idea diffusa - cgil · business; è libertà, contaminazione, relazioni, multiculturalità. È...

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di VINceNzo coLLa vicesegretario generale Cgil P oche settimane fa Facebook, con un consorzio che comprende alcune delle aziende più grandi e più floride del mondo, ha annunciato la creazione di una propria moneta, Libra. Libra non è una criptovaluta “tradizionale”, come i bitcoin, ma un sistema di pagamento con un proprio mercato chiuso – Facebook e i suoi partner, appunto – e un tasso di cambio che si intende mantenere stabile attraverso l’acquisto di titoli sicuri. Se fosse accolta positivamente dai consumatori, un’innovazione come Libra andrebbe di fatto a togliere agli Stati il monopolio sul battere moneta – e quindi sulla politica monetaria – con conseguenze geopolitiche potenzialmente radicali. O ancora, il bando su Huawei, annunciato dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump in nome dell’ America First e poi ritirato perché con ogni probabilità avrebbe messo in crisi il primato della tecnologia statunitense nel mondo. Una vicenda che, oltre a complicare le relazioni commerciali tra le aziende cinesi e gli stessi giganti americani, mette nuovamente in luce la debolezza dell’Europa in questo quadro: un vaso di coccio in mezzo a due vasi di ferro. Sì, perché il nostro continente è non solo completamente dipendente dalle tecnologie software americane, ma anche da quelle cinesi sul versante dell’ hardware: Huawei e i produttori cinesi sono indispensabili, infatti, per costruire la rete 5G in Europa. Lo scontro tecnologico Usa-Cina rischierebbe di condurre il vecchio continente a un maggiore isolamento, negando importanti possibilità di sviluppo che necessariamente dovrebbero passare dalla disponibilità di rete ad alta velocità. In questo quadro, la ricerca di un atlantismo forzato IDEA DIFFUSA INSERTO DI INFORMAZIONE SUL LAVORO 4.0 giugno-luglio 2019 SEGUE A PAG. 2 Europa, è ora di decidere La guerra tecnologica in corso tra Stati Uniti e Cina lascerà isolato il vecchio continente, imbrigliato dai sovranismi. Ecco perché la risposta, urgente e necessaria, deve passare attraverso una nuova politica industriale, autonoma e strategica © PHOTOSHOT/SINTESI Massimo D’Alema, presidente della fondazione Italianieuropei Il nazionalismo europeo aveva un senso quando qui si decideva il destino del mondo. Ora le questioni importanti si discutono a Washington e a Pechino. di ToMMaso BRoLLo Un continente diviso non conta niente A PAG. 3 L’INTERVISTA © EUROPEAN UNIVERSITY INSTITUTE/FLICKR

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Page 1: IDEA DIFFUSA - CGIL · business; è libertà, contaminazione, relazioni, multiculturalità. È un’idea di Paese, che significa anche sviluppo per il Mezzogiorno finalmente centro

di Vincenzo colla vicesegretario generale Cgil

Poche settimane fa Facebook, conun consorzio che comprendealcune delle aziende più grandi e

più floride del mondo, ha annunciato lacreazione di una propria moneta, Libra.Libra non è una criptovaluta“tradizionale”, come i bitcoin, ma unsistema di pagamento con un propriomercato chiuso – Facebook e i suoipartner, appunto – e un tasso di cambioche si intende mantenere stabileattraverso l’acquisto di titoli sicuri. Sefosse accolta positivamente daiconsumatori, un’innovazione comeLibra andrebbe di fatto a togliere agliStati il monopolio sul battere moneta – equindi sulla politica monetaria – conconseguenze geopolitichepotenzialmente radicali.O ancora, il bando su Huawei,annunciato dal presidente degli StatiUniti Donald Trump in nome

dell’America Firste poi ritirato perché conogni probabilità avrebbe messo in crisi ilprimato della tecnologia statunitensenel mondo. Una vicenda che, oltre acomplicare le relazioni commerciali trale aziende cinesi e gli stessi gigantiamericani, mette nuovamente in luce ladebolezza dell’Europa in questo quadro:un vaso di coccio in mezzo a due vasi diferro. Sì, perché il nostro continente ènon solo completamente dipendentedalle tecnologie softwareamericane, maanche da quelle cinesi sul versantedell’hardware: Huawei e i produttoricinesi sono indispensabili, infatti, percostruire la rete 5G in Europa. Lo scontrotecnologico Usa-Cina rischierebbe dicondurre il vecchio continente a unmaggiore isolamento, negandoimportanti possibilità di sviluppo chenecessariamente dovrebbero passaredalla disponibilità di rete ad alta velocità.In questo quadro, la ricerca di unatlantismo forzato

IDEA DIFFUSAINSERTO DI INFORMAZIONE SUL LAVORO 4.0 / giugno-luglio 2019

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Europa,è ora di decidere

La guerratecnologica incorso tra Stati Unitie Cina lasceràisolato il vecchiocontinente,imbrigliato dai sovranismi. Ecco perché la risposta, urgentee necessaria, devepassare attraversouna nuova politicaindustriale,autonoma estrategica

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TESI

MassimoD’Alema,

presidente dellafondazione

Italianieuropei

Il nazionalismo europeoaveva un senso quando quisi decideva il destino delmondo. Ora le questioniimportanti si discutono a Washington e a Pechino.

