mario negri-erika notti - leonardo magini- omero il cielo e il mare - intro- chap. 1

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A RCIPELAGO EDIZIONI Leonardo Magini • Mario Negri • Erika Notti OMERO Il cielo e il mare

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http://www.ibs.it/code/9788876954726/magini-leonardo/omero-cielo-mare.htmlUlisse su tutti e gli altri eroi omerici: con quali navi hanno solcato le onde e di quali mari dell'antichità? Quali astri ne hanno segnato le rotte e le stagioni? Questa ricerca, condotta tra archeoastronomia, arte, letteratura e indagine linguistica, apre alle risposte su un mondo che è e resterà comunque sospeso tra tempo storico e tempo mitico. Ne sono autori, ognuno nel suo settore d'elezione, specialisti che riescono a dare un quadro omogeneo, dotto, avvincente e aggiornatissimo. Leonardo Magini si occupa da più di venti anni di astronomia antica - in particolare di astronomia etrusco-romana; fra le sue pubblicazioni "Astronomia etrusco-romana". Mario Negri è ordinario di Civiltà egee. Erika Notti ha fra le sue pubblicazioni scientifiche "Atlantide", saggio che aggiorna le moderne teorie sull'esistenza e le collocazione geografica del mitico continente scomparso. Ulysses on all the other heroes of Homer: with such ships have sailed the seas and waves of such antiquity? Which stars have marked routes and seasons? This research, conducted between archaeoastronomy, art, literature and language study, open to the answers of a world that is and will remain suspended between historical time and mythical time. The authors, each in his field of choice, are specialists who can give a homogeneous product and updated. Leonardo Magini is responsible for more than twenty years of ancient astronomy - in particular the Etruscan-Roman astronomy, among his publications "Astronomy Etruscan-Roman." Mario Negri is Professor of Aegean Civilization. Erika Notti has among her scientific publications "Atlantide", wise updating the modern theories on the existence and geographic location of the mythical lost continent of Atlantis.

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ARCIPELAGO EDIZIONI

Leonardo Magini • Mario Negri • Erika Notti

OmerO Il cielo e il mare

Leonardo Magini si occupa da più di venti anni di astronomia antica – in particolare di astronomia etrusco-romana – su cui ha pubblicato tre saggi presso la casa editrice L’Erma di Bretschneider: Astronomia etrusco-roma-na, La dea bendata – lo sciamanesimo nell’antica Roma e Controstoria degli etruschi – viaggio alle sorgenti orientali della civiltà romana. Con Astronomia etrusco-romana Magini ha ricostruito la sapienza astronomica di origine ba-bilonese nascosta nei miti, nei riti e nelle cadenze delle festività dell’antico calendario romano. Mario Negri è ordinario di Civiltà egee nell’Università IULM di Milano. For-matosi come glottologo alla Scuola milanese di Vittore Pisani, da tempo ha individuata nel Mediterraneo del II millennio l’area privilegiata del suo interesse scientifico. Erika Notti ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Letterature compa-rate presso l’Università IULM di Milano. Ha individuato come oggetto di ricer-ca privilegiato il mito, le sue forme, funzioni e modalità di rappresentazione e trasmissione nella storia delle culture egee e dell’Indeuropa, selezionando altresì un interesse per la riflessione sul linguaggio e sulla scrittura, in special modo in prospettiva antropologica e storico-culturale. Nell’ambito dell’atti-vità di ricerca post dottorato, si occupa attualmente dell’analisi delle varianti epigrafiche del segnario della lineare A. Sempre presso Arcipelago Edizioni ha pubblicato Lo spazio circolare nelle culture dell’Indeuropa e Atlantide.

Om

erO

il cielo e il mare

ARCIPELAGO EDIZIONI

Guardando le Pleiadi, Boote che tardi tramonta, e l’Orsa che chiamano anche col nome di Carro, che ruota in un punto e spia Orione: è la sola esclusa dai lavacri di Oceano Gli aveva ingiunto Calipso, chiara fra le dee, di far rotta avendola a manca

€ 15,00(IVA ASSOLTA DALL’EDITORE)

L. Magini, M

. Negri, E. N

otti

9547267888769

ISBN 978-88-7695-472-6

OmerOIl cielo e il mare

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Quaderni di Scienze del Linguaggio • 33

UniverSità iULM

Libera Università di Lingue e Comunicazione

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Quaderni di Scienze del LinguaggioCollana diretta da Mario Negri

Comitato scientifico:Michael Crawford (School of Advanced Study, University ofLondon)José Luis García Ramón (Universität zu Köln)Giuliana Garzone (Università degli Studi di Milano)Nunzio La Fauci (Universität Zürich)Diego Poli (Università degli Studi di Macerata)Michele Prandi (Università degli Studi di Genova)Edgar Radtke (Universität Heidelberg)Giovanna Rocca (Università IULM, Milano)Francesca Santulli (Università IULM, Milano)

Segreteria: Manuela [email protected]

La collana, originariamente destinata ad accogliere contributi matu-rati all’interno dell’Istituto di Scienze del Linguaggio dell’Uni -versità IULM, nel corso del tempo ha assunto una nuova fisionomiaparallelamente all’evoluzione delle strutture didattiche e di ricercadell’Ateneo, aprendosi a contributi di studiosi provenienti da sedidiverse e diversificando altresì i temi e gli obiettivi dei volumi. Lequestioni affrontate coinvolgono, come poli privilegiati, da unaparte le scienze del linguaggio, nella loro complessità, dall’altraquelle dell’antichità, pur viste dalla prospettiva muovente dallacentralità della lingua. Esse rispecchiano l’intento di dare spaziotanto alla ricerca storica quanto all’analisi sincronica, con contribu-ti ora specialistici ora più decisamente divulgativi, per rispondereda un lato ai bisogni della didattica e dall’altro all’esigenza di svi-luppare e diffondere la riflessione critica che impegna ormai daanni diverse generazioni di ricercatori.

