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82 L’INTELLIGENZA La nostra classe ha elaborato dei brevi testi che esprimono dei pareri riguardanti l'intelligenza, per ri- spondere alla domanda: “ Per me Intelligenza significa....”. Ovviamente ognuno di noi si è basato sulle nozioni apprese a scuola e sul proprio pensiero a riguardo. I nostri pareri sono riportati qui di seguito: “Avere delle competenze o capacità che ci aiutino a ragionare e ad apprendere i concetti che ci vengono richiesti. Oppure semplicemente saper elaborare delle idee o dei pensieri che ci portino ad un risultato. Ovviamente ognuno di noi ha un'intelligenza che può essere potenziata nel tempo o che può essere appre- sa sin dalla nascita.” (Giulia) “Intelligente è un “ragazzo/a genio”, cioè è in grado di comprendere, capire, apprendere e memorizzare qualsiasi concetto dato. Intelligente è un ragazzo furbo, cioè sveglio e attento. Ci sono diverse intelligenze che possono delinea- re le capacità del ragazzo o della ragazza. Un “ragazzo ge- nio” è anche quello che ha un quoziente intellettivo molto alto e dunque sa affrontare vari test o verifiche senza avere problemi o distrazioni di alcun genere. L' intelligenza può essere ereditaria e anche acquisita durante l'arco della no- stra vita.” (Maria) “Saper affrontare e risolvere problemi scolastici e quoti- diani complessi, sapersi orientare in situazioni particolari, in alcune situazioni saper fare cose invece di altre. Intelli- gente significa anche avere un potente quoziente intellettivo e apprendere cose prima degli altri. Però ci sono intelligenze diverse come l'intelligenza in campo medico quindi in quello della scienza e intelligenze nel campo tecnico e informatico. Secondo degli studi, l'intelligenza è un bene che si trasmette per via ge- netica e non si acquisisce, mentre secondo me l'intelligenza si può anche sviluppare e acquisire durante la vita di ogni giorno e molte volte noi impariamo qualcosa e così facendo arricchiamo la nostra intelligenza grazie ad ogni cosa che ci capita davanti agli occhi senza che noi ce ne accorgiamo.” (Nadia) “Sapere come gestire un certo tipo di situazione in cui sono in grande difficoltà. Significa essere in gra- do di organizzarmi ogni cosa di qualsiasi tipo. Vuol dire anche essere molto istruiti (o ''informati''), ma non solo di quello che si impara a scuola: per esempio si può conoscere la storia del proprio paese o di altri ecc. Significa anche essere in grado di spiegare come il mondo è cambiato nei vari periodi. Vuol dire anche essere esperti in uno specifico argomento.” (Giovanni) “Avere qualcosa in più di qualcuno come ragionamenti e pensieri. Riuscire a fare problemi o compiti difficili in meno tempo di altri. Saper elaborare progetti complicati. Secondo me l'intelligenza tra uomo e donna é uguale tra loro.” (Michael N.) “Essere in grado di osservare e provare a dare un significato alle osservazioni che ho visto. Tutti noi abbiamo un'intelligenza diversa per esempio alcune persone possono essere più brave nello svolgere de- terminati lavori. Molte scuole di psicologia hanno considerato che i modi di pensare sono dovuti al carat- tere, alle azioni e al comportamento che uno ha. (Yassine) “Saper essere in grado di trovare delle soluzioni logiche ai problemi che ci si presentano, secondo le nostre conoscenze e le varie esperienze che abbiamo affrontato. Intelligenza può anche voler dire sapersi ricordare avvenimenti, ragionamenti, cose imparate per riutilizzarli nei momenti in cui si dimostreranno necessari. L'intelligenza è l'insieme di tutte le conoscenze di ognuno e sono diverse da persona a persona, secondo il modo di ragionare e secondo le conoscenze che si hanno.” (Federica) “Avere delle capacità nello svolgere dei compiti o delle azioni. Intelligente è una persona che capisce al volo i concetti (ad esempio concetti di storia, matematica, tedesco etc...). Tutti noi siamo intelligenti; per- sino gli animali hanno una piccola percentuale di intelligenza e capiscono quando li sgridi, quando noi siamo tristi e quando siamo felici.” (Valentina) “Una persona capace di apprendere facilmente le cose, memorizzare le cose velocemente e arrivare a delle soluzioni subito. Credo che una persona in grado di compiere queste cose, sia una persona genio, cioè con un quoziente intellettivo molto alto. L'intelligenza si può acquisire durante il nostro percorso di L’intelligenza assomiglia più ad una strada che si dirama che ad un sentiero (Giacomo P. , Giovanni C.)

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L’INTELLIGENZA La nostra classe ha elaborato dei brevi testi che esprimono dei pareri riguardanti l'intelligenza, per ri-spondere alla domanda: “ Per me Intelligenza significa....”. Ovviamente ognuno di noi si è basato sulle nozioni apprese a scuola e sul proprio pensiero a riguardo. I nostri pareri sono riportati qui di seguito:

“Avere delle competenze o capacità che ci aiutino a ragionare e ad apprendere i concetti che ci vengono richiesti. Oppure semplicemente saper elaborare delle idee o dei pensieri che ci portino ad un risultato. Ovviamente ognuno di noi ha un'intelligenza che può essere potenziata nel tempo o che può essere appre-sa sin dalla nascita.” (Giulia)

“Intelligente è un “ragazzo/a genio”, cioè è in grado di comprendere, capire, apprendere e memorizzare qualsiasi concetto dato. Intelligente è un ragazzo furbo, cioè sveglio e attento. Ci sono diverse intelligenze che possono delinea-re le capacità del ragazzo o della ragazza. Un “ragazzo ge-nio” è anche quello che ha un quoziente intellettivo molto alto e dunque sa affrontare vari test o verifiche senza avere problemi o distrazioni di alcun genere. L' intelligenza può essere ereditaria e anche acquisita durante l'arco della no-stra vita.” (Maria)

“Saper affrontare e risolvere problemi scolastici e quoti-diani complessi, sapersi orientare in situazioni particolari, in alcune situazioni saper fare cose invece di altre. Intelli-

gente significa anche avere un potente quoziente intellettivo e apprendere cose prima degli altri. Però ci sono intelligenze diverse come l'intelligenza in campo medico quindi in quello della scienza e intelligenze nel campo tecnico e informatico. Secondo degli studi, l'intelligenza è un bene che si trasmette per via ge-netica e non si acquisisce, mentre secondo me l'intelligenza si può anche sviluppare e acquisire durante la vita di ogni giorno e molte volte noi impariamo qualcosa e così facendo arricchiamo la nostra intelligenza grazie ad ogni cosa che ci capita davanti agli occhi senza che noi ce ne accorgiamo.” (Nadia)

“Sapere come gestire un certo tipo di situazione in cui sono in grande difficoltà. Significa essere in gra-do di organizzarmi ogni cosa di qualsiasi tipo. Vuol dire anche essere molto istruiti (o ''informati''), ma non solo di quello che si impara a scuola: per esempio si può conoscere la storia del proprio paese o di altri ecc. Significa anche essere in grado di spiegare come il mondo è cambiato nei vari periodi. Vuol dire anche essere esperti in uno specifico argomento.” (Giovanni)

“Avere qualcosa in più di qualcuno come ragionamenti e pensieri. Riuscire a fare problemi o compiti difficili in meno tempo di altri. Saper elaborare progetti complicati. Secondo me l'intelligenza tra uomo e donna é uguale tra loro.” (Michael N.)

“Essere in grado di osservare e provare a dare un significato alle osservazioni che ho visto. Tutti noi abbiamo un'intelligenza diversa per esempio alcune persone possono essere più brave nello svolgere de-terminati lavori. Molte scuole di psicologia hanno considerato che i modi di pensare sono dovuti al carat-tere, alle azioni e al comportamento che uno ha. (Yassine)

“Saper essere in grado di trovare delle soluzioni logiche ai problemi che ci si presentano, secondo le nostre conoscenze e le varie esperienze che abbiamo affrontato. Intelligenza può anche voler dire sapersi ricordare avvenimenti, ragionamenti, cose imparate per riutilizzarli nei momenti in cui si dimostreranno necessari. L'intelligenza è l'insieme di tutte le conoscenze di ognuno e sono diverse da persona a persona, secondo il modo di ragionare e secondo le conoscenze che si hanno.” (Federica)

“Avere delle capacità nello svolgere dei compiti o delle azioni. Intelligente è una persona che capisce al volo i concetti (ad esempio concetti di storia, matematica, tedesco etc...). Tutti noi siamo intelligenti; per-sino gli animali hanno una piccola percentuale di intelligenza e capiscono quando li sgridi, quando noi siamo tristi e quando siamo felici.” (Valentina)

“Una persona capace di apprendere facilmente le cose, memorizzare le cose velocemente e arrivare a delle soluzioni subito. Credo che una persona in grado di compiere queste cose, sia una persona genio, cioè con un quoziente intellettivo molto alto. L'intelligenza si può acquisire durante il nostro percorso di

L’intelligenza assomiglia più ad una strada che si dirama che ad un sentiero (Giacomo P. , Giovanni C.)

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studio o dai propri genitori. Esistono molti tipi di intelligenza tra cui quella linguistica, cioè quella di ap-prendere facilmente le lingue, quella naturalistica, cioè essere in grado di riconoscere i vari tipi di piante. Secondo me, chi ha un quoziente intellettivo molto alto, è una persona molto fortunata perché rie-sce.” (Marianna)

“Essere in grado di capire i vari problemi che siamo costretti ad affrontare durante la nostra vita. Secon-do me ci sono vari tipi di intelligenza: per esempio alcune persone possono essere brave nello svolgere attività pratiche e altre no. Per me, essere dei geni vuol dire essere bravissimi nello svolger qualsiasi tipo di problema. Secondo me, le persone meno intelligenti non sono in grado di risolvere nessun tipo di pro-blema.” (Giacomo)

“L'intelligenza è la coscienza di ognuno, la capacità di distinguerci dagli animali grazie alla nostra spes-sa corteccia cerebrale. È anche la capacità di ragionare e, di conseguenza, agire. Ma le intelligenze non sono uguali per tutti: il coefficiente di intelligenza si misura attraverso dei test. Questi ultimi, purtroppo, si differenziano molto tra di loro, così da dare risultati differenti. La definizione esatta di intelligenza è ancora contestata, ma ciascuno di noi può dare la propria opinione. Infatti, si può dare una definizione filosofica o scientifica. Intelligenza è anche la capacità di elaborare informazioni per risolvere proble-mi.” (Michael M.)

“Sapere essere in grado di risolvere problemi o giochi di logica come rebus o enigmi trovando una solu-zione adeguata secondo le nostre capacità. Secondo me è anche l'insieme di tutte le conoscenze di ogni individuo e sapersi ricordare degli argomenti appena letti in modo da saperli esporre nei momenti richie-sti. L'intelligenza è anche il modo in cui può ragionare una persona, che può essere diverso per ognuno, perché dipende dall'età, dalle capacità e dalle conoscenze di ognuno.” (Paola)

“Intelligenza é di un uomo o di una donna di cervello che fare per tutti lavori.” (Goran, in Italia da tre mesi)

CHE COS’E’ L’INTELLIGENZA?

L’intelligenza è la capacità di apprendimento, di comprensione, di ragiona-mento, di risolvere problemi ed è l’insieme delle funzioni che permettono di creare e immaginare. Secondo una fonte, l'intelligenza è un bene che si eredita e non si acquisisce: perché? Secondo il nostro gruppo questa affermazione non è del tutto corretta, perché un ragazzo può ereditare l'intelligenza dai suoi genitori e potenziarla durante l'arco della sua vita. Ciascuno ha un suo quoziente intellettivo (Q.I.); chi lo ha più alto è un ge-nio, in senso che riesce ad apprendere più velocemente, cioè trovare prima le soluzioni, riesce ad farlo in maniera differente e inoltre può arrivarci al contra-rio, in maniera inversa di come altri ci arriverebbero. Il quoziente intellettivo è il risultato di un test specifico di intelligenza che deriva da una concezione uni-dimensionale dell’intelligenza intesa in senso cognitivo. Per quanto l’intelligen-za sia stata a lungo studiata da molti ricercatori, si è ancora lontani dall'avere raggiunto un consenso comune su una definizione capace di fissarne le caratte-ristiche più importanti; si può comunque affermare che l’intelligenza, sia il fat-tore principale della divisione americana in classi sociali. Gli americani affer-mano che le persone di colore costituiscono la grande maggioranza della “sottoclasse” meno intelligente e questa spaccatura della società americana tra una élite di bianchi e i ghetti di neri sarebbe “inevitabile”.

L’intelligenza si può misurare?

Ma davvero l’ intelligenza è una “cosa” dentro la testa che si può misurare, indipendentemente dalla cultura in cui si è immersi e dal contesto sociale? Secondo Edgard Morin l’intelligenza esprime “la predisposizione a pensare, ad affrontare e risolvere i problemi in situazioni complesse”. L’intelligenza non è qualcosa di unico. Non è una capacità universale e assoluta di cui Leonardo da Vinci è un raro esempio. Il primo grande equivoco è quello di usare il test per il quoziente intellettivo per valutare le differenze tra due gruppi etnici diversi, come bianchi e neri. Ci sembra opportuno puntualizzare che il Q.I. non es-

Leonardo da Vinci (1452– 1519) Fu pittore, architetto, scultore, ingegnere, stu-dioso di scienze naturali, anatomista...

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prime l’intelligenza, ma è un modo per misurare la capacità di risolvere problemi scolastici e quotidiani. Se andiamo alla ricerca di componenti specifiche, troveremo spesso una superiorità femminile nell'in-

telligenza verbale1 e maschile nell'intelligenza spaziale

2. Se passiamo, invece, all'ambito della valuta-zione scolastica nella fascia della scuola dell'obbligo, che indirettamente ha a che fare con l'intelligenza, è tipico riscontrare una superiorità femminile nell'area linguistica. Mentre per l'area matematica le indica-zioni sono contraddittorie con eventuale superiorità maschile. L’intelligenza rimane stabile nel tempo?

Da questo grafico sulla desiderabilità e sulla collocazione temporale dei cambiamenti evolutivi attesi per “la maggior parte delle persone” nel corso del ciclo adulto, possiamo dedurre che le persone vorreb-bero essere: �� tra i 20 e i 30 anni, mentalmente sane e pensare con chiarezza; un po' meno curiose e non materiali-

ste; �� tra i 30 e i 40 anni, esperte, un po' meno scettiche e orgogliose e non eccitabili, prevenute e cupe; �� tra i 40 e i 50 anni, rilassate, calme e meno conservatrici. �� tra i 50 e i 60 anni dignitose, non caute e smemorate, ma soprattutto non vogliono essere aspre.

La saggezza sembra essere uno dei pochi pregi associati all'ultima parte della vita, e può perciò costitui-re un obiettivo positivo e desiderabile che si può aspirare a raggiungere. Mentre nella prima fase dell'età adulta e nella mezza età le caratteristiche positive abbondano, è creden-za popolare che quelle positive associate alla vecchiaia siano estremamente rare. Questo grafico dimostra che la misura delle doti intellettuali non resta stabile nel tempo nelle diverse fasi della vita. Sono spesso citati risultati che rivelano correlazioni significative fra punteggi di intelligenza ottenuti dagli stessi individui a notevole distanza di tempo. Con il passare degli anni la relazione fra Q.I. e altri aspetti cambia, per esempio, in relazione all'aumento del peso dei fattori biologici e precoci. Se, invece, esaminiamo le variazioni in età evolutiva, con lo sviluppo diminuirebbe il peso dell'intelligenza di base3-

presumibilmente in relazione con il fatto che le conoscenze aumentano e compensano deficit di base4. In pratica la relazione fra variabili intellettive non è costante con le età e i livelli intellettivi. _______________

1 - Capacità di sapersi esprimere in modo sciolto e adeguato. 2 - Abilità nel percepire e rappresentare gli oggetti visivi, manipolandoli idealmente, anche in loro assenza. 3 - E’ l'intelligenza che si ha dalla nascita. 4 - Mancanze fin dalla nascita.

Grafico tratto da Sternberg R.J., Ruzgis P., 1994

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Le abilità cognitive sono molte correlate quando si esaminano bassi livelli intellettivi e invece diventa-no meno correlate a livelli intellettivi elevati: una persona molto intelligente per un aspetto, non lo è ne-cessariamente per un altro. In particolare, è frequente osservare nel ritardo mentale andamenti similmente bassi in varie prove anche differenti. Si potrebbe obiettare che il risultato è dovuto ad artefatti misurativi, ma non sembra sempre essere questo il caso. Secondo noi l'intelligenza assomiglia quindi più a una strada che si dirama che a un singolo sentiero. Poggese M., Doardo M., Branzi N., Prati G.,Ferrari P. Dove si genera l’intelligenza?

L’intelligenza si genera nel cervello, dove sono presenti miliardi di cellule chiamate neuroni5, ognu-na delle quali è un’unità indipendente ma, nello stes-so tempo, collegata ad altri neuroni tramite una fitta rete di collegamenti, dovuta a migliaia di miliardi di contatti. Il cervello elabora le informazioni provenienti dal corpo e dal mondo esterno, innescando processi di risposta che possono essere di tipo chimico, motorio, comportamentale. Presiede a funzioni complesse come l’attenzione, la coscienza, il sonno, la memo-ria, l’immaginazione, il pensiero e l’abilità creativa. L’intelligenza non risiede in un’area specifica del cervello, ma dipende invece da come e quando sono

collegati tra loro i neuroni delle diverse regioni della corteccia celebrale. Molti scienziati sostengono che i computer rappresentino un buon modello dell’effettivo funzionamento del nostro cervello. Il cervello è costituito da due emisferi che svolgono un’attività complementare: l’emisfero sinistro è specializzato nelle funzioni atte ad articolare il linguaggio e nei procedimenti logici sequenziali, come leggere e scrivere una parola dopo l’altra o risolvere semplici equazioni; è superiore al destro nelle prove razionali e sembra che elabori le informazioni in modo analitico, ossia scomponendole per parti. L’emi-sfero destro è specializzato nel riconoscimento delle immagini visive complesse e nella rappresentazione mentale di oggetti tridimensionali. Sembra che ad esso siano dovute le attitudini musicali e le capacità intuitive che fanno cogliere la soluzione di un problema prima ancora di riuscire a esprimerla con le paro-le. L’emisfero destro elabora le informazioni in modo sintetico, senza scomporle in parti. Le sensazioni casuali e disordinate che pro-vengono incessantemente dalle orecchie, dagli occhi e dal tatto vengono ricevute dal talamo6, che le armonizza tra loro prima di inviarle alla corteccia. Nelle regioni più profonde del cer-vello c'è il sistema limbico7, il quale è costi-tuito da uno strato di materia celebrale che aggira il corpo calloso e da alcune strutture che circondano il talamo. Le fibre che, attraverso il corpo calloso, col-legano i due emisferi cerebrali completano la loro maturazione entro 15-16 anni. Da esse dipendono apprendimenti complessi dovuti alla collaborazione tra i due emisferi, come la scrittura e la lettura, il calcolo, la rappresenta-zione dello spazio, lo sviluppo delle abilità manuali e dell'agilità. __________________

5 - Cellula nervosa 6 - Nucleo di materia grigia a forma ovoidale, posta sotto il cervello 7 -E’la sede principale delle emozioni

Le diverse aree del cervello nel disegno di Paola Ferrari e Goran Stoilov

Anatomia dell’encefalo (disegno di Federica Tomelleri)

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A causa di questo lungo periodo di “apprendistato”, l'ambiente

sociale, culturale e affettivo in cui vive un ragazzo può realmente imprimere nel suo cervello un'impronta duratura, capace di condizio-nare i suoi sviluppi futuri. Ciò avviene, probabilmente, attraverso quel processo di stabilizzazione selettiva che conduce al consolidamento di alcune sinapsi8 e all'eliminazione di altre. Naturalmente l'impronta non è subita in maniera passiva, perché, a parità di condizioni, ogni ragaz-zo dà poi una sua risposta individuale all'ambiente. Ed è proprio que-sta che produce quella imprevedibilità di comportamenti e pensieri che è alla radice della creatività. Nello sviluppo delle capacità intellettive e creative l'eredità geneti-

ca offre ad ogni individuo una certa potenzialità. Un ambiente sociale, culturale e affettivo ricco di stimoli appropriati, può valorizzare questa potenzialità aiutandola a svilupparsi. Un ambiente privo di stimoli, oppure traboccante di stimoli banali che spingono al conformismo, può invece sprecare le potenzialità individuali e condurre alla unificazione degli uomini.

Ferrari P., Tomelleri F., Ed Dafali Y., Mongia M. Esistono intelligenze diverse?

In seguito alle ricerche svolte in classe, abbiamo constatato che ci sono varie teorie che sostengono la domanda che ci siamo posti. L'intelligenza è l'insieme innato di funzioni conoscitive, adattative e immagi-native, generate dall'attività cerebrale dell'uomo e di alcuni animali. Secondo lo psicologo americano Robert J. Sternberg, il pensiero umano si fonda su tre tipi di intelligenze fondamentali: analitica, pratica e creativa. Il pensiero analiti-

co si distingue per la capacità di scomporre, confrontare, esaminare, scendere nei dettagli, giudicare, valutare, chiedersi e spiegare il perché. L’intelligenza pratica si esplicita nell’abilità di usare strumenti, di saper organizzare e di attuare progetti con-creti. La dimensione creativa dell’intelligenza umana è chiaramente caratterizzata dall’intuizione, dalla scoperta, dall’abilità a produrre il nuovo, dal saper ipotizzare, immaginare e inventare. Invece secondo Gardner, ogni persona è dotata di almeno sette intelligenze ovvero è intelligente in almeno sette modi diversi. Ciò significa che alcuni di noi possiedo-no livelli molto alti in tutte o quasi tutte le intelligenze, mentre altri hanno sviluppa-to in modo più evidente solo alcune di esse. Tuttavia è importante sapere che ognuno le può sviluppare tutte fino a raggiungere soddisfacenti livelli di competenza.

1. Intelligenza logica/matematica è la capacità implicata nel confronto e nella valutazione di oggetti concreti o astratti e nell’individuare relazioni e principi;

2. Intelligenza linguistico/verbale è l’abilità che si esprime nell’uso del linguag-gio e delle parole, nella padronanza dei termini e nella capacità di adattarli alla natura del compito;

3. Intelligenza cinestetica è l’abilità che si rivela nel controllo e nel coordina-mento dei movimenti del corpo e nella manipolazione degli oggetti per fini funzionali o espressivi;

4. Intelligenza visivo/spaziale è la capacità di percepire forme ed oggetti nello spazio;

5. Intelligenza musicale è l’abilità che si rivela nella composizione e nell’analisi di brani musicali; 6. Intelligenza intrapersonale è la capacità di comprendere le proprie emozioni e di incarnarle in for-

me socialmente accettabili; 7. Intelligenza interpersonale è l’abilità di interpretare le emozioni, le motivazioni e gli stati d’ani-

mo. __________________

8 - Collegamento fra due fibre nervose, che assicura la trasmissione dell’impulso nervoso

Einstein, Picasso, Bach: tre esempi di intelligenze creative

Gli scienziati cominciano a leggere il pensiero dell’uomo (disegno di Chri-stian Canteri-2B)

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A questi tipi di intelligenza, Gardner ha aggiunto successivamente un’ottava intelligenza, quella natura-

listica, che è relativa al riconoscimento e alla classificazione di oggetti naturali. Inoltre si è ipotizzato sul-la possibilità dell’esistenza di una nona intelligenza, quella esistenziale, che riguarderebbe la capacità di riflettere sulle questioni fondamentali relative all’esistenza. Esiste poi l’intelligenza artificiale, cioè l’insieme delle ricerche teoriche e tecnologiche miranti alla progettazione di macchine ed elaboratori elettronici. Negrente M., Benin G., Campara G., Brunelli V., Tomelleri F., Prati G., Ferrari P. Il caso dei gemelli Un bambino che presenta una predisposizione al canto tenderà non solo ad esercitare quanto più possibile le sue capacità, ma anche a ricercare attivamente nel proprio ambiente condizioni e situazioni in grado di sviluppare al meglio le sue potenzialità: parteciperà più di altri bambini a manifestazioni canore, frequen-terà gruppi di canto, ecc.. Considerato che esistono intelligenze diverse, cosa si osserva nel caso dei ge-melli9 ? Cosa succede nei gemelli che vengono allevati in ambienti diversi, con stimoli diversi? In Europa l'1% delle gravidanze sono gemellari. Esistono due tipi di gemelli: Gemelli dizigotici (o biovulari o fraterni): si hanno quando due ovuli diversi sono fecondati da due sper-matozoi diversi, più o meno allo stesso tempo; Gemelli monozigotici: derivano da cellule staccatesi nei primi stadi di sviluppo di un unico zigote, nato dalla fecondazione di un unico ovulo. I gemelli sono molto utili per determinare e studiare l'ereditarietà; infatti il confronto tra quelli mono e dizigotici è uno dei maggiori strumenti informativi nella genetica umana. Buona parte degli studi dicono che c'è una relazione tra il Q.I. dei gemelli monozigoti. Si è rilevato in-fatti che i gemelli monozigoti che vivevano separati condividevano anche in lontananza atteggiamenti simili. Sempre allo scopo di stimare il ruolo delle variabili genetiche nella determinazione del Q.I., altri studi hanno confrontato i Q.I. di gemelli monozigoti ed eterozigoti, cresciuti nello stesso ambiente.

La tabella mostra la relazione fra vari tipi di gemelli e l'ambiente nei quali sono stati allevati secondo i vari parametri, cioè gli studi, le coppie esaminate e il coefficiente di correlazione medio, il quale indica la relazione tra il quoziente intellettivo degli individui presi in esame. I gemelli possono essere allevati separatamente o insieme e possono essere di sesso diverso o uguale. Ora paragoneremo il coefficiente di correlazione medio tra i vari individui: �� I gemelli monovulari allevati insieme hanno il coefficiente più alto; �� I gemelli monovulari allevati insieme hanno un coefficiente maggiore rispetto ai gemelli monovula-

ri allevati separatamente, perciò l'ambiente influisce maggiormente se i gemelli sono allevati insie-me;

�� I gemelli biovulari allevati insieme hanno un coefficiente superiore ai gemelli biovulari di sesso diverso allevati insieme, quindi gemelli dello stesso sesso si possono aiutare maggiormente;

__ ___________

9 - Possono formarsi per separazione delle prime cellule dopo la prima divisione dello zigote; per formazione di una singola massa di cellule che poi si divide; per sviluppo di due masse cellulari interne; per divisione molto tardiva, incompleta (gemelli coniugati o siamesi)

Tipo di parentela Studi Coppie esaminate Coefficiente di correlazione Medio

Gemelli monovulari allevati separatamente 3 65 0,72

Gemelli monovulari allevati insieme 34 4672 0,86

Gemelli biovulari allevati insieme 29 3670 0,62

Gemelli biovulari di sesso diverso allevati insieme 18 1592 0,57

Fratelli non gemelli allevati insieme 69 26473 0,47

Fratelli non imparentati biologicamente (adottati) allevati 11 713 0,3

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�� I fratelli non gemelli allevati insieme hanno un coefficiente più elevato rispetto ai fratelli non impa-rentati biologicamente (adottati) allevati perché i fratelli allevati insieme hanno più somiglianza.

Quindi, si può notare che il luogo nel quale sono cresciuti i vari tipi di gemelli, influenza parzialmente il Q.I., mentre il fattore ereditario conta molto. Tale studio è stato recentemente smentito per il numero esiguo di coppie esaminate. In generale, ci sembra possibile affermare che tutti gli studi finora citati non solo hanno fallito nel loro tentativo di dimostrare in maniera rigorosamente sperimentale l’influenza dei fattori genetici sullo svilup-po dell’intelligenza, ma, in alcuni casi, sono stati addirittura reinterpretati come prova della preminenza dei fattori ambientali. M. Mongia, G. Benin, G. Campara, P. Ferrari Classe 3B, Cerro

Disegno di Maria Doardo, Marianna Poggese, Nadia Branzi

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L’UOMO POPOLA LA TERRA

Quando Einstein è arrivato in America, per sfuggire alle persecuzioni razziali della Germania hitleriana e ad Ellis Island gli hanno chiesto :”Razza?”, lui ha risposto :”Umana”. Da grande scienziato quale era sapeva che tutti noi apparteniamo alla stessa specie e proveniamo tutti da una stessa “radice” che si è svi-luppata in Africa molti milioni di anni fa. In questa sezione i ragazzi della 3A di Bosco con la prof. Massella ci raccontano la storia della lunga strada che gli uomini hanno percorso dalla culla africana per arrivare a popolare tutti i continenti. Si sono resi conto che l’emigrazione non è un fenomeno recente, ma antico quanto l’uomo. E’ un fenomeno com-plesso frutto di diverse motivazioni, quasi sempre dettate dal desiderio di migliorare, fanno eccezione le migrazioni forzate come quelle degli schiavi o di chi parte per conquistare nuove terre e sottomettere le popolazioni che vi abitano. Anche noi discendiamo da un popolo, quello dei Cimbri che si sono stanziati in Lessinia alla fine del XIII secolo, è una storia che non si studia nei testi scolastici, i ragazzi della 1A e 1B e quelli della 3A di Bosco con le proff. Bianchi, Scandola e Massella, hanno ricostruito brevemente la storia del popolamento della Lessinia (in grigio più scuro alcuni approfondimenti) affiancandola al una breve sintesi della storia generale per poterla confrontare ed avere una visione d’insieme. Un altro approfondimento, questa volta in lingua inglese, è legato allo studio della storia del popola-mento della Gran Bretagna scritto dai ragazzi della 2A e 2B di Roverè con la prof. Canteri. Abitando vari continenti ed ambienti diversi l’uomo ha sviluppato culture e modi di abitare diversi, con la classe 3A di Bosco e la prof. Massella veniamo a conoscenza di alcuni di queste culture che ci aiutano a capire la varietà e la ricchezza e a volte le sofferenze dei vari popoli. Legate al tema delle organizzazione sociale che l’uomo ha elaborato nel corso della storia c’è il lavoro dei ragazzi della 2B di Roverè che, con la prof. Torre, hanno studiato le diverse forme di governo facen-doci riflettere sulle conseguenze che queste hanno avuto ed hanno per la convivenza civile. Altro tema importante, diventato di grande attualità in occasione delle prossime Olimpiadi, è quello dei diritti umani. Una lunga storia fatta spesso di sopraffazioni che la classe 2A di Roverè con la prof. Trenti-ni hanno ricostruito con la collaborazione di Ammnesty International. Il linguaggio: una caratteristica peculiare della specie umana. I ragazzi della 3A e 3B di Bosco con le proff. Consuma e Massella ne hanno ricostruito l’evoluzione, evidenziandone la varietà e l’importanza come espressione della cultura di un popolo. A questa tematica sono collegati i due approfondimenti, uno legato alla lingua inglese curato dai ragazzi della3A di Roverè con la prof. Canteri e una su cognomi delle famiglie e delle contrade di Bosco curato dalla prof. Bianchi con la classe 2A di Bosco. Abitando la Terra l’uomo ha costruito delle strutture abitative particolari. A parlarci delle peculiarità architettoniche della Lessinia sono le classi 3A e 3B della scuola di Cerro con il prof. Fiorini.