di Tommaso Brollo

Un continentediviso nonconta niente

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L’INTERVISTA

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22 giugno-luglio 2019

di alessandro aresuconsigliere scientifico di Limes

Le tensioni tra Cina e Stati Uniti,accresciute sul piano commercialedurante l’amministrazione Trump,

riguardano soprattutto un profondoconflitto sulla tecnologia. Segnano esegneranno una tensione molto piùforte della posizione dei due leader,Donald Trump e Xi Jinping. Dopo la crisifinanziaria, la corsa tecnologica cinese èaccelerata, non mettendo in discussioneper ora il primato militare degli StatiUniti ma entrando in termini inaspettatie disinvolti in campi come i cavisottomarini, i semiconduttori e letelecomunicazioni. Le possibilitàdell’intelligenza artificiale, in mano alPartito Comunista Cinese, segnano ilmatrimonio tra sorveglianza einnovazione, mentre nessuno crede più– anche per l’operato dei giganti digitali

americani – che la diffusione dei socialmedia abbia qualcosa a che fare con losviluppo democratico, come nellagrottesca storiella raccontata ai tempidelle “primavere arabe”. Gli elementi di questo scenariogiustificano l’espressione “guerratecnologica”. È un passaggio importanteanche per la storia del capitalismo, checontribuisce a squarciare un velo diipocrisia. In entrambi i casi le esigenzedel mercato (per non parlare di quelledel lavoro) finiscono in secondo pianorispetto agli interessi tecnologici e disicurezza dell’autoritarismo cinese edella democrazia americana. Così, inCina le società private e il Partito, al di làdelle ambiguità, combattono per lostesso scopo e cercano un’influenzaglobale, costruendo coalizioni di Paesiavversi agli interessi americani e chevogliono sfuggire alle sanzioni di

Washington. E gli Stati Unitiguerreggiano attraverso un’avanzatapolitica industriale, un rapporto semprepiù stretto tra l’intelligence e i gigantidigitali, nonché una serie di strumentisempre più offensivi verso la Cina, comead esempio la possibilità di bloccare leacquisizioni nei settori sensibili in nomedella sicurezza nazionale. �

IL COMMENTO

La guerra tecnologicatra Cina e Stati Uniti Il nuovo conflitto, combattuto a

colpi d’innovazione, in entrambii Paesi sta mettendo in secondopiano le esigenze del mercato, pernon parlare di quelle del lavoro

DALLA PRIMA Colla

sarebbe fuori dalla storia, oltre chenon gradito dall’altro lato dell’oceano,come sembrano dimostrare le strategiedi Trump. Occorre invece rafforzarel’autonomia dell’Europa nel quadrogeopolitico, attivando una relazionestrategica con entrambi i vasi di ferro. Ma questo è possibile solo perseguendouna politica industriale autonoma. Oggi l’Europa è importatrice netta ditecnologia, e se non possiamo pensaredi replicare nel vecchio continentemodelli di sviluppo che altrove hannoavuto fortuna, non possiamo nemmenotirarci indietro dalla sfidadell’innovazione. Dobbiamo dirci qualemanifattura vogliamo essere. Se siamoun sistema produttivo che punta sullasvalutazione del lavoro, andiamo inautoavvitamento, diventiamo un Paesecontoterzista povero e ci sarà sempre un altro luogo dove il lavoro costa dimeno e che ci potrà fare ulterioreconcorrenza al ribasso. Così è unoscontro tra poveri, non è un’idea diPaese. Oppure possiamo puntare sullefiliere innovative. Anche perché, forsemerita ricordarlo, nelle aziende piùcompetitive, che stanno meglio, il lavoro

e la contrattazione ci guadagnano inquantità e in qualità. Non è sufficiente,però, che lo facciano la Germania e laFrancia separatamente. Occorre unapolitica industriale europea per dire conforza che questi investimenti devonoessere – per dirla alla Mazzucato –mission orientede fatti con capitalepaziente pubblico, in maniera darispondere alla grandi sfide sociali eambientali che abbiamo di fronte. Nonsolo, gli investimenti nelle grandiinfrastrutture europee, tra cui rientraanche la fibra ottica, devono essere fattial di fuori del patto di stabilità. In questocontesto l’Italia può svolgere un ruolocruciale, ma solo se mette in campoinvestimenti strategici di filieranell’energia, nella logistica e nella fibra.Siamo il pontile del Mediterraneo:connetterci con l’Europa non è solobusiness; è libertà, contaminazione,relazioni, multiculturalità. È un’idea diPaese, che significa anche sviluppo per il Mezzogiorno finalmente centro diuna strategia di sviluppo. Allargando lo sguardo, un tema di cui cisi dimentica sempre quando si parla diVia della Seta è l’Africa, continente che

oggi ha 1 miliardo di abitanti e ne avrà2,5 nel 2050. Lì la Cina ha costruitoinfrastrutture, portato acqua ed energia,preso le miniere di litio e di celio (con cuisono fatti i nostri smartphone). Se la Viadella Seta dipende anche da quelmondo, non possiamo non vedere chel’Italia, e in particolare il nostro Sud, èl’hub naturale. Eppure la Cina hainvestito nel porto del Pireo. Ecco perchéi nostri scali diventano strategici:abbiamo un patrimonio che è il mare,ma dobbiamo farlo diventare potenzialedi business attraverso investimenti ininfrastrutture, anche interne, e strategiedi politica industriale. I porti italiani non sono in competizione tra loro, mapossono perseguire una strategia dispecializzazione produttiva che simuove lungo due direttrici: quellaadriatica – che ci collega allaMitteleuropa – e quella tirrenica, cheguarda ai territori della Francia e delBenelux consentendo di risparmiarediversi giorni di navigazione rispettoallo scalo Rotterdam (e questo i cinesi,che hanno investito a Savona, nella piattaforma di Vado Ligure, l’hanno già capito). n

>

n Huawei e la guerra tecnologicaUSA-Cina (https://bit.ly/2xZFcQv)

n Alessandro Aresu, Luca Gori,L'interesse nazionale, la bussoladell'Italia, Il Mulino, PubblicazioniAREL, 2018

PER APPROFONDIRE

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3giugno-luglio 2019

di Tommaso Brollo,dottorando in Economiaall’Università di Siena

Presidente D’Alema, lei hapotuto osservare la Cina daun punto di vista privilegiato.Come si è trasformata negliultimi anni?Sono testimone della suatrasformazione moderna daun punto di vista impegnato.Andai per la prima volta nel1979 e c’erano solo biciclette,adesso ci sono treni alevitazione magnetica chefanno 400 chilometri all’ora.Di fatto, negli ultimitrent’anni la Cina haconosciuto uno sviluppoparagonabile a quello chel’Europa ha avuto nei duesecoli che abbiamo allespalle. Basti pensare che negli anni 80rappresentavano appena il 2per cento del Pil globale, oggisono al 22 per cento e nelfrattempo il Pil mondiale si èquadruplicato. Una crescitaaccelerata che non haprecedenti. Nemmeno larivoluzione industriale inEuropa fu così dirompente.

