insegnareducando. n ° 17 - 3/2012

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Sommario 1. Voti inutili: la valutazione che dis-educa 2. E se il nostro sistema di valutazione fosse...un grande abbaglio? 3. Questo metodo non funziona! 4. Caro prof, il voto me lo do io! 5. Meritocrazia = l’ingiustizia sdoganata 6. Insegnare la metacognizione 7. Scuola accogliente... 8. Scuola competente Cari colleghi, fermiamoci a pensare. La scuola passa metà del suo tempo ad organizzare una valutazione “oggettiva”. Numeri, tabelle, grafici, istogrammi, pro- porzioni, calcoli di peso e medie mate- matiche. Buona parte delle riunioni tra insegnanti servono a confrontare le valu- tazioni sugli allievi e il consiglio di classe fi- nale raggiunge tutti i record: ore di contrasti e litigate per stabilire la pagella degli asini a cui facciamo scuola. Da più di un decennio funzioniamo così. Perché così ci hanno detto di fare. Complimenti! Tutto è iniziato quando i diri- genti hanno fatto il corso da manager, istruiti da industriali esperti nel monitorare con efficacia la produzione. Il corpo docente italiano, capacità critica uguale a 0, non ha potuto/saputo far altro che adeguarsi. Poche solitarie voci, subito relegate in qualche angolino, gridavano inascoltate: “Ma, se fosse un grande abbaglio? Se fosse dannosissimo per l’apprendi- mento questo sistema di valutazione”? Ora, dopo anni di valutazioni e tanti con- fronti, convegni, ragionamenti e riflessioni in sinergia con chi non ha mai perso di vista l’obiettivo profondo della scuola (educare all’apprendimento), ne siamo certi: abbiamo sprecato tempo a fare danni! Danni grossi, molto grossi se si pensa che in un decennio la scuola viene attraversata da un’intera generazione di ragazzi. Il controllo sistematico, scan- dito, puntuale, incasellante della valu- tazione proposta in massa dalle menti più eccelse, ha impedito in questi anni l’apprendimento dell’abilità analitica di sè, dell’AUTO-STIMA come capacità di estimarsi, valutarsi, comprendere a che punto è il proprio percorso e adguarlo, da soli. Non chiedeteci perché abbiamo de- ciso di alzare questo polverone proprio ora... uno resiste fino ad un certo punto, poi sbotta! Soprattutto se è un inse- gnante che continua a provarci e ripro- varci, a rappezzare i danni di tanti giudizi e medie matematiche che tran- ciano i cammini di chi fa fatica, ripor- tando l’apprendimento ad un numero da raggiungere. Chi lavora con gli ul- timi della classe sa bene cosa aiuta e cosa confonde: da sempre evita il giu- dizio, il voto e inventa “altri modi” per dare agli sfigati le scarpe giuste per in- traprendere un cammino di apprendi- mento. Ma questi sparuti insegnanti non bastano! Ci vogliono pedagogisti che motivino e approfondiscano la que- stione dal punto di vista educativo! Speriamo che, avvicinandosi la Pasqua, risorgano anche loro dalle tombe silen- ziose in cui sono stati messi a tacere per tanti anni. Sarebbe proprio una bella primavera! LG Voti inutili: la valutazione che dis-educa. Voti inutili: la valutazione che dis-educa. Educare all’apprendimento significa educare all’AUTO-STIMA = sviluppare la capacità di estimarsi da soli, valutarsi, comprendere a che punto è il proprio percorso e programmare tempi e modi per proseguire il cammino. A volte stacchiamo la spina e ci adeguiamo al pensiero di massa. Ma a scuola, perdere l’obiettivo è rischioso: si può far danno!! E’ accaduto che ci siamo adattati a dare valutazioni e giudizi... E pensare che lo sapevamo bene: “Chi cresce bacchettato cammina solo col bastone”. E’ proprio questo che volevamo insegnare? 1 News 17 Marzo 2012

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Una voce diversa nel mondo della scuola. La proposta di chi si impegna in prima linea per creare una comunità educante.

