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LA ZISA

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INDICE

Gli arabi e i Normanni in Sicilia pag. 3

La Storia del monumento pag. 6

Pianta e alzato pag. 8

I restauri della Zisa pag. 12

La parte decorativa pag. 14

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Gli arabi e i normanni in Sicilia

Il periodo della dominazione degli arabi e dei normanni è stato uno dei più fiorenti che la Sicilia abbia mai avuto. Per primi arrivarono gli arabi che dopo aver cercato varie volte di conquistare la Sicilia, nell’ 827 sbarcarono a Mazara, da lì si diressero verso Agrigento per poi arrivare a conquistare Palermo nell’831, dopo un anno di assedio. Conquistarono definitivamente la Sicilia nel 902 prendendo Taormina.

Palermo diventò il capoluogo siciliano nel 984 e la città ebbe uno sviluppo socio-culturale mai visto: ci fu un grande progresso nell’agricoltura (i gelsi e la seta) e i giardini diventarono il centro di attrazione del mediterraneo; Palermo diventò anche il centro di scambio sia dell’oriente che dell’occidente e navi provenienti da gran parte dell’Italia arrivavano nel suo porto creando un mercato internazionale. La Sicilia e soprattutto Palermo veniva apprezzata e ammirata da chiunque in quel periodo così roseo, dove gli arabi riuscirono a rendere Palermo il centro della cultura, dell’ingegneria e della scienza di quel tempo.

Gli arabi originariamente chiamarono la città Balarmu; essa fu governata all’inizio da un wali e successivamente da un emiro, nominalmente dipendenti dal califfo di Tunisi o dell’Egitto, assistito da un consiglio.

Per quanto riguarda la religione, risulta che vi furono 500 moschee anche se molte di esse erano precedentemente delle chiese cattoliche: infatti, persino la cattedrale fu trasformata in una moschea. Tra i palermitani e i musulmani non ci fu una vera e propria fusione ma una tolleranza reciproca, anche se non mancavano oppressioni da parte dei musulmani verso i cristiani: ci furono delle persecuzioni verso i cristiani e molti furono costretti a fuggire, basti pensare ai monaci basiliani che dovettero rifugiarsi in Calabria. Il concetto era che si poteva vivere una vita da cristiano ma non era facile con i musulmani che non tolleravano facilmente questa diversità. Infatti i cristiani erano costretti a pagare delle imposte.

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Gli arabi però, non mantenevano un governo basato sulla tirannia o sull’oppressione, anzi cercavano di mantenere la pace comune; si parlavano tre lingue: greco, latino e, ovviamente, arabo.

Palermo fu governata dai Wudì aglabiti dall’831 al 912, poi subentrarono i Fatimiti e in seguito dai Kabliti. Un grande emiro, che fu paragonato a Lorenzo De’ Medici in quanto a magnificenza, fu Giafar che, però, fu di costumi corrotti poiché dovette uccidere suo fratello e fu costretto a scappare in Africa.

Per poter mantenere la distinzione tra le varie popolazioni presenti, gli arabi divisero la città di Palermo in vari quartieri: il Kasr che corrispondeva all’antica Paleopoli, il Kemonia che corrispondeva ai quartieri popolari e al mercato, il Sagalibah che andava dal Capo, dove risiedevano le truppe mercenarie, alla via Celso, e infine il Wadì Abbas, che era situato dal fiume Oreto fino a Monreale.

Tuttavia, nonostante la grandezza della Sicilia nel periodo arabo, i lasciti artistici architettonici che abbiamo sono stati creati sotto il dominio Normanno nel cosiddetto periodo arabo-normanno.

I Normanni erano una popolazione proveniente dalla Normandia francese; essi ponevano le loro armi al seguito di chi li avrebbe arruolati nell’Italia meridionale. Alcuni erano guidati dai figli di Tancredi d’Altavilla e tra questi spiccavano Roberto il Guiscardo, detto “il furbo”, e il fratello Ruggero. Nel 1059 Papa Nicola II li autorizzò a cercare di conquistare l’Italia meridionale se Roberto avesse giurato eterna fedeltà alla Chiesa di Roma.

