le fate della pietra e altre storie

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Marco Lodde LE FATE DELLA PIETRA e altre storie

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Quattro storie a cura di Marco Lodde.

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Marco Lodde

LE FATE DELLA PIETRA

e altre storie

2

© Marco Lodde

© Lastura, 2011. Blog Eonaviego.

Creative Commons

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a Creative Commons Reconhecemento-Não co-

mercial-Sem obras derivadas. 3.0 Espanha Licen-

se.

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LE FATE DELLA PIETRA

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Soffia vento soffia. Corri tra le valli e le mon-

tagne, non fermarti. Di noi porta il soffio di un

tempo lontano, lontano quanto la pietra e il sonno

del tempo, di un tempo che ormai non ricorda più

chi siamo. Eravamo là con loro quando tutto ac-

cadde, quando la pioggia solcò i loro visi. Non as-

pettare oltre amico nostro, il tempo non può atten-

dere, noi non possiamo attendere. Devi raccontare

il tempo con le parole che nel tempo hai saputo

ritrovare, per aiutare la memoria a ricordare. Soffia

vento soffia.

– Mai! – disse la nonna – Mai dovete avvici-

narvi alle pietre che vi guardano!

– Ma perché nonna? – chiesero incuriositi i ni-

poti – sono solo buchi nella montagna…

– No! Dietro quei buchi si nascondono delle

creature malvagie!

– Malvagie?! – ripeterono con curioso spaven-

to i bambini.

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– Si! – tuonò l’anziana donna – sono vecchie,

molto più di me!

– Ma questo è impossibile!!! – dissero i bam-

bini sogghignanti.

– E invece si! Sono vecchie e brutte! Dovete

sapere che la notte, vicino alle montagne dove vos-

tro padre porta al pascolo il gregge, si sentono gri-

dare e lamentare! Alcuni sostengono di averle sen-

tite anche di giorno!

I bambini spaventati si strinsero fra loro.

– Passano tutto il tempo a gridare e gridare!

Con le loro lunghe unghie graffiano le pareti delle

loro case! Aspettando solo che un bambino si avvi-

cini per mangiargli l’anima!

I bambini ammutoliti avevano gli occhi ris-

chiarati dalle prime lacrime.

– E voi sapete di chi è la vostra anima vero? E’

di nostro Signore Gesù Cristo e voi dovete proteg-

gerla.

Gavino, il più piccolo dei due, singhiozzando

cominciò a piangere.

– Mamma! – gridò il piccolo – Mamma!

La madre si asciugò le mani sul grembiule di

tela, sfilò il fazzoletto dalla manica, lo porse al fi-

glio e si rivolse alla madre.

– Ma mamma! Ti sembrano storie da racconta-

re ai bambini prima che vadano a letto? Povere

creature spaventarle in questo modo!

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– Io non spavento nessuno! Voglio solo met-

terli in guardia, è bene che crescano consci di ciò

che può accadere.

Gavino in lacrime guardò la madre e chiese:

– Sono vere le storie che racconta la nonna?

– Ma no figlio mio… – sospirò – no figlio mio

la nonna scherzava, vero mamma?! – domandava

con sguardo minaccioso.

– Ha ragione la mamma Gavino, stavo solo

scherzando, è come dice la mamma, tutte storie…

nient’altro che storie…

In quel momento dal cortile il cane cominciò

ad abbaiare. Bacchisio, il primo dei due bambini,

corse alla porta.

– Babbo babbo! Babbo è tornato!

L’uomo aprì le braccia e ne accolse il figlio.

Stanco dai mesi al pascolo, il genitore si fece scor-

tare dal piccolo Bacchisio in casa.

– Ilune! Sono a casa! – diceva alla moglie.

– Antioco, sei a casa finalmente!

Gavino, liberatosi dal consolante abbraccio

della madre, saltò in quello del padre, felice come

solo un figlio alla vista del padre può essere.

Antioco baciò la moglie e con sguardo rico-

noscente salutò la suocera che, con un sorriso, con-

traccambiò.

Antioco era un uomo buono, dedito alla fami-

glia e al lavoro come pochi altri.

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– Antioco, ti ho preparato il bagno.

– Sei un tesoro moglie mia! – così dicendo

l’abbracciò e la sollevò in aria, suscitando lo stupo-

re dei figli e le risa della suocera.

– Babbo! Sei forte!

– Ma no Bacchisio – diceva ridendo – è la

mamma leggerissima.

Il bagno e la cena trascosero tranquillamente

tra risa e storie.

– Beh, adesso il babbo va a riposarsi a letto…

uno vero, mica finto come quelli in montagna sape-

te – rise.

Ilune con un’occhiata comunicò qualcosa alla

madre, la quale pronta disse:

– Bene nipotini miei, è ora di andare a letto.

– Ma nonna Serena! Io voglio stare ad ascolta-

re le storie del babbo!

– Bacchisio, è tardi! Domani il babbo deve

svegliarsi presto lo sai, e poi guarda tuo fratello – il

quale dormiva profondamente in braccio alla non-

na.

– Ma non voglio…

– Ubbidisci alla nonna – disse Ilune.

– Facciamo un gioco stanotte, va bene? – disse

Serena – Stanotte dormirete nel lettone con la non-

na, va bene?

Bacchisio rimase a bocca aperta mentre Gavi-

no, il fratellino, si svegliò di soprassalto incredulo.

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– Dici davvero nonna?!

– Certo piccoli miei – sorrise.

A quel sorriso i due bimbi corsero nella camera

della nonna a saltare sul lettone.

– Povero il mio letto… – sospirò l’anziana

donna.

Con riconoscenza Antioco e Ilune augurarono

la buona notte e lasciarono la stanza da pranzo per

la camera da letto, chiudendo a chiave la porta alle

loro spalle.

Dopo diversi tentativi Serena riuscì a far ter-

minare la nottata di festa dei bambini, che stremati,

accompagnarono la nonna in un sonno profondo.

Il gallo la mattina non cantò.

– Bacchisio… Bacchisio sveglia…

– … mmm… si… chi è?...

– Sono io, babbo.

– Sì, babbo… dimmi… – rispondeva il figlio

assonnato.

– Volevo sapere se ti andrebbe di portare al

pascolo qualcuna delle pecore di babbo.

Il piccolo Bacchisio sgranò gli occhi, convinto

ancora di star sognando…

– … ma babbo… dici davvero?

– Certo figlio mio – disse sorridendo – oramai

sei grande, hai già otto anni ed è bene che cominci

a capire come ci si comporta con le pecore e poi la

mamma è d’accordo.

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Il piccolo Bacchisio, incredulo di tanta fiducia,

si gettò fuori dal letto e, come un militare al suono

della tromba, fu pronto per la missione.

Corse immediatamente verso la camera da

pranzo, dove la mamma e la nonna avevano già

preparato la colazione per Bacchisio, il nuovo pas-

tore del paese. Si versò il latte nella sua ciottola di

legno, ma questa volta per la prima volta, lo fece da

solo, con grande stupore delle donne di casa.

– Bacchisio – domandava la nonna – vedo che

oggi sei diventato grande, giusto?

– Sì, nonna! – disse trionfante il bambino.

– Quindi possiamo già considerarti un ometto,

esatto?

– Certo nonna!

– Allora potresti andare al pascolo insieme con

tuo fratello, giusto? – disse la madre senza allonta-

nare lo sguardo dal lavabo.

– Cosa? Ma mamma! – piagnucolava l’ometto

di casa.

– Se vuoi andare al pascolo porta anche tuo

fratello, punto – concluse Ilune.

– Ma Nonna! – disse rivolgendo lo sguardo

alla nonna.

– Hai sentito cosa ha detto tua madre? – disse

Serena.