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Sommario1. Voti inutili: la valutazione che

dis-educa

2. E se il nostro sistema di valutazionefosse...un grande abbaglio?

3. Questo metodo non funziona!

4. Caro prof, il voto me lo do io!

5. Meritocrazia = l’ingiustizia sdoganata

6. Insegnare la metacognizione

7. Scuola accogliente...

8. Scuola competente

Cari colleghi, fermiamoci a pensare.

La scuola passa metà del suo tempo adorganizzare una valutazione “oggettiva”.

Numeri, tabelle, grafici, istogrammi, pro-porzioni, calcoli di peso e medie mate-matiche. Buona parte delle riunioni tra

insegnanti servono a confrontare le valu-tazioni sugli allievi e il consiglio di classe fi-

nale raggiunge tutti i record: ore dicontrasti e litigate per stabilire la pagella

degli asini a cui facciamo scuola. Da più di un decennio funzioniamo così.

Perché così ci hanno detto di fare. Complimenti! Tutto è iniziato quando i diri-

genti hanno fatto il corso da manager,istruiti da industriali esperti nel monitorare

con efficacia la produzione. Il corpo docente italiano, capacità critica

uguale a 0, non ha potuto/saputo faraltro che adeguarsi. Poche solitarie voci,

subito relegate in qualche angolino, gridavano inascoltate:

“Ma, se fosse un grande abbaglio? Se fosse dannosissimo per l’apprendi-

mento questo sistema di valutazione”?Ora, dopo anni di valutazioni e tanti con-fronti, convegni, ragionamenti e riflessioni

in sinergia con chi non ha mai perso divista l’obiettivo profondo della scuola

(educare all’apprendimento), ne siamocerti: abbiamo sprecato tempo a fare

danni! Danni grossi, molto grossi se si pensa che in un decennio la scuola viene

attraversata da un’intera generazionedi ragazzi. Il controllo sistematico, scan-dito, puntuale, incasellante della valu-tazione proposta in massa dalle mentipiù eccelse, ha impedito in questi annil’apprendimento dell’abilità analitica disè, dell’AUTO-STIMA come capacità diestimarsi, valutarsi, comprendere a chepunto è il proprio percorso e adguarlo,da soli.Non chiedeteci perché abbiamo de-ciso di alzare questo polverone proprioora... uno resiste fino ad un certo punto,poi sbotta! Soprattutto se è un inse-gnante che continua a provarci e ripro-varci, a rappezzare i danni di tantigiudizi e medie matematiche che tran-ciano i cammini di chi fa fatica, ripor-tando l’apprendimento ad un numeroda raggiungere. Chi lavora con gli ul-timi della classe sa bene cosa aiuta ecosa confonde: da sempre evita il giu-dizio, il voto e inventa “altri modi” perdare agli sfigati le scarpe giuste per in-traprendere un cammino di apprendi-mento. Ma questi sparuti insegnanti nonbastano! Ci vogliono pedagogisti chemotivino e approfondiscano la que-stione dal punto di vista educativo!Speriamo che, avvicinandosi la Pasqua,risorgano anche loro dalle tombe silen-ziose in cui sono stati messi a tacere pertanti anni. Sarebbe proprio una bellaprimavera! LG

Voti inutili: la valutazione che dis-educa.Voti inutili: la valutazione che dis-educa.Educare all’apprendimentosignifica educare all’AUTO-STIMA =sviluppare la capacità di

estimarsi da soli, valutarsi, comprendere a che punto è

il proprio percorso e programmare tempi e modi

per proseguireil cammino.

A volte stacchiamo la spina

e ci adeguiamo

al pensiero di massa.

Ma a scuola,

perdere l’obiettivo è rischioso:

si può far danno!!

E’ accaduto che

ci siamo adattati

a dare valutazioni e giudizi...

E pensare che

lo sapevamo bene:

“Chi cresce bacchettato

cammina solo

col bastone”.

E’ proprio questo

che volevamo insegnare?