In quel periodo gli stessi Saraceni erano in conflitto fra loro perché non concordavano con gli emirati di Mazara, Girgenti (attuale Agrigento), e Siracusa . Così i musulmani siracusani e catanesi appoggiarono Roberto nella conquista della Sicilia. Infine, nel 1072, Ruggero riuscì con la sua flotta ad entrare nel porto di Palermo.

Roberto fu l’amministratore della città e durante il suo governo si dimostrò un ottimo governante fondando il suo regno nella giustizia, nella

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sapienza e nella tolleranza e infatti fu molto amato dalla popolazione. Istituì delle leggi secondo il diritto giustinianeo basandosi anche sulle culture, lingue, religioni e costumi delle diverse popolazioni presenti nella città e soprattutto ricostruì la latinità cattolica e restituì a molte chiese che erano state trasformate in moschee il loro ruolo di chiese. Divise poi la città per le varie popolazioni, per esempio i latini occuparono la zona dell’Albergheria, i Greci quella della Cattedrale e gli Ebrei quella della Kalsa fino ad arrivare al porto ,così da potersi occupare dello scambio di merci e del commercio.

Palermo fu proclamata la capitale della Sicilia e si rese indipendente dalla Puglia e dal suo governo. Ormai nel 1091 si poteva dire che la Sicilia era di completo dominio Normanno.

Alla morte di Roberto il governo passò al fratello Ruggero, che fu incoronato nella cappella palatina, nel 1085; il nuovo re cercò di seguire le orme di suo fratello mantenendo un governo equilibrato e finanziando i lavori per fare tornare la cattedrale come prima e non più una moschea. Ruggero instaurò il feudalesimo in Sicilia ma riservò a se stesso le principali città presenti in Sicilia che considerava suo dominio e sua proprietà; Papa Urbano II il 5 luglio del 1098 concesse a Ruggero la Legazia Apostolica. Non mancarono sotto il suo dominio progressi culturali quali la costruzione di alcuni dei monumenti più importanti di Palermo come la Cappella Palatina e il Palazzo Reale (detto anche palazzo dei Normanni). Fece anche creare un grande e importantissimo parco chiamato Genoard dove andava spesso a cacciare per la presenza di ottima selvaggina.

Lì sorgeva la Zisa, un palazzo creato come residenza estiva del re.

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La storia del monumento

Il palazzo della Zisa (dall’arabo Al-Aziza,”la splendida”) sorgeva fuori dalle mura di Palermo, all’interno del parco reale Normanno, il Genoardo (dall’arabo Jannat al-ard ovvero “giardino o paradiso della terra”), che si estendeva con rigogliosi giardini,fontane e vasche d’acqua, da Alfofonte (il cui nome era proprio parco) fino alle mura del palazzo reale. Oltre alla Zisa furono costruiti nel Genoardo il palazzo dell’Uscibene ed i padiglioni della Cuba e della Cuba soprana.

I normanni, subentrati agli arabi nella dominazione dell’isola furono fortemente attratti dalla cultura dei loro predecessori. I normanni vollero residenze ricche e fastose come quelle degli emiri ed organizzarono la vita di corte su modello di quella araba. Fu cosi che la Zisa, come tutte le altre residenze reali, venne realizzata alla maniera arba da maetranze di estrazione musulmana, guardando a modelli dell’edilizia palazziale dell’Africa settentrionale e dell’Egitto, a conferma dei forti legami che la Sicilia continuò ad avere, in quel periodo con il modo culturale islamico del bacino del Mediterraneo.

Essendo stato pensato come residenza estiva, venne posizionato con esposizione a nord-est, in modo che la brezza del mare potesse arrivare e ventilare bene gli ambienti è progettato con un sistema di ventilazione che prevede la continua circolazione dell’aria attraverso i fori (canne di ventilazione) presenti sul pavimento in ogni piano, geniali accorgimenti di architettura araba e uno dei modelli più preziosi e importanti di architettura bioclimatica senza ausilio di aria condizionata. Tutto è refrigerato in maniera naturale, solo con flussi d’aria abilmente posizionati nel palazzo, le fontane e le finstre sapientemente collocate.