I volumi pubblicati nella collana sono sottoposti a un processo dipeer review che ne attesta la validità scientifica.

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Leonardo Magini • Mario negri • erika notti

oMeroiL CieLo e iL Mare

Milano 2012

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© 2012 Arcipelago EdizioniVia Pergolesi, 12

20090 Trezzano sul Naviglio (Milano)[email protected]

Prima edizione: luglio 2012

ISBN 978-88-7695-472-6Tutti i diritti riservati

Ristampe:7 6 5 4 3 2 1 02018 2017 2016 2015 2014 2013 2012

è vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effet-tuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, nonautorizzata.

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INDICE

Introduzione

Audentes fortuna iuvat

di Erika Notti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

Capitolo 1

OMERO E IL CIELO. Astronomia e geometria dei tempi eroicidi Leonardo Magini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

Capitolo 2

OMERO E IL MARE

di Mario Negri ed Erika Notti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95

Capitolo 3

LE LORO NAVI

di Erika Notti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129

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Erika NottiINtRODuzIONE

Audentes fortuna1 iuvat

“Vi sono esistenze i cui successi si susseguono in maniera cosìstraordinaria da rendere cauta la penna dell’osservatore retro-

1 Questo titolo ha un’origine aneddotica. Quando ci si appresta ad af-frontare lo studio delle Civiltà Egee si è soliti chiedere agli studenti se essidispongano già di qualche conoscenza sulla materia. Si osserva allora chel’aggettivo “fortunato” viene in genere preferito per descrivere, in una parolasola, la vita e l’operato di Heinrich Schliemann. Del resto l’epiteto ricorrefrequentemente nelle pagine della manualistica. Mi piace allora ricordareche “il padre della disciplina”, come molte altre straordinarie personalitàche si sono elevate al di sopra delle altre nella storia del progresso scienti-fico, era mosso da corde profonde. Ricorda Wieland Schmied [pp. X-XI]che la grande ammirazione di Schliemann per gli Eroi e il mondo pervasodi profonda umanità descritto da Omero, con i suoi trionfi, i dolori e le sof-ferenze, era con ogni evidenza di natura morale: “niente sprona più allo stu-dio della miseria e la certezza di liberarsene col lavoro intenso [p. 13] ... Ledifficoltà non fanno che accrescere il mio desiderio di raggiungere final-mente – dopo tante delusioni – lo scopo che mi prefiggo e di dimostrare chel’Iliade è fondata su fatti reali e che alla grande nazione greca non si devetogliere la corona della sua gloria ... non risparmierò né fatiche né spese perarrivarci [p. 100] ...Dalle cinque del mattino fino alle undici di sera ero tantooccupato che non mi restava un minuto libero per studiare. Per di più di-menticavo rapidamente il poco che avevo imparato da bambino ma non per-devo l’amore per la scienza – non lo perdetti mai – così non potròdimenticare, finché vivo, quella sera che entrò nel negozio un mugnaioubriaco, Hermann Niederhöffer. Era figlio di un pastore protestante di Röbel(Mecklemburgo) e aveva appena compiuto gli studi al ginnasio di Neurup-pin quando fu espulso dalla scuola per cattiva condotta. Il padre lo affidòcome apprendista al mugnaio Dettmann di Güstrow; restato qui per due

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8 Omero il cielo e il mare

spettivo, che teme di cadere in eccessi letterari cominciando ausare fin da principio quei superlativi che divengono in seguitosempre più necessari. Eppure ci sono esistenze che si svolgonosuperlativamente: e una di queste fu quella di HeinrichSchliemann, una delle figure più straordinarie che siano mai esi-stite, non solo fra gli archeologi, ma fra tutti gli uomini che sivotarono a una scienza”.2 Molto inchiostro è stato versato perdescrivere le luci e le ombre di una personalità complessa3 e iprodigi e le meraviglie che delineano un quadro (auto-)biogra-fico4 dagli accenti certamente leggendari. Primo narratore, eindagatore, di se stesso, Heinrich Schliemann ha consegnatoal mondo intero la cronaca appassionata delle proprie scoperte,tracciando lucidamente, sebbene con toni talvolta romantici eingenui, talaltra egocentrici e pomposi, le coordinate euristichedel proprio lascito spirituale. È perciò facile comprendere l’im-barazzo e l’emozione con cui mi appresto ora a raccoglierle e

anni, egli andava poi girando come garzone mugnaio. Scontento della suasorte, purtroppo il giovane si era dato presto al bere, ma non aveva dimen-ticato il suo Omero; e quella sera ci recitò non meno di cento versi di questopoeta, scandendoli con pieno pathos. Sebbene non capissi una parola, quellalingua melodiosa mi fece un’impressione profonda e mi fece versare caldelacrime per la mia sorte infelice. tre volte egli dovette ripetermi i versi di-vini, e io lo ricompensai con tre bicchieri di acquavite che pagai volentiericon i pochi pfennige che costituivano tutto il mio avere. Da quel momentonon cessai di pregare Dio perché nella sua grazia mi accordasse la fortunadi imparare il greco [p. 10]”. Cito da H. Schliemann, Kein Troja ohneHomer, Glock und Lutz Verlag, Nürnberg, 1960; trad. it., La scoperta diTroia (a c. di Wieland Schmied), torino, Einaudi, 2005.