Quale torsione ha impostoal modello istituzionale e dipolitica economica il

presidente Xi Jinping?Fino al 2013 la Cina avevasperimentato uno sviluppoindustriale estremamenteaccelerato e concentratonella produzionemanifatturiera a bassovalore aggiunto. Ciò ha datomodo di accumulareun’enorme quantità dirisorse. Praticamente eradiventata una specie difabbrica del mondo. Ma unosviluppo del genere presentadiversi problemi: forteimpatto ambientale, anchecon reazioni pubbliche diforte malcontento; enormisquilibri sociali in particolaresull’asse città-campagna;un’urbanizzazione nonfacilmente controllabile;fenomeni di corruzioneabbastanza estesi. Su questipunti hanno operato unacorrezione sensibileriducendo gli investimentiindustriali, qualificandoli, emoltiplicando quelli inricerca e sviluppo, con l’ideadi puntare su importantiprogrammi di innovazionecome l’intelligenza artificialee sui fondi per laristrutturazione delle areeindustriali dismesse,mettendo in conto una certa

delocalizzazione di unaparte dell’apparatoindustriale a minor valoreaggiunto. Il tuttoaccompagnato da fortiinvestimenti di recuperoambientale, quindi anche dauna rilocalizzazione delleaziende lontano dalle areeurbane principali, e da unnotevole miglioramento deisalari. Negli ultimi anni leretribuzioni sono cresciutedi quattro volte, ormai ilcosto del lavoro di unoperaio cinese è di circamille euro. Considerato ilpotere d’acquisto, è unreddito dignitoso, econtemporaneamente èmigliorata molto la qualitàdel lavoro e la produttività.Dal punto di vista del mixproduttivo il salto di qualitàè stato evidente: la Cina haormai una grande capacitàinnovativa. A questaristrutturazione economicasi è accompagnata una fortecampagna contro lacorruzione che ha portatoalla sostituzione di unmilione e ottocentomilaquadri nel Paese,consegnando un maggiorecontrollo dell’economia alPartito Comunista dopo una

fase di allentamento, percerti versi di liberalizzazione.

Quanto pesa allora ladifficoltà europea didispiegare una politicaindustriale coordinatanella capacità di inserirsinella partita tecnologicache si sta giocando tra StatiUniti e Cina?Quando parliamo di Europabisogna necessariamentetracciare alcune distinzioni.L’Europa ha effettivamentegrandi problemi: mancanoinvestimenti in ricerca esviluppo, la capacità diprodurre brevetti epatrimonio umano èdeperita, e questo determinauna perdita di competitività.Ciò è legato ancheall’assenza di una politicaindustriale coordinata e,diciamo, alle politiche diausterità. Quanto al rapportocon la Cina, è un discorso unpo’ più articolato, nel sensoche la crescita cinese haavuto effetti positivi perl’Europa, ma in modi moltodiseguali, data la difficoltà dicondurre una politica comeEuropa verso la Cina. Alcunihanno avuto dei vantaggi,altri meno, in

Massimo D’Alema,presidente della

fondazione Italianieuropei

L’INTERVISTA

SEGUEA PAG. 4

L’Europadeve evitare

una vecchiaiarancorosa

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particolare credo che ilmaggiore beneficio l’abbiatratto la Germania.

Come dovrebbe muoversil’Italia in questa nuovaglobalizzazione a guidacinese, tenendo ancheconto delle trazioni sull’asseatlantico?C’è spazio per unacooperazione significativa.Certo, le cose procedono inmodo abbastanza confuso.Intanto, si nota la crescitadegli investimenti e di nuoveforme di collaborazione, nonsoltanto la crescita deicommerci, anche se la Cina èsempre di più un grandemercato verso il qualebisognerebbe avere unastrategia come sistemaPaese, e noi non cel’abbiamo, procediamo inordine sparso. Io dicosempre che uno dei grandisforzi che dobbiamo fare èspiegare ai cinesi che latecnologia non è solotedesca, ma anche italiana, eche il vino non è solofrancese. Siamo arrivati inCina tardi e male, con unapolitica incerta, e questopesa. Quando ero ministrodegli Esteri avevo negoziatocon Pechino una cosastraordinaria: loro avevanodeciso di creare quarantanuove città, una sorta difascia da Nord a Sud perevitare che l’urbanizzazionesi concentrasse nei grandiagglomerati della costa, evolevano affidare all’Italia lacostruzione di una di questecittà. Noi avevamo messoinsieme un consorzio, moltofaticosamente, perché nonc’era da noi un’impresa cheavesse le dimensioni tali perfare da capofila aun’operazione del genere.Poi cadde il governo e,siccome Berlusconi incampagna elettorale avevadetto che i cinesi facevanobollire i bambini, lororeplicarono che con questonuovo governo non

avrebbero fatto più nulla.Abbiamo perso unacommessa enorme. Laprogettazione dei serviziurbani, delle reti, avrebbepotuto essere unastraordinaria vetrina perl’industria italiana.

