente e
l’organizzazione statale giustifica quindi il particolare regime attributivo che si applica con
riferimento all’ipotesi dell’individuo-organo e la distinzione rispetto all’ipotesi di individui
che agiscono su istruzioni o sotto la direzione e il controllo di organi statali. Così, qualsiasi
condotta tenuta da un organo dello Stato nell’esercizio delle proprie funzioni deve essere
ritenuta un fatto dello Stato sul piano internazionale indipendentemente dal rispetto dei
limiti delle funzioni ad esso assegnate.
Dato che l’organizzazione dello Stato dal punto di vista del diritto internazionale viene
identificata con l’organizzazione giuridica interna, Ago ritiene che la questione della
300 Il criterio dell’organo non si differenzia in maniera sostanziale dai criteri previsti dagli articoli 5 e 6 del progetto di articoli, che si riferiscono rispettivamente all’ipotesi di enti o individui che esercitano prerogative dei pubblici poteri e a quello di organi statali messi a disposizione di un altro Stato.301 Per alcuni chiarimenti circa la determinazione degli atti che, a seconda del criterio applicato sono riferibili allo Stato sul piano internazionale, si veda CRAWFORD, First Report on the Responsibility of the States, in Yearbook of the International Law Commission, 1998, vol. 2, p. 78 ss.
111
possibilità di attribuire allo Stato i fatti ultra vires sorga esclusivamente con riferimento agli
individui o enti che godono della qualifica organica in base al diritto interno ed agli individui
che godono della qualifica di organi di enti abilitati dal diritto interno all’esercizio di
prerogative del pubblico potere302.
In particolare, egli sostiene che la regola in base a cui lo Stato risponde solo delle
condotte tenute dall’organo nell’esercizio delle proprie funzioni presuppone
necessariamente un rinvio al diritto interno al fine di determinare quali siano le funzioni di
tale organo.
Non si possono invece reputare fatti dello Stato sul piano internazionale le condotte di
individui che agiscono in fatto per suo conto nell’eventualità in cui siano state tenute non
rispettando le istruzioni ricevute o senza il controllo di organi statali303.
Reputando l’attribuzione un’operazione giuridica fondata su autonomi criteri propri del
diritto internazionale, Ago si discosta inoltre dagli autori che ritenevano impossibile definire
una condotta irregolare dal punto di vista interno come un fatto statale nell’ambito
dell’ordinamento internazionale.
Egli definisce un comportamento adottato da un organo ultra vires come un fatto statale
sul piano internazionale, intendendo affermare l’esistenza di precise regole di attribuzione
appartenenti al diritto internazionale che non si limitano ad operare un rinvio
all’organizzazione che di fatto lo Stato ha provveduto a darsi, ma che offrono dei criteri
302 Ai fini della presente indagine, si utilizzerà il termine “organo” per individuare coloro che sono legati allo Stato da un vincolo formale, senza operare una distinzione fra il criterio dell’organo e l’ipotesi di individui o enti che esercitano prerogative dei pubblici poteri.303 “II va de soi qu'un pareil problème ne peut réellement se poser qu'en ce qui concerne des personnes ayant en droit interne la qualité d'organes de l'Etat ou d'une autre institution publique (c'est-à-dire des personnes qui rentrent dans les catégories envisagées aux sections 2 à 4 du présent chapitre). Par contre, il ne saurait en être question pour des personnes comprises dans les catégories dont on a traité à la section 5. On ne peut même pas envisager l'hypothèse d'un dépassement de compétence ou d'une contradiction avec les prescriptions concernant l'activité de certains organes à propos d'une personne qui, en droit, n'est nullement un organe et ne se trouve amenée qu'à exercer de fait, dans certaines circonstances, une fonction publique. Par contre, il est tout aussi évident qu'une personne qui n'est pas un organe de l'Etat ne pourra pas être considérée comme agissant pour le compte de ce dernier si ses agissements n'ont pas eu lieu sur instructions ou à l'instigation de l'Etat. Pour ce qui est de l'hypothèse prévue à la section 6 (celle d'une personne qui revêt la qualité d'organe dans le cadre de l'ordre juridique d'un Etat donné ou d'une organisation internationale, mais qui est mise à la disposition d'un autre Etat etagit sous l'autorité et le contrôle de ce dernier), le problème d'un comportement de cette personne dépassant la compétence que cet Etat lui a attribuée ou contrevenant aux prescriptions auxquelles il a soumis son activité trouvera nécessairement la même solution que celui d'un comportement adopté dans des conditions analogues par un organe propre de l'Etat en question. La seule précision qu'il importe d'ajouter, c'est que le problème peut se poser à propos de la violation de prescriptions émanant de l'Etat à la disposition duquel la personne se trouve et de l'autorité duquel elle dépend effectivement, et non pas de l'Etat dont elle est l'organe. L'éventuelle inobservance, par la personne en question, de prescriptions ou instructions émanant de l'Etat d'origine est sans pertinence pour l'attribution d'une telle action à l'Etat à la disposition duquel la personne se trouve”. Cfr. AGO, Quatrième rapport, cit., p. 72, par. 2, nota 4.
112
giuridici identificabili attraverso l’esame della prassi in grado di individuare le condizioni in
presenza delle quali una certa condotta può essere ritenuta un fatto dello Stato.
Dal momento che la macchina statale e le disposizioni dell’ordinamento interno volte a
regolarne l’attività sono dei semplici fatti per il diritto internazionale, l’attribuzione o meno
di un comportamento allo Stato come soggetto di diritto internazionale avviene, a suo
parere, sulla base di regole giuridiche indipendenti rispetto a quelle che ne disciplinano la
natura di fatto statale dal punto di vista dell’ordinamento interno304.
Il criterio utilizzato dal diritto internazionale al fine di accertare se un comportamento
adottato da un organo debba essere considerato un fatto dello Stato non si fonda su
disposizioni di diritto interno; in questo contesto, il principio di effettività viene bilanciato
con esigenze di differente natura volte ad assicurare la stabilità e la sicurezza delle relazioni
internazionali.
Secondo Ago, sul piano internazionale uno Stato deve riconoscere di aver agito
ogniqualvolta persone o enti incaricati di agire per suo conto appaiono effettivamente
adottare dei comportamenti in suo nome, indipendentemente dal fatto che non abbiano
rispettato i limiti formali della propria competenza, abbiano violato disposizioni del diritto
interno oppure abbiano contravvenuto alle istruzioni loro impartite dai superiori.
Lo Stato deve quindi rispondere delle condotte non autorizzate dei propri organi in
quanto l’illecito è stato reso possibile in virtù dello status organico di cui un individuo o ente
gode e dell’autorità che deriva loro dall’esercitare una funzione ufficiale. L’apparenza creata
dallo Stato attraverso il riconoscimento della qualità organica prevale sulla circostanza che la
condotta effettivamente tenuta dall’organo non rifletta le scelte operate dall’ente.
L’irregolarità di una condotta dal punto di vista dell’ordinamento interno è ininfluente ai
fini della sua attribuzione allo Stato come soggetto di diritto internazionale, a condizione che
sia stata però tenuta dall’organo nell’esercizio delle proprie funzioni.
Seguendo sempre la logica dettata dall’esigenza di garantire la sicurezza delle relazioni
internazionali, Ago individua delle limitazioni all’applicazione del criterio attributivo
dell’apparenza della funzione: mentre possono essere riferite allo Stato le condotte ultra
vires che appaiono tenute dagli organi nel rispetto della propria competenza, non possono
essere ad esso attribuiti quei comportamenti ultra vires tenuti da un organo
manifestamente al di fuori della propria competenza oppure nell’ambito di funzioni statali
così visibilmente differenti rispetto a quelle a lui spettanti, da non lasciare alcun dubbio circa
l’impossibilità di riconoscerne la natura di fatto dello Stato quale soggetto di diritto
internazionale.
304 Si veda AGO, Troisième rapport, cit., p. 249.113
La responsabilità dello Stato per i fatti dei propri organi sarebbe quindi esclusa sia nel
caso in cui un organo adotta un comportamento totalmente privo di legame con le funzioni
lui assegnate, vale a dire nel caso in cui agisce nella propria qualità privata, sia nel caso in cui
tiene una condotta a titolo ufficiale ma completamente estranea alla propria competenza.
La condizione attributiva dell’apparenza della funzione ed il conseguente corollario della
manifesta incompetenza dell’organo avevano fino a quel momento trovato fondamento
nella prassi su considerazioni prettamente soggettive. In altri termini, l’attribuzione di una
condotta non autorizzata allo Stato era stata fatta unicamente dipendere dalla circostanza
che il terzo leso non avesse potuto rendersi conto del mancato rispetto della propria
competenza da parte dell’organo.
Criticando l’approccio precedentemente adottato dal relatore García–Amador305, Ago
chiarisce che la “manifesta incompetenza” deve essere una qualità oggettiva dal momento
che sarebbe ingiusto far dipendere l’attribuzione allo Stato di una condotta non autorizzata
di un proprio organo dalla circostanza che la vittima, resasi conto dell’incompetenza, era in
grado di prevenire la commissione dell’illecito306.
305 Vedi supra, p. 109 ss.306 “II faut que ce que l'on désigne par l'adjectif « manifeste » soit entendu comme une qualité ressortant objectivement de la situation concrète. Il est important d'indiquer cela, car certains des textes auxquels on s'est rapporté — notamment celui de l'article VIII, par. 2 (second alinéa), du projet adopté en 1930 et celui de l'article 12, par. 4, du projet révisé de M. Garcîa-Amador — introduisaient à ce sujet un élément supplémentaire et typiquement subjectif. L'exclusion de l'attribution à l'Etat en tant que source de responsabilité n'était prévue que pour le cas où l'incompétence de l'organe auteur du fait préjudiciable était tellement manifeste que la partie lésée devait s'en rendre compte et pouvait, de ce fait, éviter le préjudice. Nous ne croyons pas qu'il faille introduire une idée de ce genre dans la règle à définir. On pourrait à la rigueur comprendre qu'elle figure dans des projets qui, comme les deux textes mentionnés, concerneraient les seuls problèmes de la responsabilité internationale pour dommages causés à des particuliers étrangers: sa présence ne s'expliquerait en tout cas pas dans un projet comme le nôtre, visant à couvrir le domaine entier du fait internationalement illicite et de la responsabilité internationale. De toute façon, on a quelque difficulté à admettre que le fait que la partie lésée, avertie du défaut de compétence, ait ou n'ait pas eu en l'espèce la possibilité d'éviter le dommage puisse être déterminant aux fins de l'attribution à l'Etat sujet du droit international du comportement de l'organe. La partie lésée qui avait connaissance de l'incompétence totale de l'organe agissant peut avoir eu — tout comme elle peut ne pas avoir eu — la possibilité d'éviter, grâce à cette connaissance, que l'on ne commette l'action préjudiciable. Or, abstraction faite de la difficulté de spéculer sur cette possibilité hypothétique, il serait illogique de considérer dans le deuxième cas l'action incriminée comme un fait de l'Etat cause de responsabilité alors qu'on n'en ferait pas autant dans le premier. Si l'on choisit d'exclure l'attribution à l'Etat du fait de l'organe agissant en condition d'incompétence manifeste, cette exclusion doit s'opérer dans les deux cas. Cela n'a rien à faire, répétons-le, avec le risque pour l'Etat d'encourir une responsabilité, non pas du fait de l'organe en question, mais du fait d'un autre organe (qui, par exemple, aurait omis d'empêcher l'action préjudiciable alors qu'il pouvait le faire). C'est dans une telle hypothèse que l'éventuelle possibilité de la partie lésée d'éviter le préjudice pourrait être prise en considération comme circonstance susceptible d'exclure ou d'atténuer la responsabilité de l'Etat”. Cfr., AGO, Quatrième rapport, cit., p. 95, par. 59, nota 115.
114
L’applicazione delle sopramenzionate condizioni attributive sarebbe risultata
condizionata dalla determinazione delle circostanze del singolo caso di specie e della
conoscenza delle reali competenze dell’individuo-organo agente da parte del terzo.
Secondo il relatore, il limite della “manifesta incompetenza” sarebbe stato utile anche
per ragioni di coerenza con il testo dell’art. 46 della Convenzione di Vienna sul diritto dei
trattati, secondo cui un accordo si presume valido, anche se concluso in violazione delle
norme interne sulla competenza a stipulare, a meno che la violazione del diritto interno non
sia oggettivamente manifesta e non riguardi norme interne di importanza fondamentale307.
Il relatore ha concluso il proprio studio circa l’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires
dei propri organi sottomettendo ai membri della CDI un progetto di art. 10, in cui il principio
generale e le limitazioni venivano enunciati in due distinti paragrafi308:
“Le comportement d’un organe de l’Etat ou d’une institution publique
distincte qui, tout en agissant en sa qualité officielle, dépasse sa compétence
selon le droit interne ou contrevient aux prescriptions de ce droit concernant
son activité est néanmoins considéré comme un fait de l’Etat sur le plan du
droit international.
Toutefois, un tel comportement n’est pas considéré comme un fait de l’Etat
si, de par sa nature, il était totalement étranger aux fonctions spécifiques de
l’organe ou si, même sous d’autres aspects, l’incompétence de l’organe était
manifeste”309.
L’assenza di riferimenti precisi a dati della prassi internazionale sembra suffragare
l’ipotesi che la qualità oggettiva della manifesta incompetenza sia stata codificata sulla base
di considerazioni di principio con il precipuo obiettivo di garantire la sua applicazione con
riferimento alla violazione di qualsiasi norma primaria, indipendentemente dal suo
contenuto.
L’oggettivizzazione della limitazione, però, non era del tutto funzionale alla logica dettata
dall’esigenza di garantire la sicurezza delle relazioni internazionali, dal momento che uno
Stato poteva comunque tentare di avvalersene per sfuggire alla propria responsabilità
internazionale negando che un fatto fosse ad esso riferibile in ragione della circostanza che
307 AGO, Quatrième rapport, cit., p. 95, par. 59.308 La scelta di codificare in due paragrafi differenti il principio generale e le sue limitazioni era volto a sottolineare “le caractère à la fois limitatif et exceptionnel de la seconde par opposition à la première”. AGO, Quatrième rapport, cit., p. 103, par. 58.309 AGO, Quatrième rapport, cit., p. 103, par. 60.
115
nel caso di specie l’organo aveva ecceduto la propria competenza in maniera
oggettivamente manifesta ed evidente.
4. Il dibattito in seno alla Commissione circa l’art. 10 proposto dal relatore speciale e la sua approvazione
Nel corso del dibattito sull’art. 10 proposto da Ago, il principio generale in tema di
attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires degli organi statali ha ricevuto l’approvazione di
tutti i membri della Commissione310.
Le motivazioni da essi addotte al fine di giustificare tale principio attributivo si ispirano
all’esigenza di garantire la chiarezza e la sicurezza delle relazioni internazionali nel senso che
lo Stato deve riconoscere di aver agito ogniqualvolta un individuo o ente a cui ha conferito
lo status organico appare effettivamente agire per suo conto, indipendentemente dal
rispetto delle disposizioni del diritto interno o delle istruzioni impartite.
A loro parere se tale principio non fosse stato accettato, uno Stato avrebbe potuto
facilmente sfuggire alla responsabilità internazionale facendo valere il mancato rispetto
della propria competenza da parte dell’organo autore dell’illecito. Secondo Bedjaoui e Sette
Camara, chiedere allo Stato reclamante di provare che l’organo dello Stato convenuto non
abbia violato le disposizioni del diritto interno o contravvenuto alle istruzioni degli organi
superiori al fine del riconoscimento della sua responsabilità internazionale, significherebbe
esigere una probatio diabolica311.
L’introduzione del limite della manifesta incompetenza dell’organo ad agire è stata
invece fonte di un acceso dibattito in seno alla Commissione.
Alcuni membri hanno sostenuto che tale limitazione trovava riscontro esclusivamente
nella prassi in tema di trattamento degli stranieri e non poteva quindi essere estesa anche
ad altre ipotesi di violazione di norme internazionali. Secondo Ouchakov, se da una parte
310 Per Reuter, “toute règle autre que celle qui est proposée dans le projet d’article 10 aurait pour effet de nier la responsabilité de l’Etat”, Annuaire de la Commission du Droit International, 1975, vol. I, p. 7, par. 2. Hanno inoltre chiaramente approvato tale principio Bedjaoui, Ibid., p. 8, par. 7; Kearny, ibid., p. 8, par. 11; Elias, ibid., p. 9, par. 15; Sahovic, ibid., p. 9, par. 18; Martinez Moreno, ibid., p. 9, par. 21; Ouchakov, ibid., p. 10, par. 24; Tsuruoka, ibid., p. 11, par. 3; Hambro, ibid., p. 11, par. 6; Tammes, ibid., p. 12, par. 17; Ramangasoavina, ibid., p. 13, par. 20; Yasseen, ibid., p. 13, par. 24; Quentin-Baxter, ibid., p. 14, par. 27; Sette Camara, ibid., p. 16, par. 43; El-Erian, ibid., p. 16, par. 48; Bilge, ibid., p. 23, par. 31; Ustor, ibid., p. 23, par. 36.311 Sette Camara, ibid., p. 16, par. 45; Bedjaoui, Ibid., p. 8, par. 8.
116
una eccezione al principio di base espresso nel primo paragrafo poteva essere presa in
considerazione con riferimento al trattamento degli stranieri, dall’altra risultava
inaccettabile nei casi di violazioni del diritto internazionale quali l’aggressione o la minaccia
alla pace312. Egli ha pertanto proposto di eliminare tale paragrafo o di mantenerlo solo con
riferimento ai casi di danni subiti da privati313.
Altri membri della Commissione hanno sostenuto che il secondo paragrafo previsto dal
relatore limitava eccessivamente la responsabilità internazionale dello Stato data
l’impossibilità per le vittime di sottrarsi ai fatti commessi dagli organi che abusano dei mezzi
messi loro a disposizione in relazione alla funzione svolta. Prendendo come esempio la
sentenza resa dalla Commissione generale dei reclami tra Stati Uniti d’America e Messico
nel caso Youmans314, essi hanno ritenuto inaccettabile che uno Stato potesse sottrarsi alla
responsabilità internazionale invocando la manifesta incompetenza degli organi autori
dell’illecito dal momento che le vittime non avrebbero in qualsiasi modo potuto evitare il
danno.
Secondo Kearney, ad esempio, con riferimento ai comportamenti adottati dalle forze
armate, dalla polizia e dagli organismi paramilitari, la responsabilità internazionale dello
Stato deve sorgere anche nel caso in cui siano manifestamente incompetenti dal momento
che “c’est sur l’ordre de l’Etat que ledits organes ont été dotés des moyens de causer un
dommage”315.
Altri ancora hanno affermato che era errato allineare la disposizione in tema di
attribuzione allo Stato di fatti ultra vires con l’art. 46 della Convenzione di Vienna sul diritto
dei trattati, mediante l’uso della limitazione della “manifesta incompetenza”.
Secondo Tammes, tale espressione assume in ambito di attribuzione di condotte allo
Stato ai fini di determinarne la responabilità un’accezione completamente differente
312 “…la restriction introduite au paragraphe 2 est, en tout cas, inacceptable dans le cas des crimes internationaux et des autres violations graves des principes du droit international, car, dans ce cas-là, tout comportement ultra vires d’un organe de l’Etat est un fait de l’Etat. Le cas des dommages causés aux étrangers constitue la seule exception possible au principe énoncé au paragraphe 1, et ce cas n’entre pas vraiment dans le cadre du projet d’articles”. Ouchakov, ibid., p. 10, par. 25. Ugualmente Tammes ha affermato che la non attribuzione allo Stato dei comportamenti manifestamente ultra vires non poteva essere prevista con riferimento alle violazioni delle norme di diritto internazionale volte a salvaguardare la pace e la sicurezza internazionale, bensì soltanto “aux cas relativement mineurs qui nécessitent l’exercise de la protection diplomatique”. Ibid., p. 12, par. 19. Si veda anche Yassen, ibid., p. 13, par. 25. 313 Ibid., p. 11, par. 29.314 Vedi supra, p. 74.315 Kearny, Annuaire de la Commission du Droit International, 1975, vol. I, p. 8, par. 13. Così anche Hambro, ibid., p. 12, par. 10. Quentin-Baxter ha espresso la medesima opinione prendendo ad esempio il caso Mantovani: il poliziotto italiano che aveva arrestato Mantovani sul territorio svizzero aveva sicuramente agito in maniera incompetente, ma tale circostanza non era stata ritenuta sufficiente ad esentare il Governo italiano dalla sua responsabilità internazionale. Ibid., p. 15, par. 37.
117
rispetto a quella prevista nel diritto dei trattati. Un trattato internazionale è difatti concluso
in un contesto di buona fede, in cui gli organi legittimati alla sua conclusione sono
direttamente indicati all’art. 7 della Convenzione di Vienna. Se era evidente che l’organo di
una parte contraente non aveva la competenza a concludere il trattato, l’altra parte non può
lamentarsi se l’invalidità viene successivamente invocata. Nel contesto della responsabilità
internazionale, invece, la vittima si confronta con comportamenti di organi di un altro Stato
senza considerare se possono essere ritenuti fatti statali nell’ordinamento internazionale.
Soltanto in circostanze eccezionali l’ignoranza della parte lesa può avere un ruolo
determinante316.
Sette Camara riteneva che una tale limitazione al principio generale non avesse alcuna
ragion d’essere per un differente motivo. Nel caso in cui un organo agiva in maniera
manifestamente incompetente, la condotta era assimilabile a quella di un semplice privato
e, in base all’art. 11 del progetto che si occupava di comportamenti di privati, non poteva
essere attribuita allo Stato. Il secondo paragrafo dell’art. 10 era pertanto considerato
superfluo, in quanto considerava delle ipotesi che erano già ricomprese nel campo di
applicazione dell’art. 11317.
A seguito di tali osservazioni, il relatore speciale ha affermato che, nonostante il limite
della manifesta incompetenza trovasse riscontro nei dati offerti dalla prassi internazionale in
tema di trattamento degli stranieri, era preferibile non codificarlo al fine di evitare che uno
Stato potesse invocare scappatoie per sfuggire alla propria responsabilità internazionale318.
Nel corso del dibattito il relatore ha pertanto proposto di sopprimere il secondo
paragrafo oppure di conservarlo, modificandone però la formulazione nel senso seguente:
“l’attribution à l’Etat du comportement de l’organe n’est exclue que dans le
cas où il est manifeste que l’organe n’a agi qu’en qualité privée”319.
I membri della CDI hanno dubitato dell’opportunità di una tale disposizione. Dal
momento che già gli artt. 5, 7, 12 e 13 della prima parte del progetto prevedevano che
potevano essere attribuiti allo Stato soltanto i comportamenti di un organo che gode di tale
316 Tammes, ibid., vol. I, p. 11, par. 18.317 Sette Camara, ibid., vol. I, p. 16, par. 47. Egli riteneva inoltre che il paragrafo 2 dell’art. 10 fosse “une clause échappatoire pour les Etats désireux de se soustraire à leur responsibilité et s’écarte donc du propos de l’article, qui est de fermer toutes les portes de sortie”. Ibid. Così anche Sahovic, ibid., p. 9, par. 18; Ramangasoavina, ibid., p. 13, par. 23; El-Erian, ibid., p. 17, par. 51.318 Ago, Ibid., pp. 19 – 20. Si veda Condorelli, L’imputation à l’Etat d’un fait internationalement illicite, cit., p. 81 ss.; Pisillo Mazzeschi, “Due diligence” e responsabilità internazionale degli Stati, cit., p. 214 ss.319 Annuaire de la Commission du Droit International, 1975, vol. I, p. 18, par. 1.
118
status in base al diritto interno e che ha agito nella sua qualità ufficiale, ne derivava
logicamente che se un organo adottava un comportamento a titolo puramente privato, tale
comportamento non poteva essere attribuito allo Stato.
La precisazione contenuta nella nuova formulazione del secondo paragrafo era superflua
in quanto implicitamente contenuta nel testo delle disposizioni precedentemente citate 320 e
codificata all’art. 11 della prima parte del progetto321. La Commissione ha quindi deciso di
non prendere in considerazione l’incompetenza manifesta dell’organo come circostanza
suscettibile di escludere l’attribuzione di comportamenti allo Stato ed ha accolto in prima
lettura la seguente formulazione del principio dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires
dei propri organi:
“ Le comportement d'un organe de l'Etat, d'une collectivité publique
territoriale ou d'une entité habilitée à l'exercice de prérogatives de la puissance
publique, ledit organe ayant agi en cette qualité, est considéré comme un fait
de l'Etat d'après le droit international même si, en l'occurrence, l'organe a
dépassé sa compétence selon le droit interne ou a contrevenu aux instructions
concernant son activité. ”322.
L’aver agito in qualità ufficiale o nell’esercizio delle proprie funzioni è stato ritenuto
pertanto dalla Commissione l’unico criterio in grado di distinguere, tra i vari comportamenti
adottati da un individuo o ente che gode dello status organico, quali devono essere
considerati fatti attribuibili allo Stato e quali devono invece essere assimilati a fatti di
semplici privati.
La medesima condizione attributiva era già stata precedentemente codificata nell’art. 5
del progetto, che considera attribuibili allo Stato tutti i comportamenti tenuti dagli organi
nella propria qualità ufficiale.
L’art. 10 deve essere considerato, pertanto, un corollario di tale disposizione, volto a
sottolineare l’ininfluenza della regolarità di una condotta di un organo rispetto al diritto
interno ai fini della sua attribuzione allo Stato nell’ordinamento internazionale.
Benché alcuni membri della Commissione del diritto internazionale avessero fatto
riferimento alla condizione attributiva dei mezzi messi a disposizione dell’organo per il
320 Ramangasoavina, ibid., vol. I, p. 21, par. 10; Hambro, ibid., p. 21, par. 16.321 Sette Camara, ibid., p. 19, par. 4; Pinto, ibid., p. 20, par. 21. Si sono pronunciati a favore della soppressione del secondo paragrafo anche Ouchakov, ibid., p. 19, par. 6; Sahovic, ibid., p. 19, par. 7; Yasseen, ibid., p. 19, par. 8; Kearney, ibid., p. 19, par. 15; Martinez Moreno, ibid., p. 20, par. 24 e Quentin-Baxter, ibid., p. 20, par. 25.322 Annuaire de la Commission du droit international, 1996, vol. II, p. 48.
119
regolare svolgimento delle funzioni come criterio in grado di precisare quando una condotta
ultra vires deve essere riferita allo Stato323, di tale condizione l’art. 10 non fa menzione. Il
relatore, infatti, si era fermamente opposto in quanto a suo avviso la natura di fatto statale
di una condotta tenuta da un organo non può essere determinata dagli strumenti utilizzati
per il suo compimento. Difatti un organo statale potrebbe utilizzare i mezzi messi a
disposizione dallo Stato per lo svolgimento delle sue funzioni per tenere un comportamento
di natura puramente privata; allo stesso tempo la circostanza che esso non abbia fatto uso
di tali strumenti non significa necessariamente che una data condotta non possa essere ad
esso attribuita sul piano internazionale324.
Tale posizione è rinvenibile anche nel commentario della disposizione del progetto
adottato in prima lettura, secondo cui la qualità ufficiale con cui un organo agisce non può
essere determinata dall’uso dei mezzi della funzione. Ciò non toglie naturalmente che, nella
circostanza in cui un organo utilizzi i mezzi della funzione per adottare un comportamento in
qualità di privato, lo Stato possa comunque incorrere nella responsabilità internazionale in
ragione però del mancato rispetto degli obblighi di prevenzione o repressione spettanti ad
ulteriori organi statali325.
5. Le prese di posizione degli Stati con riferimento all’art. 10 adottato dalla Commissione
Gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno avuto modo di esprimersi nel 1975 sul
progetto di art. 10 adottato dalla CDI in prima lettura nel corso del dibattio sul rapporto della
CDI in seno alla sesta commissione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Numerose
sono state le prese di posizione con riferimento al principio dell’attribuzione allo Stato dei
fatti ultra vires dei propri organi.323 Facendo riferimento alla sentenza arbitrale resa nel caso Caire, Kearney aveva suggerito di sostituire l’espressione “pour autant qu’il ait agi en qualité d’organe” con “à moins qu’il ne soit manifeste que, lorsqu’il a agi ainsi, l’organe ou l’entité n’a exercé aucune des prérogatives de la puissance publique et n’a pas utilisé de moyens mis à sa disposition par l’Etat”. Cfr. Annuaire de la Commission du Droit International 1975, vol. I, p. 21, parr. 14-15. Reuter aveva sostenuto tale proposta dichiarando che “un acte commis par un agent public qui a perdu la raison est un acte de l’organe dès lors que cet agent a à sa disposition des moyens matériels qui lui sont fournis par l’Etat en tant qu’organe”. Ibid., p. 22, parr. 19-20. La formulazione proposta da Kearney era stata approvata anche da Pinto, ibid., p. 22, par. 22 e TABIBI, ibid., p. 23, par. 40.324 Annuaire de la Commission du droit international, 1975, vol. II, p. 75, par. 26. 325 “If a policeman off duty uses the weapon supplied to him by the State for the purpose of killing an alien of whom he is jealous, that is not sufficient, in the eyes of the Commission, to justify attributing such action to the State under international law. That does not mean, of course, that the State cannot, in certain circumstances, incur international responsibility in situations of this kind; but then the responsibility must be incurred through the act of organs other than the organ which committed the wrongful act. In other words, the conduct of organs acting in a purely personal capacity is entirely assimilable to the conduct of private persons which is dealt with in article 11 of the draft”. Yearbook of the International Law Commission, 1996, vol. II – 2, p. 44, par. 26.
120
Nell’esprimere un’opinione circa la prima parte del progetto adottato dalla Commissione
del diritto internazionale in tema di responsabilità internazionale dello Stato, molti Stati si
sono mostrati favorevoli al principio espresso dall’art. 10, senza però motivare la propria
scelta326. Tra gli Stati che hanno sostenuto il principio, l’Oman e il Kuwait hanno sottolineato
l’irrilevanza del rispetto da parte dell’organo delle disposizioni di diritto interno in tema di
competenza o delle istruzioni impartitegli al fine dell’attribuzione delle sue condotte allo
Stato quale soggetto del diritto internazionale. Lo Stato difatti non può invocare il mancato
rispetto di disposizioni di diritto interno al fine di sfuggire alla propria responsabilità
internazionale327.
Alcuni Stati hanno criticato la scelta della condizione attributiva dell’aver agito nella
propria qualità ufficiale come criterio in grado di individuare quali comportamenti tenuti da
un organo possono essere considerati attribuibili allo Stato. Secondo il Paraguay, ad
esempio, il riferimento a tale condizione attributiva doveva essere eliminato dal testo
dell’art. 10, in virtù della difficoltà nella prassi internazionale di operare una distinzione tra i
comportamenti adottati da un organo nella sua qualità ufficiale e quelli tenuti come
privato328. Il delegato del Giappone, Yokota, pur accettando la formulazione della
Commissione secondo cui il solo criterio da applicare per l’attribuzione allo Stato dei
comportamenti ultra vires dei propri organi è la circostanza che abbiano agito nella loro
qualità ufficiale, ha espresso qualche perplessità.
Egli si preoccupava:
326 Così la Finlandia, Documents Officiels de l’Assemblée générale, trentième session, sixième commission, comptes rendus analytiques des séances (17 septembre – 5 décembre 1975), p. 42, par. 9; la Germania, ibid., p. 68, par. 3;l’Argentina, ibid., p. 74, par. 9; la Giamaica, ibid., p. 81, par. 20; la Svezia, ibid., p. 99, par. 22; la Turchia, ibid., p. 113, par. 17; il Cile, ibid., p. 119, par. 65; la Bolivia, ibid., p. 124, par. 30; lo Zambia, ibid., p. 137, par. 2; Israele, Documents Officiels de l’Assemblée générale, cinquante-troisième session, sixième commission, comptes rendus analytiques des séances, p. 8, par. 31.327 Il delegato dell’Oman, Al-Kindi, “considère comme essentiel que les Etats souverains assument la responsabilité des actes dommageables commis par leur organes, que ceux–ci aient agi ou non en dépassement de leur compétence ou en contradiction avec les instructions concernant leurs activités. Leur compétence ou leur instructions relèvent du droit interne et non du droit international ”, in Documents Officiels de l’Assemblée générale, trentième session, sixième commission, comptes rendus analytiques des séances (17 septembre – 5 décembre 1975), p. 108, par. 40. Il delegato del Kuwait, Al-Othman, ha ammesso che “l’Etat est responsable des actes commis par ses fonctionnaires dans l’exercice de leur fonctions, qu’ils aient agi ou non en dépassement de leur compétence. Les Etats ne pouvant alléguer les dispositions de leur droit interne pour se soustraire à leur responsabilité internationale…”, ibid., p. 133, par. 40.328 Si veda p. 65, par. 38. La medesima difficoltà è stata riconosciuta dalla Repubblica socialista sovietica della Bielorussia, ibid., p. 76, par. 32.
121
“des difficultés que l’application de cette règle ne manquera pas de
soulever dans la pratique…Il n’est pas toujours facile d’établir dans un cas
donné en quelle qualité la personne en cause a agi”329.
Piena approvazione del principio, come formulato all’art. 10 da parte della Commissione,
è stata invece data dal Brasile. Il delegato del Governo brasiliano (oltre che membro della
Commissione), Sette Camara, ha ritenuto impossibile contestare la regola secondo cui uno
Stato è responsabile del comportamento dei propri organi e degli enti abilitati all’esercizio
del pubblico potere nel caso in cui abbiano agito nella loro qualità ufficiale, ma
contravvenendo alle disposizioni del diritto interno o alle istruzioni ricevute, in virtù della
necessità di garantire la sicurezza delle relazioni internazionali. L’intero istituto della
responsabilità internazionale, a suo parere, sarebbe stato fortemente minato nel caso in cui
l’attribuzione di una condotta allo Stato fosse stata fatta dipendere dalle regole in tema di
competenza stabilite dal diritto interno, le quali possono facilmente essere modificate dallo
Stato secondo le proprie esigenze mediante il ricorso alle procedure costituzionali.
La delegazione brasiliana ha inoltre visto con favore l’eliminazione del limite della
manifesta incompetenza dell’organo dal momento che:
“les actes qui dépassent manifestement la compétence des organes d’un
Etat ne sont évidemment, en effet, que de simples actes de personnes privées,
relevant à ce titre d’un article différent du projet, et en particulier de l’article 11
du projet d’articles”330.
La delegazione indonesiana, dopo aver individuato nella stabilità delle relazioni
internazionali la ragione per cui è necessario riconoscere l’attribuzione allo Stato delle
condotte ultra vires degli organi statali, ha invece sottolineato l’esigenza di limitare la
portata del principio enunciato all’art. 10. I dati offerti dalla prassi internazionale
dimostrerebbero che lo Stato non deve essere ritenuto internazionalmente responsabile dei
fatti illeciti dei propri organi nel caso in cui l’incompetenza dell’organo era manifesta e la
parte lesa avrebbe potuto evitare il suo verificarsi331.
329 Cfr, ibid., p. 106, par. 24. Si è espresso negli stessi termini anche il delegato dell’Iran, ibid.,p. 120, par. 4.330 Documents Officiels de l’Assemblée générale, trentième session, sixième commission, comptes rendus analytiques des séances (17 septembre – 5 décembre 1975), p. 62, par. 6 -7. Così anche il delegato delle Filippine, ibid., pp. 135–136, par. 65.331 Ibid., p. 121, par. 14.