Proff: Nadia Massella Chiara Bianchi Luisa Scandola Cinzia Canteri Laura Torre Federica Trentini Luisa Consuma Paolo Fiorini

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MIGRAZIONE: UNA COSTANTE CHE DURA NEL TEMPO

INTRODUZIONE

I gruppi umani si sono spostati e mescolati tra di loro nel corso di tutta la storia e oggi la scienza, con i ritrovamenti fossili e i test sui DNA mitocondriale (che si eredita solo per via materna e rimane inaltera-to di generazione in generazione), ha dimostrato che tutti noi deriviamo da un’unica progenitrice africana, la cosiddetta “Eva africana” risalente a circa 150 mila anni fa. Accanto all’analisi del DNA mitocondriale gli studiosi hanno effettuato anche ricerche sul cromosoma Y che si eredita solo per via paterna per poter ricostruire la mappatura genetica attraverso il tempo e i continenti. Il DNA è identico in tutti gli esseri umani nel 99,9% dei casi, il rimanente 0,1% è quello che determina le diversità individuali o di gruppo, come per esempio il colore degli occhi, dei capelli, ecc. La maggior parte del DNA umano resta invariato per migliaia di anni e solo occasionalmente avviene una mutazione spontanea o casuale nella sequenza del DNA mitocondriale o del cromosoma Y che, da quel momento in poi viene trasmesso ai discendenti della persona in cui la mutazione si è verificata. L’analisi di queste mutazioni ha permesso agli scienziati di individuare i gruppi umani con la stessa mutazione così da poter tracciare il processo evolutivo dell’uo-mo e dei suoi spostamenti. Partendo dai dati emersi delle recenti ricerche sul DNA mitocondriale e sul cromosoma Y abbiamo cer-cato di ricostruire la storia delle principali migrazioni per arrivare a parlare di quelle che hanno interessa-to in particolare l’Italia e la Lessinia. Abbiamo osservato che in ogni epoca storica e in ogni parte della

Terra si sono verificati spostamenti di popolazione, ovvero migrazioni. Possiamo dire che l’emigrazione è un fenomeno sociale che spinge degli individui o una parte di popolazione a spostarsi in una zona diver-sa dal paese d’origine, determinato da varie ragioni, ma principalmente dalla ricerca di migliori condizio-ni di vita. Infatti, quando vengono a mancare le condizioni necessarie al soddisfacimento dei bisogni o dei desideri dell’uomo, quest’ultimo è spronato ad andarsene dal paese originario.

In questa cartina vengono messe in rilievo le linee evolutive del cromosoma Y che permette di andare indietro nel tempo fino a circa 140 -150.000 anni fa. Sia il DNA mitocondriale che il cromosoma Y sono importanti per ricostruire gli spostamenti uma-ni, quest’ultimo permette di individuare meglio gli specifici gruppi perché i maschi sono più stanziali, legati al villaggio, men-tre le donne si spostano da un gruppo all’altro con il matrimonio. Abbiamo tracciato una linea scura comune a tutti i gruppi per far capire che tutti gli uomini hanno una stessa origine (disegno di Tommaso Zanini)

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I motivi che hanno portato gli uomini ad emigrare sono stati molteplici, ne elenchiamo alcuni:

�� il bisogno di trovare nuove terre per lo squilibrio che si viene a creare tra la densità di abitanti e la capacità di popolamento di quel territorio

�� il bisogno di trovare lavoro �� il bisogno di avere manodopera a basso costo, come è avvenuto con l’emigrazione forzata degli

schiavi africani �� il desiderio di migliorare le proprie condizioni di vita o di avere più possibilità di esprimere il pro-

prio talento come succede attualmente con la cosiddetta “ fuga di cervelli” �� il desiderio di espansione del proprio territorio, come ad esempio è avvenuto con la conquista dell’-

America Latina ad opera di Spagnoli e Portoghesi �� il desiderio di fuggire dalle guerre, dalle persecuzioni politiche e religiose, dai conflitti etnici, dalle

discriminazioni razziali, che ha creato particolari figure di emigranti: i profughi e i rifugiati politici. �� il bisogno di amore che ha spinto molte persone, in particolare le donne, ad andare a vivere in un

nuovo paese per costituire il proprio nucleo famigliare

L’emigrazione presenta sia aspetti positivi che negativi:

�� Porta manodopera nei paesi in cui si emigra, ma sottrae forza lavoro soprattutto giovane al Paese d’origine �� Contribuisce al miglioramento delle condizioni di vita del Paese in cui si emigra, rendendo però più

difficili i miglioramenti nel paese d’origine perché le persone che rimangono (anziani, donne, bam-bini) sono meno motivati a portare avanti dei cambiamenti

�� Le città si popolano e occupano gli spazi circostanti dove prima c’era campagna sorgono le nuove periferie urbane, dall’altro lato le zone rurali si spopolano, vengono abbandonate soprattutto le zone più periferiche, le contrade più isolate �� Favorisce incontro tra diverse culture ma nascono spesso fenomeni di xenofobia, cioè di rifiuto o di

odio verso gli stranieri

Anche gli italiani a partire dalla seconda metà dell’Ottocento sono andati ad emigrare e i più numerosi all’inizio erano veneti e liguri diretti soprattutto verso l’America del Sud e gli Stati Uniti. Con i primi del Novecento, in conseguenza delle migliorate condizioni economiche del nord dovute allo sviluppo industriale, il primato dell’emigrazione passa al Sud dove le condizioni di vita erano ancora molto arretrate soprattutto nel-le campagne. La scelta dello Stato da raggiungere veniva attuata valutando la lingua (spagnolo e portoghese erano più facili da imparare per i veneti rispetto ad altre lingue), la possibilità di lavoro, le testimonianze da parte di parenti o di conoscenti emigrati in quel posto, la ricchezza del Paese e il tenore di vita e il costo del biglietto per il viaggio. Una volta arrivati a destinazione la nostra gente era spesso malvista dalla popolazione locale e doveva accontentarsi dei lavori più umili e faticosi e socialmente non riconosciuti come: lustrascarpe, minatori, boscaioli, addet-ti alle fognature, lavavetri, ecc.. Nonostante ciò molti italiani sono riusciti a crearsi una vita dignitosa, ed alcuni sono diventati importanti e famosi co-me Fiorello La Guardia, sindaco di New York, Rodolfo Valentino, noto attore, e Frank Sinatra, famoso cantante. L’emigrazione italiana all’estero riprende dopo la Seconda Guerra Mon-diale verso i paesi più industrializzati dell’Europa: Francia, Svizzera, Bel-gio, Germania ed ancora verso il Brasile, l’Argentina, gli USA ed anche l’Australia. E’ interessante notare che molti emigrati sono ritornati dopo alcuni anni in Italia questo con una maggiore ricchezza ed anche una mag-giore audacia nel campo economico e degli affari conseguenza delle espe-rienze fatte all’estero. Con lo sviluppo industriale al nord, negli anni ’60, l’emigrazione da e-sterna diventa interna: dalle regioni del Sud a quelle del Nord, dalle cam-pagne e dalla montagna verso le città. Il benessere economico ha portato anche allo spostamento da parte dei giovani nelle città per studio.

Due emigranti famosi: Tosca-nini, grande direttore d’orche-stra e Frank Sinatra, cantante

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Il miglioramento della rete viaria ha permesso il fenomeno del pendolarismo, per cui ogni giorno mol-tissime persone (lavoratori e studenti) partono dai paesi alla mattina per andare in città o nelle zone indu-strializzate per fare ritorno alle loro case nel pomeriggio - sera. Questo permette di rimanere legati al pro-prio paese d’origine e di poter godere di una migliore condizione economica data sia dal fatto che si pos-sono proseguire gli studi con minori sacrifici per le famiglie (un tempo dovevano pagare le rette del colle-gio, oggi solo l’abbonamento al bus) che dal lavoro più redditizio nelle fabbriche o in altri luoghi lavorati-vi della fascia pedemontana. Dagli anni Ottanta del Novecento, l’Italia da paese di emigrati è diventato paese di immigrati. Molte sono state nel corso di questi ultimi decenni le persone che sono arrivate in Italia dai paesi del Nord Africa, poi dall’ex-Jugoslavia ed oggi, dopo il crollo del comu-nismo nei paesi dell’Est, dalla Romania e dalla Moldavia. Sono spesso persone che fuggono da situazioni di miseria, di povertà o dalla guerra. Una dimostrazione di questo fenomeno lo vediamo anche a scuola perché tra i nostri compagni ci so-no ragazzi/e stranieri. Ora in Italia assistiamo a due fenomeni: da un lato all’arrivo di immigrati che quasi sempre fanno i lavori meno pagati o pesanti o poco considerati (nei campi, nelle cave, le donne fanno le badanti, ecc.) dall’altro alla partenza delle menti mi-gliori che spesso se ne vanno all’estero perché in Italia non trovano le strutture adatte o la possibilità di sviluppare i loro talenti; è la cosiddetta “fuga di cervelli” che porta molte delle nostre menti migliori all’estero, come per esempio: Rita Le-vi Montalcini (medicina), Renato Dulbecco (progetto genoma), Carlo Rubbia (fisica) vincitori di premi Nobel e molti altri che hanno contribuito allo sviluppo culturale ed economico di altri paesi. Alla fine di questo lavoro la nostra riflessione è stata: oggi l’Italia ha preso il posto dei paesi-meta degli emigranti, ma bisogna smettere di guardare gli immigrati con occhio malevolo, ricordando che anche noi, appena cento anni fa eravamo costretti a fare la stessa cosa e dovremmo anche fare tutto il possibile per-chè le nostre menti migliori rimangano in Italia Samuel Scandola, Nicola Scardoni,Fabio Pezzo

La “fuga di cervelli ”- L’Italia da un calcio alle sue menti migliori, gli altri stati le accolgono a braccia aperte sorridenti (disegno di Samuel Scandola e Tommaso Zanini)

Il premio Nobel Carlo Rubbia

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LE MIGRAZIONI NELLA PREISTORIA (195.000 - 8.000 anni fa) I ritrovamenti più antichi di resti fossili diell’Homo sapiens so-no stati rinvenuti nell’Africa orientale, nella zona della Rift Val-ley, e risalgono a circa 195.000 anni fa. La prima grande mi-

grazione avvenne in conseguenza di variazioni climatiche che resero quel territorio poco ospitale e portò le popolazioni di Ho-mo a spostarsi verso sud in direzione del Capo di Buona Speran-za, a sud ovest verso il Congo, a ovest verso la Costa d’Avorio e a nord verso il Mar Rosso. Un altro grande spostamento si ve-rificò tra i 125 e i 75 mila anni fa quando sulla terra si ebbe un periodo di clima più caldo che portò i nostri antenati a spostarsi lungo la via del Nilo verso il Medio Oriente e poi verso l’Europa, ma la successiva era glaciale condusse all’estinzione di queste popolazioni. Sempre dall’Africa, circa 85 mila anni fa un altro gruppo di uomini scelse di passare in Asia lungo una via più me-ridionale: l’istmo di Bab-al-Mandab, lo stretto tratto di Mar Ros-so che separa Gibuti dallo Yemen. Proseguendo lungo le coste del’Arabia arrivarono in India, in Indonesia e verso nord fino alla Cina. Questa via lungo il mare si era rivelata una buona scelta perché lungo le coste era più facile trovare cibo ed evitare i peri-coli dovuti alle periodiche desertificazioni. Un nuovo grande sconvolgimento avvenne 74.000 anni fa quando il Monte Toba, un vulcano nell’isola di Sumatra, esplose causando un inverno vulcanico di 6 anni su tutta la terra e una glaciazione che durò circa un migliaio di anni. Le ceneri ricopri-rono l’India e il Pakistan con uno strato di oltre 5 metri. Di tutta la popolazione presente nell’area rimasero solo 10 mila individui ed i sopravvissuti, quelli che vivevano ai margini di questa zona, migrarono verso il Medio Oriente e le coste del Pacifico arrivan-do sia a popolare l’Oceania, circa 62.000 anni fa approfittando di un periodo in cui il livello del mare più basso rendeva possibile l’attraversata, mentre chi si era sposta-to lungo le coste della Cina continuò a risalire verso la Corea. Secondo alcuni studiosi questo sarebbe all’-origine delle differenze genetiche e somatiche tra le popolazioni dell’estremo Oriente e quelle eurasiati-che. I supersiti dell’eruzione di Toba che si erano diretti verso ovest si stabilirono nella penisola arabica e quando il clima divenne più favorevole si spostarono verso nord attraversando la Mezzaluna fertile per arrivare in Turchia. In Anatolia giunsero anche coloro che dal Pakistan si diressero verso occidente en-trando, attraverso il Bosforo, in Europa. Nei Paesi Baschi ci sono ancora oggi le tracce genetiche delle popolazioni caucasiche che per prime ar-rivarono in Europa, in conseguenza di una glaciazione breve. I nostri antenati nelle loro migrazioni cer-cavano di spostarsi tenendo conto della pre-senza d’acqua, di piogge e della possibilità di procurasi cibo, cercando di evitare deserti e alte montagne. Per penetrare dalle coste nel centro dell’Asia le uniche vie erano quindi quelle dei corsi dei fiumi e delle step-pe, furono infatti questi i percorsi che fecero quelle antiche genti per abitare le aree cen-trali dell’Asia. Dalla Cina alcuni gruppi si spostarono a nord fino alla Kamchatka e al Giappone e altri verso l’interno attraversan-do la Mongolia.

La prima grande migrazione La migrazione verso il Medio Oriente La migrazione verso l’India

L’eruzione del Monte Toba

Dalla penisola arabica e dal Pakistan verso l’Europa Popoli che penetrarono in Asia

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Un periodo di grandi spostamenti si verifi-ca tra i 40 e i 25 mila anni fa, quando gruppi di uomini dalla zona del Lago Baikal giun-sero a colonizzare le aree della Siberia, a questi se ne unirono altri provenienti sempre dalle zone asiatiche per spingersi ancora più ad est verso lo stretto di Bering. Dall’Asia centrale un altro gruppo si diresse verso oc-cidente entrando in Europa da est attraverso la Romania, Ungheria, Bulgaria, per quella che è considerata la “seconda via d’acces-so”. Le popolazione che erano arrivate nella punta più ad est del continente asiatico si spinsero tra i 25 e i 22 mila anni fa, approfit-tando del ghiacciaio che univa la Siberia all’Alaska, nel nord America arrivando in un tempo relativa-mente breve in Pensylvania e sulla costa Atlantica prima dell’ultima glaciazione del Wurm. Questa deter-minò tra i 22.000 e i 10.000 un crollo della popolazione a causa del gelo che ricopriva l’Europa, il Nord America e l’Asia. Solo pochi gruppi si salvarono in rifugi di fortuna o nelle zone con clima meno freddo come i Paesi Baschi, l’Italia, l’Ucraina. Per sfuggire alla morsa del freddo che attanagliava tutto l’emisfero setten-trionale i nostri antenati del Nord Ame-rica si spinsero, tra i 19.00 e i 15.000 anni fa, verso sud attraversando il Mes-

sico, il Panama e il Venezuela entran-do così nel Sud America e iniziando la colonizzazione di questo continente. Queste migrazioni sono confermate an-che dalle osservazioni scientifiche dalle quali risulta che le popolazioni del Nord America e quelle dell’Asia setten-trionale hanno gli stessi antenati. Alla fine dell’ultima era glaciale, tra i 10 e gli 8 mila anni fa, man mano che i ghiacciai si ritiravano, anche terre prima inospitali vennero popolate come le regioni più settentrionali dell’Europa e il deserto del Sahara divenne territorio di pascolo per numerosi animali. E’ il periodo in cui avviene la grande rivo-luzione neolitica: l’uomo da nomade cacciatore-raccoglitore diventa sedentario trasformandosi in alleva-tore e agricoltore.

Sandro Alberti, Badre Bassou, Petra Menegazzi

Donna della Mongolia Bimba messicana al mercato Un tuareg: custode dei segreti del deserto

Dall’Asia centrale verso l’Europa Dallo stretto di Bering in America

Dal Nord America verso il Sud America (tutte le cartine sono di Samuel Scandola e Andrea Zanini)

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LE MIGRAZIONI NELL’ETA’ ANTICA (10.000 a.C – 500 d.C)

Nell’età antica sopravvivevano ancora popoli nomadi che per cercare pascoli e terre fertili si spostarono in varie ondate tra il 2.000 e il 1.200 a.C., dai luo-ghi dove vivevano abitualmente per insediarsi in una vasta area compresa tra l’India e l’Europa. So-no gli Indoeuropei la cui migrazione procedette da nord verso est arrivando a popolare la regione in-diana. Verso sud: in particolare in Mesopotamia diedero origine a civiltà come quella dei Sumeri, dei Babilonesi, degli Assiri, ad imperi come quello degli Hittiti in Turchia, e verso ovest dando origine alle popolazioni che avrebbero abitato l’Europa. Migranti per motivi commerciali furono i Fenici che si erano stabiliti tra il 2.500 e il 1.250 nella zo-na dell’attuale Libano. Essi crearono varie colonie lungo le coste del Mar Mediterraneo per poter ven-dere e scambiare merci con tutti i popoli che si af-facciavano allora su questo mare. Un altro popolo che nell’antichità, e non solo, si è spostato parecchio è quello degli Ebrei che dappri-ma abitavano il territorio meridionale della Mesopotamia, poi per sfuggire probabilmente ad un dura care-stia e alla siccità si diressero verso la Palestina e successivamente alcuni gruppi si stabilirono in Egitto. Qui le loro condizioni divennero molto difficili, perché erano perseguitati, e così intorno al 1.250 a.C.

guidati da Mosè ritornarono nella Terra Promessa. Il regno ebraico, dopo la morte di Salomone si indebolì e gli Ebrei furono fatti schiavi, poi ri-tornarono liberi ma, sotto la dominazione romana nel I° secolo in seguito alle persecuzioni, furono costretti a disperdersi in varie parti del mondo. Nel 2.000 a.C. circa un’altra invasione di popoli indoeuropei, tra questi gli Achei che provenivano dalla Russia meridionale, si diresse verso la Grecia dando origine ad una fiorente civiltà. Le risorse della montuosa Grecia non erano sufficienti per gli Achei e così nel XV secolo si espan-sero conquistando Creta e poi al-cune aree della costa turca come la città di Troia. Nel XII-XI a. C.

secolo un'altra invasione, quella di un altro popolo indoeuropeo: i Dori, sconvolse la Grecia. Per sfuggire all’invasione dei Dori parte della popolazione greca si trasferì sulle isole del mare Egeo e in Asia Minore dando origine a delle colonie. Una seconda migrazio-ne di greci si verificò nel VIII-VII secolo a.C. verso le coste dell’I-talia meridionale dando origine alla cosiddetta Magna Grecia. Emigrati, molto probabilmente dall’Oriente, sono anche i popoli che si stabilirono, a partire dal IX secolo, in una vasta zona dell’Italia centrale, gli Etruschi. Durante l’Impero Romano il Mar Mediterraneo diventa il centro di numerosi scambi sia di merci che di uomini. Dall’-Africa e dall’Asia venivano gli schiavi che andavano a lavo-rare nelle case dei ricchi romani, da Roma andavano in vari luoghi dell’impero soldati, comandanti, governatori delle province e patrizi. Con il passare del tempo le differenze e le disuguaglianze tra chi viveva all’interno dell’Impero e chi era all’esterno portarono all’arrivo di barbari nei confini dell’Impero assun-ti a volte come soldati nell’esercito romano per le loro abili-tà militari. Alla fine del IV secolo d.C. non fu più possibile

La cartina mostra schematicamente la direzione di marcia e i nuovi insediamenti dei popoli indoeuropei

La migrazione del popolo ebraico nell’antichità

Schiavi provenienti dall’Africa e/o dall’Asia Soldati, governatori, patrizi che andavano a

vivere nelle province dell’Impero Barbari che entravano nell’Impero

Terre greche (rosso), colonizzazione tra VII e VI sec a.C.

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inserire pacificamente dei barbari all’interno dell’impero. Quando l’impero si indebolì ulteriormente alla fine del IV secolo d. C., i Germani (Goti, Vandali, Burgundi, Longobardi, Svevi, Ala-manni, Bavari, Franchi, Sassoni) cominciarono a fare dapprima delle incursioni e poi a stabilirsi all’interno dell’impero spinti dall’avanzata de-gli Unni, una popolazione originaria delle step-pe asiatiche. Anche le popolazione slave si spo-starono verso occidente in tappe successive a partire dal III secolo fino al VI secolo. Conseguenza dello spostamento dei Vandali verso l’Italia è l’episodio che determinò il crollo dell’impero Romano d’Occidente con la deposizione dell’imperatore Romolo Augustolo. Le migrazioni dei Germani diedero origine a vari regni, i cosiddetti regni romano-barbarici e alla me-scolanza tra le popolazione che abitavano all’interno dell’impero ed i nuovi arrivati.

Ahmad El Khatib, Engy El Khatib

LE MIGRAZIONI NEL MEDIOEVO (500 – 1500)

Nell’Europa centro-occidentale durante il periodo del Basso Medioevo le città vengono quasi completa-mente abbandonate, la gente si sposta in campagna dove è più facile trovare cibo e sfuggire alle incursio-ni degli eserciti. . In Italia nel 568 arriva un gruppo di 100-200.000 Longobardi che si stabilisce dapprima nelle zone della Pianura Padana, dove danno origine ad un regno che comprendeva buona parte della penisola italia-na. Ancora oggi a ricordo di questa popolazione sono rimasti i toponimi delle località (quelli che finisco-no in – engo sono di origine longobarda) delle località, come Martelengo. Nei secoli successivi si verificano spostamenti di genti sia lungo le coste meridionali del Mediterraneo: gli Arabi, per diffondere la religione predicata da Maometto, conquistano l’Africa settentrionale e la Spa-gna, sia nella penisola italiana con l’arrivo dei Franchi che creano un vasto impero. Le conquiste e le in-

cursioni arabe continuarono anche nei secoli successivi e determinarono lo spostamento ver-so l’entroterra delle popolazioni italiane che abitavano lungo le coste. Nuove migrazioni nel IX-X secolo arrivano da nord, sono i Normanni, abili marinai che dalla Scandinavia si stabiliscono nella regione francese che da loro prende il nome di Nor-mandia. Da questo territorio si sposteranno poi verso l’Inghilterra e l’Italia meridionale. Da est arrivano gli Ungari, nomadi che ave-vano compiuto varie incursioni in Germania, Francia e Italia. Sconfitti più volte nel corso del X secolo con la battaglia di Lechfeld nel 955 diventano sedentari e si stabiliscono nella zona che da loro prese il nome di Ungheria. L’anno Mille vede la rinascita dell’Occiden-te, la popolazione ritorna ad aumentare e le cit-

tà si ripopolano; la migrazione avviene quindi dalle zone rurali verso quelle urbane che diventano centri di commercio, di mercati e della vita politica e sociale. I “viaggiatori” di questo periodo sono soprattutto i mercanti che trasferivano merci e denaro dall’Europa meridionale a quella centrale della Francia e delle Fiandre. L’Occidente per parecchi secoli aveva subito le migrazioni di popoli che avevano compiuto incursioni o si erano stabiliti all’interno dei suoi territori, dopo l’anno Mille sono gli europei che iniziano a spostarsi e a conquistare nuove terre. Gli spagnoli iniziano nell’XI secolo la Riconquista della parte centro-meridio-

L’avanzata degli Unni spinge verso ovest e verso sud le popola-zioni stanziate nell’Europa centro-orientale

spostamenti degli Arabi spostamenti dei Normanni spostamenti degli Ungari

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nale della Spagna occupata dagli arabi che furono ricac-ciati verso sud. Un altro grande spostamento che coinvolse molte per-sone che avevano in comune la fede religiosa, ma anche interessi economici e lo spirito di avventura furono le Crociate che videro partire da vari paesi europei molte persone dirette in Palestina per liberare i “luoghi santi” conquistati dai Turchi, originari delle steppe dell’Asia centrale.. Durante tutto il Medioevo molte persone si spostavano individualmente, o più spesso in gruppo, per andare a vi-sitare i luoghi di culto, erano i pellegrini sia cattolici che arabi. Le mete più frequentate erano per i cattolici: Ro-ma, Gerusalemme e Santiago de Compostela in Spagna, per i musulmani, la Mecca in Arabia. Nel corso del XIII secolo missionari, si avventurarono nei territori immensi dell’Asia per entrare in contatto con i mongoli; furono seguiti da mercanti, in particolare ve-

neziani, i più noti sono i fratelli Polo che stabilirono un regolare flusso di traffici e commerci tra Venezia e l’E-stremo Oriente. Sempre legati a motivi religiosi sono gli spostamenti di alcune comunità come i Valdesi, diffusi nella Francia meridionale e nell’Italia settentrionale che, accusati di eresia nel XIII secolo per sfuggire alle persecuzioni si rifugiarono nelle valli alpine. Per noi è stata importante la migrazione dei Cimbri,

una popolazione di ceppo germanico, che nel 1287 si sta-bilì nella zona di Roverè Veronese e poi popolò la zona centro-orientale della Lessinia. Noi discendiamo da questa migrazione. Anche la corte papale fu costretta a “migrare” nel sud della Francia, ad Avignone dal 1305 al 1377,

sotto l’influenza dei re di Francia. Per l’Europa medioevale cattolica gli Ebrei, considerati responsabili della morte di Cristo, erano una minoranza soggetta a continue umiliazioni che li mettevano in gravi condizioni di inferiorità: erano esclusi dagli ufficio pubbli-ci, dalle corporazioni artigianali e dalla proprietà terriera. Praticavano il pic-colo commercio e l’usura, attività vietata ai cristiani. Nel corso del Medioevo furono accusati di uccidere i bambini cattolici, di avvelenare l’acqua dei poz-zi, di diffondere malattie, le conseguenze di questo odio furono i massacri da parte di folle di fanatici durante la prima Crociata e poi in Germania nel 1348-49. Anche i sovrani di Francia ed Inghilterra nello stesso periodo organizzaro-no delle persecuzioni nei loro confronti. La Spagna in quel periodo era un luo-go tranquillo dove convivevano le minoranze ebraiche e mussulmane e in cui arrivavano colo-ro che erano perseguitati. Alla fine del XV seco-lo con il matrimonio di Isabella e Ferdinando la

situazione cambiò e venne imposta agli ebri la conversione forzata. Il 1492 non è solo la data della scoperta dell’America da parte di Colombo, ma an-che quella dell’espulsione degli ebrei (circa 150.000) e dei musulmani (circa 250.000) dalla Spagna, che si diressero verso altri paesi europei o nei territo-ri dell’impero turco dove la loro “diversità” religiosa era tollerata. Per l’Italia alla fine del ‘400 si apre un periodo di invasioni e di occupa-zioni da parte di eserciti e stati stranieri: inizia la Francia nel 1494 con la di-scesa di Carlo VIII. Sara Daldosso, Elisa Melotti

La sede papale ad Avignone

Nel territorio di Roverè il primo insediamento cim-bro

Cristoforo Colombo

Moltissime furono le persone, soprattutto uomini, che da vari luoghi dell’Europa si diressero verso i “Luoghi santi”

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LE MIGRAZIONI NELL’ETA’MODERNA (1500 - 1800)

Con le scoperte geografiche inizia per gli stati europei la conquista di nuove terre oltre oceano da cui trarre materie prime e in cui esportare merci. La migrazione di europei, in particolare spagnoli e portoghe-si, verso il Nuovo Mondo non è stata molto consistente dal punto di vista numerico ma ha avuto conse-

guenze disastrose per le popolazioni locali ed ha portato allo spostamento forzato di genti dall’Africa. Per accaparrarsi le ricchezze di queste colo-nie e in particolare quelle di oro e d’argento, i conquistadores non esitarono a ricorrere a qualunque crudeltà riducendo in schiavitù gli indigeni dell’America centro-meridionale ed utilizzandoli in lavori massacranti nelle minie-re e nelle piantagioni. Moltissimi morirono per la fatica, la fame e le malattie. Gli studiosi hanno stimato che all’arrivo dei conquistadores ci fossero circa 60 milioni di indigeni, di questi solo 4 milioni sopravvissero allo sterminio attuato da spagnoli e portoghesi. Di fronte allo sfruttamento degli indigeni in-sorsero alcuni missionari, come Bartolomeo de Las Casas, chiedendo trattamenti più umani

per gli amerindi soprattutto dopo la loro conversione al cattolicesimo, ma la crescente richiesta di mano-dopera, unita alla diminuzione della popolazione nativa, portò alla pro-gressiva sostituzione degli indigeni con schiavi provenienti dall’Africa. La tratta degli schiavi continuò anche nei secoli successivi e si in-tensificò nel corso del XVIII secolo

con l’ampliarsi delle piantagioni di canna da zucchero in Brasile e nelle Antille e di cotone nell’America cen-tro-settentrionale e divenne un commercio “triangolare”: i negrieri caricavano nei porti europei merci di scarso valore da dare in cambio degli schiavi che venivano trasportati nel Nuovo Mondo e con il ri-cavato acquistavano altre merci da rivendere in Europa. La prosperità e la ricchezza dell’Europa si fondavano sullo sfruttamento di uomini e donne considerati come merce di scambio. La schiavitù fu abolita in quasi tutti gli stati nel corso dell’Ottocento e gli storici hanno calcolato che in 300

anni di commercio degli schiavi siano stati prelevati dalle coste africane circa 50 milioni di persone molte delle quali non sono mai giunte a destinazione per le condizioni disumane con cui venivano trasportate sulle navi negriere. La parte settentrionale del Nuovo Mondo vede l’arrivo nel 1620 di un gruppo di puritani che, persegui-tati in Inghilterra, fondarono delle nuove colonie sulla costa atlantica degli attuali Stati Uniti. Queste co-lonie (vi erano anche anglicani e cattolici) erano molto diverse rispetto a quelle spagnole: chi vi arrivava era disposto a lavorare sodo per costruire una nuova società basata su principi religiosi. Erano comunità autonome, rette da organi elettivi. Nel 1720 le colonie inglesi avevano una popolazione di circa mezzo milione di abitanti.

Nella zona dell’estuario del San Lorenzo, nell’attuale Canada, nacquero delle colonie francesi dove si

Lo sbarco degli spagnoli nel Novo Mondo e gli scambi commer-ciali

Le condizioni disumane degli schiavi africani sulle navi negriere

La ricchezza dell’Europa si fondava sul commercio e lo sfruttamento di uomini e donne di altri continenti

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praticava il commercio delle pellicce con i nativi pelli-rosse. Le loro colonie attrassero un’immigrazione molto limitata. Lungo le coste dell’Africa e di alcune zone dell’Asia sorsero gli imperi coloniali del Portogallo e dell’Olanda che portarono alla migrazione di alcune migliaia di mer-canti, funzionari e soldati. La politica coloniale porto-ghese si basava infatti prevalentemente sulla creazione di centri commerciali e basi navali fortificate per con-trollare il commercio marittimo, rinunciando così alla conquista di vasti territori.