– Ma babbo! – disse rivolgendo lo sguardo al

padre.

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– Figlio mio, fai quello che dice tua madre

su…

Sbuffando come una caffettiera andò a sveglia-

re il fratello.

I due bambini si prepararono, presero il pranzo

e a capo del loro piccolo gregge si incamminarono

verso il pascolo.

Ilune pensierosa si rivolse ad Antioco:

– Avremo fatto bene a lasciarli andare?

– Ma si cara, Bacchisio è un ragazzo responsa-

bile, vedrai andrà tutto bene, e poi sanno tutto que-

llo che devono sapere perché tutto vada come deve

andare.

La nonna preoccupata aggiunse:

– Le montagne piccoli miei… le montagne…

Così dicendo li vide scomparire lontano.

Il cielo era poco sereno quel giorno, non si sen-

tiva cinguettare e tanto meno le pecore belare. Solo

il vento continuava a soffiare, trasportando con se

nuvole pesanti da luoghi lontani. Ma questo non

poteva fermare il piccolo nuovo pastore del paese.

Spiga in bocca e sguardo da condottiero, Bac-

chisio, il nuovo pastore del paese, era convinto di

portare in salvo quattro dame bianche fra mille pe-

ricoli e mosche Maccedda, fino a quando, a ricor-

dagli che si trattava di solo quattro pecore, ci pen-

sava il fratellino.

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– Bacchisio aspettami… – gridava il piccolo

Gavino che a stento riusciva a seguire il fratello.

– Muoviti lumaca! – sbottava Bacchisio – dob-

biamo muoverci, il tempo sta peggiorando!

– Ho paura! E poi mi sembra che qualcuno ci

stia chiamando! Magari è la mamma!

– Ma che dici scemo! Siamo lontani ormai,

sarà il vento! Ma ti muovi?!

Tra una corsa e una caduta il piccolo Gavino

trotterellava fino a raggiungere il fratello, che però

gli impediva di farsi prendere per mano. Le nuvole

avanzavano cupe e pesanti all’orizzonte. Il vento

sollevava le foglie cadute dei pochi alberi della

campagna, fino a quando una dopo l’altra le gocce

cominciarono a cadere.

– Bacchisio piove!

– Certo piccolo stupido! Hai visto il cielo?

Dobbiamo ripararci!

I tuoni cominciarono a farsi spazio nella paura

del più piccolo.

– Bacchisio, ho paura!

– Ma puoi essere scemo? Sono solo dei fulmi-

ni! Dobbiamo ripararci. Andiamo sotto quell’albero

laggiù.

– Bacchisio no! Il babbo dice sempre che dob-

biamo star lontani dagli alberi quando piove, dice

che potrebbe colpirci un fulmine.

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– Ma quanto sei piagnucoloso. Allora riparia-

moci là, vicino a quelle rocce – disse indicando la

montagna.

Le pecore si erano già riparate all’interno di al-

cuni folti cespugli, come se fossero consce de-

ll’inesperienza dei due fratelli.

I due si avvicinarono alle rocce della montag-

na. Fradici come stracci si ripararono sotto alcune

sporgenze della roccia. Il vento era forte e la roccia

era mangiata dal tempo, rovinata e umida, solo il

soffio tra le foglie e la pioggia battente scandivano

il passare delle ore.

– Bacchisio… cosa sono quelle finestre? –

domandò con voce tremula Gavino.

– Ma Gavino! Non ti ricordi? Sono le case de-

lle creature vecchie e malvagie che mangiano le

anime dei bambini!!!

A queste parole Bacchisio urlò di paura.

– Sei cattivo! – disse fra le lacrime.

– E tu sei un fifone!

Il vento s’intensificava e la pioggia, accom-

pagnata da qualche tuono, cadeva incessante.

– Bacchisio…

– Cosa vuoi ancora?!

– Non hai sentito niente?

– No, scemo… ti ho già detto che non sento

niente! Solo la pioggia, i tuoni e il belare delle pe-

core… ma… non belano più le pecore?

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Le pecore non belavano più, erano lì fra i ces-

pugli zitte e immobili come pietre.

– Bacchisio… torniamo a casa…

– Ma sei scemo mi! Non voglio tornare a casa!

Cosa penserà babbo poi? Sei solo un fifone piagnu-

colone!

– Non sono un fifone!

– A no?

– No!

– Allora entra in una di quei buchi quadrati ne-

lla pietra!

– Ma Bacchisio…

– Fifone fifone fifone!

Gavino guardò il fratello come se avesse la

paura scritta sulla fronte. Il piccolo Gavino sgranò

gli occhi e si girò di scatto, in direzione di una roc-

cia e domandò al fratello:

– Bacchisio hai sentito adesso?!

– Ma smettila! E’ solo il vento! E adesso entra

in uno di quei buchi! Fifone!

– Non sono fifone… ma io non voglio entrare!

La nonna ha detto di non avvicinarci mai! Non è

possibile che non senti! Qualcuno sta urlando!

– Io non sento niente scemo! – dicendo questo

afferrò il fratello per un braccio e lo spinse

all’interno di uno dei pertugi, facendolo cadere.

– Ahi! Sei scemo Bacchisio!?

– Fifione! Come si sta là in fondo?

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– Fammi uscire! Qui è tutto buio! E stanno ur-

lando! Urlano! Ti prego Bacchisio aiutami! – nel

mentre si portò le mani alle orecchie, quasi volesse

evitare di sentire ciò che per Bacchisio era silenzio.

Bacchisio rise del fratello, fino a che non si ac-

corse della fuga di una delle pecore.

– Gavino aspettami qui torno subito!

– Bacchisio no! Non lasciarmi qui! No! – gridò

senza convincerlo.

Correva il piccolo Bacchisio incurante dei sassi

e della pioggia insistente, cercando di raggiungere

l’animale che il padre gli aveva affidato. Era veloce

la pecora, ma anche Bacchisio lo era e pochi passi

separavano i due. L’animale brucava sereno e Bac-

chisio, imitando il gatto di casa, si acquattò tentan-

do l’aguato. Contava sottovoce:

– … tre… due… uno…

Il vento, per qualche istante, si levò trasportan-

do foglie e pioggia. Bacchisio, liberandosi il viso

bagnato dalle foglie si guardò intorno, notando

sull’erba la pecora distesa. Bacchisio si avvicinò e

la controllò, era morta. Il piccolo si voltò improvvi-

samente e gridò:

– Chi è?! Chi mi sta chiamando?!

Si guardava attorno senza individuare nessuno.

– Gavino sei tu? Odio questi scherzi! Lo sai!

Se la pianti vengo a tirarti fuori, va bene? – così

dicendo si recò alle rocce della montagna.

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La pioggia non cessava la sua caduta, raggiun-

se il buco nella roccia dove aveva spinto per gioco

il fratello.

– Gavino? Ci sei?

Solo l’eco rispondeva a quelle domande.

– Gavino! – urlò agitato il piccolo Bacchisio –

Ti ho detto di smettere con questo scherzo! Lo dico

alla mamma! Anzi alla nonna! No! Al babbo! Ga-

vino… ti prego… lo sai che ti voglio bene… ades-

so mi stai facendo paura…vieni fuori!

Ma nulla. Bacchisio alzò di colpo la testa e dis-

se:

– Chi sta urlando! Smettetela di urlare! – così

dicendo si tappò le orecchie – Gavino sei qui?

L’apertura era buia e profonda. Lentamente e

con un terrore assoluto, infilò la testa nell’apertura

dove Gavino era rinchiuso. Un fulmine illuminò

per alcuni istanti lo spazio. In un angolo, lontano

dall’apertura intravide una sagoma. Altri fulmini,

altri lampi si susseguirono a poca distanza l’uno

dall’altro, illuminando la camera. Doveva essere

Gavino!