122
Nel dibattito in seno alla sesta Commissione dell’Assemblea Generale, soltanto due Stati
si sono mostrati contrari al principio attributivo espresso dall’art. 10.
Prendendo in considerazione il problema dalla sola prospettiva della responsabilità
internazionale dello Stato in caso di violazione delle disposizioni che regolano il trattamento
degli stranieri, il delegato cubano ha ritenuto impossibile che lo Stato debba rispondere in
ambito internazionale dei comportamenti dei propri organi che nell’agire non rispettano la
propria competenza, dal momento che la vittima, anche se è uno straniero, ha il diritto di
utilizzare i mezzi di ricorso interni332.
Durante il dibattito svoltosi nel 1975, anche il delegato del Bangladesh aveva ritenuto che
possono essere attribuiti allo Stato soltanto i comportamenti adottati dagli organi nel
rispetto dei limiti della competenza come stabiliti dal diritto interno333. Tuttavia
successivamente, nel 1979, durante la trentaquattresima sessione della sesta Commissione
dell’Assemblea Generale, il governo del Bangladesh ha ammesso che la condotta di un
organo che agisce nel mancato rispetto della propria competenza deve considerarsi
attribuibile allo Stato in linea con quanto previsto dall’art. 10 del progetto di articoli della
Commissione334.
Prima di procedere alla seconda lettura del progetto di articoli, la CDI ha deciso di
comunicare agli Stati membri delle Nazioni Unite i primi tre capitoli inerenti la sua prima
parte335. A seguito dell’approvazione di tale decisione da parte dell’Assemblea Generale, in
una lettera datata 18 gennaio 1979 il Segretario generale ha chiesto ai Governi di
comunicare per iscritto le loro osservazioni ed i loro commenti in merito alle disposizioni del
progetto.
Ad eccezione di qualche osservazione di pura forma riguardo alla redazione dell’art. 10,
nessun governo ha criticato il principio dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires dei
propri organi.
In particolare il Governo del Cile ha ritenuto che tale disposizione trovava pieno riscontro
nei dati offerti dalla prassi internazionale e si fondava su considerazioni di ordine
meramente pratico, in quanto è impossibile per gli Stati sapere:
332 Idib., p. 85, par. 18. La delegazione cubana ha rigettato il principio attributivo codificato all’art. 10 anche l’anno successivo, durante la trentunesima sessione della sesta commissione dell’Assemblea Generale. Si veda Rapport de la Commission du droit international sur les travaux de sa vingt-huitième session, cit., p. 38, par. 97.333 Rapport de la Commission du droit international sur les travaux de sa vingt-septième session , cit., p. 112, par. 6.334 Rapport de la Commission du droit international sur les travaux de sa trente et unième session , cit., p. 10, par. 30.335 Si veda Annuaire de la Commission du droit international, 1978, vol. II, deuxième partie, p. 88, par. 92.
123
“de manière absolument sûre quand les organes étatiques ou les entités
connexes se maintiennent dans les limites fixées par la législation interne ou
quand ils les dépassent”336.
Al fine di garantire la sicurezza delle relazioni internazionali uno Stato deve pertanto
rispondere sul piano internazionale dei comportamenti non autorizzati dei propri organi in
quanto gli altri soggetti internazionali devono poter fare affidamento sulle scelte che esso
mostra di aver preso in riferimento al modo di essere della propria organizzazione.
L’apparenza creata dallo Stato attraverso il riconoscimento della qualità organica prevale
sulla circostanza che il comportamento adottato dall’organo in una data circostanza rifletta
effettivamente delle scelte da esso operate.
Anche i Governi dei Paesi Bassi337, della Jugoslavia338, della Repubblica federale di
Germania339 e della Mongolia340 hanno sostenuto il principio espresso dall’art. 10, senza però
motivare la propria scelta.
6. L’ampliamento della nozione di organo nel progetto di articoli adottato in seconda
lettura
A seguito dell’adozione in prima lettura del progetto di articoli sulla responsabilità
internazionale dello Stato nel 1996, il relatore speciale James Crawford, nel suo primo
rapporto, ha riesaminato gli articoli inerenti la prima parte del progetto341.
Accogliendo le critiche che erano state mosse da alcuni Stati342, il relatore ha in
particolare deciso di abbandonare l’idea secondo cui il riferimento al diritto interno è
l’esclusivo criterio al fine di determinare se un individuo gode della qualità di organo.
Crawford, pur non soffermandosi ad esaminare le ragioni che avevano indotto Ago ad
336 Observations et Commentaires, Annuaire de la Commission du droit international, 1980, vol. II, première partie, p. 95, par. 14.337 Ibid., p. 100, par. 8.338 Ibid., p. 103, par. 12.339 Observations et Commentaires, Annuaire de la Commission du Droit International, 1981, vol. II, première partie, p. 74.340 Ibid., p. 77, par. 3.341 CRAWFORD, First Report on State Responsibility, in Yearbook of the International Law Commission, 1998, vol. II, p. 35, par. 163.342 Secondo il Regno Unito “If the [municipal] law itself designates the organ as an organ of the State, it may be appropriate for international law to adopt a similar position. If, however, the municipal law of a State does not treat an organ as part of the State, it does not necessarily follow that the organ’s acts are not attributable to the State. The municipal law cannot have determinative effect in this context: attribution is a matter for international law”. Tale tesi è stata sostenuta anche dagli Stati Uniti. Cfr. Comments and Observations, in Yearbook of the International Law Commission, 1998, vol. II, p. 106.
124
identificare l’organizzazione dello Stato sul piano internazionale con la sua organizzazione
giuridica interna, ha fondato invece la ricostruzione teorica del fenomeno attributivo
sull’idea che lo Stato è un ente reale organizzato, i cui organi sono tutti gli individui o enti
che compongono tale organizzazione.
Il riferimento al diritto interno risulterebbe a suo parere insufficiente al fine di accertare
la qualità di organo, sia perché in numerosi ordinamenti interni la prassi ha un ruolo
preminente a tal riguardo sia perché il diritto interno potrebbe non classificare in modo
esaustivo gli individui o enti che hanno tale qualità343. Il principale argomento addotto dal
relatore a sostegno della sua tesi concerne il timore di un uso distorto da parte dello Stato
del criterio del riferimento esclusivo al diritto interno, in grado di minare la sicurezza delle
relazioni internazionali.
Far dipendere l’attribuzione di un fatto illecito allo Stato dall’accertamento della qualità
di organo in base al criterio del riferimento esclusivo al suo diritto interno, avrebbe potuto
infatti essere da esso sfruttato al fine di sfuggire alla responsabilità internazionale invocando
l’impossibilità di considerare come propria la condotta tenuta da individui che, pur
risultando effettivamente integrati nella sua struttura di governo, non godono dello status
organico a causa dell’inesistenza di un legame formale di diritto interno344.
L’art. 4 del testo di articoli adottato in seconda lettura dalla Commissione segue le
indicazioni fornite dal relatore Crawford, non individuando nel riferimento al diritto interno
il criterio esclusivo al fine dell’accertamento di quali individui o enti godono della qualità
organica. La disposizione, corrispondente all’ 5 del progetto di articoli adottato in prima
lettura, prevede che:
343 Tali argomenti addotti dal relatore per giustificare l’abbandono del riferimento esclusivo al diritto interno sono stati criticati in dottrina. Per quanto concerne il peso che la prassi ha in numerosi ordinamenti nell’individuazione della qualità di organo, è ad esempio stato notato che l’art. 5 del progetto adottato in prima lettura già comprendeva in realtà un riferimento ad eventuali prassi costitutive o modificative di regole giuridiche. Con riferimento invece al secondo, è stato sottolineato che risulta irrilevante dal punto di vista del diritto internazionale l’uso di un particolare termine nell’ordinamento interno in quanto ciò che realmente conta è la possibilità di ricavare da esso delle indicazioni in grado di attestare l’esistenza di un legame sufficientemente stretto. Per tali considerazioni, si veda PALCHETTI, op. cit., pp. 31-32.344 Particolare preoccupazione circa la possibilità per gli Stati di sottrarsi alla propria responsabilità internazionale è stata mostrata a tal riguardo anche da parte di alcuni membri della Commissione durante il dibattito sul progetto di articoli. Secondo Simma, ad esempio, “…considerations of legal certainty came into play and tended to limit the scope of general references to internal law”. In Yearbook of the International Law Commission, 1998, vol. I, p. 239. In quanto presidente del Comitato di redazione, sempre Simma, ha riconosciuto “the supplementary role of international law in situations in which internal law does not provide any classification or provides an incorrect classification of a person or an entity which in fact operates as a State organ within the organic structure of the State”. Cfr. Statement of the Chairman of the Drafting Committee, p. 6.
125
“ The conduct of any State organ shall be considered an act of that State
under international law, whether the organ exercises legislative, executive,
judicial or any other functions, whatever position it holds in the organization of
the State, and whatever its character as an organ of the central Government or
of a territorial unit of the State.
An organ includes any person or entity which has that status in accordance
with the internal law of the State”.
Il par. 2 della disposizione, stabilendo che “an organ includes any person or entity which
has that status in accordance with the internal law of the State”, ammette in maniera
implicita che esistono ulteriori criteri di diritto internazionale, differenti rispetto al
riferimento al diritto interno, attraverso cui è possibile accertare lo status di organo.
L’estensione della nozione di organo risulta anche da alcune indicazioni fornite dal
commentario, dove si nota che non è sufficiente il riferimento al diritto interno ai fini
dell’accertamento dello status organico, dal momento che:
“while the State remains free to determine its internal structure and
functions through its own law and practice, international law has a distinct
role”345.
Sempre il commentario sembra chiarire inoltre che il legame fattuale a cui si riferisce
implicitamente la disposizione è cosa diversa dal criterio di attribuzione di condotte
corrispondente alla circostanza in cui lo Stato esercita un effettivo controllo sui
comportamenti adottati da individui o enti, criterio contemplato in un ulteriore articolo346.
Alla luce dei lavori della Commissione, la nozione di organo nel progetto adottato in via
definitiva sembra quindi individuare coloro che sono effettivamente integrati
nell’organizzazione statale mediante una connessione molto intensa, grazie a cui si realizza
la massima identificazione tra un individuo o ente e la struttura di governo dello Stato, siano
essi o meno organi dello Stato secondo il diritto interno.
La regola formulata dalla Commissione ha il limite di indicare in maniera eccessivamente
vaga i criteri da utilizzare per stabilire quando un individuo o ente deve essere considerato
organo dello Stato. Al di là della esplicita enunciazione del criterio del riferimento al diritto
345 In Yearbook of the International Law Commission, 2001, p. 39, par. 6.346 Nel chiarire l’ambito di applicazione del criterio dell’organo, il commentario all’art. 4 precisa che “certain acts of individuals or entities which do not have the status of organs of the State may be attributed to the State in international law, and these cases are dealt with in later articles of this chapter”. In Ibid., p. 40, par. 2.
126
interno statale, non è chiarito infatti quali siano le altre circostanze in presenza delle quali è
possibile accertare la qualità organica347. Allo stesso tempo, pur non identificandole, la
disposizione ammette però implicitamente che ci sono delle circostanze in cui uno stretto
legame fattuale con lo Stato permette di assimilare un individuo o ente a coloro che sono
organi in base al diritto interno. Il commentario al progetto di articoli attribuisce al
riferimento al diritto interno un ruolo primario nella determinazione della qualità organica,
lasciando supporre che gli altri criteri abbiano essenzialmente un ruolo integrativo348.
Il silenzio della Commissione a tale riguardo non permette comunque di chiarire quale sia
il reale ambito di operatività della modifica introdotta in seconda lettura, cioè se la
possibilità di considerare organo dello Stato un individuo o un gruppo che non hanno tale
qualità in base al diritto interno abbia la sola finalità di rendere meno rigido il criterio del
riferimento esclusivo al diritto interno oppure se permetta di riconoscere lo status organico
a tutti coloro che sulla base di elementi fattuali risultano effettivamente integrati nella
struttura di governo dello Stato.
7. Il principio dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires nel primo rapporto di
Crawford
Con riferimento all’art. 10 adottato in prima lettura, il relatore Crawford ha condiviso il
principio dell’attribuzione allo Stato dei comportamenti ultra vires dei propri organi e ha
sottolineato che il carattere assoluto della sua formulazione trovava pieno riscontro nei dati
offerti dalla prassi internazionale.
Nonostante tale principio fosse a suo avviso incontestabile, Crawford ha ritenuto che ci
fosse una difficoltà pratica nel distinguere le condotte ultra vires tenute dagli organi
nell’esercizio delle proprie funzioni dai comportamenti da essi adottati totalmente al di fuori
della loro qualità ufficiale, comportamenti questi da assimilare a quelli di semplici privati.
Secondo il relatore, tale problema era di facile risoluzione con riferimento alle condotte
347 Nel corso del dibattito in seno alla Commissione, il relatore speciale Crawford ha osservato: “Many factors must be taken into consideration in that connection, including the structure of the organ, its responsibility vis-à-vis the central Government, and whether its employees had the status of public servants. It would also be necessary to examine what the courts had decided in the similar context of State immunity, where distinction had had to be made between the State and its various entities”. In Yearbook of the International Law Commission, 1998, vol. I, p. 244.348 “In determining what constitutes an organ of a State for the purposes of responsibility, the internal law and practices of each State are of prime importance […]. But while the State remains free to determine its internal structure and functions through its own law and practice, international law has a distinct role”. In Yearbook of the International Law Commission, 2001, p. 39, par. 6.
127
tenute dagli organi in maniera sistematica o ricorrente, in quanto si presupponeva che lo
Stato ne fosse a conoscenza e facesse il possibile per prevenirle. In altre circostanze, invece,
si trattava di stabilire se l’individuo o ente appariva effettivamente agire in qualità ufficiale.
Anche il relatore Crawford, pertanto, ha ritenuto l’aver agito in qualità ufficiale o
nell’esercizio delle proprie funzioni l’unico criterio in grado di distinguere, tra i vari
comportamenti adottati da un individuo o ente che gode dello status organico, quali devono
essere considerati fatti attribuibili allo Stato e quali possono invece essere assimilati ad atti o
omissioni di semplici privati.
L’unico problema da risolvere a suo parere era stabilire se la formulazione dell’articolo
dovesse essere modificata in modo tale da mettere maggiormente in evidenza il principio
secondo cui uno Stato è tenuto a rispondere in ambito internazionale di tutti i
comportamenti adottati da un organo, a patto che all’esterno appaia agire nella sua qualità
ufficiale349.
Occorre precisare che sia i membri della Commissione sia gli Stati membri delle Nazioni
Unite, questi ultimi nel corso del dibattito sul rapporto della CDI in seno alla sesta
commissione dell’Assemblea generale, non si sono espressi con riferimento al principio
dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires dei propri organi.
8. L’art. 7 del progetto adottato in seconda lettura: elementi comuni e di distinzione rispetto all’art. 10 adottato in prima lettura
Una lettura sistematica delle disposizioni in tema di attribuzione di condotte, contenute
nel progetto adottato nel 2001 in seconda lettura, consente di comprendere le modifiche
introdotte su proposta del relatore speciale Crawford al principio della riferibilità allo Stato
delle condotte tenute ultra vires dai propri organi e dagli organi di enti a cui sia stato
formalmente delegato l’esercizio di prerogative del pubblico potere.
L’art. 7 del progetto adottato in seconda lettura (corrispondente all’art. 10 del progetto
adottato in prima lettura) enuncia:
“ The conduct of an organ of a State or of a person or entity empowered to
exercise elements of the governmental authority shall be considered an act of
349 Secondo il relatore, ad esempio, sembrava difficile poter sostenere che un funzionario doganale che commetteva un illecito ultra vires agendo in maniera stravagante e per fini privati, mentre era in servizio e facendo uso dei mezzi messi a disposizione, avesse realmente agito nella sua qualità ufficiale. L’attribuzione di tale fatto illecito poteva avvenire sulla base del fatto che l’organo, esternamente, appariva comunque agire nella sua qualità ufficiale. CRAWFORD, First Report, cit., p. 32, par. 243.
128
the State under international law if the organ, person or entity acts in that
capacity, even if it exceeds its authority or contravenes instructions. ”350.
Il commentario di tale disposizione mette in evidenza come qualsiasi regola diversa da
quella codificata avrebbe contraddetto un principio di diritto internazionale generale,
secondo cui uno Stato non può fare riferimento al diritto interno al fine di negare che una
certa condotta è ad esso attribuibile nell’ordinamento internazionale. Lo Stato deve
pertanto riconoscere di aver agito ogniqualvolta un organo appaia aver adottato un
comportamento nella sua capacità ufficiale. A differenza della disposizione contenuta nel
progetto adottato in prima lettura, l’art. 7 non fa menzione però del diritto interno come
parametro in funzione del quale controllare il rispetto da parte di un organo dei limiti della
propria competenza.
L’art. 7 difatti considera attribuibile allo Stato una condotta di un organo “even if it
exceeds its authority or contravenes instructions”, mentre l’art. 10 stabiliva che lo Stato
deve rispondere a livello internazionale di un comportamento tenuto da un proprio organo
“even if, in the particular case, the organ exceeded its competence according to internal law
or contravened instructions concerning its activity”.
Tale modifica è stata introdotta in seconda lettura su impulso del relatore speciale
Crawford con l’intento di armonizzare tale disposizione con il contenuto dell’art. 4, par. 2,
che non considera più il diritto interno l’unico metro valido a determinare quali individui o
enti godono dello status di organo351.
Sebbene, come precedentemente rilevato352, anche in prima lettura il riferimento al
diritto interno non avesse il carattere di criterio esclusivo ai fini dell’attribuzione di condotte
allo Stato, la soluzione prospettata dal relatore Ago prevedeva l’identificazione degli organi
statali unicamente con gli individui o enti che possedevano tale qualità in virtù
dell’ordinamento interno. Il problema dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires,
pertanto, sorgeva esclusivamente con riferimento ad individui o enti legati allo Stato da un
rapporto formale: era necessario operare un rinvio all’ordinamento interno al fine di
determinare se la competenza dell’organo in questione era stata rispettata o meno.
350 Draft articles on Responsibility of States for Internationally Wrongful Acts with commentaries, Yearbook of the International Law Commission, 2001, vol. II, p. 47.351 “It is, however, proposed that the concluding phrase in article 10 be amended to read “even if, in the particular case, the organ or entity exceeded its authority or contravened instructions concerning its exercise”. This is clearer, as well as consistent with the proposal already made to delete the reference to internal law in article 5”. CRAWFORD, First Report, cit., p. 33, par. 243. 352 Vedi supra, p. 112.
129
In seconda lettura la Commissione ha ampliato – come si è detto353 - la nozione di organo
riconoscendo l’esistenza di tale status in presenza di un’effettiva integrazione di un
individuo o ente nell’organizzazione statale, ammettendo così in maniera implicita la
possibilità che in alcuni casi tale rapporto organico possa basarsi su un legame di fatto
esistente tra un individuo o ente e lo Stato, piuttosto che sulle prescrizioni del diritto
interno.
Ciò ha come conseguenza che, almeno in via di principio, l’attribuzione di fatti ultra vires
possa avvenire anche con riferimento a comportamenti di individui o enti che godono della
qualità organica in virtù di un legame fattuale, a tal punto stretto con lo Stato, da
determinarne l’integrazione nella sua struttura di governo.
L’assenza di riferimenti precisi, da parte della CDI, a dati della prassi internazionale
sembra suffragare l’ipotesi che l’eliminazione di qualsiasi riferimento al diritto interno sia
stata apportata dalla Commissione sulla base di mere considerazioni teoriche, allo scopo di
garantire coerenza con altre disposizioni del medesimo progetto. La regola formulata in
seconda lettura dalla Commissione, infatti, non indica in quale modo sia possibile accertare
l’esistenza dello status di organo e le competenze ad esso spettanti sulla base della
rilevazione di elementi fattuali, rendendo più incerto l’ambito applicativo del regime
attributivo fondato sulla nozione di organo.
Sezione II.
LA PRASSI E LA GIURISPRUDENZA INTERNAZIONALE CONTEMPORANEE E SUCCESSIVE AI
LAVORI DI CODIFICAZIONE DELLA COMMISSIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE
1. Premessa
Per ragioni di sistematicità dell’esame dei dati offerti dalla prassi internazionale, anche
con riferimento alla prassi più recente la trattazione verrà distinta fra prese di posizione
degli Stati e giurisprudenza internazionale. Occorre evidenziare l’indubbia importanza che
tali manifestazioni della prassi assumono rispetto all’accertamento della regola
dell’attribuzione allo Stato dei fatti illeciti ultra vires dei propri organi.
353 Vedi supra, p. 129 ss.130
Come vedremo354, nella giurisprudenza internazionale recente si è fatto frequentemente
ricorso alla regola secondo cui devono considerarsi fatti dello Stato sul piano internazionale
tutte le condotte tenute dagli organi nella loro qualità ufficiale, mentre scarseggiano invece
le prese di posizione degli Stati in cui tale criterio attributivo viene enunciato.
Per quanto concerne la sezione dedicata alla giurisprudenza internazionale, sono state
incluse nella trattazione anche sentenze rese da alcuni tribunali la cui natura propriamente
“internazionale” è stata talora messa in discussione, quali ad esempio il tribunale Iran/Stati
Uniti e i tribunali arbitrali istituiti mediante ricorso all’ICSID. La giurisprudenza di tali
tribunali risulta tuttavia rilevante ai fini della presente indagine dal momento che nei casi
esaminati la controversia è stata risolta secondo gli arbitri alla luce di quanto stabilito dalle
norme di diritto internazionale. Si è ritenuto infine opportuno includere anche un parere
reso dal Comitato dei diritti dell’uomo, in quanto organo internazionale dalle funzioni “para-
giurisdizionali”.
A causa probabilmente anche della complessità di reperire i documenti diplomatici più
recenti, si riscontrano numerose difficoltà nell’individuare dei casi della prassi in cui dalla
descrizione delle circostanze risulta che la responsabilità internazionale di uno Stato sia
stata riconosciuta nonostante la condotta fosse stata tenuta dall’organo statale ultra vires.
Sovente quanto risulta da notizie apparse sulla stampa periodica o su riviste giuridiche
specializzate relativamente a controversie in cui si è posto il problema della responsabilità
per fatti di organi incompetenti non è sufficiente a ricostruire le argomentazioni degli Stati.
Indubbiamente la posizione degli Stati in questo periodo risulta maggiormente dalle
argomentazioni delle parti dinanzi i tribunali, che si è preferito però esaminare nella sezione
dedicata alla giurisprudenza al fine di non frammentare la trattazione dei casi presi in
esame.
Tenendo sempre conto del criterio cronologico, si è provveduto ad organizzare l’esame
della prassi diplomatica non più in funzione dell’area geografica di appartenenza dello Stato
autore della presa di posizione, bensì intorno ad alcune ipotesi rispetto alle quali, nel corso
degli ultimi decenni, con più frequenza si sono avute prese di posizione degli Stati con
riferimento al compimento di un fatto illecito ultra vires da parte dei propri organi.
Le ipotesi alle quali si fa riferimento sono, in particolare, l’abbattimento di velivoli o
l’affondamento di natanti stranieri, la violazione delle frontiere e il mancato rispetto
dell’inviolabilità personale degli agenti diplomatici. Rispetto alle suddette ipotesi, si
procederà quindi ad accertare in primis se il fatto sia stato effettivamente tenuto da un
354 Vedi infra, p. 145 ss.
131
organo nel mancato rispetto della competenza o delle istruzioni ricevute, e in secundis quale
sia stato l’atteggiamento degli Stati coinvolti con riferimento al riconoscimento di tali fatti
come fatti dello Stato sul piano internazionale.
2. La prassi degli Stati
In ragione delle difficoltà di reperire la prassi recente relativa a controversie risolte in via
diplomatica, le prese di posizione di Stati che ci si appresta ad esaminare offrono
indubbiamente pochi spunti di riflessione. Malgrado la frammentarietà della prassi e la
difficoltà di ricostruire esattamente l’atteggiamento degli Stati in proposito, i casi esaminati
sembrano confermare che gli Stati devono rispondere internazionalmente anche dei fatti
ultra vires tenuti dai propri organi.
Nella seconda parte del ventesimo secolo in numerose circostanze gli Stati hanno
riconosciuto la propria responsabilità internazionale per l’abbattimento di velivoli o
l’affondamento di natanti stranieri da parte dei propri organi. Anche se non risulta sempre
evidente dall’esposizione dei fatti che gli individui-organi abbiano agito nel mancato rispetto
del diritto interno o delle istruzioni ricevute, sembra importante notare come in epoca
recente nessuno Stato abbia più tentato di sfuggire alla propria responsabilità internazionale
per un fatto illecito di un proprio organo obiettando che si trattasse di un fatto assimilabile a
quello di un privato in quanto tenuto ultra vires. Si pensi, ad esempio, all’incidente del 21
febbraio 1973, quando un aereo di linea libico B–727 è stato abbattuto da alcuni aerei da
guerra israeliani mentre sorvolava la penisola del Sinai durante un volo diretto al Cairo355.
Inizialmente Israele ha rigettato la propria responsabilità internazionale sostenendo che i
suoi organi non avevano commesso alcun tipo di illecito, bensì avevano agito nel rispetto
delle disposizioni del diritto internazionale. Soltanto in un secondo momento il Governo
israeliano ha espresso il suo cordoglio e ha riconosciuto la propria responsabilità
internazionale per il comportamento dei propri organi, accettando di pagare un
risarcimento di 30, 000 dollari per ciascuna vittima. La responsabilità internazionale di
Israele per tale disastro aereo è stata inoltre affermata in una risoluzione del Consiglio
dell’ICAO356.
Dalla descrizione dei fatti è estremamente difficile capire se l’organo abbia agito
oltrepassando la propria competenza contravvenendo alle istruzioni o alle disposizioni del
proprio ordinamento interno. Ai fini della presente indagine preme in ogni modo rilevare
355 American Journal of International Law, vol. 83,1989, p. 339.356 ICAO Doc. 9073 – C/1011.
132
come Israele non abbia eccepito la circostanza che la condotta era stata tenuta dai propri
organi ultra vires al fine di non risponderne nell’ordinamento internazionale.
Una vicenda che ha suscitato grande scalpore nella comunità internazionale, a causa
dell’elevato numero delle vittime, è stato l’incidente aereo del 1° settembre 1983.
La mattina di tal giorno, un aereo coreano con 269 persone a bordo è stato abbattuto da
alcuni aerei da guerra dell’URSS a seguito della sua penetrazione nello spazio aereo sovietico
sul mare di Okhotsk357. Una settimana dopo il disastro aereo, nel Consiglio di sicurezza delle
Nazioni Unite l’ambasciatore statunitense Kirkpatrick ha criticato l’Unione Sovietica per non
avere riconosciuto la propria responsabilità internazionale per quanto accaduto:
“Had the Soviet Government taken responsibility for the action, admitted
that a terrible mistake had been made, offered compensation to the families
for the loss of life, and in co-operation with other States, undertaken a review
of the incident to ensure that such a tragedy would not recur, then the
consequences of the event would have been contained and, to the degree
possible, minimized”358.
Il giorno successivo alla presa di posizione degli Stati Uniti, il capo delle forze armate
sovietiche ha tenuto una conferenza stampa sul disastro aereo nel corso della quale ha
espresso il suo cordoglio, ma ha allo stesso tempo rigettato la responsabilità internazionale
dell’Unione Sovietica sostenendo che si potesse ammettere soltanto una responsabilità
personale degli autori di tale comportamento359. L’Unione Sovietica non ha successivamente
presentato scuse ufficiali, né ha pagato una cifra a titolo di risarcimento.
Una vicenda in riferimento alla quale è possibile sostenere che ci sia stata una implicita
affermazione del principio della responsabilità internazionale dello Stato per attività ultra
vires di propri organi è il caso U.S.S. Stark360.
Il 17 maggio 1987, la fregata U.S.S Stark, mentre stazionava nel Golfo Persico a circa 70
miglia dalle coste del Bahrain, è stata colpita da due missili sparati da un aereo da guerra
irakeno: 37 membri dell’equipaggio furono uccisi dall’esplosione e numerosi altri furono
gravemente feriti.
357 American Journal of International Law, vol. 83, 1989, pp. 340–341.358 UN Doc. S/PV.2474 (1983).359 “I’m certain that you all know that the Soviet Union’s Government has expressed his grief about the death of innocent people who were abroad the plane. As far as responsibility and not only financial responsibility is concerned, that falls on those who sent them to their deaths”. Marshal Nikolai V. Ogarkov, conferenza stampa del 9 settembre 1983 riprodotta in N.Y. Times, 10 settembre 1983, p. 4, colonne 1–6.360 American Journal of International law, vol. 83, 1989, p. 561 ss.
133
In una lettera inviata al Presidente statunitense Reagan, il Presidente iracheno Saddam
Hussein ha espresso il suo “deepest regret for the tragic and unintentional incident” e si è
augurato che tale tragedia non compromettesse le relazioni tra i due paesi361.
In una nota diplomatica presentata il 20 maggio 1987 all’ambasciatore irakeno a
Washington, l’Assistente del Segretario di Stato ha esposto la posizione degli Stati Uniti con
riferimento all’attacco e ha sottolineato l’esigenza che il Governo irakeno riconoscesse la
propria responsabilità internazionale per l’accaduto, fornisse delle assicurazioni e garanzie
di non reiterazione e pagasse una somma di denaro a titolo di risarcimento 362. Il Ministro
degli Affari Esteri irakeno ha infine comunicato di accettare la richiesta americana del
pagamento di un risarcimento del danno in una nota diplomatica inviata all’Ambasciata
americana a Baghdad il 21 maggio 1987363. Alla luce delle circostanze fattuali, sembra
possibile ritenere che nel caso di specie gli organi avessero oltrepassato la propria
competenza contravvenendo alle istruzioni o alle disposizioni del proprio ordinamento
interno. Rileva pertanto ai fini della presente indagine l’atteggiamento dei Governi
favorevole a riconoscere la responsabilità internazionale dello Stato per gli illeciti commessi
dai propri organi nell’esercizio delle funzioni, indipendentemente dal rispetto delle norme
interne sulla competenza.
Con riferimento all’ipotesi di mancato rispetto dell’inviolabilità personale degli agenti
diplomatici, una vicenda in cui il Governo degli Stati Uniti ha riconosciuto la propria
responsabilità internazionale per un comportamento non autorizzato di propri organi è il
caso Guerrero del 10 agosto 1971364. Il console generale della Repubblica dominicana a Los
Angeles, Pablo Guerrero, e sua moglie erano corsi in aiuto dei propri vicini che si erano feriti
scivolando dal marciapiede. Mentre stavano portando i feriti in ospedale, i coniugi sono stati
fermati dalla polizia. Gli agenti, dopo aver messo le manette alla moglie del console, l’hanno
violentemente sbattuta contro la vettura procurandole una frattura alla spalla. Anche il
console Guerrero ha ricevuto il medesimo trattamento, senza ricevere ascolto mentre
361 Department of State, American Foreign Policy: current documents, 1987, p. 422.362 “The U.S.S STARK was attacked […] while […] engaged in peaceful activities in international waters. At the timeof the attack, the U.S.S. Stark was flying the American flag and its identification was clearly indicated in large white numerals on its hull. The U.S.S. Stark twice notified the Iraqi aircraft that it was approaching a U.S. warship [...].The United States Government expects that the Government of Iraq will accept its liability in accordance with international law and provide full compensation for the deaths, personal injuries, and the property damage sustained in this tragic event”. American Journal of International law, vol. 83, 1989, p. 562.363 “The Iraqi Government, respectful of the requirements of international law and concerned for the good relations with the United States of America and friendship between the Iraqi and the American peoples, agrees to give compensation for the unfortunate and unintentional accident which occurred [ …]”. Ibid., p. 563.364 ROUSSEAU, Chronique des faits internationaux, Revue générale de droit public, 1972, pp. 1152–1153.
134
eccepiva di godere dell’immunità consolare. Quando, alla stazione di polizia, è stata
scoperta l’identità delle persone arrestate, gli agenti hanno dichiarato di essere desolati per
l’incidente e le autorità americane hanno presentato pubbliche scuse. Anche in tale caso lo
Stato ha riconosciuto la propria responsabilità internazionale per i fatti tenuti dai propri
organi, nonostante nel caso di specie avessero presumibilmente agito in violazione delle
disposizioni del diritto interno.
Una ulteriore vicenda in cui non è stato eccepito il mancato rispetto delle disposizioni di
diritto interno nell’adozione di un comportamento illecito da parte di un organo ai fini del
rigetto da parte di uno Stato della natura statale della condotta e della sua conseguente
responsabilità internazionale è il caso Lazo Vracaritch365.
Un cittadino iugoslavo di nome Lazo Vracaritch, ex capitano delle forze della resistenza,
era stato arrestato a Monaco di Baviera il 2 novembre 1961 su mandato del Dipartimento
del Consiglio di Stato di Costanza con l’accusa di aver ucciso alcuni soldati tedeschi durante
l’occupazione della Iugoslavia nel 1941.
A seguito di una protesta ufficiale da parte del Governo iugoslavo per un arresto
avvenuto in contrasto con la normativa adottata a seguito della sconfitta della Germania
hitleriana, il Ministro degli affari esteri tedesco ha dichiarato che né il Ministro della giustizia
di Baden-Württemberg né il Ministro Federale erano al corrente di quanto accaduto366.
Subito dopo la scarcerazione di Vracaritch e la presentazione di pubbliche scuse da parte
delle autorità giudiziarie tedesche, il Ministro federale della Giustizia ha dichiarato che
l’incidente era da attribuire ad un errore di un funzionario burocratico e che erano state
prese le necessarie misure affinché non si ripetessero episodi di tal genere.
Il Governo iugoslavo non ha considerato sufficienti le scuse delle autorità giudiziarie
tedesche al fine della risoluzione della controversia e ha richiesto il pagamento di una
somma a titolo di risarcimento a favore del proprio cittadino. Il Governo tedesco non ha
fatto altro che rinnovare le scuse, ignorando invece le ulteriori richieste del Governo
jugoslavo.
Si può osservare che anche il Governo tedesco non ha messo in discussione l’attribuzione
allo Stato federale del comportamento dell’organo giudiziario benché fosse stato adottato in
violazione del diritto interno ed ha pertanto ritenuto appropriato risponderne in ambito
internazionale.
Un caso della prassi in cui è particolarmente difficile stabilire dalla descrizione dei soli
fatti se l’organo ha agito in connivenza con il suo Governo oppure ha oltrepassato la propria
365 ROUSSEAU, Chronique des faits internationaux, Revue générale de droit public, 1962, pp. 376 – 379.366 Ibid., p. 377.
135
competenza contravvenendo alle istruzioni o alle disposizioni del proprio ordinamento
interno è il caso Drew, risalente al 1978. Un dipendente dell’ambasciata britannica, di nome
Richard Drew, era stato prelevato dalla sua autovettura a Bagdad da alcuni agenti della
polizia irakena, era stato condotto in una stazione di polizia e successivamente picchiato367.
Secondo alcuni autori non si è trattato di un comportamento illecito adottato da organi
che agivano ultra vires, ma di una condotta tenuta su istruzioni del Governo irakeno come
reazione ad un episodio avvenuto qualche giorno prima, quando un diplomatico irakeno a
Londra era stato condotto in una stazione di polizia per aver violato alcune regole del codice
stradale368.