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News 17

Marzo 2012

E se il nostro sistema di valutazione...E se il nostro sistema di valutazione...La docimologia

si pone come obiettivo quello

di trovare metodi

di valutazione oggettivi,

tramite varie tipologie di prove,

come test, prove strutturate, prove

non strutturate.La valutazione

permette di collocare coloro che

apprendono in corrispondenza ad

un livello,

su una scala ordinata

di obiettivi. Ciò permette di far prendere co-

scienza agli studenti dei progressi

conseguiti e

del livello di competenza

maturatowww.wikipedia.org

News insegnanti Gruppo AbeleLa bussola

... fosse un grande abbaglio? ... fosse un grande abbaglio?

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finali, senza lasciare mai nulla di nondetto, non sottolineato, rimarcato, inca-sellato, visualizzato. Solo così quei poveri imbecilli che dob-biamo istruire potranno vedere il loro per-corso nero su bianco, magari conqualche diagramma di flusso che evi-denzi quanto stanno calando nell’ultimoquadrimestre. Oppure… Proviamo a interrogarci: pensiamo allanostra storia e con sincerità contiamoquante volte ci è stato di stimolo al miglio-ramento, il rimando esterno di qualcunoche sottolineava i nostri traguardi incom-piuti. Beh, non so voi, forse io sono statasempre un po’ ribelle, ma ho ancora ni-tido, dopo 40 anni, il ricordo della miamaestra, il dito puntato e le vene gonfiesul collo che gridava: “Ancora 7 errori nel dettato! 7 su 10, unavergogna! Dopo tutto il tempo perso aspiegare quando mettere la è o la e, con-tinui a sbagliare”!La verifica era il venerdì, puntuale, fissa, in-derogabile, a ricordare a tutti noi le nostreimbecillità. L’effetto della presa di co-scienza su di me e sulle mie compagne,non ha mai funzionato, a parte il fatto diaver suscitato una tale insicurezza da in-durmi a pensare di essere la sola defi

A scuola la frenesia incalza: - Dobbiamo preparare altre schede diverifica! È importante dare agli allieviun rimando che faccia capire a chepunto sono.Ascolto attonita e incalzo i colleghi: - Pensate davvero che abbiano biso-gno di sentirselo dire? Da soli non ca-piscono la loro difficoltà? E quandoavremo detto loro quello che ancoranon sanno fare, impareranno di più?La faccia dei miei interlocutori si fa in-terdetta: non sanno rispondere.Certo. Abbiamo toccato il nocciolodella questione.Gli allievi sono in grado di capire il per-corso che hanno fatto, oppure no?Attenti a rispondere: la questione è de-licata! Se rispondiamo in forma negativa, si-gnifica che abbiamo ben chiaro chisono i nostri allievi: degli inetti, incapaci di intendere e divolere, così immaturi e “verdi” dadover essere condotti passo passonella comprensione del loro cammino;a loro, insomma, dobbiamo dire tutto,sennò “non ci arrivano proprio”. A noiil compito di dover pensare una serieinfinita di test, dai prerequisiti ai quesitiiniziali, a quelli in itinere, a quelli

ciente della terra che non avrebbemai imparato a distinguere verbo econgiunzione. Contro ogni aspetta-tiva, appena l’incubo della scuolaprimaria (e della maestra), per gra-zia ricevuta, finì, d’incanto, senzaperché, capii tutto e per sempre.Quei numeri, 7 su 10, quel rimandocosì oggettivo e inappellabile, nonha mai prodotto crescita né curio-sità, solo disincanto.Quando si insegna con l’idea chegli allievi siano i protagonisti del loropercorso di apprendimento, è tuttaun’altra faccenda! La verifica nonè mai un dato, un numero, unacifra, una casella, una rispostaesatta: la verifica è auto-riflessione.Quando insegnavo ai piccoli, primaelementare, chiedevo spesso: - Vi sembra di aver capito? È megliorivedere qualcosa oppure prose-guire? Avevano 6 anni i miei allievi, ep-pure ogni volta mi sorprendeva laschietta lucidità di cui erano ca-paci: - Facciamo ancora un po’questo lavoro, così mi sento più si-curo – rispondeva Luigi, non certo il primo della classe.