L’attuale governo come sista muovendo, specie aseguito della firma delmemorandum?Nel nostro rapporto con laCina, certe sgrammaticaturerisalgono anche aiprecedenti governi. Quanto aquesto esecutivo, non sicapisce bene che cosa vogliao cosa sia. Da una partefirma un documento più dipropaganda che altro. Poiperò Salvini va in Americanel pieno della guerraeconomica e commerciale edichiara “noi siamo dallaparte degli americani”. Nonso come i cinesi possanovalutare simili prese diposizione. Ai loro occhil’interlocutore Italia apparepiuttosto confuso einaffidabile. I leader deglialtri Paesi europei sono statipiù bravi. Non hanno firmatonessun documento, anzi, ifrancesi si sono presentati lìa nome dell’Europa unita ehanno portato a casacontratti per un valore diecio dodici volte quelli italiani.Una sana partnershipeconomica. Ora, io sono afavore della Via della Seta. Èun grande programma diinterconnessioneeuroasiatico che prevedeinvestimenti infrastrutturalie la creazione di jointventures. Un’idea piùarmoniosa dellaglobalizzazione, certamentea forte egemonia cinese, apartire dal fatto chel’ideologia sottostante è ilconfucianesimo. Però, adifferenza di quelli che tivogliono controllaremettendo i dazi sui tuoiprodotti, i cinesi voglionofare affari insieme. Può

anche darsi che guadagninopiù di te, ma dipende dallatua capacità di interfacciartie di metterti in relazione conuna grande strategia disviluppo. La tanto vituperataCommissione europea hacondotto con i cinesi unatrattativa intelligente,chiedendo che i loroinvestimenti siraccordassero con iprogrammi di sviluppodell’Unione – una cosa nonfacile, ma in linea diprincipio intelligente –, e checi fosse parità di condizioniper le imprese del nostro

continente che operano inCina. Di recente, i cinesihanno approvato una nuovalegge di protezione degliinvestimenti stranieri cheraccoglie alcune dellerichieste europee, comel’abolizione del requisito del50 per cento di capitalecinese in ogni joint ventureche volesse operare là,insieme a misure di maggiorprotezione della proprietàintellettuale. Un altroaspetto da tenere inconsiderazione è che mentrel’interscambio tra l’Unioneeuropea e la Cina vede unenorme vantaggio perPechino sul terreno delloscambio dei beni – tranneche per la Germania –, sullabilancia dei servizi c’è unpiccolo ma significativovantaggio europeo. Ora, una

maggiore attenzione aquesto campo, dove glieuropei sono più competitivie a cui la Cina si sta aprendo,sarebbe auspicabile. Adesempio, penso a cosasignifichi, in un Paese in cuiil mercato dell’automobilesta crescendoenormemente, entrare nelcampo delle assicurazioniauto. Quindi, la questione èessere capaci di misurarsicon quella che è una grandestrategia, non soloeconomica, quale la Via dellaSeta. Senza demonizzare laCina e, al tempo stesso,

senza nascondersi le sueambizioni egemoniche.D’altronde, sono un grandeimpero. Una cosa che non sipuò dire ai cinesi è che lorosiano un Paese emergente:sono stati per duemila annila più grande potenzaeconomica del mondo econsiderano questa relativacaduta che inizia alla fine delSettecento come unasemplice parentesi. Oratornano semplicemente aesercitare il ruolo che hannostoricamente ricoperto.Sapendo dunque con chi siha a che fare, un’Europacapace di negoziare i propriinteressi può concepirequesta grande strategiacome un’opportunità.

In questo contesto cosaabbiamo da dare noi?

44 giugno-luglio 2019

DA PAG. 3 D’Alema

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Tecnologie innovative,soprattutto applicate allePmi. La piccola e mediaimpresa è la grande sfidacinese dei prossimi decenni,perché è quella che puògenerare ricchezza diffusa eoccupazione. I grandi settoristrategici sono pubblici e taliresteranno, ma certamentenoi possiamo essere partnerdello sviluppo cinese, adesempio nell’agro-industriadi qualità. Le opportunità dicollaborazione sonotantissime, è un errorecredere che dobbiamosoltanto vendere i nostriporti. I cinesi hanno unastrategia chiara, hannocomprato il porto del Pireoche è diventato il loro grandehubnel Mediterraneo eprenderanno concessioni inaltri scali. Parliamoci chiaro:tutti vogliono vendersi a loro,perché significa soldi,investimenti, flusso di merci,posti di lavoro. Se le grandicompagnie cinesi decidonoche l’approdo verso i mercatidell’Europa centrale èTrieste, a Trieste vi sarannomolti benefici, che però nonsi estenderanno a tutti i portiitaliani: Gioia Tauro, adesempio, ha avuto grandifortune nell’attività di trans-shippingperché aveva lecaratteristiche e le profonditànecessarie, ma i cinesihanno già individuato il lorohubnel Pireo, il trans-shippinglo fanno e lo faranno lì.

Prima si parlava di industriestrategiche e di come inCina rimanganosaldamente sotto ilcontrollo pubblico, come nelmodello italiano ante anniNovanta. Noi, nel frattempo,questo modello l’abbiamosmantellato.Questo dipende purtroppodal capitalismo privatoitaliano, che di fronte alleprivatizzazioni si è mossoseguendo una logica direndimenti finanziari abreve, più che secondo una

visione strategica eindustriale di lungo periodo.La nostra scelta sulleprivatizzazioni non erafacoltativa. L’accordofirmato da Andreatta sullosmantellamento dell’Iri èstato qualcosa che abbiamotrovato, una parte degliimpegni legatiall’applicazione delle regoleeuropee. I cinesi invece nonsi sono ispirati all’Iri, hannocostruito un’economiamista partendo, da un lato,da una considerazione deidifetti del modello statalistasovietico e, dall’altra parte,da una critica di uncapitalismo occidentale nonregolato e governato dalloStato. Hanno elaborato unasorta di terza via.