La brezza del mare poi veniva inumidita dal passaggio sopra la grande peschiera antistante il palazzo, ed insieme alla presenza di acqua corrente all’interno della sala della fontana dava una grande sensazione di frescura.

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L’etimologia della Zisa ci viene spiegata da Michele Amari che, nella sua storia dei musulmani di Sicilia così scriveva “(Re) Guglielmo (I)… rivaleggiando col padre… si mosse a fabbricare tal palaggio cher fosse più splendido e sontuoso di que’ lascitigli da Ruggiero. Il nuovo edifizio fu murato in brevissimo tempo con grande spesa e postogli il nome di Al-Aziz che in bocche italiane diventò “La Zisa” è così diciamo oggi.

Le prime notizie indicanti in 1165 come data di inizio della costruzione della Zisa sotto il regno di Guglielmo I detto il malo, ci sono state tramandate da Ugo Falcando del Liber De Regno Siciliae. Sappiamo da questa fonte che nel 1166, anno della morte di Guglielmo I, la maggior parte del palazzo era stata costruita, e l’opera fu portata a termine dal suo successore Guglielmo II detto “il buono”

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Pianta e alzato

É un celebre palazzo arabo-normanno, la cui costrizione é iniziata nel 1171 e finita nel 1175.

Ha una pianta rettangolare alta e compatta che si sviluppa su tre piani e

all'esterno é diviso a metà da un canale che porta acqua alle diverse

vasche, riproduzione di quello più antico che recava acqua alla famosa

Sala della Fontana; l'ermetica cubatura della massa muraria, interrotta sui

lati corti da due torri snelle quadrate, é solcata nei tre ordini da leggere

arcate cieche che racchiudevano in origine finestrelle bifore e finiva in

alto con una cornice con epigrafe araba, risecata nel XVI secolo per

ricavarvi i merli.

Il palazzo é un parallelepipedo largo 36.30 metri x 19.75 metri e di altezza

25.70 metri; nei lati corti aggettano due corpi turriformi di 2.35 x 4.20

metri di altezza.

Osservando l’edificio, si nota subito lo stile architettonico di origine araba

a cui i sovrani normanni si ispiravano tantissimo.

Caratterizzata da una sala centrale a due piani, scavata da nicchie e

sovrastata da un'altra sala, in cui si dispongono vari ambienti d'abitazione

più piccoli.

Residenza stagionale dei normanni, circondata un tempo da un vasto

parco e specchiatesi in un bacino d'acqua antistante, ha un interno assai

complesso, composto di ambienti pubblici e appartamenti privati,

sviluppati, questi ultimi nei diversi piani.

Per quanto riguarda il piano terra, oltrepassando il lungo vestibolo voltato

si giunge alla Sala della Fontana, architettura morbida orientale, ambiente

di rappresentanza a pianta cruciforme, con volte a stalattiti.

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Primo piano si presenta di dimensioni più piccole e chiuso all'esterno,

poiché buona parte della superficie é occupata dalla Sala della Fontana e

dal vestibolo d'ingresso, che con la loro altezza raggiungono il livello del

piano superiore. Esso é costituito a destra e a sinistra dalla Sala della

Fontana dalle due scale di accesso che si aprono su due vestiboli. Questi si

affacciano con delle piccole finestre sulla parte alta della Scala, affinché

anche dal piano superiore, si potesse osservare quanto accadeva nel

salone di ricevimento. Questo piano costituiva una delle zone residenziali

del palazzo ed era destinato molto probabilmente alle donne.