Nicola Bertoldi, Leonardo Melotti, Edoardo Merzi

LE MIGRAZIONI NELL’ETA’ CONTEMPORANEA (1800 - 2007)

Nel corso dell’Ottocento si sono verificati vari cambiamenti radi-cali nella società, tra questi i più importanti sono stati: la diffusio-ne della rivoluzione industriale e l’aumento demografico conse-guente alla migliorate condizioni economiche, sociali, igieniche e mediche. Le conseguenze di questi due fenomeni furono da un lato il trasferimento di molte persone dalle zone rurali verso le città

per lavorare nelle nuove aree industriali e dall’altra l’emigrazione dall’Europa verso altri continenti. Il fenomeno migratorio coin-volse quasi tutta l’Europa soprattutto a partire dalla seconda metà dell’Ottocento a causa della crisi agraria che ad ondate successive determinò un lungo periodo di carestie .Queste colpirono soprattut-to i ceti rurali più deboli: piccoli proprietari, contadini, salariati e braccianti. Si emigrava per sfuggire alla disoccupazione, per cercare lavoro e per migliorare le proprie condizioni di vita. Moltissimi furono gli italiani (dapprima veneti e liguri e poi siciliani e meridionali) che scelsero di andare in America (soprattutto gli Usa, il Brasile e l’-Argentina) a fare i minatori, i contadini, gli operai, gli artigiani e i commercianti. Gli italiani negli Stati Uniti erano spesso considerati negativamente e ritenuti colpevoli di episodi criminali, come suc-cese ai due anarchici italiani Sacco e Vanzetti che furono accusati ingiustamente e condannati a morte. Altri riusciranno a far fortuna,

come Fiorello La Guardia che fu eletto sindaco di New Jork. Negli anni tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX l’emigrazione transoceanica interessa in partico-lare le regioni mediterranee dell’Europa (il 40%), quelle orientali (26%) e le isole britanniche, principalmente l’Irlanda (24%). L’emigrazione italiana fu molto limitata negli anni del regime fa-scista (1922-1943) sia per le limitazioni poste dagli Usa per l’entra-ta di stranieri nel loro territorio, sia per la politica fascista che osta-colava gli espatri per avere una popolazione più numerosa e preferi-va fa emigrare gli italiani nelle proprie colonie africane. Anche dal resto dell’Europa le migrazione diminuiscono in conseguenza della crisi economica che colpisce gli Usa nel ‘29. Un’altra causa di migrazione sono state le persecuzioni contro gli Ebrei in Russia, in Germania e in Italia, durante il periodo hitleria-no e fascista. che porteranno al trasferimento di ebrei in vari Stati ed in particolare verso la Palestina. Questa migrazione, assieme alla volontà di avere una propria nazione, porterà nel 1948 alla nascita, nei territori palestinesi, dello stato d’Israele. Tra le conseguenze di

Una copertina della “Domenica del Corrie-re” illustra il fenomeno dell’emigrazione italiana di inizio Novecento

Le case e i negozi degli ebrei vengono segnati con la scritta Juden e la stella di Davide

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queste migrazioni quella dei Palestinesi che, dai territori occupati dagli israeliani, andranno come profughi o rifugiati nei paesi arabi circostanti. Dopo la Seconda Guerra Mondiale l’Italia era uno Stato povero e così l'emigra-

zione riprese. Le mete di questa nuova fase migratoria furono i paesi industrializ-zati dell'Europa e in particolare la Francia, la Germania e il Belgio. Gli italiani pur di lavorare accettavano qualsiasi lavoro, compresi quelli poco qualificati e a volte pericolosi. Una testimonianza della difficile situazione vissuta dagli emigrati italiani è la strage di Marcinelle, in Belgio dove nel 1956 persero la vita 138 ita-liani nel crollo di una miniera. In conseguenza di questa tragedia e del modo con cui il governo belga trattò questa vicenda l’Italia sospese l’emigrazione verso il Belgio. Un po’ alla volta le condizione degli italiani migliorano e negli anni’60 l’emigrazione divenne soprat-tutto interna dalle zone rurali verso le città dove era più facile trovare lavoro e dal sud Italia verso le re-gioni industrializzate del nord. Gli effetti di questi spostamenti di popolazione sono stati: lo spopolamento di paesi e villaggi, lo sviluppo notevole dei centri cittadini della Pianura Padana, l’abbandono della mon-tagna e del sud, dove rimangono in prevalenza persone anziane, e città che si espandono sempre di più. Questo ha comportato disagi per gli emigranti e squilibri nelle zone di maggiore emigrazione: dal Mezzogiorno si sono spostati verso nord circa 5 milioni di persone in 20 anni. Un altro grande cambiamento, tra gli anni ‘50 e gli anni ‘90, ha riguardato i tassi di natalità della popolazione italiana: dapprima il tasso di natalità era molto alto, con conseguente crescita della popolazione, poi un po’ alla volta la situazione è cambiata e la popolazione ha cominciato a diminuire così il numero delle persone anziane ha superato quello dei giovani. Con lo sviluppo del triangolo industriale (Milano, Genova, Torino) e suc-cessivamente con la diffusione delle piccole e medie imprese nel nord-est e nelle zone centrali le condizioni di vita degli italiani sono migliorate. In circa 40 anni siamo passati da un paese di emigrati ad uno di immigrati, infatti a partire dagli anni ‘80 gli italiani non sono più andati all’estero, al contrario persone da ogni parte del mondo hanno cominciato ad arrivare in Italia per trovare lavoro e una vita migliore, sono spesso persone povere che fuggono da Paesi dove non c’è lavoro, dove talvolta si muore di fame, dove infuriano guerre o ci sono persecuzioni politiche o religiose. Sono stati chiamati extracomunitari, per mettere in evidenza il fatto che provengono da paesi che non fanno parte della Comunità Europea. Oggi uno dei problemi è la fuga di cervelli, cioè l’emigrazione di persone che hanno un’intelligenza notevole e scelgono di andare all’estero perché in Italia non trovano le condizioni adatte per sviluppare il loro talento Stefano Grobberio, Tommaso Zanini, Andrea Zanini

1876– 80

1881-90

1891-00

1901-10

1911-20

1921-30

1931-40

1941-50

1951-60

1961-70

EUROPA 399,7 889,2 1255,1 2411,5 1634 1362,4 414,3 655,4 1767,3 2128,2

AMERICA 131,6 944 1539 3495 2117,1 1095,8 220,5 447 936,8 379,1

AFRICA 12 3,8 35,2 107 66,8 56,2 50,1 14 37,4 17,7

ASIA 0,1 0,6 2 5,6 2,7 2,7 3,4 1.8 5,2 2,1

OCEANIA 0,4 1,6 3,4 7,5 7,5 33,5 14,3 26,5 190,7 119,8

TOTALE 543,8 1879,2 2834,7 6026,6 3828,1 2550,6 702,6 1144,7 2937,4 2646,9

La tabella riporta i dati di un secolo di emigrazione italiana. Per ogni periodo sono indicati, in migliaia di per-sone, il numero di emigrati. Si può notare il cambiamento di meta: agli inizi del Novecento la maggior parte degli emigrati si dirigeva verso l’America, dagli anni ‘20 sono gli Stati europei a ricevere gli emigranti italiani.

Marcinelle: le baracche dove vivevano i minato-ri italiani

L’emigrazione interna italiana: Regioni di immigrazione Regioni di emigrazione

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ANCHE NOI EMIGRANTI

Presso il Museo Etnografico di Bosco Chiesanuova è stata allestita una mo-stra per farci ricordare che l’emigrazione ha riguardato anche la Lessinia. At-traverso pannelli, foto, storie di emigrati e vari oggetti abbiamo potuto cono-scere così la storia dell’emigrazione dalla nostra montagna. Per osservare la mostra ci è stato dato una libretto-guida dove, attraverso la compilazione di tabelle, giochi e l’espressione dei nostri pareri abbiamo potu-to partecipare attivamente alla visita. Il percorso è iniziato con la domanda “Che cos’è per te l’emigrazione? ”, noi abbiamo scritto:

Queste semplici ed essenziali parole esprimono, secondo noi, gli elementi fondamentali di quel fenome-no complesso che è l’emigrazione. L’emigrazione è iniziata fin dalla Preistoria perché gli uomini si sono spostati per adattarsi ai cambia-menti climatici o per seguire gli spostamenti degli animali dai quali dipendevano per il cibo. Anche noi discendiamo da emigrati, i Cimbri che si stabilirono in Lessinia nel Medioevo e precisamente nella zona di Roverè nel 1287. Oggi il nostro tenore di vita è buono, ma non è sempre stato così. La mostra, racconta la storia dell’emigrazione dal nostro altopiano, attraverso le vicende di alcune fa-miglie che, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento sono andate a “cercar fortuna” in altri Paesi a volte anche lontani come l’Argentina e gli Stati Uniti. Sulla nave iniziava il viaggio che portava al di là dell’oceano. Era un viaggio lungo e faticoso per le cat-tive condizioni igieniche e per il sovraffollamento: gli armatori infatti imbarcavano più passeggeri di quanto avrebbero dovuto (il vapor Colombo ad esempio caricava 1000 persone al posto di 700) per gua-dagnare di più. Spesso le imbarcazioni non erano molto sicure perché erano navi merci adattate a traspor-to passeggeri, venivano chiamate le “carrette del mare”. Gli emigranti viaggiavano in terza classe perché era la più economica; si trovava nella parte bassa della nave. Per compiere l’attraversata da Genova a New York, all’inizi de Novecento, si impiegavano 57 giorni. Gli emigrati portavano con sé dei bauli di legno dove mettevano le “cose“ che ritenevano utili o impor-tanti per affrontare il “nuovo mondo”: stoviglie, biancheria, calzature, attrezzi che potevano servire per il lavoro, foto di famiglia e santini. Tutti gli emigranti che arrivavano negli Stati Uniti venivano sottoposti, nell’isola di Ellis Island, a severi controlli medici per verificare il loro stato di salute sia fisica che mentale. Una volta arrivati a destinazio-ne e trovato un lavoro gli emigranti ne “chiamavano” degli altri, spesso erano parenti o compaesani; que-sto fenomeno è chiamato “catena migratoria” e crea un legame di solidarietà tra gli emigrati che così si sentono meno soli nel paese straniero. La scelta del paese straniero era dettata non solo dalla possibilità di trovare lavoro e di incontrare altri connazionali, ma anche dalla lingua, gli italiani per esempio preferivano l’America del Sud perché si par-lano lingue neolatine più simili alla nostra rispetto all’inglese o ad altre lingue. Dei pannelli raccontano la storia di emigrati che dai nostri paesi sono andati nell’America del Sud e ne-gli USA alcuni, come la famiglia Giacopuzzi e i fratelli Brutti, hanno “fatto fortuna”, altri hanno avuto varie sventure e sono morti in terra straniera. Un altro continente che, tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del secolo scorso, ha conosciuto l’ar-

spostamento

adattamento

cambiamento

disagio

speranza

disperazione

più possibilità di lavoro

più benessere

fiducia nel nuovo luogo

nuove abitudini

conoscere nuovi mondi

nostalgia

speranza di migliorare

viaggio

cambiare vita

difficoltà

andare in un paese sconosciuto

La locandina della mostra

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rivo di emigrati dalla Lessinia è stato l’Africa. L’Italia infatti aveva conquistato delle colonie (Corno d’A-frica e la Libia) in terra africana e sperava così di avere materie prime a basso costo e trovare uno sbocco al crescente aumento di popolazione. In realtà questo si verificò solo in piccola parte perché erano zone povere e la possibilità di emigrare era riservata ai giovani che dovevano essere di sana e robusta costitu-zione, essere lavoratori e non avere malattie mentali. Osservando le foto che gli emigrati mandavano a casa abbiamo capito che si facevano ritrarre con gli “abiti dalle feste” per far vedere ai parenti che stavano bene. Sono poche le foto di emigrati che stanno lavorando, alcune in particolare legate alla storia di Gino Erbisti emigrato in Australia, ci fanno capire il duro lavoro nelle piantagioni di canna da zucchero. Dopo la Seconda Guerra Mondiale dalla Lessinia si partiva per andare nei paesi europei più ricchi co-me: la Germania, la Francia, la Svizzera. All’estero gli uomini lavoravano nelle miniere, o erano murato-ri, falegnami, agricoltori; le donne erano assunte nelle ditte che facevano confezioni, nelle industrie ali-mentari o erano domestiche presso le famiglie, facevano quindi i lavori più umili. Della Svizzera vengono raccontate 2 storie interessanti: una quella di una ragazza, Maria Tenuti di Grezzana, che rimasta orfana di entrambi i genitori, all’età di 13 anni viene mandata dal tutore in Svizzera a lavorare per potersi fare la dote e sposarsi; l’altra quella della famiglia di Giuseppe Scandola di Erbezzo che è riuscita a ”far fortuna” gestendo due industrie alimentari. Il ventennio 1951–71 è stato quello della grande migrazione degli abitanti della Lessinia (quasi un quar-to della popolazione) soprattutto verso le città industrializzate del nord (Verona, Milano, Torino, ecc), e le zone della Pianura Padana che richiedevano manodopera. Anche nel decennio successivo c’è stata una diminuzione di popolazione ma molto più contenuta. A ricordarci questa storia è Celestino Canteri un e-migrato italiano nato in Francia da genitori di Cerro che, ritornato in Italia, si stabilisce a Torino. Suo è il libro “Immigrati a Torino“ dove parla delle condizioni dei lavoratori arrivati nella sua città (50.000 erano veneti) negli anni del Dopoguerra. La mostra termina con il computer posto davanti al pannello che elenca le persone che dalla fine dell’-Ottocento agli anni ‘30 dai nostri paesi sono emigrati negli Usa. I mezzi moderni ci permettono di andare alla ricerca dei nostri parenti emigrati, infatti collegandosi ad Internet si può cercare il sito di Ellis Island per vedere se qualche nostro parente è passato di lì. Questa mostra ci ha permesso di fare anche un confronto tra la nostra emigrazione di ieri e l’immigra-zione di oggi, abbiamo osservato che:

�� sia nel passato che attualmente gli emigrati devono affrontare situazioni difficili di viaggio (le car-rette del mare e lunghi viaggi in condizioni disagiate)

�� che c’erano e ci sono clandestini, come lavoratori con un regolare contratto �� che ieri come oggi i lavori degli emigrati sono quelli più difficili e spesso meno pagati �� che a partire sono soprattutto i giovani perché desiderano migliorare ed hanno più spirito d’avventu-

ra. Paola Beccherle, Engy El Khatib

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MIGRAZIONI DI IERI E DI OGGI I libri di Storia parlano di guerre, di conquiste, di stati, di popoli come se fossero avvenimenti al di so-pra delle persone e questo rende spesso la storia un elenco di fatti accaduti nel passato senza alcun legame con l’oggi. Poter parlare con delle persone e sentir raccontare attraverso le loro esperienze la Storia, rende tutto più interessante ed umano inoltre ci aiuta a capire che dietro i grandi fatti ci sono uomini, donne e bambini in carne ed ossa. L’Emigrazione è stato uno dei grandi avvenimenti che hanno caratterizzato la Storia, una costante ini-ziata ancora nella Preistoria, come abbiamo dimostrato nelle pagine precedenti. Con queste interviste ab-biamo voluto conoscere “da vicino” questo fenomeno raccogliendo sia le storie di persone che nei decen-ni passati dalla Lessinia sono emigrate sia quelle di chi recentemente è venuto a viverci. Siamo così venu-ti a conoscenza delle sofferenze, dei desideri, delle speranze e delle motivazione che hanno portato gli emigranti di ieri e di oggi ad allontanarsi dal loro paese d’origine.

IN MINIERA

Masenelli Attilio, era parente di mia nonna e nel 1912 emigrò in Austria dove l’economia e le condi-zioni di vita erano migliori di quelle italiane. Come lui molte altri uomini andarono all’estero a lavorare tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento appoggiati in questa loro migrazione dalla politica del governo che pubblicizzava le emigrazioni perchè facevano arrivare denaro alle famiglie italiane allora molto povere. Attilio appena arrivato in Austria si sentì spaesato perché, benché con lui ci fossero altri italiani, non riusciva a comunicare con la gente del posto a causa delle diversità linguistiche e soprattutto perché nessuno voleva avere a che fare con gli italiani; si sentiva rifiutato. All’inizio trovare lavoro non fu facile, ma dopo varie ricerche fu assunto come operaio in una miniera di carbone. Era un lavoro molto difficile, fati-coso e che richiedeva molta forza fisica. Non era abituato ad un lavoro così duro: in miniera c’era buio, era difficile muoversi in quei cunicoli stretti i-noltre doveva stare molto attento al soffitto che avrebbe potuto crollare e quindi schiacciarlo. Nonostante tutto questo non osò rifiutare perché aveva assoluto bisogno di soldi se voleva vivere. Dopo due lunghi anni di lavoro in Austria tornò a casa, conobbe una ragazza, Primilla Tinazzi, che di-ventò poi sua moglie. Nel 1915 l’Italia entrò in Guerra e anche Attilio partì per il fronte dove purtroppo perse la vita Leonardo Melotti

IN CERCA DI LAVORO

Nella nostra famiglia sono emigrate tre coppie: una in California e due in Ar-gentina. La storia della prima coppia inizia quando Mariano Valbusa, nato nel 1898 a Bosco Chiesanuova, andò ad emigrare negli Stati Uniti nel 1916 assieme a quat-tro suoi giovani amici. Dopo 4 anni, avendo guadagnato una somma sufficiente di denaro, decise di ritornare in Italia perché voleva una moglie italiana. Il suo desiderio si avverò: nella chiesa del suo paese sposò Elisa Brutti di qualche anno più giovane. Dopo il viaggio di nozze in Italia, nel 1922 partirono per ritornare in California. All’inizio lavoravano come allevatori, ma dopo alcuni anni lasciarono questa attività perché le mucche continuavano ad ammalarsi e così andarono a lavorare in una fabbrica di conserve. Fecero fortuna e la loro situazione migliorò notevolmente. Mariano ed Elisa hanno avuto 4 figli che hanno potuto studiare grazie al conti-nuo lavoro e ai sacrifici dei loro genitori. Hanno sempre mantenuto i contatti con i parenti in Italia ed ancora oggi i loro

Mariano ed Elisa, con la prima figlia (studio Borgia di Los Angeles)

Il lavoro faticoso e pericoloso del minatore

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figli, nipoti e pronipoti ci telefonano, ci scrivono, ci mandano e-mail e ogni tanto vengono a trovarci. Anche per le altre due coppie la decisione di partire fu dettata dalla dif-ficoltà a trovare lavoro. Francesco Valbusa partì per l’Argentina nel 1943 e prima di trovare u-n’occupazione stabile fece vari lavori. Dopo 5 anni lo raggiunse anche la moglie Rosina Brutti. Il viaggio per l’America del Sud a quel tempo dura-va parecchio: si imbarcò a Genova e arrivò a Buenos Aires dopo circa un mese. Per raggiungere il marito impiegò altri 6 giorni: 3 in treno e 3 in carrozza. Nel 1954 partirono per l’Argentina, sapendo di trovare parenti e fortuna, anche Celeste Brutti e Alcea Falzi. Per pagarsi il viaggio e poter compera-re dei terreni nel ”nuovo mondo” vendettero i territori montani che posse-devano. Vivere in Argentina non è sempre stato facile, perché questo paese nel secolo scorso ha attraversato dei periodi di crisi economica che hanno re-so difficili le condizioni di vita della popolazione. Entrambe le famiglie hanno mantenuto vivi i contatti con i parenti italiani e in particolare Alcea che nel 1978 è venuta a Corbiolo ed è stata nostra ospite per due mesi, da sola perché il marito Celeste era già morto.

Stefano Grobberio, Tommaso Zanini

DA VALDIPORRO AL LAZIO

Nel 1937 a Valdiporro non c’era abbastanza lavoro per tutti, così mio bisnonno Scardoni Tranquillo, andò ad emigrare nel Lazio e precisamente nel Maccarese. Si recò in questa zona perché un suo amico di Valdiporro gli aveva detto che lì sarebbe riuscito a trovare lavoro e così partì con altri 5-6 compaesani. Fece il viaggio in treno, un mezzo alquanto costoso per quei tempi, se si pensa che quando morì sua mamma lui non poté tornare per il funerale. Mio nonno, Silvino Scardoni, figlio di Tranquillo, si ricorda che sua mamma dopo la partenza del marito continuava a piangere perché non sapeva come alle-vare da sola due figli; si ricorda inoltre che al ritorno Tranquillo aveva poche li-re, ma per quei tempi valevano molto. La vita da emigrato era molto difficile soprattutto allora perché dovevano stare attenti agli imbrogli dei fascisti. Un giorno i fascisti proposero a lui e ad alcuni suoi amici di fare una firma per tornare a casa, ma mio bisnonno, che non era di firma facile, non firmò e fu una fortuna perché tutti quelli che avevano firmato si ritrovarono al fronte nella Seconda Guerra Mondiale. Tranquillo quando a Roma

cominciarono a scoppiare le prime bombe se ne tornò a Valdiporro con quello che aveva guadagnato.

Nicola Scardoni

VALLE D’AOSTA, GERMANIA, FRANCIA

Mio bisnonno si chiamava Giovanni Zivelonghi ed era nato il 30 agosto 1903. Agli inizi degli anni ‘30 andò a lavorare in Valle d’Aosta come minatore: estrae-va le lose per fare i tetti delle case. Era andato ad emigrare perché qui non c’era lavoro. Dopo sette anni, andò in Germania e lì vi rimase anche durante la Secon-da Guerra mondiale per sfuggire alla chiamata alle armi da parte dello Stato ita-liano, lui infatti non voleva andare in guerra. In Germania lavorava come contadi-no presso Monaco e, siccome era un uomo buono, i suoi padroni gli davano spes-so una porzione di patate in più da dare ai suoi amici che non riuscivano a sfa-marsi perché quello che ricevevano era insufficiente al loro mantenimento.

In alto Alcea e Celeste, in basso Rosina e Francesco,

Mio bisnonno

Mio bisnonno è il secon-do da sinistra

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Dopo sette-otto anni dalla Germania emigrò in Francia, a lavorare ancora la terra. I suoi viaggi all’este-ro sono stati tutti molto faticosi, specialmente quello dalla Germania alla Francia perché, non potendo pa-garsi i mezzi di trasporto, l’ha fatto a piedi di notte con la pioggia. Dopo tanti anni di lavoro all’estero voleva ritornare in Italia e così un suo conoscente lo accompagnò fino a Torino, da lì prese il treno per tornare a Verona. Quando arrivò a casa, la sua famiglia fu felicissima e tutti lo abbracciarono forte, forte.

Nicola Bertoldi

LA FRANCIA: UN PAESE ATTENTO AI BISOGNI DEGLI IMMIGRATI

Si chiama Lucia Maccagnan ed è la terza di cinque fratelli, oggi ha 80 anni e da 55 vive in Francia. Vi è

emigrata subito dopo il matrimonio per seguire il marito che già lavorava in una fabbrica francese. Nel paese dove è andata ad abitare c’erano altri fratelli di suo marito che si erano ben inseriti nella società francese.La difficoltà più grande che ha dovuto superare è stata la lingua; con il tempo ha imparato ad esprimersi in francese, ma le riesce ancora difficile scriverlo e così preferisce usare l’italiano. Dal suo matrimonio sono nati due figli Sandro ed Henry. In Francia si è trovata molto bene e mi dice che la società francese è molto attenta ai bisogni delle fami-glie ed anche lei ha potuto usufruire di queste agevolazioni per la crescita dei figli. Suo marito per mantenere la famiglia ha lavorato moltissimo, facendo molti straordinari; in questo modo è riuscito a costruirsi una casa. La vita di Lucia non è stata molto facile, infatti oltre a rimanere vedova ha anche perso un figlio in giova-ne età. La nostalgia per l’Italia per lei è sempre stata molto forte e così appena poteva veniva trovare i parenti, questo era però considerato un evento, perché non succe-deva spesso viste le scarse risorse economiche soprattutto all’inizio. Ancora oggi

continua a venire in Italia con figlia e nipoti e viene ospitata con molta generosità e simpatia dai fratelli con i quali ha un legame molto stretto nonostante la lontananza. Lei ricambia questa bella accoglienza con regali e doni per tutti.

Sara Daldosso

FARE LA DOMESTICA IN SVIZZERA

Mia nonna si chiama Virgi-nia Pomari ed è nata a Roverè il 25 agosto 1932. Nel dopo-guerra a 22 anni è andata ad emigrare in Svizzera perché lì si poteva trovare lavoro come domestica a tempo pieno pres-so una famiglia. Sua sorella le aveva detto che si veniva trat-tate bene: ti davano da man-giare e da dormire e una sti-pendio, benché non altissimo. Negli anni’50 molte giova-ni donne sono partite dai paesi della Lessinia per andare a lavorare in Svizzera come do-mestiche od operaie in fabbri-che tessili o alimentari. Mia nonna è partita da sola per an-dare in Svizzera, ma ben pre-

Lucia a Bosco: la vo-glia di divertirsi non conosce età

Sul passaporto veniva segnato il nome del paese in cui si andava ad emigrare e la dura-ta del permesso di soggiorno

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sto ha fatto amicizia con altre persone. Ha trovato lavoro presso una famiglia: doveva sistemare la casa, accudire i due bambini, fare da mangiare e il bucato. Lavorava 8-9 ore al giorno. Non era un lavoro pe-sante, ma doveva sempre eseguire quello che le diceva la padrona di casa. Comunicare con la famiglia a casa non era facile come oggi, perché la posta dall’Italia arrivava ogni 2-3 settimane. Mia nonna è stata contenta di quest’esperienza, perché per lei è stata l’occasione per conoscere un altro paese, ma ha anche capito che è meglio lavorare in proprio che ”sotto padrone” perché ci possono essere delle ingiustizie, come vedersi togliere dei soldi dalla busta paga.

Sandro Alberti

MURATORE IN SVIZZERA

Mio zio Luciano Zanini è andato in Svizzera a Lintolh, un piccolo paese di montagna e lavorava come muratore. A soli 23 anni è andato via dal suo pa-ese perché qui da noi c’era poco lavoro, mentre la Svizzera aveva bisogno di manodopera che veniva anche ben pagata. E’ rimasto in Svizzera dal 1961 al 1967 ed abitava in una baracca a 2.000 di altitudine assieme ad altri emigrati italiani e spagnoli impegnati nella co-struzione di una diga. Il paesaggio montano era simile al nostro, ma la no-stalgia di casa si faceva sentire: gli pesava soprattutto la mancanza della fa-miglia, degli amici e della fidanzata. Tornava in Italia solo una volta all’an-no per 15 giorni in agosto nel periodo delle ferie. La Confederazione Elvetica per lui ha rappresentato un modello di ordine,

di pulizia e di puntualità. Gli emigrati italiani venivano accettati abbastanza bene, a volte però venivano derisi e chiamati cingali, cioè zingari. Questi episodi all’inizio gli davano fastidio, ma col tempo imparò a non considerarli importanti. Quando ritornò a casa, con i soldi guadagnati in Svizzera riuscì a comperarsi l’appartamento dove andò a vivere da sposato. Mi ha detto che è ritornato casa molto volentieri e non ha mai provato il desiderio di ritornare in Svizze-ra perché i suoi obiettivi li aveva raggiunti e preferiva vivere vicino alla sua famiglia. Petra Menegazzi

MIGUEL Cristina era partita per la Spagna come animatrice di un villaggio turistico, doveva rimanerci per 6 mesi. In Spagna ha incontrato un ragazzo, di nome Mi-guel, e se ne era innamorata. Ha deciso cosi di non tornare a casa e di continua-re questa nuova relazione. Dopo un po’ di tempo i rapporti tra lei e Miguel non andavano bene, sentiva la mancanza della sua famiglia, non poteva proprio ri-manere lontana dalla sua casa per sempre e così prese l’aereo e ritornò in Italia. Della Spagna le è rimasto un bel ricordo per i rapporti di amicizia sincera e spensierata che era riuscita a stabilire Andrea Zanini

DAL MAROCCO A CORBIOLO

Mio papà Mohamed è nato in Marocco nel 1958 e fin da giovane ha cominciato ad andare all’estero a lavorare per migliorare le sue condizioni economiche. Dapprima è andato in Libia poi è stato in Belgio dove è riuscito guadagnare un po’di soldi per poter venire in Italia, pensava infatti che qui avrebbe potuto “fare fortuna”. In Italia la sua prima meta, nel 1990, è stata Genova dove ha vissuto assieme a due sposini poco più giovani di lui. E’ rimasto con loro solo 2 settimane perché non voleva disturbare. Era venuto in Italia con solo 2.000 lire portati dal Belgio perché i soldi che aveva guadagnato li aveva spesi per comperarsi dei

Lintolh – Luciano in un mo-mento di pausa

Cristina è quella con il cappello

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vestiti e la macchina per poter venire in Italia, pensava infatti che qui avrebbe potuto “fare fortuna”. La sua seconda meta è stata Roma, dove ha ottenuto il permesso di soggior-no. Per guadagnarsi da vivere lavorava in un mercato ed aiutava un suo amico, anche lui marocchino che già da un po’ di tempo viveva in Italia. All’inizio dormiva in una macchina, ma era molto scomodo così decise di andare a dor-mire in un Bad and Breakfast . Dopo un mese gli arrivò la notizia della morte di sua madre e così ritornò in Marocco e vi rimase per 2 mesi. Tornato nuovamente in Italia trovò lavoro a Bolzano presso un’azienda che coltivava le mele e dormiva da un suo amico. Dopo un po’ di tempo questo a-mico gli trovò lavoro presso un albergo: nel contratto era compreso anche l’alloggio. Lavorò in quell’al-bergo per 4 anni riuscendo così ad accumulare un po’ di soldi e nell’estate del ‘93 ritornò in Marocco. Si sposò e comperò la casa. Ritornò ancora in Italia a lavorare, mentre la moglie era rimasta in Marocco. Lui ritornava a casa solo durante le vacanze estive. Nel 1999 decise di trasferirsi a Corbiolo, perché dei suoi amici gli avevano trovato un lavoro presso la ditta Zanini ed anche una casa in affitto. In quell’anno tutta la famiglia si trasferì a Corbiolo. Badre Bassou

SCAPPARE DALLA GUERRA

Zizzie è nata in Albania, un paese che negli ultimi decenni ha vissuto vari cambiamenti. Era un paese a regime comunista fino al 1990 quando si affermò la democrazia: tutte le fabbriche che prima erano di pro-prietà dello Stato fallirono e tutti i dipendenti furono licenziati. Tra questi c’era anche lei, non le restava

che emigrare perché rimanendo lì non poteva mantenere la sua famiglia. Emi-grare però voleva dire lasciare la terra dove era nata e cresciuta e così decise di non partire subito. Nel 1997 scoppiò la guerra e la situazione divenne in-sopportabile, bisognava cercare un’altra terra dove vivere sereni. Il viaggio in nave fortunatamente è stato tranquillo, ma per tutta la durata della traversata non faceva che piangere, mescolate alle lacrime c’erano anche l’ansia e la speranza di trovare una terra più ricca e benestante che la potesse accogliere. Ha cominciato a fantasticare sulla sua nuova casa e sul nuovo la-voro. Arrivata si accorse che non era un sogno, ma l’inizio di una nuova vita. Arrivata in Italia ha dovuto fare i conti con una cultura completamente di-versa e con una lingua sconosciuta. Per un po’ si è sentita emarginata, ma poi: - Il mondo mi sorrise ed entrai nella “società”-. Adesso quando un italiano le parla si sente perfettamente all’altezza e non ha paura di dire quello che pensa.