Da ultimo, una domanda daVladimir Il’ic: che fare?Come dovrebbe muoversiuna forza socialista sulrapporto con la Cina e pergovernare il cambiamentodi paradigma di sviluppo?Vaste programme...La domanda tende ad aprireorizzonti vastissimi. La Cinaè un interlocutore prezioso.Bisogna mantenere undibattito critico con loro suidiritti umani, ma anche daquesto punto di vista sonoconvinto che si possacominciare un’evoluzione,come dimostra l’accordo chestanno concludendo con laChiesa Cattolica: il fatto chequeste due grandi potenzedell’Est e dell’Ovest trovinoun’intesa apre uno scenario,specie sul piano culturale, digrandissimo interesse. LaCina è questo inevitabileinterlocutore. Per certiaspetti è fondamentale, lorocondividono con l’Europal’idea di una governancemultilaterale del mondo,un’opposizione allarozzezza della politica dipotenza alla manieraamericana o russa, unrigoroso rispetto del dirittointernazionale: è un Paese

che affida le sue ambizioniegemoniche a mezzi pacifici.Parliamoci chiaro: all’iniziodel secolo scorso, l’Europacontava circa il 25 per centodella popolazione mondiale,con un’età media di 25 anni.Un continente giovane eimportante. Ancora neglianni 80 rappresentava piùdel 30 per cento dellaproduzione di ricchezza delmondo. Oggi si avvia adavere poco più del 7 percento della popolazionemondiale, l’età media è di 44anni, e rappresenta appenail 13 per cento dellaricchezza del mondo. Dalpunto di vista relativoparliamo di un continente inpieno declino. L’Europaavrebbe bisogno di unaclasse dirigente intelligente,capace di capire che si trattadi gestire una fase diridimensionamento del suopeso relativo, capace diinvestire sul nostropatrimonio di civiltà. Il verovantaggio competitivorispetto alle altre potenze èche noi siamo la parte delmondo dove c’è più cultura,più intelligenza sociale, dovec’è la migliore qualità dellavita. Anziché assecondareuna reazione rancorosa e sostanzialmenteimpotente al declino, cheaccentuerà la crisi – l’Europarischia di vivere una bruttavecchiaia, come quei vecchirancorosi che ce l’hanno coiragazzini che giocano apallone –, abbiamo bisognodi una classe dirigentecapace d’interpretare questafase, che cerchi di interagirecon il mondo che stacambiando tramite politicheintelligenti, specie in ambitoindustriale, individuando isettori in cui noi ancorasiamo competitivi oabbiamo un primato, einvestire su quelli. Marichiederebbe unaclasse dirigente europeaall’altezza e allo stato attualedelle cose non la vedo.

Secondo lei può esistere unaclasse dirigente europea, insenso collettivo, cheprescinda dagli interessi oradella Francia, ora dellaGermania, ora dell’Italia?Ma gli interessi nazionali inche cosa consistono, inquanto contrappostiall’interesse europeo? Nonso, è una visione molto dibreve respiro. È chiaro chequesti nazionalismi sono piùl’espressione di una crisi chedi un reale conflittod’interessi. Si dovrebbe averela consapevolezza chesoltanto l’Europa unita ha unpeso politico e una capacitàdi incidere sulle dinamicheglobali che nessun Paesemembro, da solo, potrebbemai avere. Il nazionalismoaveva un senso quando quisi decideva il destino delmondo. Ora che le questioniimportanti le discutono gliamericani e i cinesi, con i russi che già perarrivare a quel tavolo devonosparare un po’ di bombe, cicapiamo. Anche per questorespiriamo un nuovo climada guerra fredda: un’Europaspinta dagli americani a unapolitica rancorosa porta aloro volta i russi a fare ciòche non vorrebbero, ossiadiventare parte di un bloccoeuroasiatico a guida cinese.Si aprono scenari cherichiederebbero una classedirigente all’altezza diquesto passaggio d’epoca,sapendo che certe tendenzenon possono essererovesciate, ma gestite sì, con la consapevolezza che il13 per cento su unaricchezza del mondo checresce quattro volte equivalea più del 30 per cento intermini assoluti. Questaricchezza accresciuta, anchese il peso relativo èdiminuito, come la vuoigiocare? Qual è la nostraspecializzazione nel mondo?È questo il grande problemadi una politica industrialeeuropea. �

DA PAG. 4 D’Alema

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5giugno-luglio 2019

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INVESTIMENTI GLOBALI

di cinzia maioliniresponsabile Ufficio lavoro 4.0 Cgil

Quattro anni fa il governo cinese ha varato un piano,il China Manifacturing 2025, per modernizzare lacapacità industriale e superare la dipendenza dalle

importazioni tecnologiche. Sono dieci le aree specifiche diintervento, tra cui macchine a controllo numerico, veicolielettrici, settore aerospaziale e aeronautico, macchinariagricoli, big pharma e dispositivi medicali. Già alloraproduceva a livello mondiale l’80% dei computer, il 90% deicellulari, il 41% delle navi e la metà dell’acciaio. Oggi questipiani di investimento, coordinati a iniziative come quellasull’industria energetica o la famosa Via della Seta,rappresentano la concreta possibilità di superaredefinitivamente il gap con le aziende globali.Il ruolo dell’esecutivo nel progettare e realizzare questopiano è stato fondamentale. Le banche statalidistribuiscono sussidi, erogano prestiti a basso tasso edemettono bond per sostenere le Pmi. Nel contempo si èscambiato l’accesso di nuove imprese con il trasferimentodelle tecnologie; si sono imposti alle aziende obiettivispecifici in ricerca e sviluppo; si è puntato sulla riduzionecostante dell’utilizzo di energia e acqua; sono stati creati