Un episodio invece in cui la violazione delle disposizioni del diritto interno risulta palese
risale al 1983, quando un poliziotto sudafricano ha picchiato e fratturato un braccio ad un
diplomatico dello Zimbabwe, di nome Buyanga, in ragione del suo rifiuto di lasciar perquisire
la propria autovettura alla frontiera tra i due Stati369. Nonostante la condotta fosse
evidentemente contraria alle disposizioni di diritto interno, il 4 gennaio 1984 il Ministro degli
affari esteri del Sudafrica ha riconosciuto attribuibile allo Stato sudafricano il
comportamento dell’agente presentando le proprie scuse ufficiali al Governo dello
Zimbabwe.
Nella prassi internazionale degli ultimi decenni sono stati infine registrati numerosi
episodi in cui gli organi di uno Stato hanno violato la sovranità territoriale di un altro Stato
non rispettando le norme sulla competenza. Uno dei casi più significativi della prassi recente
in tema di responsabilità internazionale dello Stato per fatti ultra vires dei propri organi
concerne questa ipotesi.
Il 18 febbraio 1962, due aerei militari, impegnati in una semplice missione di ricognizione
del territorio algerino, erano entrati nello spazio aereo del Marocco ed avevano bombardato
un centro di addestramento del Fronte di liberazione nazionale algerino, causando la morte
di cinque persone ed il ferimento di altre quaranta.
L’Ufficio stampa delle forze militari francesi in Algeria ha immediatamente pubblicato un
comunicato in cui l’accaduto veniva descritto come un comportamento non autorizzato di
due piloti che avevano “trahi la confiance de leurs chefs et abandonnant leur mission
étaient allés attaquer….un objectif au Maroc”370.
A seguito di una protesta ufficiale del Governo marocchino presso l’ambasciata di Francia
a Rabat, il Ministro degli affari esteri francese ha riconosciuto la responsabilità
367 ROUSSEAU, Chronique des faits internationaux, Revue générale de droit public, 1979, p. 182.368 Ibid., p. 523.369 ROUSSEAU, Chronique des faits internationaux, Revue générale de droit public, 1988, pp. 654–655.370 ROUSSEAU, Chronique des faits internationaux, Revue général de droit public, 1963, p. 176.
136
internazionale del proprio Stato per il raid dei due aerei presentando scuse ufficiali
all’ambasciata del Marocco a Parigi. Reputando il comportamento un fatto dello Stato, un
Tribunale militare ha inoltre condannato i due piloti a venti anni di reclusione per “actes
hostiles non approuvés par le gouvernement et de nature à exposer la France à une
déclaration de guerre..”371.
Sempre con riferimento all’ipotesi di violazione della sovranità territoriale di uno Stato
da parte di organi che hanno agito nel mancato rispetto delle norme sulla competenza, è
possibile inoltre citare il caso Mantovani. Nel marzo del 1975, tre ispettori della polizia
italiana hanno arrestato nella città svizzera di Lugano un cittadino italiano, certo
Mantovani372. Dopo averlo ammanettato, i tre ispettori lo hanno portato con la forza nella
enclave italiana di Campione e hanno tentato di fargli firmare una dichiarazione in cui
avrebbe riconosciuto di essere stato arrestato in territorio italiano. A seguito dell’intervento
della polizia ticinese, Mantovani è stato nuovamente ricondotto in territorio svizzero.
Qualche giorno più tardi il Dipartimento di giustizia federale ha pubblicato un
comunicato in cui veniva precisato che tale incidente di frontiera doveva essere attribuito
all’eccessivo zelo di sottufficiali della polizia italiana373. Il riconoscimento da parte del
Governo italiano del comportamento dei propri organi come fatto statale di cui dover
rispondere in ambito internazionale è provato dalla presentazione di scuse ufficiali per la
violazione della sovranità territoriale e dall’assicurazione sia di adottare idonee misure ad
evitare il verificarsi di episodi similari sia di punire gli organi che avevano agito all’insaputa
dei propri superiori.
Un ulteriore episodio della prassi recente che ha visto coinvolto un cittadino italiano è il
caso Corghi. Il 5 agosto 1976 un cittadino italiano di nome Benito Corghi, alla guida di un
autocarro, è stato ucciso da alcuni agenti della polizia doganale della Repubblica
democratica tedesca374. Dopo aver adempiuto tutte le formalità doganali, Corghi aveva
lasciato il territorio della Repubblica democratica tedesca e si era avviato verso il posto di
frontiera della Repubblica federale tedesca. Per ragioni che le autorità della Repubblica
371 Ibid., p. 177.372 ROUSSEAU, Chronique des faits internationaux, Revue générale de droit international public, 1965, pp. 834–835.373 Ibid., p. 835. Si veda COUSSIRAT–COUSTERE e EISEMANN, op. cit., pp. 365 – 366: “Un enlèvement constitutif d’excès de pouvoir de la part d’un fonctionnaire est donc un acte imputable à l’Etat dont il relève, puisque l’agent a usé de la force matérielle que lui confère son statut d’organe de l’Etat. Peu importe que l’agent ait outrepassé sa compétence et agi par excès de zèle à l’insu de ses supérieurs”. Numerosi incidenti di frontiera sono intercorsi negli ultimi decenni tra Italia e Svizzera. Si veda il caso ROUSSEAU, Chronique des faits internationaux, Revue générale de droit public, 1974, p. 851 e ROUSSEAU, Chronique des faits internationaux, Revue générael de droit public, 1984, p. 725.374 Si veda Italian Yearbook of International Law, vol. III, 1977, p. 435 ss.
137
democratica hanno dichiarato di non conoscere, Corghi stava ritornando indietro a piedi
quando è stato ucciso da alcuni colpi di arma da fuoco da parte degli agenti della DDR.
Il Ministro degli affari esteri della Repubblica democratica tedesca ha escluso in una nota
diplomatica che lo Stato dovesse essere ritenuto responsabile dell’accaduto, perché a suo
avviso gli agenti della DDR avevano agito correttamente.
Il 28 settembre 1976, rispondendo in Senato ad una domanda posta da alcuni senatori, il
Sottosegretario per gli affari esteri italiano ha commentato la suddetta nota diplomatica,
affermando che risultava assolutamente chiaro dal rapporto redatto in merito all’accaduto
dalla polizia bavarese che il cittadino italiano stava tornando nuovamente a piedi verso la
Repubblica democratica tedesca su apposita richiesta delle autorità della DDR.
In virtù delle circostanze fattuali con riferimento all’incidente, era possibile pertanto
affermare che:
“the German Democratic authorities exceeded any reasonable standard in
the adoption of security measures in relation to events that would have
required normal care to avoid such a tragic outcome. For this reason the
conduct of the GDR amounts to a breach of the customary international rules
on the treatment of aliens so as to clearly engage the international
responsibility of that Government.
Unfortunately the behaviour followed appears to be clearly inconsistent
with engagements undertaken by the Final Acts of the Conference on European
Security and Cooperation, whose first anniversary was being celebrated just in
those days. For these reasons, the Italian Government […] has vigourously
reiterated the inadmissibility of the denial of responsibility on the part of the
GDR”375.
Alla luce della descrizione degli eventi sembra plausibile ritenere che gli organi della DDR
avevano commesso un illecito internazionale, contravvenendo alle disposizioni del proprio
ordinamento interno. La Repubblica democratica tedesca doveva essere pertanto ritenuta
internazionalmente responsabile per aver violato le disposizioni di diritto internazionale
generale in tema di trattamento degli stranieri, indipendentemente dalla circostanza che gli
organi statali avessero o meno agito ultra vires. La Repubblica democratica tedesca ha
successivamente riconosciuto la propria responsabilità internazionale accettando di pagare
una somma di denaro a titolo di risarcimento ai familiari della vittima.
375 Il testo è riprodotto in lingua inglese Ibid., p. 437.138
Un ulteriore incidente di frontiera rilevante ai fini della presente indagine si è verificato
tra Gran Bretagna e Irlanda nel 1984. Durante un’operazione anti guerriglia, un’unità della
polizia britannica aveva oltrepassato la frontiera. Significativo è stato in tale circostanza
l’atteggiamento del Governo britannico, il quale, dopo aver precisato che tale incursione
non era stata autorizzata, si è assunto la responsabilità internazionale per il comportamento
adottato ultra vires dai propri organi presentando scuse ufficiali al Governo irlandese376.
Alla luce dei casi appena descritti, malgrado la frammentarietà della prassi e la difficoltà
di ricostruire esattamente la posizione degli Stati, è possibile rilevare come, a differenza di
quanto avveniva nella prassi meno recente, nessuno Stato ha più sostenuto sino in fondo la
tesi che le condotte tenute da un organo nel mancato rispetto delle disposizioni di diritto
interno o delle istruzioni ricevute devono essere assimilate ai comportamenti adottati da un
semplice privato, di cui lo Stato non è tenuto a rispondere sul piano internazionale. Tale
elemento sembra indubbiamente costituire anche indice del fatto che l’operazione di
attribuzione allo Stato nell’ordinamento internazionale dei comportamenti adottati in
determinate condizioni dalle persone facenti parte la sua organizzazione viene concepita
come autonoma rispetto alla definizione di quali possano considerarsi sue condotte sul
piano interno. Nonostante infatti nelle sopramenzionate prese di posizione di Stati la
questione dei fatti illeciti ultra vires degli organi statali venga più che altro affrontata in
relazione al punto se se lo Stato sia tenuto a risponderne internazionalmente, sembra
possibile ritenere che ciò avvenga comunque sulla base della constatazione che si tratti di
fatti dello Stato sul piano internazionale.
3. La giurisprudenza arbitrale
3.1 Le pronunce rese dal Tribunale dei reclami Iran/Stati Uniti377
Il Tribunale dei reclami Iran/Stati Uniti ha in più occasioni riconosciuto il principio della
responsabilità internazionale dello Stato per i fatti illeciti ultra vires compiuti da organi
statali. Una delle sentenze più significative è quella relativa al caso Yaeger.
376 ROUSSEAU, Chronique des faits internationaux, Revue générale de droit public, 1984, p. 944. 377 Il Tribunale dei reclami Iran-Stati Uniti è stato istituito dagli Accordi di Algeri del 1981, con la competenza di decidere sui ricorsi privati scaturenti dagli eventi che condussero alla rivoluzione islamica in Iran. Sulla base dell’art. II degli Accordi, tale organismo arbitrale doveva decidere sui ricorsi avanzati dai cittadini statunitensi o iraniani rispettivamente contro l’Iran o gli Stati Uniti per controversie nascenti da “debts, contracts, expropriations or other measures affecting property rights”. Per quanto concerne la legge che il Tribunale era chiamato ad applicare per decidere il merito delle controversie internazionali, è opportuno menzionare che l’art. V della Claims Settlement Declaration indica come validi i principi contenuti in materia sia dall’art. 32 del regolamento UNCITRAL che dall’art. 42 della Convenzione di Washington del 1965.
139
Nel corso della rivoluzione islamica in Iran, numerosi cittadini degli Stati Uniti che
risiedevano in tale paese sono stati espulsi o hanno abbandonato il territorio iraniano per
esigenze di sicurezza. Nel quadro della pratica delle espulsioni di massa condotta dal
Governo iraniano, un cittadino americano di nome Kenneth P. Yaeger e sua moglie erano
stati condotti il 17 febbraio 1979 all’aeroporto di Teheran ed erano stati oggetto di due
distinte richieste di denaro: la prima ad opera di un funzionario della compagnia aerea di
Stato e la seconda da parte di alcuni membri dei comitati rivoluzionari.
Nella pronuncia resa nel 1987 nel caso Yaeger c. Iran, il Tribunale arbitrale Iran/Stati Uniti
si è occupato in primo luogo di accertare se lo Stato iraniano dovesse essere ritenuto
internazionalmente responsabile del comportamento adottato da un funzionario della
compagnia aerea di Stato, il quale aveva illegalmente richiesto al ricorrente il pagamento di
una ulteriore somma di denaro per il biglietto aereo che era già stato pagato in
precedenza378.
Secondo il Tribunale, una volta che l’Iran aveva assunto il controllo sulla compagnia
aerea, i comportamenti adottati dai suoi organi dovevano essere attribuiti allo Stato anche
se nell’agire avevano ecceduto la propria competenza come stabilita dal diritto interno o
avevano contravvenuto alle istruzioni ricevute.
Facendo esplicito riferimento all’art. 10 del progetto di articoli adottato in prima lettura
dalla CDI, il tribunale ha affermato che un comportamento non autorizzato di un organo
statale è un fatto attribuibile allo Stato sul piano internazionale a condizione che sia stato
adottato dall’individuo organo nella sua qualità ufficiale:
“It is widely accepted that the conduct of an organ of a State may be
attributable to the State, even if in a particular case the organ exceeded its
competence under internal law or contravened instructions concerning its
activity. It must have acted in its official capacity as an organ, however”379.
L’unica circostanza in cui una condotta tenuta da un organo non poteva essere attribuita
allo Stato era quindi quella in cui fosse stata tenuta dall’individuo organo nella sua qualità
privata, “even if it has used the means placed at its disposal by the State for the exercise of
its function”380.
378 Kenneth P. Yaeger v. the Islamic Republic of Iran, in Iran-United States Claims Tribunal Reports, vol. 17, pp. 110-111.379 Ibid., p. 111, par. 65.380 Ibid., p. 111.
140
L’attribuzione di condotte viene pertanto intesa come un’operazione regolata dal diritto
internazionale; in riferimento ad essa il rispetto dell’ordinamento interno risulta irrilevante.
Inoltre, dalla motivazione della sentenza sembra risultare che il criterio valorizzato al fine di
riferire allo Stato una condotta non autorizzata di un organo è la circostanza che sia stata
tenuta nell’esercizio delle funzioni, senza che assuma alcun valore l’eventuale uso dei mezzi
messi a disposizione per il regolare svolgimento delle competenze.
Sulla base di tali premesse, il Tribunale ha concluso che l’Iran non era tenuto a
rispondere dell’accaduto in quanto nel caso di specie il funzionario aveva agito nella sua
qualità privata. Non essendo desumibile dai fatti che “he was acting for any other reason
than personal profit, or that he had passed on the payment to Iran Air” 381, risultava assente
il necessario legame tra il comportamento adottato e la funzione esercitata ai fini della sua
attribuzione allo Stato.
In secondo luogo, il Tribunale è stato chiamato ad accertare se fosse attribuibile all’Iran
l’estorsione di 1466 dollari subita dal ricorrente ad opera di alcuni membri dei comitati
rivoluzionari quando questi non possedevano ancora lo status di organo dell’Iran in base
all’ordinamento interno dello Stato382.
I comitati rivoluzionari si erano formati a seguito della caduta del regime dello Sha e la
loro posizione all’interno dell’apparato organizzativo dello Stato era rapidamente cambiata
nel tempo: nati in maniera spontanea col fine di contribuire alla nascita del nuovo governo,
sono stati successivamente incorporati in maniera formale all’interno dell’apparato
organizzativo dello Stato continuando a svolgere le medesime funzioni che di fatto
svolgevano precedentemente383.
Con riferimento al caso di specie, il Tribunale ha espresso dei dubbi circa la possibilità di
qualificare i comitati come organi statali all’epoca dei fatti, in quanto privi di tale status
nell’ordinamento interno.
Il tribunale ha però in parte ridimensionato il valore del dato formale ai fini
dell’attribuzione di condotte, sottolineando una sostanziale identità tra i gruppi che
esercitavano di fatto funzioni statali all’inizio del 1979 e quelli in seguito formalmente
incorporati nell’organizzazione dello Stato384. Viene quindi attribuito all’Iran il
381 Ibid.382 Ibid., p. 103.383 All’inizio del 1979, i comitati rivoluzionari svolgevano funzioni di polizia locale parallelamente alle autorità ufficiali dello Stato. Dopo alcuni mesi, con il consolidarsi del regime Khomeinista, i comitati rivoluzionari sono stati formalmente integrati nella struttura organizzativa dello Stato, ed hanno preso il nome di “guardie rivoluzionarie”. Si veda CARON, The Basis for Responsibility: Attribution and Other Trans-Substantive Rules, in LILLICH e BARSTOW MAGRAW (a cura di), The Iran-United States Claims Tribunal: Its Contribution to the Law of State Responsibility, New -York, 1998, pp. 138 – 139.384 Iran-United States Claims Tribunal Report, vol. 17, pp. 103-104.
141
comportameno estorsivo tenuto dalle guardie rivoluzionarie in quanto individui legati
fattualmente allo Stato.
Gli elementi valorizzati al fine di accertare il tipo di legame esistente tra lo Stato e i
comitati rivoluzionari sono l’esistenza di un rapporto fattuale fondato sulla natura delle
funzioni esercitate dalle guardie rivoluzionarie e l’atteggiamento di tolleranza manifestato
dalle autorità ufficiali rispetto alle loro attività. Ciò porterebbe ad escludere che si fosse in
presenza delle condizioni per l’applicazione del criterio dell’agente di necessità, in quanto la
posizione delle autorità iraniane era quella di chi è potenzialmente in grado di impedire
l’adozione di comportamenti da parte del gruppo ma evita di farlo in quanto ne condivide
l’operato, piuttosto che quella di autorità ufficiali assenti o al massimo incapaci di esercitare
le proprie funzioni.
L’attribuzione allo Stato della sottrazione di denaro operata all’aeroporto dai due membri
delle guardie rivoluzionarie, soltanto in fatto ad esso legati, si fonda invece sulla circostanza
che “they were performing the functions of customs, immigration and security officers” e che
“they were, thus, obviously acting in their capacity as organs of the new Government or, at
least, on its behalf”385.
Nel caso di specie per giustificare l’attribuzione allo Stato di condotte di individui che non
erano considerati organi dall’ordinamento interno, si è affermato che il fatto illecito era
stato commesso nell’esercizio di funzioni in fatto loro assegnate, implicando che la
determinazione delle competenze può essere effettuata anche mediante l’esame dei
differenti elementi fattuali che attestano l’esistenza di uno stretto legame con lo Stato.
La distinzione tra comportamenti adottati nell’esercizio di funzioni e comportamenti in
qualità di privato troverebbe quindi applicazione anche con riferimento all’attività di
individui che non sono organi in base al diritto interno. Ne conseguirebbe logicamente la
possibilità di applicare la regola in materia di attribuzione di fatti ultra vires anche rispetto a
situazioni nelle quali le competenze assegnate ad un individuo possono essere determinate
sulla base di elementi di fatto.
La responsabilità internazionale dello Stato per le condotte non autorizzate dei propri
organi è stata poi affermata anche dal giudice Holtzmann nell’opinione separata allegata alla
sentenza resa dal Tribunale dei reclami Iran/Stati Uniti nel caso Sea-Land Service, Inc. c. Iran.
La maggioranza del collegio arbitrale aveva nutrito forti perplessità circa la possibilità di
attribuire all’Iran le condotte adottate dagli organi del Labour office durante il periodo della
385 Ibid., p. 110.142
rivoluzione386. Secondo Holtzmann, invece, tale osservazione era del tutto irrilevante dal
momento che:
“… a State is responsible for acts of its officials – whether authorized,
unauthorized, or even contrary to specific governmental instructions”387.
3.2 Le sentenze rese da Tribunali arbitrali istituiti in ambito ICSID388 prima
dell’adozione in seconda lettura del progetto di articoli della CDI
Alla luce dell’abbondante giurisprudenza prodotta dai trbunali arbitrali istituiti mediante
ricorso all’International Centre for the Settlement of the Investment Disputes (ICSID) in tema
di responsabilità internazionale dello Stato per fatti illeciti ultra vires dei propri organi, la
trattazione che segue suddivisa in funzione della circostanza che fossero stati esaminati
prima o dopo l’adozione in seconda lettura del progetto di articoli da parte della
Commissione del diritto internazionale. Tale criterio può essere utile anche al fine di
valutare la rilevanza dei lavori della CDI nell’accertare l’esistenza o meno di una regola
internazionale generale operante in materia.
Una delle prime pronunce in cui un Tribunale arbitrale istituito mediante ricorso all’ICSID
si è occupato della questione della responsabilità internazionale dello Stato per fatti illeciti
ultra vires dei propri organi è stata resa il 20 novembre 1984 nel caso Amco Asia c.
Indonesia389. All’origine della controversia, che vedeva contrapposti la società americana
Amco-Asia, la sua filiale locale P.T. Amco e la società Pan American (cessionaria di una parte
delle azioni P.T. Amco) all’Indonesia, c’era un contratto per il completamento della
costruzione e per la gestione dell’Hotel Plaza Kartika di Giakarta, contratto che era stato
stipulato fra l’Amco Asia e la società locale P.T. Wisma, proprietaria del terreno ed in toto
controllata da una cooperativa del personale dell’esercito indonesiano.
386 “The state of administrative chaos wich prevailed in Iran throughout the first few months of 1979 make it unsafe to attribute any such ostensibly governmental acts to the revolutionary Government that subsequently came to power”. In Iran – US CTR 1984 – II, vol. 6, p. 166.387 Ibid., p. 202.388 L’ICSID è un’istituzione, facente capo alla Banca per la ricostruzione e lo sviluppo, che assolve al compito di fornire meccanismi di conciliazione e di arbitrato per la soluzione delle controversie in materia di investimenti sorte tra Stati e investitori privati. Alla luce dell’art. 42 dell’Accordo istitutivo (Convenzione di Washington del 1965), nel decidere nel merito di una controversia, gli arbitri ICSID devono applicare il diritto che le parti hanno scelto. Nel caso in cui non abbiano provveduto a farlo, l’organo arbitrale è tenuto a decidere sulla base del diritto dello Stato ospite dell’investimento e delle regole di diritto internazionale applicabili.389 ICSID, Amco Asia Corporation et Al. v. Indonesia, sentenza del20/11/11984, riprodotta in Journal du droit Int., vol. 114, 1987, p. 145 ss.
143
Una volta completata la costruzione dell’albergo, le due parti si sono trovate subito in
disaccordo con riferimento alla ripartizione dei profitti derivanti dalla sua gestione, che nel
frattempo le società straniere avevano affidato ad un terzo. L’11 marzo 1980 P.T. Wisma
inviava alla P.T. Amco una lettera di risoluzione del contratto e, dopo pochi giorni, la polizia
indonesiana si impadroniva dell’albergo per affidarne la gestione alla società indonesiana. Il
15 marzo 1980 il Governo indonesiano revocava l’autorizzazione alla gestione dell’albergo
conferita al gruppo straniero.
Non avendo ottenuto soddisfazione in alcuni procedimenti dinanzi alle giurisdizioni locali,
le società straniere per ottenere dall’Indonesia la riparazione del danno subito dalla confisca
dell’albergo e dalla revoca dell’autorizzazione ad investire hanno fatto ricorso all’ICSID per la
costituzione di un collegio arbitrale
La sentenza resa all’unanimità dal Tribunale ha accertato a carico dello Stato sia una
violazione dell’obbligo internazionale di protezione degli stranieri e dei loro investimenti sia
l’illegittimità del procedimento di revoca dell’autorizzazione ad investire, la quale non
risultava essere giustificata neanche dal fatto che il capitale estero investito non raggiungeva
l’importo precedentemente pattuito dalle società.
Nell’affermare la responsabilità internazionale dell’Indonesia per un fatto di propri
organi, il tribunale ha ribadito l’irrilevanza ai fini attributivi della circostanza che i membri
della polizia avevano agito contra legem, in quanto avevano tenuto il fatto illecito nella loro
qualità ufficiale:
“…en appliquant avec l’assistance de la police et de l’armée une décision
unilatérale contraire à ses obligations contractuelles, P.T. Wisma a méconnu
l’interdiction de se faire justice à elle-même…en y prêtant la main par
l’intervention de la police et de l’armée, l’Etat indonésien a commis un délit
dont il est internationalement responsable.[…]C’est une règle généralement
admise en Droit international, clairement exprimée dans les sentences
internationales et les jugements et communément admise par les auteurs, que
l’Etat a le devoir de protéger les étrangers et leurs investissement contre les
actes illégaux de ses nationaux. Lorsque de tels actes sont commis avec
l’assistance active des organes de l’Etat, on se trouve en présence d’une
violation du droit international.[…]Sur le fondement des actions et des
commissions établies de l’armée et de la police qui ont trait à la prise de
possession litigieuse, le Tribunal ne peut que tirer la conclusion qu’un délit
144
international a été commis et que cet acte est imputable au Governement, qui
en est en conséquence responsable” 390.
Il 6 maggio 1986, un Comitato ad hoc istituito in applicazione dell’art. 52 della
Convenzione di Washington, ha emanato una decisione di annullamento della precedente
sentenza arbitrale. È opportuno sottolineare come il Comitato abbia però escluso
dall’annullamento la valutazione effettuata dal Tribunale circa l’illiceità, alla luce della
normativa indonesiana, dell’azione coercitiva della polizia nell’Hotel Plaza Kartika gestito
dalla Amco391.
Una rilevante sentenza con riferimento all’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires dei
propri organi è stata resa nel 1992 da un collegio arbitrale istituito in ambito ICSID nel caso
Southern Pacific Properties (Middle East) Limited c. Egitto392. All’origine della controversia si
trovava un contratto per la costruzione di complessi turistici nella zona archeologica delle
Piramidi e di Ras El Hekma, che era stato stipulato fra la Egyptian General Organization for
Tourism and Hotels (EGOTH)393 e la società di Hong Kong Southern Pacific Properties (SPP).
Alla fine del 1977 il progetto ha però incontrato l’opposizione di gran parte della classe
politica egiziana, che lo riteneva una minaccia per le antichità della zona non ancora venute
alla luce. A seguito dell’emissione il 27 maggio 1978 di un decreto con cui il Ministro
dell’Informazione e della Cultura considerava le Piramidi una “public property antiquity”, il
decreto presidenziale No. 267 cancellava il precedente decreto No. 245, con cui la zona
circostante l’area archeologica veniva catalogata ad utilizzo turistico, e la dichiarava terreno
di pubblica utilità. Contemporaneamente la General Organization for Investement of Arab
Capital and Tax-Free Areas provvedeva a revocare l’approvazione del progetto previamente
accordata.
390 Il testo della sentenza in lingua francese è rinvenibile Ibid., p. 148 ss.391 “The Tribunal found the acts of P.T. Wisma, and therefore also the acts of the Army and Police personnel involved, to be illegal under Indonesian law….the ad hoc Committee feels entitled to conclude that there existed…under general Indonesian law, a duty to protect a person, whether national or foreigner, in actual, peaceful possession of property…The ad hoc Committee is consequently unable to sustain Indonesia’s contention that the Tribunal failed to evaluate the acts of the Army and Police personnel concerned under Indonesian law”. Comitato ad hoc, Richiesta di annullamento della sentenza arbitrale resa nell’affare Amco Asia Corporation, Pan American Devolpment Limited e P.T. Amco Indonesia c. Indonesia, par. 59. La pronuncia è riprodotta in Rivista di diritto internazionale, vol. 70, 1987, p. 810 ss. La mancata estensione degli effetti dell’annullamento esclusivamente all’illiceità dell’azione delle forze di polizia indonesiane è stata ritenuta proceduralmente scorretta da LATTANZI, Convenzione di Washington sulle controversie relative ad investimenti e invalidità delle sentenze arbitrali, Rivista di diritto internazionale, vol. 70, 1987, p. 521 ss.392 ICSID, Southern Pacific Properties (Middle East) Limited v. Arab Republic of Egypt, Case No. ARB/84/3, sentenza del 20 Maggio 1992.393 Al tempo della stipulazione del contratto la EGOTH era un’impresa pubblica sottoposta al controllo del Ministero del Turismo egiziano.
145
L’Egitto ha contestato che il decreto presidenziale No. 245 fosse invalido e che numerose
decisioni degli organi di vertice del Governo fossero state adottate contravvenendo alle
procedure previste dall’ordinamento interno. Nel pronunciarsi nel merito il Tribunale
arbitrale ha reputato irrilevante la circostanza che un fatto venga adottato dagli organi ultra
vires ai fini della loro attribuzione allo Stato. Nonostante la condotta non autorizzata non
costituiva un fatto illecito internazionale, il tribunale ha affermato che:
“It is possible that under Egyptian law certain acts of Egyptian officials,
including even Presidential Decree No. 475, may be considered legally non-
existent or null and void or susceptible to invalidation. However, these acts
were cloaked with the mantle of Governmental authority and communicated as
such to foreign investors who relied on them in making their investment.
Whether legal under Egyptian law or not, the acts in question were the acts
of Egyptian authorities, including the highest executive authority of the
Government. These acts, which are now alleged to have been in violation of the
Egyptian municipal legal system, created expectations protected by established
principles of international law. A determination that these acts are null and
void under municipal law would not resolve the ultimate question of liability for
damages suffered by the victims who relied on the acts. […] The principle of
international law that the Tribunal is bound to apply is that which establishes
the international responsibility of States when unauthorized or ultra vires acts
of officials have been performed by State agents under cover of their official
character. If such unauthorized or ultra vires acts could not be ascribed to the
State, all State responsibility would be rendered illusory”394.
Tale pronuncia evidenzia il principio che rispetto a fatti illeciti ultra vires degli organi
statali, lo Stato incorrebbe nella responsabilità internazionale; ciò si fonderebbe su una
garanzia che esso presta agli altri Stati al fine di assicurare la sicurezza delle relazioni
internazionali. Come già precedentemente osservato con riferimento alle prese di posizione
di Stati nell’ambito di controversie risolte in via diplomatica395, anche tale pronuncia
costituisce prova del fatto che l’operazione di attribuzione allo Stato nell’ordinamento
internazionale dei comportamenti adottati in determinate condizioni dalle persone facenti
parte la sua organizzazione viene considerata indipendente rispetto alla definizione di quali
394 Cfr. parr. 82-85 della sentenza.395 Vedi supra, p. 137 ss.
146
possano considerarsi sue condotte sul piano interno. Nonostante gli organi statali abbiano
oltrepassato la propria competenza contravvenendo alle istruzioni ricevute o alle
disposizioni del proprio ordinamento interno, tali condotte risultano comunque fatti dello
Stato quale soggetto internazionale in quanto tenute nell’esercizio delle funzioni e di
conseguenza investite della qualità ufficiale
La questione della responsabilità internazionale dello Stato per i fatti illeciti
internazionali ultra vires è stata nuovamente affrontata da un collegio arbitrale istituito in
ambito ICSID nel procedimento istituito dalla Metalclad Corporation contro il Messico.
Questa sentenza, del 30 agosto 2000, è stata la prima pronuncia resa da un tribunale
arbitrale istituito in ambito ICSID sulla base di quanto previsto dall’undicesimo capitolo del
North American Free Trade Agreement396.
La controversia era sorta in virtù della costruzione, da parte di una società controllata
dalla Metalclad, di una discarica per lo smaltimento di rifiuti tossici a Guadalcazar, nello
Stato centrale messicano di San Luis Potosi. A seguito dell’approvazione del progetto a
livello statale e federale, la costruzione della discarica era avvenuta in breve tempo. La sua
apertura era stata però ritardata da numerose manifestazioni di protesta.
Nonostante che, successivamente a tali episodi, la Metalclad avesse concluso un accordo
con le agenzie federali per la protezione dell’ambiente al fine di disciplinare le condizioni in
base a cui la discarica dovesse operare, l’amministrazione locale aveva negato alla società il
permesso di procedere e attraverso un’ingiunzione giudiziale era riuscita ad impedire che la
discarica per lungo tempo divenisse operativa.
Il Tribunale, nell’affermare che il Messico doveva rispondere in ambito internazionale
delle condotte tenute dagli organi della municipalità di Guadalcazar, ha inoltre precisato
che, secondo il diritto internazionale generale, come codificato all’art. 10 del progetto di
articoli adottato in prima lettura dalla CDI, devono ritenersi attribuibili allo Stato tutte le
condotte tenute in qualità ufficiale da parte degli organi statali indipendentemente dalla
circostanza che abbiano agito contra legem, nel mancato rispetto della competenza oppure
delle istruzioni ricevute:
“A threshold question is whether Mexico is internationally responsible for
the acts of SLP and Guadalcazar. The issue was largely disposed of by Mexico in
paragraph 233 of its post-hearing submission, which stated that “[Mexico] did
not plead that the acts of the Municipality were not covered by NAFTA.
396 ICSID (Additional Faculty), Metalclad Corporation v. United Mexican States, Case No. ARB(AF)/97/1. La sentenza è riprodotta in International Law Reports, vol. 119, p. 634 ss.
147
[Mexico] was, and remains, prepared to proceed on the assumption that the
normal rule of state responsibility applies; that is, that the Respondent can be
internationally responsible for the acts of state organs at all three levels of
government”. […] A reference to a state or province includes local governments
of that state or province. […] This approach accords fully with the established
position in customary international law. This has been clearly stated in Article
10 of the draft articles on state responsibility adopted by the International Law
Commission of the United Nations in 1975 which, though currently still under
consideration, may nonetheless be regarded as an accurate restatement of the
present law: The conduct of an organ of a State, of a territorial government
entity or of an entity empowered to exercise elements of the Governmental
authority, such organ having acted in that capacity, shall be considered as an
act of the State under international law even if, in the particular case, the organ
exceeded its competence according to internal law or contravened instructions
concerning its activity”397.
Alla luce delle pronunce finora esaminate, è possibile concludere che il principio della
responsabilità internazionale dello Stato per fatti illeciti ultra vires dei propri organi,
indipendentemente dal rispetto delle istruzioni ricevute o delle disposizioni
dell’ordinamento interno, trova fondamento nel fatto che l’attività di un organo statale
nell’esercizio delle proprie funzioni deve ritenersi attribuibile allo Stato.
Sembra inoltre interessante rilevare come la disposizione adottata su tale questione dalla
CDI venga costantemente richiamata dagli interpreti come indizio dell’esistenza di una
regola internazionale generale operante in materia.
3.3 Segue: le sentenze rese successivamente all’adozione in seconda lettura del
progetto di articoli della CDI
Anche nel periodo successivo all’adozione in seconda lettura del progetti di articoli da parte
della CDI, la questione di sapere se lo Stato sia tenuto a rispondere internazionalmente dei
fatti illeciti ultra vires dei propri organi è stata spesso affrontata da tribunali istituiti
mediante ricorso all’ICSID. Si rammenta, ad esempio, la sentenza resa il 9 gennaio 2003 nel
397 Ibid., par. 73 della sentenza.148
caso ADF Group Inc. v. United States of America da un tribunale arbitrale istituito in ambito
ICSID, sulla base di quanto previsto dall’undicesimo capitolo del NAFTA398.
La controversia era stata sottoposta ad arbitrato ICSID da parte di un’impresa canadese,
ADF Group Inc., che lamentava la violazione da parte del Governo degli Stati Uniti di alcune
disposizioni del capitolo del NAFTA relativo agli investimenti. La controversia era sorta in
relazione alla realizzazione di un importante snodo autostradale nel Nord dello Stato della
Virginia, il cui progetto proposto dal Commonwealth della Virginia, denominato Springfield,
era stato approvato dalla Federal Highway Administration.