Secondo piano constava originariamente di un grande atrio centrale delle

stesse dimensioni della sottostante Sala della Fontana, di una contigua

sala belvedere che si affaccia sul prospetto principale e di due entità

residenziali poste simmetricamente ai lati dell'atrio. Questo piano dovette

certamente assolvere alla funzione di luogo di soggiorno estivo privato,

dal momento che l'arrivo centrale scoperto apriva questo luogo all'aria ed

alla luce.

Facevano parte anche del complesso monumentale normanno anche un

edificio termale, i cui resti furono scoperti ad ovest della residenza

principale durante i lavori di restauro del palazzo, ed una cappella

Palatina posta poco più ad ovest.

Ogni segno del giardino originario é scomparso, resta solamente il

tracciato del bacino che, come scrive l'Alberti, aveva in centro un

chioschetto cupolato, aperto sui quattro lati. É da escludere che il

giardino facesse parte del parco regio Genoard, anche perché come

attesta Romualdo Salernitano, fu creato ex-novo ed è ubicato in una zona

alquanto discosta da quello e separata da una bassura paludosa.

Presumibilmente era circondata da un muro.

L'organismo costruttivo della Zisa fu il risultato di un progetto studiato

con scientifica cognizione delle dinamiche strutturali e della funzionalità

della distribuzione ad incastro degli spazi interni; più ampio e alto quello

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dell'iwan rispetto a quelli residenziali.

La Zisa aveva un serie di servizi esterni, sussistono in vista la cappella e

l'edificio termale, di cui si conserva un ipocausto rettangolare con

suspensurae in mattoni. La cappella ad unica navata, con volta a crociera,

preceduta da un vestibolo anch'esso coperto da una volta a crociera

adegua nella distribuzione degli spazi forme e strutture fatimite alle

funzioni liturgiche bizantine, é evidente la sua parentela con le cappelle

della Favara e del palazzo Altofonte.

Il palazzo nacque contestualmente al giardino che era molto

probabilmente un Riyad, come d'altro canto attesta l'iscrizione testé

citata. Fu un luogo deputato al riposo dove l'avvolgente presenza del

verde era essenziale, assieme a quella dell'acqua e della fauna; il riposo

dunque era accompagnato dal godimento di feste, concerti e danze che

avevano luogo nel grande iwan.

Troviamo all'esterno i giardini della Zisa con i suoi tre percorsi, la «via

dell'acqua», la «via del verde» e la «via dell'ombra», un reticolato

metallico che sarà coperto da bouganville e da glicine e da gelsomini. In

mezzo la lunga vasca con le ceramiche lavorate dai mastri di Santo

Stefano di Camastra, gli zampilli, il marmo bianco delle cave di Alcamo e

di Castellammare, un proseguimento ideale del tracciato d'acqua della

sala della fontana, quella che si apre oltre le porte del palazzo della Zisa. E

fuori dalle sue mura c'è ancora la «senia», una piattaforma di pietra

circolare con al centro un pozzo e una macchina dentata. Una volta un

asinello legato e bendato vi girava all'infinito intorno, con il suo andare le

pale tiravano su dal pozzo l'acqua che finiva poi in una cisterna e scivolava

nei canali che irrigavano il giardino.

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I restauri della Zisa

Fin dalla sua origine la Zisa è stata vittima di numerosi restauri.I primi furono realizzati nel trecento poiché fu aggiunta una merlatura, che coronava il palazzo, che però distrusse un'iscrizione originale a caratteri cufici.

Dopo questi, la Zisa cadde in rovina. Colui che ne ribaltò la sorte fu Sandoval che la rese abitabile; egli, infatti, ricoprì con una volta a crociera l'atrio principale rimuovendo le quattro colonne e le strutture che delimitavano le corsie. Furono innalzati due padiglioni che sovrastavano i chiostrini per proteggerli. Sandoval suddivise con un solaio il vestibolo che fece poggiare su due nuovi archi che innalzò se stesso.Sfondò un muro portante dell'ala sinistra per unificare i vani e rendere gli spazi più ampi. Sandoval smise di lavorare sulla Zisa nel 1636 e sarà l'unico architetto importante, prima di Caronia, a rimettere in sesto questo castello.