centri nazionali e provinciali per facilitare il processo diinnovazione e le partnership. L’obiettivo è rispondere entroil 2025 alle esigenze del mercato interno in vari campi:produzione di veicoli a energia alternativa, rinnovabili,componentistica navale hi-tech, robotica, dispositivi medici. Insomma, la Cina è un colosso che si muove a velocitàstraordinaria. Unisce gli ingenti investimenti fatti neglianni all’estero alle acquisizioni usate come strumento diaccesso alla proprietà intellettuale; ha già sul territoriopiattaforme comparabili con quelle dominanti a livelloglobale; investe massivamente nelle tecnologie, del cuiutilizzo rappresenta uno dei più grandi mercati mondiali.Una potenza che è già presente in Italia con partecipazioniimportanti come quella in Cassa depositi e prestiti, maanche tramite reti e memorandum sottoscritti insieme agrandi player come Eni o Ansaldo energia. Stiamo parlandodi investimenti pari a 12,8 miliardi di euro, conpartecipazioni superiori al 10% in 398 imprese nostrane tracui Fca, Telecom, Enel, Generali, Terna, Pirelli. Per tuttiquesti motivi sarebbe più che mai necessaria una politicaeuropea di pianificazione di analoghi investimenti eun’interlocuzione anche sovranazionale con la Cina chesuperi i particolarismi nazionali. �

di Giacomo Buzzaoredattore di Pandora Rivista

I l duello commerciale sino-americano sembrerebbe essersistabilizzato stando alle dichiarazioni

dei presidenti Xi Jinping e Trump, apranzo insieme dopo il G20 di Osaka.“Business as usual” tra le super-techcaliforniane e Huawei & co. e minaccia

di dazi su ulteriori 300 miliardi di dollaridi prodotti cinesi sospesa. “For the timebeing” specifica però “The Donald”,sottolineando si tratti solo di unatregua. La guerra commerciale che da più di un anno fa singhiozzare i mercati, si rivela tecnologica estrategica, “fredda”, quandolo scorso 15 maggio il colosso tech

cinese finisce nella lista nera delcommercio degli Stati Uniti. I capi di accusa sono spionaggio einfrazione dei divieti commerciali conl’Iran. Gli analisti politici, tuttavia,trovano legittimo pensare che lemotivazioni possano essere altre: laleadership tecnologica Usa è per laprima volta a rischio dal 1989, Trumpdeve mantenere la promessa di ridurreil deficit commerciale con Pechino e leimprese americane che investono inCina spingono per la cancellazionedell’obbligo di condividere i segretitecnologici.

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Il progetto di Pechino conscadenza al 2025 stamodernizzando il Paese a ritmiimpressionanti. Ed è uno scenarioche l’Europa non potrà certofronteggiare se rimane bloccatanei particolarismi nazionali

La messa al bando e il repentino passo indietro si potrebbero interpretare come una goffa mossa strategica per ridimensionare le crescenti e inevitabili“disubbidienze” cinesi

giugno-luglio 2019

Cosa c’èdietro al blocco(già ritirato)di Huawei

Se la Cina si muovea tutta velocità

LA RETROMARCIA DI TRUMP

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7giugno-luglio 2019

Se queste fossero davvero le carte intavola, allora il ban a Huawei e il passoindietro dopo poco più di un mesedall’annuncio, si potrebbero interpretarecome una goffa mossa strategica pocoaccuratamente disegnata perridimensionare le crescenti, inedite edinevitabili “disubbidienze” cinesi. Ilcolosso tech della Repubblica Popolareutilizza 33 fornitori statunitensi sui 90totali del progetto per la rete 5G eacquista licenze complete Android(sistema operativo open-sourcesviluppato da Alphabet inc. - Google) pergli smartphone che vende all’estero;nonostante la dipendenza strategico-tecnologica, però, il bannon ha prodottogli effetti desiderati. Huawei, prima dellarevoca delle misure, aveva infattiannunciato l’implementazione delsistema operativo alternativo adAndroid sul quale lavora ormai da alcunianni e che i chip Qualcomm e Broadcomavrebbero potuto essere sostituiti conquelli prodotti da Siemens.

Questo fenomeno potrebbe avere unaportata ben più ampia di quella cheinteressa solo i rapporti tra grandiaziende. Infatti, l’equilibrio geopoliticosino-americano è stato condizionenecessaria allo sviluppo delle global-valuechain, fenomeno alla base dellastruttura della globalizzazioneneoliberista e che ha caratterizzato ilrapporto di mutua dipendenza tra ledue economie sin dagli anni ‘70. Dallacrisi del 2008, però, l’equilibrio si èincrinato. I cinesi, principali detentoridel debito americano, ormai con lespalle larghe di un’economia inirrefrenabile crescita, considerano ilrapporto di interdipendenzaeconomica con Washington non più unvantaggio, ma come un rischio dagestire e contenere, e ridisegnano ilproprio modello di sviluppo, sinorabasato sulle esportazioni, verso lastrada che punta sui servizi e suiconsumi interni. In un contesto delgenere, mettere mano agli ingranaggi

dei meccanismi che regolano ilfunzionamento delle catene difornitura, non è tra le scelte più saggeche un presidente degli Stati Unitipossa fare, e Trump ha dimostrato diessersene accorto. Infatti, se lo scontrodovesse prolungarsi, nasceranno nuovecatene di fornitura alternative checomporteranno una progressivaframmentazione della globalizzazione,in un processo di gravi perdite non soloper Washington e Pechino, ma perl’intera economia mondiale. �

DA PAG. 6 Buzzao

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La Cina è nella posizione ideale peravvantaggiarsi dallo

sviluppo dell’intelligenzaartificiale, che non vedràradicali salti tecnologici, mal’applicazione estesa di unparadigma già acquisito,quello del deep learning. Èquesta la tesi al centro di “AIsuperpowers”, il libro di Kai-