Così funziona , ma...

siamo certi che siadavvero efficace?

“Quei numeri, 7 su 10,

quel rimando così

oggettivo e inappellabile,

non ha mai prodotto

crescita né curiosità,

solo disincanto”.

Se la scuola vuole fare progressi, ci vuole ben altro.

Questo metodo non funziona!Questo metodo non funziona!

Crediamo davvero che saranno le nostreramanzine a farli riflettere! Le lavate di capo, che sottolineano i livellidi ciascuno, speso sono spazi giudicantiche inducono gli allievi a trovare strategieper non fare la figura del cretino davantiai compagni. Se l’insegnante sottolinea i miei limiti,quelli diverranno la mia forza: sarò il piùrimproverato della classe, quello che col-leziona più note, quello che andrà piùvolte dal preside…la mia gara con l’au-torità mi vedrà vincitore…del peggio!D’altronde, se non è possibile vincere, al-meno ci si guadagni l’onore di una per-dita gloriosa, che tutti ricorderanno!Ecco perché la valutazione non portaalcun risultato. Ecco perché, nonostantepiù di un decennio di INVALSI &C e mi-gliaia di parole sprecate a giustificarnecosti e metodi, siamo sempre gli ultimidella classe. Qualcuno dovrà pur dirlo: questa valuta-

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News insegnanti Gruppo Abele

È facile a 6 anni l’auto-riflessione? Difficile a 12, a 16…?No! Siamo stati tutti adolescenti e sap-piamo come a quell’età si pesi ognicosa: la relazione, l’amicizia... la giustizia.L’età della bilancia non ammette scontiper nessuno, tantomeno per se stessi. Gliadolescenti sanno benissimo quanto ècoraggioso o traballante il loro percorsodi apprendimento, conoscono perfetta-mente il livello del loro scarso impegno ecome compiere con forza un’acceleratache faccia recuperare. Perché allora non si muovono?Perché, da quando sono nati, il loro agireè spinto, speronato, disciplinato, organiz-zato, controllato da qualcun altro al difuori di sé. Quali spazi esistono per la riflessione?Quali momenti per guardarsi dentro escegliere da che parte andare, come,quanto e se accelerare o rallentare ilcammino?

La bussola

zione non funziona!!!Se vogliamo fare progressi nell’ap-prendimento, togliamo i voti, leschede di verifica, i test, le pa-gelle: istituiamo spazi di auto-rifles-sione in contesti in cui la relazionesia l’elemento fondante e i ragazzipossano sentire di non essere giu-dicati. Regaliamo loro tempi e modi perscegliere il ritmo della corsa e lepause. Insegnamo loro la metaco-gnizione in cui osservarsi, indivi-duare da soli le difficoltà e i nuovitraguardi, proporre cosa appro-fondire e cosa tralasciare. Allora, solo allora, la consapevo-lezza degli allievi, anche quella deimaggiori provocatori, potrà espri-mersi e dire ad alta voce: “Credodi aver ancora tanto da impa-rare”.

Grazia Liprandi

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Quando si insegna con l’idea che

gli allievi siano i protagonisti

del loro percorso di apprendimento,

è tutta un’altra faccenda! La verifica

non è mai un dato, un numero,

una cifra, una casella,

una risposta esatta:

la verifica è auto-riflessione.

Ogni componente del gruppo-classe è invitato a capire a chepunto è giunto il suo percorso di ap-prendimento relativo ad una parti-colare disciplina.

1) Se volessi metterti alla prova ecapire cosa sai fare di …(italiano,geografia, fisica, storia, matematica…) che attività proporresti per verifi-care il tuo percorso di apprendi-mento?

a- Un tema/testob- Una lettura con domande dicomprensionec- Un colloquio su un argomento d- L’analisi di un testoe- Un problema, un quesito da risolveree- Altro: ………………….