In Italia si trova molto bene: ha un lavoro sicuro, la compagnia della sua famiglia e inoltre i suoi figli hanno maggiori sbocchi per lo studio. E’ più che soddisfatta della sua scelta, ma la nostalgia per la sua terra è ancora molto forte. A volte quando le chiedono se si sente più italiana o più albanese, la sua rispo-sta è: - 100% albanese-. Per il momento rimane qui in Italia e non ha progetti per un suo futuro in Alba-nia, ma la voglia di ritornare è ancora tanta. Paola Becccherle

INNAMORARSI A BOSCO Quella che vi racconto è una storia di emigrazione interna avvenuta non per motivi di lavoro, ma per amore. Mia mamma, Ilaria Cenadelli è nata a Milano il 25 ottobre 1965 e d’estate la sua famiglia era solita ve-nire in villeggiatura a Bosco. Un giorno mia mamma ha avuto l’occasione di incontrare mio papà, il loro primo incontro non fu niente di particolare. Negli anni successivi la sua famiglia decise di trascorrere le vacanze estive in altri luoghi, così Ilaria e Lino non ebbero più occasione di incontrarsi. Al compimento dei 18 anni, durante le vacanze pasquali, mia mamma e la sua famiglia volevano andare

Mohamed in Belgio

Zizzie

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ad Assisi, ma non ci riuscirono a causa del traffico e così cambiarono meta decidendo di ritornare a Bosco. Fu l’occasione per i miei genitori di rincon-trarsi e questa volta di fare conoscenza in modo più approfondito; iniziò così la loro relazione. Sebbene vivessero in posti lontani riuscivano a tenersi in contatto con le lettere e ogni tanto a incontrarsi. Scegliere di sposarsi con una persona che non è del tuo paese significa do-ver affrontare una scelta: rimanere al paese natio, vicino ai genitori e alla fa-miglia, vicino alle persone con cui fino a quel momento hai passato la tua vita o trasferirsi lontano dalla realtà che fino a quel momento ti ha accompagnato. Ovviamente bisogna essere coraggiosi per optare per la seconda scelta, mia mamma ha preso la grande decisione: andare a vivere con l’uomo che amava. Si sposarono e dopo il viaggio di nozze si stabilirono a Bosco. All’inizio non fu per niente facile ambientarsi, ma con il passare del tempo si abituò alla nuova vita, riuscì anche a trovare lavoro come educatrice presso un asilo nido. Certo esistono ancora dei problemi, ad esempio la distanza tra noi e in nostri nonni materni, ma si vive lo stesso, anzi noi (io e i miei fratelli) non ci saremmo nemmeno se la mamma non avesse fatto la scelta di seguire l’uomo che amava. Samuel Scandola

DIVISI TRA ITALIA E LIBANO

Mio papà, Ziad El Khatib è un emigrato a causa della guerra e della mancanza di lavoro. Mio padre conosceva mia madre da quando era piccola; quando si innamorò decise di trovarsi un lavoro per farsi una famiglia, ma in Libano non c’erano molte possibilità perchè c'era la guerra ed era perico-

loso vivere. Decise di andare a Livigno dove c’era suo fratello ed alcuni suoi amici anche loro emigrati. Appena arrivato fu ospitato da suo fratel-lo. Doveva fare i documenti per poter rimanere in Svizzera, sono stati necessari 10 giorni per averli e quindi ne ha “vissuto” 10 in strada. Rice-vuti i documenti è tornato da mio zio e hanno cercato un lavoro per mio papà. Dopo tante ricerche ha trovato lavoro come lavapiatti, con il tempo divenne l'aiutante del cuoco, un secondo cuoco. Dopo due anni di duro lavoro decise di tornare in Libano per fidanzarsi con mia mamma e così ritornò in Libano. Dopo essersi fidanzato con mia mamma è rimasto un po' con i suoi familiari, ma doveva tornare al lavoro. Questa volta venne a lavorare in

Italia perché più vicina al Libano. Nei primi anni in cui lui ha vissuto in Italia ha fatto un po’ il “pendolare” perché dopo un anno è tornato in Libano per sposare mia madre e dopo un mese e mezzo è ritornato in Italia con lei. Il primo anno sona nata io, la figlia più grande, l’anno dopo mio fratello Tarek, io e lui siamo nati qui in Italia. Dopo la nostra nascita noi siamo scesi in Libano, però mio papà è rimasto qui per lavorare. In Libano mia mamma ha avuto mia sorella, Sarah. Dopo qualche anno siamo tornati in Italia e siamo andati a vivere per due anni e mezzo a Livigno, poi siamo venuti a Bosco Chiesanuova, perché mio zio si era stabilito a Bosco con la sua famiglia. Nel 2003 è nato mio fratellino più piccolo, O-mar che adesso ha cinque anni e fa l'asilo. La cosa interessante è che mio papà e suo fratello, cioè mio zio, hanno sposato due sorelle, mia mamma e mia zia. Mio papà qui a Bosco ha iniziato a fare l'apprendista dell'imbianchino, all' inizio non si è trovato subito bene, ma con il tempo ha imparato e si è abituato. Adesso ha una ditta sua e si trova abbastanza bene nel suo lavoro. Ormai sono da nove anni e mezzo che anch’io sono qui in Italia e mi trovo bene, però tornare nel pro-prio paese fa sempre piacere perché in Libano ci sono tutti i nostri famigliari ed è stata dura per me e per i miei genitori lasciarli, ma c'è sempre il problema della guerra e non sei al sicuro, hai paura di uscire di casa perché non sai se tornerai e tutto questo non è facile da affrontare. Engy El Khatib

I mie genitori nel giorno del loro matrimonio

Mio papà e mia mamma il giorno del contratto

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FARE IL GIORNALISTA A PARIGI

Giacomo Leso è nato nel 1974 a Corbiolo ed ha frequentato la scuola media nello stesso istituto dove siamo noi ora. Possia-mo dire che la sua passione per la lettura e lo scrivere è nata fin da giovane. I suoi primi articoli li ha scritti per il giornalino della sua parrocchia e per quello che ha fondato con alcuni suoi compagni dell’Istituto Tecnico Agrario di Buttapietra. I suoi primi pezzi da giornalista li ha scritti per un giornale di Verona “La Cronaca” per proporre degli articoli sulla Lessinia e sul nostro paese. Il capo redattore che lo ha ricevuto non ha nem-meno guardato il suo curriculum, gli ha detto: ” Prova a scrive-re, poi vediamo”. “Ai miei tempi si diventava giornalista imparando sul terre-no” dichiara Giacomo Leso “I colleghi, nelle redazioni, correg-gevano gli articoli e ti insegnavano che si può scrivere tutto; il modo con cui è scritto è molto importante. Oggi ci sono le scuole di giornalismo ma l’esperienza del giornale locale rima-ne, a mio parere, fondamentale. Si hanno subito le reazioni del-le persone che si citano e a volte bisogna imparare anche a di-fendersi da attacchi ingiustificati e minacce. Sono stato subito fortunato”. Finita la scuola superiore si iscrive a Scienze Politiche a Bo-logna, e al quarto anno, vincendo una borsa di studio con il progetto Erasmus va a Parigi. Il soggiorno doveva durare un anno ed invece vive ancora nella capitale francese.

“ Ero già giornalista” racconta “ e volevo passare da un’esperienza nella stampa locale ad una nuova in quella nazionale: Parigi mi ha dato questa possibilità: I giornali, all’inizio, li contattavo io, con la voce tremante e la paura del rifiuto. Mi hanno spesso accolto in modo gentile e mi hanno fatto provare, smen-tendo così la voce secondo cui bisogna essere raccomandati. Ho voluto fare esperienze in radio, TV, a-genzie, internet, differenziando così le mie competenze, . Non è mai finita, le tecnologie evolvono, si è sempre un po’ in ritardo rispetto a quello che si deve saper fare, non si smette mai di imparare. E per for-tuna, altrimenti che noia sarebbe! Da qualche anno, ormai sono undici anni che stò qui, alcuni media co-minciano a contattarmi, ma all’inizio è piuttosto dura”. Da Parigi ha fatto il corrispondente per il giornale “L’Espresso” , scrive dei pezzi per i 22 giornali locali italiani dell’Agenzia Giornali Locali e realizza servizi per il Tg della rete italiana “La 7 ”. Nella sua esperienza di giornalista ha incontrato dei colleghi che gli hanno insegnato il mestiere. Uno in particolare, Roberto Fagiani, ex-corrispondente dell’Espresso da Parigi, gli diceva che i giornalisti non sono dei giudici, ma appunto dei giornalisti che devono tendere il più possibile alla verità accettando an-che che la verità è un’insieme di diverse verità e che forse tutta non la si conoscerà mai. Quello che un giornalista può fare è di lavorare con la massima competenza possibile e la massima buona fede. In que-sto modo se si sbaglia è meno grave. Deve anche saper ammettere di aver sbagliato” Un altro grande giornalista che ha conosciuto è stato Paolo Frajese, anche lui corrispondente per la tele-visione italiana a Parigi. Gli è rimasta in mente una sua frase. “Un vero cronista è uno che consuma le suole delle scarpe e non ha il tempo per andare a comperarsene di nuove” Giacomo racconta che ” Il lavoro del giornalista, soprattutto quello del generalista, cioè il cronista che spazia in diversi campi: dalla politica all’economia, dalla cultura alla società., ti porta ad incontrare perso-ne interessanti e diverse, ad interessarti agli argomenti più disparati. Se è fatto con entusiasmo non ci si annoia quasi mai”. “Non è un lavoro che permette di fare tanti soldi, soprattutto all’inizio, ma le soddisfa-zioni che può portare sono grandi. Si è il trattino d’unione fra un argomento spesso complicato per chiun-que e il lettore o lo spettatore che non deve mai essere dimenticato quando si scrive. Si deve aver sempre presente che il lettore è il complice di un istante, quello della lettura di un articolo. Gli si deve il massimo rispetto per la sua attenzione, per il tempo che decide di passare in compagnia di una lettura. Bisogna for-nirgli i mezzi per comprendere e la possibilità di farsi un’opinione sua. Non si deve tentare di convincerlo che si ha ragione” Paola Beccherle

Giacomo nel suo appartamento a Parigi

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LE TAPPE FONDAMENTALI DELLA STORIA

Con i ragazzi abbiamo cercato di ripercorrere le tappe più significative della storia generale dalla Prei-storia ai giorni nostri. Accanto alla grande storia c’è anche la storia locale che non è riportata sui libri di scuola, ma che per noi è altrettanto importante. Il confronto tra questi due percorsi storici ci mostra come a volte testimonianze locali siano diventate importanti documenti a livello internazionale (lo sciamano di Fumane) o al contrario avvenimenti per noi molto importanti (l’arrivo dei Cimbri) siano trascurati dai li-bri di Storia. In piccolo ci hanno fatto capire come la storia locale e quella ”generale” a volte si intreccino ed a volte abbiano percorsi diversi che portano a vedere il mondo con altri occhi.

LA PREISTORIA

Paleolitico (dal greco antico paleos lithos = pietra antica) è l’Età antica della pietra: da due milioni e mezzo di anni fa a dodicimila anni fa: Durante Paleolitico l'uomo comincia ad utilizzare il fuoco per scacciare gli animali feroci, per scaldarsi e per illuminare la notte; l'uso del fuoco è importante anche per la socializzazione: infatti alla sera, attorno ad esso, si hanno le prime forme di vita comunitaria mentre si sviluppano forme primitive di linguaggio che rendono possibile la condivisione delle esperienze, quindi il progresso della civiltà umana. L'uomo sfrutta per vivere e proteggersi dalle intemperie e dagli animali feroci i ripari naturali e le grotte. Si sviluppa la caccia dei grandi mammiferi quali cervi, bisonti e mammuth che sono una importante fonte di nutrimento per l'uomo, assieme ai vegetali e frutti che egli riesce a raccogliere. Si hanno le prime forme di suddivisione del lavoro: le donne si dedicano alla raccolta di vegetali, di frutti selvatici ed accudiscono la prole, gli uomini si dedicano alla caccia degli animali selvatici. E' proprio durante il lontano Paleolitico che l'uomo inizia a lasciare le prime forme di espressione arti-stica. Durante il Paleolitico inferiore (il Paleolitico più lontano nel tempo) si hanno le prime selci lavorate spesso solo su di un lato, poco elaborate. Nel corso del Paleolitico superiore (quello più vicino) l'uomo primitivo comincia a sviluppare forme di pensiero più astratte che si manifestano con il culto dei defunti e le testimonianze di credenze nella vita ultraterrena (primi corredi funebri che dovevano “accompagnare” il defunto nell'aldilà). La lavorazione della selce diviene sempre più raffinata, coinvolgendo entrambI i lati della pietra (selci bifacciali).

Mesolitico (Dal greco antico mesos lithos = mezzo e pietra. Età di mezzo della pietra: Da 12000 a 10000 anni fa.). Durante quest’età il clima migliora pertanto cambiano sia la vegeta-zione che la fauna del-l'Europa, si estinguono i mammuth e gli altri ani-mali tipici dei climi freddi, mentre si diffon-dono i medi piccoli mammiferi quali alci, lepri e volpi e si creano le condizioni climatiche che favoriscono le pri-me forme di agricoltura. L'uomo perfeziona le sue tecniche di caccia e la sua manualità in ge-

Il disegno rappresenta le varie tappe dell’uomo preistorico: da nomade abitante delle grotte a coltivatore

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LE TAPPE FONDAMENTALI NELLA LA STORIA DELLA LESSINIA

LA PREISTORIA

A partire da 15.000 anni fa, la Lessinia, al termine delle glaciazioni, si presentava già, come morfologia (forma e struttura delle valli), molto simile ai giorni nostri. I monti Lessini, sin dalla Preistoria, presentavano delle caratteristiche molto favorevoli per lo sviluppo della vita e delle attività umane. Tra queste ultime ricordiamo:

�� Una grande ricchezza di ripari naturali e di grotte, sfruttabili per gli insediamenti umani. �� Una notevole abbondanza di selci utili per la produzione di strumenti. �� Facilità di spostamenti e collegamenti per la presenza di agevoli passaggi nelle vallate.

L'abbondanza di selci di ottima qualità, durante il Paleolitico, ha consentito alle prime comunità umane della Lessinia la costruzione di numerosi strumenti utili per la caccia, il taglio delle pelli, la frantumazio-ne e la lavorazione delle ossa. In questo periodo sono presenti sui nostri monti animali quali l'orso delle caverne, il lupo, la iena. Le zone maggiormente caratterizzate dagli insediamenti umani sono quelle comprese nella fascia di alti-tudine compresa tra i 250 ed i 600 metri e situate tra la Valpantena e la val Squaranto. Tra i siti archeolo-gici più importanti che si riferiscono a tale periodo ricordiamo quello del ponte di Veja, poiché le grotte hanno fornito una protezione naturale all'uomo preistorico, il quale infatti le ha abitate fin da epoche lon-tanissime. Un altro sito importante, ad una fascia di altitudine eccezionalmente elevata, è quello di Bus del Termine, presso Sega di Ala, dove era presente una officina di lavorazione della selce. Le pietre focaie della Lessinia venivano lavorate in grande quantità e commercializzata anche con località molto lontane (ad esempio nella Val d'Adige). Un altro sito importante riferito al Paleolitico lessine-o è Riparo Tagliente, un rifugio naturale abitato già dall'uomo di Neanderthal. Dai reperti ritrovati in esso, riusciamo a capire che gli uomini esercitavano la cac-cia degli erbivori quali lo stambecco, il cervo, il camo-scio ed il mammuth, lavoravano al selce e seppellivano i defunti. Alla fine del Paleolitico l'uomo ha affinato notevol-mente le sue capacità nella lavorazione della pietra e, come capiamo dalle incisioni di Riparo Tagliente, ha cominciato ad elaborare credenze religiose nella vita oltre la morte. Riguardo al Mesolitico, le testimonianze archeologiche sono molto piuttosto scarse per la zona della Lessinia, e sono legate soprattutto alla presenza di microliti, ovvero piccole pietre di forma triangolare che ricordano punte di freccia.

Scarti di lavorazione della selce

Punte di freccia e altre selci lavorate trovata in Lessi-nia (Museo di Bosco)

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nere nella produzione di utensili. La pesca comincia ad essere diffusamente praticata. A quest'epoca va probabilmente fatta risalire l'invenzione dell'arco. Neolitico (dal greco antico: neos lithos, età nuova della pietra. Dall’ 8.000 a.C. al 4.000 a.C.). Il neolitico è per l'uomo l'età dei grandi cambiamenti, infatti è in questo periodo che avviene la cosiddetta rivoluzione neolitica, che si articola in diversi ed enormi progressi che caratterizzano la storia umana ov-vero:

�� Gli uomini cominciano a stabilirsi nei territori, ovvero divengono da nomadi, stanziali. �� Si sviluppano, in Medio Oriente, nella mezzaluna fertile, le tecniche agricole e si diffonde l'agri-

coltura come mezzo di sussistenza e fonte per l'alimentazione umana. �� Si sviluppa e si diffonde la pratica dell'allevamento. �� L'uomo lavora l'argilla, pratica la tessitura, crea raffinati strumenti incidendo ed intagliando le

ossa. �� Nascono le prime forme di commercio. �� Si sviluppa il culto dei morti e si diffonde la pratica dell'inumazione (sepoltura in terra).

Durante l'Età del Bronzo in Europa si diffondono e sviluppano moltissimo i commerci. Tra le nuove forme di abitazione cominciano a diffondersi le palafitte, ovvero strutture abitative di legno rilevate ri-spetto al terreno circostante, costruite su pali conficcati nel terreno in prossimità di laghi e specchi d'ac-qua, come accade, ad esempio, presso il lago di Garda. Le palafitte consentivano una efficace difesa con-tro i nemici e rendevano agevole il prelievo dell'acqua per gli usi quotidiani Nel nord Italia abbiamo per questo periodo, numerosi ritrovamenti di stampi e crogiuoli di metallo, che testimoniano una grande produzione metallifera. Situata tra Veneto e Lombardia, Peschiera è, in questo periodo, uno dei più grandi centri europei di lavorazione dei metalli, con produzione di numerosi oggetti quali spilloni, bottoni, collane e armi. Collocata allo spartiacque tra preistoria e storia, l'Età del Ferro vede il perfezionamento delle tecniche acquisite precedentemente dall'uomo ed una enorme diffusione dei commerci. In questo periodo i corredi funerari divengono sempre più elaborati e ci consentono di ricavare moltissi-me informazioni sulle differenti civiltà che si sviluppano in Europa ed in Italia. In Veneto si sviluppa e fiorisce presso Este l'antica civiltà veneta. Ad Oppeano, presso Verona, viene ritrovato un corno di cervo con iscrizioni in antico veneto: con la comparsa della scrittura si ha il passaggio dalla preistoria alla storia.

Il grande pannello al Museo di Storia Naturale di Verona dov’ è illustrata la vita in un villaggio di palafitte

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Nel Neolitico, un'epoca importante per l'evoluzione della civiltà umana, anche in Lessinia si assiste ad un cambiamento rilevante nella vita dell'uomo. La temperatura comincia ad aumentare, le valli lessiniche si ricoprono di foreste, si diffondo i piccoli mammiferi mentre si estinguono quelli più grandi (mammuth). Le attività dell'uomo di montagna in questo periodo comprendono la caccia, la pesca nei piccoli laghetti e nei torrenti, la raccolta di frutti spontanei. Tra i siti più importanti riferiti a quest'epoca ricordiamo il ponte di Veja, Lughezzano, La “Fada Nana” a Corbiolo di Bosco Chiesanuova ed a Cerro la Grotta del Mondo. Dai reperti archeologici possiamo, inoltre, ricavare molte informazioni relative al periodo, ovvero che l'economia era basata su una agricoltura semplice e rudimentale (anche la Lessinia, quindi, è stata coin-volta dalla grande rivoluzione neolitica), sull'esercizio della caccia e della pesca. Tra gli strumenti ritrova-ti ed utilizzati dall'uomo del neolitico ricordiamo piccole asce a forma di trapezio, ovali o a forma di man-dorla, scheggiate su entrambe i lati; ricordiamo inoltre i primi strumenti riferiti alla lavorazione della ce-ramica, semplici accessori di abbigliamento ed ornamento (fibbie, spilloni, pettini). Poiché, inoltre, in Lessinia sono state ritrovate svariate conchiglie del Mediterraneo, capiamo che gli uomini della Lessinia commercializzavano i loro manufatti anche con popolazioni molto lontane, scam-biandoli con tali prodotti del mare, allora ritenuti molto preziosi perché rari in queste zone. Gli uomini delle montagne veronesi durante il neolitico vivevano probabilmente in rifugi costruiti da loro stessi con elementi della natura (legno, frasche, paglia), ed è per questo che non ci è rimasta traccia di tali abitati che, essendo stati costruiti con materiali biodegradabili, non si sono conservati. In Lessinia sono state rinvenute numerose sepolture risalenti all'epoca neolitica che, ancora una volta, ci testimoniano il fatto che i territori montani erano abitati.

Pezzi di osso che potevano essere utiliz-zati per fare buchi o per cucire

Pezzi di una collana in osso

Particolare del disegno di un vaso

Vaso in terracotta Tutti i pezzi provengono dallo scavo della “Fada Nana” e sono esposti al Museo Etno-grafico di Bosco

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IL RIPARO TAGLIENTE

Il Riparo Tagliente si chiama così dal nome della persona che lo ha trovato ed è uno degli scavi riguar-danti il Paleolitico più importanti d’Europa; le prime campagne di scavo sono iniziate nel 1962, grazie all’impegno dell’Università di Ferrara. Dopo averci introdotto all’interno dello scavo, la guida ci chiede se sappiamo a cosa serve l’archeolo-gia e dice che serve per sapere come vivevano gli uomini del passato. Il compito dell’archeologo che si occupa della Preistoria è diverso dal lavoro di un archeologo che studia periodi più recenti, per lo studio dei quali si può servire dello studio delle opere d’arte o dei documenti scritti. Per la Preistoria, l’archeolo-go deve essere un detective che cerca di capire come vivevano gli uomini del passato studiando le cose che essi hanno lasciato involontariamente. Naturalmente, difficilmente si trovano gli oggetti in legno, che con il tempo si decompongono. Lo studio degli strati

Sono stati scavati molti strati e sono stati ritrovati tre livelli di oc-cupazione, uno da parte dell’uomo di Neanderthal (60mila-30mila anni fa) e due da parte dell’uomo moderno, che se n’era andato e poi è ritornato (15 mila anni fa). Tutto ciò che viene scavato qui è del paleolitico, non si può dire che l’occupazione sia stata continuativa, però. L’archeologo studia il passato scavando verso il basso negli strati e studia sapendo che i sedimenti si appoggiano l’uno sull’-altro lasciando le cose più vecchie sotto. I sedimenti più in alto sono i più recenti. Il lavoro di scavo procede così: gli ar-

cheologi scavano ogni strato, salvando i reperti e cercando di capire cosa è successo. Per procedere nello scavo si divide lo strato in quadrati e si segnano le coordinate di ogni quadrato. Le coordinate si chiamano X e Y e per segnare gli angoli dei quadrati usano dei fili che scendono dall’alto perfettamente dirit-ti (con un peso di piombo attaccato all’estremità). Ogni quadrato ha un numero e ogni reperto che viene trovato viene catalogato cioè gli viene messa un’eti-chetta con le coordinate che non deve mai essere tolta. In questo riparo (che è già stato scavato in parte) sono state trovate molte selci e i segni dell’occupa-zione degli uomini del paleolitico (cioè dell’età della pietra antica). Non erano ancora stati scoperti i metalli e la ceramica. La selce è molto comune in Lessinia ed è un tipo di pietra che può essere scheggiata per diventare tagliente come un coltello; serviva a tagliare o anche a raschiare. Per ogni uso diverso usavano selci di forma diversa.

Gli uomini che sono vissuti nel Riparo e il Progno di Valpantena

Nel riparo sono vissuti due tipi di uomini diversi. Il Riparo è stato abitato dall’uomo di Neanderthal

che non era molto diverso da noi, ma aveva sopracciglia più sporgenti, la testa meno rotonda, il mento più piatto ed era più basso e robusto. La prima occupazione è stata proprio da parte di questo tipo di uomo, che scheggiava le selci con un ciottolo (sasso rotondo più resistente della selce); il clima era più freddo e la vegetazione simile a quella che vediamo in alta montagna. C’erano anche degli animali diversi: lo stambecco, il camoscio e la lepre. Al Riparo Tagliente è stato ritrovato anche un osso di mammut. Ad un certo punto, l’uomo di Neander-thal si è estinto, per motivi ancora sconosciuti, lasciando il posto all’uomo moderno, che ha occupato il riparo per secondo. L’uomo moderno

Durante il periodo in cui l’uomo moderno visse al Riparo Tagliente un fiume vicino, il Progno di Val-

Un archeologo al lavoro. Le varie cor-de servono per suddividere lo spazio in modo da poter poi classificare i pezzi

Le varie fasi della selezione dei reperti: la separazione dei pezzi a seconda della tipologia (selce, osso, ecc) e la classificazione

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pantena, inondò tutto e portò via molti sedimenti; per questo non si sa molto delle attività dell’uomo mo-derno, che era ritornato al Riparo e i cui comportamenti erano un po’ diversi da quelli del suo predecesso-re, per esempio era in grado di produrre oggetti artistici. Il gran numero di ossa e di schegge di selce, concentrati in un solo punto è forse dovuto al fatto che gli abitanti del Riparo lo usavano sia come luogo per lavorare la pietra sia come pattumiera. Inoltre, l’uomo del Riparo costruiva focolari, preparando anche una buca al di sotto di essi, inoltre sa-peva già organizzare in maniera diversa gli spazi, cioè in ogni luogo faceva cose diverse. Nel Riparo è stata ritrovata anche una sepoltura, che però è stata distrutta per metà nel Medioevo: pro-babilmente alcuni uomini avevano fatto uno scavo per crearsi un rifugio; per questo, ci rimane solo metà scheletro. Insieme alla sepoltura sono stati ritrovati: un corno di un animale simile ad una mucca e dei grandi massi che coprivano il corpo quasi per proteggerlo; su uno di questi era disegnato un felino. Erano presenti anche altri oggetti artistici: vicino al leone è disegnato un bue e su altri due ciottoli sono disegnati uno stambecco e un bisonte. Tra le altre cose sono stati trovati dei denti di cervo che venivano usati come monili e che erano fatti solo con i denti canini che nel cervo rimangono dentro alla mandibola; oltre che con i denti di cervo i mo-nili erano fatti anche con conchiglie che provenivano dal Mar Mediterraneo, infatti il commercio era già sviluppato.

IL MUSEO DI STORIA NATURALE

Al Museo di Storia Naturale di Verona abbiamo potuto vedere non solo i reperti del Riparo Tagliente catalogati e sistemati in teche che ne permettono la visione e la conservazione, ma anche altri interessanti

aspetti che riguardano l’evoluzione dei primi uomini. Nella prima stanza, dopo averci fatto sedere per terra, la guida ci ha mostrato dei calchi di crani umani, alcuni su modelli ri-trovati non in Italia, altri su ricostruzioni di crani non completi. La guida ci ha permesso di ricostruire la storia dell’evoluzione umana facendoci osservare le diverse caratteristiche di ogni cra-nio: la grandezza della fronte, le sopracciglia (in fuori oppure no), la grandezza del cranio ( ci ha spiegato che il volume del cranio è sicuramente una variabile di cui tener conto, per poter stabilire il periodo a cui un cranio appartiene), la forma della mandibola. Abbiamo imparato così a formulare delle ipotesi gra-zie all’osservazione di questi calchi esposti. La presentazione della vita nelle preistoria è poi continuata con l’osservazione di un vero e proprio racconto dell’evoluzione

sulle pareti della stanza. La guida ci ha fatto notare che non c’erano “pause” nel racconto, ma una storia evolutiva continua, da una vita nomade a una sedentaria, con la costruzione dei primi ripari; dalle attivi-tà di caccia e raccolta all’agricoltura e all’allevamento; dalla prima rudimentale lavorazione delle pelli ai vestiti cuciti; abbiamo anche visto che gli uomini a poco a poco imparavano a curarsi, a seppellire i corpi, a migliorare le armi e gli utensili. Nella seconda sala, invece, abbiamo potuto non solo osservare i reperti dello scavo del Riparo, ma anche altri reperti provenienti da moltissimi ripari sia della Lessinia che della Bassa Veronese. Non appena siamo entrati abbiamo potuto ammirare la sepoltura che era stata trovata nel Riparo Ta-gliente. In una teca vicina alla sepoltura c’erano anche le pietre che gli uomini del riparo avevano utilizza-to per ricoprire il corpo. Nella sala, poi, molti altri reperti preistorici, punte di freccia, di lancia, vasi a bocca quadrata, monili e persino delle “spille di sicurezza” che servivano per chiudere gli abiti. Grazie alla visita sia dello scavo, che del museo, abbiamo potuto, per così dire, seguire la strada che segue un reperto, dal momento in cui viene trovato, al momento in cui può essere ammirato. Classe 1A e 1B, Bosco

I diversi tipi di crani umani

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LA STORIA ROMANA

Roma, partendo da un piccolo villaggio di pastori, è diven-tata il grande e potente impero che noi tutti conosciamo, e-spandendosi sia verso nord che verso la Magna Grecia, inglo-bando popolazioni differenti, mutuandone usi e costumi, ma anche apportando una grande cifra di civiltà e le proprie ori-ginarie caratteristiche. La storia di Roma si sviluppa a lungo nel tempo ed è den-

sa di avvenimenti, di guerre, di alterne vicende di politica interna ed esterna, ma noi abbiamo trovato delle date partico-larmente significative perché legate ad avvenimenti chiave, che generarono importanti cambiamenti. Questo ci ha anche aiutato a capire che, nel corso della sto-ria, non tutto ciò che succede è ugualmente importante, ma esistono eventi “chiave” che danno luogo a delle accelera-

zioni del tempo storico. Le date che abbiamo individuato sono le seguenti e comprendono anche le tappe importanti per il nostro territorio veronese: �� 21 aprile 753 a.C.: la data leggendaria della fondazione di Roma. �� VIII secolo a. C.: in Lessinia antiche popolazioni preromane occupano le zone strategiche sulle altu-

re e costruiscono i castellieri, costruzioni difensive protette da mura imponenti, collegate tra loro da sentieri.

�� 753-509 a.C.: dalla nascita della città alla fine del periodo monarchico, terminato con la cacciata del re etrusco, Tarquinio il Superbo.

�� 451-450 a.C.: decemviri e creazione delle XII tavole �� III secolo a.C.: i Romani iniziano la conquista della Gallia Cisalpina e si insediano nei territori cor-

rispondenti alla Pianura Padana e all'attuale Veneto. �� 264-241a.C. prima guerra contro Cartagine. �� 211 a.C.: Annibale varca le Alpi e marcia verso Roma. �� 218-201 a.C.:seconda guerra contro Cartagine. �� 149-146 a.C.: terza guerra punica: Cartagine è definitivamente sconfitta. �� 148 a.C.: viene costruita, dal console Spurio Postumio Albino, la via Postumia che congiungeva

Genova ad Aquileia, passando anche dal centro di Verona ed attraversando tutta la zona pedemonta-na ad est della città, ai piedi dei monti Lessini. Tale strada avrà una grande importanza per Verona e per il territorio veronese in genere.

�� 101 sconfitta dei Cimbri da parte di Mario ai Campi Raudi (Vercelli). �� I secolo a.C.: fondazione di Verona. I romani cominciano a colonizzare anche la Lessinia: spari-

scono così gli antichi villaggi preromani d'altura �� 60 a.C.: primo triumvirato �� 44 a.C.: assassinio di Cesare. �� 27 a.C.: Ottaviano diviene imperatore con il titolo di Augusto: fine della Repubblica ed inizio del

Principato. �� I secolo d.C.: Verona si arricchisce di monumenti e costruzioni e diviene una splendida città monu-

mentale �� 117 d.C. : alla morte dell'imperatore Traiano, l'impero romano si trova nella sua massima estensione

territoriale, comprendendo quasi tutta l'Europa attuale, la fascia mediterranea del Medio Oriente e le coste settentrionali dell'Africa.

�� III secolo d.C.: l'impero romano è in piena crisi (sia politica che morale, anche la religione tradi-zionale non regge più, si diffonde con grande forza il cristianesimo), alcuni imperatori (Diocleziano, Costantino) tentano di rafforzarlo, ma i barbari premono alle frontiere. Persecuzione dei cristiani da parte degli imperatori Diocleziano e Decio. Inizia il progressivo tramonto dell'impero romano.