Fu Lee, autore che vanta unatrentennale carriera traSilicon Valley e Cina. Quattroelementi faranno ladifferenza: l’abbondanza didati, l’ecosistemaimprenditoriale, lecompetenze diffuse e lepolitiche governative. Suquesti assi si gioca la partitacon gli Stati Uniti che, pur

mantenendo un primatonella ricerca di élite, rischianodi segnare il passo rispetto aun ambiente cinese inrapidissima mutazione,concorrenziale e più inclinead accettare l’azione pubblica. La pratica di copiare iconcorrenti, stigmatizzata inOccidente, eppure decisivaper il processo di catching up,ha portato allo sviluppo di unecosistema tecnologico concaratteristiche cinesie alformarsi di una generazionedi imprenditoriestremamente agguerrita.Decisivo inoltre è il ruolodelle peculiarità e dellepreferenze locali nel definireuna traiettoria alternativa perl’Internet cinese. Lo sviluppoprecoce di strumenti O2O(online to offline), larapidissima diffusione dimetodi di pagamento digitale(ad esempio attraversol’onnipresente WeChat), laminore sensibilità al temadella privacy, nonché ildecisivo dato demograficohanno portatoall’accumularsi di un enorme

disponibilità di dati. A ciò siunisce l’azione governativache da alcuni anni haindicato nello sviluppodell’intelligenza artificiale unobiettivo prioritario. Su un piano più generale, perl’autore sarà molto forte –anche se asimmetrico –l’impatto sul mondo dellavoro, che sarà piùpolarizzato e diseguale. Ilcapitolo finale è dedicato adalcune riflessioni e proposteper una positiva convivenzacon l’intelligenza artificiale.Da segnalare la proposta diuno stipendio di“investimento sociale”,contrapposto al redditouniversale. Nel complesso,una lettura stimolante e utileper capire lo sviluppodell’Internet cinese eapprofondire le prospettive diun settore così strategico. �

LA RECENSIONE

Le superpotenzedell’intelligenzaartificiale

n Pandora Rivista, segnaliamo inparticolare i numeri 5, 6e 7

(https://bit.ly/2MeIiJ4)n Giacomo Bottos, Il ruolo dell’Italia:a confronto con Romano Prodi e Lucio Caracciolo, intervento al Pandora Rivista Festival

(https://bit.ly/2GtjtFo)

PER APPROFONDIRE

n Articolo integrale suPandora Rivista(https://bit.ly/2XZSU5s)

PER APPROFONDIRE

Nell’ultimo libro di Kai-FuLee – autore con unatrentennale carriera traSilicon Valley e Cina –la tesi secondo cui Pechinoè nella posizione ideale pertrarre i maggiori vantaggida questa tecnologia

di Giacomo BoTTosdirettore di Pandora Rivista

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di alBerTo Prina ceraie arianna PaPalia,redattori di Pandora Rivista

I l progetto della nuova Viadella Seta ha acquisitoormai le sembianze di

una ‘Grand Strategy’ cineseche coinvolgerà 125 Paesigrazie a 173 accordi siglati.L’imponente mercato cheverrà a crearsi consentirà aPechino non solo diproiettare all’esterno le sueenormi capacità produttive,ma anche di realizzarequella che il Paese di mezzoha definito la “comunità daldestino condiviso”. Unadelle infrastrutture che laCina si appresta a costruirelungo i corridoi checostituiscono la nuovagrande infrastruttura – oltrea ferrovie, autostrade e porti– è quella del 5G. La quintagenerazione di connessionimobili promette di essereventi volte più velocerispetto al 4G e diraggiungere una velocità didownload dieci voltesuperiore a quella attuale.Ne beneficerà la qualità delleconnessioni tra gli individui,ma anche l’interazione

reciproca tra i dispositivi. Lesmart cities o le tecnologieindustriali 4.0 non sarannopiù fantasie: il 5G spingerà lenostre esperienzequotidiane verso una nuovafrontiera tecnologica maisperimentata finora.Per quanto riguarda il nostroPaese, Huawei e Zte sono idue leader cinesi checompetono per il dirittoall’utilizzo delle ondemillimetriche. La prima hagià accordi con Tim eFastweb per sperimentare il5G nell’area di Bari-Matera,così come con Vodafone perquanto concerne l’areametropolitana di Milano. Le opportunità per l’Italiasono elevatissime: dallaconcretizzazione dellaconversione agli standard4.0 per i comparti industrialiad alto valore aggiunto, allapossibilità per le città diinteragire con i cittadini“imparando” a offrire servizimigliori. Tuttavia, rimaneaperta una questionedelicata: la gestione dei dati.Non è ancora chiaro, infatti, consideratal’interconnessione tra

governo e imprese in Cina,quale utilizzo potrebbeessere fatto dei big dataattraverso le tecnologie 5G,né come i Paesi, e in questocaso l’Italia, possanotutelarsi da un’eventuale

fuga di dati sensibili ostrategici. Come sintetizzaun eminente osservatoreamericano, Robert D. Kaplan,“una maggiore connettivitànon porta necessariamentea un mondo più pacifico”. �

8 giugno-luglio 2019

direttore responsabile Guido Iocca - inserto a cura di Maurizio Minnucci -editoreEdit. Coop. società cooperativa di giornalisti, Via delle Quattro Fontane,109 - 00184 Roma - Reg. Trib. di Roma n. 13101 del 28/11/1969 - Proprietàdella testata Ediesse Srl - Grafica e impaginazione Massimiliano Acerra

a cura di Chiara Mancini - Ufficio Progetto Lavoro 4.0, Cgil nazionale - Corsod’Italia 25 - 00184 Roma - Tel. 068476341- [email protected] idea diffusa a cura dell’Agenzia Lama

IDEA DIFFUSA

La quinta generazione di connessioni mobili ci spingerà verso frontiere mai viste. Ma la questione dellaprivacy è ancora tutta da risolvere. Non soloper gli individui, ma anche per i governi

SCENARI

n Alberto Prina Cerai, “Destinati alla guerra. Possonol’America e la Cina sfuggire alla trappola di Tucidide?”,di Graham Allison, maggio 2019

(https://bit.ly/2Y2kAa0)n Arianna Papalia, Made in China 2025: sarà la Cina a guidare la prossima rivoluzione industriale?, aprile 2019 (https://bit.ly/2Gszhs7)

n Arianna Papalia, Quale ruolo per l’Italia nella Belt andRoad Initiative?, aprile 2018 (https://bit.ly/2Y0PI9P)

n Isabel Pepe, Sulla nuova via della seta: la Belt and RoadInitiative tra economia e strategia, settembre 2018

(https://bit.ly/30VtxPa)

PER APPROFONDIRE

5G made in ChinaChi protegge i dati?