2 C. W. Ceram, Civiltà sepolte: il romanzo dell’archeologia, torino,Einaudi, 2005, pp. 31, 43.

3 G. Cervetti-L. Godart, L’oro di Troia: la vera storia del tesoro sco-perto da Schliemann, torino, Einaudi, 1996.

4 H. Schliemann, Selbstbiographie, Leipzig, Brockhaus, 1939.

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a delinearle, attraverso le brevi note5 che introducono le lineedi ricerca di questo volume.

Le vicende favolose che consacrano Heinrich Schliemann“padre dell’archeologia micenea”6 sono note. All’età di setteanni riceve in dono dal padre la Storia universale per i ragazzi

di Georg Ludwig Jerrer in cui è ritratta troia in fiamme, conle sue mura immense, le Porte Scee, Enea in fuga con il padreAnchise sulle spalle e il piccolo Ascanio per mano: “papà –dissi allora, – se mura simili sono esistite, non possono esserestate distrutte del tutto, ma saranno certamente nascoste dallapolvere e dai detriti dei secoli”. Quarant’anni più tardiSchliemann è in turchia, determinato a dimostrare l’esistenzadi troia. Da umile garzone di bottega a ricco uomo d’affari,Schliemann intraprende una prodigiosa7 carriera. Nel 1858dispone ormai di un immenso patrimonio e decide di ritirarsidagli affari per concretizzare l’idea, a lungo vagheggiata, di

5 Ne dico diffusamente ne “Il lascito euristico di Heinrich Schliemann”in DO-SO-MO 6 (2005), pp. 98-105.

6 Father of Mycenaean Archeology è l’epiteto usato da Michael Ventrise John Chadwick in Documents in Mycenaean Greek, Cambridge 1965 (2a

ed., a c. di J. Ch., Cambridge 1973).7 L’esperienza di apprendistato nella piccola drogheria di Ernst Ludwig

Holtz segna l’ingresso di Heinrich Schliemann nell’attività commerciale.Da quel momento faticherà strenuamente per vedere migliorata la propriacondizione, senza mai abbandonare lo studio. Grazie a un personalissimometodo di apprendimento delle lingue arriverà a conoscerne quindici. Nel1844 viene assunto ad Amsterdam come corrispondente e contabile nelladitta B.H. Schröder & Co. Due anni più tardi gli affari lo conducono a Pie-troburgo, dove si specializza nella vendita dell’indaco e ottiene l’iscrizionecome mercante indipendente nella corporazione dei grandi commerciantirussi. Durante la guerra di Crimea un terribile incendio divampa a Memel.I suoi magazzini sono i soli a scampare miracolosamente al disastro. Le in-genti somme di denaro ricavate in tali circostanze gli consentono di raddop-piare il capitale (H. Schliemann 2005, p. 13, 19).

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10 Omero il cielo e il mare

ricercare i luoghi omerici, non prima, però, di aver acquisitole conoscenze necessarie. Si accosta così allo studiodell’archeologia a Parigi, legge con scrupolo i classici e visitai più importanti musei d’Europa. Si imbarca verso le Isole Ioniee una tarda sera, nel luglio del 1868, approda a Itaca nel piccoloporto di San Spiridone, sul lato meridionale del monte Aeto.Qui intraprende i suoi primi scavi che tuttavia hanno scarsoesito.8 Nonostante ciò, a Itaca dedica forse le pagine più intenseed emozionanti della sua produzione.9 A seguito del modesto

8 L’identificazione di Itaca costituisce, come è noto, uno dei quesitiaperti della geografia omerica (ne diremo in seguito). Schliemann concentrale sue ricerche nei luoghi che la tradizione locale associa a Odisseo, soffer-mandosi in particolare nella regione meridionale dell’isola. Discorre con gliabitanti, si compiace nel riscontrare quanto sia viva la memoria di Omero eli intrattiene, come un moderno aedo, recitando nel dialetto locale le impresedel nobile antenato della stirpe itacense. Ottiene di farsi indicare la grottadelle ninfe sulle pendici del monte Neion, al cui interno rinviene i resti digradini tagliati nella roccia e di un altare fortemente mutilato. Sale in cimaal monte Aeto e osserva le tracce di antiche strade, le rovine di due torri edi mura ciclopiche. Raggiunge la fonte Aretusa ai piedi della roccia chiamataKorax (“corvo”). La romantica ricerca dell’ulivo da cui, come narra Omero,Odisseo aveva ricavato il letto nuziale resta senza successo. Giunge alcampo di Laerte presso il villaggio di San Giovanni, risale il monte Sella eraggiunge un’altra antica strada scavata nella roccia. un sarcofago di legnoe un idolo fenicio sono le ultime vestigia che Schliemann osserva nel regnodi Odisseo.