– Gavino presto vieni ti tiro fuori!

Gavino non rispose.

– Ma Gavino che fai? Presto! Dobbiamo torna-

re! Sta piovendo troppo! Ma Gavino… che fai?...

La sagoma fissava a capo chino la parete men-

tre con una mano grattava la pietra.

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– Gavino smettila! – Bacchisio si strinse le

mani alle orecchie – Basta urla! Basta!!!

In quel momento Gavino smise di grattare la

parete e cadde al suolo.

– Gavino! – urlò Bacchisio – No! Non voglio

venire con voi! Non voglio!

Spaventato si tirò indietro. Un dolore lancinan-

te gli stringeva il petto.

Bacchisio corse, corse con quanto fiato avesse

in corpo, corse verso casa. Gridava il piccolo pasto-

re, fino a mancargli il fiato.

La porta di casa si aprì, mostrando il volto de-

lla nonna.

– Nonna! Nonna!

L’anziana donna corse sotto la pioggia in co-

ntro al nipote.

– Bacchisio! Cos’è successo! Stai sanguinan-

do! Cosa sono questi tagli che hai sul petto?

Solo in quel momento Bacchisio si accorse dei

tagli che aveva sul petto, cinque erano, come le

unghie di una mano. La nonna afferrò il bambino

per le spalle, scuotendolo.

– Non siete andati verso la montagna vero

Bacchisio? Rispondimi!

Con le mani ancora a coprire le orecchie ascol-

tava impietrito.

– Dov’è tuo fratello!? Bacchisio rispondimi!

Dov’è tuo fratello!? – insisteva la donna – Non

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l’hai abbandonato in uno di quei buchi sulla mon-

tagna?!

Solo una parola pronunciò:

– Sì…

La donna lasciò il bambino, incredula per

quell’unica parola. Fissò il nipote come se non fos-

se più tale e Bacchisio arretrò, spaventato da uno

sguardo non più familiare e corse, corse lontano.

L’anziana donna, non più nonna, non lo fermò e lo

vide sparire per non vederlo più tornare. La piog-

gia cadeva triste sul volto dell’anziana nonna, sola

fra le piante del cortile. Corse lontano il piccolo

Bacchisio e solo il vento l’accompagnava accanto.

Soffia vento soffia. Fummo con loro in quei

momenti, sempre. Hai permesso al tempo di ritro-

vare la memoria persa. Grazie amico nostro, grazie

a te ora esistiamo di nuovo.

PROVVIGIONI

23

– Capitano!!!1

Le grida di Jack, il mozzo, riescono quasi a

coprire per qualche istante il frastuono delle bom-

barde dei Reami di In-Lin. I galeoni sfrecciano a

cavallo delle nubi, come le libellule fanno sui rus-

celli.

– Capitano Trow!!! Ci hanno colpito!!!

L’Ammiraglia di In-Lin ci colpisce!!! La chiglia!

La chiglia perde le sabbie!!!

Ma a volte le libellule, incontrano le rane. Le

grida dei marinai, l’andirivieni dei remi, creano il

panico fra tutti gli Approvvigionamenti. Sei incate-

nato nel fondo della stiva di una corvetta dei Regni

dell’Ofrent. Qui la vita non è facile. Gli odori acri e

penetranti rendono molto sofferta la traversata con-

tinentale e il cibo e l’acqua sono decisamente scar-

si, appena sufficienti per tenerti in vita. La ressa è

eccessiva, condividi il sudore con gli altri. Alcune

delle persone con le quali hai parlato e sofferto

insieme, ora giacciono stese sul pavimento stratto-

nati dai loro compagni di catena. Il mal di nubi non

da tregua. Puoi solo sperare, come ogni giorno, di

arrancare a quello dopo. Il tuo compito, del resto il

principale di ciascun Approvvigionamento, è quello

di sopravvivere. Sei nato e cresciuto per questa

1 1° premio Concorso Letterario Piccolo Popolo, anno 2006 - Associa-

zione Universitaria di Barbara Pitzanti

24

finalità. I remi. I remi si scavalcano in un frenetico

galoppo verso una improbabile via di salvezza.

Tutti gli Approvvigionamenti scalciano per liberar-

si dalle catene che lentamente sembrano accom-

pagnarli incontro alla tomba, nulla è peggio del

sentire la morte attorno alle caviglie.

Improvvisamente un soffio di vento sfiora candi-

damente le tue labbra portandoti alla mente i dolci

momenti passati all’aria aperta delle stalle in cui sei

stato svezzato e cresciuto. La luce penetra pesan-

temente attraverso l’aria grave, come una lama ge-

lida può fare con un cuore rovente. Il portellone. Il

portellone si spalanca, affacciando al cielo azzurro

quel loculo infernale che è la cambusa. Eword, il

cuoco della corvetta, fa capolino con fare poco ras-

sicurante.

– Voi!!!Voi sette alzatevi e venite qui!!!

Purtroppo a volte, anche i cuori roventi cedono

il loro ardore, quando chi brandisce la lama, di cuo-

re, non ne ha.

– … dite a noi?... Signore…

– Certo che dico a voi! Muovetevi stupidi pez-

zi di carne senz’anima! Dobbiamo scaricarvi!

Eword, detto il Cane Randagio per via del suo

continuo sbavare e per l’odore di cane bagnato che

normalmente lo precede, è considerato il vero boia

della nave. A lui spetta il compito di preparare la

cena per il capitano e la sua ciurma. Sette. Sette

25

sono le persone che ogni catena può torturare e

sette sono i gradini che portano fuori dalla cambusa

fino alla coperta.

– Muovetevi schifose carcasse!

Esplosioni e contraccolpi, fan tremare la cor-

vetta, le vibrazioni non aiutano di certo l’equilibrio.

C’è chi cade, chi scivola strattonando gli altri verso

il pavimento. Tu stesso, il settimo della fila, cadi

sotto il peso del quinto. Il Cane Randagio, tra uno

sbraito e l’altro, trascina le catene su per le scale.

Uno. Lluk, amico di grande esperienza, ti ha aiutato

in molte occasioni, soprattutto contro gli sberleffi

di alcuni Approvvigionamenti più grandi durante

l’infanzia alla stalla. Ora lui vede il cielo. Due.

Shirly, sorellina minore di Lluk aveva appena im-

parato a farsi le treccine e in lacrime cerca prote-

zione fra le braccia del fratello. Ora lei vede il cie-

lo. Tre. Antony, purtroppo lui è già spirato. Il cielo

lo ha visto prima di Lluk. Quattro. Signor J,

l’Approvvigionamento più anziano della cambusa è

sopravissuto a decine di traversate e di battaglie,

purtroppo questa sarà l’ultima. Lui ora vede il cie-

lo. Cinque. Werty, adolescente ribelle e dalla lingua

troppo lunga, si oppone a una volontà contro la

quale nessuno può. Ora lui vede il cielo. Sei.

Xerard, morì tempo addietro nel tentativo di fuga,

libero dalla catena ma monco ad una gamba. Lui il

cielo lo vide già tempo addietro. Sette. Infine tocca

26

al sette. Un solo gradino ti separa da ciò che non

annusi da molte lune. Sette. Sette sono le note dello

spartito e sette sono i colori dello arcobaleno. Arri-

vi al boccaporto. La luce t’inonda gli occhi acce-

candoti per alcuni secondi. Lentamente il mondo ti

riappare nitido a chiaro, ma cruento e severo. Strat-

tonato dal Randagio vieni fatto cadere. Lo spettaco-

lo è agghiacciante. Tutto il ponte della nave è rico-

perto dagli Approvvigionamenti fatti uscire da altri

settori della cambusa. Tutti strillano, certi piangono

implorando pietà, come se sapessero de-

ll’avvicinarsi della fine. Molti marinai si aggirano

agitati dalla situazione di pericolo. La piccola cor-

vetta sembra essere inseguita dall’Ammiraglia di

In-Lin, che non curante degli Approvvigionamenti

continua a bombardare, colpendo di tanto in tanto

la chiglia. La chiglia. Si, è la parte più importante

della nave, importante come sono i genitori per un

bambino, ma quando questo rimane orfano, perde

l’innocenza che lo contraddistingue. Nello stesso

modo la chiglia perde le sabbie, che come

l’innocenza per un bambino le permette di rimanere

leggera. Le bombarde non risparmiano né le orec-

chie, né tanto meno i cuori. L’odore della polvere

da sparo investe a ogni scossone chiunque sia a

bordo.