La società ADF Group Inc. aveva ottenuto in subappalto la fornitura di acciaio per la
realizzazione del progetto, ma aveva visto negarsi da parte delle autorità dello Stato della
Virginia la possibilità di effettuare la lavorazione della materia prima in Canada, in quanto in
contrasto con alcune disposizioni contrattuali previamente accettate. La società, che era
stata costretta ad adempiere al contratto utilizzando impianti presenti negli Stati Uniti,
aveva visto aumentare notevolmente i propri costi.
La ricorrente lamentava, tra l’altro, la violazione dell’art. 1105 del NAFTA, che prevede il
principio del Minimum Standard Treatment. Fra gli argomenti avanzati a sostegno del ricorso
vi era anche la circostanza che i membri della Federal Highway Administration avevano agito
ultra vires, in quanto non avrebbe rispettato la sezione 165 del Surface Transportation
Assistance Act del 1982 nell’emanare i regolamenti di attuazione399.
Nell’affrontare tale questione, il Tribunale ha innanzitutto precisato che in realtà la
società lamentava un errore nell’interpretazione della normativa, cosa che non
corrispondeva automaticamente ad un mancato rispetto della competenza da parte degli
organi statali. Il Tribunale ha poi ammesso di non avere la competenza per pronunciarsi
circa la legittimità di atti nel diritto amministrativo statunitense, in quanto essa era
competente a valutare soltanto la coerenza delle misure adottate dall’organo statale
rispetto al capitolo 11 del NAFTA e alle regole di diritto internazionale generale e non
poteva, invece, svolgere la funzione di Camera di appello con riferimento alla conformità al
diritto interno di misure adottate da uno Stato400. Il collegio arbitrale ha infine sottolineato
che, anche se le misure fossero state adottate contra legem rispetto all’ordinamento interno
da parte degli organi statali, non ne derivava automaticamente la loro illiceità rispetto alla
398 ICSID, ADF Group Inc. v. United States of America, Caso No. ARB(AF)/00/1. La sentenza è riprodotta in ICSID Review— Foreign Investment Law Journal, 2003, p. 191 ss.399 ICSID Review— Foreign Investment Law Journal, 2003, p. 229, par. 72.400 Il Tribunale ha citato numerosi precedenti al fine di avallare la sua tesi. Tra questi sembra interessante menzionare la sentenza arbitrale resa nel caso Mondev International Ltd. v. United States of America l’11 ottobre 2002, par. 136.
149
regola di diritto internazionale consuetudinario codificata all’art. 1105 del NAFTA401. Un
comportamento ultra vires adottato da un organo statale doveva comunque ritenersi un
fatto dello Stato in diritto internazionale a patto che questo avesse agito nella sua qualità
ufficiale, come previsto dall’art. 7 del progetto di articoli della CDI adottato in seconda
lettura:
“An unauthorized or ultra vires act of a governmental entity of course
remains, in international law, the act of the State of which the acting entity is
part, if that entity acted in its official capacity. But something more than simple
illegality or lack of authority under the domestic law of a State is necessary to
render an act or measure inconsistent with the customary international law
requirements of Article 1105, even under the Investor’s view of that Article”402.
Nonostante nel caso di specie non fosse stato quindi violato alcun obbligo del diritto
internazionale, il Tribunale ha ribadito che un fatto tenuto nella qualità ufficiale da un
organo statale deve essere comunque ritenuto un fatto dello Stato quale soggetto
internazionale indipendentemente dal rispetto delle istruzioni ricevute o del diritto interno.
Un’altra pronuncia interessante è stata resa nel 2005 da un Tribunale arbitrale istituito in
ambito ICSID nel caso Noble Ventures, Inc. c. Romania403. In relazione ad un Bilateral
Investment Treaty concluso dalla Romania e dagli Stati Uniti il 28 maggio 1992, era sorta una
controversia con riferimento ad un accordo riguardante l’acquisizione e la gestione di
un’azienda rumena, dal nome Combinatul Siderurgic Resita, concluso tra una società
statunitense, la Noble Ventures, e il Romanian State Ownership Fund (SOF), ente rumeno di
pubblico interesse costituito nel 1992 con lo scopo di privatizzare le imprese a
partecipazione pubblica. Sei mesi dopo la privatizzazione, il potere politico era passato nelle
mani di Nastase, leader del partito all’opposizione. Tale mutamento di Governo si era
riflesso nella sostituzione del SOF con la Authority for the Privatization and Management of
the State Ownership (APAPS).
A seguito di tali eventi erano sorti numerosi problemi per la società statunitense, che si
era vista costretta a ricorrere ad arbitrato lamentando la violazione di alcune disposizioni del
BIT concluso dagli Stati Uniti con la Romania. Con riferimento alla questione
401 Al fine di evidenziare che la non attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires dei propri organi nell’ordinamento interno non implica la medesima cosa in quello internazionale, il Tribunale ha fatto riferimento anche a quanto affermato nella sentenza resa nel caso Elettronica Sicula, S.P.A. (ELSI)(U.S. v. Italy), I.C.J. Reports, 1989, p. 270, par. 124. 402 ICSID Review— Foreign Investment Law Journal, 2003, p. 283, par. 190.403 ICSID, Noble Ventures, Inc. v. Romania, Case No. ARB/01/11, sentenza del 12/10/2005.
150
dell’attribuzione, il ricorrente sosteneva che la Romania dovesse rispondere
internazionalmente dei fatti illeciti commessi dai membri del SOF e dell’APAPS, in quanto si
trattava di organi statali404. Dal canto suo la Romania rigettava la propria responsabilità
internazionale in virtù del fatto che tali enti, pur esercitando prerogative del potere
pubblico, non godevano della qualifica organica in virtù del diritto interno. Facendo
riferimento al progetto di articoli adottato in seconda lettura dalla CDI, il Tribunale ha
ritenuto che il SOF e l’APAPS non potevano essere ritenuti degli organi de iure dello Stato
rumeno, bensì erano degli enti a cui lo Stato aveva formalmente conferito l’esercizio di
prerogative del potere pubblico, le cui condotte dovevano pertanto essere riferite alla
Romania sul piano internazionale405. Nonostante gli enti avessero agito nel rispetto della
propria competenza nel caso di specie, il Tribunale ha reputato opportuno sottolineare che i
comportamenti da essi adottati sarebbero stati comunque attribuiti allo Stato anche nella
circostanza in cui avessero agito ultra vires, dal momento che erano stati da essi tenuti nella
loro qualità ufficiale:
“Even if one were to regard some of the acts of SOF or APAPS as being ultra
vires, the result would be the same. This is because of the generally recognized
rule recorded in Art. 7 2001 ILC Draft according to which the conduct of an
organ of a State or of a person or entity empowered to exercise elements of
governmental authority shall be considered an act of the State under
international law if the organ, person or entity acts in that capacity, even if it
exceeds its authority or contravenes instructions. Since, from the Claimant’s
perspective, SOF and APAPS always acted as if they were entities entitled by
the Respondent to do so, their acts would still have to be attributed to the
Respondent, even if an excess of competence had been shown406”.
Il principio in base a cui uno Stato deve rispondere internazionalmente dei fatti illeciti
ultra vires tenuti dai propri organi è stato ribadito da un collegio arbitrale istituito in ambito
ICSID in una pronuncia sulla giurisdizione resa il 6 luglio 2007 nel caso Kardassopoulos c.
Georgia407.
404 “Just as SOF’s actions are attributable to Romania, so too its contractual obligations are also obligations of Romania for the purpose of determining Romania’s liability under international law”. Cfr. par. 65 della sentenza.405 “In the judgment of the Tribunal, no relevant legal distinction is to be drawn between SOF/APAPS, on the one hand, and a government ministry, on the other hand, when the one or the other acted as the empowered public institution under the Privatization Law”. Cfr. par. 79 della sentenza.406 Paragrafo 81 della sentenza.407 ICSID, Kardassopoulos v. Georgia, Case No ARB/05/18, sentenza 6/07/2007.
151
La controversia era stata sottoposta ad arbitrato da parte di un investitore greco che
lamentava la violazione da parte del Governo della Georgia di alcune disposizioni di un
Bilateral Investement Treaty concluso tra i due paesi nel 1994 e dell’Energy Charter Treaty
risalente al 1996. Con riferimento alla questione dell’attribuzione di condotte allo Stato, la
Georgia sosteneva che gli enti pubblici non territoriali che avevano provveduto a concludere
il contratto di joint venture per la fornitura di gas e petrolio con la società Tramex e avevano
emanato l’atto di concessione di tali risorse avessero agito contravvenendo alle disposizioni
dell’ordinamento interno. Il collegio arbitrale ha reputato irrilevante, al fine del sorgere
della responsabilità internazionale della Georgia, che nel caso di specie gli organi avessero
adottato degli atti nel mancato rispetto delle disposizioni di diritto interno in tema di
competenza:
“It is immaterial whether or not SakNavtobi and Transneft were authorized
to grant the rights contemplated by the JVA and the Concession or whether or
not they otherwise acted beyond their authority under Georgian law. Article 7
of the Articles on State Responsibility provides that even in cases where an
entity empowered to exercise governmental authority acts ultra vires of it, the
conduct in question is nevertheless attributable to the State.
[…]
Thus, even if in the JVA and the Concession were entered into in breach of
Georgian law, the fact remains that these two agreements were cloaked with
the mantle of Governmental authority. Claimant had every reason to believe
that these agreements were in accordance with Georgian law, not only because
they were entered into by Georgian State-owned entities, but also because
their content was approved by Georgian government officials without objection
as to their legality on the part of Georgia for many years after. Claimant
therefore had a legitimate expectation that his investement in Georgia was in
accordance with relevant local laws. Respondent is accordingly estopped from
objecting to the Tribunal’s jurisdiction ratione materiae under the ECT and the
BIT on the basis that the JVA and the Concession could be void ab initio under
Georgian law”408.
408 Paragrafi 189-194 della sentenza.152
Come nella sentenza resa nel caso Southern Pacific Properties (Middle East) Limited c.
Egitto409, anche in tale pronuncia il tribunale arbitrale ha ribadito che l’operazione di
attribuzione allo Stato nell’ordinamento internazionale dei comportamenti adottati dai
propri organi deve considerarsi autonoma rispetto alla definizione di quali possano
considerarsi sue condotte sul piano interno. Alla luce di tale pronuncia, lo Stato, esercitando
il proprio diritto ad auto-organizzarsi, deve sopportare le conseguenze della propria scelta di
affidare ad una persona fisica o giuridica l’esercizio di pubbliche funzioni. Si troverebbe
pertanto in una situazione di estoppel che gli impedirebbe di contraddirsi nel sostenere di
non aver agito nel caso in cui uno degli organi da lui designati ha adottato un
comportamento nell’esercizio delle sue funzioni, ma ultra vires.
Da ultimo una recente vicenda in cui invece uno Stato ha tentato di sfuggire alla propria
responsabilità internazionale sulla base del fatto che non era a conoscenza dei
comportamenti adottati dai propri organi è stato l’affare Siag and Vecchi c. Egitto410.
I ricorrenti erano i principali investitori della Touristic Investments and Hotels
Management Company e della Siag Taba Company che, dopo aver comprato dallo Stato
un’ampia porzione di terreno nel Golfo di Aqaba al fine di costruire un albergo sul Mar
Rosso, avevano lamentato che l’Egitto aveva distrutto il valore dell’investimento da loro
effettuato mediante una serie di atti ed omissioni adottati a partire dal 1995. Mentre i
ricorrenti sostenevano che uno Stato dovesse rispondere di tutte le condotte tenute dai
propri organi nell’esercizio delle funzioni, l’Egitto, al fine di sfuggire alla propria
responsabilità internazionale per le condotte tenute dai tribunali interni, ha asserito che non
potevano essere ad esso attribuiti comportamenti adottati dai propri organi allorché si
trattasse di condotte lecite411. Facendo esplicito riferimento all’art. 7 del progetto di articoli
adottato in seconda lettura dalla CDI, il Tribunale arbitrale ha ritenuto che i comportamenti
degli organi statali adottati al di fuori della propria competenza o in violazione del diritto
interno devono considerarsi fatti statali nell’ordinamento internazionale. Il necessario
corollario di tale principio è che le condotte degli organi statali che non sono ultra vires
devono essere attribuite a fortiori allo Stato, per cui anche eventuali condotte lecite
adottate dagli organi giudiziari devono ritenersi fatti statali sul piano internazionale senza
409 Vedi supra, p. 151 ss.410 ICSID, Siag and Vecchi v. Egypt, Case No ARB/05/15, sentenza 11/5/2009.411 “Egypt submitted that Article 4 holds a State responsible only for the acts of its organs; it does not expect a State to have knowledge of every act carried out by those organs. In other words, Egypt claimed that, while it could be held responsible for the wrongful acts of its judiciary, it could not be expected to be aware of all the non-wrongful acts of its organs. The Claimants asserted that Article 4 was a general principle of international law, which was not limited to the wrongful acts of a state organ”. Cfr. paragrafo 194 della sentenza.
153
che abbia alcun ruolo la loro eventuale mancata conoscenza da parte del Governo dello
Stato:
“The Tribunal prefers the arguments of the Claimants on this issue. In taking
that view, the Tribunal notes the provisions of Article 7 of the ILC Articles,
which states that: “The conduct of an organ of a State…shall be considered an
act of the State under international law…even if it exceeds its authority”.
[…]The clear corollary of that statement is that acts of a State’s organs that are
not contrary to law or in excess of authority will be applied a fortiori to the
State. Accordingly the non-wrongful acts of Egypt’s judiciary are the acts of the
Egyptian State. As Claimants have submitted, Egypt cannot deny knowledge of
its own acts”412.
È possibile trarre alcune brevi conclusioni con riferimento alla prassi sinora enunciata. In
tutti i casi la possibilità di riferire allo Stato sul piano internazionale le condotte non
autorizzate dei propri organi è stata subordinata al fatto che questi avessero agito nella
qualità ufficiale, cioè nell’esercizio di funzioni ufficiali loro affidate. Un organo statale che
agisce nella sua qualità ufficiale crea una situazione tale da indurre gli altri soggetti
internazionali a ritenere i suoi comportamenti imputabili allo Stato. Per tale ragione,
nell’ipotesi degli illeciti ultra vires dei propri organi, la responsabilità internazionale dello
Stato si fonda su una necessaria garanzia da assicurare agli altri soggetti di diritto
internazionale per i fatti dannosi che derivano dalla propria organizzazione interna.
Sembra opportuno notare che in nessuna delle pronunce è stato dato rilievo alla
possibilità che il terzo leso si fosse reso conto dell’incompetenza dell’organo e avesse potuto
conseguentemente evitare la commissione dell’illecito. Ne discende che in nessuna
circostanza l’eventuale manifesta incompetenza dell’organo è stata rivendicata come
limitazione al principio dell’attribuzione dei fatti ultra vires. Nella giurisprudenza più recente
la condizione attributiva dell’apparenza della funzione assume una nuova valenza: non più
intesa come possibilità per il terzo di rendersi plausibilmente conto dell’incompetenza con
cui un organo agisce, deve essere piuttosto interpretata come l’esistenza di un collegamento
fra la condotta tenuta e l’attività ufficiale normalmente svolta.
Facendo sovente esplicito riferimento alla disposizione codificata in materia da parte
della CDI, viene altresì considerato che la regola che riconosce l’irrilevanza della regolarità di
412 Ibid., par. 195 della sentenza.154
un comportamento nell’ordinamento interno ai fini della sua attribuzione allo Stato in
ambito internazionale ha natura consuetudinaria.
4. La giurisprudenza in tema di tutela internazionale dei diritti dell’uomo
4.1 Le sentenze della Corte Europea dei diritti dell’uomo
4.1.1 La Corte europea dei diritti dell’uomo: la sentenza resa nel caso Irlanda c.
Regno Unito
Gli organi di controllo della Convenzione europea dei diritti dell’uomo in numerose
circostanze hanno avuto modo di pronunciarsi sulla questione della responsabilità
internazionale dello Stato per i fatti illeciti ultra vires dei propri organi. Una delle pronunce
più significative è indubbiamente quella resa dalla Corte europea nel 1978 nel caso Irlanda
c. Regno Unito413.
Allo scopo di porre fine alla escalation di atti terroristici nell’Irlanda del Nord, il Governo
aveva deciso di ricorrere ai poteri di detenzione previsti dalla legge del 1922 circa i poteri
speciali delle autorità civili nel Nord Irlanda ed aveva contemporaneamente dato il via
all’operazione “Demetrius”, nel corso della quale l’esercito aveva arrestato alcune persone
sospettate di essere membri dell’Irish Republic Army (IRA). Dopo gli arresti, la stampa
britannica aveva dato notizia di trattamenti inumani e degradanti a cui tali individui erano
stati sottoposti al momento dell’arresto o durante il loro interrogatorio all’interno dei centri
di detenzione regionali dell’Irlanda del Nord.
Il 16 dicembre 1971, Il Governo della Repubblica d’Irlanda ha presentato un ricorso alla
Commissione europea dei diritti dell’uomo contro il Governo del Regno Unito, lamentando
la violazione dell’art. 3 della Convenzione europea in ragione della sottoposizione dei
detenuti ad alcune particolari tecniche di interrogatorio, tra cui l’incappucciamento, la
privazione di viveri e la privazione del sonno414.
Il Governo del Regno Unito ha sostenuto di non essere tenuto a rispondere sul piano
internazionale di tali condotte dal momento che uno Stato non può essere reputato
internazionalmente responsabile, sulla base della Convenzione, di tutti i comportamenti
adottati dagli organi subordinati. La responsabilità internazionale del Regno Unito poteva
sorgere soltanto in caso di un mancato adempimento da parte del Governo o degli organi
413 CEDH, Série A: Arrêts et décisions, vol. 25.414 CEDH Mém., vol. 23-I, pp. 266-280.
155
superiori dell’obbligo di prevenzione o di repressione del fatto illecito oppure in caso di
diniego di giustizia.
Assimilando i comportamenti illeciti tenuti ultra vires dagli organi subordinati a dei fatti
di semplici privati, il Regno Unito sosteneva di non poter essere ritenuto responsabile della
violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dal momento che non aveva autorizzato tali
condotte, aveva adempiuto il proprio obbligo di prevenzione e aveva prontamente punito
gli autori dei maltrattamenti:
“Des actes de mauvais traitements sont commis, peut-être avec la tolérance
d’agents subalternes, mais le gouvernement lui-même n’a ni autorisé ces
mauvais traitements ni fermé les yeux sur eux; il a au contraire tenté de les
empêcher en donnant des ordres, en organisant des enquêtes approfondies sur
les plaintes, en dépêchant des médecins aux centres de détention de la police
et en poursuivant en justice les membres des forces de sécurité lorsqu’il
dispose de preuves…En pareil cas, le gouvernement défendeur ne devrait pas
être considéré comme violant la Convention, parce qu’il ne serait coupable en
vertu ni de l’un ni de l’autre des deux principes reconnus par le droit
international et par la jurisprudence de la Commission: il ne serait pas coupable
au regard du principe du dommage direct, parce que le Gouvernement lui-
même n’aurait ni autorisé les mauvais traitements ni fermé les yeux sur
eux… ”415.
Al fine di giustificare la tesi dell’assenza di responsabilità internazionale, il Governo
britannico ha inoltre sostenuto che la Convenzione poteva essere violata soltanto
intenzionalmente da parte di uno Stato, considerando la colpa un elemento costitutivo
dell’illecito internazionale416.
Nel caso di specie il Regno Unito ha quindi riproposto la tesi secondo cui le condotte
tenute da un organo nel mancato rispetto delle disposizioni di diritto interno o delle
istruzioni ricevute devono essere assimilate ai comportamenti di semplici privati, di cui lo
415CEDH Mém., vol. 23-I, pp. 354-355. Il Governo britannico ha inoltre affermato che, se la Commissione lo avesse ritenuto responsabile della violazione dell’art. 3 sulla base di alcune condotte non autorizzate tenute dai propri organi, nonostante avesse fatto il possibile per evitarle, si sarebbe giunti a “un résultat …injuste et [qui] irait à l’encontre du sens commun”. Ibid., p. 354.416 “…on ne pourrait le juger coupable d’une violation de l’article 3 que si l’on avait prouvé qu’il était en tort. La culpabilité serait le critère-clé. Il devrait, par l’intermédiaire d’agents appropriés, avoir agi avec une intention coupable en violant l’article 3 soit en donnant des ordres directs, peut-être sous la couverture d’ordres fictifs, soit en fermant délibérément les yeux sur ce qui se passait”. Ibid., pp. 351-352.
156
Stato non è tenuto a rispondere sul piano internazionale, se non per il fatto, imputabile ad
ulteriori organi, di non aver prevenuto o represso tali condotte pur essendo in grado di farlo.
Alla luce di tale concezione nel caso in cui adotti un comportamento ultra vires, un organo
non è ritenuto agire per conto dello Stato allorché oltrepassi le funzioni lui conferite dal
diritto interno. Occorre in ogni modo notare come il Regno Unito abbia riproposto tale tesi
primancora che il principio dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires dei propri organi
venisse formulato dalla Commissione del diritto internazionale nel 1975.
Nella sua risposta, il Governo irlandese ha invece contestato tale tesi facendo appello ai
principi generali della responsabilità internazionale dello Stato. A sostegno della sua
posizione, ha citato la sentenza resa il 23 novembre 1926 dalla Commissione generale dei
reclami tra Stati Uniti d’America e Messico nel caso Youmans e l’art. 5 del progetto di articoli
della CDI417.
Nel rapporto reso il 25 marzo 1976, la Commissione europea dei diritti dell’uomo ha
rigettato la tesi sostenuta dal Regno Unito, sottolineando come gli obblighi internazionali di
uno Stato possono essere violati:
“par une personne exerçant une fonction officielle qui lui est confiée, quel
que soit le niveau, même le plus bas, sans autorisation expresse, voire en
dehors ou à l’encontre d’instructions”418.
Dopo il rapporto della Commissione, il Governo dell’Irlanda ha adito la Corte europea di
diritti dell’uomo419, la quale ha reso la sua sentenza il 18 gennaio 1978.
A differenza di quanto avvenuto dinanzi la Commissione, il Regno Unito non ha
contestato nel procedimento davanti alla Corte europea la propria responsabilità
internazionale sulla base del fatto che uno Stato non è tenuto a rispondere a livello
internazionale degli illeciti ultra vires commessi dai propri organi subordinati420,
417 Ibid., pp. 377-378. Sembra opportuno sottolineare che con grande probabilità l’Irlanda ha citato l’art. 5 del progetto di articoli della CDI, riguardante in generale l’attribuzione allo Stato dei fatti degli organi, perché non era ancora stata adottata dalla Commissione la disposizione che enunciapiù specificamente il principio dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires dei propri organi.418 Ibid., p. 394.419 Nonostante il rapporto della Commissione riconoscesse la responsabilità internazionale del Regno Unito per la violazione di numerose disposizioni della Convenzione europea, l’Irlanda ha adito la Corte con il fine “d’assurer le respect, en Irlande du Nord, des engagements assumés par le gouvernement défendeur en qualité de Partie à la Convention […] A cette fin, elle invite la Cour, à examiner le rapport de la Commission, confirmer l’avis de cette dernière selon lequel ont eu lieu des violations de la Convention, examiner les thèses du gouvernement requérant quant à d’autres violations alléguées et constater toute violation de la Convention dont la Cour se sera convaincue ”. Cfr. paragrafo 148 della sentenza.420 Cfr. paragrafo 152 della sentenza.
157
presumibilmente anche alla luce del contrario principio adottato nel 1975 dalla
Commissione del diritto internazionale.
Condividendo le conclusioni della Commissione, la Corte europea ha affermato che uno
Stato non può sfuggire alla propria responsabilità internazionale sostenendo che la condotta
illecita di un organo subordinato non era stata autorizzata. Anche se risultasse che le
autorità superiori ignoravano l’esistenza di tali pratiche illecite di interrogatorio, gli Stati
sono tenuti ad assumere rispetto alla Convenzione la responsabilità oggettiva delle condotte
tenute dai propri subordinati:
“On n’imagine pas que les autorités supérieures d’un Etat ignorent, ou du
moins soient en droit d’ignorer, l’existence de pareille pratique. En outre, elles
assument au regard de la Convention la responsabilité objective de la conduite
de leurs subordonnés; elles ont le devoir de leur imposer leur volonté et ne
sauraient se retrancher derrière leur impuissance à les faire respecter”421.
La Corte ha concluso che alcune tecniche di interrogatorio utilizzate dai membri delle
forze armate britanniche costituivano dei trattamenti disumani e degradanti adottati in
violazione dell’art. 3 della Convenzione. In virtù dell’attribuzione al Regno Unito dei
comportamenti illeciti adottati ultra vires dai propri organi, lo Stato era tenuto a
risponderne nell’ordinamento internazionale.
4.1.2 La sentenza Assanidze c. Georgia
Il principio in base a cui uno Stato non può sfuggire alla propria responsabilità
internazionale sostenendo che la condotta illecita di un organo subordinato non rispecchi le
istruzioni ricevute è stato ribadito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza
resa nel 2004 nel caso Assanidze c. Georgia422. In tale sentenza la Corte di Strasburgo si è
occupata della questione dell’attribuzione alla Georgia della condotta di un ente pubblico
territoriale, la Repubblica autonoma di Ajaria, la quale si rifiutava di liberare un individuo
detenuto dalle autorità locali contravvenendo ad una decisione della Corte suprema dello
Stato. La Georgia negava che tale omissione fosse ad essa attribuibile proprio a causa della
mancata collaborazione delle autorità ajariane423.
421 CEDH, Série A: Arrêts et décisions, vol. 25, p. 64, par. 159.422 Caso Assanidze c. Georgia, decisione di merito, ricorso n. 71503/01, resa dalla Corte riunita nella Grande Camera l’8 aprile 2004.423 Ibid., p. 3, parr. 133-134.
158
La Corte, nella sentenza resa l’8 aprile 2004, non ha dato alcuna rilevanza alla circostanza
che il governo centrale dello Stato non fosse riuscito a far rispettare le proprie decisioni da
parte di un ente di governo decentrato. Dal momento che l’ordinamento interno
sottoponeva la Repubblica autonoma di Ajaria al potere di controllo delle autorità
georgiane, non sembrava sufficiente per escludere l’attribuzione allo Stato il fatto che nel
caso di specie l’ente pubblico fosse venuto meno agli obblighi inerenti la sua funzione424.
Ad avviso della Corte, lo Stato rimane responsabile delle condotte dei propri organi
anche quando non è in grado di assicurare che i rapporti tra di essi si svolgano sulla base di
quanto previsto dall’ordinamento interno425. Uno Stato non può pertanto negare di avere
agito nel caso in cui gli organi subordinati non rispettano le istruzioni ricevute dalle autorità
dello Stato centrale:
“The Convention does not merely oblige the higher authorities of the
Contracting States themselves to respect the rights and freedoms it embodies;
it also has the consequence that, in order to secure the enjoyment of those
rights and freedoms, those authorities must prevent or remedy any breach at
subordinate levels. The higher authorities of the State are under a duty to
require their subordinates to comply with the Convention and cannot shelter
behind their inability to ensure that it is respected”426.
Il fatto che organi dello Stato si sottraggano agli obblighi inerenti alle funzioni loro
assegnate dal diritto interno o non rispettino le istruzioni del governo centrale risulta
ininfluente ai fine del riconoscimento di una data condotta come fatto dello Stato sul
piano internazionale. Sembra potersi desumere che nel momento in cui uno Stato, in
base al proprio diritto interno, attribuisce delle funzioni di governo ad un individuo o
ente e ne inserisce l’attività nella sua organizzazione, crea una situazione tale da
dover sopportare le conseguenze della propria scelta organizzativa.
4.1.3 La sentenza Ilascu e altri c. Moldova e Russia
424 “Despite the malfunctioning of parts of the State machinery in Georgia and the existence of territories with special status, the Ajarian Autonomous Republic is in law subject to the control of the Georgian State. The relationship existing between the local Ajarian authorities and the central government is such that only a failing on the part of the latter could make the continued breach of the provision of the Convention at the local level possible”. Ibid., p. 33, par. 147.425 Nel valutare il rapporto intercorrente tra la Repubblica autonoma e lo Stato centrale, la Corte europea si è interrogata sulla possibilità che il mancato rispetto della decisione della Corte suprema fosse sintomo dell’esistenza di aspirazioni secessionistiche da parte della Repubblica autonoma. 426 Ibid., p. 33, par. 146.
159
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto esplicitamente il principio
dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires dei propri organi anche nella sentenza resa l’8
luglio 2004 nel caso Ilascu e altri c. Moldova e Russia427, in cui è stata chiamata ad affrontare
il problema della responsabilità di uno Stato per la condotta di un ente che, grazie al suo
sostegno, esercitava un potere di governo all’interno del territorio di un altro Stato428.
Nel giugno del 1992 quattro cittadini moldavi sono stati arrestati a Tiraspol, in Moldavia,
da alcuni soldati dell’ex-Quattordicesima armata sovietica e da altri individui che
indossavano uniformi prive di segni distintivi. Essi erano accusati di attività antisovietiche e
di lotta illecita contro lo Stato della Transdniestria, una regione della Moldavia proclamatasi
indipendente nel 1991 all’indomani della costituzione della Repubblica moldava, e sostenuta
a livello militare prima dall’Unione sovietica e poi dalla Federazione russa.
Fra gli arrestati vi era anche Ilie Ilascu, leader del Fronte popolare, un partito della
Moldavia impegnato nella campagna per l’unificazione della Moldavia con la Romania.
I cittadini moldavi sono stati condotti al quartier generale della polizia di Tiraspol, dove
sono stati interrogati e sottoposti a maltrattamenti per diversi giorni. Il processo a loro
carico dinanzi alla Corte suprema della Repubblica moldava di Transdniestria si è concluso il
9 dicembre 1993 con una sentenza di condanna alla pena di morte per Ilascu e ad una pena
detentiva compresa fra i 12 e i 15 anni per gli altri imputati. Nel giugno del 1999 Ilascu e gli
altri cittadini moldavi hanno presentato un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo
contro la Repubblica di Moldavia e contro la Federazione russa, lamentando la violazione
dell’art. 6 della Convenzione europea per essere stati giudicati da un tribunale
incompetente, dell’art. 5 per aver subito una detenzione arbitraria, e dell’art. 3 per essere
stati sottoposti a tortura e trattamenti inumani e degradanti. La responsabilità per le
suddette violazioni veniva attribuita dai ricorrenti sia alla Federazione russa, in virtù del
controllo effettivo da essa esercitato sul territorio della Transdniestria, sia alla Repubblica di
Moldavia dal momento che non aveva adottato le misure adeguate a porvi fine.
427 Caso Ilascu ed altri c. Federazione Russa e Repubblica di Moldavia, decisione di merito, ricorso n. 48787/99, resa dalla Corte riunita nella Grande Camera l’8 luglio 2004. Sul caso Ilascu si veda in dottrina LIJNZAAD, Trouble in Tiraspol. Some Reflections on the Ilascu Case and the Territorial Scope of the European Convention on Human Rights, in Hague Yearbook of International Law, 2002, pp. 17-38; NIGRO, Giurisdizione e obblighi positivi degli Stati Parti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: il caso Ilascu, Rivista di diritto internazionale, 2005, pp. 413-440; 428 L’ipotesi presa qui in esame è quella in cui uno Stato risponde della condotta di un altro ente che ha la parvenza di uno Stato, in quanto tale comportamento è ad esso direttamente attribuibile. Diverso è invece il caso in cui uno Stato risponde del fatto illecito di un altro Stato a titolo di responsabilità per fatto altrui.
160
La Grande Camera, nel pronunciarsi nel merito della questione, ha ritenuto opportuno
distinguere la questione della responsabilità della Moldavia rispetto a quella della
Federazione russa.
Riprendendo quanto già affermato nella sentenza resa nel caso Irlanda c. Regno Unito429,
nel valutare se i due Stati potessero essere considerati internazionalmente responsabili per
le violazioni lamentate dai ricorrenti, la Grande Camera ha sottolineato che:
“a State may also be held responsible even where its agents are acting ultra
vires or contrary to instructions. Under the Convention, a State's authorities are
strictly liable for the conduct of their subordinates; they are under a duty to
impose their will and cannot shelter behind their inability to ensure that it is
respected”430.
Anche in tale circostanza pertanto la Corte europea ha affermato che uno Stato non può
sfuggire alla propria responsabilità internazionale sostenendo che la condotta illecita di un
organo subordinato non era stata autorizzata.
Con riferimento alla Federazione russa, la Grande Camera ha poi constatato la riferibilità
a tale Stato sia dei comportamenti tenuti dai propri organi sia di quelli degli organi del
regime separatista instauratosi nella regione moldava della Transdniestria, in virtù
dell’effettiva autorità esercitata dalla Federazione russa su tale territorio431:
“In the light of all these circumstances the Court considers that the Russian
Federation’s responsibility is engaged in respect of the unlawful acts committed
by the Transdniestrian separatists, regard being had to the military and political
support it gave them to help them set up the separatist regime and the
participation of its military personnel in the fighting”432.429 Vedi supra, p. 161 ss.430 Caso Ilascu ed altri c. Federazione Russa e Repubblica di Moldavia, decisione di merito, ricorso n. 48787/99, resa dalla Corte riunita nella Grande Camera, 8 luglio 2004, p. 75, par. 319.431La Federazione Russa è stata ritenuta responsabile per le violazioni degli artt. 3 e 5 della Convenzione europea a partire dal momento in cui aveva condotto in arresto i quattro ricorrenti nel 1992, data in cui la Convenzione non era ancora entrata in vigore per tale Stato: “the events which gave rise to the responsibility of the Russian Federation must be considered to include not only acts in which the agents of that State participated, like the applicants’ arrest and detention, but also their transfer into the hands of the Transdniestrian police and regime, and the subsequent ill-treatment inflicted on them by those police,since in acting in that way the agents of the Russian Federation were fully aware that they were handing them over to an illegal and unconstitutional regime”. Cfr. par. 384 della sentenza.432 Cfr. par. 382 della sentenza. Oltre alla responsabilità internazionale della Russia per i comportamenti adottati dalle autorità della Transdniestria, la Corte ha affermato anche la responsabilità della Moldavia, in quanto, pur non avendo il controllo su quella parte del proprio
161
Nonostante nel caso di specie un peso notevole sia stato dato al fatto che gli organi della
Russia avevano avuto un ruolo diretto nell’arresto e la detenzione dei ricorrenti, la Corte ha
comunque precisato che la responsabilità internazionale di tale Stato riguardava anche
condotte rispetto a cui non vi era stata la diretta partecipazione di suoi organi de iure, in
quanto tale territorio si trovava:
“under the effective authority, or at the very least under the decisive
influence, of the Russian Federation and in any event that it survives by virtue
of the military, economic, financial and political support given to it by the
Russian Federation”433.
Sembra pertanto possibile affermare che la Corte ha assimilato, sulla base dei sopracitati
elementi di fatto, il regime separatista ad un ente territoriale decentrato della Russia, la
quale sarebbe pertanto tenuta a rispondere in ambito internazionale di tutti i
comportamenti tenuti dagli organi del regime nell’esercizio delle proprie funzioni, senza che
assuma alcuna rilevanza l’eventuale mancato rispetto delle istruzioni ricevute434.
4.2 Le sentenze della Corte interamericana dei diritti dell’uomo
4.2.1 La sentenza resa nel caso Velásquez Rodríguez
Il 24 aprile 1986 la Commissione interamericana dei diritti dell’uomo ha sottoposto alla
Corte interamericana dei diritti dell’uomo il caso Velásquez Rodríguez435, riguardante la
prassi delle sparizioni forzose seguita in quegli anni dal Governo dell’Honduras.