�� IV secolo d.C.: in Lessinia comincia a diffondersi il cristianesimo. �� 24 agosto 410: Alarico, il re dei Visigoti, entra a Roma,la conquista e la saccheggia. �� 476 d.C.: Odoacre, re degli Eruli, depone l'imperatore d’Occidente Romolo Augustolo: data for-

male dell'inizio del Medioevo.

Il Colosseo simbolo della Roma antica

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L’EPOCA ROMANA IN LESSINIA

Durante l'epoca romana il territorio della Lessinia era per la maggior parte ricoperto da boschi (Selva Veronensis), da pascoli (Lessinum) ed era generalmente poco abitato. I Romani ne controllavano le vie d'accesso principali con presìdi militari posti nel fondovalle, perché esso era importante sia a livello territoriale (possibilità di invasioni dal nord lungo le valli), sia a livello economico, in relazione alla fornitura di materie prime utili per la città. La zona era caratterizzata dalla presenza di stradine secondarie che erano percorse dalle mandrie per rag-giungere i pascoli estivi d'altura (transumanza) e che avevano la loro importanza anche nell'ottica delle comunicazioni locali. Vie d'accesso alla Lessinia erano le valli quali, ad esempio, la Valpantena (importante e molto abitata in epoca romana), la Valpolicella (anch'essa molto importante) e la val d' Illasi. La campagna e la montagna veronese rifornivano la città di derrate alimentari, in particolar modo pro-dotti agricoli e carne. In Lessinia si svilupparono specialmente l'allevamento ovino e caprino, l'avicoltura (tortore e piccio-ni), la raccolta di bacche ed erbe spontanee ma anche di funghi che servivano per aromatizzare i cibi o anche per la preparazione di medicinali. Tra le altre materie prime che confluivano abbondantemente in città seguendo il percorso delle valli ri-cordiamo anche legna da costruzione e legname da ardere (consumato in abbondanza dai romani per scaldarsi e per il riscaldamento delle ac-que dei bagni pubblici), ma soprattutto la pietra calcarea proveniente dalle cave della Lessinia, la quale venne usata in ab-bondanza per le costruzioni cittadine e che permise la fioritura urbanistica e mo-numentale di Verona. Molti degli attuali paesi quali Cerro, Bosco ed Erbezzo, in base alla scarsa quantità di ritrovamenti archeologici in essi effettuati, erano all'epoca quasi com-pletamente disabitati o sporadicamente abitati. A Roverè vi è invece attestata una discreta presenza romana (specialmente nella zona di San Vitale), grazie a ritrova-menti di manufatti quali una statuetta in

bronzo di Mercurio, dio romano dei vian-danti e delle comunicazioni e venerata in tutto il territorio veronese, svariate mone-

te, vasi in vetro e fibule (sorta di spilloni di metallo). San Mauro di Saline era importante per la presenza della via Carraia (detta Cara), usata per lo spostamento delle greggi durante la transumanza. Sulla Purga di Velo era presente un presidio romano a guardia del pas-saggio sulla stessa Via Cara. Classe 1A e 1B, Bosco

La Purga di Velo dove, in epoca romana, era presente un presidio a guardia del territorio

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IL MEDIOEVO

Nel V secolo, in quello che era stato l’Impero Romano, erano sorti due imperi: quello Romano d’O-

riente e quello Romano d’Occidente. Mentre in Oriente il potere rimaneva saldamente nelle mani del-l’imperatore, l’Occidente era molto più debole e indifeso. Di questa situazione approfittarono i Germani ( Visigoti, Ostrogoti, Vandali, ecc) che, per sfuggire all’avanzata degli Unni, nomadi di stirpe mongola provenienti dalle steppe della Siberia, entrarono nell’Europa occidentale e in Italia. Nel 476 a Ravenna Odoacre, un ufficiale germanico al servizio dell’impero, depose l’imperatore Romolo Au-gustolo, si fece nominare “patrizio” e si proclamò governatore in nome dell’impe-ratore d’Oriente. Finisce così l’Impero Romano d’Occidente. I territori che prima erano appartenuti all’Impero Romano d’Occidente furono occupati da popolazioni di stirpe germanica che diedero origine ai regni romano-

barbarici ( Visigoti, Franchi, Burgundi, Sassoni, Vandali) L’imperatore d’Oriente decise di riconquistare l’Italia cercando contemporanea-mente di liberarsi degli Ostrogoti che vi si erano insediati ed avevano stabilito la loro capitale a Ravenna. Nel 568 l’Italia fu invasa dai Longobardi, una popola-

zione di origine germanica che nel giro di pochi anni riuscì a conquistare buona parte della penisola italia-na. L’Italia divisa tra Longobardi e Bizantini perse così la sua unità: saranno necessari 15 secoli prima di riconquistarla. Per l’Italia il V e il VI secolo furono un periodo difficile perché non esisteva più uno Stato, le continue guerre avevano portato all’abbandono delle città, perché erano la prima meta dei barbari, dei commerci, di molte terre coltivate con conseguente aumento di terreni incolti. Una reazione importante alla crisi in cui si trovava l’Occidente venne dai monasteri, centri religiosi dove i monaci si dedicavano, oltre alla preghiera, alla coltivazione e al recupero di terreni incolti con metodi all’avanguardia favorendo la ripresa dell’agricoltura. I monasteri erano anche centri di cultura dove alcuni monaci, gli amanuensi, ricopiavano i testi antichi permettendo così la conservazione di opere antiche che altrimenti sarebbero andate perdute. Sempre in questo periodo i vescovi o il papato andarono in aiuto delle popolazioni indifese, la Chiesa cominciò così ad assumere un ruolo politico e, con l’aiuto dei Franchi, arrivò ad avere un proprio stato nell’Italia centrale: lo Stato della Chie-

sa. Fu proprio un sovrano franco a rifondare l’Impero, Carlo Magno,che nelle notte di Natale dell’800 venne incoronato imperatore del Sacro Romano Impero. A partire proprio dal IX secolo l’Europa subì una profonda trasformazione sociale con l’affermarsi della società feudale

basata sul legame di fedeltà reciproca tra re o imperatore e vassalli, valvassori e valvassini. La conseguenza fu la divisio-ne dell’impero e dei regni in vari feudi più o meno grandi spesso in lotta tra di loro. Le popola-zioni dell’Europa occidentale dovettero affrontare, tra il IX e il X secolo, altre invasioni: quelle dei Sara-

ceni che minacciavano con le loro scorrerie le coste mediterranee conquistarono la Sicilia, quelle dei Normanni o Vichinghi che dall’Europa del Nord arrivarono a stabilirsi in Normandia, in Inghilterra e in Sicilia, quelle degli Ungari che più volte raggiunsero la Germania, la Francia e l’Italia. Nel 965 furono definitivamente sconfitti da Ottone I° imperatore del Sacro Romano Impero Germanico, divennero se-dentari, si convertirono al cristianesimo e diedero origine al Regno d’Ungheria. L’anno Mille segna la rinascita dell’Occidente: la popolazione ritorna ad aumentare, si estesero le zone coltivate e si introdussero nuovi e più efficaci sistemi di coltivazione, ripresero i commerci e rinacquero le città. In Italia le prime città a affermarsi furono Amalfi, Venezia, Pisa e Genova, poi a partire dal 1100 nacquero i Comuni. Questo avvenne soprattutto nelle Fiandre e nell’Italia centrosettentrionale. Un po’ alla volta i comuni italiani imposero il loro potere sulle campagne circostanti, indebolendo i feudatari ed arrivarono a scontrarsi con l’imperatore per affermare la loro indipendenza. Verona divenne comune nel XII secolo. La fase comunale finì quando, Ezzelino da Romano nel 1226 si fece eleggere Podestà e Capi-tano del Popolo, impadronendosi di fatto del potere.

Il castello di Avio dell’ XI secolo

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IL MEDIOEVO IN LESSINIA

Con la caduta dell’Impero romano iniziano le cosiddette “invasioni barbariche”, gli spostamenti di po-poli che dall’Europa scendono in Italia. Tra questi i Longobardi (568), il cui re Alboino fece diventare Verona una città importante, la prima capitale del suo regno. Probabilmente l’influenza di questo popolo si estese alla zona montana con la creazione delle Arimannie, (le terre concesse agli uomini liberi che ave-vano l’obbligo di portare le armi e difendere il territorio). Gli arimanni erano dei militari-agricoltori, cioè ricevevano delle terre da coltivare su terreni appartenenti a beni comuni, non pagavano le tasse e portava-no le armi per difendere il territorio in caso di invasioni. Gli arimanni occupavano specialmente i beni comuni lasciati a pascolo o a vegro, cioè non coltivati e i boschi. A testimonianza della presenza longo-barda nel nostro territorio sono rimasti i toponimi longobardi (-engo) come per esempio il nome Marte-lengo, i territori definiti con il termine “beni comuni” e il racconto di “Bertoldo da Parparo”, l’astuto montanaro chiamato alla corte del re Alboino ( vedi pag.258).

La zona più popolata e produttiva si trovava nella fascia pedementana e colli-nare, man mano che si saliva il paesaggio si presentava ricoperto da boschi di roveri e carpini nella parte più meridionale e faggi nelle parte centrale, più in alto vi erano i pascoli. Per la prima volta nell’814, durante il regno dei Franchi, appare il termine Lessinia nel documento in cui il gastaldo Ildebrando di Verona dona al monastero di Santa Maria in Organo “campo meo in Luxino ad Alpes faciendas,….” Con l’affermarsi del feudalesimo parti consistenti del territorio della monta-gna veronese divennero proprietà di enti religiosi, di monasteri (San Zeno, San-ta Maria in Organo, San Giorgio in Braida, il Capitolo della Cattedrale, ecc.) o di potenti famiglie veronesi che per mezzo di gastaldi controllavano e ammini-stravano il territorio e le attività pastorali. I monasteri per controllare le loro ter-re si servivano di guardaboschi (waldemanni) ma, data la vastità del territorio, spesso accadeva che degli abusivi entrassero a raccogliere legna o pascolare le greggi. Questa situazione portò a frequenti contrasti e processi tra abusivi e pro-prietari delle terre. Nel 970 per concessione dell’imperatore Ottone I° alcuni abitanti della Valpantena ottennero di poter tagliare legna nella zona centrale della Lessinia che nel documento viene chiamata “Selva Herimannorum” e Sel-

va Alferia (Cerro). La città, che con la nascita del Comune si andava allargando, aveva bisogno delle ri-sorse pascolive e boschive della montagna che fu così suddivisa in tre fasce: �� la Frizzolana tra i 900 e i 1200 metri confinando a sud con la zona di Alferia e Azzago e a nord con

la Silva Comunis, che era di proprietà del Capitolo della Cattedrale e di altri monasteri; �� La Silva Comunis Veronae la zona compresa tra i 1200 e i 1400 metri ricca di boschi, di proprietà

del Comune di Verona �� Il Lissino, la parte più a nord proprietà di grandi proprietari terrieri ecclesiastici e laici, utilizzata

come pascolo per le greggi che fornivano la materia prima per l’industria della lana, attività che fece di Verona una delle più ricche città medioevali.

Per meglio definire i rapporti tra i canonici e i territori montani della Friz-zolana nel 1216 fu redatto il documento “Regulam et Statutum” della Frizzo-lana, nel quale vennero definiti i confini della medesima, prescritte le pene da infliggere a coloro che abusivamente si recavano con il bestiame o le greggi all’interno di questo territorio e i rapporti da tenere con il rappresen-tante del Capitolo. Un altro Comune ad avere un simile statuto è stato quello di Alfaedo (Sant’Anna d’Alfaedo) nel 1246. Il potere degli Enti religiosi cominciò ad indebolirsi nel corso del XIII sec.mentre si era andato rafforzando quello del Comune di Verona che per allargare il suo controllo sulla zona montana meridionale aveva favorito, no-nostante l’opposizione del Capitolo della Cattedrale, proprietario delle terre, lo sfruttamento abusivo della Frizzolana da parte delle popolazioni pede-montane. Un po’alla volta il controllo del comune cittadino divenne sempre più esteso fino ad arrivare all’alta Lessinia e all’emissione di una serie di leggi per lo sfruttamento dei boschi e dei pascoli.-

La Silva Communis Veronae in base al documento del 1328

Un imponente faggio testimone delle antiche faggette che ricoprivano l’alta Lessinia

Erbezzo

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Alla morte cruenta di Ezzelino da Romano nel 1259 subentrò come Pode-stà Mastino I° della Scala, capostipite degli Scaligeri che rimasero al go-verno della città fino al 1387. La ricchezza dei signori Della Scala si basa-va sul controllo del territorio da cui arrivavano le materie prime, in parti-colare la lana, che resero potente questa famiglia di imprenditori veronesi Durante la dominazione scaligera il territorio veronese, per facilitarne l’amministrazione, fu diviso in sette zone Colonnelli (della Gardesana, Della Valpolicella, Della Valpantena, Delle Montagne, Del Fiume Nuovo, Della Zosana, Del Tione). Per assicurarne la difesa furono istituiti i Capi-tanati preposti al controllo di un castello e del territorio ad esso adiacente. Gli Scaligeri per difendere e controllare a sud il Colonnello Delle Monta-gne, che comprendeva la zona della Lessinia e le valli di Tregnago, Soave e Monteforte, si impadronirono dei castelli di Soave, Illasi, Tregango e Colognola ai Colli. Il compito del controllo dei passi a nord fu dato ai Cimbri, popolazione di origine germanica stabilitasi nel XIII secolo nella zona centrale della Lessinia Il periodo dei Comuni e delle Signorie fu per l’Italia un’ epoca di fer-mento sia economico e commerciale che culturale che portò ad arricchire le città di palazzi, ed edifici di notevole bellezza opera di grandi architetti, scultori e pittori. Presso le corti signorili venivano ospitati artisti e lettera-ti; a Verona fu ospite degli Scaligeri Dante che dedicò a Cangrande il Pa-radiso. La cultura del Medioevo era essenzialmente di carattere religioso, ma nel corso del Trecento si manifestarono i segni di un rinnovamento. Le principali caratteristiche di questo cambiamento furono l’interesse per gli autori greci e latini e la valorizzazione dell’uomo, che veniva posto al centro del mondo e considerato una persona libera, capace di essere arte-fice della propria fortuna. Questa nuova cultura laica, cioè indipendente dalla religione, fu chiamata Umanesimo e portò alla rinascita delle arti ed a nuove invenzioni. Da Firenze, centro di questo rinnovamento culturale, il “gusto rinascimentale” si diffuse poi in quasi tutta Europa. La cultura umanistica riguardò però solo una stretta cerchia di persone colte e raffi-nate che vivevano presso le corti e lavoravano nelle amministrazioni citta-dine. Il Trecento fu anche un periodo di crisi: l’agricoltura non riusciva a sfa-mare tutta la popolazione e molte carestie decimarono la popolazione. I due “soli” che avevano dominato la scena politica: il Papato e l’Impero vide-ro diminuire notevolmente il loro potere. Nel corso del Medioevo infatti l’au-torità dell’Impero venne limitata: dalla nascita in Francia, in Spagna e in In-ghilterra e in altre regioni dell’Europa delle monarchie nazionali e da quella dei numerosi Comuni italiani che, dopo numerose battaglie, riuscirono ad otte-nere l’indipendenza dal potere imperiale. Il potere del Papa fu messo in discussione dal re di Francia Filippo IV, il Bello, il quale proclamò che il potere politico era indipendente da quello reli-gioso e pretese il pagamento delle tasse anche da parte dei vescovi francesi in quanto sudditi del suo Stato. Il papa Bonifacio VIII scomunicò il re di Francia che rispose inviando in Italia i suoi rappresentati. Arrivati ad Anagni arrestarono il papa, il popolo lo li-berò, ma l’oltraggio fu così forte che da lì a poco Bonifacio morì. Il nuovo papa Clemente V, nominato grazie alle pressioni di Filippo il Bello, per non recarsi a Roma, dove non si sarebbe sentito al sicuro, tra-sferì la sede del papato ad Avignone, nel sud della Francia. Questo periodo di 70 anni (1305-1377) in cui la corte papale risiedette ad Avignone è passato alla storia con il nome di “Cattività avignonese”. In Italia la situazione tra il centro-nord e il sud era molto diversa: al nord nelle città si era affermata la borghesia e i commerci e le attività erano fiorenti, al sud l’economia era basata sul latifondo, dove un si-gnore feudale faceva lavorare masse di contadini poverissimi. L’Italia era quindi divisa non solo in nume-rosi Stati, ma presentava anche due realtà diverse: l’affermarsi della civiltà urbana al centro-nord e il per-manere di una società di tipo feudale nell’Italia centro-meridionale.

I possedimenti Scaligeri alla fine del XIII secolo. centri forti-f i c a t i , territori contestati o perduti

Gli Scaligeri divisero il territorio in Colonnelli. La Lessinia era divisa tra i colonnelli della Valpo-licella (blu), della Valpantena (viola) e delle montagne (rosso)

La statua di Cangrande

Pascoli dei Lessi-

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Gli Enti ecclesiastici persero a poco a poco il loro potere e di que-sto approfittarono le grandi famiglie veronesi che acquistarono ter-re in Lessinia per garantirsi i pascoli collegati all’allevamento delle pecore e all’industria della lana. Gli Scaligeri saliti al potere nel 1270, consolidarono la propria posizione e il proprio patrimonio sia con il controllo delle istituzio-ni monastiche e cittadine che con l’elezione degli abati di San Ze-no e di altri monasteri veronesi appartenenti alla famiglia dei Della Scala. E’ proprio il vescovo di Verona Bartolomeo Della Scala a concedere, nel 1287, ad un gruppo di coloni tedeschi provenienti dal vicentino un territorio nella zona di Roveré. Sono il primo nu-cleo di quello che diventerà poi l’insediamento cimbro in Lessinia La concessione del Vescovo era corredata da una serie di norme

che regolavano sia i rapporti tra la Curia e i nuovi abitanti che quelli interni alla nuova comunità, come quello dell’esenzione da alcuni dazi, dell’essere governati diretta-mente da propri castaldi, di avere un parroco tedesco, di ammini-strare la giustizia spicciola, di mantenere i propri usi e costumi e la propria lingua. Alla migrazione del 1287 ne seguirono altre negli anni successivi, questo aumento della popolazione portò i coloni ad insediarsi nella zona di Badia Calavena e nella prima metà del XIII secolo verso ovest creando i nuclei abitativi di Valdiporro, di Bosco e di Erbez-zo. Nella metà del’300 viene popolata anche la dorsale che da San Mauro di Saline porta a Velo - Camposilvano e il centro di Selva di Progno. Dopo la peste del 1348, l’espansione riprende in direzione sud verso Cerro, ad est verso Giazza, Campofontana, San Bortolo, Bolca e ad ovest verso la parte orientare del comune di Sant’Anna d’Alfaedo. I privilegi di cui godevano i Cimbri vennero confermati anche negli anni successivi con delle limitazio-ni o delle aggiunte, come per esempio nel documento del 1349 di Mastino Della Scala nel quale furono aggiunti nuovi oneri che prima non erano previsti: costruire scale, greppie ed altre cose necessarie alle greggi e portare alla Curia il ghiaccio. Verso la fine del XIV secolo, con la signoria di Anto-nio Della Scala, venne redatto uno Statuto che riguardava in particolare la giurisdizione amministrativa degli alti pascoli del Lissino. Per garantire il proprio potere i signo-ri di Verona fecero eleggere un fattore che per tutto il pe-riodo dell’alpeggio doveva risiedere in Lessinia, alla Po-destaria. Egli esercitava sia la giustizia civile che crimina-le quando le colpe non implicavano una multa superiore alla 10 Lire. Al di sotto del fattore vi erano, per ogni al-peggio, il massaro, il casaro e il pegoraro. Il fattore eleg-geva 2 giurati per ogni Alpa, che avevano il compito di denunciare “quello che non andava” nel loro territorio; anche i casari e i pegorari potevano accusare il fattore se contravveniva allo Statuto. Con l’arrivo della dominazione viscontea (1387) i Cimbri trattarono con il nuovo governo per farsi rico-noscere gli antichi privilegi soprattutto quelli riguardanti l’esenzione del dazio sul sale, la lana e il servi-zio militare. Sotto i Visconti venne istituito nel 1403 il Vicariatus Monteanorum Teuthonicorum con sede a Badia Calavena che comprendeva 12 comuni:

1-Vellum 2-Raveredum Velli 3-Vallis Porri 4-Azerinum 5-Camposilvanum 6-Silva Progni 7-Sperea cum Progno 8-Saline cum Sumolena 9-Tavernole 10-Boschum Frizolane 11-Scole cum Valbuxa, 12-Albezum, Calcari, Azeredum

La Podestaria dove risiedeva durante l’estate il fatto-re nominato dalla Nobile Compagnia dei Signori del Lissino

La Basilica di San Zeno. Fu il vescovo Bartolomeo Della Scala a concedere delle terre ai Cimbri

La chiesa di Roverè. Nella zona di Rove-re si è insediato il primo nucleo di cimbri in Lessinia.

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Nel corso del Trecento i Comuni si trasformarono in Signorie e poi in Principati nelle mani di potenti famiglie borghesi o nobili. Scomparvero i Comuni più piccoli assorbiti da quelli più grandi e potenti che allargarono così i loro territori arrivando ad avere le dimensioni di una regione: gli Stati regionali. Essi erano governati nelle maniere più diverse: Venezia continuava ad essere un repubblica di tipo oligarchi-co; il Ducato di Savoia, quello visconteo di Milano (che nel 1387 conquistò i territori degli Scaligeri) e la signoria dei Medici di Firenze erano governate da una sola famiglia, lo Stato della Chiesa era retto dal Papato, il Regno di Napoli in mano prima agli Angioini e poi agli Aragonesi Sempre agli inizi del XIV secolo un altro importante avvenimento, con conseguenze anche per l’Italia, ebbe luogo nell’Europa orientale: i Turchi ottomani conquistarono la Turchia e poi rapidamente entraro-no in Europa riuscendo a conquistare Costantinopoli nel 1453. Alla difesa della città parteciparono anche veneziani e genovesi che avevano interessi commerciali in Oriente. La guerra contro i Turchi costrinse Venezia ad arrestare la sua espansione territoriale in Italia, giunta ormai a minacciare Milano. Di questa situazione seppe approfittare Firenze che convinse i maggiori stati italiani a firmare nel 1454 la pace di Lodi che fu mantenuta fino al 1494. Questa politica di equilibrio da un lato favorì lo sviluppo economico e culturale dell’Italia centrosettentrionale, dall’altro rese impossibile un processo di unificazione naziona-le come era avvenuto in altri paesi europei. Le potenti monarchie, che erano sorte in Europa alla fine del Quattrocento, iniziarono una serie di con-flitti per imporre il loro predominio. I primi protagonisti di questo scontro furono Francia e Spagna, le monarchie più potenti dell’epoca. Nel 1494 il giovane re di Francia Carlo VIII scese in Italia perché vole-va impossessarsi del regno di Napoli che fino a quarant’anni prima era appartenuto alla famiglia degli Angiò. Riuscì ad arrivare a Napoli senza incontrare ostacoli, questo rapido successo durò poco perchè Carlo VIII dovette ritornare in patria. Questo fatto segna l’inizio di un periodo di decadenza per l’Italia, che stava perdendo la sua supremazia economica ed anche la sua indipendenza.

Gli Stati italiani nel 1492

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appartenenti alla zona montana centro-orientale della Lessinia. Rimanevano esclusi gli alti pascoli del Lissino, ancora di proprietà di Enti religiosi o di famiglie signorili cittadine e la parte più occidentale del-l’altopiano. L’istituzione dei Comuni probabilmente nacque per soddisfare sia le esigenze della popolazione locale, aumentata di numero, che per regolare i rapporti sempre più frequenti tra montanari e cittadini. A capo del Comune vi era il Massaro aiutato nell’amministrazione del comune dai consiglieri, uomini che erano a capo dei Colonei, un gruppo di contrade; ad esempio il comune di Bosco era formato da altri 3 Colonei: Erbezzo, Calavedo, Valbusa e Scolo. L’espressione della vita comunitaria di queste popolazioni erano le riunioni dove si discutevano i problemi della comunità, che avvenivano nelle piazze dei comuni sotto la linte, il tiglio, e per essere valide dovevano avere la partecipazione di almeno i 2/3 dei capi-famiglia. Dopo la breve dominazione dei Carraresi, la Lessinia diventò territorio della Repubblica di Venezia (1405–1797). Il governo veneziano confermò gli antichi privilegi di cui godevano i montanari in cambio della custodia dei passi di confine con il Tirolo (Falconi, Valbona e Pertica). Nel 1420 i proprietari dei fondi nella zona dell’alta Lessinia fondarono la cosiddetta Nobile Compagnia dei Signori del Lissino, che scelse come sede per amministrare i propri beni la Podestaria, una casa di muro coperta di scandole, dove un suo rappresentante riscuoteva le tasse derivate dall’affitto dei terreni. I pascoli dell’alta Lessinia risultavano così divisi tra la Nobile Compagnia che aveva la parte maggiore, alcuni monasteri, i formag-geri (commercianti di prodotti caseari) e i nuovi Comuni della Lessinia. La parte toccata ai Comuni era esigua e questo portò a frequenti contrasti tra i Comuni che volevano estendere i loro possedimenti e gli altri proprietari; queste dispute finirono sui banchi dei tribunali e videro spesso “vincitori” i Comuni ap-poggiati dal governo veneziano.

I CIMBRI

“Trovansi ancor nel teren veronese/ una zentalia molto disusata/ da li costumi d’ogni altro paese;/ ne le montagne tien la loro contrata/ e son gente ombrose e assai sospese…” queste parole scritte verso la fine del ‘400 da Corna da Soncino ci fanno capire che le genti che abitavano la nostra montagna parlava-no una lingua diversa da quella parlata nel resto del territorio. Erano i Cimbri, arrivati in Lessinia nel 12-

87 che a duecento anni di distanza mantenevano ancor la loro lingua e i loro costumi. Dai signori Della Scala avevano infatti avuto non solo la possibilità di abitare un territorio, ma anche di mantenere i loro usi e di avere un sacerdote che parlasse tedesco. Dal primitivo insediamento, attraverso l’arrivo di altri gruppi e con l’aumento della popolazione, il po-polamento cimbro si allarga alle altre zone della Lessinia centro orientale dando origine a nuovi nuclei abitativi. Nascono così i XIII Comuni Veronesi di: Erbezzo, Bosco Chiesanuova, Valdiporro, Cerro, Ro-verè, Velo, Azzarino, Camposilvano, S. Mauro di Saline, Tavernole, Badia Calavena, San Bortolo, e Sel-va di Progno. Il nome di XIII Comuni è rimasto ancora oggi anche se alcuni di questi comuni sono stati assorbiti nel territorio di quelli confinanti, per esempio Valdiporro è frazione di Bosco Chiesanuova, Az-zarino di Velo, Tavernole di San Mauro e San Bortolo di Selva. Il nome Cimbri deriva dal medio-alto tedesco zimber = boscaiolo, carpentiere. L’attività principale di questi coloni è stata infatti quella di disboscare per ricavarne prati e pascoli e radure dove potere edificare le case. Dobbiamo quindi ai Cimbri la modificazione del paesaggio così come lo conosciamo con le contrade, circondate da prati e boschi. L’economia dei Cimbri era basata sulle risorse presenti sul territorio: il legname (da ardere, per costruire mobili e attrezzi, per produrre carbone), la pietra (per costruire le case e altri edi-fici), la possibilità di avere pascoli (allevamento, latte, burro, formaggio, coltivazione di cereali ed ortaggi), l’acqua delle pozze (ghiaccio). Era un’economia prevalentemente di auto-

sufficienza che scambiava con l’esterno il sovrappiù per com-perare le risorse di cui aveva bisogno come il sale, lo zucchero, ecc. Oggi di questa popolazione, da cui noi discendiamo, sono rimasti i tratti somatici in alcune persone, alcuni nomi (egano = maggiociondolo, crauti = spinacio selvatico, ecc), i toponimi (Ghert, Siostar, Talin, Tander, ecc.), la lingua cimbra parlata da alcune persone a Giazza, l’assetto del paesaggio e la caratteristi-ca architettura in pietra.

Dobbiamo ai Cimbri la “creazione” del pae-saggio della Lessinia

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L’ETA’ MODERNA

Nel corso del Medioevo gli Stati europei avevano cercato più volte una via marittima per le Indie, volevano infatti sottrarre agli arabi il controllo del commercio delle merci (spezie, seta, pietre preziose) che dall’Oriente arrivavano sui porti del Mediterraneo. Nel ‘400 con la costruzione di navi più sicure (caravelle e galeoni) e il perfezionamento degli strumenti di navigazione (bussola, astrolabio, carte nauti-che) questo progetto prese forma: venne circumnavigata dell’Africa e i portoghesi arrivarono in India, Colombo arrivò in America, e Magellano circumnavigò la terra per dimostrane la sua sfericità. Con le scoperte geografiche iniziò l’espansione degli stati europei in altri continenti. I conquistadores spagnoli e portoghesi nel giro di pochi anni sottomisero e decimarono le popolazioni indigene (Aztechi, Maya, Inca) dell’America centro meridionale. Dalle colonie americane arrivarono diversi prodotti, ma soprattutto enormi quantità d’oro e d’argento. I commerci si spostarono sulle coste dell’Oceano Atlantico e i porti mediterranei, come Genova e Venezia , iniziarono a perdere d’importanza. In Europa lo scontro tra i due più potenti Stati, la Francia e la Spagna, per il possesso dell’Italia e il predominio sul continente durò per molti anni e si concluse nel 1559 con la pace di Cateau-Cambrésis con la quale la Francia rinunciava ad ogni pretesa su Milano e Napoli e manteneva il controllo sul Mar-chesato di Saluzzo in Piemonte e la città di Calais (era inglese); la Spagna conservava il Ducato di Mila-no, il Regno di Napoli e lo Stato dei Presidi (porti toscani). Iniziava così la dominazione spagnola in Ita-lia; gli unici stati indipendenti di una certa importanza erano: il Ducato di Savoia, la Repubblica di Vene-zia e lo Stato della Chiesa. Oltre alle guerre per motivi politici ed economici, l’Europa fu insanguinata nel corso del ‘500 e del ‘600 dalle guerre di religione che videro scontrarsi cattolici e protestanti e si conclusero con la divisione tra stati cattolici e protestanti in Germania (1555), con l’edito di Nantes in Francia (1598) dove venne affer-mata la libertà di religione e la pace di Westfalia (1648) che decretò il fal-limento sia del tentativo di restaurare l’unità religiosa in Europa sia del progetto asburgico di ricreare un impero. Le guerre portarono anche carestie ed epidemie diffuse dai soldati, la più disastrosa fu la peste che attorno al 1630 sconvolse l’Italia settentrionale e poi si diffuse anche al sud. Gli stati europei (Olanda, Francia e Inghilterra) impegnati nella conqui-sta di nuovi territori in Asia, Africa e America settentrionale per sfruttare sistematicamente le nuove terre, avevano bisogno di manodopera a basso costo. La soluzione fu la tratta dei negri che dall’Africa venivano portati in America a lavorare nelle piantagioni. Nacque così il commercio triango-

lare molto redditizio per i paesi europei. Il Seicento fu un secolo importante per la scienza: l’eredità rinascimenta-le italiana che aveva cambiato il modo di vedere il mondo giunse al suo compimento con il metodo scientifico di Galileo che basava l’esattezza delle idee sull’osservazione diret-ta e sugli esperimenti. Tra il Seicento e il Settecento la situazione italiana si modificò: si rafforzò il Ducato di Savoia che, do-po aver allargato il proprio territorio, assunse il nome di Regno di Sardegna (1720), si indebolì la Repub-blica veneta, la Lombardia passò sotto il dominio degli Asburgo d’Austria e il Sud venne governato dai Borboni.