9 Le pagine che Schliemann dedica a Itaca sono ricche di particolarianeddotici. Straordinario, al di là della discutibile verisimiglianza, è il ri-cordo dell’aggressione dei cani, che testimonia la fede assoluta riposta neitesti omerici: “ogni volta che mi avvicinavo a queste abitazioni isolate fra icampi, per comprare uva o per bere acqua, ero assalito dai cani. Fino a quelgiorno mi era sempre riuscito di tenerli a rispettosa distanza gettando lorosassi o fingendo di farlo. Ma quel giorno, quando volli entrare in un casolarenel sud dell’isola, quattro cani mi si scagliarono addosso furiosamente enon si lasciarono intimorire né dai sassi né dalle minacce. Chiamai forteaiuto; ma la mia guida era rimasta indietro e sembrava che in casa non ci

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rinvenimento del corredo funebre di un piccolo cimitero difamiglia esclama rammaricato che avrebbe dato cinque annidella sua vita per trovare un’iscrizione ma purtroppo non ven’erano.10 tuttavia la straordinaria fama di Schliemann sarebbedi lì a poco derivata dalla scoperta dell’oro. I tesori di troia eMicene l’avrebbero reso uno dei più leggendari cercatori, qualila storia recente non ne aveva più visti sin dal tempo deiconquistadores.11

fosse nessuno. In quella situazione terribile mi venne in mente, per fortuna,quello che in un pericolo simile aveva fatto Odisseo: ‘Appena i cani latrantividero Odisseo, con grandi urli gli corsero addosso, ma Odisseo prudente-mente si mise a sedere per terra e gettò via il bastone’. Seguii dunquel’esempio del saggio re, mettendomi a sedere tranquillamente per terra e te-nendomi quieto. Subito i cani, che un momento prima mi volevano divorare,mi chiusero in cerchio e continuarono ad abbaiare, ma senza toccarmi. Alminimo movimento mi avrebbero azzannato. Ma la mia umiltà addolcì laloro ferocia.” Quando Schliemann lascia l’isola è vivamente commosso:“Avevo già perduto di vista l’isola da molto tempo quando continuavo arivolgere lo sguardo da quella parte. In vita mia non dimenticherò mai inove giorni felici passati fra quella gente onesta, simpatica e virtuosa” (H.Schliemann 2005, p. 45, 51 cfr. Od., XIV, 29-31).

10 Sarà più tardi nella regione di troia che Schliemann potrà rinveniredei materiali epigrafici: due fusi forse recanti due sequenze di cinque segnidella lineare A, che pubblicherà nel suo Atlas trojanischer Alterthümer. Pho-tographische Abbildungen zu dem Berichte über die Ausgrabungen in Troja,Leipzig, Brockhaus, 1874 (e cinque segni – dubbi – incisi su di un bloccodi pietra sulla riva sinistra del Mendere presso il villaggio di Burnabaschi);si veda M. Negri 2005, p. 3-5 e la bibliografia lì citata. L’interesse diSchliemann per la scrittura è altresì testimoniato dall’attenzione rivolta allemason’s marks di Cnosso (D. J. I. Begg, “An Interpretation of Mason’s Marksat Knossos”, in BSA, 12, (2004), pp. 1-25. A proposito di questa peculiareclasse di segni: Erika Notti, Note di Commento. Mason’s Marks festie in E.Fiandra-E. Notti, I libretti di Luigi Pernier. Scavo del Palazzo di Festòs (1900-1902), Edizioni CIRAAS, Roma-Bagnasco di Montafia (Asti), 2011, pp. 13-34).

11 C. W. Ceram 2005, p. 31.

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12 Omero il cielo e il mare

Prestando fede all’Iliade, come al Vangelo,12 giunge in tur-chia e individua l’ubicazione di troia sul colle di Hissarlik, acirca 5 chilometri dal mare, a nord del villaggio di Burnaba-schi, cui allora volgeva l’attenzione la maggior parte degli eru-diti. È l’agosto del 1872 quando riporta alla luce le antichemura dell’acropoli, che immediatamente identifica con la “Per-gamo di troia”. Circa nove mesi più tardi rinviene il “tesorodi Priamo”, alla profondità di otto-nove metri, su di uno stratodi ceneri lasciato da un incendio: vi sono reperti in oro, argento,rame, ambra e bronzo, splendidi diademi, collane, orecchini,anelli, braccialetti, armi e recipienti.13 Ai rinvenimenti di troia

12 “Mi pareva che il modo migliore di raggiungere il mio scopo fossedi seguire lo stesso percorso sul quale Achille ed Ettore, secondo Omero,fecero di corsa tre giri attorno alla città … Dopo un’ora di cammino moltofaticoso arrivai sul lato sud-est del colle sul quale si crede di avere ritrovatoPergamo, a un ripido scoscendimento alto circa 150 metri che i due eroiavrebbero dovuto discendere per arrivare allo Scamandro e fare il giro in-torno alla città. Lasciai la guida e il cavallo sull’altura e scesi nel burrone,che cade all’inizio con una pendenza di circa 45 gradi e poi di 65 gradi,tanto che mi vidi costretto a scivolare carponi all’indietro. Mi occorse quasiun quarto d’ora per arrivare in fondo e mi convinsi così che nessun esserevivente, neppure una capra, può discendere di corsa su una pendenza di 65gradi, e che Omero, così preciso nella sua descrizione del luogo, non ha af-fatto pensato che Ettore e Achille nel loro giro attorno alla città avessero di-sceso di corsa per tre volte questa scarpata, che sarebbe assolutamenteimpossibile”; H. Schliemann 2005, p. 85, pp. 67-68.