La Commissione accusava l’Honduras di aver violato numerose disposizioni della
Convenzione americana dei diritti dell’uomo in ragione dell’arresto e della successiva
territorio, aveva violato obblighi positivi derivanti dalla Convenzione.433 Ibid., p. 92, par. 392. Gli elementi di fatto evidenziati dalla Corte al fine di attribuire i comportamenti degli organi del regime separatista alla Federazione russa sono stati il suo determinante sostegno politico, economico e militare a tale regime, la presenza di truppe russe sul territorio governato dal regime separatista e il contributo politico e militare fornito dalla Russia alla sua creazione.434 Si veda DE HOOGH, op. cit., pp. 272-273.435Cfr. caso Velásquez Rodríguez c. Honduras, sentenza della Corte interamericana dei diritti dell’uomo del 29 luglio 1988. La sentenza è consultabile sul sito web della Corte al seguente link: http://www.corteidh.or.cr/docs/casos/articulos/seriec_04_esp. Sul caso si veda anche COHEN-JONATHAN, Cour interaméricaine des droits de l’homme – l’arrêt Velásquez, Revue générale de droit public, 1990, pp. 455–471.
162
detenzione senza mandato di un giudice, di uno studente, Angel Manfredo Velásquez
Rodríguez, da parte delle sue forze militari. Sulla base delle testimonianze raccolte, la
Commissione sosteneva che lo studente era stato sottoposto a tortura ed era stato
successivamente assassinato da parte delle stesse forze armate.
Essendo competente a pronunciarsi soltanto circa l’eventuale violazione da parte degli
Stati delle disposizioni della Convenzione, la Corte Interamericana dei diritti dell’uomo, nella
sentenza resa il 29 luglio 1988, si è preoccupata di stabilire se queste azioni facessero
sorgere la responsabilità dell’Honduras per violazione della Convenzione.
Secondo la Corte:
“According to Article 1 (1), any exercise of public power that violates the
rights recognized by the Convention is illegal. Whenever a State organ, official
or public entity violates one of those rights, this constitutes a failure of the duty
to respect the rights and freedoms set forth in the Convention. This conclusion
is independent of whether the organ or official has contravened provisions of
internal law or overstepped the limits of his authority: under international law a
State is responsible for the acts of its agents undertaken in their official capacity
and for their omissions, even when those agents act outside the sphere of their
authority or violate internal law”436.
Se le condotte illecite tenute da un organo statale in violazione del proprio ordinamento
interno non potessero essere considerate una violazione degli obblighi che uno Stato è
tenuto a rispettare in virtù della Convenzione, secondo la Corte, l’intero sistema di
protezione dei diritti umani da essa previsto diverrebbe illusorio437.
La Corte ha peraltro osservato come l’ordinamento giuridico dell’Honduras non
autorizzasse i comportamenti che erano stati tenuti dagli organi statali e che tali
comportamenti erano considerati reati, che non tutti i livelli di Governo erano
necessariamente al corrente di essi e che non era provato che fossero stati adottati sulla
base di istruzioni impartite dagli organi superiori. Tali circostanze non sono state comunque
ritenute suscettibili di esonerare lo Stato dalla sua responsabilità internazionale per la
violazione dei diritti dell’uomo da parte dei suoi organi durante l’esercizio delle proprie
funzioni:
436 Velásquez Rodríguez Case, cit., p. 153, par. 170.437 Ibid., par. 171.
163
“The Court notes that the legal order of Honduras does not authorize such
acts and that internal law defines them as crimes. The Court also recognizes
that not all levels of the Government of Honduras were necessarily aware of
those acts, nor is there any evidence that such acts were the result of official
orders. Nevertheless, those circumstances are irrelevant for the purposes of
establishing whether Honduras is responsible under international law for the
violations of human rights perpetrated within the practice of
disappearances”438.
Come la Corte europea nei casi precedentemente citati439, anche la Corte interamericana
dei diritti dell’uomo ha in tale circostanza riconosciuto l’irrilevanza ai fini del sorgere della
responsabilità internazionale dello Stato per un illecito commesso da un proprio organo, sia
del mancato rispetto delle istruzioni ricevute dagli organi superiori che dell’eventuale
violazione delle disposizioni del diritto interno in tema di competenza, purché tale organo
abbia agito nella sua capacità ufficiale.
La Corte ha dichiarato pertanto all’unanimità che il Governo dell’Honduras aveva violato
numerose disposizioni della Convenzione e l’ha condannato al pagamento di una somma di
denaro a titolo di risarcimento ai parenti delle vittime.
4.2.2 La sentenza resa nel caso Mapiripán Massacre c. Colombia
Dopo la sentenza resa nel caso Velásquez Rodríguez, la Corte interamericana per i diritti
umani, nell’affrontare la questione della responsabilità di uno Stato per le violazioni dei
diritti dell’uomo commesse da gruppi paramilitari, ha in numerose occasioni affermato il
principio di diritto internazionale secondo cui uno Stato è internazionalmente responsabile
438 Ibid., p. 158, par. 183. Secondo la Corte inoltre “violations of the Convention cannot be founded upon rules that take psychological factors into account in establishing individual culpability”. Ibid., p. 30, par. 173. La tesi secondo cui lo stato psicologico di un individuo che gode della qualità organica possa influire nel determinare se un comportamento è stato tenuto ultra vires oppure nella sua qualità privata è stata sostenuta dal giudice Nieto Novia nella sua opinione dissenziente nel caso Caballero Delgado e Santana c. Colombia, sentenza della Corte interamericana dei diritti dell’uomo dell’8 dicembre 1995, Serie C. No. 22, para. 53. In tale pronuncia, la Corte Interamericana dei diritti dell’uomo, nell’attribuire la responsabilità internazionale alla Colombia per la scomparsa di un uomo e di una donna per effetto del comportamento di alcuni militari non si è soffermata a stabilire se gli organi statali avessero agito ultra vires oppure su impulso di ordini dei propri superiori in quanto la liceitá di una condotta nell’ordinamento interno risultava ininfluente ai fini della sua attribuzione allo Stato quale soggetto del diritto internazionale. Per un’analisi della giurisprudenza della Corte Interamericana dei diritti dell’uomo con riferimento alle attività ultra vires degli organi statali si veda PASQUALUCCI, The Practice and Procedures of the Interamerican Court of Human Rights, Cambridge, 2003, pp. 223 – 225.439 Vedi supra, p. 161 ss.
164
per le attività ultra vires dei propri organi e anche di quelli di gruppi paramilitari ad essa
collegati. La Corte interamericana, come spesso anche la Commissione interamericana, ha
giustificato la responsabilità internazionale dello Stato sulla base del tipo di legame che
univa i paramilitari allo Stato.
I gruppi paramilitari sono gruppi armati di individui dotati di una organizzazione interna
di cui lo Stato si avvale per lo svolgimento di funzioni militari o di polizia, parallelamente agli
organi statali istituzionalmente deputati allo svolgimento di tali mansioni. Nella prassi non
sono rari i casi in cui è il diritto interno a prevedere la costituzione di gruppi di privati
cittadini ai quali è affidato il compito di integrare l’azione delle forze di polizia nel
mantenimento dell’ordine pubblico. Talora l’attribuzione allo Stato dei comportamenti
adottati da tali gruppi si baserà sul riconoscimento formale del loro ruolo all’interno della
struttura organizzativa dello Stato440. Frequentemente, però, lo Stato non formalizza in
termini giuridici i rapporti intrattenuti con i gruppi paramilitari.
Una delle circostanze in cui lo Stato è stato ritenuto internazionalmente responsabile
dalla Corte interamericana dei diritti dell’uomo per i fatti commessi dai gruppi paramilitari è
il caso Mapiripán Massacre c. Colombia441.
Il 12 luglio 1997, circa un centinaio di membri delle Autodefensas Unidas de Colombia
sono atterrati all’aeroporto di San José de Guaviare con il benestare dell’esercito regolare
colombiano, che ha fornito loro anche i mezzi di trasporto per raggiungere il territorio di
Mapiripán. I membri del gruppo paramilitare, che indossavano divise dell’esercito regolare
ed erano dotati di armi il cui uso era ad esso riservato, sono rimasti sul luogo dal 15 al 20
luglio, giorni durante i quali hanno torturato ed ucciso decine di individui. Il massacro di
Mapiripán è avvenuto grazie al supporto logistico, la collaborazione, l’acquiescenza e le
omissioni di alcuni membri dell’esercito colombiano442.
440 Tale eventualità è abbastanza usuale nella prassi dei paesi dell’America Latina, il cui diritto interno prevede sovente la costituzione di gruppi di privati cittadini a cui è affidato il compito di mantenere l’ordine pubblico parallelamente alle forze di polizia. Su tale questione si vedano le considerazioni di ANNONI, La responsabilità internazionale dello Stato per le sparizioni forzate, Rivista di diritto internazionale, 2005, p. 683 ss.; SHELTON, Private Violence, Public Wrongs, and the Responsibility of States, in Fordham Law Journal, 1989-1990, p. 1 ss.441 Caso Mapiripán Massacre c. Colombia, sentenza della Corte interamericana dei diritti dell’uomo del 15 settembre.442 “The incursion of the paramilitary in Mapiripán was an act that had been meticulously planned several months before June 1997, carried out with logistic preparatory work and with the collaboration, acquiescence, and omissions by members of the Army. Participation of agents of the State in the massacre was not limited to facilitating entry of the AUC into the region, as the authorities knew of the attack against the civilian population in Mapiripán and they did not take the necessary steps to protect the members of the community. Omissions by the VII Brigade are not merely non-fulfillment of its legal duty to control the area, but rather, according to the Attorney General’s Office, they involved “abstaining from action, necessarily in connivance with the illegal armed group, as well as effective positive attitudes tending to enable the paramilitary to attain their objective, as they undoubtedly would not have been able to act without that support.” Ibid., p. 47,
165
A seguito della presentazione alla Corte Interamericana dei diritti dell’uomo di un ricorso
da parte della Commissione, lo Stato colombiano ha riconosciuto, nell’udienza pubblica del
7 marzo 2005, la propria responsabilità internazionale per la violazione di alcune disposizioni
della Convenzione interamericana dei diritti dell’uomo da parte di propri organi, che
avevano agito contravvenendo alle disposizioni dell’ordinamento interno:
“The State has acknowledged its international responsibility for the violation
of Articles 4(1), 5(1), 5(2), 7(1) and 7(2) of the Convention, in connection with
the facts mentioned in section B of Chapter VI of the application filed by the
Commission. Nevertheless, taking into account the content of domestic rulings,
it argues that said responsibility derives from irregular actions by its agents and
not from a policy of the State or of its Institutions “443.
Con riferimento agli avvenimenti di Mapiripán, lo Stato asseriva però che fossero ad esso
attribuibili soltanto i comportamenti adottati dai membri dell’esercito regolare ad esclusione
invece di quelli dei gruppi paramilitari, in opposizione a quanto sostenuto dalla
Commissione444.
Secondo il Governo colombiano, attribuire in via generale tali condotte allo Stato come
se fossero state tenute da organi statali significava contravvenire ai principi di diritto
internazionale generale in tema di responsabilità.
Nella sentenza resa nel 2005 nel caso Mapiripán Massacre c. Colombia, la Corte ha
affermato la responsabilità internazionale della Colombia per l’accaduto e ha sottolineato
che, in caso di violazione di una delle disposizioni della Convenzione da parte di organi
statali, risulta irrilevante l’eventuale mancato rispetto della propria competenza, in virtù del
principio di diritto internazionale generale secondo cui uno Stato è responsabile di tutti i
comportamenti adottati dai propri organi nella loro qualità ufficiale, anche nel caso in cui
abbiano agito ultra vires:
“In accordance with Article 1(1) any form of exercising public authority that
violates the rights embodied in the Convention is unlawful. In this regard, any
circumstances in which a body or official of the State or of a public institution
parr. 96. 43-96.44.443Ibid., p. 82, par. 97 della sentenza. 444 “What the State does not accept is attributing to it the acts of the self-defense groups, as the Inter American Commission argues in the application. Attributing the acts of members of said self-defense groups to the State as if they were its agents and arguing that the State incurs international responsibility for those acts would be contrary to International Law”. Ibid.
166
inappropriately abridges one of said rights constitutes disregard for the duty to
respect rights, enshrined in that Article. This conclusion is independent of
whether the body or official acted contravening domestic legal provisions or
going beyond the limits of his own sphere of competence, as it is a principle of
International Law that the State is responsible for the acts of its agents carried
out in their official capacity and by their omissions, even if they act outside the
limits of their sphere of competence or in violation of domestic law”445.
Alla luce della particolare natura della Convenzione, dovuta ai diritti che intende
proteggere, la Corte ha inoltre sottolineato come le disposizioni previste da tale strumento
internazionale debbano essere interpretate in maniera evolutiva, al fine di garantire la
massima protezione possibile agli esseri umani. Con riferimento alla responsabilità
internazionale, la Corte ha ritenuto che la Convenzione americana deve considerarsi lex
specialis, per cui l’attribuzione deve avvenire sulla base di quanto previsto dalle sue stesse
disposizioni.
Prendendo in debita considerazione quanto contenuto nel rapporto dell’Alto
Commissario dei diritti umani delle Nazioni Unite circa il rispetto dei diritti umani in
Colombia nel 1997446, la Corte ha sottolineato che, nonostante il massacro fosse stato
materialmente perpetrato dalle AUC, aveva potuto essere compiuto soltanto grazie alla
collaborazione, acquiescenza e tolleranza da parte delle forze armate regolari della
Colombia. Nonostante mancassero le prove in base a cui attestare l’esistenza di un legame
di dipendenza tra l’esercito regolare e i gruppi paramilitari oppure una delega fattuale di
pubbliche funzioni da parte dello Stato, la Colombia doveva essere ritenuta
internazionalmente responsabile sia dei comportamenti dei propri organi che di quelli dei
paramilitari, sulla base del fatto che gli illeciti erano stati commessi in territori sottoposti alla
propria giurisdizione447. Le autorità statali, pur essendo pienamente a conoscenza delle
445 Ibid., p. 88, par. 108. Si vedano anche il caso Gómez Paquiyauri Brothers, sentenza dell’8 luglio 2004, Series C No. 110, par. 72; il caso “Five Pensioners”, sentenza del 28 febbraio 2003, Series C No. 98, par. 63; il caso Juridical Condition and Rights of the Undocumented Migrants, parere consultivo del 17 settembre 2003, Series A No. 18, paa. 76; il caso Baena Ricardo et al., sentenza del 28 novembre 2003, Series C No. 104, par. 178.446 “Specifically with regard to what happened in Mapiripán, the Report by the United Nations High Commissioner for Human Rights states that, “the specifics of the cases filed before the Office in Colombia suggest that the facts could not have taken place without that acquiescence, support, or complicity. Aside from the testimony of the witnesses and the observations by the Commissioner herself, the Ombudsperson [Defensor del Pueblo] also acknowledged that the paramilitary ha[d] become the illegal arm of the security forces, carrying out the dirty work that the latter cannot do.” Cfr. Report by the United Nations High Commissioner for Human Rights on the human rights situation in Colombia in 1997, E/CN.4/1998/16, March 9, 1998, parr. 29 e 91. Si veda anche il Fourth Report by the Ombudsman to the Colombian Congress, 1997, pp. 59-60.447 P. 95, parr. 129-120 della sentenza.
167
intenzioni del gruppo paramilitare di instillare paura tra coloro che popolavano quel
territorio, non solo avevano collaborato al fine di rendere realizzabili i loro intenti, ma
avevano fatto il possibile affinché il massacro apparisse agli occhi dell’opinione pubblica
perpetrato senza la loro partecipazione o tolleranza:
“In brief, having established that there was a link between the armed forces
and this paramilitary group to commit the massacre, based on the
acknowledgment of the facts by the State and the body of evidence in the file,
the Court has reached the conclusion that the international responsibility of the
State has resulted from a set of actions and omissions by State agents and
private citizens, conducted in a coordinated, parallel or linked manner, with the
aim of carrying out the massacre. First of all, said agents collaborated directly
or indirectly with the acts committed by the paramilitary, and secondly, they
were remiss regarding their duty to protect the victims against said acts and
regarding their duty to effectively investigate them, all of which has led to
violations of human rights embodied in the Convention. In other words, since
the acts committed by the paramilitary against the victims in the instant case
cannot be considered mere acts amongst private individuals, as they are linked
to actions and omissions by State officials, the State is found to be responsible
for said acts, based on non-fulfillment of its erga omnes treaty obligations to
ensure the effective exercise of human rights in said relations amongst
individuals”448.
Come la Corte internazionale di giustizia in alcune pronunce riguardanti la riferibilità allo
Stato delle condotte di gruppi armati449, nel caso di specie anche la Corte interamericana dei
diritti dell’uomo ha valorizzato elementi fattuali al fine di ritenere attribuibili in via generale
allo Stato le condotte tenute da individui che non possedevano lo status di organo in base
all’ordinamento interno. In virtù dello stretto legame intercorrente con gli organi e
l’organizzazione statale in genere, le condotte tenute dal gruppo paramilitare non potevano
in alcun modo essere pertanto assimilate a dei comportamenti di semplici privati, bensì
risultavano attribuibili in via generale allo Stato senza che fosse necessario accertare
l’esistenza di un effettivo controllo sulle specifiche condotte.
448 P. 96, par. 121 della sentenza.449 Vedi infra, p. 185 ss.
168
4.2.3 Altre sentenze della Corte interamericana in cui è stato enunciato il principio
della responsabilità internazionale dello Stato per attività ultra vires dei
propri organi
Un’altra circostanza in cui la Corte interamericana dei diritti dell’uomo è stata chiamata
dalla Commissione a pronunciarsi circa la responsabilità internazionale dello Stato per la
violazione di alcune disposizioni della Convenzione da parte di un gruppo paramilitare è il
caso Pueblo Bello Massacre c. Colombia, in cui veniva lamentato il massacro di alcuni
abitanti del villaggio di Pueblo Bello nel 1990, avvenuto con l’acquiescenza degli organi
statali450.
Secondo il Governo della Colombia, uno Stato non può essere chiamato
automaticamente a rispondere sul piano internazionale di fatti di privati. Lo Stato
contestava pertanto la propria responsabilità internazionale nel caso di specie sulla base del
fatto che “the structures for attributing responsibility to the State constitute numerus
clausus, because they consist of a rigorous description of the events in which the violation of
the treaty-based obligation is attributable to the State”451.
Nel pronunciarsi sul massacro di Pueblo Bello, la Corte interamericana ha sottolineato
che la responsabilità internazionale dello Stato sorge al momento della violazione degli
obblighi erga omnes di rispettare i diritti riconosciuti dalla Convenzione e di assicurare la
loro effettività in ogni circostanza e con riferimento a tutti gli individui sottoposti alla propria
giurisdizione. Pur riconoscendo che l’attribuzione di condotte allo Stato è un fenomeno
regolato da norme di diritto internazionale, la Corte ha criticato l’argomentazione della
Colombia considerando illusorio che sia possibile individuare a priori quali siano le specifiche
condizioni in presenza delle quali una certa condotta, tenuta da un suo organo o da privati,
deve esserle attribuita. La Corte ha però allo stesso tempo affermato che qualsiasi violazione
dei diritti umani riconosciuti dalla Convenzione dovuta al comportamento adottato nella
propria qualità ufficiale da un organo costituisce un fatto attribuibile allo Stato in virtù del
diritto internazionale generale, indipendentemente dalla circostanza che abbia oltrepassato
i limiti della propria competenza:
450 Caso Pueblo Bello Massacre c. Colombia, sentenza della Corte interamericana dei diritti dell’uomo del 31 gennaio 2006.451 Ibid., p. 87, par. 103.
169
“It is a principle of international law that the State responds for the acts and
omissions of its agents in their official capacity, even if they overstep the limits
of their authority”452.
Con riferimento a tale obiter dictum della Corte, sembra interessante notare come il
principio dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires dei propri organi sia stato
riconosciuto nonostante in tale circostanza l’operazione attributiva venisse assimilata ad
un’operazione di mero accertamento di un legame fattuale esistente tra l’ente soggetto
internazionale e le persone fisiche o giuridiche che effettivamente agiscono per suo conto.
Pur escludendo che rientri tra le funzioni del diritto internazionale determinare
concretamente quale siano le condizioni in presenza delle quali un fatto può essere
attribuito ad uno Stato, l’aver agito ultra vires da parte di un individuo che gode della qualità
di organo in base al diritto interno è ritenuto irrilevante ai fini dell’attribuzione di fatti allo
Stato quale soggetto internazionale.
Il principio della responsabilità internazionale dello Stato per le attività ultra vires dei
propri organi è stato nuovamente riconosciuto dalla Corte interamericana nella sentenza
resa nel 2008 nel caso Yvon Neptune c. Haiti453.
Anche in tale circostanza la Corte, per stabilire l’eventuale violazione da parte di Haiti di
alcune disposizioni della Convenzione per l’irregolare arresto di un suo cittadino454, ha
ritenuto di dover sottolineare che un principio di diritto internazionale generale riconosce
che lo Stato è tenuto a rispondere nell’ordinamento internazionale di tutte le condotte
tenute dai propri organi nell’esercizio delle proprie funzioni, anche nel caso in cui abbiano
agito nel mancato rispetto delle disposizioni di diritto interno in tema di competenza:
“[…]the Court has established that this responsibility arises from “acts or
omissions of any power or organ of the State, irrespective of its rank, that
violate the American Convention,” and it is generated immediately with the
international unlawful act attributed to the State, because it is a principle of
international law that the State responds for the acts or omissions of its agents
452 Ibid., p. 91, par. 111. Non essendo stato debitamente provato che membri dell’esercito regolare avessero collaborato con i gruppi paramilitari nella perpetrazione del massacro, nel caso di specie la Corte ha riconosciuto la responsabilità internazionale dello Stato soltanto con riferimento alla mancata adozione di debite misure di protezione nei confronti della popolazione civile. Si vedano i parr. 139-140 della sentenza.453 Caso Yvon Neptune c. Haiti, sentenza della Corte interamericana dei diritti dell’uomo del 6 maggio 2008. 454 “According to the Commission, at the time of his arrest, he was not informed of the reasons of his detention, nor was he informed of his rights…..The State did not bring Mr. Neptune promptly before a judge or other judicial official authorized by law to exercise judicial power…”. Ibid., p. 5, par. 10.
170
in their official capacity, even if they act above and beyond the limits of their
competence”455.
L’aver agito in qualità ufficiale viene riconosciuto anche in tale fattispecie come la
condizione in base a cui un comportamento adottato da un organo al di fuori della propria
competenza può essere considerato un fatto dello Stato quale soggetto internazionale.
4.3 L’orientamento del Comitato dei diritti umani
Nel giugno del 1990, durante un’operazione militare, alcuni individui erano stati prelevati
dalle proprie abitazioni da parte di membri delle forze regolari dello Sri Lanka in quanto
sospettati di far parte del Liberation Tigers of Tamil Eelam456, erano stati portati in un campo
militare ed erano stati sottoposti a tortura. Mentre alcuni di essi erano stati liberati dopo
pochi giorni, altri, tra cui il figlio del ricorrente, non avevano più fatto ritorno.
Nell’ottobre 1999, un cittadino dello Sri Lanka ha presentato una comunicazione
individuale al Comitato dei diritti umani, organo di controllo sul rispetto del Patto ONU sui
diritti civili e politici del 1966, lamentando che suo figlio, nell’ambito degli avvenimenti
precedentemente descritti, era stato vittima di una violazione da parte dello Stato di
numerose disposizioni del Patto sui diritti civili e politici457. In tale circostanza lo Sri Lanka ha
tentato di sfuggire alla propria responsabilità internazionale sostenendo di essere all’oscuro
delle attività tenute dal caporale delle forze regolari che aveva compiuto il fatto, in quanto
totalmente separate e distinte rispetto alle operazioni intraprese in quella regione da parte
dell’esercito. In ragione della mancata conoscenza delle attività svolte dal caporale, la
violazione dei diritti garantiti dal Patto non poteva essere attribuita allo Stato, bensì doveva
essere considerata frutto di comportamenti tenuti nella propria qualità privata da un
individuo che godeva dello status organico458.
455 Ibid., p. 14, par. 43.456 Si tratta di un movimento insurrezionale nato nel 1976 con l’obiettivo di creare uno Stato tamil indipendente sull’attuale territorio dello Stato dello Sri Lanka.457 Views of the Human Rights Committee under the Optional Protocol to the International Covenant on Civil and Political Rights, communication No. 950/2000: Sri Lanka, CCPR/C/78/D/950/2000, 31 July 2003.458 “[…]the State party does not contest that the author's son has disappeared, even if it claims not to be responsible; that it confirms that the author's son was abducted on 23 June 1990 by Corporal Sarath and two other unidentified officers, although in a manner which was "distinctly separate and independent" from the cordon and search operation that was carried out by the Army in this location at the same time; and that it submits that officers of the Army had been unaware of Corporal Sarath's conduct and the author's son abduction.” Cfr., Ibid., par. 8.4.
171
Secondo il ricorrente, Thevaraja Sarma, la scomparsa di suo figlio si inseriva in una
pratica sistematica condotta dagli organi statali a partire dal 1989 nell’ambito della guerra
condotta contro il movimento di liberazione nazionale Tamil e doveva essere pertanto
considerata un fatto statale.
Individuando nell’attribuzione di tali comportamenti allo Stato la principale problematica
da affrontare, il ricorrente ha sostenuto che la scomparsa di suo figlio dovesse essere
considerata un fatto statale in quanto tenuta da organi dello Stato. Nei casi in cui la
violazione di una disposizione del Patto è frutto di un comportamento adottato da un
organo statale che si avvale della propria autorità per commettere un fatto, a suo parere, lo
Stato ne avrebbe dovuto rispondere. Secondo il ricorrente, risultava irrilevante la
circostanza che un organo statale avesse tenuto nella propria qualità ufficiale una condotta
ultra vires in quanto lo Stato gli aveva fornito i mezzi e l’autorità necessarie per compiere
quel fatto459.
Pronunciandosi nel merito, il Comitato dei diritti umani, nell’osservazione formulata il 31
luglio 2003, ha riconosciuto lo Sri Lanka responsabile degli illeciti lamentati, avendo modo di
sottolineare l’irrilevanza ai fini della responsabilità internazionale dell’eventualità che un
organo avesse agito in contravvenzione del proprio ordinamento interno, avesse
oltrepassato i limiti della propria competenza oppure che i suoi superiori fossero totalmente
all’oscuro del suo operato. Si legge nelle osservazioni del Comitato:
“The Committee considers that, for purposes of establishing State
responsibility, it is irrelevant in the present case that the officer to whom
the disappearance is attributed acted ultra vires or that superior officers
were unaware of the actions taken by that officer”460.
Il Comitato ha ritenuto che lo Sri Lanka dovesse rispondere internazionalmente del fatto
compiuto ultra vires tenuto da un proprio organo in quanto fatto ad esso attribuibile sul
piano internazionale. Il riferimento all’art. 7 del progetto di articoli adottato in seconda
459 “Where the violation of Covenant rights is carried out by a soldier or other official who uses his or her position of authority to execute a wrongful act, the violation is imputable to the State, even where the soldier or the other official is acting beyond his authority. The author, relying on the judgment of the Inter-American Court of Human Rights in the Velásquez Rodríguez Case and that of the European Court of Human Rights, concludes that, even where an official is acting ultra vires, the State will find itself in a position of responsibility if it provided the means or facilities to accomplish the act. Even if, and this is not known in this case, the officials acted in direct contravention of the orders given to them, the State may still be responsible”. Ibid., par. 8.5.460 Ibid., par. 9.2.
172
lettura dalla CDI e all’art. 2 par. 3 lett. a) del Patto sui diritti civili e politici461 sembra inoltre
dimostrare che l’aver agito nella qualità deve essere considerata la condizione in base a cui
un fatto ultra vires di un organo statale può ritenersi un fatto dello Stato nell’ordinamento
internazionale.
5. La giurisprudenza del Tribunale penale internazionale per la ex-Iugoslavia
Un’applicazione del principio dell’attribuzione allo Stato delle condotte ultra vires dei
propri organi si è avuta nella sentenza resa dalla Camera d’appello del Tribunale penale
internazionale per la ex-Iugoslavia nel caso Prosecutor v. Dusko Tadić462. La Camera di
appello era stata chiamata a pronunciarsi sull’impugnazione di una sentenza della Camera di
prima istanza, promossa per preteso errore di diritto dalla difesa di Dusko Tad ić, un serbo
imputato di gravi crimini di guerra commessi nella regione di Prijedor, in Bosnia.
In tale pronuncia il Tribunale ha fatto ricorso alle regole sull’attribuzione di fatti illeciti ai
fini della responsabilità internazionale per poter determinare la natura interna o
internazionale del conflitto nella ex-Iugoslavia, ritenuto elemento rilevante per definire la
responsabilità penale di individui463. Se fosse stato accertato che le condotte dell’esercito
serbo-bosniaco e della Republika Srpska potevano essere attribuite alla Repubblica Federale
di Iugoslavia, si sarebbe giunti alla conclusione che si era trattato di un conflitto
internazionale e che quindi Tadić, membro dell’esercito serbo-bosniaco, dovesse rispondere
della violazione delle norme applicabili a tale tipo di conflitto. Al fine di stabilire se la
condotta di Tadić fosse attribuibile alla Repubblica federale di Iugoslavia, una delle questioni
preliminari trattate dalla Camera d’appello è stata l’interpretazione della sentenza resa dalla
Corte internazionale di giustizia nel caso delle attività militari e paramilitari degli Stati Uniti
in Nicaragua, con particolare riguardo all’affermazione che le condotte di individui che non
godono della qualità organica nell’ordinamento statale possono essere attribuite allo Stato
esclusivamente nel caso in cui siano state adottate previa istruzione o sotto l’effettivo
controllo di organi statali.
La Camera d’appello ha riconosciuto valida la distinzione tra criteri attributivi fondati
sull’esistenza di un rapporto fattuale e criteri che invece si basano sulla qualità di organo
461 “Each State Party to the present Covenant undertakes: (a) To ensure that any person whose rights or freedoms as herein recognized are violated shall have an effective remedy, notwithstanding that the violation has been committed by persons acting in an official capacity…”.462 Prosecutor v. Dusko Tadić, sentenza della Camera d’appello del 15 luglio del 1999.463 Per una critica all’impostazione seguita dal Tribunale si veda MERON, Classification of Armed Conflict in the Former Yugoslavia: Nicaragua’s Fallout, American Journal of International Law, 1998, p. 236 ss.
173
dell’individuo-agente, precisando che lo status organico si riferisce al caso di individui o enti
che godono di tale qualità in base all’ordinamento interno464.
Nel prendere quindi in considerazione le circostanze in base a cui uno Stato può essere
ritenuto internazionalmente responsabile per i comportamenti adottati da individui o enti
che, pur non godendo della qualità organica in base al diritto interno, agiscono in fatto per
suo conto, la Corte ha sottolineato come i criteri utilizzati per le forze armate non possono
essere eccessivamente rigidi.
La ratio della formulazione dell’art. 8 adottato in prima lettura dalla CDI sarebbe difatti
quella di evitare che uno Stato, dopo aver delegato in fatto a privati lo svolgimento di
attività che non potrebbero essere svolte legittimamente dai propri organi, tenti di sfuggire
alla sua responsabilità internazionale argomentando che tali individui o enti, pur avendo
esercitato pubbliche funzioni, non godono della qualità di organo nel diritto interno.
L’esigenza di garantire la sicurezza delle relazioni internazionali impone che gli Stati non
possano permettere che individui agiscano di fatto per suo conto, per poi dissociarsi dal loro
operato nell’eventualità in cui commettano un fatto illecito465.
Pur riconoscendo che in diritto internazionale il requisito per riferire allo Stato le
condotte adottate da privati che agiscono per suo conto è che lo Stato abbia esercitato un
controllo sulle loro attività, secondo la Camera d’appello, il grado di controllo richiesto ai fini
dell’attribuzione varierebbe in funzione delle singole circostanze fattuali.
Nell’eventualità in cui un individuo o un gruppo non organizzato di individui, nello
svolgere una attività lecita che era stata loro di fatto affidata dallo Stato, commettano un
fatto illecito:
“[…] by anology with the rules concerning State responsibility for acts of
State officials acting ultra vires, it can be held that the State incurs responsibility
on account of its specific request to the private individual or individuals to
discharge a task on its behalf”466.
Nonostante quindi non vengano rispettate le istruzioni impartite, lo Stato dovrebbe
comunque rispondere in ambito internazionale degli eventuali illeciti in quanto commessi da
individui che, pur non essendo formalmente integrati a livello organizzativo nella struttura di
governo, esercitano in fatto funzioni implicanti l’esercizio di pubblici poteri per conto dello
Stato. A differenza di quanto accade con riferimento agli organi de jure, nell’ipotesi qui presa
464 Ibid., parr. 109–113. 465 Ibid., par. 117.466 Ibid., par. 119.
174
in esame l’attribuzione di condotte allo Stato non è naturalmente condizionata dalla
circostanza che l’individuo o ente abbia agito nell’esercizio delle sue funzioni, bensì dal fatto
che sia stato lo stesso Stato a incaricarlo dello svolgimento di attività espressione dei suoi
poteri sovrani.
La Camera d’appello ha poi sottolineato la necessità di distinguere la situazione in cui
individui o enti agiscono per conto dello Stato senza specifiche istruzioni rispetto al caso dei
gruppi militari o paramilitari organizzati, degli irregolari o dei ribelli. In presenza di una
catena di comando e di regole ben prestabilite, si presuppone che la condotta posta in
essere da un individuo rispecchi la volontà del gruppo.
In tale circostanza non risulterebbe pertanto necessario accertare che il gruppo abbia
agito dietro istruzioni di organi statali con riferimento ad ogni singola condotta al fine di
attribuire la loro attività allo Stato, bensì sarebbe sufficiente verificare l’esistenza di un
controllo generale sul loro operato, che si reputa esistente nel caso in cui gli organi statali
abbiano equipaggiato e finanziato il gruppo ed abbiano partecipato alla pianificazione
generale della sua attività.
Secondo la Camera, la circostanza che lo Stato sia responsabile delle condotte dei
membri del gruppo indipendentemente da qualsiasi istruzione ad essi impartita, rende tali
individui assimilabili agli organi statali. I comportamenti adottati nello svolgimento delle
funzioni di governo da questi in fatto esercitate devono considerarsi in via generale
attribuibili allo Stato:
“Under the rules of State responsibility, as restated in Article 10 of the Draft
on State Responsibility as provisionally adopted by the International Law
Commission, a State is internationally accountable for ultra vires acts or
transactions of its organs. In other words it incurs responsibility even for acts
committed by its officials outside their remit or contrary to its behest. The
rationale behind this provision is that a State must be held accountable for acts
of its organs whether or not these organs complied with instructions, if any,
from the higher authorities. Generally speaking, it can be maintained that the
whole body of international law on State responsibility is based on a realistic
concept of accountability, which disregards legal formalities and aims at
ensuring that States entrusting some functions to individuals or groups of
individuals must answer for their actions, even when they act contrary to their
directives. The same logic should apply to the situation under discussion. As
noted above, the situation of an organised group is different from that of a
175
single private individual performing a specific act on behalf of a State. In the
case of an organised group, the group normally engages in a series of activities.