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di sTefano Palmieripresidente sezione economicaCese, area Politiche europee einternazionali Cgil

Per poter comprenderela politica economica eindustriale della

Repubblica Popolare Cinese ecome questa si esplicaattraverso la “Belt and RoadInitiative” occorre partire daldiscorso che Xi Jinping tenne,nel novembre del 2012, duemesi dopo essere stato elettosegretario generale delComitato centrale del Partitocomunista cinese, inoccasione di una mostra daltitolo profetico: “La stradaverso il rinnovamento”.Rinnovamento che il premiermise in relazione con dueobiettivi coincidenti conaltrettante datefondamentali per la storiadella Repubblica Popolare. Ilprimo è costruire una societàmoderatamente prosperaentro il 2021, anno in cui saràcelebrato il centenario dellanascita del Partito ComunistaCinese; il secondo è quello direndere la Cina un Paesemoderno entro il 2049, annoin cui ricorrerà il centenariodella nascita della RepubblicaPopolare. È in questocontesto che si inserisce la“Belt and Road Initiative”lanciata da Xi Jinping, pocomeno di un anno dopo, nelsettembre del 2013 ad Astana(Kazakistan). Un’iniziativa ingrado di proiettare la Cinaverso la regione euroasiaticamediante una serie dicorridoi con i qualisviluppare traffici di beni,servizi e persone,assicurandole uno sviluppoeconomico duraturo.Un’area, quella interessatadalla nuova Via della Seta,

che riguarda ben 65 nazionicon il 70% della popolazionemondiale, il 55% del Pilmondiale e il 75% dellerisorse energetiche globali. Nel documento pubblicatodal governo cinese “Vision andActions on Jointly Building SilkRoad Economic Belt and 21stCentury maritime Silk Road” delmarzo 2015, si legge comeall’interno dell’iniziativa “sidebba migliorare la divisionedel lavoro e la distribuzione

delle catene del valoreindustriali” attraverso uncoordinamento dellepolitiche e delle strategie disviluppo economico tra iPaesi interessati. A chi ha unacerta conoscenza della teoriamarxista – come i governantidi Pechino certamentehanno – non dovrebbesfuggire che il ruolo di unanazione all’internodell’economia mondialedipende dai modelli di

specializzazione e daivantaggi comparati neimodelli di produzioneadottati. Per tale via, ilsistema economicomondiale si articolaattraverso un complessosistema di poteri e didipendenze tra le nazioni ingrado di determinareposizioni privilegiate esvantaggiate tra le stesse.Riesce quindi piuttostodifficile credere che si possaarrivare a garantire unmiglioramento delladivisione del lavoro e delladistribuzione delle catene delvalore industriale attraversoun coordinamento tra ledifferenti politicheeconomiche dei Paesicoinvolti. Quando ladivisione del lavoro dipendeda preferenze o posizioni cheriflettono interessi nazionali– i quali possono ancheconfliggere tra loro – l’attivitàdi mediazione ecoordinamento risultapressoché impossibile.Tenderanno dunque aprevalere gli interessi di chiha il maggiore potereeconomico, in questo caso ildominus promotoredell’iniziativa: la Cina. Delresto, un vecchio proverbiocinese recita: “Se vuoidiventare ricco, primacostruisci una strada”. �

9giugno-luglio 2019

Ma sarà Pechino a dettare le regole

n Limes Rivista, segnaliamo in particolare i numeri 2/19, 11/18, 10/18, 4/1 (https://bit.ly/2SCC7PR)

n I video del VI Festival di Limes (https://bit.ly/2ZdpAoy)n Aspenia, La politica dell’algoritmo,

Rivista n. 85 - giugno 2019 (https://bit.ly/2YoF7Vo)n Radio Articolo 1, Il punto della Cgil sul sistemaindustriale italiano, podcast (https://bit.ly/2LHAXlu)

n M. Lucchese, L. Nascia, M. Pianta,Una politicaindustriale e tecnologica per l’Italia, Rivista di economia, cultura e ricerca sociale, N. 4 (2016)

nCristian Perniciano, Cinzia Maiolini, Cgil, Le Criptovalute, Libra (https://bit.ly/2LMByTl)

n Stefano Palmieri, Report on Infrastructure and Investment: the One Belt One Road Initiative and the launch of the Asian InfrastructureInvestment Bank (AIIB) (https://bit.ly/30O8mi6)

n Kennet Pomeranz, La Grande Divergenza: la Cina,l’Europa e la nascita dell’economia mondialemoderna, Il Mulino, Bologna, 2012

n Giovanni Arrighi, Adam Smith a Pechino. Genealogiedel ventunesimo secolo, Feltrinelli, Milano, 2008

PER APPROFONDIRE

GEOPOLITICA INDUSTRIALE

Nella realizzazione della nuova Via della Seta tenderanno a prevalere gli interessi di chi ha il maggiore potere economico, in questo caso il dominus promotoredell’iniziativa. Con tutti i dubbi del caso sulle conseguenze per il lavoro

© T.

WAN

G/UN

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