13 “L’avvenimento fu drammatico; e ancora oggi, quando se ne legge ilracconto si rimane col fiato sospeso. Era una calda mattinata e Schliemannsorvegliava [con la seconda moglie, la greca Sophia, che l’aveva affiancatoe sostenuto durante le sue ricerche] gli ultimi scavi, sempre con molta at-tenzione ... Avevano raggiunto 28 piedi di profondità lungo la muraglia cheegli attribuiva al palazzo di Priamo. Lo sguardo di Schliemann fu subita-mente attratto da qualcosa che colpì la sua fantasia e lo spinse a prenderesubito dei provvedimenti. E chissà mai che cosa avrebbero fatto i suoi di-sonesti operai se avessero visto per primi ciò di cui egli si accorse. Schlie-

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seguono le scoperte dell’Argolide. Prestando fede alle notizieriportate da Pausania, Schliemann scava presso il muro di cintadell’acropoli, subito oltre la Porta dei Leoni, in cerca delletombe regali. Nell’agosto del 1876 scopre cinque tombe a fossaal cui interno ritrova quindici corpi. Rinviene un ricchissimocorredo funerario composto da braccialetti, orecchini, diademi,spille, gemme preziose, sigilli raffiguranti animali e scene divita quotidiana e le famose maschere auree. Il tesoro della po-luxru/soio Mukh/nhj, la città ricca d’oro cui i versi omericihanno conferito una fama immortale, è la conferma definitivadella bontà delle sue intuizioni. Con un telegramma al re diGrecia rende noti i rinvenimenti augurandosi che possano ba-stare ad allestire un grande museo nella patria degli eroi. “Conestrema gioia annuncio a Sua Maestà che ho scoperto le tombeche la tradizione, di cui Pausania si fa portavoce, indicavacome le sepolture di Agamennone, di Cassandra, di Eurime-donte e dei loro compagni, tutti uccisi durante il pasto offertoda Clitennestra e dal suo amante Egisto. Erano circondate daun doppio cerchio parallelo di lastre che può solo essere statoeretto in onore dei suddetti personaggi. Ho trovato nelle sepol-ture tesori immensi fatti di oggetti arcaici in oro puro. Questitesori bastano da soli a riempire un grande museo che sarà ilpiù bello del mondo e che, durante i secoli a venire, porterà inGrecia migliaia di stranieri provenienti da tutti i paesi delmondo. Poiché lavoro per puro amore della scienza, non honaturalmente alcuna pretesa riguardo a questi tesori che do convivo entusiasmo alla Grecia. Voglia Iddio che diventino la pie-tra angolare di un’immensa ricchezza nazionale.” Attraverso

mann afferrò la moglie per un braccio e le bisbigliò: ‘Oro ... congeda prestogli operai!’ ... ‘Prendi il tuo scialle rosso!’ ... commosso ... adorna la giovanemoglie ... la guarda e bisbiglia ‘Elena’!” C. W. Ceram 2005, pp. 42-3.

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gli scavi intrapresi nella patria degli Eroi, Schliemann conse-gue così il fine della propria ricerca, persuadendo l’opinionepubblica dell’attendibilità storica delle vicende narrate daOmero.

“Possa questa indagine col piccone e la pala dimostraresempre meglio che gli eventi narrati nei divini poemi omericinon sono racconti mitologici, ma si fondano su fatti reali, epossa quindi mediante questa dimostrazione diffondere e in-tensificare in tutti l’amore per il nobile studio degli splendidiclassici greci e soprattutto di Omero, il sole radioso di tutte leletterature.”14 L’“archeologo dilettante” aveva convinto ilmondo intero della storicità del mondo narrato da Omero,15 re-spingendo i dogmatismi della scienza ufficiale, che a lungoaveva sdegnosamente ignorato il valore documentario del mito.Con un atto di fede filologica, Schliemann aveva inauguratouna nuova prospettiva di indagine, volta a riscoprire, attraversola dimostrazione empirica dei fatti, le remote verità serbatedalla tradizione. Accanto ai beni materiali, gli inestimabili te-

14 H. Schliemann 2005, p. 196.15 Le imprese di Heinrich Schliemann diedero uno straordinario im-

pulso alla ricerca archeologica. In breve tempo (fra il 1900 e il 1939) i pa-lazzi di Minosse e Nestore furono scavati e le tavolette in lineare A e Bscoperte. Poco importa, dunque, se i progressi conseguiti in campo archeo-logico negli anni successivi alla morte del “dilettante entusiasta” hanno resonecessaria una ricalibratura delle sue scoperte. Nonostante i tesori di troiae Micene siano considerevolmente più antichi del tempo degli Eroi del ciclotroiano, l’eredità euristica di Schliemann ha mantenuto intatta la sua validità.Scrive L. Godart: “la brillante intelligenza di Schliemann aveva intuito unacosa che le ricerche moderne hanno pienamente confermato: le vecchie leg-gende affondano le loro radici nella Storia ed è certo che alla base di qua-lunque mito narrato dagli Antichi vi è una verità storica che la criticamoderna deve tentare di ritrovare e di spiegare.” L. Godart, L’invenzionedella Scrittura, torino, Einaudi, 2001, p. XV.