If it is under the overall control of a State, it must perforce engage the
responsibility of that State for its activities, whether or not each of them was
specifically imposed, requested or directed by the State. To a large extent the
wise words used by the United States-Mexico General Claims Commission in
the Youmans case with regard to State responsibility for acts of State military
officials should hold true for acts of organised groups over which a State
exercises overall control”467.
La Camera ha avuto modo però di precisare che, mentre nel caso della commissione di
fatti illeciti ultra vires da parte di un organo de jure la responsabilità internazionale dello
Stato sorge in virtù della qualifica organica riconosciutagli dall’ordinamento interno, per
quanto concerne i gruppi organizzati la responsabilità internazionale deve intendersi come il
corollario del controllo generale esercitato su di essi dallo Stato468.
Nel caso dell’individuo-organo, quindi, è necessario accertare se chi ha agito intrattiene
con lo Stato un legame a tal punto stretto da giustificare la riconducibilità in via generale del
comportamento allo Stato anche nel caso in cui abbia agito ultra vires. Nell’ipotesi di gruppi
di individui non organi ma sottoposti al controllo globale invece, l’attribuzione dipende
dall’esistenza tra lo Stato e il gruppo organizzato di un rapporto fattuale costituitosi in forza
della partecipazione statale al finanziamento e alla pianificazione generale della sua attività.
È stato da ultimo affermato dalla Camera un terzo criterio attributivo fondato
sull’esistenza di un legame fattuale tra un singolo individuo e lo Stato, in base al quale
individui o enti possono essere assimilati ad organi dello Stato in ragione della collocazione
467 Ibid., parr. 121-122. La Camera d’appello ha inoltre sottolineato come dovessero ritenersi applicabili alla situazione presa in esame i principi esposti dalla Commissione dei reclami Stati Uniti/Messico nella sentenza resa nel caso Youmans.468 “What has just been said should not, of course, blur the necessary distinction between the various legal situations described. In the case envisaged by Article 10 of the Draft on State Responsibility […],State responsibility objectively follows from the fact that the individuals who engage in certain internationally wrongful acts possess, under the relevant legislation, the status of State officials or of officials of a State’s public entity. In the case under discussion here, that of organised groups, State responsibility is instead the objective corollary of the overall control exercised by the State over the group. Despite these legal differences, the fact nevertheless remains that international law renders any State responsible for acts in breach of international law performed (i) by individuals having the formal status of organs of a State (and this occurs even when these organs act ultra vires or contra legem), or (ii) by individuals who make up organised groups subject to the State’s control. International law does so regardless of whether or not the State has issued specific instructions to those individuals. Clearly, the rationale behind this legal regulation is that otherwise, States might easily shelter behind, or use as a pretext, their internal legal system or the lack of any specific instructions in order to disclaim international responsibility”. Cfr. Ibid., par. 123.
176
della loro attività nella struttura organizzativa statale. Con riferimento a tali individui o enti,
non risulta determinante ai fini dell’attribuzione accertare se vi siano state istruzioni da
parte di organi dello Stato:
“The Appeals Chamber holds the view that international law aslo embraces
a third test. This test is the assimilation of individuals to State organs on
account of their actual behaviour within the structure of a State ( and
regardless of any possible requirement of State instructions)”469.
La Camera d’appello ha dunque riconosciuto che comportamenti adottati da un gruppo
di fatto controllato dallo Stato devono essere ad esso attribuiti anche nella circostanza in cui
siano stati tenuti in violazione di istruzioni ricevute da parte di organi statali.
Quanto sostenuto porta a concludere che il criterio del controllo globale conduce a
conseguenze giuridiche equivalenti rispetto al criterio che si fonda sullo status organico. Alla
luce di quanto affermato dalla Camera d’appello:
“…despite these legal differences, the fact nevertheless remains that
international law renders any State responsible for acts in breach of
international law performed by (i) individuals having the formal status of organs
of a State (and this occurs even when these organs act ultra vires or contra
legem) or (ii) individuals who make up organized groups subject to the State’s
control”470.
Pur ammettendo infatti che organi della Repubblica federale di Iugoslavia erano
direttamente coinvolti nella pianificazione delle attività dei gruppi armati serbo-bosniaci, la
Camera d’appello non si è preoccupata di determinare l’effettivo contenuto di tali piani471.
Sulla base dell’esistenza di un controllo globale, essa ha invece affermato che dovevano
essere riferiti alla Repubblica federale di Iugoslavia tutti i comportamenti adottati dal
469 Ibid., par. 141. La possibilità di equiparare ai fini dell’attribuzione le forze militari serbo-bosniache e la Repubblica Srpska a organi della Repubblica federale Iugoslava è stata sostenuta da DE HOOGH, op. cit., p. 264 ss.470 Ibid., par. 123.471 Con riferimento alle operazioni militari in cui era coinvolto l’imputato, la Camera d’appello ha affermato che “it follows that in the circumstances of the case it was not necessary to show that those specific operations carried out by the Bosnian Serb forces which were the object of the trial…had been specifically ordered or planned by the Yugoslav Army, it is sufficient to show that this Army exercised overall control over the Bosnian Serb Forces”. Ibid., par. 156.
177
gruppo, pervenendo pertanto alle medesime conclusioni per quanto attiene all’attribuzione
di comportamenti a cui si sarebbe giunti mediante la loro assimilazione ad organi statali.
Una implicita conferma risiede inoltre nel riconoscimento da parte della Camera
d’appello della possibilità che in alcune circostanze individui o gruppi di individui possono
essere equiparati ai fini attributivi ad organi dello Stato. In tal caso si ritiene che tale
eventualità si sia realizzata con riferimento ad un gruppo organizzato operante in stretto
collegamento con l’organizzazione formale dello Stato.
6. La giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia
6.1 La sentenza resa nel caso delle Attività militari e paramilitari in e contro il
Nicaragua
La Corte internazionale di giustizia si è occupata del problema dell’attribuzione allo Stato
delle condotte dei propri organi in alcune pronunce relative alla riferibilità allo Stato delle
condotte di gruppi armati che non sono organi statali in base all’ordinamento interno. Tali
pronunce rese dalla Corte internazionale di giustizia con riferimento alle condotte tenute da
gruppi paramilitari si caratterizzano per una sostanziale uniformità nell’affrontare tale
questione. La soluzione prospettata dalla Corte muove dal presupposto che, oltre al criterio
in base a cui devono riferirsi allo Stato i comportamenti tenuti nella qualità ufficiale dagli
organi de jure, esistono due differenti criteri per giustificare l’attribuzione allo Stato dei
comportamenti adottati da individui ad esso legati da un rapporto fattuale. Al fine di riferire
allo Stato in ambito internazionale delle condotte tenute dai gruppi paramilitari, la Corte, in
primis, ha provveduto ad accertare l’esistenza di un legame organico di fatto in base a cui i
membri del gruppo paramilitare potevano essere assimilati a coloro che godono dello status
organico in base al diritto interno. Soltanto una volta accertata l’assenza di un tale legame,
la Corte ha provveduto a verificare se l’attribuzione poteva trovare giustificazione sulla base
del fatto che i paramilitari avevano agito dietro istruzioni o sotto il controllo effettivo degli
organi statali.
La prima occasione in cui la Corte ha utilizzato tali due criteri per giustificare
l’attribuzione allo Stato dei comportamenti adottati da individui ad esso legati da un
rapporto fattuale è stata nella sentenza resa 27 giugno 1986 nel caso Attività militari e
paramilitari in e contro il Nicaragua472.
472 I.C.J. Reports, 1986, p. 14 ss. Sul riferrimento a tali due distinti criteri di attribuzione nella sentenza resa nel caso Attività militari e paramilitari in e contro il Nicaragua si vedano, fra gli altri, i contributi di VERHOEVEN, Le droit, le juge et la violence. Les arrêts Nicaragua c. Etats-Unis , Revue générale de
178
Nonostante nel caso di specie la Corte non abbia direttamente affrontato il problema
dell’attribuzione allo Stato sul piano internazionale dei fatti ultra vires dei propri organi, una
breve trattazione di tale pronuncia pare comunque essenziale ai fini della presente indagine,
alla luce dei numerosi riferimenti all’orientamento seguito in tal sede dalla Corte
riscontrabili nelle successive sentenze da essa rese sempre in materia di attribuzione ad uno
Stato della condotta di gruppi armati.
Nella fattispecie, al fine di verificare se le attività dei ribelli anti-sandinisti (i c.d.
Contras) erano attribuibili agli Stati Uniti, la Corte internazionale di giustizia aveva
innanzitutto verificato se tali individui potevano essere assimilati ad organi statali, con la
conseguenza che lo Stato avrebbe dovuto rispondere in via generale di tutti i
comportamenti da essi tenuti473. Tale ipotesi era stata sostenuta dinanzi la Corte dal
Nicaragua, secondo cui “any offences which they [Contras] have committed would be
imputable to the Government of the United States, like those of any other forces under the
latter’s command”474.
In particolare, la Corte si è impegnata ad accertare il grado di dipendenza del gruppo
paramilitare rispetto agli Stati Uniti alla luce di una indagine circa la sua struttura
organizzativa.
L’esame del problema dell’attribuzione sembra muovere quindi dall’idea che in
alcune occasioni la dipendenza di un gruppo di individui da uno Stato è a tal punto intensa
da poter giustificare in via generale la riferibilità ad esso delle condotte tenute.
Tale riferibilità in via generale delle condotte allo Stato è ad avviso della Corte
subordinata alla valutazione dell’esistenza di un controllo rigido, di tipo gerarchico, da parte
dello Stato nei confronti del gruppo paramilitare, spesso difficile da accertare in concreto.
Nella fattispecie la Corte non ha reputato sufficiente ai fini dell’accertamento della completa
dipendenza la circostanza che i comandanti del gruppo paramilitare erano stati selezionati
da organi degli Stati Uniti, che tale Stato aveva provveduto ad addestrare, armare ed
equipaggiare il gruppo, la cui attività dipendeva fortemente dal supporto logistico e
finanziario dello Stato. Il fatto che i Contras non fossero stati costituiti dagli Stati Uniti è
droit international public, 1986, p. 1231 ss.; DE HOOGH, Article 4 and 8 of the 2001 ILC Articles on State Responsibility, cit., pp. 268-270; MILANOVIC, State Responsibility for Genocide, European Journal of International Law, 2006, p. 576 ss. e PALCHETTI, L’organo di fatto, cit., p. 103 ss.473 Tale prima ipotesi è presa in esame dalla Corte nei paragrafi 109-112 della sentenza. In particolare al paragrafo 109, vi si legge: “What the Court has to determine at this point is whether or not the relationship of the contras to the United States Government was so much one of dependence on the one side and control on the other that it would be right to equate the contras, for legal purposes, with an organ of the United States Government, or as acting on behalf of that Government”.474 I.C.J. Reports, 1986, p. 64, par. 114.
179
stato valorizzato inoltre più volte dalla Corte al fine di dubitare che l’attività del gruppo
paramilitare riflettesse in ogni occasione strategie decise dagli organi dello Stato.
Solo una volta accertata l’assenza nel caso di specie di un legame organico di fatto,
la Corte ha verificato se potesse trovare applicazione il criterio del controllo effettivo, in
base al quale potevano essere attribuiti allo Stato specifiche condotte adottate in violazione
dei diritti umani e del diritto umanitario da gruppi di individui che non rivestivano la qualità
di organi dello Stato475. In questa fase la Corte ha spostato invece l’attenzione sul controllo
esercitato dallo Stato rispetto alle specifiche condotte poste in essere dal gruppo
paramilitare.
Tale pronuncia contribuisce in maniera significativa a delineare l’ipotesi secondo cui
il riferimento al diritto interno non sia l’esclusivo criterio in base al quale sia possibile
accertare l’esistenza di un rapporto organico ai fini dell’attribuzione di condotte allo Stato.
Ai fini dell’indagine circa la possibilità di attribuire allo Stato i fatti ultra vires dei propri
organi, sembra pertanto assumere rilevanza la circostanza che in alcune circostanze
l’intensità del legame effettivo avrebbe la funzione di supplire all’assenza del dato formale di
diritto interno, consentendo di applicare in relazione a tale ipotesi lo stesso criterio di
attribuzione che si apllica in relazione agli organi de jure.
6.2 La sentenza resa nel caso delle Attività militari sul territorio del Congo
Nonostante contenga soltato sparute osservazioni riguardo la questione dell’attribuzione
di condotte allo Stato, uno schema concettuale simile a quello appena descritto con
riferimento al caso delle Attività militari e paramilitari in e contro il Nicaragua è stato seguito
dalla Corte internazionale di giustizia anche nella sentenza del 19 dicembre 2005 resa nel
caso delle attività militari sul territorio del Congo476.
Prima ancora di acceratre se la Corte si sia interrogata anche in tale circostanza circa
l’esistenza di elementi fattuali in grado di qualificare come organo un ente che non godeva
di tale qualità in base all’ordinamento dello Stato, sembra importante innanzitutto
sottolineare come in tale pronuncia sia stato esplicitamente ammesso che i fatti commessi
dalle forze armate regolari ugandesi, Uganda People’s Defence Force, fossero riferibili allo
Stato, quale soggetto internazionale, sulla base di una norma di diritto internazionale
generale che riconosce come proprie dello Stato le condotte tenute dagli organi. La Corte ha
475 Tale ipotesi è presa in considerazione ai paragrafi 113-115 della sentenza.476 I. C. J. Reports, 2005, p. 29 ss.
180
inoltre avuto modo di chiarire che risulta del tutto irrilevante ai fini dell’attribuzione di una
condotta di un organo allo Stato la circostanza che questo abbia agito non rispettando la
propria competenza o le istruzioni ricevute:
“The Court turns now to the question as to whether acts and omissions of
the UPDF and its officers and soldiers are attributable to Uganda. The conduct
of the UPDF as a whole is clearly attributable to Uganda, being the conduct of a
State organ. According to a well-established rule of international law, which is
of customary character, “the conduct of any organ of a State must be regarded
as an act of that State” (Difference Relating to Immunity from Legal Process of a
Special Rapporteur of the Commission on Human Rights, Advisory Opinion,
I.C.J. Reports 1999 (I), p. 87, para. 62) […]It is furthermore irrelevant for the
attribution of their conduct to Uganda whether the UPDF personnel acted
contrary to the instructions given or exceeded their authority”477.
Tale considerazione é stata formulata dalla Corte con riferimento alle condotte tenute
dalle forze armate. L’art. 3 della Quarta Convenzione dell’Aja concernente le leggi e gli usi
della guerra terrestre stabilisce, del resto, che la parte belligerante è responsabile di tutte le
condotte tenute da persone facenti parte le proprie forze armate, indipendentemente dalla
condizione che abbiano agito in qualità ufficiale. Il testo della suddetta disposizione è stato
ripreso anche dall’art. 91 del primo Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del
1949 relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali.
Per quanto concerne invece le condizioni di fatto in presenza delle quali è possibile
qualificare un gruppo come organo dello Stato478, la Corte non ha fornito indicazioni precise,
limitandosi soltanto a negare che l’assistenza militare e logistica prestata da uno Stato a
favore dei gruppi paramilitari potesse bastare al fine di giustificare l’attribuzione ad esso
delle loro condotte479. In tale pronuncia la Corte ha quindi accertato che non potevano
essere attribuite all’Uganda le condotte tenute da un gruppo paramilitare, dal nome
Movimento di liberazione del Congo, sulla base del fatto che non era stato provato, né che
477 Parr. 213-214 della sentenza.478 Insieme al riferimento al criterio attributivo che si fonda sulla qualità di organo dell’individuo o ente autore dell’illecito, la Corte internazionale di giustizia ha richiamato anche il criterio dell’ente che esercita prerogative dei pubblici poteri per conto dello Stato. Tale riferimento non aggiunge in realtà molto al ragionamento della Corte, dal momento che anche esso, insieme a quello che si fonda sulla qualità di organo, prevede la riferibilità in via generale delle condotte di un ente allo Stato.479 Parr. 158 – 160.
181
tale gruppo era un organo statale né che lo Stato aveva esercitato una direzione o un
controllo sugli specifici comportamenti da esso tenuti480.
In virtù del fatto che la Corte ha riconosciuto che devono essere attribuiti allo Stato i fatti
contrari alle istruzioni o alla propria competenza tenuti dagli organi ed ha inoltre
prospettato la possibilità che individui o enti possono essere assimilati sulla base di elementi
fattuali a coloro che godono della qualità organica nell’ordinamento interno, sembra
plausibile affermare che in via teorica l’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires possa
essere ammessa anche con riferimento a coloro che risultano in fatto integrati all’interno
dell’organizzazione di governo dello Stato481.
6.3 La sentenza resa nel caso della Applicazione della Convenzione sul genocidio
Nell’affare relativo all’applicazione della Convenzione sul genocidio, una delle più
importanti questioni alle quali la Corte internazionale di giustizia doveva trovare una
soluzione nell’ambito della controversia tra la Bosnia–Erzegovina e la Serbia–Montenegro
era quella se gli atti di genocidio commessi a Srebrenica nel 1995 da membri dell’esercito
della Repubblica Srpska e dal gruppo paramilitare degli Skorpion fossero attribuibili alla
allora Repubblica federale di Iugoslavia. Nella sentenza resa il 26 febbraio 2007, la Corte ha
480 Par. 160 della sentenza. Sembra opportuno sottolineare come l’Uganda, nella sua contromemoria, aveva parlato di una incorporazione di fatto di gruppi paramilitari nell’esercito del Congo. A tal proposito, nella difesa dell’Uganda, Brownlie aveva osservato: “The circumstances of the present case are substantially at variance with the facts on which the Court relied in the Nicaragua case.[…] The armed bands formed part of a command structure which involved the central Government of Congo…”. Cfr. I.C.J. Verbatim Record, CR 2005/7, pp. 19-20. Corten, il difensore del Congo, aveva considerato tale presa di posizione un riferimento al criterio dell’organo. Egli ha sostenuto che la tesi dell’Uganda mirava a “…imputer au Congo tous les actes posés ensuite par ces forces rebelles qui seraient, en quelque sorte, des agents de droit de la République démocratique du Congo”. Cfr. Verbatim Record, CR 2005/11, p. 28. 481 Nella sua opinione separata e dissidente il giudice ad hoc Kateka, a differenza della Corte, ha ritenuto che l’Uganda non fosse internazionalmente responsabile per lo sfruttamento delle risorse minerarie della Repubblica democratica del Congo. I soldati ugandesi che avevano adottato un tale comportamento avevano a suo parere agito nella loro qualità privata, in quanto avevano contravvenuto le istruzioni loro impartite dai superiori. In linea con quanto previsto dall’art. 7 del progetto di articoli adottato in seconda lettura dalla CDI, era necessario operare una netta distinzione fra le condotte non autorizzate, ma comunque tenute dagli organi nella propria qualità ufficiale, e quelle che invece non avevano alcun tipo di legame con la funzione ufficiale svolta:“Hence, in my view, individual acts of UPDF soldiers, committed in their private capacity and in violation of orders, cannot lead to attribution of wrongful acts. Paragraph 8 of the Commentary to Article 7 of the draft Articles of the International Law Commission 2001 distinguishes between unauthorized, but still “official” conduct, on the one hand and “private” conduct on the other”.Nonostante l’esattezza della citazione del principio come codificato dalla CDI, l’esclusione dell’attribuzione allo Stato delle condotte tenute nella qualità privata da parte di membri delle forze armate sembra in realtà discutibile per due ordini di ragioni. In primis sembra difatti ormai accertata, alla luce della prassi, l’impossibilità di assimilare un fatto tenuto da un organo nel mancato rispetto delle istruzioni ad un fatto di un privato; in secundis è pacifico ritenere che il principio secondo cui devono essere attribuite allo Stato tutte le condotte tenute dai membri delle forze armate, previsto dalle norme in tema di diritto internazionale umanitario, può potersi considerare lex specialis.
182
precisato le regole attributive in base alle quali possono essere riferiti allo Stato in ambito
internazionale i comportamenti adottati da gruppi armati organizzati che, pur non essendo
formalmente organi dello Stato in base al diritto interno, vengono da esso aiutati, finanziati
oppure organizzati482.
Una delle questioni più controverse riguardava la possibilità di riferire allo Stato sul piano
internazionale le condotte di tali individui sulla base di una loro equiparazione in fatto agli
organi statali. La Bosnia fondava su tale criterio attributivo la propria pretesa di ritenere la
Serbia-Montenegro internazionalmente responsabile per le condotte della Repubblica
Srspka e dei gruppi paramilitari. Condorelli, in veste di difensore della Bosnia, ha difatti
sostenuto la possibilità di attribuire allo Stato le condotte ultra vires tenute da organi di
fatto:
“L’Etat jouit du droit souverain de s’organiser à sa façon et que partant c’est
à son droit interne qu’il revient d’établir qui sont ses organes. Il s’ensuit que,
lorsque l’ordre juridique interne de l’Etat accorde le statut d’organe, l’existence
de ce statut est incontestable sur le plan international: tous les agissements de
tous ceux qu’un Etat qualifie, au moyen de son droit interne, comme ses
organes sont des faits de l’Etat en droit international. Mais la primauté absolue
du droit interne pour ce qui est de l’identification des organes de l’Etat ne peut
signifier exclusivité absolue. En effet, il y a des cas dans lesquels le droit
international a son mot à dire dans ce domaine, notamment lorsqu’un Etat,
seul maître de son droit interne, tenterait d’utiliser ce droit de manière
dolosive afin d’échapper à sa responsabilité internationale et dans ce but
éviterait d’octroyer le statut d’organe à des personnes ou des groupes de
personnes dont il se sert effectivement en tant qu’organes.[…]l’attribution à
l’Etat des comportements de ses organes (qu’ils soient ou non qualifiés comme
tels par le droit interne concerné) joue de jure de manière générale et n’est
soumise à aucune condition ; en particulier, aux fins de l’attribution, il n’y a
nullement à apporter la preuve que chacun des comportements des organes en
question a fait l’objet d’instruction ou de directives spécifiques de l’Etat, voire
qu’il a été effectué spécifiquement sous son contrôle. Enfin, je rappellerai
encore un concept important, que tout le monde s’accorde à considérer
comme indiscutable: l’attribution à l’Etat de tous les comportements de ses
482 I.C.J. Reports, 2007, p. 18 ss. Il problema dell’attribuzione è stato preso in considerazione dalla Corte nei paragrafi 377–415 della sentenza del 26 febbraio 2007.
183
organes intervient même si ceux-ci ont agi ultra vires, c’est-à-dire en
outrepassant leurs compétences ou en violant les instructions reçues par des
organes supérieurs”483.
Richiamando la prassi in materia di rapporti tra Stati federali e Stati federati, egli ha
rilevato come il fatto che in alcune circostanze la Repubblica Srspka si fosse rifiutata di
seguire le istruzioni ricevute dalle autorità di Belgrado non fosse sufficiente a mettere in
discussione il suo status organico e quindi l’attribuzione delle sue condotte alla Repubblica
federale di Iugoslavia484.
Secondo la Serbia, invece, le condotte adottate dalla Repubblica Srspka e dai gruppi
paramilitari non erano attribuibili alla Repubblica federale di Iugoslavia in quanto non
sottoposte all’effettivo controllo da parte del Governo di Belgrado485.
La Corte internazionale di giustizia, nel ricostruire le regole generali in tema di
attribuzione di condotte, ha affermato che devono essere riferite allo Stato in primo luogo le
condotte di individui o enti che godono dello status organico in base al diritto interno, come
stabilito da un principio di diritto internazionale generale codificato all’art. 4 del progetto di
articoli della CDI sulla responsabilità internazionale degli Stati adottato in seconda lettura
nel 2001486.
Dopo aver accertato che la Repubblica Srspka e i gruppi paramilitari non godevano della
qualità organica alla luce del diritto interno serbo, la Corte ha verificato se, al di là del loro
apparente status, si trattasse comunque di persone o gruppi di persone assimilabili ad
organi statali487. Ricordando quanto già asserito nella sentenza resa nel caso delle attività
militari e paramilitari degli Stati Uniti in Nicaragua488, la Corte ha sottolineato la necessità
per il diritto internazionale di andare oltre il loro status secondo il diritto interno ai fini
dell’accertamento della qualità organica e di prendere in considerazione i reali rapporti tra
483 I.C.J. Verbatim Record, CR 2006/9, p. 52 e 56.484 “Il n’est pas utile non plus de se fourvoyer en discutant en détail l’argument que le défendeur croit pouvoir tirer du seul cas qu’il cite dans lequel la Republika Srpska aurait refusé de s’incliner face aux pressions de la RFY, à savoir lorsque l’acceptation du plan Vance-Owen était sur le tapis en 1993.[…]Mais dans n’importe quel système fédéral, que ce soit celui des Etats-Unis, du Canada, de la Suisse ou de la Fédération de Russie, ce serait le rêve pour le gouvernement fédéral de voir une quelconque unité fédérée s’opposer sérieusement à lui en une unique occasion! D’ailleurs le fait que , malgré le refus d’obtempérer, la Republika Srpska ait continué à jouir du soutien éperdu de la RFY, engendre bien des soupçons! ”. Cfr. I.C.J. Verbatim Record, CR 2006/10, p. 23, par. 30. 485 I.C.J. Verbatim Record, CR 2006/16, p. 31 ss.486 Si fa qui riferimento agli organi appartenenti alla struttura dello Stato in senso lato, comprensiva degli enti pubblici territoriali. Si veda il par. 375 della sentenza.487 Si veda par. 390 ss. della sentenza.488 Vedi supra, p. 185 ss.
184
la persona che agisce e lo Stato, al quale essa si lega in maniera a tal punto stretta da
sembrare la sua longa manus:
“In such a case, it is appropriate to look beyond legal status alone, in order
to grasp the reality of the relationship between the person taking action, and
the State to which he is so closely attached as to appear to be nothing more
than its agent: any other solution would allow States to escape their
international responsibility by choosing to act through persons or entities
whose supposed independence would be purely fictitious”489.
Tale eventualità è espressamente riconosciuta come un’ipotesi eccezionale che si
configura solo a condizione che tali persone, gruppi di persone o entità agiscano in fatto
sotto la completa dipendenza dello Stato, divenendo dei suoi semplici strumenti:
“However, so to equate persons or entities with State organs when they do
not have that status under internal law must be exceptional, for it requires
proof of a particularly great degree of State control over them, a relationship
which the Court’s Judgment quoted above expressly described as complete
dependence”490.
A differenza delle precedenti pronunce, e in particolare di quella resa nel caso Nicaragua
c. Stati Uniti in cui la Corte non aveva precisato se il riferimento alla totale dipendenza dallo
Stato fosse l’unico criterio in grado di giustificare l’assimilazione di tali individui o enti agli
organi statali oppure soltanto l’elemento fattuale più adeguato da prendere in
considerazione con riferimento al caso di specie, nella sentenza del 2007 la Corte sembra
delimitare l’ambito di applicazione di tale criterio di attribuzione riconoscendo nella totale
dipendenza l’unica situazione di fatto in presenza della quale appare giustificata una
assimilazione di individui o enti ad organi dello Stato. Nonostante nella sentenza non siano
presenti indicazioni utili a comprendere quando un individuo o gruppo di individui possono
essere considerati completamente dipendenti dagli organi statali, la Corte ha affermato che
è sufficiente che si siano manifestate delle divergenze sulle strategie da seguire per rendere
impossibile la loro assimilazione ad organi statali491.489 Par. 392 della sentenza.490 Parr. 392–393 della sentenza.491 Con riferimento ai legami dell’esercito serbo-bosniaco e della Repubblica Srpska con la ex- Repubblica federale di Iugoslavia, la Corte ha affermato che, nonostante al momento dei fatti esistevano dei forti legami tra di essi in virtù di una identità di intenti e di un importante aiuto fornito
185
L’impressione che si ricava è che la Corte assume una posizione particolarmente rigorosa
nel valutare il grado di controllo necessario ai fini dell’attribuzione, tanto più che
l’assimilazione di un individuo o ente ad un organo de iure dovrebbe in linea di principio
implicare che l’insieme dei comportamenti da esso adottati nell’esercizio delle funzioni è
attribuibile allo Stato, anche ove abbia agito contrariamente ai limiti imposti alla propria
attività o alle istruzioni ricevute:
“the question whether those persons should be equated with State organs
de facto, even though not enjoying that status under internal law depends […]
as previously explained, on whether those persons were in a relationship of
such complete dependence on the State that they cannot be considered
otherwise than as organs of the State, so that all their actions performed in
such capacity would be attributable to the State for purposes of international
responsibility”492.
Nonostante non sia possibile riscontrare nella sentenza delle esplicite indicazioni a
riguardo, la circostanza che la stessa Corte abbia ammesso che la distinzione fra
comportamenti tenuti nell’esercizio delle funzioni e comportamenti tenuti in qualità di
privato sia valida anche rispetto agli organi di fatto potrebbe lasciar supporre che la regola
che attribuisce allo Stato le condotte adottate in violazione delle competenze assegnate
trovi applicazione anche con riferimento a tale ipotesi493.
7. Osservazioni sulla prassi e giurisprudenza recenti
Alla luce della prassi internazionale recente, sembra possibile affermare che il principio
secondo cui lo Stato deve rispondere internazionalmente dei fatti illeciti ultra vires tenuti dai
propri organi nell’esercizio delle funzioni ha acquisito una natura consuetudinaria.
Probabilmente su impulso della codificazione della materia da parte della Commissione
del diritto internazionale, in epoca recente il problema dei fatti illeciti internazionali ultra
vires viene posto in termini di attribuzione di fatti allo Stato, e non solo di responsablità
da Belgrado al fine della conduzione delle principali operazioni militari, tali elementi non bastavano a farne una entità totalmente dipendente da Belgrado dal momento che erano emerse divergenze tra il Governo iugoslavo e la Repubblica Srpska in merito alle operazioni strategiche da seguire. Si vedano i parr. 394-395 della sentenza.492 Par. 397 della sentenza. Si veda PALCHETTI, op. cit., p.109 ss.493 Tale tesi è stata sostenuta da SPINEDI, L’attribuzione allo Stato dei comportamenti dei gruppi armati, da esso sostenuti nella sentenza della Corte internazionale di Giustizia sul genocidio in Bosnia-Erzegovina, Rivista di diritto internazionale, 2007, p. 417 ss, specialmente p. 424.
186
internazionale. Ci si domanda cioè se le condotte tenute dagli organi statali, eccedendo i
limiti della competenza oppure contravvenendo alle istruzioni ricevute, possano ritenersi dei
fatti dello Stato quale soggetto internazionale e non più soltanto se lo Stato sia tenuto a
risponderne internazionalmente.
Per quanto concerne le attività di individui che godono della qualità di organo in virtù di
un legame formale con lo Stato, è possibile innanzitutto mettere in luce una tendenziale
uniformità della giurisprudenza nel riconoscere che lo Stato ne è internazionalmente
responsabile anche nel caso in cui siano state compiute ultra vires nel senso che si tratti di
fatti ad esso attribuibili. Un indizio del chiaro allineamento della giurisprudenza con il
progetto di articoli adottato dalla Commissione del diritto internazionale in tema di
responsabilità internazionale degli Stati è rappresentato inoltre dal riconoscimento in via
generale del suddetto principio.
In particolare, nella giurisprudenza della seconda parte del ventesimo secolo non viene
più fatta menzione della limitazione della manifesta incompetenza dell’organo, in base alla
quale lo Stato non sarebbe tenuto a rispondere sul piano internazionale delle condotte ultra
vires dei propri organi nel caso in cui la loro incompetenza è a tal punto manifesta da
risultare incontrovertibile agli occhi del terzo. In epoca recente infatti lo Stato non è ritenuto
internazionalmente responsabile delle condotte illecite dei propri organi soltanto nel caso in
cui siano state adottate nella loro qualità privata, non esistendo alcun tipo di legame tra il
fatto e la funzione ufficiale esercitata tale da giustificarne la sua attribuzione ad esso.
Anche la prassi degli Stati, sebbene in maniera meno uniforme, appare nel complesso
orientata verso il riconoscimento in termini generali del principio della responsabilità
internazionale dello Stato per fatti ultra vires dei propri organi. Le sparute eccezioni in cui
uno Stato ha sostenuto di non dover rispondere internazionalmente di tali fatti sembrano in
realtà spiegabili alla luce di ulteriori elementi.
Si pensi, ad esempio, alle argomentazioni sostenute dal Governo britannico dinanzi gli
organi di controllo della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nel caso Irlanda c. Regno
Unito494. Al fine di sfuggire alla responsabilità internazionale per violazione del divieto di
trattamenti inumani e degradanti, il Regno Unito aveva riproposto la vecchia tesi secondo
cui i fatti ultra vires degli organi statali devono essere assimilati a dei fatti di privati, rispetto
ai quali lo Stato può essere ritenuto internazionalmente responsabile soltanto in caso di un
mancato adempimento da parte del Governo o degli organi superiori dell’obbligo di
prevenzione o di repressione del fatto illecito oppure in caso di diniego di giustizia. Il peso di
tale presa di posizione deve essere indubbiamente ridimensionato, in particolare alla luce
494 Vedi supra, p. 161 ss.187
del fatto che essa è stata assunta dal Governo del Regno Unito prima ancora che il principio
dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires dei propri organi venisse adottato dalla
Commissione del diritto internazionale nel 1975. Un ridimensionamento di tale presa di
posizione sembra inoltre doveroso anche alla luce del radicale cambio di atteggiamento su
tale questione da parte dello stesso Stato dinanzi la Corte europea dei diritti dell’uomo solo
qualche anno più tardi.
Per quanto concerne invece la prassi recente relativa a controversie trattate in via
diplomatica, è possibile ricordare l’atteggiamento avverso al principio dell’attribuzione allo
Stato di fatti ultra vires degli organi assunto dall’URSS in occasione dell’incidente aereo del
1° settembre 1983495. Al fine di riconoscere il giusto valore anche a tale presa di posizione, si
ritiene debbano essere tenute in debito conto le difficoltà riscontrate in concreto nel
ricostruire relativamente a tale controversia le argomentazioni degli Stati da quanto risulta
da notizie apparse sulla stampa periodica o su riviste giuridiche specializzate. Si ricorda
inoltre come sia d’obbligo la prudenza nell’apprezzamento delle prese di posizioni assunte
dagli Stati nell’ambito di controversie trattate in via diplomatica: le considerazioni di stampo
giuridico appaiono sovente a tal punto connesse alle particolarità del caso specifico o a
considerazioni di natura politica da rendere opinabile la loro portata quali prove
dell’esistenza o meno di una regola internazionale generale.
Venendo ad analizzare la questione della possibilità di attribuire allo Stato i fatti ultra
vires tenuti da individui o enti ad esso connessi da un legame fattuale, va in primis indicato
che la giurisprudenza della seconda parte del ventesimo secolo, seppur non del tutto
uniforme, è indubbiamente più vasta rispetto a quella del periodo precedente.