Inghilterra e Francia sono gli Stati nei quali nel Settecento si verificarono dei grandi cambiamenti: la rivoluzione indu-

striale e la monarchia costituzione in Inghilterra e l’Illumi-

nismo e la Rivoluzione in Francia che diffonderanno in Eu-ropa le idee di libertà, uguaglianza e fraternità. I profondi mutamenti verificatisi in Francia suscitarono grandi timori nelle potenze europee (Austria, Prussia, Regno di Sardegna, ecc.) che si unirono in un’alleanza politico-militare per com-battere la Francia. Cominciò così per la Francia e l’Europa un periodo di guerra che, iniziato durante la Rivoluzione, conti-nuò fino al 1815.

Mortalità per la peste: fino al 30% dal 30 al 50% oltre il 50%

Il territorio veronese è tra i più colpiti

Il lavoro in fabbrica

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L’ETA’MODERNA IN LESSINIA

Nel ‘500 si ebbe un progressivo aumento della popolazione (nel 1527 gli abitanti di Cona, Alfaedo e Ceredo erano circa 400, Bosco Chiesanuova aveva circa 100 abitanti nel 1529, Selva di Progno 250 abitanti nel 1592 e San Barto-lomeo 500, a Velo vivevano circa 500-600 persone) che portò ad un nuovo sfruttamento del territorio con il disboscamento di nuove aree e la creazione di contrade al di sopra dei 1200 metri. Nacquero nuove parrocchie come quella di Velo nel 1529, di Valdiporro nel 1577 e nuovi comuni come quello di Erbezzo nel 1621.

Nel 1616 diventano 13 i Comuni che compongono il Vicariatus Monteanorum Teuthonicorum detto per que-sto anche dei XIII Comuni distinguendolo così da quel-lo dei VII Comuni di Asiago. La peste del 1630 portò ad un calo notevole della po-polazione che riprese ad aumentare solo nella seconda metà del Seicento. Parecchie chiesette e cappelline e stele furono erette dai montanari agli incroci dei sentieri o all’ingresso delle con-trade sia come segno di devozione che come richiesta di protezione ai santi e alla Madonna contro la diffusione di questa terribile epidemia. La vita dei montanari in quel secolo non fu facile anche perchè sulle nostre montagne cominciarono a spadroneggiare alcuni signorotti senza scrupoli come l’Allegro di Cuzzano di Grezzana, i fratelli Ferrazzetti di Giazza, il brigante Tom-masino dei Comerlati di Velo, il Filippozzi ed altri. Di questi uomini “dabbene”, che avevano al loro servizio dei soldati armati fino ai denti come i bravi descritti dal Manzoni, restano testimonianze sia nelle cronache per i misfatti compiuti sia nel territorio per la presenza in alcune località (la Podestaria, le Scandole, il Cam-

pedel, ecc.) dei possi dei cortei, pozzi abbastanza profondi con numerose lame taglienti che sporgevano dai muri, dove venivano fatte cadere le persone “poco gradite”. Un avvenimento importante, ma poco conosciuto, si è ve-rificato nel 1701 quando l’esercito austriaco, condotto dal principe Eugenio di Savoia, con la cavalleria e l’artiglieria, risalì, sistemando strade e sentieri, da Ala alla Sega proseguì per la valle della Liana, scese a Fosse e poi nella Val d’Adi-ge per aggirare le truppe franco-spagnole che l’ aspettavano nella pianura. Per evitare contrasti lungo il confine settentrionale della Repubblica Veneta una delegazione veneziana ed austriaca si riunirono ad Ala e stabilirono la linea di confine su cui vennero posti nel 1754 numerosi cippi in pietra, tuttora vi-sibili.

La chiesa di Valdiporro con il campanile del 1592

In alto uno dei cippi di Confine tra la Re-pubblica di Venezia e l’Impero d’Austria, a lato un cippo di confine con la “A” di Au-stria datato 1906

Contrada Scandole, una località dove si trovava-no i possi dei cortei

Una delle stele erette come protezione alla madonna o ai santi

La zona di Fosse di Sant’Anna d’Alfaedo dove passò nel 1701 il principe Eugenio di Savoia per aggirare le truppe franco– spagnole

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Anche l’Italia fu coinvolta in queste guerre quando il Direttorio affidò al giovane Napoleone il compito di attaccare gli austriaci. Napoleone dopo aver conquistato Nizza e la Savoia, occupò la Lombardia, si spinse fino allo Stato Pontificio e si impadronì di Venezia. Con il Trattato di Campoformio

(1797) l’Austria perse la Lombardia, ma ebbe come compenso i territori del-la Repubblica di Venezia, il Regno di Sardegna dovette cedere Nizza e la Savoia e lo Stato Pontificio fu privato dell’Emilia Romagna. La situazione non rimase stabile per molto: nel 1800 Napoleone sconfisse gli Austriaci e 5 anni dopo si fece proclamare re d’Italia. L’impero napoleonico durò fino al 1815, quando Napoleone venne sconfitto a Waterloo. Il Congresso di Vienna convocato dagli Stati vincitori stabilì il nuovo as-setto dell’Europa: l’Italia era ancora divisa in tanti stati, molti dei quali sotto l’influenza diretta (Lombardo-Veneto) o indiretta dell’Impero austriaco, gli unici stati indipendenti erano: il Regno di Sardegna dei Savoia, lo Stato della Chiesa al Papa e il Regno delle Due Sicilie ai Borboni. La Restaurazione compiuta dai sovrani europei non piacque a chi condivideva gli ideali di li-bertà, di uguaglianza e di indipendenza nazionale, la conseguenza fu la nascita di società segrete che attraverso azioni rivoluzionarie chiedeva-no ai sovrani la Costituzione. I primi moti del 1820-21 e del 1830-31 in Italia non ebbero nessun effetto positivo, solo nel 1848 gli Stati ita-liani concessero la Costituzione. Il ‘48 è passato alla storia per essere stato l’anno delle rivoluzioni in tutta l’Europa e delle ribellioni dei veneziani e dei milanesi contro la dominazione austriaca. A più voci fu richiesto l’intervento piemontese e il 23 marzo Carlo Alberto dichiarò guerra all’Austria, dando inizio a quella che gli storici hanno chiamato la Prima Guerra d’Indipendenza, che si concluse con un nulla di fatto per i piemontesi. Il decennio 1849-59 è caratterizzato dall’abile politica di Cavour che riuscì a far conoscere a livello europeo la situazione dell’Italia e ad ot-tenere l’appoggio di Napoleone III, re di Francia contro l’Austria. Il 29 aprile 1859 iniziò la Seconda Guerra d’Indipendenza: le truppe franco-piemontesi ottennero rapide vittorie, ma improvvisamente Napoleone decise di porre fine alla guerra. Il Regno di Sardegna ottenne la Lom-bardia e con i plebisciti la Toscana e l’Emilia Romagna, ma dovette cedere Nizza e la Savoia. Per completare l’unificazione italiana nel 1860 Garibaldi organizzò la spedizio-ne dei Mille che in poco tempo, sbarcata in Sicilia, riuscì ad avere la meglio sull’esercito borbonico. Nel frattempo il re Vittorio Emanuele II° con l’esercito attraversò la penisola italiana, annettendosi le Marche e l’Umbria, per incontrarsi con Garibaldi. Con l’incontro a Teano Garibaldi consegnò al re di Sardegna i territori conquistati. Il 17 settembre 1861 a Torino venne proclamato il Regno d’Italia. Il primo governo italiano, la cosiddetta Destra storica, dovette risolvere vari problemi: pagare i debiti, dare all’Italia le stesse leggi, una stessa moneta, un medesimo sistema di misurazione, risolvere il proble-ma dell’analfabetismo, completare l’unificazione dell’Italia. La Destra risolse in modo molto pesante al-cuni di questi problemi imponendo tasse anche sui beni di prima necessità che andavano a colpire le fasce più povere della popolazione, reprimendo duramente il brigantaggio nell’Italia meridionale. Per ridurre l’analfabetismo la legge Casati prevedeva l’obbligo di un’istruzione elementare laica e pubblica per tutti Un altro passo avanti nell’unificazione dell’Italia si ebbe nel 1866 con la Terza Guerra d’Indipendenza, in cui il Veneto passò all’Italia, e con la presa di Roma nel 1870. Dopo molti secoli il Papa perdeva il suo potere temporale, lo Stato della Chiesa si riduceva alla Città del Vaticano. Nel 1871 Roma viene procla-mata capitale. Nel 1876, dopo15 anni di governo di Destra, andò al potere la Sinistra guidata prima da Depretis e poi da Crispi. Vennero fatte nuove riforme: la legge Coppino che riorganizzava l’istruzione elementare, la riforma elettorale che permetteva ai maschi maggiorenni che avevano frequentato la seconda elementare e pagavano 20 lire di tasse di poter andare a votare. Nel 1878 morì Vittorio Emanuele II e divenne re Umberto I. Depretis per avere un più largo appoggio arrivò ad accettare nel governo anche chi prima era iscritto alla Destra, questo modo di fare politica è pas-sato alla storia col nome di trasformismo e portò ad un aumento della corruzione e degli scandali. In

La situazione dell’Italia dopo il trattato di Campoformio:

territori annessi alla Francia territori ceduti all’Austria repubbliche napoleoniche

L’Europa dopo il Congresso di Vienna

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Nel 1797, con il trattato di Campoformio, Napoleone cedette la Repubblica di Venezia all’Austria e la Lessinia passò sotto il dominio austriaco fino al 1805 quando i Francesi ritornarono e diedero origine al Regno Italico. L’arrivo di Napoleone pose fine allo strapotere dei signorotti che avevano continuato a spadroneggiare anche durante la dominazione austriaca, portò all’abolizione dei privilegi comunali e reli-giosi ed allo scioglimento della Nobile Compagnia (1797). Nel periodo napoleonico il territorio verone-se fu suddiviso in dipartimenti, distretti, cantoni e comuni. La Lessinia venne inserita nel dipartimento dell’Adige ed in buona parte apparteneva al distretto n°1 di Verona suddiviso a sua volta in 4 cantoni e 8 comuni. Durante la dominazione francese (1805-1814) furono realizzati 2 censimenti, da quello del 1807 risulta che il Comune di Bosco con Frizzolana (comprendente anche Erbezzo, e Pre Magri) contava 2890 abitanti ed aveva un’economia basata sulla coltivazione di frumento, segala, patate e castagne e sull’alle-vamento di pecore (359), vacche (218) buoi (110), cavalli (38) adoperati soprattutto per il traino e il tra-sporto e qualche capra. Altro dato interessante riguarda la parlata cimbra, questa era ancora usata dalla popolazione dei comuni di Selva di Progno, Campofontana e Giazza, mentre a Velo, Roverè e San Borto-lo solo le persone anziane lo parlavano. Ai francesi si deve l’introduzione delle scuole pubbliche laiche tra le prime quelle di Roverè e Velo dopo il 1808. L’opera di rinnovamento iniziata dai francesi fu proseguita anche dagli austriaci (1815-1866) con la creazione di nuove scuole (le cui spese di gestione erano a carico dei comuni, con notevole aggravio per i bilanci comunali; nonostante questo il numero di bambini che le frequentavano rimase molto basso) e la costruzione delle strade che dai paesi principali conducevano alla pianura. Un’ altra innovazione impor-tante fu la creazione di un sistema sanitario gratuito che aveva lo scopo di tenere sotto controllo il dif-fondersi di eventuali epidemie. Nel corso dell’Ottocento le famiglie possidenti della Lessinia iniziarono ad acquistare quelle terre che nei secoli passati erano di proprietà di enti religiosi o di signori di Verona, diventando così proprietari

non solo dei terreni attorno alle contrade di abitazioni, ma anche dei grandi pascoli dell’Alta Lessinia. Un esempio può essere dato dalla famiglia Tinazzi della contrada Zemberlini. Durante la Prima Guerra d’Indipendenza, men-tre l’esercito austriaco era impegnato contro i pie-montesi, nella Lessinia centro-orientale penetrò più volte un gruppo di sovversivi, noto col nome di “ Crociati” che cercò di diffondere nella popolazione un atteggiamento antiaustriaco, i loro tentativi falli-rono per l’intervento dell’esercito imperiale. In se-guito a queste vicende l’Impero austriaco rafforzò le linee difensive in Lessinia con la costruzione di forti nella zona occidentale verso la Val d’Adige a Monte, nei pressi di Ceraino e alla Chiusa. Con la Terza Guerra d’Indipendenza (1866), il Veneto entrò a far parte del Regno d’Italia e la Les-sinia ritornò ad essere territorio di confine con l’Im-pero austriaco. Per questo negli ultimi anni del’Ot-tocento furono costruite numerose fortificazioni: il forte Masua, San Briccio e Tesoro nella parte occi-dentale, e il forte Santa Viola e Castelletto nella par-te centrale e a Bosco venne edificata la caserma de-gli alpini sede oggi della nostra scuola. Nella seconda metà del XIX secolo all’aumento della popolazione non corrispose un miglioramento delle condizioni economiche per cui molte persone dalla Lessinia andarono ad emigrare verso le Ame-riche e i paesi dell’Europa. Chi rimase continuò a svolgere i lavori tradizionali legati all’allevamento, al taglio del legname, alla produzione del ghiaccio, del carbone di legna, della calce. Per integrare i ma-gri guadagni si diffuse anche il contrabbando di alcool, tabacco, zucchero, sale lungo il confine set-

Costruita nel 1880, la caserma degli alpini del battaglione “Verona” in una foto di inizio Novecento. Oggi la caserma è parte dell’edificio che ospita la nostra scuola (archivio Lo-renzo Gaspari)

I ruderi della caserma della finanza che controllava, nella zona della Podestaria, il confine tra Italia e Impero austriaco

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politica estera il governo italiano decise di unirsi all’Austria e alla Germania nel patto della Triplice Alle-

anza (1882) e di conquistare delle colonie. L’avventura coloniale italiana si diresse verso il Corno d’Afri-ca con la conquista dell’Eritrea, della Somalia e della Libia nel 1912. La conquista delle colonie era giu-stificata con il bisogno di avere materie prime a basso costo e luoghi dove mandare gli emigranti. In realtà le colonie italiane erano territori molto poveri e l’emigrazione italiana, molto consistente tra la fine dell’-Ottocento e gli inizi del Novecento (vedi pag.101) si diresse verso l’America ed altri stati europei. Capo del governo italiano dal 1901 al 1914 fu Giovanni Giolitti, il suo mandato coincise con il decollo della rivoluzione industriale al nord. Il sud non ebbe alcun cambiamento: l’agricoltura era praticata con sistemi tradizionali ed era insufficiente a sfamare le persone per questo molti andarono ad emigrare. Si crearono così due Italie una industrializzata che chiedeva più democrazia e libertà al nord e una arretrata, tradizionalista e clientelare al sud. Nel 1914 scoppiò la Prima Guerra Mondiale, l’Italia all’inizio rimase estranea al conflitto, ma poi sperando in una guerra lampo e nei vantaggi che ne avrebbe ricavato entrò in guerra a fianco dell’Intesa nel 1915. Il conflitto durò fino al 1918 e il bilancio fu di 10 milioni di morti. Con la prima Guerra mon-diale si completò l’unità d’Italia che dall’Austria riceve il Trentino, l’Alto Adige, il Friuli Venezia Giulia e Trieste. Nel dopoguerra in Italia si diffuse un generale malcontento e forti tensioni sociali che portarono a nu-merosi scioperi ed agitazioni. Di questa situazione di incertezza approfittarono i fascisti che raccolsero consensi e con la Marcia sul Roma nel 1922 arrivarono al potere. Mussolini, capo del Partito fascista nominato primo ministro dal re Vittorio Emanale III, instaurò nel giro di pochi anni una vera e propria dittatura mettendo al bando tutti gli altri partiti. Dall’altra parte dell’oceano gli Stati Uniti dopo un periodo di prosperità negli anni Venti conobbero una grande recessione economica con il Crollo del Borsa di New York nel 1929. La crisi si diffuse anche in Europa e la Germania, che si era risollevata dalla crisi del dopoguerra grazie agli aiuti americani, ripiom-bò in un’altra crisi economica. La Repubblica di Weimar, nata nel 1918, fu scossa dalle proteste dei so-cialisti e dell’estrema destra, entrambi volevano la fine della Repubblica. Nelle elezioni che si succedette-ro tra del 1930 e il ‘32 i nazisti ottennero sempre più voti e nel gennaio del 1933 Hitler fu nominato can-celliere. Iniziò per la Germania la dittatura nazista che porterà alla persecuzione di dissidenti, di milioni di ebrei ed alla follia della Seconda Guerra Mondiale che sconvolgerà l’Europa per 6 anni. Anche l’Italia entrò in guerra nel 1940 a fianco della Germania fino al 1943 quando firmò un armistizio con gli Alleati. Fu l’inizio di una guerra civile che vide scontrarsi gli italiani che erano rimasti fedeli al fascismo e alla Repubblica di Salò e i partigiani che lottarono contro i nazisti che avevano occupato l’Ita-lia. Fu una guerra molto dura combattuta a colpi di attentati, agguati, rappresaglie che coinvolsero anche la popolazione civile. La vittoria degli Alleati pose fine alle dittature di destra che si erano affermate in Germania e Italia. Le due superpotenze che avevano fortemente contribuito alla vittoria degli alleati, USA e URSS, alla fine della guerra si divisero il mondo: da una parte i paesi sotto l’influenza americana dall’altra quelli a regime comunista sotto l’influenza dell’Unione Sovietica. La cosiddetta “guerra fredda” (1945-1989), cioè una guerra non combattuta direttamente tra le due superpotenze, ha significato per l’Europa un perio-do di pace, vari però furono in altri continenti le crisi ( Berlino, Cina, Cuba, ecc.) o le guerre (Corea, Vietnam, ecc.) legate a questa politica. In Italia, diventata una Repubblica con il voto del referendum del 1946, rinascono i partiti che avevano fatto la Resistenza e il governo per 50 anni rimane nelle mani della DC alleata con gli americani che attra-verso il piano Marshall fornivano aiuti agli italiani per la ricostruzione. La condizione economica degli italiani migliorò negli anni Sessanta, gli anni del Boom economico favorito dall’espansione dell’econo-mia mondiale, dal basso costo del lavoro e dalla grande disponibilità di manodopera. Gli italiani che pri-ma erano andati ad emigrare all’estero cominciano ad emigrare all’interno del proprio Stato dalle campa-gne verso le città e dal sud arretrato verso il nord industrializzato. L’affermarsi dei governi di centrosinistra e le migliorate condizioni economiche portarono, sul modello di quello che stava succedendo in altre parti del mondo, alle grandi lotte sociali del 1968 che videro la riforma del sistema scolastico con l’obbligatorietà fino ai 14 anni e l’approvazione dello Statuto dei lavo-ratori. L’anno successivo a Milano, a piazza Fontana, un attentato terroristico segnò l’inizio della strategia

della tensione che aveva lo scopo di mettere in crisi da democrazia in Italia. Le stragi e gli attentati crea-rono nel paese un periodo di incertezza e di paura. L’assassinio di Aldo Moro nel 1978, pose fine a questo periodo e dimostrò la volontà del popolo italia-

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tentrionale tra la Lessinia e la Val d’Adige. Era un’attività illegale e molto pericolosa per i contrabbandie-ri che potevano essere sorpresi sulla via del ritorno dai finanzieri che sorvegliavano il confine. Negli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi anni del Novecento in Lessinia e soprattutto a Bosco Chiesanuova si diffusero le prime for-me di turismo con la costruzione di belle ville (Pullè, Bertani, Sa-voia, Laschi -Tosatori, Castellarin, ecc) e di alberghi di lusso come il Grand Hotel du Parc e molti personaggi illustri soggiornarono in paese, come lo scrittore Antonio Fogazzaro, i poeti Aleardo Aleardi e Berto Barbarani, il musicista Italo Montemezzi e nobili veneti e lom-bardi. A fianco di questo turismo d’elite a Bosco nacque anche un iniziativa rivolta ai bambini più poveri e malati che potevano soggior-nare nell’edificio delle Colonie Alpine Veronesi durante i periodo estivo per rimettersi in salute.

Il 1915 segna l’entra-ta in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale e la Lessinia, come territorio di confine poteva diventare luogo di battaglia, fortunatamente non fu così perché la linea del fronte fu posta più a nord sul Monte Pasubio. A testimo-nianza di questo conflitto rimangono le opere di fortifica-

zione (trincee e gallerie) e le strade militari (Erbezzo, Po-destaria) costruite dai soldati. Con gli accordi di pace del 1918 e l’annessione del Tren-tino all’Italia, la Lessinia non segna più un confine di Stato, ma di regione tra il Veneto e il Trentino-Alto Adige. Il periodo tra le due guerre caratterizzato dalla dittatura

fascista vide sia lo sviluppo degli sport invernali che portavano in Lessinia appassionati sciatori e turisti contribuendo così all’economia del paese (nel 1928 nasce a Bosco l’Azienda Autonomo di Soggiorno) che il fenomeno migratorio, più contenuto rispetto ai decenni precedenti, diretto principalmente verso al-tre regioni italiane o stagionalmente verso paesi europei (vedi pag.106). La Seconda Guerra Mondiale portò alla par-tenza di molti giovani per il fronte, molti di questi non tornarono in special modo quelli che erano partiti per la campagna di Russia. Durante il periodo bellico e soprattutto dopo l’8 settem-bre del 1943 la popolazione della Lessinia au-mentò notevolmente per la presenza di sfollati, gente di città o dai paesi della pianura, che veni-vano in montagna per sottrarsi ai bombarda-menti o per nascondersi, in particolare gli ebrei ricercati dai tedeschi. L’ultimo periodo della guerra caratterizzato dall’occupazione tedesca

e dalla nascita di formazioni partigiane fu par-ticolarmente duro e doloroso per la parte orien-tale della Lessinia dove si verificarono scontri tra le due formazioni; i tedeschi per rappresaglia bruciaro-no case e contrade (Vestenanova, Bolca, Cracchi) e ci furono morti e feriti. Nel secondo dopoguerra il rapporto tra popolazione e risorse subì una nuova crisi che portò al defini-tivo abbandono della montagna da parte di molte persone o intere famiglie che andarono ad emigrare nel-le zone della pianura. Gli anni ’50-’60 sono quelli della grande emigrazione che portarono allo spopola-mento di numerose contrade e all’inurbamento della gente di montagna. Il fenomeno migratorio subì una notevole diminuzione dagli anni Settanta grazie anche alla viabilità che consentiva il pendolarismo a la-voratori e studenti ed alla nascita di alcune imprese a conduzione famigliare nel settore della lavorazione del legno, del ferro, della pietra che davano e danno da lavorare ai residenti e negli ultimi decenni anche ad immigrati che si sono stabiliti nei nostri paesi. Inoltre a partire dagli anni Settanta con lo sviluppo del turismo di massa e le migliorate condizioni economiche si è assistito al fenomeno delle “seconde case”, cioè case di proprietà di cittadini, che acquistano un appartamento o un casa in montagna e vengono ad

Villa Bertani

Galleria alla Sega di Ala

Campi da sci nella zona di San Giorgio nei primi decenni del Novecento

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no di rimanere legato alla democrazia. Il 1989 segna la fine del comunismo. Con la caduta del muro di Berlino, crollano i regimi dell’Europa dell’Est. Questo da l’avvio a una serie di rivendicazioni nazionaliste che a volte avverranno pacificamente (Cecoslovacchia) altre volte con conflitti duri e sanguinosi (Jugoslavia, Cececnia, ecc) ed alla profonda crisi economica che vedrà l’emigrazione di molte persone dai paesi dell’Est a quelli dell’ovest per “cercare fortuna”. Per tutta la seconda metà del Novecento l’idea di formare un’Europa unita, nata dopo la Seconda Guer-ra Mondiale, prende forma e porta alla nascita dell’Unione Europea nel 1993 che permette la libera cir-colazione di persone e merci all’interno degli stati che vi aderiscono.

La cartina mostra i paesi che nel corso degli anni, a partire dai primi 5 colorati in giallo; sono diventati parte della Comunità Europea

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abitarci solo nei mesi estivi. Questo nuovo sviluppo edilizio ha cambiato la fisionomia dei paesi della Lessinia allargando il perimetro dei paesi e creando nuovi centri residenziali con la diminuzione delle aree verdi. Oggi le condizioni di vita della gente che vive in Lessinia sono notevolmente migliorate e si è sviluppata una sensibilità verso la tutela del territorio, nel 1990 è stato istituito il Parco

Naturale Regionale della Lessinia, e per la valorizzazione del-le tradizioni e dei prodotti tipici della nostra montagna.

LA CRISI DELLA SOCIETA’ TRADIZIONALE

La società rurale della Lessinia nata con il popolamento dei Cimbri si è mantenuta inalterata fino alla metà dell’Ottocento e i fattori che le hanno permesso di mantenersi immutata per secoli sono stati princi-palmente tre: �� l’equilibrio tra popolazione e risorse - Nei secoli passati in Lessinia c’erano risorse come il bo-

sco, la pietra, la selce, il ghiaccio, i prati-pascoli che permettevano a chi vi abitava di avere risorse sufficienti per vivere. L’aumento di popolazione che c’era stato nel ‘500-’600 era stato assorbito all’interno della Lessinia con la nascita di nuove contrade nella zona al di sopra dei 1200 metri.

�� l’economia basata prevalentemente sull’autosufficienza - Uno stretto legame tra popolazione e risorse per cui gli abitanti riuscivano a produrre quello di cui avevano bisogno con la coltivazione di cereali, l’allevamento del bestiame, il taglio del bosco, l’estrazione della pietra, la produzione di carbone, ghiaccio e calce. In questo tipo di economia lo scambio in denaro era piuttosto scarso e gli scambi avvenivano spesso in natura, come per esempio il Podestà della Nobile Compagnia che rice-veva come affitto pani di burro e forme di formaggio.

�� la solidarietà tra i membri della comunità - Un proverbio diceva: ”Ad ogni fiol on canton de ca-sa” perché ogni capo famiglia era solito aggiungere una nuova casa al matrimonio del figlio, per cui i membri di una contrada o di contrade vicine erano parenti tra di loro e questo creava solidarietà tra le persone. La cooperazione era testimoniata anche da alcune costruzioni che erano adoperate in comune dagli abitanti delle contrade come il forno per la cottura del pane, il pozzo per la raccolta dell’acqua, i baiti dove si lavorava il latte. Inoltre le decisioni che riguardavano più contrade o paesi venivano prese nelle Assemblee, le Vicinie, alle quali partecipavano i capi famiglia e gli “uomini fati”. Esse erano sorte nel XIII secolo e normalmente si svolgevano nel piazzale antistante la chiesa. In esse si discuteva di tutti gli argomenti di interesse collettivo ed erano l’espressione della demo-crazia diretta e rappresentativa delle genti della Lessinia. In queste riunioni si discutevano sia di ar-gomenti riguardanti la vita locale che quelli riguardanti i rapporti con l’esterno e la politica da se-guire nei confronti delle autorità che avevano giurisdizione sulla Lessinia, come le richieste di esen-zione dai dazi, dai lavori pesanti, dal servizio militare per il fatto di vivere in un territorio povero di risorse.

La crisi della società tradizionale “scoppia” negli anni del secondo dopoguerra, ma era già stata preparata da vari fenomeni che avevano iniziato a manifestarsi nella metà dell’Ottocento quando si era rotto il rap-porto tra popolazione e risorse. Questo primo squilibrio non mette in crisi però l’organizzazione sociale perchè i prodotti della montagna godevano ancora di buone quotazioni, perché c’era la possibilità di sfrut-tare zone ancora incolte, perché si poteva praticare il contrabbando essendo la Lessinia terra di confine e perché, soprattutto parecchi uomini, cominciano ad emigrare stagionalmente o in modo permanente verso l’estero (vedi pag. 101). Tra le due guerre il tasso di popolazione si mantiene ancora elevato, rallenta il fenomeno migratorio sia per la politica fascista contraria all’emigrazione, che per la crisi del ‘29 che aveva creato problemi di oc-cupazione anche in altri paesi. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale il tasso di popolazione che si era mantenuto alto continuò a crescere fino al 1951, ma l’economia non era più in grado di dar da lavorare a tutti, dall’altro lato c’erano le zone industrializzate della pianura che richiedevano manodopera e così riprese l’emigrazione questa

L’espansione del centro di Bosco

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volta in forma massiccia. I mutamenti che si sono verificati negli ultimi 50 anni hanno avuto varie cause sia interne:

� Un tasso di popolazione elevato fino al 1951 � Il deprezzamento di alcuni prodotti tipici della montagna come: il carbone, il ghiaccio, la calce, il burro determinando un calo dell’occupazione � Il desiderio di una vita migliore, di un lavoro meno faticoso e più apprezzato socialmente � La difficoltà della società tradizionale di far fronte ai nuovi modelli culturali � La mancanza di una politica unitaria da parte dei Comuni della Lessinia per risolvere e arginare l’esodo verso le zone urbane

sia esterne: � Lo sviluppo industriale che richiedeva parecchia manodopera � Lo sviluppo di un economia di mercato che privilegiava le zone di pianura e le città dove c’erano già delle infrastrutture �� La diffusione di modelli culturali che promettevano una vita più facile e più libera. �� Una politica nazionale favorevole alle nuove concentrazioni industriali.

Tutti questi fattori uniti a motivazioni personali e al desiderio di cambiare hanno portato allo spopola-mento di molte contrade, soprattutto quelle poste più a nord, e al cambiamento degli stili di vita (la comu-nità locale non è più il punto di riferimento, lo diventano i modelli di vita della città e della TV), del rap-porto tra popolazione e territorio (il territorio non fornisce più le risorse necessarie per vivere, molte fami-glie percepiscono redditi da lavori industriali, artigianali, ecc.) ed alla marginalità del nostro territorio a favore della città e delle aree della pianura. I dati dei censimenti dal 1936 ( per il comune di Cerro non ci sono dati perché dal 1928 al 1947 è stato aggregato a Grezzana) al 2001 ci mostrano i mutamenti avvenuti nella popolazione dei Comuni in cui abi-tiamo. In tutti i Comuni si è verificato un calo di popolazione registrato nei censimenti a partire dal 1951, i paesi che hanno risentito maggiormente di questa diminuzione sono stati Roverè e soprattutto Velo. Per Bosco c’è stata una leggera ripresa a partire dal 1991. Il Comune che ha visto aumentare in modo sensibi-le la popolazione è stato Cerro, molto probabilmente sia per i costi meno cari degli appartamenti che per la sua vicinanza alla pianura. All’aumento della popolazione hanno contribuito anche gli extracomunitari che negli ultimi decenni si sono stabiliti nei nostri paesi Classe 3A, Bosco

1936 1951 1961 1971 1981 1991 2001

BOSCO 4088 3891 3334 3050 3018 3033 3203

CERRO - 1026 940 1066 1273 1495 2043

ROVERE’ 2761 2878 2430 2019 1920 1993 2098

VELO 1735 1713 1461 1035 860 824 796

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POPOLI

Per popolo si intende generalmente l’insieme delle persone che vivono in un determinato territorio, co-me ad esempio il popolo italiano. A questa semplice definizione dobbiamo aggiungere che all’interno di una stessa area spesso convivono gruppi diversi per lingua e/o religione e/o costumi. Noi siamo italiani ed allo stesso tempo siamo Cimbri, cioè discendiamo da una popolazione di ceppo germanico stabilitasi in alcune zone dell’Italia settentrionale, ed abbiamo quindi una cultura e delle tradizioni particolari. Da quando l’uomo ha iniziato a popolare la terra sono nate culture, tradizioni, lingue, religioni differen-ti in base alle esigenze climatiche, alla possibilità di reperire risorse, ai cambiamenti fisiologici (adattamento all’alta montagna, per esempio), ai bisogni spirituali, alla creatività ed alla fantasia. Di tutta questa grande varietà noi conosciamo spesso molto poco, perchè sui libri di Storia e di Geogra-fia vengono citati i grandi popoli che hanno fatto la storia (Greci, Romani, Persiani, Spagnoli, Francesi, Russi, ecc.) e solo raramente si trovano notizie di altre genti che hanno sviluppato modalità particolari. Per conoscere alcune di queste diversità o per dar voce a popoli che nel corso della storia sono stati di-menticati, quando non perseguitati, abbiamo pensato di raccontare un po’ delle loro storie e delle loro tra-dizioni.