2) Perché proporresti quest’attività?3) Quale escluderesti?4) Perché la escluderesti?5) Inizia a fare quello che hai de-ciso. Chiedi all’insegnante di sugge-rirti il materiale (testo, titolo,problema…) più adeguato.6) Al termine del lavoro, rileggi tuttocon attenzione (nel caso del collo-quio, rivedi la registrazione), poi ri-spondi (dentro di te e con moltaonestà) alle seguenti domande:

a- sei soddisfatto del lavoro effettuato?

b- Se si, perché?c- Se no, cosa ti dispiace

maggiormente?d- Avresti potuto svolgere il

compito diversamente?e- Quali vantaggi o svantaggi

ne avresti avuto?f- Osservando il tuo lavoro

decidi se:

Sei pienamente sicuro e ti senti capace di svolgere altri compiti simili

Hai bisogno di rivedere alcuni

argomenti legati al compito.Hai bisogno di esercitarti su ...

(cosa?)Avresti bisogno di rivedere al

cune parti con l’aiuto di un compagno.

Avresti bisogno di rivedere alcune parti con l’aiuto dell’in-segnante.

Puoi farcela da solo.Dovresti dedicare un po’ di

tempo questa settimana ad approfondire qualche argo-mento legato al compito.

7) Ora programma per scritto

il lavoro da fare nel prossimo mese, partendo dalle tue analisi:

News insegnanti Gruppo Abele

Abbiamo sempre dato voti. Cambiare? Come si fa a farne senza?Ecco un facile esercizio

per educare gli allievi all’auto-valutazione.

Caro prof, il voto me lo do io...Caro prof, il voto me lo do io...

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lo stuzzicadenti

a- Quali argomenti approfondirai?b- Lavorerai da solo, a coppie

o a piccolo gruppo? Con chi?c- A quale insegnante chiederai

un aiuto?d- Quante ore alla settimana

dedicherai a questo impegno?e- Lavorerai a casa o a scuola?f- Di quali spazi hai bisogno?g- Di quali materiali?h- Dopo questo allenamento,

cosa pensi di riuscire a fare fra un mese?

Perchè non provare?

Non sarà facile,

se gli allievi non hanno mai provato ad

auto-valutarsi, occorrerà ripetere

periodicamente l’esercizio.

Se lo desiderano, essi potranno

confrontarsi in piccolo gruppo

La metacognizione che aiuta a studiareLa metacognizione che aiuta a studiare

News insegnanti Gruppo AbeleAgorà libera

Cosa sto facendo? Perchè? Come posso essere più efficace?Insegnare ad auto-interrogarsi aiuta ad apprendere di più.

News insegnanti Gruppo Abele

Cos’ è la metacognizione?

Ecco alcuni concetti base per capire:

1- Conoscenze metacognitive generali:

l’atteggiamento della persona che riflette sul

funzionamento dei propri processi di pensiero;

2- Conoscenze metacognitive specifiche:

i concetti e le informazioni che la persona possie

de

inerenti il funzionamento intellettivo;

3- Processi metacognitivi di controllo:

le operazione con cui il soggetto verific

a i propri

processi cognitivi.

Il punto 3 è influenzato dai punti 1 e 2.

Paola Romitelli - tratto da: http://www.ilprisma.org/articolo39.htm

Un soggetto che “usa” bene la me-tacognizione è una persona che rie-sce a porsi almeno tre domandefondamentali durante l’esecuzionedi qualsiasi attività di problem sol-ving:1.Cosa sto facendo?2.Perché lo sto facendo? Qual è loscopo per cui sto facendo questadeterminata cosa?3.Come posso agire per fare inmodo che tale processo sia massi-mamente efficace?Si può quindi affermare che la me-tacognizione è uno strumento di ap-prendimento mediante il quale sirendono le persone consapevoli delmodo in cui affrontano i compiti co-gnitivi e, si insegna a gestire in modoefficace i processi che mettono inatto. (...)L’autoconsapevolezza deve basarsianche sulla distinzione tra la valuta-zione di se stesso come persona e lavalutazione del proprio comporta-mento.Cosa vuol dire questo?Vuol dire che il proprio comporta-mento non coincide con la persona