Nella giurisprudenza internazionale recente, difatti, non mancano casi inerenti l’attività di
gruppi organizzati in cui si è fatto ricorso a criteri di attribuzione che si fondano su elementi
fattuali differenti rispetto all’istruzione o al controllo effettivo. La difficoltà riscontrata in
talune situazioni nell’accertare se le condotte tenute da individui o enti sia stata oggetto di
istruzioni o di uno specifico controllo da parte dello Stato, ha spinto gli interpreti a
ricostruire un criterio più generale di attribuzione, fondato su una sostanziale equiparazione
di tali individui ad organi statali de iure. Continuando a reputare valida la distinzione fra
organo e individuo che riceve istruzioni da parte dello Stato, nella prassi sono stati ritenuti
fatti attribuibili in via generale allo Stato le condotte di individui o enti che, pur non godendo
dello status di organi in base all’ordinamento interno, erano ad essi assimilabili alla luce
della forte integrazione nell’apparato di governo dello Stato e del tipo di funzione svolta.
495 Vedi supra, p. 138 ss.188
Tali recenti sviluppi della prassi internazionale assumono rilevanza anche in relazione al
problema dei fatti ultra vires, soprattutto alla luce del fatto che l’attribuzione allo Stato di
comportamenti di individui che non godono della qualità organica in base al diritto interno
ha trovato in alcuni casi fondamento nella circostanza che la condotta illecita era stata posta
in essere nell’esercizio delle funzioni in fatto assegnate a tale individuo. Tale riferimento
induce a ritenere che, soltanto nei casi in cui elementi fattuali permettano l’equiparazione di
individui o enti ad organi statali, le regole di attribuzione che si fondano sulla qualità di
organo possano essere applicate anche rispetto all’attività di individui legati fattualmente
allo Stato. La scelta di ricostruire in presenza di determinate circostanze il legame fattuale
tra individuo o gruppo di individui e lo Stato in termini di rapporto organico comporterebbe
quindi una limitazione dell’importanza assunta dal riferimento al diritto interno al fine della
determinazione del contenuto e dei limiti delle funzioni dell’organo.
Nella sentenza resa nel caso Yaeger496, ad esempio, il Tribunale arbitrale Iran/Stati Uniti,
dopo aver riconosciuto che le guardie rivoluzionarie non erano qualificabili come organi
statali alla luce dell’ordinamento interno all’epoca in cui avevano estorto del denaro ad
alcuni cittadini americani, ha riconosciuto l’Iran responsabile sul piano internazionale di tali
condotte alla luce dell’esistenza di un intenso legame fattuale con tali individui fondato sulla
natura delle funzioni da essi esercitate e sull’atteggiamento di tolleranza manifestato dalle
autorità ufficiali rispetto alle loro attività. Dal momento che l’attribuzione allo Stato delle
condotte è stata giustificata sulla base della circostanza che il fatto illecito era stato
commesso da tali individui nell’esercizio di funzioni in fatto loro assegnate, sembra che la
distinzione tra comportamenti adottati nell’esercizio delle funzioni e comportamenti
adottati in qualità di privato possa in determinate circostanze trovare applicazione anche
con riferimento ad individui che, pur non godendo dello status organico in base al diritto
interno, risultano fortemente integrati nella struttura organizzativa statale. Sembrerebbe
logico pensare pertanto che la determinazione delle competenze può essere effettuata
anche mediante l’esame dei differenti elementi fattuali che attestano l’esistenza di uno
stretto legame di un individuo o ente con lo Stato, rendendo logicamente possibile
l’applicazione della regola in materia di attribuzione di fatti ultra vires anche rispetto a
situazioni nelle quali le competenze assegnate ad un individuo possono essere determinate
sulla base di elementi di fatto.
Anche in altre circostanze elementi fattuali sono stati valorizzati al fine di ritenere
attribuibili in via generale allo Stato le condotte tenute da individui che non possedevano lo
status di organo in base all’ordinamento interno.
496 Vedi supra, p. 145 ss.189
Si ricorda, ad esempio, il caso Ilascu in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo, alla luce
dell’effettiva autorità esercitata dalla Federazione russa sulla regione moldava della
Transdniestria, ha assimilato il regime separatista instauratosi nella regione ad un ente
territoriale decentrato della Russia e ha, per tale ragione, ritenuto lo Stato responsabile in
ambito internazionale di tutti i comportamenti tenuti dagli organi del regime nell’esercizio
delle proprie funzioni.
Egualmente nel caso Mapiripán Massacre c. Colombia497, la Corte Interamericana dei
diritti dell’uomo, attribuendo rilevanza alla circostanza che il compimento di fatti illeciti da
parte di un gruppo paramilitare era stato reso possibile soltanto grazie alla collaborazione,
acquiescenza e tolleranza da parte delle forze armate regolari della Colombia, ha ammesso
che lo Stato dovesse risponderne internazionalmente. Alla luce dello stretto legame
intercorrente con gli organi e l’organizzazione statale in genere, le condotte tenute dal
gruppo paramilitare non sono state assimilate a dei comportamenti di semplici privati, bensì
sono state ritenute attribuibili in via generale allo Stato senza che fosse necessario accertare
l’esistenza di un suo effettivo controllo sulle specifiche condotte.
Si rammenta come una implicita indicazione nel senso della possibilità di applicare il
principio dell’attribuzione allo Stato delle condotte ultra vires in relazione all’attività di
individui fattualmente legati allo Stato è rinvenibile anche nei lavori della CDI. In seconda
lettura la Commissione ha ampliato la nozione di organo riconoscendo l’esistenza di tale
status in presenza di un’effettiva integrazione di un individuo o ente nell’organizzazione
statale e ha così ammesso in maniera implicita la possibilità che in alcuni casi tale rapporto
organico possa basarsi su un legame di fatto esistente tra un individuo o ente e lo Stato,
piuttosto che sulle prescrizioni del diritto interno. Ciò ha come conseguenza che, almeno in
via di principio, l’attribuzione di fatti ultra vires possa avvenire anche con riferimento a
comportamenti di individui o enti che godono della qualità organica in virtù di un legame
fattuale, a tal punto stretto con lo Stato, da determinarne l’integrazione nella sua struttura
di governo. L’art. 7 del progetto adottato in seconda lettura riconosce difatti il principio
dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires dei propri organi senza però menzionare il
diritto interno come parametro in funzione del quale controllare il rispetto da parte di un
organo dei limiti della propria competenza.
La possibilità di assimilare un individuo o ente legato allo Stato da un rapporto fattuale
ad un organo de iure è stata riconosciuta dalla Corte internazionale di giustizia in alcune
pronunce relative alla riferibilità allo Stato delle condotte di gruppi armati che non godevano
dello status organico in base all’ordinamento interno. Secondo la Corte, tale eccezionale
497 Vedi supra, p. 171 ss.190
ipotesi si configurerebbe soltanto a condizione che tali persone, gruppi di persone o entità
agiscano in fatto sotto la totale dipendenza dello Stato ed avrebbe come conseguenza che
l’insieme dei comportamenti da esso adottati nell’esercizio delle funzioni sarebbe in via
generale attribuibile allo Stato. Pur in assenza di puntuali indicazioni, la scelta di ricostruire
in termini di rapporto organico il legame tra individuo o gruppo di individui e lo Stato porta a
ritenere che sia applicabile anche all’ipotesi presa in esame una regola analoga a quella che
attribuisce allo Stato i comportamenti adottati da organi in violazione delle competenze
assegnate.
Mentre nei casi appena menzionati la possibilità di attribuire allo Stato i fatti ultra vires
tenuti da individui o enti ad esso connessi da un legame fattuale è soltanto implicitamente
deducibile dalla circostanza che elementi fattuali sono stati valorizzati proprio al fine di
ritenere attribuibili in via generale allo Stato le condotte tenute da individui che non
possedevano lo status di organo in base all’ordinamento interno, una concreta applicazione
del principio dell’attribuzione allo Stato dei comportamenti ultra vires con riferimento ad
individui inseriti nell’apparato statale in base ad elementi fattuali si è avuta nella sentenza
resa nel caso Tadić498.
A differenza dei casi sopra menzionati, muovendo dal presupposto che il concetto di
organo si riferisce soltanto al caso di individui che godono di tale qualità in base al diritto
interno, la Camera d’appello ha proceduto ad individuare le differenti condizioni fattuali in
presenza delle quali le condotte adottate da individui che non sono organi alla luce
dell’ordinamento statale possono essere attribuite allo Stato.
Con riferimento alle condotte tenute da un gruppo organizzato in fatto controllato dallo
Stato, la Camera d’appello ha esplicitamente riconosciuto la possibilità che lo Stato debba
risponderne internazionalmente anche nella circostanza in cui siano state commesse in
assenza o in violazione di istruzioni ricevute da parte di organi statali.
Al di là delle affermazioni di principio fatte dalla Camera di appello, l’affermare che in
presenza di determinate condizioni di fatto, differenti rispetto all’istruzione o al controllo da
parte di organi statali su ogni singola condotta, gli atti di individui sono attribuibili in via
generale allo Stato, se tenuti nell’esercizio di funzioni di governo in fatto esercitate, porta
alle medesime conclusioni a cui si sarebbe giunti se si fosse riconosciuta la possibilità di
equiparare ad organi dello Stato individui ad esso legati da un rapporto fattuale. Ad una
attenta analisi, quindi, l’esistenza di un controllo globale da parte dello Stato su un gruppo
organizzato non sarebbe soltanto una delle condizioni fattuali in presenza della quale le
condotte di privati possono essere attribuite allo Stato, bensì costituirebbe un elemento di
498 Vedi supra, p. 180 ss.191
fatto in grado di rilevare, in presenza di deteriminate circostanze, l’esistenza di un legame di
tipo organico tra lo Stato ed un gruppo di individui.
CONCLUSIONI
1. Riepilogo dei risultati acquisiti
Alla luce dei dati ricavati dallo studio dell’abbondante prassi internazionale esistente
in materia di responsabilità internazionale dello Stato per fatti illeciti ultra vires dei propri
organi, si può ora procedere a dare una risposta ai quesiti posti all’inizio di tale indagine.
In primo luogo, si tratta di rispondere al quesito se trovi effettivamente riscontro
nella prassi internazionale l’esistenza di un principio che riconosce la responsabilità
internazionale dello Stato per i fatti illeciti ultra vires di individui o enti che possiedono lo
status organico in base al diritto interno e, in caso positivo, se si tratti di un principio
assoluto o di un principio che soffre eccezioni: in altri termini se e quando una condotta non
autorizzata di un organo statale dia luogo alla responsabilità dello Stato al pari delle
condotte tenute dagli organi competenti e in quali circostanze, viceversa, debba essere
assimilata ad un comportamento di un semplice privato.
Posto che si giunga alla conclusione che lo Stato è tenuto a rispondere sul piano
internazionale dei comportamenti ultra vires tenuti dai propri organi (o quanto meno di
alcuni di questi comportamenti), si tratta in secondo luogo di rispondere al quesito se il
problema dei fatti illeciti ultra vires degli organi si ponga in termini di sapere se lo Stato sia
tenuto a risponderne internazionalmente anche se il comportamento non è ad esso
riconducibile, e in tal caso sulla base di quali motivazioni, oppure se si ponga in termini di
attribuzione, cioè nel senso di accertare se condotte tenute dagli organi statali, eccedendo i
limiti della competenza oppure contravvenendo alle istruzioni ricevute, possano ugualmente
ritenersi dei fatti dello Stato quale soggetto internazionale e a questo titolo dar luogo a
responsabilità ove contrarie ad obblighi internazionali dello Stato.
La terza questione su cui ci soffermeremo riguarda invece la possibilità che il
problema di sapere se uno Stato debba rispondere internazionalmente dei fatti illeciti ultra
192
vires dei propri organi si ponga non soltanto con riferimento ad individui o enti che godono
dello status organico in base al diritto interno ma anche con riferimento a coloro che sono
integrati nell’apparato statale sulla base di elementi fattuali. In particolare ci si propone di
considerare se le regole di attribuzione che si fondano sulla qualità di organo dell’individuo
agente si prestano ad essere applicate anche con riferimento ad individui le cui funzioni
sono determinate sulla base di elementi fattuali. L’esame delle suddette questioni ci offre
anche la possibilità di approfondire il ruolo giocato dal diritto interno con riferimento
all’operazione di attribuzione di condotte allo Stato e all’accertamento della qualità
organica.
Prima di procedere all’analisi di questi problemi, può essere utile ripercorrere
rapidamente le principali indicazioni che si è ritenuto di poter dedurre dall’esame della
prassi rilevante.
Per quanto concerne la prassi più antica, è innanzitutto importante sottolineare
come la questione dei fatti ultra vires degli organi statali non venisse trattata in funzione
della loro attribuibilità o meno allo Stato quale soggetto di diritto internazionale, ma
soltanto nel senso di indagare se lo Stato ne dovesse rispondere internazionalmente. Le
condotte tenute da un organo nel mancato rispetto delle disposizioni di diritto interno o
delle istruzioni ricevute venivano all’epoca assimilate ai comportamenti adottati da un
semplice privato, in occasione dei quali uno Stato poteva essere ritenuto
internazionalmente responsabile esclusivamente per un suo eventuale mancato
adempimento ad un obbligo di prevenzione o repressione di tali condotte, cioè per il
mancato rispetto di un proprio obbligo di diligenza.
A partire dall’inizio del ventesimo secolo la prassi degli Stati e la giurisprudenza
internazionale hanno progressivamente riconosciuto il principio della responsabilità
internazionale dello Stato per gli illeciti commessi dai propri organi nella loro qualità
ufficiale, pure se in violazione di istruzioni ricevute, della propria competenza secondo il
diritto interno o comunque in violazione del diritto interno. Al di là di alcune circostanze in
cui la responsabilità internazionale dello Stato è stata fatta ancora dipendere
dall’atteggiamento adottato da parte del Governo rispetto alla condotta illecita non
autorizzata, quale ad esempio il suo mancato esplicito disconoscimento, a partire dalle
decisioni rese dalle Commissioni miste dei reclami concernenti danni recati dalla Repubblica
del Venezuela, si è iniziato ad ammettere che la responsabilità internazionale dello Stato per
i fatti illeciti ultra vires dei propri organi sorge non in virtù del fatto che ulteriori organi
statali hanno omesso di adottare le misure idonee a prevenire o reprimere tali
193
comportamenti, del tutto a prescindere da quello che è stato il comportamento tenuto dagli
altri organi statali.
Nella prassi internazionale la circostanza che gli organi avessero agito almeno in
apparenza nel rispetto delle competenze previste dal diritto interno oppure si fossero
avvalsi di mezzi messi loro a disposizione in virtù della funzione svolta era peraltro reputata
una condizione in base alla quale poter attribuire allo Stato la responsabilità per tali fatti.
Nell’ambito dei lavori di codificazione avvenuti sotto l’egida della Società delle
Nazioni, la maggioranza degli Stati ha affermato il principio generale della responsabilità
internazionale dello Stato per fatti illeciti ultra vires dei propri organi. Partendo dal
presupposto che il diritto internazionale impone allo Stato l’obbligo di organizzarsi in
maniera adeguata e di esercitare un controllo sufficiente sull’attività dei propri organi, si
arrivava a concludere che un comportamento illecito non autorizzato da essi tenuto dovesse
comportare la responsabilità internazionale dello Stato in ragione delle carenze della propria
organizzazione interna.
La responsabilità internazionale dello Stato, nell’ipotesi dei fatti illeciti ultra vires dei
propri organi, finiva così per fondarsi su una garanzia che esso prestava agli altri soggetti
internazionali per i fatti dannosi causati dall’attività della propria organizzazione interna, in
modo da poter assicurare la sicurezza delle relazioni internazionali.
Va anche ricordato che nel corso dei lavori della Società delle Nazioni il problema
della responsabilità dello Stato per i fatti illeciti compiuti da organi ultra vires inizia ad essere
presentato in termini di attribuibilità o meno allo Stato di detti fatti.
Il fatto che la logica dettata dall’esigenza di garantire la sicurezza delle relazioni
internazionali imponga di attribuire allo Stato le condotte di un individuo o ente a cui ha
conferito lo status organico quando egli o esso appare effettivamente agire per suo conto,
indipendentemente dal rispetto delle disposizioni del diritto interno o delle istruzioni
impartite, è stato ribadito anche nell’ambito dei lavori di codificazione avvenuti sotto l’egida
della Commissione del diritto internazionale delle Nazioni Unite. L’aver agito in qualità
ufficiale o nell’esercizio delle proprie funzioni è stato ritenuto dalla Commissione il criterio
sufficiente a distinguere, tra i vari comportamenti adottati da un individuo o ente che gode
dello status organico, quali devono essere considerati fatti attribuibili allo Stato e quali
possono invece essere assimilati a fatti di semplici privati. La limitazione della manifesta
incompetenza, che trovava principalmente riscontro nei dati offerti dalla prassi
internazionale in tema di trattamento degli stranieri, dopo qualche iniziale incertezza non è
stata accolta dalla Commissione: ciò al fine di evitare che uno Stato potesse invocare
scappatoie per sfuggire alla propria responsabilità internazionale.
194
L’analisi della prassi internazionale recente, contemporanea o successiva ai lavori della
Commissione del diritto internazinale, ci ha consentito di constatare come il principio
secondo cui lo Stato deve rispondere internazionalmente dei fatti illeciti ultra vires tenuti dai
propri organi nell’esercizio delle funzioni abbia ormai acquisito una natura consuetudinaria.
Il riconoscimento in termini assoluti del suddetto principio costituisce indubbiamente un
elemento di novità. La limitazione della manifesta incompetenza dell’organo, in base alla
quale lo Stato non è tenuto a rispondere sul piano internazionale delle condotte ultra vires
dei propri organi nel caso in cui la loro incompetenza è a tal punto manifesta da risultare
incontrovertibile agli occhi del terzo, non trova difatti più alcun riscontro nella prassi
internazionale recente.
Ulteriore elemento di novità è poi costituito dalla possibilità che il principio della
responsabilità internazionale dello Stato per i fatti illeciti ultra vires, in presenza di
determinate circostanze, possa trovare applicazione anche rispetto all’attività di individui
che, pur non possedendo lo status organico alla luce dell’ordinamento interno, sono
fattualmente integrati nell’apparato di governo dello Stato. Seppur in maniera non del tutto
uniforme, la giurisprudenza recente sembra difatti ammettere che, nei casi in cui elementi
fattuali permettano l’equiparazione di individui o enti ad organi statali, le regole di
attribuzione che si fondano sulla qualità di organo possano essere applicate anche rispetto
all’attività di individui legati fattualmente allo Stato. Rimane indubbiamente ancora da
chiarire, ove si affermi la responsabilità dello Stato per i comportamenti di persone che non
sono suoi organi ma che operano per suo conto anche nel caso in cui abbiano agito senza o
contrariamente alle istruzioni ricevute, se veramente possa parlarsi di organi di fatto che
agiscono al di fuori della competenza o contrariamente alle istruzioni ricevute e quale sia la
ragione perché lo Stato sia chiamato a rispondere internazionalmente di tali fatti.
2. Il principio della responsabilità internazionale dello Stato per i fatti illeciti ultra vires dei
propri organi de iure: responsabilità per fatto proprio o responsabilità oggettiva?
All’inizio di questo lavoro si è rilevato come il problema della responsabilità internazionale
dello Stato per i fatti illeciti ultra vires sia stato in passato impostato essenzialmente in due
differenti modi. In base alla prima concezione, la rilevanza esclusiva riconosciuta al diritto
interno in materia di organizzazione dello Stato e di accertamento della qualità organica
comportava l’impossibilità di ammettere che le condotte tenute da individui che possiedono
lo status di organi in virtù del diritto statale siano considerate fatti statali allorché siano state
tenute in violazione delle disposizioni del diritto interno in tema di competenza. In caso di
195
commissione da parte di un organo di un fatto illecito ultra vires, la responsabilità statale sul
piano internazionale poteva venire in essere esclusivamente in caso di complicità o di
diniego di giustizia da parte di altri organi dello Stato.
La seconda concezione, invece, ammetteva che lo Stato dovesse rispondere
internazionalmente dei fatti illeciti ultra vires dei propri organi in quanto, avendo conferito
ad alcuni individui o enti lo status organico e avendo fornito loro gli strumenti necessari
all’esecuzione della propria funzione, era tenuto ad assicurare gli altri soggetti di diritto
internazionale per i fatti dannosi che derivano dalla propria organizzazione interna.
Per alcuni autori questi fatti, pur non essendo attribuibili allo Stato sul piano internazionale
in quanto non conformi al diritto interno, farebbero in ogni modo sorgere la responsabilità
internazionale dello Stato in ragione del fatto che possiedono le caratteristiche tipiche del
fatto statale e all’esterno sembrano rappresentarne la volontà. Si tratterebbe di una sorta di
responsabilità oggettiva. Per altri, invece, nulla vieterebbe che anche i fatti degli organi
agentti ultra vires in base al diritto interno siano attribuiti allo Stato sul piano internazionale.
In questo senso, come si è visto, è orientata la quasi totalità della dottrina contemporanea e
la stessa Commissione del diritto internazionale.
In una prospettiva più ampia, il problema che sottende la contrapposizione tra questi
differenti orientamenti è stabilire in quale modo il fenomeno attributivo sia regolato. Con
riferimento al problema dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires, le soluzioni
ipotizzabili in funzione dell’impostazione seguita sono da ricondurre ad una semplice
alternativa: cioè se il diritto internazionale provveda, autonomamente oppure mediante
rinvio al diritto statale, a determinare i presupposti dell’attribuzione di un comportamento
ultra vires allo Stato di un individuo che gode della qualità organica oppure se in materia
opera soltanto un criterio generale ispirato al principio di effettività.
I risultati raggiunti nel corso della presente indagine evidenziano come l’esigenza di
certezza nelle relazioni internazionali è il principio al quale si ispira la regola che impone di
considerare come attribuibile allo Stato la condotta dei propri organi anche nel caso in cui
violino le competenze loro assegnate499. Tale regola riposa sulla considerazione che uno
499 Lo stesso commentario dell’art. 7 del progetto di articoli adottato in seconda lettura dalla CDI ravvisa nell’esigenza di certezza delle relazioni internazionali uno dei principi ai quali si ispira la regola in tema di attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires degli organi statali, (cfr. paragrafo 3). É bene evidenziare che in alcuni casi della prassi esaminata il problema dei fatti ultra vires venga in epoca recente affrontato in termini di accertare se si tratti di fatti dello Stato sul piano internazionale, piuttosto che solo se lo Stato sia tenuto a risponderne internazionalmente. Sul punto si veda la pronuncia resa nel 2003 nel caso ADF Group Inc. v. United States of America, in cui un Tribunale arbitrale, nonostante nel caso di specie non fosse stato violato alcun obbligo di diritto internazionale, ha comunque affermato che un fatto tenuto nella qualità ufficiale da un organo statale deve essere ritenuto un fatto dello Stato quale soggetto internazionale indipendentemente dal rispetto delle istruzioni ricevute o del diritto interno. Vedi supra, p. 155 ss.
196
Stato deve poter fare affidamento sulle scelte operate da un altro Stato in quanto al modo
di essere della propria organizzazione. Ragioni di sicurezza e stabilità delle relazioni
internazionali impongono difatti di considerare come fatti statali tutti i comportamenti
adottati dagli organi nella loro qualità ufficiale, indipendentemente dal rispetto dei limiti
della competenza o delle istruzioni ricevute. Lo Stato non può eccepire il mancato rispetto di
disposizioni dell’ordinamento interno per sfuggire alla propria responsabilità internazionale,
in quanto l’irregolarità di una condotta dal punto di vista interno risulta irrilevante ai fini del
sorgere della sua responsabilità nell’ordinamento internazionale500.
Non trovano alcuna conferma nei dati della prassi più recente le tesi che attribuiscono
rilevanza esclusiva al diritto interno ai fini della determinazione dei presupposti per riferire
un’attività allo Stato, nel senso che sia possibile considerare fatti di quest’ultimo solo le
condotte tenute da individui o enti che possiedono la qualità di organi in base al diritto
interno e che agiscono rispettando le competenze loro conferite dal medesimo
ordinamento. Se è vero che nelle numerose sentenze recenti in cui si dichiara lo Stato
responsabile per fatti compiuti da organi incompetenti non si precisa in genere
esplicitamente che ciò avviene perché si considerano tali fatti attribuibili allo Stato (anche se
pare implicito), ci sono anche alcune sentenze in cui lo si indica espressamente. Inoltre,
quanto alla prese di posizione degli Stati, pare opportuo rilevare come nei commenti da essi
formulati al progetto di articoli della Commissione del diritto internazionale vi è accordo
sulla possibilità di attribuire allo Stato sul piano internazionale fatti tenuti dai suoi organi in
violazione del diritto interno.
I dati offerti dalla prassi internazionale non confortano nemmeno la tesi, sostenuta in
passato da alcuni autori501, secondo cui il fondamento della regola che impone di
riconoscere come attribuibili allo Stato i fatti ultra vires dei propri organi risiede nel principio
del rinvio all’organizzazione effettiva dello Stato. Alla luce di tale orientamento,
l’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires dei propri organi doveva essere subordinata alla
condizione che questi, pur violando le competenze loro assegnate dal diritto interno,
avessero comunque agito in conformità alla ripartizione di competenze che risultava
affermarsi in fatto in un dato momento. In base a tale soluzione l’attribuzione di condotte
era inoltre condizionata dall’accertare se gli altri organi dello Stato avessero reagito a fronte
500 “The State cannot take refuge behind the notion that, according to the provisions of its legal system, those actions and omissions ought not to have occurred or ought to have taken a different form. They have nevertheless occurred and the State is therefore obliged to assume responsibility for them and to bear the consequences provided for in international law”. Yearbook of the International Law Commission, 1975 – II, p. 67, par. 17.501 Così MORELLI, Nozioni di diritto internazionale, cit., p. 192 e SERENI, Diritto internazionale, cit., p. 465.
197
del mancato rispetto delle competenze da parte dell’organo. I dati della prassi dimostrano
invece come lo Stato sia chiamato a rispondere nell’ordinamento internazionale delle
condotte degli organi senza che rilevi l’eventuale atteggiamento degli altri organi statali e
senza che sia necessario accertare se ci sia stata una modifica fattuale delle competenze
dell’organo.
L’esame della prassi ha messo quindi in luce come la regola di attribuzione allo Stato dei
fatti ultra vires, lungi dall’ispirarsi al principio di effettività, risponde invece ad esigenze
proprie dell’ordinamento internazionale quali la necessità di garantire la certezza e la
stabilità delle relazioni internazionali. Nel momento in cui uno Stato, in virtù del proprio
ordinamento interno, attribuisce delle funzioni di governo ad un individuo o ente e
provvede ad inserirne le attività nella sua organizzazione complessiva, crea una situazione
tale da indurre gli altri soggetti internazionali a ritenere tale individuo o ente come agente
per conto dello Stato. L’apparenza creata dallo Stato attraverso l’attribuzione della qualità
organica prevale sul fatto che la condotta effettivamente tenuta dall’organo non rifletta
delle scelte statali.
A prescindere dalla coincidenza fra l’organizzazione dello Stato quale risulta dal diritto
interno e quella effettivamente esistente, l’esigenza di garantire la certezza delle relazioni
internazionali impone di tutelare la situazione degli Stati che fanno affidamento sui dati
ricavabili dall’ordinamento interno che, oltre a svolgere un ruolo cruciale nell’indicare il
modo di essere dell’organizzazione di governo dello Stato, crea un’apparenza da cui
derivano per lo Stato delle conseguenze.
3. Prospettive de iure condito e de iure condendo: i limiti della regola che impone di
attribuire allo Stato i fatti ultra vires dei propri organi
Nonostante esista ormai una vastissima prassi a conferma del fatto che lo Stato sia
tenuto a rispondere in diritto internazionale anche di comportamenti ultra vires adottati dai
propri organi purché abbiano agito ex qualitate, sembra opportuno chiarire le precise
circostanze in cui sono da attribuire ad esso i fatti ultra vires. In altri termini, accertare se lo
Stato è tenuto a rispondere nell’ordinamento internazionale di tutti i comportamenti tenuti
da individui-organi nell’esercizio delle proprie funzioni, ad esclusione naturalmente dei
comportamenti adottati da individui-organi nella propria qualità privata, oppure se
l’attribuzione ad esso di fatti tenuti nella qualità di organi ma ultra vires può in alcune
circostanze essere esclusa. Come si è visto, infatti, è solo negli ultimi anni che si è venuta
affermando la tesi secondo cui la responsabilità dello Stato per i fatti degli organi agenti ex
198
officio, anche se ultra vires, non subirebbe eccezioni. Anche in una prospettiva de jure
condendo appare dunque utile soffermarsi sul punto.
In alcuni casi della prassi analizzati502, il criterio che è stato ritenuto utile al fine di
operare una distinzione tra comportamenti ultra vires attribuibili allo Stato e comportamenti
che, al contrario, devono essere assimilati a quelli di semplici privati è la circostanza che la
condotta rientri nella competenza generale dell’organo. Secondo tale condizione, lo Stato
deve rispondere nell’ordinamento internazionale di tutte le condotte dei propri organi che,
pur non avendo nello specifico la competenza ad adottare il comportamento generatore
dell’illecito, godono comunque della competenza a tenere comportamenti dello stesso
genere o della stessa tipologia503. La condizione della competenza generale è criticabile a
nostro avviso in quanto eccessivamente imprecisa504. Nella pratica risulta difatti spesso
difficile determinare se un organo, nel commettere un fatto illecito, è rimasto nel quadro
generale delle competenze ad esso spettanti. Ad esempio, mentre pare plausibile ritenere
che l’attribuzione allo Stato dell’arresto illegale di uno straniero da parte di un organo
statale possa avvenire sulla base della circostanza che tale comportamento rientri nel
quadro generale delle competenze dell’organo, come desumibile dai dati offerti dalla prassi
internazionale, sembra invece difficile che la medesima condizione attributiva possa operare
nel caso di uso di armi da fuoco da parte delle forze dell’ordine.
In numerosi casi della prassi internazionale505, in cui i fatti ultra vires adottati dagli
organi statali non potevano sembrare rientrare nel quadro generale della loro competenza,
l’attribuzione dei comportamenti allo Stato è stata fatta dipendere dalla circostanza che il
loro compimento era stato reso possibile da un uso abusivo dei mezzi messi loro a
disposizione da parte dello Stato per l’esercizio regolare delle funzioni. L’attribuzione allo
Stato del fatto illecito ultra vires veniva infatti giustificata sulla base dell’esistenza di un
rapporto tra il comportamento generatore dell’illecito adottato dall’organo e gli strumenti
messi lui a disposizione in ragione della funzione svolta506. In realtà, nonostante il criterio 502 Si veda, tra gli altri, il caso Vracaritch ed il caso Mantovani, rispettivamente supra p. 140 ss. e p. 142 ss.503 La condizione attributiva della competenza generale, nelle sue differenti formulazioni, è stata più volte citata in dottrina. Si vedano STRUPP, Das völkerrechtche Delikt, cit., p. 42.; BORCHARD, Responsibility of States, cit., p. 743; STARKE, Imputability, cit., pp. 110–111, BROWNLIE, System of the law of Nations, cit., p. 145.504 Numerosi autori hanno in passato criticato la condizione attributiva della competenza generale sulla base della sua vaghezza. Si veda QUÉNEUDEC, op. cit., p. 140; PRZETACZNIK, The International Responsibility of the States for ultra vires Acts of Their Organs, cit., pp. 148–149.505 Si vedano in particolare il caso Borchgrave, supra, p. 68 ss.; il caso Youmans, supra, p. 74 ss. ; il caso Mallén, supra, p. 79 ss. e il caso Caire, supra, p. 76 ss.506 Numerosi autori hanno ritenuto che tale criterio dovesse essere combinato con quello dell’apparenza della funzione per cui, nei casi in cui il comportamento appariva manifestamente adottato dall’organo al di fuori della propria competenza, la sua attribuzione allo Stato poteva comunque avvenire nel caso in cui l’organo avesse fatto un uso abusivo degli strumenti messi a sua
199
dell’uso dei mezzi messi a disposizione degli organi per lo svolgimento della funzione
ufficiale sia stato spesso utilizzato nella prassi, esso non pare convincente. La circostanza che
un organo statale abbia commesso un fatto ultra vires utilizzando dei mezzi messi a sua
disposizione dallo Stato per lo svolgimento delle proprie funzioni non è difatti sufficiente ad
indicare che abbia agito nella propria qualità ufficiale. Ad esempio, il fatto che un agente di
polizia in un attimo di follia spari con l’arma di servizio ad un diplomatico straniero in
ragione di motivazioni prettamente personali non può considerarsi un fatto statale
compiuto da un organo nell’esercizio delle proprie funzioni, indipendentemente dal fatto
che l’omicidio sia avvenuto mediante l’utilizzo di strumenti messi a disposizione dell’organo
per lo svolgimento delle sue funzioni. Un’ulteriore critica che è possibile muovere nei
confronti della condizione dei mezzi messi a disposizione dell’organo per lo svolgimento
della funzione ufficiale si basa sulla constatazione che esso trova applicazione
esclusivamente rispetto agli illeciti commissivi. Nel caso in cui un poliziotto contravvenga alle
istruzioni ricevute omettendo di proteggere un diplomatico, non può certamente dirsi che
questo abbia commesso un fatto illecito abusando di mezzi messigli a disposizione per lo
svolgimento della sua funzione, con la conseguenza che lo Stato non sarebbe tenuto a
risponderne nell’ordinamento internazionale.
Nonostante le imperfezioni derivanti da una rigida applicazione di tale condizione,
dalla prassi si desume però che essa può rivestire una qualche rilevanza nei casi in cui gli
strumenti della funzione sono la condicio sine qua non per la realizzazione del fatto illecito.
Se, ad esempio, un pilota militare abbatte un velivolo civile straniero sul territorio del
proprio Stato507 oppure bombarda il territorio di uno dei paesi limitrofi508, sembra
ragionevole ritenere che lo Stato di cui l’organo è parte non potrà negare la propria
responsabilità internazionale, neanche nell’ipotesi in cui il pilota abbia disatteso le istruzioni
ricevute oppure dei regolamenti interni. I dati della prassi dimostrano come la necessità di
garantire la sicurezza delle relazioni internazionali impone allo Stato in tali circostanze di
rispondere sul piano internazionale di tali fatti illeciti ultra vires, in quanto la loro
realizzazione è stata possibile soltanto in virtù della scelta degli organi da esso operata e
dell’aver loro fornito i mezzi necessari per lo svolgimento delle proprie funzioni.
disposizione per lo svolgimento regolare delle proprie funzioni. Si veda MERON, op. cit., p. 107; PRZETACZNIK, The International Responsibility of the States for ultra vires Acts of Their Organs , cit., p. 145; QUÉNEUDEC, op. cit., p. 151; JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA, International Responsibility, cit., pp. 548 – 549. Alcuni autori hanno inoltre subordinato l’applicazione di tale criterio di attribuzione alla condizione che il terzo, pur rendendosi conto della palese incompetenza dell’organo, non potesse evitare la commissione dell’illecito. MERON, op. cit., p. 113; QUÉNEUDEC, op. cit., Pp. 157 – 158.507 Si veda il caso relativo all’incidente aereo del 27 luglio 1955, supra, p. 69 ss.508 Si veda il caso relativo alla violazione della frontiera del Marocco da parte di due piloti francesi, supra p. 142 ss.