– Presto!!! Chiunque si debba sfamare lo fac-

cia!!! Adesso!!!

27

Il capitano Trow, dall’alto della sua statura, ha

parlato. Ha decretato il termine della vostra esisten-

za. Lui è un uomo decisamente fiero e orgoglioso

nel carattere, il cui portamento riflette tali doti. Il

riverbero della sua armatura quasi sbiadisce i tuoi

stracci. La ciurma sbavante si riversa febbrilmente

contro gli inermi Approvvigionamenti che difen-

dendosi come possono, soccombono. I militari ini-

ziano con lo strappare le vesti dai corpi ormai arre-

si. E come cani malati lacerano le carni di quelle

povere persone. Non ne mangiano le carni, ma ne

bevono il sangue. Anche otto marinai possono sca-

gliarsi su di una sola preda. Vieni sbattuto a terra,

mentre qualcosa ti strappa la pelle dalla schiena.

Cerchi di ribellarti ma qualunque sia la cosa che hai

alle spalle ti tiene a terra, una lingua ti scorre lungo

la ferita ripercorrendo il cammino dei rivoli di san-

gue. Il respiro si fa pesante, il tuo e il suo. La gente

muore, cade privata del suo unico fluido vitale, lo

stesso di cui sono sprovviste quelle sangui-

sughe…gli abitanti dei Regni di Ofrent, i tuoi car-

ceriei. Ti senti debole, stanco vorresti solo dormire.

Il frastuono delle bombarde, però, impedisce qua-

lunque riposo.

– Basta così!!! Vi siete nutriti a sufficienza!

Ora gettateli via! Tutti! Sbrigatevi! Dobbiamo fug-

gire!!!

28

Il capitano Trow, dall’alto della sua statura, ha

parlato. Lui ha potestà su ciascuno di voi, nessuno

può opporsi. Tu, come molti, ti senti trascinare lun-

go il ponte. Vedi il cielo, le nuvole, il faro di Monte

Corvo del Passo delle Cicale, l’albero maestro, il

sole. Già, il sole. Da tanto tempo desideravi rive-

derlo.

– Buon viaggio…scarto!!!

La voce del Cane Randagio è l’ultima che sen-

tirai. Il peso di Lluk, poi quello di Shirly, poi quello

di Antony, poi quello del Signor J, poi quello di

Werty, poi quello della cavigliera d’acciaio di

Xerard, poi il tuo. Ma ciò non ti preoccupa, non ti

preoccupa minimamente. Percepisci ciascun asse

scorrerti lungo la schiena mentre il peso dei tuoi

amici ti trascina verso la passerella. La passerella.

E’ proprio vero, la passerella è come una dama che

concede il suo corpo ma non l’anima, il dolore è

tanto ed è forte ma poi si sa, passa. Ti senti cadere.

L’aria non è più grave e pesante come nella cambu-

sa. Vedi il sole. Il sole riscalda il cuore e lo spirito,

in un abbraccio che non pensavi di poter mai più

accogliere. Cadi. Tutti cadono prima o poi. Ma voi,

poveri Approvvigionamenti, cadete senza freni,

centinaia di catene umane sfregiano i cieli azzurri

come fa la pioggia in primavera. Sei sempre stato

legato, anche ora che stai per morire. Ma adesso sei

29

libero. Non sei più il settimo di una catena qualun-

que. Sei un angelo che torna a casa.

GRIDALO ALLE STELLE

33

Qualunque2 cosa accada il Sole sorgerà anche

domani e tutto si risolverà. Così diceva il nonno.

Non so se raccontasse queste cose solo per far

dormire un pestifero bambinello come me… mi

manca…

Non sono il solo qua sotto, nemmeno in due e

neppure in dieci… ma centinaia di uomini che, in

cambio della loro libertà, hanno donato la vita per

nutrire l’insaziabile fame di carbone della Queen

Elisabeth, il vascello a Vapore di Sua Maestà la

Regina d’Inghilterra.

Scandita dalle badilate di carbone, la mia vita

scorre lenta e pesante nello stomaco della Regina a

Vapore. Più di mille piedi di lunghezza, più di mi-

lle valvole spingono il battello lungo le acque dei

cieli di Londra.

Varata alla fine del 1800, circa 10 anni fa, è

considerata un capolavoro della Meccanica del Va-

pore!

Si vocifera che sia un onore lavorare qui, ma

solo se si ricopre il ruolo di Ammiraglio di Vasce-

llo.

2 1° premio Concorso Letterario Piccolo Popolo, anno 2007 - Associa-

zione Universitaria di Barbara Pitzanti

34

–Ma che diamine combinano quei bifolchi in

sala macchine!? Si può sapere!? Più carbone! Più

carbone ho detto!

Se invece non lo sei la vita è dura, soprattutto

se lavori da tizzone …

–Ahhh! Non lo sopporto più quell'uomo! Si

lamenta sempre per qualunque cosa! Lo detesto!!!

Una dopo l’altra le pale di carbone sospingono que-

lle del vaporetto. L’aria è torbida e grave, il fumo

nero e denso che fuoriesce dalla caldaia pèrmea la

poca aria respirabile…è da tanto ormai che non mi

causa più fastidi. Il frastuono è assordante e a ma-

lapena riesco a concepire un pensiero senza le mo-

leste macchine nel cervello. Il vapore fischia fuori

da migliaia di bocche roventi o sbuffa umido e tie-

pido da sfiatatoi sul pavimento, il caldo è insoppor-

tabile… ma a questo punto fa parte di me, credo

che ne sentirei la mancanza. L’unica luce è quella

che sprizza dalla caldaia, che timida e silenziosa

saltella in sala macchine.

–Se ne sta comodo e sereno sopra coperta

l’Ammiraglio! Non ha mica tutti i problemi che

abbiamo noi qua sotto! O mi sbaglio?

–Stai buono brutta linguaccia di un ergastola-

no! è da un po’ che lavori a bordo della Regina a

Vapore e ancora ti permetti di dire queste cose ad

alta voce? Ricorda che quell’uomo non è una per-

sona che dimentica…

35

–… ehm… si… hai ragione… lo so…

–Ricordi quando sul ponte di prua facevi il

“Don Giovanni” con la figlioletta de-

ll’Ammiraglio?

–…ma…ma adesso che c’entra quella storia

lì!? Non voglio nemmeno ricordarla, però…

…era una sera fresca…la luna era scura e solo le

stelle proiettavano ombre…le soavi vesti alle brez-

ze del mare schioccavano come vele al vento e lei

era lì, sola a osservare la notte splendente… e come

un gatto fa con una farfalla, pareva volesse afferra-

re le stelle… le mani sul corrimano leggere e deli-

cate accarezzavano le braccia nel tentativo di scal-

darsi… gli occhi blu profondi come le stelle che li

rischiaravano, di tanto in tanto sembravano scor-

germi. Io invece… rannicchiato in un buio angolo,

solo e sporco come un topo di cambusa, all’ombra

rimanevo a osservarla conscio del fatto che solo il

carbone potrò far ardere… non certo il suo cuore…

ma prima o poi anche per me tutto questo cesserà…

lo spero… e comunque, qualunque cosa accada, il

Sole sorgerà anche domani…

–Ehi! Ragazzino! Ti sei imbambolato?! Conti-

nua a spalare!