e, tenere questi due ambiti uniti, potrebbecreare delle difficoltà di autostima. E’ importante infatti osservare il comporta-mento in sé e mai la persona, e poter offriredelle modalità di confronto positivo tra lestrategie che risultano non efficaci e quelleinvece che lo sono, ed insegnare alla per-sona ad autointerrogarsi sul proprio modo diprocedere.E’ quindi importante imparare (ed inse-gnare) a porsi domande come:«Sono concentrato?», «Mi sono cominciatoa stancare?», «Come faccio a memorizzaregli elementi più importanti?», «Tendo a di-strarmi?»…(...)Le ricerche in questi ambiti hanno confer-mato che le prestazioni degli studenti chehanno una buona consapevolezza meta-cognitiva, in generale, sono migliori poichéil compito viene affrontato con maggiorcoinvolgimento personale.La variabile emotivo-motivazionale apparequindi avere un ruolo fondamentale; (essa) si poggia direttamente sulla fiducianelle proprie capacità di portare a terminecon successo delle attività, che prende ilnome di autoefficacia. (...)In un qualsiasi evento, gli ostacoli o le diffi-coltà che possono presentarsi, sono perce-

piti come stimolanti per un maggiorimpegno nel superarli da chi ha unalto grado di autoefficacia (cioè sisente competente), mentre sonopercepiti veramente difficoltosi,spesso con la conseguenza di un ab-bandono del compito da chi ha unbasso grado di autoefficacia.La percezione che si ha della propriaautoefficacia può cambiare neltempo grazie ai rinforzi che si rice-vono, alle persone che dimostranodi credere nelle abilità dell’altro, daiprecedenti successi, l’importante èattribuire (e imparare ad attribuire)ai successi la propria competenza.Quindi, la metacognizione e la moti-vazione si influenzano a vicenda in-fluenzando a loro volta i processi diapprendimento.E’ perciò importante il modo con cuil’insegnante trasmette questi con-cetti. Non bisogna solo essere dei“trasmettitori di sapere”, ma è vitaleriuscire a trasmettere il messaggio, achi ci sta di fronte, del valore che ri-veste per se stesso e per gli altri.

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Il binocolo

Meritocraz ia = l ’ ing iust iz ia sdoganataMer itocraz ia = l ’ ing iust iz ia sdoganata

La scuola sembra ancora un bosco incui ci si può perdere. (...)L’apparte-nenza famigliare non protegge da in-cursioni che possono scombinare(...)Chi cresce è esposto a molte sedu-zioni che scombinano la vita. Mi domando come abbiamo fatto acorrompere a tal punto il linguaggioda utilizzare il termine “merito” e il suoderivato “meritocrazia”. A volte sembra che con meritocraziasi desideri regolare dei conti, in parti-colare con l’idea di una scuolaaperta e accogliente per tutte e tutti.Mi piace citare Luigi Ciotti: “[…] dob-biamo augurarci tutti – e noi adultiper primi - di essere analfabeti.Quell’analfabetismo che non ci famai sentire arrivati, chiusi in illusoriecertezze, ma disponibili allo stuporeda cui nasce prepotente il bisogno dicapire” (L. Ciotti, 2011, La speranzanon è in vendita, Firenze-Torino,Giunti-EGA, p. 116). E aggiungere Ki-pling: “Tutti quelli che ci assomiglianosono Noi, e tutti gli altri sono Loro” (R.Kipling, We and They). Il merito sem-bra riconosciuto unicamente se asso-miglia al mio, al nostro. Per chi haquesto merito, indipendentementedalla famiglia da cui proviene, ilbosco vuol dire un sentiero tranquillo.Preferisco un merito da scoprire, sen-tendosi sanamente analfabeti, comeaveva fatto Paulo Freire sentendosianalfabeta di fronte a contadini chesi ritenevano analfabeti ma conosce-vano molte cose che Freire ignorava.Riscopriamo il valore delle parole.Sentiamoci analfabeti. Troveremo lasperanza.Per una certa occasione, ho scritto, emi autocito con presunzione. “Merito è una parola molto utilizzata,soprattutto nel suo derivato meritocrazia. Uno degli obiettivi, e uno deivanti, di un certo modo di proporre unprogetto politico fa riferimento allanecessità di restaurare i principi meri-tocratici. Che, nella corruzione delleparole, sono intesi come meriti daconfermare. Chi nasce fortunato, echi nasce sfortunato. Secondo questo presupposto, i prin-cipi meritocratici possono essere inter-pretati come l’individuazione il piùpossibile precoce dei fortunati, i meri-