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sori scavati a troia e a Micene, la comunità scientifica dovevacosì raccogliere una “sfida”: il recupero del passato non potevapiù prescindere dall’analisi degli elementi di coincidenza framito e storia. Nonostante si frapponga ormai un abisso16 fral’operato di Schliemann e gli studi contemporanei, e in questolungo lasso di tempo le conoscenze, le tecniche e le metodolo-gie di indagine siano notevolmente progredite, l’eredità euri-stica di Heinrich Schliemann ha seguitato a ispirare le ricerchesuccessive.

I miti del primo millennio possono serbare il ricordo nontrascurabile di elementi storico-culturali riconducibili al IImillennio a.C. Come è emerso con ogni evidenza attraversoil progressivo superamento della prima “fase ingenua schlie-manniana” nelle acquisizioni che si sono susseguite in questoambito di studi, l’incommensurabilità dei sistemi di mito e sto-ria rende tuttavia ardue e complesse le operazioni ermeneutichevolte a investigare la relazione fra questi due domini, l’uno le-gato a un modo di raccontare principalmente fondato su cate-

16 La tecnica di scavo impetuosa e non ortodossa di HeinrichSchliemann è stata duramente criticata. Conviene tuttavia considerare ilimiti scientifici di Schliemann, pur innegabili, alla luce delle conoscenzearcheologiche dell’epoca. Schliemann fu di fatto il pioniere dello scavostratigrafico. A Hissarlik si trovò dinanzi a un sito caratterizzato dallapresenza di molti livelli di occupazione (tell). Identificò erroneamente latroia II con quella omerica e solo più tardi, negli anni Cinquanta, ful’americano Carl Blegen ad approfondire lo studio degli strati identificandola troia VIIa. Imputare tuttavia all’archeologo dilettante l’inadeguatezzadei mezzi utilizzati “sarebbe come rimproverare Pasteur, incaricato dalgoverno francese di scoprire la causa della pebrina che seminava strage frai bachi da seta, poiché in tal modo era giunto ad aprire una nuova eranell’eziologia delle malattie infettive” (sull’inadeguatezza dei giudiziespressi a posteriori: Emilio Peruzzi, Greci e Latini nel Lazio Antico (Attidel Convegno della S.I.S.A.C., Roma 26 marzo 1981), Roma, Edizionidell’Ateneo, 1982, pp. 9-26 , v. in particolare p. 11).

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gorie di carattere formulare, simbolico e metaforico, che inparte sfuggono alla logica razionale, l’altro volto invece allanarrazione ordinata, razionale e sistematica dei fatti. “Deposi-tario privilegiato” del patrimonio sociale, ideologico e moraledelle comunità che lo hanno trasmesso, il mito è concepibilecome una sfera, al cui interno è possibile ravvisare un nucleodi storicità. Nella periferia, tuttavia, esso può costituirsi di ele-menti fantastici e iperbolici, che non intrattengono necessaria-mente una relazione con la realtà storica. L’ontologia del mitorende pertanto difficile il compito di sezionare la sfera lungotraiettorie “scientificamente” definite, al fine di investigarne imolteplici aspetti. Le contraddizioni interne, le incongruenzee gli elementi di discontinuità fra mito e storia sono dunqueontologicamente attesi. Conviene altresì ricordare che i mitigreci devono essere interpretati alla luce della loro applicabilitàal tempo e al luogo in cui hanno raggiunto la fissazione defi-nitiva,17 spesso modernizzati e adattati per rispondere a preciseesigenze storiche. Con le doverose cautele che l’ontologia delmito impone, gli autori del presente volume desiderano per-tanto raccogliere “la sfida”, investigando il mare e il cielo ome-rico, al fine di svelare le eventuali coincidenze, e leimplicazioni, specialmente storiche, geografiche e astronomi-che,18 che possono celarsi fra i piani intersecantisi della sfera.

17 Sulle problematiche ermeneutiche sollevate dall’epos omerico e spe-cialmente attinenti all’Odissea vd. le note introduttive di Alfred Heubeck el’ampio commento di Stephanie West al vol. I dell’ed. “Valla” (X ed. luglio2007), pp. IX-XXXVI, LXIX-LXXXVII (e le bibliografia lì citata). A pro-posito di mito e storia: Erika Notti, Atlantide, Milano, Arcipelago, 2009 ela bibliografia lì citata; Facchetti-Negri-Notti Atlantis. Plato’s Memories ofthe Aegean Culture, in S. Papamarinopoulos, The Atlantis HypothesisSearching for a Lost Land, Athens, Heliotopos, 2005, pp. 259-266.

18 Alle possibili implicazioni astronomiche è espressamente dedicato ilcapitolo di Leonardo Magini.

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Mario Negri • Erika NottiOMERO E il MARE

1. Di giORNO E Di NOttE

Nel mondo omerico è il sole a cadenzare la maggior partedelle attività umane (e, per riflesso antropomorfico, anche di-vine). All’alba i protagonisti – dei o eroi – si alzano, si spostano,mangiano, combattono. Al tramonto inizia il tempo del riposo,anche se, com’è del resto naturale, in modo meno netto diquanto non avvenga simmetricamente all’alba (Il., i, 475 ss.,601 ss.; Od., ii, 1 ss., iV, 306 ss. ecc.). il tramonto segna il mo-mento in cui conviene levarsi da tavola, libare agli dei, e poiprepararsi alla notte. Ma ancora c’è tempo per banchettare (Od.,iii, 385 ss.). Soprattutto, è ammesso ascoltare anche di nottecanti e racconti:1

Questa è una notte assai lunga, indicibile: non è ancora tempoper dormire nella gran sala. tu dimmi le imprese meravigliose.