–… eh?… Cosa?

–Dico a te! Devi essere proprio cotto di quella!

Sai almeno come si chiama?

–… ehm… no…

36

–… no?… NO?! E già sei cotto di una di cui

non conosci nemmeno il nome?

–… in realtà… so qualcosa… mmm… cosa?

–… ehm… ecco… mi ha regalato il suo fazzo-

letto…

… era blu, caldo come i suoi occhi, la sua pelle

era chiara e pareva delicata come la nebbia al mat-

tino, il mio cuore palpitava come un cavallo al ga-

loppo, le sue labbra parevano morbide e poco do-

po… parlarono…

–E tu chi sei?

–… ehm… io?

–Si tu… nascosto nell’ombra… chi sei?

–… beh… io… io sono… cioè… lavoro come

tizzone… al Suo servizio Signorina… ehm…

–Eh eh eh… capisco. Sei uno di quelli che

stanno in sala macchine, giusto?

–… si… lavoro nello stomaco della Regina a

Vapore…

–“Regina”cosa? Nello “stomaco” di chi?

–… ehm… intendevo la Queen Elizabeth, vas-

cello a Vapore di Sua Maestà la Regina

d’Inghilterra… Signorina…

–… chiamate così la nave di Sua Maestà? Re-

gina a Vapore?!

–… no… cioè si… insomma… nel senso

che… ehm…

–…eh eh eh! Molto divertente! Eh eh eh…

37

–… da… davvero?…

–Si si!

–…ne sono felice…

–Mmm… prima di tutto esci dal buio… e

fammi vedere un po’ il tuo viso… ti va?

–…come vuole…Signorina…

… lentamente uscii dall’oscurità, mostrandomi

a lei …

–… eccomi… Signorina…

–mmm… saresti anche carino se ti si vedesse il

viso, ma sei tutto nero di fuliggine, sembri un gatti-

no tutto sporco…

… che imbarazzo… era sorridente… afferrò un

fazzoletto blu e con una delicatezza che solo una

madre sa donare… cominciò a ripulirmi il viso…

poi lentamente smise…fissò i miei occhi… scavò

nel mio cuore… mi accarezzò una mano e parlò…

–… i tuoi occhi… sono verdi…

… era la prima volta che qualcuno notava i

miei occhi da quando presi servizio in sala macchi-

ne… nessuno… nessuno se ne accorgeva mai…

–… un verde così sincero… sono bellissimi…

–… anche i Suoi lo sono… Signorina…

… sorrise…

–Ecco, prendi questo fazzoletto… è un regalo.

Lo vuoi?

38

–… ce… certo… grazie… lo conserverò con

cura… ma queste lettere, sono le Sue iniziali Sig-

norina? B T…

–eh eh eh…Si.

… era la prima volta che qualcuno notava i

miei occhi…

–Ehi Ragazzino?!

–… si… dimmi…

–Allora è una cosa seria?

–Ma no… ma che dici… Dai, continua a spala-

re!

Al frastuono delle valvole, la notte passò vigile

e chiassosa.

Il mattino seguente ripartì come il precedente,

ieri cominciò come il giorno prima, e così via dis-

correndo. Ogni giorno è scandito dai medesimi

rituali. Da sopra coperta viene scaricato nello sto-

maco della Regina a Vapore il mangime per noi

tizzoni: ossa, pesce avariato, bucce di frutta e qual-

che scarto di verdura… non è il massimo lo so, ma

è quello che passa il convento… ed è sempre me-

glio mangiare spazzatura, piuttosto che essere in-

corniciato da quattro mura di lamiera corrose dai

tormenti in un carcere puzzolente.

Da qualche mese mi trovo a sopravvivere in

mezzo ai cieli d’acqua, spaccando ossa per estrarne

il midollo, masticando bucce di arancia o raschian-

39

do croste di formaggio…se continua in questo mo-

do credo che morirò… già altri se ne sono anda-

ti…ridotti in ammassi di ossa malate hanno nutrito

per l’ultima volta la Regina a Vapore, gli hanno

dato letteralmente l’anima… e il corpo. Di tanto in

tanto veniamo lavati… a vapore s’intende. Non è

doloroso, l’importante è rimanere nel mezzo della

folla, mentre dalle pareti d’acciaio il vapore bollen-

te viene evacuato sugli ignari tizzoni appena arriva-

ti, che a decine cadono ogni giorno… ma questo

non lo sai prima di salire a bordo… un po’ mi man-

cano quelle quattro mura di latta arrugginita.

A volte l’Ammiraglio Tudon decide di passare

in rassegna tutti i tizzoni, e in quei momenti rim-

piangi quelle quattro pareti di latta arrugginita. Pas-

sa serio e fiero come la divisa che porta. La gamba

meccanica che indossa rende riconoscibile il suo

passo, netto e secco come un martello su di

un’incudine.

A ogni passo uno sguardo si abbassa. A ogni

passo una lacrima solca un viso. A ogni passo un

cuore si ferma… puoi solo sperare che il Sole sorga

anche domani… e che tu possa vederlo.

Come un tuono in una tempesta, il suo passo

lento e pesante scandisce i secondi che separano

noi tizzoni dal giro di chiglia… ma sembra non

essere la mia volta… già… questa volta no. La sua

gamba sinistra non è umana. Piccoli tubi e sfiatatoi

40

fuoriescono dalla solenne divisa, e ogni passo è

seguito da un botto di vapore che prepara l’arto al

passo successivo. Lo sguardo era rovente come la

caldaia della Regina a Vapore, ma nessuno osava

sfiorarlo… me incluso.

–Voi!!! Carcasse insulse! Ho bisogno di un vo-

lontario!

È la prima volta che sento l’Ammiraglio chie-

dere qualcosa… e non ordinare… e questo non mi

piace…

–Uno di voi deve gettarsi in mare...

Ero atterrito dal pensiero…perché chiedeva

qualcosa alla feccia?… perché?

–Come avrete già potuto notare, non sono solo.

La persona che si trova al mio fianco…

Solo dopo le sue parole ci accorgemmo che

non era solo. Oltre alle guardie era accompagnato

da una sagoma umana, frenetica nel pedinare i pie-

di dell’Ammiraglio. Magrissimo, pronto quasi per

essere rosicchiato dai topi. Indossava un serissimo

gessato scuro, pantaloni in cotone neri e giacca

nera a collo alto, delle scarpe di vernice nera che

forse prima di scendere nello stomaco della Regina,

dovevano essere lucide. I capelli erano lisci sul

capo a incorniciare un viso secco e sgradevole,

nascosto quest’ultimo da un monocolo impiantato

nell’orbita e ovviamente azionato a vapore. Ogni

suo sguardo era seguito da dei piccoli sbuffi di va-

41

pore provenienti dal piccolo monocolo, finalizzati

alla messa a fuoco delle immagini. La mano umida

e tremolante a sostegno di un candido fazzoletto

avorio, proteggeva la bocca, quasi a voler evitare la

nostra aria.

–… lui è il dottor Dengalmes, si occupa della

salute di mia figlia. Prego Dottore parli pure.

Tutti tacquero diligentemente.

Una vocina stridula e irritante, segnata da

un’evidente nota di disagio, cominciò a squittire

qualcosa di amaro, raschiando attenzione dalle

orecchie dei tizzoni.