ASIA

L’Asia è il continente dove è avvenuta, circa 10.000 anni fa, la rivoluzione neolitica nella Mezzaluna Fertile e dove si è verificato il passaggio dei primi uomini che dall’Africa si sono spostati a nord per diri-gersi verso le coste dell’Asia e verso l’Europa. Alle popolazioni asiatiche delle steppe dell’Asia centrale dobbiamo la domesticazione del cavallo che per secoli è stato il mezzo di trasporto più usato sia per il tra-sporto di persone che di merci. In Asia vive più della metà della popolazione mondiale e data la sua grande vastità è abitata da una grande varietà di popolazioni che presentano numerose differenze culturali e linguistiche. Le steppe asia-tiche sono la culla delle lingue indoeuropee da cui deriva anche la nostra. In Asia sono nate le tre grandi religioni monoteiste: ebraica, cristiana e mussulmana ed anche altre grandi religioni come l’induismo e il buddismo. L’Asia è quindi un continente estremamente vario, custode di un grande patrimonio culturale e spiritua-le, di usi e costumi. Tra tutti popoli abbiamo scelto di raccontare la storia dei Curdi e degli Armeni, che abitano il Vicino Oriente perché la loro è stata spesso una storia dimenticata fatta di molte sofferenze e ingiustizie, dei Kalash che abitano in aspre zone montuose e sembra discendano dai Greci, dei Tibetani che hanno sviluppato una cultura basata sulla ricerca della spiritualità e sulla tolleranza, dei Mosuo una popolazione del sud della Cina che presenta una organizzazione sociale basata sul matriarcato, una delle poche esistenti al mondo ed infine i Toraja animisti dell’isola di Celebes.

I Curdi

Curdi o Kurdi sono una popolazione iranica insediata nella regione montuosa dell’Asia occidentale, compresa tra l’attuale Turchia, Iran, Iraq, Siria e Repubblica dell’Armenia, chiamata Kurdistan. Le origini etniche dei Curdi sono incerte; secondo alcuni studiosi discen-dono da genti autoctone che abitavano la regione già nel 1000 a.C., sotto-poste a lungo al dominio degli Assiri e che poi si sono fuse con i Medi. I Curdi sono di religione islamica sunnita, parlano la lingua curda, una lingua indoeuropea della famiglia iranica suddivisa in diversi dialetti, di cui i principali sono il kurmangi e il sorani. I Curdi abitano principalmente in piccoli villaggi e sono dediti all’alle-vamento nomade e transumante e all’artigianato, in particolare alla produ-zione di tappeti. L’organizzazione tradizionale della società curda era basata sul gruppo

I Curdi vivono disseminati in una vasta area compresa tra la Tur-chia, Armenia, Siria, Iraq e Iran. Molti sono emigrati in varie parti del mondo

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tribale guidato da un capo, agha, con carica ereditaria che fungeva da guida negli spostamenti e da me-diatore nei conflitti interni. L’agha era la persona più importante per le popolazioni curde seminomadi, di solito egli era proprietario terriero e riceveva rendite affittuarie dai terreni di sua proprietà. Il suo prestigio era legato alla generosità che dimostrava nelle assemblee della comunità che normalmente si tenevano nella sua residenza. Presso i gruppi sedentari l’autorità del capo era meno forte perché erano più impor-tanti i legami di parentela tra le famiglie. Le donne curde godono di maggior libertà rispetto a quelle mussulmane, non portano il velo, e possono accedere all’istruzione e assumere incarichi anche politici all’interno della comunità. Esiste addirittura un genere poetico, il laùk, che viene composto e cantato esclusivamente dalle donne. Questa struttura tribale è entrata in crisi con la dissoluzione dell’Impero Ottomano e la nascita degli stati nazionali dopo la Prima Guerra Mondiale. La creazione delle frontiere ostacolava la migrazione stagiona-le, così la maggior parte dei Curdi dovette abbandonare la pastorizia nomade per praticare l’agricoltura o emigrare nelle città. L’organizzazione tribale sopravvive solo tra pochi gruppi rimasti isolati sui monti. Accanto alla religione islamica adottata nel VII secolo, i Curdi conservano ancora credenze preislami-che: culto degli antenati e credenze animiste (nei luoghi sacri innalzano dei tumuli di pietre, delle sorte di altari che onorano con offerte di pane cotto e dolci). Alcuni Curdi sono seguaci della setta degli yazidi i quali riconoscono l’esistenza di due entità soprannaturali, una divina bonaria ed una malvagia e pratica-no una serie di rituali associati al fuoco, all’acqua, alla Luna e al Sole. Può succedere quindi che in un villaggio ci siano diversi capi religiosi. La storia di questa popolazione è piuttosto travagliata. La tradizione curda fa risalire l’inizio della sto-ria nazionale al 612 a.C., anno della conquista di Ninive da parte dei Medi e del crollo dell’impero assiro. Quest’evento storico ha una corrispondenza nella mitologia curda, secondo la quale in quell’anno, il 21 marzo il fabbro Kawa guidò la rivolta del popolo curdo contro il mostruoso tiranno Dahok, abbattendolo: il 21 marzo diventa così il Capodanno curdo, il Nawroz. La conquista da parte degli Arabi delle terre abi-tate dai Curdi iniziò nel 651 e si completò nel giro di tre secoli. I Curdi diventarono islamici. In questo periodo si diffuse e si consolidò l’uso della denominazione Kurdistan, cioè “terra dei Curdi”, per la regio-ne montuosa tra l’Alta Mesopotamia e la Media. A causa dell’asperità della regione, gli arabi non riusci-rono a stabilire un completo controllo sui Curdi, che, dopo il 900, crearono diversi regni indipendenti. Dopo il 1.000 l’Impero islamico subì una serie di domini e invasioni, tra queste le più importanti furono quelle dei Turchi Selgiuchidi verso la metà dell’XI secolo e dei Mongoli. Nel XII secolo fu un curdo della dinastia degli Ayyubiti, Saladino, a riunificare l’impero islamico ed a governare su un vasto territorio che si estendeva dall’Egitto alla Mesopotamia. Nel XVI secolo lo scontro tra gli Ottomani e i Safavidi determinò la divisione del Kurdistan tra l’impe-ro ottomano e l’Iran, che tentarono a più riprese di stabilire un più diretto controllo sui principati curdi. Il sentimento di indipendenza portò nel Kurdistan ottomano, a partire dagli inizi del XIX secolo, a molte sollevazioni contro le autorità centrali e si formò una nuova classe di intellettuali e politici che favorì la diffusione di un forte sentimento nazionale. Al termine della Prima Guerra Mondiale, con il crollo del-l’Impero ottomano, le aspirazioni curde di avere uno stato indipendente parvero sul punto di realizzarsi, ma la creazione di un Kurdistan indipendente prevista dal trattato di Sèvres (1920) fu rigettata dal succes-sivo trattato di Losanna (1923): tra i 26 stati indipendenti nati dall’Impero ottomano, non c’era il Kurdi-stan. Da allora, numerosi sono state le persecuzioni e i massacri subiti dalla popolazione curda ad opera dei governi dei Paesi dove i Curdi vivono in particolare in Iran, Iraq e Turchia. A partire dagli anni Ottan-ta del Novecento, a causa della ripresa della lotta autonomista e dei violenti conflitti che ne sono scaturiti, centinaia di migliaia di Curdi sono stati costretti ad abbandonare i villaggi e a rifugiarsi nelle grandi città, dove vivono in condizioni di estrema precarietà, oppure ad alimentare la diaspora utilizzando le rotte del traffico dei clandestini. Anche l’Italia è stata interessata da questa migrazione, soprattutto dalla metà degli anni Novanta, quando i Curdi, diretti verso la Germania, i paesi scandinavi o il Nord America entravano nel nostro paese. Oggi è difficile stabilire con precisione la consistenza della popolazione curda a causa della sua disper-sione in più stati. Secondo alcune stime i Curdi sarebbero circa 32 milioni, così suddivisi: 13 milioni in Turchia, 9 in Iran, 6 in Iraq, 1,5 in Siria, 1,2 in Armenia e in altre repubbliche ex sovietiche, 150.000 in Libano, 1 milione nella diaspora (di cui 600.000 in Germania) Fabio Pezzo

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Gli Armeni

Gli Armeni sono un gruppo etnico originario del Caucaso e dell' Anato-lia orientale, dove vissero oltre 3500 anni. Oggi però, sono sparsi in tutto il mondo, divisi in piccoli gruppi. Gli Armeni sono uno dei sottogruppi più antichi del gruppo degli Indo-

europei. Il nome originario di questa regione abitata dagli Armeni è Haya-stan cioè terra di Hahik, che secondo la leggenda era un discendente di Noè e quindi progenitore di tutti gli Armeni. Gli Armeni abitano a sud–ovest del Caucaso, un’area geografica contesa da grandi imperi e posta sulla rotta delle grandi invasioni, per cui questo popolo nella sua storia ha dovuto molte volte lottare per assicurarsi la pro-pria sopravvivenza. Furono conquistati dai Persiani e contesi dai Romani e dai Parti, al termine di queste guerre l’Armenia divenne una provincia ro-mana. Nel 301 l’Armenia adottò il cristianesimo e istituì una propria chie-

sa che esiste ancora oggi come indipendernte sia dalla Chiesa Cattolica Romana che da quella Ortodossa con il nome di Chiesa Apostolica Armena. La creazione di una lingua armena, assieme alla religione hanno fatto sì che gli Armeni si differenziassero dai popoli vicini e sviluppassero un propria identità. A partire dal V secolo gli Armeni svilupparono anche una letteratura e una storio-

grafia nazionale, assieme a forme architettoniche originali. La storia di questo popolo è stata segnata, nell’ultimo periodo del dominio dei tur-chi Ottomani da vari genocidi (1894-96 e nel 1915-23) che portarono allo sterminio di moltissimi armeni e ancora oggi non si conoscono le cifre esatte di quest’ultimo genocidio (tra gli 800.000 e 1.500.000 morti). Questi massacri sono ricordati ancora oggi il 24 di aprile, nel giorno dei martiri per i Cristiani armeni. Molti Armeni per sfuggire ai massacri e alla persecuzioni migrarono in altri paesi; anche in Italia c’è una comunità armena abbastanza numerosa Con la fine della Prima Guerra Mondiale, la creazione di una Repubblica Demo-cratica di Armenia durò pochi anni (1917–1922) perché questo territorio entrò a far parte dell’URSS. Con il crollo dei regimi comunisti nell’est è stato possibile per gli Armeni avere una patria, nel 1991 l’Armenia infatti ha dichiarato la sua indipen-

denza. Ahmad El Katib I Kalash

Le valli della catena dell'Hindu-Kush appaiono così aspre e brulle da farle ritenere inospitali. Invece da tempi immemorabili tra queste gole rocciose e impervie, lavorate per millenni dall'erosione eolica e dalle ac-que di torrenti impetuosi, vive un'etnia le cui origini sono tuttora avvolte nel mistero. I Kalash sono individui dall'aspetto indoeuropeo caratterizzati da linea-menti fini, nasi sottili, occhi e capelli spesso chiari e dal carattere giovia-le. Una volta li chiamavano Kafiri, che in arabo vuol dire "infedele" e oc-cupano una regione dell'Afghanistan oggi ribattezzata Nuristan. Tra le varie teorie formulate da etnologi e antropologi sulle origini dei Kalash, la più suggestiva è quella che li vuole eredi dei disertori dell'armata di Ales-sandro il Macedone.

Essi vivono una vita di clan legata ai ritmi della natura. La loro esistenza si basa su un'economia stretta-mente agricola, integrata in parte dall'allevamento di ovini e animali domestici. Le regole politiche sono ispirate ad una forma antichissima di democrazia che in qualche modo ricorda le città-Stato della Grecia: il consiglio dei tredici magistrati che viene eletto dagli uomini adulti regge per un anno le sorti del villag-gio, amministra la giustizia, veglia sul rispetto del diritto consuetudinario; a sua volta, il consiglio elegge un suo rappresentante che ha compiti esecutivi e contemporaneamente rappresenta il villaggio nell'assem-

Gli Armeni vivono nella zona del Caucaso e dell’Anatolia orientale

Antonia Arslan, una scrittrice italiana di origine armena, nel suo libro ”La masse-ria delle allodole” racconta la tragedia del popolo armeno

I Kalash vivono in una zona a nord tra il Pakistan e l’Afghani-stan

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blea plenaria di tutte le tribù nella quale si decidono i problemi collettivi, dal pascolo alla difesa, alla ven-dita del bestiame. La comunità dei Kalash è un mondo fatto di sorrisi, di dignitosa povertà, di grande fierezza e di immen-sa ospitalità. Da questo mitico momento si entra in un mondo in cui per millenni nulla sembra essere cambiato. La lingua il Kalashwar è solo parlata e la totale assenza di testi scritti che possano rappresentare dei so-lidi punti di riferimento su cui le nuove generazioni possano contare fa sì che molti si convertano all'Islam per poter studiare, per non essere emarginati nella loro terra, nella loro valle. I Kalash mantengono una cultura unica e misteriosa che ha almeno 4 mila anni di storia. Per la festa della primavera, Joshi, le donne sfoggiano abiti e monili diversi dal quotidiano, mentre gli uomini, vesto-no come i musulmani, uniche differenze: una cintura di stoffa colorata tenuta ad armacollo e qualche piu-ma di uccello appuntata sul tondo berretto in lana. L'abito delle donne kalash è di cotone nero ricamato a vari colori con disegni geometrici a greche; al collo portano centinaia di collane fatte con perline di vetro o di plastica coloratissime. Sul capo invece, troneggia una stola che scende sulle spalle composta da conchiglie, bottoni di madreperla e piastrine metalliche. Più la donna è ricca e più prezioso è il suo kopas (così si chiamano questi copricapo). Sono un popolo socievole e quando si incontrano si abbracciano, si scambiano calorose strette di mano e sorridono spesso, de-nunciando un carattere allegro e mite. I capi villaggio esortano il loro popolo a rispettare le tradizioni e a non pie-garsi alle tentazioni del mondo, il vero grande pericolo per l’integrità della cul-tura kalash, schiacciata tra la minaccia dei Talebani e gli interessi economici di Karachi. Da sempre il governo pakistano è stato ostile ai Kalash, oggi invece ne utiliz-za il territorio in tre modi: come attrattiva turistica (nei poster della compagnia di linea ci sono le donne kalash in costume tipico), come cuscinetto per i profu-ghi che arrivano a frotte dall’Afghanistan, martoriato da 20 anni di guerra civi-le, e infine come luogo dove i grandi proprietari di hotel stanno costruendo Alberghi per sviluppare il turismo Il primo italiano a parlare di questo popolo è stato Fosco Maraini, nel libro “Paropàmiso”, che racconta il viaggio della spedizione del CAI di Roma nel 1959 nella zona dell'Hindu-Kush. Come scrive l’autore quel viaggio “non fu soltanto uno spostamento di corpi nello spazio, ma per tutti, vivissima esperienza interiore.” vissuta a contato con popolazioni diverse. Esperienze che aiutano a superare quel “muro delle idee” che spesso divide così fortemente le civiltà umane. Sara Daldosso I Tibetani

I Tibetani rappresentano un’unione di popoli diversi che si sono aggregati e mescolati durante la sto-ria. La più antica tribù, che ancora oggi si vanta di essere la più “pura” è il clan mongolo dei Khampa, che molto probabilmente iniziò a popolare la zona dell’Himalaya a partire dal VII secolo a.C. per sottrarsi a qualche bellicosa popolazione mongola. In origine queste popolazioni praticavano fedi differenti dallo scimane-

simo mongolo alla fede cristiana nestoriana. Nell VIII secolo si diffuse la religione buddista. L’adesione a questa nuova religione portò alla crea-zione di un alfabeto tibetano, tratto dal sanscrito, per tradurre i testi sacri del buddismo indiano. La nuova religione ebbe anche l’effetto di trasfor-mare delle genti bellicose in popolazioni pacifiche e di dare il senso di ap-partenere ad un’unica nazione. I Tibetani sono di carattere cordiale ed aperto, eccellono nel canto e nella danza: le canzoni tibetane sono molto melodiose, per lo più accompagnate da vari tipi di danze. Gli abiti sono di seta e di raso, con camicie con le maniche corte; gli uomini portano toghe lunghe ed ampie, anche le donne portano le toghe trattenute in vita da una

cintura, quelle sposate indossano grembiuli con motivi simili all’arcobaleno. Le donne portano i capelli annodati in trecce ed amano portare dei gioielli spesso di turchese. Gli accessori variano a seconda delle

Il kopas, il ricco e colorato copricapo delle donne Kalash

I Tibet chiamato anche “il tetto del mondo” per essere l’altopia-no più elevato della terra si trova in Cina al confine con l’India e il Nepal

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zone. L’alimento fondamentale è la tsampa (farina d’orzo tostata), preferiscono bere il tè con il burro di yak, con il latte e vino d’orzo e consumano carne bovina e ovina. I Tibetani sono conosciuti anche per le tangka, le pitture a colori su rotoli di tessuto di seta o carta e per i mandala, i modelli spirituali del cosmo, realizzati con sabbia sottile colorata in modo da formare dei complicati disegni che possono richiedere anche mesi e poi vengono cancellati per ricordare l’imperma-nenza delle cose La cultura tibetana era fondamentalmente matriarcale e praticavano la diandria, cioè una donna sposava due uomini, spesso fratelli o pa-renti per tenere unito il patrimonio di famiglia. La cultura di questi po-poli si è manifestata con la costruzione di una filosofia di vita basata sulla tolleranza, sulla non violenza e l’accettazione dell’altro. I Tibetani hanno dimostrato la fede nella loro tradizione di non vio-lenza e di compassione quando il Tibet è diventato una Regione della Repubblica Popolare Cinese. Per sottrarsi alla distruzione della loro cultura (sono stati distrutti monasteri e simboli della cultura tibetana), all’introduzione di “coloni” cinesi che hanno trasformato la maggioran-za tibetana in minoranza ed alle persecuzioni (molti monaci sono stati incarcerati ed anche uccisi) del governo cinese molti di loro sono andati in esilio in India o in Nepal seguendo l’esempio del loro capo politico-religioso, il Dalai Lama. Molte persone, tra cui personaggi noti come Richard Gere, Yauch Bjork, Red Hot, Chili Peppers e paesi nel corso di questi 48 anni di colonizzazione cinese hanno dimostrato solidarietà e sostegno al popolo

tibetano perché questa antichissima cultura non scompaia. Dal 13 marzo di quest’anno in Tibet sta divampando una forte protesta contro la politica del governo centrale cinese; numerosi monaci sono stati arrestati. I manifestanti chiedono la liberazione del Tibet e il boicottaggio della XXIX Olimpiade che si svolgerà proprio in Cina. Mentre il Governo tibetano in esilio parla di centinaia di vittime, il Governo cinese, dichiara che i morti durante gli scontri sarebbero stati complessivamente pochi. Edoardo Merzi I Mosuo

In Cina esiste una popolazione matriarcale, dove l’asse ereditario passa per via femminile, i Mosuo, discendenti dei Naxi. Abitano nella regione di Yunnan ed hanno come capo-famiglia le donne. Questa popolazione è seguace del buddhismo tibetano per cui credono che ogni essere vivente (l’acqua,il vento, il fuoco, la natura) sia sacro e quindi lo rispettano e lo venerano. Proprio per questo hanno saputo rinunciare alla deforestazione e la loro decisione è stata importante per la salvaguardia del loro territo-rio. Chi non rispetta la natura e compie gravi atti di bracconaggio può es-sere condannato anche a pene molto severe. Questa popolazione vive in un territorio montuoso che gode la fama di “regno delle fate” per la presenza di monti dai nomi mitici come quello del Salto della Tigre e i monti nevosi del Drago di Giada. Per la presenza sia del clima tropicale sia alpino che dei laghi, come il Lagu, il paesaggio è caratte-

rizzato da foreste di querce, pini nella parte più elevata e da palme in quella più bassa. Coltivano: agavi, ananas, banani, fichi d’india e special-mente riso. Il lavoro nei campi viene diviso equamente tra i membri della famiglia. Allevano cavalli per il turismo e qualche lama. Settore molto fio-rente e produttivo è la pesca. Infatti il lago Lugu è ricchissimo di gambe-retti e pesce di vario genere. La fauna di questi luoghi è costituita da ana-tre selvatiche, cigni e gru dal collo nero. I villaggi sono costituiti da case di legno poste intorno ad un cortile. L’economia è basata su un’agricoltura di sussistenza. Ci sono anche molte leggende sui paesaggi che circondano i Mosuo, co-me per il lago Lugu (che vuol dire “lago madre”). In passato il lago era la foresta dove Gemu, la figlia

I Mosuo vivono in una zona del-la Cina al confine con la Birma-nia

Donne Mosuo al lavoro nei

Donne tibetane (foto Patrizia Scar-doni)

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del Dio del cielo incontrava ogni sera il suo fidanzato Houlong questo però non piaceva a suo padre che un giorno fece imbizzarrire il cavallo del giovane. Houlong cadde a terra e diventò una montagna. Gemu, profondamente innamorata, pianse 7 giorni e 7 notti, finchè le sue lacrime riempirono le impronte lasciate dal cavallo che diventarono il lago Lugu; questo spiegherebbe la forma di zoccolo di cavallo del lago. Poi la collana di perle di Gemu cadde nel lago, trasformandosi in sei isolette. Infine Genu stessa si trasformò in monte, proprio di fronte al suo amato, il monte di Houlong. I Musuo sono uno dei pochi popoli matriarcali della terra dove i legami famigliari sono stabiliti in linea femminile e gli uomini rimangono presso la famiglia d’origine. Possiamo dire che tutto comincia all’età di tredici con la cerimonia della “maturità” nella prima notte di luna piene dell’anno. Con un piede in un sacco di riso e uno su una carne di maiale, cambiandosi gli abiti i giovani diventano adulti. Alle ragazze viene data una stanza dove poter iniziare a praticare lo zouhun, cioè incontrarsi con gli uomini. Presso i Mosuo infatti non esiste matrimonio, se due persone si piacciono vanno a vivere insieme, non esiste nes-suna cerimonia e nessun documento che testimoni un’unione d’amore. Il legame tra una donna e un uomo può; durare una notte, un anno o tutta la vita. I figli appartengono alla famiglia della donna. La responsa-

bilità dei figli è della madre e dello zio materno. Il padre è responsabile dei propri fratelli, sorelle, nipoti, ma non dei propri figli. Le donne e uomini possono avere più compagni e lasciarli quando vogliono. Gli uomini possono andare dalle donne solo al tramonto: l’uomo lascia le sue scarpe fuori dalla porta cosicché nessuno si avvicini. Gli uomini devono ritornare nella casa dei genitori all’alba. All’interno della famiglia c’è una distribuzione egualitaria tra diritti e doveri e non esistono diffe-renze tra maschi e femmine. Gli anziani sono rispettati, ascoltati e sotto uno stesso tetto vivono più gene-razioni. Anche la società musuo, che era riuscita a mantenere intatti i suoi costumi e le sue tradizioni grazie an-che all’inacessibilità del proprio territorio, oggi un po’ alla volta sta cambiando: qualche coppia si sposa e i giovani vanno a scuola per imparare il mandarino, la lingua ufficiale della Cina. Paola Beccherle

I Toraja

I Toraja abitano in Indonesia nell’Isola di Celebes o Sulawesi ed arriva-rono in quest’isola dal sud della Cina o dalla Birmania perché cacciati da popolazioni più aggressive. A ricordo di questa loro migrazione via mare sono i tetti della case che assomigliano a delle navi. Secondo una loro leggenda invece ricordano le “navi” da cui arrivarono dal cielo e precisa-mene dalle Pleiadi. Di sicuro c’è che hanno sviluppato un’architettura particolare che utilizza solo le grosse canne di bambù e il legno che cre-scono sul loro territorio montuoso. Il legno è intarsiato e colorato e davan-ti alla casa, messo in verticale c’è un palo, che arriva fino al tetto. Su que-sto palo vengono messe le corna dei bufali che vengono sacrificati duran-te le cerimonie funebri: più corna ci sono più importante era la persona che abitava quella casa.

I Toraja sono animisti e una persona per raggiungere il Puia, il loro paradiso, deve rispettare tutta una serie di regole fin che è in vita per potersi guadagnare il paradiso. Questo non è però sufficiente infatti i suoi parenti devono organizzare una cerimonia funebre degna del suo rango, per questo a volte i funerali vengono fatti a mesi di distanza dalla morte. In queste cerimonie vengono sacrificati buoi e maiali in proporzione dell’importanza morto. Il legame tra vivi e morti continua sempre perché i parenti devono prendersi cura dei tau tau, le sculture in legno che rappre-sentano i loro cari, posti in alto in nicchie scavate nelle pareti rocciose attorno al villaggio. La loro economia è basata sulla coltivazione del riso, per questo hanno un pae-saggio ben curato con molti terrazzamenti, intervallati da zone boscose con alberi e canneti di bambù. Il loro mondo è ancora vivo soprattutto nei villaggi più sperduti dove non c’è ancora la luce e i ritmi sono quelli dettati da sorgere e dal tramontare del sole, ma si notano segni di cambiamento per la presen-za di moto, radioline a transistor. Sandro Alberti

I Toraja vivono in un’isola del-l’Indonesia

Casa Toraja

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AFRICA

In Africa ci sono le radici della nostra evoluzione e della nostra storia. Il continente africano è infatti il continente dove sono state trovate le tracce fossili più antiche dell’evoluzione umana e numerosi manu-fatti costruiti dai vari tipi di Homo che ci hanno preceduto. L’Africa è abitata da molte popolazioni e tra queste abbiamo scelto di raccontare la storia di alcune perchè ci permettono di conoscere modalità di vita che sono molto lontane dalla nostra. Popoli nomadi come i Tuareg, che non conoscono i confini degli stati e si muovono in quello spazio sconfinato ed affascinate che è il deserto del Sahara, popoli testimoni di antiche migrazioni come i Pigmei provenienti sembra dall’area mediorentale e che nel corso di successive migrazioni si sarebbero diretti un gruppo verso l’Asia dando origine ai Negritos e un’altro verso l’Africa centrale, popoli come i Boscimani o San e gli Hazda che vivono di caccia e raccolta come gli uomini preistorici, testimonianze viventi di modalità di vita arcaiche. I Tuareg

I Tuareg vivono nella zona del Maghreb libico , algerino e nella fascia shaeliana della Mauritania, del Niger, del Mali e del Burkina Faso. I Tuareg sono discendenti delle popolazioni berbere che in epoca prei-storica si erano stanziate nell’area mediterranea. Parlano una lingua, il tamacheq e conservano una scrittura, tifinagh, simile alle antiche grafie diffuse nel Nordafrica. Sono i discendenti dei Garamanti una popolazione citata dallo storico Erodoto. Essi chiamano se stessi Mosogh (liberi) e il nome Tuareg con cui sono conosciuti gli è stato dato dagli arabi e signifi-ca “senza dio”, sono chiamati anche “uomini blu” per via del turbante di clore indaco, taguelmust, indossato dagli uomini che lascia scoperti solo gli occhi. Le donne tuareg vanno a viso scoperto, pur essendo di fede mussulmana e godono di una maggiore libertà ed importanza all’interno

della comunità, infatti è alla donne che viene affidata la custodia delle tradizioni orali. La società tuareg è strutturata in tre caste: i nobili che rappresentano l’antica classe guerriera ed allevano dromedari, gli uomini liberi, i servi e gli ex schiavi di origine nera che si occupano delle attività artigianali e agricole per le classi superiori I Tuareg sono un popolo fiero che ha conservato una forte unità sociale e culturale che gli ha permesso di opporsi per molto tempo alla conquista coloniale, soccombendo soltanto dopo una tenace resistenza. La loro economia è basata sulla pastori-

zia nomade e sul commercio di prodotti (sale, datteri, ecc.) che trasportano da una parte all’altra del deserto. Loro alleati in questo trasporto sono i dromedari che pos-sono sopportare la siccità del Sahara. Le case dei Tuareg sono delle tende di pelle di capra conciata e tinta con argilla scura e sostenute da pali di bambù o strutture a cu-pola formate da rami coperti da stuoie. Con la nascita degli stati nazionali e dei confini i Tuareg sono stati costretti a sce-gliersi uno stato dove vivere. Cacciati da vari paesi hanno cercato di creare un pro-prio stato senza riuscirci. Badre Bassou

I Tuareg sono nomadi che si spostano nella zona del Sahara

Tuareg a Timbuctu, una delle mi-tiche città dell’ Africa sub saharia-na dove arrivano le carovane che portano il sale dal centro del de-serto. A lato il tè: un rito di ospitalità e condivisione

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I Pigmei

Le popolazioni Pigmee abitano le foreste tropicali dell’Africa centrale e della penisola malese, le Filippine, la Nuova Guinea e le isole Andatane nell’oceano Indiano. Ci sono documenti egizi che testimoniano la loro pre-senza in queste zone già 4500 anni fa. Alcuni gruppi mantengono il loro stile di vita tradizionale, basato sulla caccia di cinghiali rossi, scimmie, roditori, istrici, antilopi, gazzelle. La caccia è un compito degli uomini che cacciano da soli o in gruppi, spin-gendosi anche lontano dall’accampamento, ma senza entrare nei territori di caccia di altri gruppi. Alla fine di una battuta di caccia di gruppo, la sel-vaggina viene divisa tra tutti coloro che vi hanno partecipato. Presso molti gruppi di Pigmei sono le donne ad occuparsi della pesca di tartarughe e granchi, che spesso vengono catturati afferrandoli con le ma-ni. Le donne cercano e raccolgono anche miele, frutta, insetti, soprattutto

le termiti che vengono utilizzate per preparare molti piatti. Per i Pigmei la foresta è la madre che li protegge e li nutre. Essa è concepita come un grembo materno, fonte di protezione e di nutrimento e da essa ricavano tutto il necessario per la sopravvivenza: dal mate-riale per costruire le capanne e agli strumenti di caccia fino al cibo. I Pigmei vivono perfettamente inte-grati nell’ambiente ed anche l’organizzazione sociale lo conferma: vivono in gruppi di 60-80 individui, cioè dieci-quindici famiglie con le relative capanne perché un numero superiore di persone li costringe-rebbe a sfruttare in modo eccessivo la foresta. Le famiglie sono monogamiche a struttura patrilineare e devono sposarsi con membri di altri gruppi con cui non abbiano legami di parentela. Vivono di caccia, che è appannaggio degli uomini e la raccolta che è fatta dalle donne. I gruppi sono retti dal cacciatore più esperto, ma non c’è un capo e le decisioni vengono prese in modo comunitario da tutti i membri che si riuniscono attorno al fuoco. I pigmei credono in un Essere superiore, Tore, che abita la Luna che spesso viene chiamato “il cacciatore di lassù”. E’ anche la forza vitale che anima il mondo e che nella lin-gua locale viene chiamato Megbe: una forza impersonale e incorporea che si manifesta solo attraverso i suoi effetti e che si può concentrare nei cacciatori più abili. Il forte legame con l’ambiente si manifesta anche nei riti funebri, i Pigmei infatti lasciano i cadaveri nella foresta affinché la foresta se ne nutra come se tra loro e la natura ci fosse un rapporto di continuità. Si ritiene che i Pigmei africani, siano il gruppo più nume-roso. Essi abitavano nella zona del Congo e dell’Uganda, prima dell’ insediamento delle altre popolazioni. Il gruppi etnici più conosciuti sono, gli Mbuti o Barbuti, sono le po-polazioni più basse del mondo, con una statura media di cir-ca 130 cm. e ritengono i loro vicini degli omoni così grandi e goffi e grossi come degli elefanti. Musica e danza sono sempre presenti nella vita dei Pigmei che, peraltro, dedicano poco tempo alle atti-vità rituali ad eccezione delle cerimonie per la caccia e per le commemorazioni degli antenati. I Pigmei parlano le lingue bantu adottate dai gruppi confinanti e considerano come propria lingua quella che si esprime in un canto jodel, ossia un canto senza parole, fatto di suoni isolati e di grida, che si intrec-cia con la melodia principale, intonata dal cantore. Oggi una parte delle prede di caccia diventa mezzo di scambio con i popoli agricoltori. I Pigmei sono tra i popoli che rischiano l’estinzione a causa della riduzione delle foreste equatoriali e dei nuovi stili di vita che cominciano ad arrivare anche da loro. Elisa Melotti

I Pigmei africani vivono in Con-go e in Uganda

Capanne di Pigmei nel villaggio del parco del Semliki in Uganda

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Gli Hazda e i Boscimani

Circa 30.000 anni fa i Boscimani vivevano sparsi in tutta l’Africa e oc-cupavano le terre migliori e più ricche di animali, con la diffusione dell’allevamento i pastori cominciarono ad espandersi nel continente e i Boscimani rimasero a vivere nelle zone più inospitali come il bush, gli Hazda e il deserto del Kalahari, i Boscimani o San, nell’Africa australe. Gli Hazda vivono vicino al lago Eyasi in Tanzania in un ambiente semidesertico, sono cacciatori raccoglitori. Gli uomini si costruiscono gli archi e le frecce con cui vanno a caccia. Le donne raccolgono le bac-che e il miele che trovano negli alveoli che le api fanno dentro i grandi baobab. Non hanno case e vivono attorno al fuoco che accendono ancora sfregando un bastoncino di legno. Non hanno riti di sepoltura e i morti vengono lasciati nel bush. Vicino a loro vivono popoli di agricoltori con

cui hanno sporadici contatti. Sempre a sud del continente africano si estende il deserto del

Kalahari dove vivono i Boscimani. Vivere nel deserto non è fac-ile perche di giorno la temperature può arrivare ai 50 gradi e di notte scendere sotto lo zero, c’è poca acqua, la vegetazione è rada e ci sono pochi animali. I Boscimani hanno dimostrato la grande efficacia delle loro tecniche di sopravvivenza. Le donne con i pic-coli cercano nella terra: tuberi, radici, arance e meloni selvatici. Conoscendo molto bene il loro territorio sanno dove andarli a cer-care e la loro raccolta fornisce circa il 70% delle risorse necessarie al gruppo. Il restante è procurato dagli uomini che con archi e frecce avvelenate vanno alla ricerca delle prede. Preferiscono cacciare prede piccole perchè in quelle di grossa taglia il veleno impiega molto tempo a fare ef-fetto e bisogna inseguire l’ani-male che fugge. I Boscimani non

accumulano risorse perchè con il caldo non durerebbero. I bosci-mani hanno una vita che ruota tutta intorno alla ricerca del cibo, quindi per procurarselo sono costretti a spostarsi diventando così una popolazione nomade. Fisicamente sono piccoli di statura e vivono organizzati in gruppi di circa 30 individui. Par-lano una lingua affine a quella di un’altra popolazione dell’Africa australe, gli Ottentotti, con dei sonori schiocchi. Oggi i Boscimani che vivono secondo l’antico sistema sono pochi, molti si sono integrati in modo diverso col mondo che li circonda, alcuni ad esempio lavorano come servi nelle fattorie de-gli allevatori neri.