1 Per pura elezione estetica degli autori le citazioni sono tratte dalletraduzioni di Aurelio Privitera (Odissea) e Rosa Calzecchi Onesti (Iliade).

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Anche fino all’aurora divina starei, se volessinella sala narrarmi le tue sventure

(Od., Xi, 373-6; cfr. XV, 392 ss., ecc.).

Ma alla notte sono riservate naturalmente le attività furtive:la spedizione notturna di Odisseo e Diomede, e quella simme-trica di Dolone (Il., X, 272 ss.: ma tutto il canto decimo è not-turno, a partire dalla veglia di Agamennone, 3 ss., e di Menelao,25 ss.); il Sogno che irretisce Agamennone all’inizio del cantosecondo; la strage dei troiani compiuta dagli Eroi usciti dal ca-vallo (Aen. ii, 250 ss.).2 Naturalmente, però, anche l’amore le-gittimo appartiene alla notte: perché la coniugalità tanto attesadi Odisseo e Penelope non ne ecceda i confini, Atena fermal’aurora, non le lascia aggiogare i cavalli (Od., XXiii, 240 ss.).Elena reagisce con sdegno al laido suggerimento di Afrodite,di andare a letto di giorno con Paride, ingloriosamente scam-pato al duello con Menelao (Il., iii, 390 ss., in particolare 410-2). Diurno è così l’amplesso ingannatore di Era con Zeus in Il.,XiV, 159 ss. (con finti problemi di pudicizia legati al tempo eal luogo: 330 ss.). Pericolosamente diurni, e così scorti dal Sole,quelli di Ares e Afrodite (Od., Viii, 266 ss.).

Ma è soprattutto il giorno il tempo per combattere: sì che,quando Zeus, in Il., XVii, 645-7, oscura il campo di battagliacon una tetra caligine, Aiace gli chiede di morire sì, ma nellaluce, in un passo giustamente citato come specimen di sublimitàdallo Pseudo-longino.3

Fa eccezione, però, e vistosamente, rispetto a questo quadrocoerente e peraltro del tutto realistico e atteso, il regime che ca-

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2 E vd. anche le riflessioni “astronomiche” di Servio (ad locum).3 iX, 10.

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denza i viaggi per mare. in questa specifica attività – ovvia-mente rappresentata soprattutto nell’Odissea – infatti non sem-bra, almeno a nostro giudizio, possibile cogliere dellesignificative coerenze fra i contesti in cui viene scelta la navi-gazione notturna rispetto a quella diurna (fatti salvi i casi dipartenze furtive: per tutti, quella di telemaco per Pilo in Od.,ii, 388 ss.). in tutta l’Odissea l’unico luogo in cui si nega l’op-portunità di navigare di notte è in Xii, 279 ss.: ma chi lo af-ferma è il peggiore dei compagni di Odisseo, lo sciaguratoEuriloco. Non abbiamo, sempre a nostro vedere, a disposizioneuna buona spiegazione di questo fatto, anche se, come ognunoche, realizzando l’augurio di Nikos Kazantzakis, abbia navigatoper l’Egeo ben sa, i venti etesii in estate – e cioè nel tempo al-lora per navigare, vd. oltre – sogliono cedere al tramonto, e rin-frescare al mattino (ovviamente, queste sono le caratteristichedella meteorologia di oggi). Comunque sia però da spiegarsi ilfatto, resta che la possibilità di navigare di notte nel mondoomerico non è in dubbio. il che apre il tema del problema del-l’orientamento.

2. ORiENtAMENti

i diversi tipi di navigazione (ai tempi di Omero non menoche ai nostri, quanto almeno ai problemi posti) danno per laloro natura luogo a soluzioni diverse. Per la navigazione a vista(o costiera) diurna, l’orientamento è fatto soprattutto sulla basedell’osservazione di punti cospicui sulla costa: ne dà l’esempiomigliore la navigazione lungo la costa occidentale del Pelopon-neso, nel viaggio che riporta telemaco da Pilo a itaca (Od., XV,282 ss.):

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superarono il Cruni e il Calcide dalla bella corrente ...

Anche se non è da credere che, vista dal mare, e mancandodi ogni documentazione nautica, la costa sia sempre facilmenteleggibile, è evidente che questo tipo di navigazione diurna sifonda sulla conoscenza, anche tradizionale, di riferimenti co-stieri (la citazione di fiumi fa anche pensare a luoghi atti al ri-fornimento d’acqua dolce). Se la notte è serena e non illune(Od., iX, 142 ss.), non è impossibile discernervi, anche in que-sto tempo, la linea costiera. in effetti la navigazione di tele-maco verso nord procede anche dopo il tramonto del Sole versoitaca:

il Sole calò, e tutte le strade s’ombravano.Sospinta dal vento di Zeus, la nave puntò verso Feae lungo l’Elide chiara, dove hanno potere gli Epei ...

(Od., XV, 296-8) 4

Ma in parte la navigazione costiera notturna, e comunque amaggior ragione quella d’altura, impongono la capacità diorientarsi sul mare senza riferimenti da terra: in altre parole, diindividuare i punti cardinali e la rotta rispetto a quelli da unlato, dall’altro di conoscere, anche approssimativamente, lapropria posizione (il “punto”). Questo secondo problema che,com’è noto, è stato il più arduo a risolversi nella storia dellanavigazione fino, si può dire, alla prima metà del XiX secolo,5

ovviamente eccedeva le risorse di un marinaio dell’Età delBronzo. il primo, invece, non doveva essergli – almeno in

votis – estraneo.