tevoli, che devono ricevere tutte le at-tenzioni. Mentre gli altri, gli sfortunati im-meritevoli, devono essere messi incondizione di non far perdere tempo,energie e soldi. Per questo, coerentemente, è non soloinutile ma dannoso come ogni sper-pero: organizzare tempo pieno scola-stico, insegnanti specializzati perl’integrazione, compresenze, e altri ac-corgimenti didattici. E nelle università èdannoso perdere tempo, energie e soldi per la ricerca didattica che tengaconto dei bisogni speciali di alcuni, glisfortunati. In questa impostazione, risul-tano spese improduttive quelle che ri-guardano quel settore che vienesovente indicato come “il sociale”, eche si occupa di soggetti problematici(sfortunati e immeritevoli)”.Le spese considerate improduttivesono sempre le prime candidate adessere tagliate. E’ evidente che questa conce-

zione di principi meritocratici ha un ri-svolto economico di grande impor-tanza. L’individualismo di questi principié rinforzata, e si rinforza, con una di-mensione individualistica dell’econo-mia. Ma una dimensione individualisticadell’economia può avere prospettive difuturo unicamente rinforzando le difese– e quindi spendendo, ma in difese… -nei confronti degli altri.Il merito, e il demerito, come destino, fa-vorevole o avverso, ma sempre indivi-duale. E il merito come carta di creditoricevuta dalla fortuna e che permettedi sfuggire al faticoso calcolo della re-altà, al pesante sacrificio che rendepossibile ciò che si desidera. Mette fuorigioco la fatica del lavoro per un pro-getto. Mette fatica e strategia al serviziodella caccia alla fortuna. Illude che sipossa vivere avendo immediatamenteciò che si desidera e che non si è an-cora conquistato.

Canevaro ci ha regalato una lunga intervista via mail in cui condivide il suo pensiero sulle mode della scuola di oggi.

Una bellissima riflessione che smonta falsi miti della modernità.Tratto da : http://lascuolariguardatutti.blogspot.it/

News insegnanti Gruppo AbeleC’é posta per...

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Scuola accogliente... Scuola accogliente...

E’ appena uscito un libro di Italo Fiorin, docente di Didattica e Pedagogiaall’Università LUSMA di Roma e direttore di “Scuola Italiana Moderna”.

News insegnanti Gruppo Abele La collezione

“Se nella scuola-impresa lo studente è sollecitato ad acquisire abilità necessarie al successo, nella scuola-comunità la relazione con gli adulti lo incoraggia a sviluppare

le proprie potenzialità per essere pienamente se stesso”.

Nella scuola l’esperienza del “successo” ha un ruolo fon-damentale. Il successo scolastico come esito finale rap-presenta il risultato di una lunga catena di successiparziali, conseguiti in seguito al superamento dei numerosicompiti di apprendimento che continuamente gli inse-gnanti pongono, durante le lezioni, nei momenti di veri-fica, negli esami finali … Il voto sancisce il livello ottenutoad ogni prova, ma agisce anche da molla motivazionale. Si può studiare “per il voto”, perché questo mi dà accessoal riconoscimento sociale (apprezzamento dell’inse-gnante, dei genitori…). Si può anche studiare quantobasta per non prendere un “brutto voto”, così da evitaresgradevoli conseguenze a scuola o in famiglia. Si può, infine, cercare di ottenere “il massimo dei voti”, incompetizione con gli altri.Tuttavia, affrontare la realtà dell’apprendimento impo-stando la motivazione sul riconoscimento esterno è molto