I lavori ripresero nel 1940 quando le volte e le mura della sala della fontana furono scorciate; inoltre, nello stesso anno le muqarnas, decorazioni tipiche musulmane, furono private del loro rivestimento originale. Finalmente, dopo essere stata una struttura privata per molti anni, nel 1951 viene ottenuta dalla regione siciliana che fece piccoli lavori sulle decorazioni.

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Nel 1953/54 fu restaurata per la prima volta la Sala della Fontana dove smantellarono i pavimenti; nello stesso periodo vennero demoliti due balconcini che si sovrapponevano sul fronte. Dopo il terremoto del '68 la struttura venne abbandonata dalla regione e venne vandalizzata.

A peggiorare la situazione ci fu il cedimento della parte dell'ala settentrionale insieme allo scalone seicentesco e alla facciata settentrionale per colpa di un consolidamento della struttura non adeguato duramente gli ultimi restauri.

Nel 1972 ci sarà l'ultimo restauro della Zisa, realizzato dall'architetto Giuseppe Caronia.

Questo restauro consistette nel riempimento delle mura originali con del cemento e delle cuciture in acciaio sigillate con della resina.

L'architetto, inoltre, divise la parte originale Normanna da quella moderna restaurata con delle mura in mattoni realizzate per aiutare il visitatore a comprendere la differenza.

Vennero sostituite anche le vetrate che resero l'interno del castello molto luminoso, forse fin troppo, dato che i critici le definiranno come "Rovina dell'atmosfera pacifica creata dai Normanni.

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La parte decorativa

Il palazzo della Zisa, concepito come dimora estiva dei re, rappresenta uno dei migliori esempi del connubio di arte e architettura normanna con ambienti tipici della casa normanna e le decorazioni e ingegnerie arabe per il ricambio d'aria negli ambienti. Si tratta infatti, di un edificio rivolto a Nord est cioè verso il mare per meglio godere delle brezze più temperate, specialmente notturne, che venivano captate dentro il palazzo attraverso i tre grandi fornici della facciata e la grande finestra Belvedere del piano alto. Questi venti, inoltre, venivano inumiditi dal passaggio sopra la grande peschiera antistante il palazzo e la presenza di acqua corrente all'interno della sala della fontana dava una grande sensazione di frescura. Il secondo ordine é segnato da una cornice marcapiano che delinea anche i vani delle finestre, mentre il terzo, quello più alto presenta una serie continua di arcate cieche. Una cornice con l'iscrizione dedicatoria chiudeva in alto la costruzione con una linea continua. Si tratta di un iscrizione in caratteri cufici, molto lacunosa e prova del nome del re e la data che è tutt'ora visibile nel muretto dell'attico del palazzo. Questa iscrizione viene, infatti, tagliata ad intervalli regolari per ricavarne merli nel momento il cui il palazzo fu trasformato in fortezza. Nel piano terra del palazzo abbiamo La Sala Della Fontana, nella quale il sovrano riceveva la corte. La Sala Della Fontana é ricoperta di muqarnas (decorazioni ad alveare). La parete infondo presenta un raffinato pannello musivo racchiuso da una cornice costituita da piccoli motivi floreali stilizzati, pure in mosaico sono tre medaglioni dal fondo d'oro, quello centrale con arcieri e i due laterali con animali disposti ai lati di palme stilizzate. I due ariceri sotto la palma, nell’atto di scoccare la freccia possono essere interpretati, infatti, così come appare nelle antiche religioni orientali, come l’emblema della potenza guerriera e della superiorità militare, l’arco è inoltre, in tutte le culture l’arma regale per eccellenza. Nel mondo islamico l’arco si identifica con la potenza divina che attraverso la freccia elimina il male, l’ignoranza e ogni sorta di

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negatività. L’arco teso con la freccia indica infine la tensione verso l’altro e dunque verso il trascendente.