–… ehm… buona sera signori spalatori…

ehm… io sono il dottor Dengalmes…ehm…come

avrete di certo già udito dalla più che superba voce

dell’Ammiraglio Tudon, io mi occupo della salute

della Signorina figlia dell’Ammiraglio…sono qui

per riferirvi che la Signorina è molto malata…

Non può essere vero…

–…la malattia è molto grave…ehm…ogni mi-

nuto che passa la Signorina soffre sempre più…e

noi non possiamo fare più niente…

Mi sento male… non è possibile… perché?

Perché? Non voglio che stia male!

–… abbiamo perciò bisogno che uno di voi si

offra volontario e che procuri la medicina adatta…

tuttavia… ehm… nonostante si tratti di un rimedio

42

miracoloso… ehm… se non verrà procurato in

tempo…

Sono in affanno… a malapena… riesco a pen-

sare… è così innocente e bella… perché Lei?…

non so nemmeno il Suo nome…

–… ehm… non crediamo che la Signorina pos-

sa sopravvivere oltre la notte di domani…

Stringo forte il fazzoletto blu…non riesco neppure

a riflettere…il mio cuore ha bisogno di sfogare il

mio malessere…

–No!!!

Gli sguardi si fecero intensi su di me. Abbandonato

fra centinaia di estranei, sentii il silenzio urlare il

mio nome, il mio cuore sussultare e la mia pelle

sudare…

–Tu… piccolo essere senza dignità alcuna…

come ti permetti di interrompere il dottor Dengal-

mes?

–… sce… scelga me…

–Taci stupido!

E così dicendo uno schiaffo, rapido e doloroso

come lo sguardo dell’Ammiraglio, mi scaraventò

su di uno sfiato rovente.

La luce è scura… il buio è dolce… va bene, mi

lascio andare… mentre i ricordi scalciano nella

mente…

–… B T… mmm… su mi dica come si chiama

Signorina!

43

–Eh eh eh. E no giovane tizzone! Dovrai sco-

prirlo.

–… mmm… vediamo… T significa Tudons?

–Esatto… ma era facile… sono la figlia di mio

padre eh eh eh.

–… ma B per cosa starà?… Barbara?

–… mmm… no.

–… allora… Bianca?

–Eh eh eh. No no!

–Dai me lo dica Signorina, la prego…

–E no! Ti farò soffrire eh eh eh. Tu piuttosto,

come ti chiami?

–No no no. Io sono un ragazzo orgoglioso.

Non cederò mai! Prima Lei.

L’aria soffiava sonnolenta e fresca fra gli astri

svegli… che bella sensazione… la Regina a Vapore

sbuffava come di abitudine per ore intere durante la

notte… le trenta ciminiere russavano pigramente al

cielo…

–Tizzone guarda! Il Campanile di Londra!

Mai vidi nulla di simile. Ricordo che da bam-

bino il nonno mi raccontava che la gente viveva in

fondo al mare e passeggiava spensierata per le stra-

de delle città. Mi raccontava anche che in cima alla

torre più alta della capitale c’era un grandissimo

orologio e che a ogni ora suonava scandendo il

tempo per tutto il Regno.

44

–Guarda! Hai mai visto nulla di simile Tizzo-

ne?

Eccolo lontano all’orizzonte. Illuminato da de-

cine di fuochi galleggianti in mare. Il nonno mi

diceva sempre che era una torre altissima…ma a

vederla non mi sembra così grande… il quadrante

spunta a malapena dal mare.

–è fantastico non credi?

–…ehm…si…e poi io l’ho visto un sacco di

volte sai? Dico davvero…

–Che bello…io ci vorrei tanto entrare…

–…ecco…io ci sono entrato un sacco di vol-

te…

–Davvero?!

–…ehm…si…

–E cosa ci tengono dentro? Raccontami!

–…bhe…ci tengono…ehm… un enorme mos-

tro marino!

–Un mostro marino?!

–Si! Lavora dietro il quadrante e aziona tutte le

ruote dentate!

–E come ci riesce?

–…ehm…bhe…con i denti! Le ruote dentate si

muovono con i denti…ma lui ha delle zanne gigan-

tesche che riescono a muovere gli ingranaggi gi-

ganti di quel orologio!

–Mamma mia che paura!

–E da mangiare gli danno uomini!

45

– Ah!

–Si si. Io stesso gli sono stato offerto in sacrifi-

cio! E nonostante le sue zanne acuminate come

spade, i suoi artigli affilati come rasoi e la sua pelle

resistente come un'armatura, sono riuscito a fuggi-

re!

–Sarà per questa ragione che alle nove della se-

ra il Campanile suona generando onde paurose!

Tutti i vascelli ne stanno lontani a quell’ora, sono

pericolose sai?

–…onde?…ehm…Si! Sono pericolosissime!

Ne sono fuggito a stento!

–Oh! Sei proprio coraggioso!

–E comunque devi sapere che qualunque cosa

accada il Sole sorgerà anche domani. Io non ho

paura della morte!

–…mmm…il Sole sorgerà anche doma-

ni…bella frase…sai che mi sento molto più tran-

quilla? Grazie!

– Mio nonno mi raccontava sempre tante sto-

rie…e di tanto in tanto anche qualche bella fraset-

ta…eh eh eh…

–E poi tu sai un sacco di cose interessan-

ti…mio padre mi fa fare solo cose noiose e inuti-

li…mi fa studiare inglese, francese, latino, greco,

violino, pianoforte, matematica, geometria, mecca-

nica a vapore, geologia, scienze del mare, chimica,

fisica, zoologia, botanica e medicina…

46

–…

–Tu invece sei così colto…ma come mai sei

qui? Mio padre dice sempre che i tizzoni sono dei

criminali che pur di uscire dalle carceri preferisco-

no lavorare come schiavi nella Flotta di Sua Ma-

està…ma tu non lo sembri…

–…ehm…io un criminale…ma no! Sono qui

solo per un errore burocratico…Suo padre lo sa

bene…eh eh eh…ehm…

–Capisco.

Fissando il grande quadrante del campanile,

seguitò a parlare.

– …mmm…adesso si è fatto tardi…credo di

dover andare…

La serata pareva essersi conclusa serenamen-

te…ma così non fu…

Un rumore familiare e tetro come un urlo nella

notte si fece strada nella notte calma.

–Oddio! Mio padre! Se mi vede qui siamo nei

guai!!!

–Nei guai?…io sono morto!

–Presto scappa!

Mi girai in fretta e furia scappando verso una

porta o un barile qualunque! Ma la fortuna dei ma-

rinai non abbraccia un giovane tizzone…

–E tu chi sei?! Che cosa ci fai qui?!

Uno sfiato di vapore…lo scoppio delle valvole

e il passo pesante potevano solo farmi rabbrividire

47

in un sol senso…l’Ammiraglio…l’Ammiraglio mi

ha visto…

–Guardie! Prendete mia figlia! E riconducetela

nella sua cabina!

–Papà no!

La Signorina venne presa di prepotenza da una

delle guardie e ricondotta nella sua cabina. Ma

prima di essere reclusa fra i cuscini della sua vita,

disse parole che mai dimenticherò…

–Tizzone! Il tuo nome! Gridalo alle Stelle! Loro me

lo diranno! Non dimenticare le parole del nonno!

Qualunque cosa accada, il Sole sorgerà anche

domani…e tutto si risolverà.

Le stelle erano alte e chiare…l’alba ormai si

stropicciava gli occhi…e io impotente agli eventi

scivolavo placido e rassegnato attorno all’addome

caldo della Regina a Vapore. Tanto il Sole sorgerà

anche domani…e tutto si risolverà.

La luce si avvicina penetrando il dolore attra-

verso gli occhi…mi sento debole…l’urto è stato

tremendo…è vero quando si dice che la mano de-

ll’Ammiraglio non perdona…

–Alzati pappamolle! Sei già fortunato a essere so-

pravvissuto, ti risparmiai già una volta in passato e

adesso alla seconda non sei morto…vediamo cosa

succederà la terza volta. Dottore, Ingegnere, venite

qui!