Leonardo Melotti

Gli Hazda vivono in Tanzania, i Boscimani nel deserto del Kala-hari

Hazda - Gli uomini vanno a caccia mentre le donne e i bambini stanno attorno al fuoco

Botwana – Le pitture rupestri dei Boscimani alle Tsodillo Hills

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AMERICA

L’America è stata popolata da gruppi di Homo sapiens moderno che nell’arco di diverse migrazioni so-no arrivati dallo stretto di Bering. In ordine di arrivo gli studiosi hanno distinto il primo gruppo come ap-partenente al gruppo degli Amerindi che hanno popolato le Ande, l’Amazzonia e la Patagonia, Terra del Fuoco, il secondo gruppo quello appartenente alla famiglia linguistica dei Na-Denè (popolazioni della costa nord-occidentale pacifica, delle pianure del Canada e quelli degli altipiani desertici dell’Arizona). Gli immigrati più recenti sono gli Eschimesi–Aleuti che attorno a 10.000 anni fa si stabilirono nelle coste artiche. L’origine asiatica di queste popolazioni è in parte confermata, oltre che dalla mappe genetiche, anche dalla sopravvivenza, presso le popolazioni indigene in tutto il continente americano, di una religio-ne sciamanica di derivazione paleosiberiana portata dai primi cacciatori. Tra le popolazioni dell’America abbiamo scelto, partendo da nord, di parlare degli eschimesi, dei nativi americani oggi una minoranza nei paesi dove vivono, dei Lacandoni discendenti delle antiche popolazioni Maya, degli Yanomami gli abitanti della foresta amazzonica e degli Uros che vivono sulle isole galleg-gianti del lago Titicaca in Perù. Nella punta meridionale dell’America non ci sono più popolazioni indige-ne, come ad esempio i Teulce, perché si sono estinte. Gli Eschimesi

Gli Eschimesi abitano le terre artiche che si estendono dallo stretto di Bering fino alla costa del Labra-

dor ed alla Groenalandia. Loro amano chiamarsi Inuit, “gli uomini” e non adoperare il termine eschimesi che significa “mangiatori di carne cruda”. Benché abitino un territorio molto vasto hanno in comune la lingua che appartiene al ceppo eschimese– aleutino ed anche dal punto di vista della cultura sono simili. Sono conosciuti per le loro case fatte di blocchi di neve che sono disposti in modo da formare una capanna bianca (igloo) che può essere costruita in poco tempo e quindi molto comoda per un popolo nomade che si sposta per poter cacciare. La loro economia è basata sulla caccia agli orsi, ai caribù e sulla pesca a foche, trichechi e balene. Usano le slitte trainate da cani, gli husky, per andare a caccia e delle canoe rivestite di pelli per andare a pesca. Per sopravvivere in un ambiente così freddo indossano abiti di pelle e spessi occhiali di le-gno con delle sottili fessure per proteggersi dal-l’intensa radiazione solare. In tutti i gruppi di eschimesi si sono conserva-te le credenze relative agli antichi culti sciama-

nici. Gli Inuit credono nella “Madre Mare” e nella “Luna Uomo” e che ogni essere vivente abbia un’anima. Hanno anche numerosi tabù religiosi relativi alla caccia che, se violati causano danni, malattie e disgrazie. Ancora oggi praticano cerimonie religiose propiziatorie per la caccia e danze accompagnate dal suono dei tamburi. Indossano amuleti per richiedere la protezione degli spiriti in cambio si astengono dal cacciare alcuni animali. Pro-babilmente questi divieti avevano anche un valore pratico: impedire la caccia indiscriminata. Sandro Alberti Gli Indiani d’America

Per Indiani d’America si intendono le popolazioni indigene che abitano l’America settentrionale ed oggi occupano aree ristrette all’interno del Canada e degli Stati Uni-ti. L’appellativo “indiani” è stato dato da Cristoforo Colombo che credeva di essere approdato nelle Indie. Sono conosciuti anche col nome di Pellerossa per l’abitudine di dipingersi il volto in occasione di cerimonie o di guerre o con quello di nativi a-mericani, essendo la popolazione originaria dell’America settentrionale. Le popolazioni dei nativi americani sono classificate in nove aree culturali a secon-da delle aree di insediamento e delle attività che praticavano:

Gli eschimesi popola-no le coste settentrio-nali del Canada e le isole fino alla Groen-landia occidentale

Un eschimese a caccia di foche

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�� le popolazioni artiche con una cultura simile a quella degli Eschimesi ed occupano la zona tra lo stretto di Bering e il Québec settentrionale. Qui cacciavano animali marini mentre nella zona subar-tica si cacciava l’alce.

�� I gruppi costieri del nord-ovest vivevano di pesca (salmone, merluzzi,otarie), e commerciavano con le popolazioni dell’entroterra

�� le tribù del nord-est che praticavano un’economia mista di agricoltura, caccia-raccolta e pesca che scambiavano con altre tribù.

In genere i villaggi di queste popolazioni erano costituiti da case rivestite di corteccia e da una grande ca-sa (big house), il centro religioso e assembleare.

�� Nelle praterie e nelle pianure con l’arrivo del cavallo le popolazioni cominciarono a praticare solo la caccia (nomade) al bisonte che offriva tutto il necessario per vivere dal cibo alle pelli per le ten-de, ai vestiti. I loro villaggi erano caratterizzati da tende a forma di cono, i tepee, facilmente traspor-tabili.

�� Nel sud-ovest nella regione caratterizzata dai grandi canyon del New Mexico, Arizona e Messico settentrionale si coltivava il mais e si allevavano le pecore da cui ricavavano la lana per la tessitura di coperte, tappeti e vestiti. Erano abili nella fabbricazione di vasi ed abitavano in case in muratura costruite in pietra, legno, mattoni e fango, i pueblos.

�� Le piccole tribù della California erano seminomadi vivevano di caccia e pesca erano più aggressive delle popolazioni vicine e praticavano la razzia.

�� L’area a sud-est, tra l’Alabama, Georgia, Tenesee e Florida, era abitata da popolazioni di cacciatori

�� Sull’altopiano, area delimitata ad est dalla Montagne Rocciose, le tribù si dedicavano alla pesca e alla caccia

�� Nella zona del Grande Bacino le popolazioni indiane si nutrivano di vege-tali spontanei e radici, erano seminomadi e si spostavano con grandi man-drie di cavalli.

Possiamo dire che le popolazioni indiane a seconda di dove vivevano avevano abitudini e culture diverse, però una cosa li accomuna: la cultura sciamanica e la grande importanza attribuita ai sogni e alle visioni allucinatorie. Secondo i na-tivi americani queste visioni, provocate da droghe o da grandi sforzi fisici, per-mettevano di avvicinarsi agli spiriti protettori. Nelle cerimonie si invocavano gli spiriti presenti in tutti gli elementi dell’universo associati agli animali, alle piante e soprattutto alla potenza generatrice, Manitù. Un tempo gli Indiani popolavano tutta la zona dell’America settentrionale, og-gi dopo le numerose guerre con le popolazioni che si sono stabilite in questa area (inglesi e francesi) vivo-no in riserve o nella moderna società spesso svolgendo lavori umili e poco pagati come i lavavetri perché non soffrono di vertigini. Della loro storia rimangono i racconti raccolti dagli studiosi, le tradizioni, le feste, le danze e il tentativo di riabilitare la loro cultura che è la storia antica del nord America. Nicola Scardoni I Lacandoni

I Lacandoni vivono nella zona del Messico meridionale, nella zona del Chiapas, e costituiscono uno dei gruppi discendenti delle popolazioni Maya. Vivono nella zona di foresta, di cui fruttano le risorse spontanee e praticano la caccia e la pesca. Le coltivazioni principali sono: il mais, i fagioli neri, la cipolla, l’ananas, il chile, le arachidi, la papaia, le banane, la yucca (una radice dolce), zucca e producono anche il miele. La realtà naturale che li circonda ha ispirato il legame magico fra attività materia-li e pratiche rituali nelle quali essi rappresentano il loro legame con la Natura popo-lata da molteplici esseri invisibili, un mondo “superumano” da cui dipende la loro sopravvivenza fisica e spirituale. Nelle loro attività hanno sempre come scopo quel-lo di collaborare con gli dei nella loro attività di creazione e conservazione del mon-do.

I tepee, le tende degli indiani delle pianure

I Lacandoni vivono nel Chiapas

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Chiamano se stessi Halach Winic, i “Veri uomini”, perché aderiscono al principio che è più importante

“essere” che “avere” e la loro divinità principale Hachakyùm afferma che “i veri uomini non hanno nien-te”. I Lacandoni si ritengono i discendenti diretti dei Maya, perché ci sono dei legami con questa antica civiltà come per esempio il nome del dio Halach Winic, che è citato nel Chilam Balam, il libro sacro della cultura Maya. I Lacandoni vivono in capanne di legno, anche il tetto è formato da tra-vature di legno ricoperte da foglie di palme. Indossano un caratteristico abito bianco costruito con la corteccia lasciata macerare nel fiume e poi battuta ed asciugata al sole. Su questo semplice abito nelle cerimonie reli-giose vengono dipinti i simboli del cosmo. Sempre legata alla tradizione religiosa è il caracol, la grande conchiglia perforata, il cui suono ripro-duce la vibrazione cosmica originaria. Ad Antigua è sorto un centro studi per conservare e tramandare le cono-scenze secolari di questo popolo che altrimenti sarebbero destinate all’e-stinzione. Petra Menegazzi Gli Yanomami

Gli Yanomami sono una popolazione che occupa un’area geografica, compresa tra il Venezuela e il Brasile, di difficile accesso perché coperta da fitte foreste tropicali ed attraversata da numerosissimi corsi d’acqua navigabili solo con barche fatte di tronchi d’albero, chiamate curiare. Il clima in queste zone è mite e piovoso e questa popolazione prende dalla foresta tutto ciò di cui ha bisogno per vivere. Il nome Yanomami significa letteralmente “essere umano” e questa popolazione indica sè stessa con il nome “Yanomami Thë pë”, mentre, con “napë” indicano tutto ciò che non è Yanomami. La popolazione degli Yanomami vive di coltivazione, di caccia, di pesca e di raccolta delle radici. L’attività della caccia assorbe tutti i membri maschi della comunità e come strumenti per praticarla usano l’arco, le frec-ce e l’arpione. Vanno a caccia a piedi nudi, sia che questa si svolga nelle vicinanze del villaggio come succede spesso, che nel caso di spedizioni organizzate in occa-sione di feste. Gli Yanomami cacciano una grande varietà di animali, tra cui la scimmia, il tapiro, la rana, l’anaconda, il boa, larve di vespa, termiti e tarantole. So-

no una popolazione seminomade: una volta reso sterile il terreno coltivato si spostano in un’altra zona. L’abitazione semipermanente consiste in una grande casa circolare comune, shapono, in cui ogni fa-miglia della tribù dispone di una parte di spazio nel quale appendere le proprie amache e accendere qualche fuoco. La vita familiare si svolge nel-la parte posteriore della casa, mentre quella religiosa e sociale nella parte anteriore e nella piazza. Gli Yanomami vestono con un perizoma, anche se, fino a pochi anni fa, erano nudi. E’ loro usanza perforare i lobi delle orecchie per infilarvi piu-

me, stecchi fini di palma o fiori e ciò vale per entrambi i sessi. Nelle don-ne è considerato bello uno stecco di palma che trapassa il naso. Per divertirsi i bambini, dotati di una forte creatività, giocano con anima-li viventi nel loro territorio. Ciò vale fino ai 4-5 anni, età nella quale rice-vono i primi regali dai genitori, che hanno lo scopo di prepararli alla vita che faranno una volta diventati adulti. La vita di queste popolazioni, della fauna, della flora e dell’ambiente in cui vivono è tuttavia in pericolo in quanto la foresta amazzonica ha note-voli ricchezze che i governi o le multinazionali vogliono sfruttare mettendo così a repentaglio sia la loro sopravvivenza che quella del loro habitat. Per la salvezza degli Yanomami sono scesi in campo molte associazioni e cantanti come Sting che hanno fatto conoscere al mondo i problemi di questa etnia e si so-no battuti perché gli Yamomami continuino a vivere nel loro territorio secondo le loro usanze perché per-derle significherebbe perdere un patrimonio di conoscenze naturalistiche notevole. Samuel Scandola

Yanomami vivono nella foresta amazzo-nica

Donna yanomami

Lacandoni a Palenque

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Gli Uros

Gli Uros vivono nella zona peruviana del lago Titicaca, con i suoi 3.800 metri di altitudine è il bacino lacustre più alto al mondo. La particolarità di questa popolazione è quella di vivere su delle isole galleggianti costruite con la tortora, la canna che cresce spontaneamente nel lago. Potremo defi-nirli i “veneziani delle Ande”, infatti per sfuggire all’invasioni di altre popolazioni che si erano stabilite lungo le coste del lago hanno costruito le isole galleggianti su cui vivono ancora oggi. Essi realizzano le loro isole secondo il metodo tradizionale: ad un palo infisso sul fondo vengono ancorati i primi gruppi sovrapposti di tortora, a questi vengono altri fusti, strati su strati fino a formare l’isola. Questi strati perio-dicamente devono essere sostituiti perché marciscono. La “terra“ su cui camminano è soffice e per poter cucinare, vista l’infiammabilità di questo materiale, mettono una pietra su cui pongono un piccolo fuoco. Tutto è costruito con la tortora: le ca-panne, le stuoie, le barche. Queste sono formate da tre grossi fasci di canne legati tra di loro, quello centrale fa da chiglia e da prua che in avanti è rialzata e le cui par-

ti terminali creano la forma di un animale fantastico. Gli Uros vivono di pesca e quando il pesce è abbondante lo seccano al sole per conservarlo per molto tempo. Si dedicano anche alla caccia degli uccelli selvatici e alla raccolta delle uova di anatre. Gli uomini sono abili costruttori e le donne esperte tessitrici. Oggi la maggior parte di questa popolazione, di etnia Aymara, è ritornata a vivere sulle coste del lago o fa il pendolare tra le isole e la terraferma. L’attività prevalente è il turismo che permette agli Uros di inte-grare la loro economia e di vendere i prodotti dell’artigianato. Andrea Zanini

Gli Uros vivono sulle isole galleggianti del lago Titicaca

Le isole galleggianti degli Uros, costruite interamente con la totora

Una barca sempre di totora Chi cucina chi intreccia la tortora per restaurare il tetto delle case

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OCEANIA

L’Oceania è il continente situato nell’emisfero australe comprendente l’Australia, la Nuova Zelanda, la Tasmania, la Nuova Guinea e un grandissimo numero di isole ed arcipelaghi raggruppati nella Melanesia, Micronesia e Polinesia. Si pensa che il popolamento di questo continente sia avvenuto ad opera di piccoli gruppi che, a bordo di primitive imbarcazioni, hanno attraversato la zona dell’Indonesia arrivando prima in Nuova Guinea e poi passando lo stretto di Torres in Australia. Questo continente è stato a lungo sconosciuto dagli europei tanto da meritarsi il nome di Terra australis incognita. In relazione alla grande diversità di ambienti (dal deserto australiano alle foreste della Nuova Guinea, alle isole coralline) e alla diversa provenienza delle popolazioni, in questo continente si è sviluppata una grande varietà di culture e di lingue. In Australia gli Aborigeni sono testimoni del loro antico ed impor-tante passato di tradizioni legate alla vita nel deserto australiano, in Nuova Zelanda i Maori ci raccontano il loro valore e il loro coraggio che è venuto meno solo di fronte alle armi dei colonizzatori. In alcune isole sono presenti ancora popolazioni che vivono allo stadio primitivo e lavorano la selce come nell’Isola di Papua-Nuova Guinea. Sono preziose testimonianze di mondi a noi lontani che ci fanno conoscere l’iso-lamento di alcune popolazioni e l’incontro–scontro tra civiltà diverse. Gli Aborigeni

Gli Aborigeni sono gli abitanti originari dell’Australia che, al momen-to dell’arrivo degli europei nel XVIII secolo, erano organizzati in gruppi nomadi dispersi in tutto il territorio australiano. Quelli che abitavano l’in-terno vivevano di caccia e raccolta, chi viveva sulle coste praticava la pesca. Gli Aborigeni sono divisi in tribù che a loro volta sono suddivise in clan totemici, cioè gruppi formati da persone imparentate tra di loro attra-verso un antenato comune. L’antenato era considerato un essere sopran-naturale e veniva identificato con il totem di un animale, di una pianta, di una pietra o di un fenomeno naturale. Secondo gli Aborigeni gli antenati totemici nell’epoca primordiale avevano attraversato tutto il continente, cantando il nome di tutto ciò che incontravano e in questo modo avevano dato origine al mondo. Ogni antenato nel suo cammino aveva sparso una

scia di parole o note musicali, le cosiddette “Vie dei Canti”, cioè delle vie di comunicazione tra le tribù di cui si servono ancora oggi gli aborigeni nei loro spostamenti. Ogni aborigeno ereditava la striscia di terra su cui passava il canto dell’antenato. I “canti” si pote-vano prestare o scambiare con altri clan in particolari cerimonie dove combinava-no matrimoni e si stringevano alleanze. Depositari di tutte le tradizioni sono gli anziani che trasmettono le loro cono-scenze ai giovani durante i riti di iniziazione. Per gli Aborigeni erano importanti, come elementi che permettevano di tenere unito il gruppo e tramandare le tradizioni, le espressioni artistico-rituali come: la musica, la danza, la pittura che si tenevano in luoghi considerati sacri, come Ayers Rock, dove gli antenati avevano lasciato un segno del loro passaggio. Con la colonizzazione dell’Australia gli aborigeni sono stati decimati e molti si sono sedentarizzati vivendo una vita ai margini della società perché lontani dal modo di vivere che hanno praticato per secoli. Tommaso Zanini

Gli aborigeni vivono all’interno dell’Australia

Aborigeno australiano

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I Maori

I Maori sono una popolazione polinesiana giunta in Nuova Zelanda intorno al 900 d.C.. Una leggenda narra che il navigatore Kupe vi arrivò dopo un lungo viaggio dalla Polinesia. Quando mise piede su queste nuo-ve terre, esse vennero invase da un’ immensa nuvola bianca: egli allora chiamò la Nuova Zelanda la “Terra della grande nube bianca”, che è an-cora oggi il nome Maori dell' isola. In seguito altri Maori giunsero in que-sti territori a causa di una carestia. L’attività bellica e la relativa organizzazione militare hanno influenzato la storia e la cultura Maori: grazie ad esse tale popolazione riuscì a con-quistare gran parte dell’arcipelago e ad edificare villaggi fortificati. I Ma-ori erano convinti che la guerra servisse a rafforzare il potere e il presti-gio spirituale delle tribù.

La società tradizionale, ad economia di pesca-caccia-raccolta, seguiva uno schema gerarchico: era suddivisa in famiglie, le Whanau, facenti capo ad unità sociali chiamate Hapu guidate dal Kaumatua, capo an-ziano appartenente alle Rangatira, grandi famiglie nobi-li. Esse rappresentavano l’unità territoriale e cognatica: un individuo poteva far parte di tutte le Hapu dei suoi avi, ma aveva la possibilità di risiedere solo in una per volta. Il matrimonio non esisteva ed avevano piena le-gittimità le coppie di fatto. La vita comunitaria si svol-geva intorno alle Marae, la piazza centrale dove si prati-cavano le cerimonie rituali. La Marae è ancora oggi un luogo giuridico-politico molto importante: all’interno di essa vengono fatte le celebrazioni per le nascite, i matri-moni, le morti, i riti d'iniziazione, i culti, le discussioni, le assemblee dei capi. I Maori credono in un essere su-premo e in divinità minori, attribuiscono grande impor-tanza anche al culto degli antenati e agli spiriti. I Maori sono conosciuti per i tatuaggi: le classi dominanti si dipingono il viso e il corpo con tatuaggi dai motivi complessi, le donne invece si disegnano solo le guance. I tatuaggi per questa popolazione han-no sia una funzione estetica, che una rituale in quanto indicano i riti di passaggio affrontati e alcuni av-venimenti importanti della vita di un individuo. Oggi questa decorazione corporale ha assunto anche un significato di riaffermazione della propria identità culturale. Altra particolarità della cultura maori sono: il saluto tradizionale, hongi, con il quale le persone si met-tono con la testa l’una contro l’altra (ai primi europei questo più che un saluto sembrava una minaccia) e la danza di guerra, la Haka, molto pittoresca che oggi è diventata il “rito propiziatorio” dei giocatori del-la squadra nazionale di rugby della Nuova Zelanda. Nel 1642, quando l' olandese Abel Tasman approdò sulle “nuove” coste, gli europei si resero conto del-l’incredibile forza bellica Maori: lo scontro con essi fu devastante. Egli battezzò l'isola Nieuw Zeeland dal nome di una regione dei Paesi Bassi. Nel 1769 James Cook, navigatore inglese, avvistò l’isola del nord della Nuova Zelanda e rivendicò subito il possedimento alla corona britannica. Nel 1830 gli inglesi volle-ro colonizzarla, per far sì che l’isola non venisse occupata dai francesi. 7 anni dopo, William Hobson arri-vò con l’intenzione di sottomettere i Maori alla legge inglese e vi riuscì concordando con essi il Trattato di Waitangi:

�� I capi Maori riconoscevano la sovranità inglese; �� I Maori avrebbero goduto degli stessi diritti sociali dei cittadini britannici; �� Si garantiva il totale possesso terriero ai Maori, ma con diritto di prelazione, in caso di vendita,

per la corona inglese.Per i Maori non era invece previsto alcun diritto di prelazione. Quando gli inglesi assunsero il controllo formale della Nuova Zelanda, i gruppi Maori iniziarono a pre-occuparsi seriamente poiché si resero conto che il Trattato non era effettivamente un accordo paritario tra le due parti. Le confische delle terre che seguirono diedero inizio a numerosi contrasti destinati a durare per decenni .

I Maori vivono in Nuova Zelanda

La Marae di Waio-o-Tapu, un luogo sacro (foto Pa-trizia Scardoni)

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Dal 1840 all’ultimo decennio dell'800 la popolazione Maori diminuì notevolmente, in parte a causa delle guerre, in parte per le malattie introdotte dagli europei. Tuttavia, in anni recenti, la popolazione ha raggiunto i 300.000 individui e l’incremento demografico è stato accompagnato da una rinascita culturale e politica. Nicola Bertoldi Gli Asmat

Gli Asmat sono una popolazione che vive nella parte occidentale della Papua Nuova Guinea, un’isola indonesiana che si trova vicino all’Austra-lia. Chiamati anche Papua, queste popolazioni vivono ancora allo stato primitivo. Si dividono principalmente in quattro gruppi: gli Asmat della costa, i Mek(che abitano i monti a Oriente), i Bras e i Kuruwai (occupano la valle). La loro religione è prevalentemente animista anche se negli ultimi an-ni alcune tribù, soprattutto della costa, si sono convertite al cristianesimo. La caccia di teste e il cannibalismo appartengono ai pilastri della religio-ne. Pensano che in qualsiasi momento l’anima di un famigliare defunto possa ritornare alla vita attraverso un corpo umano, un sasso, un soffio di vento, un albero, … Credono anche che il Creatore li abbia creati dal le-gno e mantengono quindi una forma di grande rispetto per gli alberi. Per acquisire la dignità di “Grande uomo” bisogna possedere molti

maiali, essere valorosi guerrieri e possedere molte conoscenze legate alla religione e alla tradizione. Que-ste sono le cose che interessano veramente ai Papua. L’arretratezza tecnologica degli Asmat è dovuta alla foresta vergine che li ha sempre “protetti” e dona-to tutto ciò di cui avevano bisogno. Da quando sono arrivati gli europei però alcuni villaggi si sono tra-sformati in mercati in modo particolare del Gaharuh, un legno pregiato esportato in Europa. Il paesaggio fluviale adesso, oltre che da piroghe indigene è quindi caratterizzato anche da fuoribordo spinti a motore. Non bisogna pensare comunque che i Papua siano ignoranti perché da loro la vita richiede una ricca e-sperienza e conoscenze specifiche, il cosiddetto patrimonio culturale indigeno. Già da piccoli i bambini imparano come costruire e usare un’ ascia di pietra, l’arco e le frecce. Le loro condizioni di vita tuttavia fanno sì che la vita media si aggiri intorno ai quarant’anni, circa la metà della nostra. I Mek sono un gruppo etnico a parte, hanno infatti una propria lingua e una propria cultura. Costruisco-no i loro villaggi in cima a ripide creste montuose, in modo da potersi difendere facilmente. Nei villaggi vivono fino a trecento persone, le capanne hanno una forma circolare e sono molto ravvicinate. Sono co-struite su palafitte alte circa un metro. Questo popolo è sedentario e si basa sull’orticoltura praticata su terrazze ingegnosamente costruite. Ogni famiglia possiede da uno a tre maiali. I Mek vivono in perenne guerra con i villaggi vicini: il pretesto per lo scontro è facilmente fornito da controversie riguardanti gli orti, le donne, i furti e le presunte magie nere. Nella vita sociale dei Mek, un ruolo importante viene svolto dalla festa del motte. Al villaggio ospitante arrivano molte persone di villaggi vicini che portano in dono diversi utensili. Al villaggio che ospita la festa tocca invece il ruolo di organizzare il “banchetto”. I Bras e i Kuruwai invece abitano nell’entroterra a sud della zona montuosa centrale e vivono in ma-niera seminomade sopra palafitte alte dai sei agli otto metri. L’altezza è utile per evitare gli attacchi ne-mici e allo stesso tempo per difendersi dalle zanzare. In genere sono case di gruppo e all’interno possono viverci più di dieci famiglie. Bras e Kuruwai oltre ad essere cacciatori e raccoglitori sono anche agricoltori, pur dedicandosi con minore intensità a quest’ultima attività, coltivano zucche, cetrioli, taro, patate dolci, manioca, tabacco e ogni volta erigono nuove case di gruppo nella zona dove si trovano i campi. Gli Asmat della costa vivono nella pianura alluvionale coperta dalla foresta pluviale, zona costantemen-te soggetta a maree. In più, altra acqua è portata da abbondanti piogge e dai fiumi che arrivano dalle mon-tagne. Nella zona costiera è quindi necessario possedere una barca come mezzo di locomozione. Le maree incidono anche su guerre e battaglie visto che durante l’afflusso della marea ci si può spostare più veloce-

Gli Asmat vivono nella parte occidentale dell’isola di Papua Nuova Guinea

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mente un riflusso di marea può riportare le frecce lanciate. Gli Asmat della costa sono raccoglitori e cacciatori e i loro villaggi sono posizionati in maniera strategi-ca. Al contrario dei Mek i loro villaggi possono avere fino a duemila abitanti. Al loro interno ci sono le cosiddette case dei clan (yeu), lunghe diverse decine di metri. Vengono organizzate molte feste con gran-de partecipazione di tutta la comunità. Ogni gruppo degli Asmat ha proprie tradizioni e propri rituali. Sia gli Asmat della costa che i Mek inta-gliano sculture (con sembianze umane) e scudi di legno. A questi oggetti e ad altri utensili vengono dati nomi di persone defunte cosicché le loro anime entrino in essi. Per gli Asmat insomma, il culto dei morti è molto importante ed è parte impregnante della loro vita. Gli Asmat, vivendo ancora ad uno stato quasi primitivo, si trovano però oggi in difficoltà ad entrare in contatto con l’uomo “civilizzato” che tenta di sfruttare le risorse del territorio rompendo equilibri stabiliti dalla natura migliaia di anni fa. Stefano Grobberio Classe 3A, Bosco