La palma è universalmente considerata come simbolo di vittoria, di rigenerazione e immortalità. Il suo antico e originario significato come emblema della vittoria militare, portata nei cortei trionfali romani è stato successivamente interpretato dalla chiesa primitiva come simbolo della vittoria cristiana sulla morte. Divenuta in seguito sinonimo del martirio dei santi, non perde il significato di elemento volto alla rigenerazione della vita e al superamento della morte.

La palma della passione equivale al calvario e alla fine alla resurrezione del cristo salvatore. Gli antichi credevano che le carni del pavone fossero incorruttibili, dunque non soggette a degenerazione e decomposizione, resistenti al trascorrere del tempo: per queste ragioni è divenuto sinonimo di immortalità associato inoltre alla regalità e alla gloria e questo ne spiega anche la sua ampia diffusione nella simbologia antica e nei repertori figurativi dell’iconografia medievale.

Nella tradizione cristiana il pavone rappresenta anche la ruota solare e per questo è un segno dell’immortalità, in quanto luce eterna. Nel medio oriente i pavoni stanno generalmente ai lati dell’albero della vita, come simbolo dello stato primigenio e della rigenerazione della natura e della vita.

Nell’Islam il pavone appare come simbolo cosmico in quanto la ruota raffigura l’universo intero nel suo divenire e pertanto il trascorrere del tempo circolare.

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Nella nicchia sull'asse dell'ingresso principale si trova la fontana sormontata da un pannello a mosaico su fondo oro sotto il quale scaturisce l'acqua che scivolando su una lastra marmorea decorata a chevrons porta in posizione obliqua, viene canalizzata in una canaletta che taglia al centro il pavimento della stanza e che arriva alla peschiera antistante. In questo ambiente sono ancora visibili i resti di affreschi parietali realizzati nel '600 dai Sandoval. Nelle altre sale sono esposti alcuni significativi manufatti di matrice artistica islamica provenienti da paesi del bacino del mediterraneo. Tra questi sono di particolare rilevanza le eleganti musciarabia, paraventi lignei a grata (composti da centinaia di rocchetti incastrati fra di loro a formare, come merletti, disegni e motivi ornamentali raffinati e leggeri) gli utensili di uso comune o tal volta di arredo (candelieri, ciotole, bacini, mortai) realizzati prevalentemente in ottone con decorazioni incise e spesso impreziosite da agemine (fili e lamine sottili) in oro e argento. Anche fregi epigrafici presenti nell’edificio concorrono a tracciare la sua storia alle origini.

Il primo, in caratteri cufici, sul muretto d’attico della facciata principale, ridotto in forma di merli nel 14 secolo quando la Zisa fu trasformata in torre agricola, essendo assai mutilo, offre scarse interesse documentario.

Assai piu importante quello, purtroppo incompleto, in caratteri naskhi e in versi che avvolgeva la ghiera della grande arcata iwan della fontana: è l’interpretazione artificiale di un giardino paradiso, una proiezione all’interno del palazzo del giardino reale esterno. Il vero e naturale vi era rifatto artificialmente, mediante la raffigurazione plastica nei capitelli di uccelli beccanti, e di palmizi, arcieri e volatili nel pannello musivo sulla fontana, di pesci scolpiti nello shadhirwan e musaicati, come ci attesta l’Alberti nella canaletta del pavimento.

Lo shadhirwn, lasta obliqua corrugata da chevrons, permette al velo dell’acqua che vi scorre di luccicare alla debole luce dei lampadari.

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L’uso generale di volte reali su tutti gli ambienti documenta il magistero d’arte delle maestranze che la costruiscono.

In orizzontale è distribuito in tre ordii che nella facciata appaiono suddivisi da cornici a marcapiano: il primo è liscio, gli altri due sono percorsi da modanature che formano riquadri di grafica eleganza. Le finestre principali erano bifore, con colonnine tortili.