parziale e rischia di produrre più danni che benefici. Il li-mite principale consiste nell’ignorare che le persone agi-scono non solo per ragioni di tipo utilitaristico edestrinseco, così come non lo fanno solo per motivi razio-nali. Noi non ci mobilitiamo esclusivamente per ciò che èricompensato, ma ci impegniamo, e molto di più, senzacalcoli utilitaristici, per ciò che è, in sé, per noi una ricom-pensa, a prescindere da ogni altra attestazione esterna eda ogni vantaggio pratico che possa derivarne. Ci sonocose che sentiamo molto importanti, che facciamo per ilpiacere di farle o per la passione che ci anima. Hannosenso per noi, ci ripagano della fatica. Una motivazione basata sul riconoscimento esterno nonmobilita la dimensione interiore della persona e quindinon costruisce indipendenza, autonomia, fiducia nelleproprie possibilità, proprio quei valori che si desidera per-seguire. Continua a pagina 8

7

Se si imposta l’insegnamento

come relazione insegnante-alunni,

ignorando la grande risorsa sociale

che è rappresentata dal gruppo,

è quasi inevitabile far leva

sulla motivazione estrinseca

o sulla competizione individuale.

In questo caso la potenziale ricchezza

costituita alla presenza degli altri

(i compagni di classe)

è pressoché inutilizzata.

L’insegnante è di fronte alla classe: pone domande agli allievi.Dopo ogni domanda un numero di mani si alza.

Alcuni allievi allungano le maninella speranza di essere chiamati.

Altri non alzano la mano e cercano di non incrociare gli occhi dell’insegnante nella speranza di non essere chiamati.

L’insegnante chiama Diane. William, che siede vicino a Diane, conosce la risposta giusta

e sa che, se Diane non riesce a rispondere, l’insegnante può chiamare lui.

In effetti, l’unico modo in cui William può ottenere un riconoscimento

in questa situazione è che Diane fallisca. E’ naturale che, in questa struttura di classe così competitiva,

gli studenti comincino a provare piacere del fallimento degli altri.

(Kagan S.)

Il paradigma attualmente prevalente nelle scuole, al-meno ufficialmente, promuove la competizione e l’ec-cellenza. Ma se uno deve “competere” ed “eccellere”,l’implicazione è che altri devono perdere, persino fallire.Puntare su meccanismi competitivi può favorire l’impe-gno nello studio e il raggiungimento di buoni o eccellentirisultati da parte di alcuni, ma può anche agire da fat-tore depressivo e disincentivante nei confronti di chi èconsapevole che per lui non ci sarà gara, troppo di-stante dai migliori per poter misurarsi coltivando aspet-tative di successo. (...)Non si tratta di rifiutare la competizione, ma di cambiareil contesto nel quale è richiesta.È importante collegare il successo alla responsabilità

personale, piuttosto che al confronto con i compagni diclasse, evitando di incrementare la contrapposizione efavorendo la condivisione della responsabilità del suc-cesso. Questo è possibile quando c’è uno scopo gene-rale, che il gruppo sente importante(...) Un esempio illuminante ci è offerto dagli sport di gruppo,nei quali la prestazione del singolo è la condizione delsuccesso di tutta la squadra.Avere uno scopo comune consente di inserire la spintaindividuale all’autorealizzazione e al successo all’internodi un orizzonte di senso più ampio ed arricchente.

Tratto da: Scuola accogliente, scuola competente Italo Fiorin - Ed. La scuola

... Scuola competente... Scuola competente

News insegnanti Gruppo Abele

Istruire non è selezionare,

al contrario

è sforzarsi di far riuscire tutti,

è quindi lottare

contro la curva di Gausss

presa come modello

di selezione.

G. De Landsheere

Cari colleghi, abbiamo voluto provocare e suscitare interrogativi,

perchè crediamo che un’altra scuola è possibile ...

Il nostro viaggio alla ricerca delle scuole che funzionano come comunità educanti è già iniziato.

Sul prossimo numero vi racconteremo di un’altra bellissima esperienza.

Continuate a segnalarci le scuole-perla che conoscete e scrivete le vostre impressioni a

[email protected] lavoro a tutti!

Dall’ultimo libro di Italo Fiorin, ed.La Scuola Continua da pagina 7

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