–Comandi…ehm…Signor Ammiraglio.

48

–Credo di aver trovato il nostro volontario.

Preparate il necessario per l’immersione.

Il sole continua ad arrampicarsi in un cielo che

pare non lo voglia nemmeno vedere.

e assi del ponte sono ruvide e ispide come le

sofferenze di noi tizzoni.

–…mmm…ho sete…

–Tranquillo ragazzo, vuoi dell’acqua? Adesso

ne avrai quanta ne vuoi. Ora alzati!

A stento riesco ad aprire gli occhi…a stento

riesco ad alzarmi…ma la vista de-

ll’Ammiraglio…come dire…ha risvegliato il grillo

che è in me! In piedi ai margini del ponte, guardo le

onde infrangersi lungo la chiglia del vaporetto.

–Adesso resterai buono lì mentre il Dottore ti

spiegherà il da farsi, sono stato abbastanza chiaro?

–…si…Signor Ammiraglio…

–Bene. Prego Dottore parli pure.

La solita figura secca e rancida, lenta e barco-

llante si mosse placidamente in direzione del vo-

lontario. Il solito serissimo gessato scuro, pantaloni

in cotone neri e giacca nera a collo alto, delle scar-

pe di vernice nera tirate stavolta a lucido per la sola

ed effimera bellezza…e a dire il vero a lui donava

molto poco. Stavolta la bocca era libera da qualsia-

si sipario, mettendo in scena davanti al mondo quel

terribile spettacolo dei suoi denti ingialliti, usurati e

distanti fra loro…e questo dovrebbe essere il cus-

49

tode della salute? Ogni sua occhiata era seguita da

uno schizzo di vapore e da piccoli rumori

d’ingranaggi fastidiosi come le pulci giù di sotto.

–Bene…adesso ti spiegherò i tuoi doveri…eh

eh eh…sai cosa vuol dire “doveri”, piccolo igno-

rante?

Non devo nemmeno aprire bocca,

l’Ammiraglio mi ha ordinato di non farlo…ma non

ha minimamente accennato agli sguardi, me ne

basta uno breve e istantaneo, fulmineo e glaciale…

–…mmm…smettila di fissarmi!…stupido im-

pudente…mmm…

L’Ammiraglio sorrise…

–…dicevo…dovrai scendere in fondo alle ac-

que…ehm…alle acque dei cieli di Londra e recupe-

rare una piccola alga che si trova nel letto di quello

che era il Tamigi…

–…ma come faccio? Come posso sapere dove

si trova?

–Non è difficile vedrai…ehm…nemmeno per

uno come te lo sarà…eh eh eh…ehm…dovrai se-

guire il letto del fiume verso monte. Strada facendo

incontrerai alla tua sinistra…ehm…sai qual è la

sinistra? Comunque…vedrai una piccola grotta. Lì

troverai l’alga…ehm…è verde e blu non ti puoi

sbagliare…prendila e portacela…ehm…hai capito?

Domande?

–…no Dottore…

50

–…ehm…bene.

Adesso che ne sarà di me? Dovrò scendere in

fondo alle acque dei cieli di Londra…ci sono stato

solo nei miei sogni e nei racconti del nonno…ho

paura…ma per la Signorina B…lo farò…

Fischi ed esalate di vapore preannunciano

l’inizio della missione. Il sole scende arreso e as-

sonnato in fondo alle acque, mentre io vengo solle-

vato da una gru a vapore. Le trenta ciminiere della

Regina a Vapore hanno smesso di respirare…non

era mai successo prima…solo ora mi rendo conto

di quanto seria sia la malattia della Signorina.

–Sollevate lo scafandro!

–Calate il tizzone!

Ansiosamente l’esoscheletro inizia ad abbrac-

ciarmi…mi vedo scomparire all’interno. Decine di

tubi e valvole compongono la corazza che mi di-

fenderà dalle acque. Ecco sono dentro…

–Calate l’elmo!

–Bloccate le guarnizioni! Regolate le valvole

di ritegno!

–Assicurate la trachea e fissate il cannocchiale!

Bene. È fatta. Il sole si è tuffato da tempo or-

mai e ora io lo seguirò…ma so che non mi illumi-

nerà il cammino. Stringo il fazzoletto blu…blu co-

me il cielo…come il mare…come i suoi occhi.

–Bene ragazzo, adesso verrai calato sul fondo.

La luce che ti permetterà di vedere sarà generata da

51

una fiamma qui sul ponte della Queen Elisabeth, un

sistema di lenti e specchi passante per un tubo detto

cannocchiale trasporterà la luce fin al tuo casco,

mentre l’aria verrà erogata da delle pompe a vapore

e arriverà giù per questo tubo che si chiama tra-

chea. Non ti preoccupare di nulla cerca solo l’alga e

torna sano e salvo. Quando la troverai tira la leva

qui alla destra del tuo casco, invierai in tal modo un

getto di vapore e ci avviserai di tirarti su. Tutto

chiaro ragazzo?

–…si signor Ingegnere…

–Bene…mi raccomando cerca di tornare sano e

salvo…e fai in fretta…Come dice sempre tuo non-

no? Qualunque cosa accada il Sole sorgerà anche

domani?

–…e tutto si risolverà…va bene…

–Stai tranquillo…

Persona gentile l’Ingegnere. Di tanto in tanto

mi dava dei lavoretti da fare in cambio di cibo. Di-

ceva sempre che ero un bravo ragazzo. Chissà se lo

rivedrò…

L’Ammiraglio, seguito dai suoi chiassosi in-

granaggi a vapore e dalla sua fida ombra in gessato

scuro, si avvicina…cosa vorrà ancora…sento il suo

fiato respirare sul collo…il suo bersaglio è

l’orecchio e sottovoce prese a sentenziare…

52

–Ascoltami tizzone. Se per caso non trovi

l’alga è bene che te ne rimanga sul fondo…sono

stato chiaro?

–…si…Signor Ammiraglio…

–Bene, ne sono lieto. Adesso fissate l’elmo e

buttatelo in mare! A proposito…

–…si…mi dica…

–Caro tizzone, cerca di non “spegnerti”…Ah

Ah Ah!!!

–…si…si Signore…agli ordini…

Così dicendo per tutti si chiusero le porte della

mia vita, ma per me si aprì un mondo nuovo e stra-

no.

La discesa è lenta e calma, illuminata dal mio

faro e disturbata solo dai getti di vapore fuoriuscen-

ti da i vari tubi e tubicini che dalla mia schiena si

dipartono.

L’acqua è torbida.

La luce scava faticosamente nell’acqua per

arrestarsi a qualche piede da me. Il fondo non si

vede e la luce è poca. I pochi pesci presenti si ad-

dossano al mio faretto, costringendomi a cacciarli.

La discesa prosegue.

L’acqua si schiarisce e si comincia ad intrave-

dere qualcosa. L’acqua non è più torbida! Non ci

posso credere! Eccola! Eccola!

Un enorme bellissimo palazzo si staglia dai

fondali! La città! La città!

53

Si può vedere lontano! Vedo un enorme cos-

truzione, sembra un…come si chiama…un ponte!

Di sicuro sotto ci sarà il letto del fiume Tami-

gi…poco distante i piedi del campanile!

Toccai delicatamente il fondo e sollevando nu-

vole di polvere che poco dopo decantarono, iniziai

la mia ricerca.

Tutto è nuovo! Ci sono grandi costruzioni qua-

drate con tanti portelloni quadrati e cabine gigan-

tesche! Ai lati vi sono decine di strani tubi metallici

con delle candele sulla sommità. Ci sono cose che

non conosco…mi sento come un bambino! Ci sono

delle scatole di metallo con sotto quattro strane

carrucole di gomma. O mamma mia!