Il pianterreno è disimpegnato da un lungo vestibolo che immette al centro del grande iwan e ai lati agli appartamenti della prima elevazione e alle scale. Esiste una perfetta simmetria speculare tra gli opposti corpi settentrionale e meridionale, ai quali fanno da asse iwan e il superiore atrio scoperto. Gli appartamenti sono tre su ciascun lato e hanno la medesima distribuzione dei vani che avevano quasi tutti muqarnas nelle nicchie e intonaci bianchi e lisci nelle pareti. I due appartamenti del primo piano, comunicanti fra di loro mediante uno stretto corridoio, ospitavano l’harem del re.

L’iwan è decorato da mosaici, da alti muqarnas nelle nicchie, da colonnine annicchiate negli spigoli delle pareti, il quarto muqarnas a doppia faccia nell’arcata d’ingresso e simmetrico agli altri è quasi de tutto scomparso. Nei muqarnas laterali si aprono delle finestrelle, in origine chiuse da griglie, che permettevano alle donne di assistere agli spettacoli.

La fontana è sovrastata da un’aquila a mosaico simbolo del potere regio.

Nel palazzo il comfort era quello massimo che la tecnologia dei tempi permetteva. Ciascun appartamento era fornito di latrine con acqua a scorrimento, di ripostigli incavati nelle pareti, e soprattutto di un sistema di ventilazione ottenuto da due canne accostate alte quanto il palazzo stesso e poste nel grosso muro delle due torrette laterali; la loro diversa sezione permetteva la fuoriuscita dell’aria calda e la conseguente immissione di quella fresca. Nella parte alta delle pareti la presenza di fori di alloggiamento documenta l’uso di travi incrociate atte a sospendervi tende e lampadari. Travi di legno di castagno affiancate, talune delle quali esistono, costituivano soglie e architravi di porte e rispostigli delle pareti.

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I pavimenti, in grossi mattoni di cotto, erano destinati ad essere coperti da tappeti.

Il bema è rettangolare; in esso il passaggio dal rettangolo alla circonferenza della cupola avviene mediante due bei muqarnas laterali. Ai fianchi dell’abside sono due nicchie, ricavate nel grosso muro, che fungono da protesi e diaconico.

Entrare nel castello della Zisa é un'esperienza magica, di colpo ti senti proiettato in tempi lontani e pieni di fascino. Ci si prova ad immaginare che tipo di vita conducessero questi re che avevano il privilegio di riposarsi nella frescura delle spesse mura, tra il fruscio dell'acqua zampillante dalle fontane e dalle peschiere che si trovano davanti all'ingresso principale, e passeggiare tra l'ombra discreta di giardini rigogliosi e profumati. La cosa che più attira i visitatori sono i così detti "Diavoli della Zisa".

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Si tratta di un affresco dipinto nell'intradosso dell'arco d'ingresso alla sala della fontana, e raffigura personaggi mitologici detti "diavoli" perché risulta estremamente difficile contarne l'esatto numero. Il tesoro sarebbe arrivato a Palermo per mano di due giovani amanti, Azel Comel e El-Aziz, costretti a scappare dopo che il sultano, padre della ragazza, si era opposto alle nozze. Arrivati nel capoluogo siciliano, Azel aveva chiamato i migliori costruttori per erigere il palazzo della Zisa, ma quando gli era arrivata la notizia del suicidio della madre di El-Aziz a causa della loro fuga, i due amanti erano morti a breve distanza l’uno dall’altro, non prima però di aver fatto un incantesimo sul loro tesoro, affidandone la protezione ai diavoletti dipinti sulla volta della sala della fontana.

Una leggenda popolare racconta che nel castello è nascosto un tesoro in monete d'oro custodito appunto dai diavoli che, con i loro continui movimenti impediscono a chiunque di contarli esattamente e quindi di risolvere l’arcono secondo il quale contando esattamente i diavoli il tesoro verrebbe trovato e con ciò terminerebbe la povertà a Palermo. Oggi, anche la Zisa fa parte dell'itinerario arabo-normanno di Palermo, Cefalù e Monreale, inserito nella prestigiosa World Heritage List, patrimonio mondiale dell'umanità (Unesco).

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