200
Nella prassi internazionale la condizione maggiormente citata dagli interpreti al fine
di giustificare la riferibilità allo Stato di condotte ultra vires dei propri organi è
indubbiamente il criterio dell’apparenza della funzione, secondo cui possono essere
considerati fatti dello Stato quale soggetto internazionale i comportamenti di un organo che
appaiono come tenuti nella propria qualità ufficiale509. Si tratta cioè di quelle condotte che,
nonostante il reale superamento dei limiti della funzione, appaiono come tenuti dall’organo
nel rispetto della competenza510. Nella prassi meno recente la condizione attributiva
dell’apparenza della funzione si caratterizza però nel dare particolare rilievo al punto di vista
della vittima al momento del compimento del fatto illecito, nel senso che lo Stato dovrebbe
rispondere dei comportamenti ultra vires tenuti dai suoi organi se la vittima, al momento del
compimento del fatto illecito, poteva in buona fede ritenere che l’organo agisse nell’ambito
della sua competenza511.
Il logico corollario della condizione attributiva dell’apparenza della funzione prevede
che lo Stato non debba rispondere sul piano internazionale delle condotte ultra vires dei
propri organi nel caso in cui la loro incompetenza è a tal punto manifesta da risultare
incontrovertibile agli occhi del privato vittima512.
Secondo tale schema concettuale, la responsabilità dello Stato per i fatti dei propri
organi sarebbe esclusa sia nel caso in cui un organo adotti un comportamento totalmente
privo di legame con le funzioni lui assegnate, vale a dire nel caso in cui agisca nella propria
capacità privata, sia nel caso in cui esso tenga una condotta completamente estranea alla
propria competenza, pur agendo nell’esercizio delle funzioni513.
509 Si veda, tra gli altri, il caso Caire, supra, p. 76 ss. La condizione attributiva dell’apparenza della funzione è stata più volte citata anche dagli Stati nell’ambito dei lavori di codificazione svoltisi sotto l’egida della Società delle Nazioni. Cfr., tra gli altri, la posizione dell’Austria, supra, p. 93 ss.510 Si veda CAVARÉ, Le droit international public positif, tomo II, p. 414; FREEMAN, Responsibility of States, cit., p. 313.511 Il principio che riconosce la responsabilità internazionale dello Stato per tutti i comportamenti adottati dai propri organi nel quadro apparente delle funzioni ha trovato numerosi sostenitori in dottrina. Secondo alcuni autori, nel caso in cui un organo sembra agire nel rispetto dei limiti della propria competenza, lo Stato è tenuto a rispondere nell’ordinamento internazionale degli eventuali illeciti da esso commessi, in quanto ha contribuito a creare l’ingannevole apparenza investendo un individuo o ente dei poteri propri ad una funzione ufficiale. Si veda STRISOWER, Rapport, cit., p. 461; ANZILOTTI, Cours, cit., pp. 470 – 471; MERON, op. cit., p. 105; QUÉNEUDEC, op. cit., p. 143.512 L’idea che il criterio dell’incompetenza manifesta sia il corollario dell’apparenza della funzione è stato espresso in passato da AGO, Quatrième rapport, cit., p. 99.513 Numerosi autori hanno sostenuto in dottrina la validità della condizione attributiva dell’incompetenza manifesta. Si veda MERON, op. cit., p. 113; VON MÜNCH, op. cit., p. 182; AMERASINGHE, Imputability, cit., pp. 112-113; JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA, International Responsibility, p. 550; ROTH, op. cit., p. 20; COHN, op. cit., p. 294; VERDROSS, SIMMA, Universelles Völkerrecht –Theorie und Praxis, Berlin, 1980, p. 621. Alcuni hanno inoltre subordinato l’applicazione di tale criterio alla possibilità da parte del terzo di evitare la realizzazione del fatto illecito. La responsabilità internazionale dello Stato per un fatto illecito ultra vires di un proprio organo verrebbe meno nel caso in cui la parte lesa avrebbe potuto plausibilmente evitare il suo verificarsi in ragione della manifesta incompetenza dell’organo nell’agire. A contrario lo Stato non potrebbe sfuggire la propria
201
Fondandosi su considerazioni prettamente soggettive, in quanto l’attribuzione di
una determinata condotta allo Stato viene fatta unicamente dipendere dalla circostanza che
un terzo non poteva plausibilmente rendersi conto del mancato rispetto della competenza,
tali criteri paiono ampiamente criticabili. Risulta difatti assai difficoltoso stabilire se un
determinato comportamento poteva apparire o meno alla vittima come effettivamente
tenuto da un organo nell’ambito delle sue reali funzioni514. L’applicazione delle suddette
condizioni attributive risulta difatti legata alla determinazione delle circostanze del singolo
caso di specie e della conoscenza delle reali competenze dell’individuo-organo agente da
parte del privato vittima. Nella pratica sarebbe quindi necessario basarsi su un elemento
soggettivo, quale la valutazione del livello di conoscenza dei limiti della competenza degli
organi statali da parte del terzo leso, al fine di determinare se una condotta può essere
riferita allo Stato sul piano internazionale.
Nonostante sia stata citata più volte nella prassi, una tale limitazione al principio
dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires dei propri organi comporterebbe il rischio che
gli Stati se ne avvalgano al fine di sfuggire alla propria responsabilità internazionale. Essi
potrebbero difatti negare che un fatto sia loro riferibile sul piano internazionale in ragione
della circostanza che nel caso di specie l’organo aveva ecceduto la propria competenza in
responsabilità internazionale nell’ipotesi in cui, pur essendo manifesta l’incompetenza dell’organo, la parte lesa non aveva la possibilità di evitare il fatto illecito. Si veda ROTH, op. cit., p. 20; COHN, op. cit., p. 294; VERDROSS, SIMMA, Universelles Völkerrecht, cit., p. 621. La subordinazione dell’applicazione del criterio attributivo della manifesta incompetenza dell’organo a tale ulteriore condizione sembra criticabile, dal momento che, al fine di valutare la possibilità di evitare la realizzazione dell’illecito da parte del terzo, sarebbe necessario ricorrere a considerazioni di carattere soggettivo, quali ad esempio la sua perspicacia nel valutare la manifesta incompetenza dell’organo oppure il suo coraggio e la sua capacità di evitare il compimento dell’illecito. Tale critica è stata mossa da AGO, Quatrième rapport, cit., p. 103, nota 115: “De toute façon on a quelque difficulté à admettre que le fait que la partie lésée, avertie du défaut de compétence, ait ou n’ait pas eu en l’espèce la possibilité d’éviter le dommage puisse être déterminant aux fins de l’attribution à l’Etat sujet du droit international du comportement de l’organe. La partie lésée qui avait connaissance de l’incompétence totale de l’organe agissant peut avoir eu – tout comme elle peut ne pas avoir eu – la possibilité d’éviter, grâce à cette connaissance, que l’on ne commette l’action préjudiciable…il serait illogique de considérer dans le deuxième cas l’action incriminée comme un fait de l’Etat cause de responsabilité alors qu’on n’en ferait pas autant dans le premier. Si l’on choisit d’exclure l’attribution à l’Etat du fait de l’organe agissant en condition d’incompétence manifeste, cette exclusion doit s’opérer dans les deux cas”. 514 Al fine di superare tale difficoltà, in dottrina è stata avanzata la tesi della “normalità della condotta” secondo cui, affinché un comportamento ultra vires di un organo possa essere attribuito allo Stato sulla base della condizione attributiva dell’apparenza della funzione, è necessario che l’errore in cui è incappato la vittima dell’illecito sia ragionevole e scusabile. Mentre la condizione della ragionevolezza dell’errore sembra poter avere un ruolo in caso di mala fede della vittima dell’illecito, non pare invece avere un fondamento logico nel caso in cui il terzo abbia realmente creduto, in buona fede, che l’organo avesse agito nel rispetto dei limiti della propria competenza. Si veda BOURQUIN, Règles générales du droit de la paix, cit., p. 216. Tale tesi è stata sostenuta anche da Quéneudec, secondo cui “l’Etat n’est rendu responsable, sur la base de l’apparence, que si l’acte de l’agent paraît raisonnablement rentrer dans les pouvoirs qui lui sont normalement reconnus, dans l’opinion générale qu’on se fait de la fonction considérée”. QUÉNEUDEC, op. cit., p. 135.
202
maniera manifesta ed evidente. Una tale limitazione al principio dell’attribuzione allo Stato
dei fatti ultra vires dei propri organi finirebbe difatti per fornire agli Stati una scappatoia con
riferimento alla violazione di obblighi internazionali. Esigenze di sicurezza delle relazioni
internazionali imporrebbero invece di riconoscere che uno Stato ha agito sul piano
internazionale ogniqualvolta persone o enti incaricati di agire per suo conto adottano dei
comportamenti in suo nome, senza che abbia alcuna importanza il fatto che non abbiano
rispettato i limiti formali della propria competenza, abbiano violato disposizioni del diritto
interno oppure abbiano contravvenuto alle istruzioni loro impartite dai superiori. Far
dipendere l’attribuzione allo Stato di un comportamento ultra vires di un proprio organo
dalla circostanza che la vittima avrebbe ragionevolmente potuto rendersi conto della sua
incompetenza, fa pervenire inoltre ad un risultato contrario all’equità in quanto il terzo, pur
rendendosi conto della natura ultra vires di un dato comportamento, poteva in una data
circostanza non avere la possibilità di sottrarsi al fatto illecito a causa dell’uso dei mezzi
messi a disposizione dell’organo in virtù della funzione svolta.
Pur trovando riscontro esclusivamente nella prassi in tema di danni provocati alla
persona o ai beni degli stranieri, l’incompetenza manifesta era stata individuata come
limitazione al principio generale di attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires anche da Ago,
in qualità di relatore speciale per il tema della responsabilità internazionale dello Stato in
seno alla CDI515, avuto rigurdo però non ad una incompetenza che sia manifesta alla vittima,
bensì a chi è chiamato sul piano internazionale a decidere se vi sia responsabilità dello Stato.
A seguito delle numerose critiche mosse da alcuni membri della Commissione circa la
l’opportunità di codificare tale limite e per dare voce a “ l’aboutissement du long effort qui a
marqué l’évolution progressive du droit international en la matière”516, il relatore ha deciso
di riformulare l’articolo in termini di attribuzione allo Stato senza eccezioni del fatto
compiuto da un organo dello Stato agente nella sua qualità di organo ed è con tale
formulazione che l’articolo è stato adottato in prima lettura dalla Commissione del diritto
internazionale nel 1975.
Parimenti, nel progetto di articoli adottato in seconda lettura dalla Commissione del
diritto internazionale, l’art. 7 riconosce in termini assoluti il principio dell’attribuzione allo
Stato dei comportamenti ultra vires dei propri organi, a patto che però questi abbiano agito
nella loro qualità ufficiale517.
515 Vedi supra, p. 120.516 AGO, Quatrième rapport, cit., p. 102, par. 48517 Secondo CONDORELLI, L’imputation à l’Etat d’un fait internationalement illicite: solutions classiques et nouvelles tendances, cit., p. 81, la condizione della qualità ufficiale con cui l’organo ha agito finiva comunque per prendere in considerazione la limitazione dell’incompetenza manifesta. L’espressione “ledit organe ayant agi en cette qualité” escludeva che potessero essere attribuite allo
203
Nella prassi e nella giurisprudenza internazionali recenti si è assistito ad un
allineamento con il progetto di articoli adottato dalla Commissione del diritto internazionale
alla luce del riconoscimento in termini assoluti del principio dell’attribuzione allo Stato dei
fatti ultra vires. I dati forniti dalla prassi internazionale dimostrano infatti l’esistenza di un
principio di natura consuetudinaria che riconosce la responsabilità internazionale dello Stato
per i fatti illeciti tenuti nel mancato rispetto della propria competenza o delle istruzioni
ricevute da parte di individui o enti integrati nel suo apparato statale, sulla base del
presupposto che si tratti di comportamenti ad esso attribuibili nell’ordinamento
internazionale.
L’aver agito in qualità ufficiale o nell’esercizio delle proprie funzioni viene reputato
l’unico criterio in grado di distinguere, tra i vari comportamenti adottati da un individuo o
ente che gode dello status organico, quali devono essere considerati fatti attribuibili allo
Stato e quali possono invece essere assimilati a fatti di semplici privati. Lo Stato non è
tenuto a rispondere in ambito internazionale dei comportamenti di un organo solo se tenuti
nella sua qualità privata, non esistendo alcun tipo di legame tra la condotta e la funzione
ufficiale da esso svolta. In tale circostanza la sua responsabilità internazionale può sorgere
esclusivamente in caso di un eventuale mancato adempimento ad un obbligo di prevenzione
o repressione del fatto dell’organo incompetente da parte di ulteriori organi, cioè per il
mancato rispetto di un proprio obbligo di diligenza. La condizione attributiva dell’apparenza
della funzione sembra assumere una nuova connotazione: non più intesa come possibilità
per il terzo vittima di rendersi plausibilmente conto dell’incompetenza con cui un organo
agisce, essa deve essere piuttosto interpretata come la necessaria esistenza di un
collegamento fra la condotta tenuta e l’attività ufficiale normalmente svolta ai fini di
considerare un fatto di un organo attribuibile allo Stato.
Innegabilmente il principale inconveniente della formulazione in termini assoluti del
principio dell’attribuzione allo Stato dei fatti ultra vires risiede nel non indicare con
precisione gli elementi in base ai quali determinare quando un comportamento adottato da
un organo deve essere considerato un fatto statale sul piano internazionale e quando invece
esso è assimilabile alla condotta di un privato. Nell’utilizzare una formulazione così generica,
si finisce infatti per non determinare a priori con precisione il limite al di là del quale i
comportamenti degli individui-organi devono essere assimilati a quelli di semplici privati.
Una volta individuato nel criterio che si fonda sulla nozione generale di organo la regola
secondo cui possono essere attribuiti allo Stato sul piano internazionale anche i
Stato sia i comportamenti tenuti dall’organo a titolo puramente privato, sia quelli che non avevano “aucune sorte de lien, même apparent, avec les fonctions de l’organe”. L’imputation à l’Etat d’un fait internationalement illicite: solutions classiques et nouvelles tendances, cit., p. 81.
204
comportamenti non autorizzati da esso adottati, rimane infatti il problema di stabilire in
quali circostanze un organo agisce nella sua qualità ufficiale. Per rispondere a tale quesito,
occorre muovere dalla varietà di elementi che possono servire ad accertare la qualità
ufficiale con cui un organo agisce e dalla difficoltà di fornire una classificazione tassativa di
tali elementi senza ricorrere a nozioni generiche suscettibili di differenti interpretazioni.
Allo stesso tempo è necessario riconoscere a tale criterio generale di attribuzione il
vantaggio di non fornire scappatoie allo Stato per poter sfuggire alla propria responsabilità
internazionale518. Evitando di individuare delle tassative condizioni in base a cui poter
determinare quando si possa ammettere che un individuo-organo abbia agito ex qualitate, si
finisce per dare un significato obiettivo all’accertamento nel singolo caso di specie se
l’organo abbia agito nella sua qualità ufficiale oppure a titolo privato. La soluzione
prospettata sembra quindi ispirarsi all’esigenza che il sistema di regole in materia di
attribuzione sia in grado di ovviare alla possibilità che uno Stato, ogniqualvolta un proprio
organo agisce nell’esercizio delle funzioni, possa sottrarsi alla propria responsabilità
internazionale.
4. La responsabilità internazionale dello Stato per i fatti illeciti ultra vires dei propri organi di fatto
Come si è visto, la regola che impone di attribuire allo Stato i fatti ultra vires tenuti
da individui formalmente integrati nell’apparato statale nel caso in cui agiscono
nell’esercizio delle funzioni trova pieno riscontro nella prassi internazionale. L’esigenza di
garantire la certezza e la stabilità delle relazioni internazionali impone di tutelare
l’aspettativa degli Stati che fanno affidamento sui dati ricavabili dall’ordinamento interno,
idoneo a creare un’apparenza da cui derivano per lo Stato delle conseguenze. La possibilità
di considerare lo Stato internazionalmente responsabile per le condotte ultra vires dei
propri organi de jure sembra trovare fondamento nel principio che impone allo Stato di
rispondere delle conseguenze derivanti dalle scelte operate in ordine alla determinazione
della propria organizzazione.
Alla luce di quanto accertato, appare più controversa la possibilità che la regola che
impone allo Stato di rispondere internazionalmente dei fatti illeciti ultra vires trovi
518 Nel corso del dibattito in seno alla Commissione del diritto internazionale, il relatore speciale AGO ha sottolineato come si dovesse fare un bilancio tra “ les avantages et les inconvénients d’une formule qui serait plus explicite, mais qui pourrait par là-même laisser des échappatoires”, in Annuaire de la Commission du droit international, 1975, vol. I, p. 25, par. 49.
205
applicazione anche rispetto all’ipotesi di individui o enti legati allo Stato da un rapporto di
fatto. In ragione di alcuni recenti sviluppi della giurisprudenza internazionale, la dottrina si è
recentemente confrontata su tale questione e le soluzioni da essa accolte possono essere
sostanzialmente ricondotte a due orientamenti di fondo.
Da una parte vi è la posizione secondo cui tale regola attributiva si applica
esclusivamente a coloro che godono dello status formale di organo in quanto la possibilità di
accertare che un individuo o ente abbia agito nell’esercizio delle proprie funzioni
presuppone un necessario rinvio al diritto interno al fine di determinare quali effettivamente
siano le sue funzioni519. Dall’altra vi è invece la posizione di coloro che, reputando il diritto
interno solo uno degli elementi idonei a determinare quali siano le funzioni attribuite a un
individuo o ente all’interno dell’organizzazione dello Stato, ammettono in via di principio
che la regola che impone allo Stato di rispondere internazionalmente dei fatti illeciti ultra
vires possa trovare applicazione anche rispetto all’ipotesi di individui fattualmente legati allo
Stato520.
Al riguardo sembra invece potersi senz’altro escludere che la regola attributiva in
questione si presti ad essere applicata ad individui o enti che agiscono dietro istruzione o
sotto il controllo effettivo di organi statali. Oltre a non trovare alcun tipo di riscontro nella
prassi esaminata, a differenza di quanto accade con riferimento agli organi de iure,
nell’ipotesi qui presa in esame l’attribuzione di condotte allo Stato non è condizionata dalla
eventualità che l’individuo o ente abbia agito nell’esercizio delle sue funzioni, bensì dalla
circostanza che sia stato lo stesso Stato a incaricarlo dello svolgimento di attività che sono
espressione dei suoi poteri sovrani. Risulta decisivo l’impulso ricevuto dallo Stato ad agire. In
altri termini, mentre il criterio attributivo della qualità organica si basa su una integrazione a
livello organizzativo di chi agisce nella struttura di governo dello Stato a tal punto intensa da
giustificare la riferibilità in via generale ad esso delle sue condotte, anche nel caso in cui
siano state adottate al di fuori della propria competenza, nell’ipotesi di individui che non
519 Si veda, fra gli altri, KRESS, L’organe de facto en droit international public. Réflexions sur l’imputation à l’Etat de l’acte d’un particulier à la lumière des développments récents, Revue générale de droit International public, 2001, p.136. Questa tesi è stata sostenuta anche da Ago, secondo cui “on ne peut même pas envisager l’hypothèse d’un dépassement de compétence ou d’une contradiction avec les prescriptions concernant l’activité des certains organes à propos d’une personne qui, en droit, n’est nullement un organe et ne se trouve amenée qu’à exercer de fait, dans certaines circonstances, une fonction publique”. Cfr. Quatrième rapport, cit., p. 78, par. 2, nota 4.520 L’opinione favorevole all’attribuzione allo Stato di fatti ultra vires compiuti da individui legati allo Stato da un rapporto di fatto è sostenuta da DE HOOGH, Article 4 and 8 of the ILC Articles on State Responsibility, the Tadic Case and Attribution of Acts of Bosnian Serb Authorities to the Federal Republic of Jugoslavia, British Year Book of International Law, 2001, p. 281 ss.; PALCHETTI, op. cit., p. 173 ss.; WOLFRUM, State Responsibility for Private Actors: an Old Problem of Renewed Relevance, in RAGAZZI (ed.), International Responsibility Today. Essays in Memory of Oscar Schachter, The Hague, 2005, p. 432.
206
siano permanentemente integrati neppure in fatto nell’apparato statale ma che abbiano
agito su istruzioni dello Stato, ciò che viene in rilievo ai fini attributivi è il singolo
comportamento tenuto, che potrà ritenersi fatto statale a livello internazionale solo se si
accerta l’esistenza di un rapporto puntuale tra lo Stato e colui che agisce venutosi a
costituire grazie all’istruzione e al rispetto dei suoi limiti521.
Più complesso il caso di individui pur non formalmente organi dello Stato, ma
stabilmente integrati nell’apparato statale. Ai fini della presente indagine è rilevante
evidenziare come nella giurisprudenza internazionale recente si è fatto ricorso a criteri di
attribuzione che si fondano su elementi fattuali differenti, alla luce dei quali risulta possibile
una equiparazione di tali individui ad organi statali de iure. Quanto appena esposto trova
riscontro nella prassi esaminata nella quale in differenti occasioni sono stati ritenuti fatti
attribuibili in via generale allo Stato le condotte di individui o enti che, pur non godendo
dello status di organi in base all’ordinamento interno, erano ad essi assimilabili alla luce
della loro forte integrazione nell’apparato di governo dello Stato e del tipo di funzione
svolta.
Pur ammettendo che la scelta di ricostruire in termini di rapporto organico il legame
tra individuo o gruppo di individui e lo Stato comporti la riferibilità in via generale allo Stato
di tutti i comportamenti tenuti da individui inseriti nell’apparato statale in base ad elementi
fattuali, resta da chiarire se in tale circostanza possa realmente parlarsi di organi di fatto che
agiscono al di fuori della competenza o contrariamente alle istruzioni ricevute o se la
521 L’impossibilità che la regola che impone allo Stato di rispondere internazionalmente dei fatti illeciti ultra vires possa trovare applicazione anche rispetto all’ipotesi di individui che agiscono su istruzione o sotto controllo degli organi è stata sottolineata anche da Crawford, secondo cui: “In the case of a “corporate” entity such as the State it is useful to distinguish between organs of the State (persons or entities which are part of the structure of the State and whose conduct as such is attributable to the State) and agents. As explained in the commentary, “agents” for this purpose are persons or entities in fact acting on behalf of the State by reason of some mandate or direction given by a State organ, or (possibly) who are to be regarded as acting on behalf of the State by reason of the control exercised over them by such an organ. […] There are substantive differences between the two cases. For example, the unauthorized acts of organs are to be attributed to the State for the purposes of responsibility, whereas different considerations may apply to the unauthorized acts of agents…”. Cfr., CRAWFORD, First Report, cit., par. 166. Indicazioni simili sono contenute anche nel commentario al progetto adottato in seconda lettura dalla CDI. Vi si legge: “Where a State has authorized an act, or has exercised direction or control over it, questions can arise as to the State’s responsibility for actions going beyond the scope of the authorization. For example, questions might arise if the agent, while carrying out lawful instructions or directions, engages in some activity which contravenes both the instructions or directions given and the international obligations of the instructing State. Such cases can be resolved by asking whether the unlawful or unauthorized conduct was really incidental to the mission or clearly went beyond it. In general a State, in giving lawful instructions to persons who are not its organs, does not assume the risk that the instructions will be carried out in an internationally unlawful way. On the other hand, where persons or groups have committed acts under the effective control of a State, the condition for attribution will still be met even if particular instructions may have been ignored”. Cfr., Draft articles on Responsibility of States for Internationally Wrongful Acts, cit., p. 48, par. 8.
207
spiegazione del perché lo Stato sia chiamato a rispondere internazionalmente di tali fatti sia
di natura differente.
A nostro avviso, la logica sottostante la riferibilità in via generale allo Stato di tutti i
comportamenti tenuti da individui inseriti nell’apparato statale in base ad elementi fattuali è
diversa da quella che regola l’attribuzione allo Stato di fatti ultra vires dei propri organi de
jure. L’ipotesi di riferire allo Stato le condotte di individui fattualmente integrati nella sua
organizzazione non risponde come nel caso degli organi de jure ad esigenze proprie
dell’ordinamento internazionale quali la necessità di garantire la certezza e la stabilità delle
relazioni internazionali, bensì si fonda sulla necessità di non trascurare ai fini attributivi il
modo in cui si atteggia in concreto l’organizzazione dello Stato. Con riferimento agli
individui o enti a cui lo Stato ha attribuito la qualità organica in base al diritto interno, il
diritto internazionale provvede a tutelare la situazione degli Stati che fanno affidamento sui
dati ricavabili da tale ordinamento. Ne consegue che l’apparenza creata dallo Stato
attraverso il conferimento formale della qualità organica prevale sul fatto che la condotta
effettivamente tenuta dall’organo non rifletta scelte statali. Nell’ipotesi invece di individui
inseriti nell’apparato statale in base ad elementi fattuali la responsabilità internazionale
dello Stato per fatti commessi in assenza o contrariamente alle istruzioni ricevute deve
intendersi come il corollario del controllo generale esercitato su tali individui dallo Stato522.
Si intende mettere in evidenza come, nel caso delle attività di individui fattualmente
inseriti nella struttura statale, il problema di sapere se nell’agire siano state rispettate o
meno le competenze assegnate assume un’importanza marginale in quanto inglobato nella
prioritaria questione di accertare se il grado di controllo esercitato dallo Stato sia sufficiente
ai fini dell’accertamento di un legame di tipo organico.
522 Una differenza tra le due ipotesi è stata evidenziata anche nella pronuncia resa dalla Camera d’appello nel caso Tadić. Vi si legge: “What has just been said should not, of course, blur the necessary distinction between the various legal situations described. In the case envisaged by Article 10 of the Draft on State Responsibility (as well as in the situation envisaged in Article 7 of the same Draft), State responsibility objectively follows from the fact that the individuals who engage in certain internationally wrongful acts possess, under the relevant legislation, the status of State officials or of officials of a State’s public entity. In the case under discussion here, that of organised groups, State responsibility is instead the objective corollary of the overall control exercised by the State over the group. Despite these legal differences, the fact nevertheless remains that international law renders any State responsible for acts in breach of international law performed (i) by individuals having the formal status of organs of a State (and this occurs even when these organs act ultra vires or contra legem), or (ii) by individuals who make up organised groups subject to the State’s control. International law does so regardless of whether or not the State has issued specific instructions to those individuals. Clearly, the rationale behind this legal regulation is that otherwise, States might easily shelter behind, or use as a pretext, their internal legal system or the lack of any specific instructions in order to disclaim international responsibility.” Caso Prosecutor v. Dusko Tadić, p. 50, par. 123.
208
Alla luce dell’indagine svolta, quindi, nei limitati casi in cui sia possibile accertare la
qualità organica di individui o enti sulla base della rilevazione di un rapporto di fatto, la
riferibilità in via generale allo Stato di tutti i comportamenti da essi tenuti non permette di
parlare di organi di fatto che agiscono al di fuori della competenza o contrariamente alle
istruzioni ricevute nel medesimo senso valevole per gli organi de jure. Se si attribuisce
piuttosto un rilievo al modo in cui si atteggia in concreto l’organizzazione dello Stato,
ammettere che tutte le condotte da essi adottate devono essere ritenute fatti statali sul
piano internazionale evita che lo Stato possa sottrarsi alla propria responsabilità
internazionale assegnando determinate funzioni ad individui o enti che non sono
formalmente inseriti nella sua struttura di governo.
INDICE DEI CASI CITATI
La prassi degli Stati
- Caso dell’abbattimento dell’aereo di linea libico B-727, 1973: p. 138
- Caso American Bible Society, 17 agosto 1885: p. 48
- Caso Borchgrave, 1936-1937: pp. 69-69
- Caso Buyanga, 4 gennaio 1984: p. 142
- Caso Colom y Piris, 1933: pp. 63-63
- Caso Columbia e Buffalo, 10 luglio 1909: p. 65
- Caso della controversia sorta tra Italia e Perù per il risarcimento dei danni subiti da alcuni cittadini italiani durante la guerra civile peruviana del 1894-1895, 1897-1899: pp. 52-55 e pp. 66-67
- Caso Corghi, 1976: p. 143
- Caso Drew, 1978: p. 141
- Caso Guerrero, 1971: p. 140
- Caso dell’incidente aereo del 27 luglio 1955, 1955-1959: p. 69
- Caso dell’incidente aereo del 1° settembre 1983, 1983: pp. 138-139
- Caso Lazo Vracaritch, 1961: pp. 140-141
- Caso Miller, 1910: p. 62
- Caso Only Son, 1853: p. 42, nota 122
209
- Caso Panther, 1905-1906: p. 68
- Caso Royal Holland Llyod, A Corporation v. The United States, 1932: pp. 62-63
- Caso Scott, 1922: p. 65
- Caso Seal Fisheries Behring Sea, 1900: pp. 49-50
- Caso Shine e Milligen, 1907: p. 65
- Caso Star and Herald, 1885-1899: pp. 49-50 e pp. 60-61
- Caso Talamas, 1957-1958: p. 64
- Caso Tunstall, 1885: pp. 47-48
- Caso U.S.S. Stark, 1987: pp. 139-140
- Caso Vexaincourt, 1887: p. 66
- Caso della violazione della frontiera del Marocco, 1962: pp. 142-143
- Caso della violazione della frontiera irlandese, 1984: p. 144
- Caso Young, 1884-1886: p. 61
210
La giurisprudenza internazionale
CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA
- parere consultivo 20 luglio 1962, caso Certaines dépenses des Nations Unies: pp. 87-88
- sentenza del 27 giugno 1986, caso Attività militari in e contro il Nicaragua: pp. 185-188
- sentenza del 19 dicembre 2005, caso attività militari sul territorio del Congo: pp. 188-189
- sentenza del 26 febbraio 2007, caso applicazione della Convenzione sul genocidio: pp. 190-194
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
- sentenza 18 gennaio 1978, caso Irlanda c. Regno Unito: pp. 161-165
- sentenza dell’8 aprile 2004, caso Assanidze c. Georgia: pp. 165-166
- sentenza dell’8 luglio 2004, caso Ilascu e altri c. Moldova e Russia: pp. 166-169
CORTE INTERAMERICANA DEI DIRITTI DELL’UOMO
- sentenza del 29 luglio 1988, caso Velásquez Rodríguez c. Honduras: pp. 169-171
- sentenza del 15 settembre 2005, caso Mapiripán Massacre c. Colombia: pp. 172-175
- sentenza del 31 gennaio 2006, caso Pueblo Bello Massacre c. Colombia: pp. 176-177
- sentenza del 6 maggio 2008, caso Yvon Neptune c. Haiti: pp. 177-178
TRIBUNALE PENALE INTERNAZIONALE PER LA EX-IUGOSLAVIA
- sentenza del 15 luglio 1999, caso Prosecutor v. Dusko Tadić: pp. 180-185
TRIBUNALE DEI RECLAMI IRAN/STATI UNITI
- sentenza del 2 novembre 1987, caso Kenneth P. Yaeger v. the Islamic Republic of Iran, pp. 145-148
- sentenza del 22 giugno 1984, Sea-Land Service, Inc. v. Iran: p. 149
TRIBUNALI ARBITRALI
- Commissione arbitrale istituita tra Francia e Argentina, decisione del 19 marzo 1864, caso Lacaze: p. 53
- Commissione arbitrale istituita tra Stati Uniti e Messico, sentenza non datata ma resa in virtù della Convenzione del 4 luglio 1868, caso Speyers: pp. 57
- Tribunale arbitrale istituita tra Brasile e Stati Uniti, 11 luglio 1870, caso Canada: p. 155
- Commissione arbitrale istituita tra Stati Uniti e Venezuela, decisione del 9 maggio 1874, Joseph Forrest v. The United States of Venezuela: p. 54
- Tribunale arbitrale istituito tra Italia e Perù, 30 settembre 1901, caso Gadino: p. 55
211
- Commissione mista istituita fra Paesi Bassi e Venezuela, sentenza non datata, caso Maal: p. 72
- Commissione mista istituita fra Gran Bretagna e Venezuela, sentenza non datata, caso Compagnie Générale des Asphaltes de France: p. 71
- Commissione mista istituita fra Germania e Venezuela, sentenza non datata, caso Metzger: p. 72-73
- Arbitro re di Spagna Alfonso XIII, 7 dicembre 1916, caso La Masica: p. 73
- Tribunale arbitrale istituito fra Gran Bretagna e Stati Uniti, 18 dicembre 1920, caso Owners of the Cargo of the Coquitlam (Great Britain) v. United States: p. 73
- Commissione generale dei reclami istituita fra Stati Uniti e Messico, 23 dicembre 1926, caso Thomas H. Youmans (USA) v. United Mexican States: pp. 74-76
- Commissione dei reclami istituita tra Stati Uniti e Messico, 16 November 1926, caso D. Guerrero v. De Falcón (United Mexican States v. United States of America): p. 79
- Commissione dei reclami istituita tra Stati Uniti e Messico, 3 dicembre 1926, caso Teodoro García and M. A. Garza (United Mexican States) v. United States of America: p. 79
- Commissione dei reclami istituita tra Stati Uniti e Messico, 16 novembre 1926, caso Francisco Quintanilla (United Mexican
States) v. United States of America: p. 79
- Commissione dei reclami istituita tra Stati Uniti e Messico, 27 aprile 1927, caso Francisco Mallén (United Mexican States) v. United States of America: pp. 79-82
- Commissione dei reclami istituita tra Stati Uniti e Messico, 18 ottobre 1928, caso William T. Way (USA) v. United Mexican States: pp. 81-82
- Commissione dei reclami istituita tra Stati Uniti e Messico, 15 luglio 1927, caso Charles S. Stephens and Bowman Stephens (U.S.A.) v. United Mexican States: pp. 83-84
- Commissione arbitrale istituita fra Francia e Messico, 7 giugno 1929, caso Estate of Jean-Baptiste Caire (France) v. United Mexican States: pp. 76-79
- Commissione dei reclami istituita tra Stati Uniti e Messico, 8 ottobre 1930, caso Lillie S. Kling v. United Mexican States: p. 82
- Commissione generale dei reclami istituita fra Stati Uniti e Panama, 27 giugno 1933, caso Guillermo Colunje (Panama) v. United States: pp. 85-72
- Commissione di conciliazione franco–italiana, 17 gennaio 1953, caso Différend Dame Mossé: pp. 85-86
- Commissione di conciliazione franco–italiana, 5 luglio 1954, caso Différend Joseph Ousset: p. 87
- Arbitrato ICSID, 20 novembre 1984, caso Amco Asia Corporation et Al. v. Indonesia, pp.149-151
212
- Arbitrato ICSID, 20 maggio 1992, caso Southern Pacific Properties (Middle East) Limited v. Arab Republic of Egypt: pp. 151-153
- Arbitrato ICSID, 30 agosto 2000, caso Metalclad Corporation v. United Mexican States: p. 153-154
- Arbitrato ICSID, 9 gennaio 2003, caso ADF Group Inc. v. United States of America: pp. 155-156
- Arbitrato ICSID, 12 ottobre 2005, caso Noble Ventures, Inc. v. Romania: pp. 156-157
- Arbitrato ICSID, 6 luglio 2007, caso Kardassopoulos v. Georgia: pp. 158-159
- Arbitrato ICSID, 11 maggio 2209, caso Siag and Vecchi v. Egitto: pp. 159-160
COMITATO DEI DIRITTI UMANI
- osservazioni del 31 luglio 2003: pp. 178-180
COMMISSIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
- rapporto del 25 marzo 1976, caso Irlanda c. Regno Unito: pp. 162-163
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