Ma solo i pesci abitano queste mura…i pesci e

le alghe…si! Le alghe, non devo distrarmi…

Ecco. Questo dev’essere di sicuro il letto del

Tamigi…un deserto che in passato doveva essere

pieno di imbarcazioni, di sicuro non grandi come la

Regina a Vapore.

Vedo delle scale. Bene…

La trachea sembra resistere nonostante la Re-

gina a Vapore non la si veda ormai da tempo. Solo

le stelle sembrano arrivare a me, blu e brillanti co-

me gli occhi della Signorina…il suo fazzoletto è

l’unica cosa che ho di lei…nemmeno il nome…

Dove mi trovo? Ho camminato parecchio im-

merso nei ricordi…

54

Eccola! Una grotta! A sinistra! La luce sembra

penetrarla. Cauto ma inesorabile affronto l’oscurità.

La grotta non è affatto profonda. Dopo pochi passi

raggiungo la fine…ma dov’è l’alga!? Non la trovo!

Frenetico nella ricerca mi accorsi che dietro un

sasso riluceva un bagliore.

Eccola! Un’alga verde di blu macchiata. Colori

meravigliosi, brillano come tenere fluorescenze

piene di speranza. Bene posso avvolgerla nel fazzo-

letto, così sarà al sicuro! E ora non c’è tempo da

perdere! Presto Fuori di qui!

Non ci posso credere! Ci sono riuscito la Sig-

norina è salva! Vedremo sorgere il Sole insieme!

Bene. Eccomi qui. L’Ingegnere mi ha mi ha detto

di tirare la leva…

Con un gran botto assordante e un fischio ta-

gliente una bianca nuvola cominciò a scalare fino

alla superficie, per poi lentamente scomparire.

Passarono i minuti, poi uno strattone comincio

a tirarmi verso l’alto. È fatta la Signorina è salva!

Io sono salvo! Addio Londra…magari un giorno ci

rivedremo…

Un rumore sordo e profondo echeggiò dalla

superficie.

Sono rintocchi…il campanile sta suonan-

do…suona! Decine di strattoni e colpi presero a

martellarmi addosso! Oddio no! Acqua! L’acqua

entra dalle guarnizioni! No!

55

Il vapore iniziò a evadere dallo scafandro con-

tribuendo alla tragedia! Decine, centinaia di strat-

toni! Le onde stanno assalendo la Regina a Vapore!

Resisti ti prego!!

Altri strattoni, ancora botti…poi più nu-

lla…nessuno strattone e nessuna luce…nonostante

il campanile non cessi i suoi rintocchi io rimango

sospeso nelle tenebre.

Non pensavo di possedere tanta calma. Cado

verso il fondo. L’oscurità è fitta e la trachea si è

ormai spezzata. Tratterò il fiato per quanto potrò. Il

peso mi trascina verso il fondo. Non ho salvato la

Signorina e ho fallito! Stringo il fazzoletto…

Però posso ancora dirle il mio nome! Lo gri-

derò alle stelle e il mio nome la salverà. Pochi se-

condi ancora. L’alga avvolta nell’unico dono a me

fatto da un’amica…da un amore…la raggiungerà!

Le stelle mi ascoltano.

Accosto il fazzoletto alle mie labbra e spirando

griderò il mio nome…

–Daniel…

Vidi risalire lenta la mia voce, carica di amore e del

dono nel fazzoletto custodito. Li vidi scomparire

verso il cielo stellato. Vi prego stelle ditele il mio

nome. Vi prego stelle ditele che l’amo.

È buffo, io sono un tizzone e proprio

l’Ammiraglio disse di non spegnermi.

56

Il fondo. Bene sono sul fondo. Ora potrò stare

qui per sempre.

Le stelle si stanno spegnendo una dopo l’altra,

ma io mi sento sereno…so che qualcuno vedrà

l’alba.

…ti amo Signorina B…addio…

Qualunque cosa accada, il Sole sorgerà anche

domani e tutto si risolverà. Così diceva il nonno.

Aveva ragione.

Tutto si è risolto.

AL LIMITAR DEL BOSCO

59

Il cielo. Il cielo è terso e il sole caldo. La pri-

mavera avanza insieme all’alba del mattino, por-

tando nuova vita nelle campagne. Ma ora non è più

così. Almeno non lo sarà per me. Il mondo si an-

nebbia, sono stanco e vorrei riposare… riposare per

sempre. Nulla sarà più come prima. Ricordo solo…

i resti esanimi dei miei compagni, come lapidi ab-

bandonate costellano le lande oramai desolate dei

Califfati Sud dei Reami dell’Ofrent. Ci sfruttano

per costruire i loro galeoni che solcando le nubi

doneranno impietosi la tristezza del dolore... e sarà

anche colpa nostra. Non credo ci sia più nulla da

fare, o di peggio da patire. Ho visto troppe anime

cadere impotenti al metallo nemico, son stanco di

resistere a questo macabro spettacolo. Oramai tutti i

miei fratelli hanno ceduto al nemico incalzante. Mi

dovrò arrendere. Mi dovrò arrende anche io. Alla

fine sono arrivato ai margini del bosco. Il Bosco

Cicala alle falde di Monte Corvo è il luogo in cui

sono cresciuto libero e forte, pur non avendo mai

conosciuto i miei genitori ho saputo cavarmela in

molte situazioni. E adesso…adesso sarà la fine.

Eccoli. Arrivano fieri e non curanti delle loro azio-

ni, preoccupati solo di fornire ai loro padroni dei

robusti galeoni.

– Guardateli…eh eh eh…sembrano in salute…

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Così, disse quella bestia immonda armata di

ascia dinnanzi a me. Ricorderò per l’eternità

l’odore di sangue delle sue vesti…

– Andatevene!!! Voi non avete il diritto di

sfruttarci per le vostre guerre!!! Siete solo delle

bestie senz’anima né cuore!!!

Rise… non curante delle mie parole. Continuò

a sbeffeggiarci come se nulla fosse, come se non

fossimo qui o fossimo sordi! Loro sono i sordi se

non vogliono sentirci!

Uno di loro, con passo spensierato si avvicinò

a me, e dopo avermi squadrato dall’alto verso il

basso con avidi occhi, parlò.

– Questo è forte e sano! Eh eh eh… Ci servirà

di sicuro!

La condanna è stata emanata. Opporsi sembra

inutile. Sono terrorizzato. Non posso muovermi né

ribellarmi.

Un altro, il boia credo, si avvicina lento a me

brandendo un’ascia usurata dalle nere sentenze. La

paura di divenire l’ennesima lapide mi soffoca il

cuore! Posso solo annegare nei ricordi di gioventù,

mentre l’ascia cade sibilante su di me. Il primo col-

po ricorda la luce fra le fronde degli alberi al matti-

no. Il secondo colpo ricorda le gocce di rugiada

sulle foglie. Il terzo colpo ricorda il volo degli uc-

celli miei amici. Il quarto colpo ricorda l’odore del

mare trasportato dal vento. Il quinto colpo ricorda

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le placide nuvole nel cielo. Il sesto colpo ricorda il

candore della neve sui rami. Ma il settimo, il setti-

mo colpo lo riservo al presente. Ad un presente che

mai avrei voluto conoscere. Il cielo. Il cielo è terso

e il sole caldo. La primavera avanza insieme

all’alba del mattino, ma questa volta sarà senza di

me. Il cielo sembra piangere anche senza pioggia.

Chissà, forse qualcuno la su in cielo muore come

me, che sono qui in terra. Peccato. Le mie fronde

non rinfrescheranno più nessuno.