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4 Si noterà che – realisticamente – manca ogni riferimento alla costanel viaggio di andata, che è tutto notturno (Od., ii, 408-34, iii, 1-5).

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tutti sanno che il sole percorre il suo cammino nel cielo sor-gendo a levante (per il punto di osservazione di un greco, èquesto il significato di Anatolia), calando a ponente, e culmi-nando a mezzogiorno. Crediamo ragionevole supporre cheOmero ben sapesse che il mezzodì è l’ora in cui l’ombra di unpalo infisso in terra è più breve,6 e che andando verso la sera leombre si allungano: maioresque cadunt umbrae ... Ed è altresìverisimile che altrettanto ben già fosse noto allora che, andandoverso l’estate, quell’ombra di mezzodì è sempre più breve, finoa giungere al suo punto minimo, quando il Sole raggiunge ilsuo punto più alto nel corso dell’anno (che è il tempo che noichiamiamo “solstizio d’estate”, e che oggi cade il 21 giugno).E forse ancora non è troppo audace pensare che anche si sa-pesse che la direzione di quell’ombra, giunta nel momento diminor lunghezza, indica il nord,7 e che il Sole sorge esattamente

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5 la scoperta della “retta altezza” – che consente di determinare con-testualmente latitudine e longitudine – è stata fatta dal capitano della Marinastatunitense th. H. Summer, che ne pubblicò la notizia nel 1843. Solo perònel 1874 fu scoperto il sistema a tutt’oggi in uso da parte del comandanteM. Saint-Hilaire. Mentre la determinazione della latitudine con meridianadi Sole e con osservazione di Polare (vd. oltre) è in effetti un metodo asso-lutamente affidabile, la longitudine – anche dopo la costruzione di crono-metri marini affidabili – determinata con l’osservazione della meridiana diSole poneva comunque problemi (tanto è vero che in molti manuali di na-vigazione astronomica non viene neppur presa in esame). Sulla materia puòessere consultato il Manuale dell’Ufficiale di Rotta dell’istituto idrograficodella Marina, genova 2006, o l’ottimo Manuale di navigazione astrono-mica semplificata di F. Di Franco (Milano, Mursia, 1997). Sul problemadella longitudine si segnala D. Sobel, Longitudine, Milano, BUR, 1999-2006 (ed. it. di D. S., Longitudine, Walker Publishing Company inc.,U.S.A., 1995).

6 l’uso dell’ombra per misurare altezze di oggetti è attribuito a talete.7 Va ricordato il sistema indiano per tracciare la congiunzione Est-

Ovest grazie all’osservazione delle ombre di due paletti infissi sul tracciatodi una conferenza: vd. al cap. 1, pp. 47-8.

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a Est e tramonta esattamente a Ovest solo in due momenti del-l’anno, e precisamente agli equinozi. in ogni altro giorno del-l’anno l’aurora e il tramonto sono spostati rispetto ai due punticardinali, e questo spostamento (che tecnicamente si chiama“amplitudine”) aumenta via via avvicinandosi la data dei duesolstizi.8 Ora, poiché il solstizio d’estate era, già ai tempi diEsiodo,9 al centro del periodo considerato propizio per la navi-gazione, l’orientamento Est-Ovest per un marinaio greco nondoveva coincidere con i punti in cui vedeva sorgere e tramon-tare il Sole, ma se ne scostava anche sensibilmente: per esem-pio, alla latitudine di itaca (38° 30’ N circa) il Sole al solstiziod’estate del 2011 è sorto ca. a 60° (rispetto all’Est che si trovaa 90°), e tramontato ca. a 300° (rispetto ai 270° dell’Ovest).10

Questa considerazione può forse corroborare l’idea, già di Stra-bone, che lo ζόφος, indicato da Odisseo come la direzione versocui si trova itaca, in uno dei passi più difficili dal punto di vistageografico proposto dall’Odissea

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8 Sul tema: M. Negri, Navigare senza navigatore, Milano, Arcipelago,2011. Questa oscillazione, che alla latitudine della grecia copre un arco dica. 60°, potrebbe essere alla base delle diverse assialità dei templi greci.

9 Sul calendario astronomico di Esiodo vd. g. Schiaparelli, Scrittisulla storia della astronomia antica, Milano, Mimesis, 1998, ii, pp. 245-6;A. Aveni, Gli imperi del tempo, Bari, Dedalo, 1993; M. l. West, HesiodWorks and Days, Oxford, Clarendon Press, 1978, p. 381; P. Janni, Il maredegli Antichi, Bari, Dedalo, 1996, pp. 107-22 (e vd. anche al cap. 1, p. 63).È di grande interesse ritrovare in miceneo il nome po-ro-wi-to-jo Plowistoiodi un mese, evidentemente dunque definito “della Navigazione” (:πλέω,πλόος; e cfr. l’antroponimo Euplowos (PY tn 316.1: F. Aura Jorro, DMicii, pp. 150-1).

10 infatti la formula per ricavare l’amplitudine, sia di alba, sia di tra-monto, è: sin amplitudine = sin declinazione/cos latitudine. Vd. Negri 2011pp. 24-5, 73-7.

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α7τÈ δè χθαμαλÈ πανυπερτάτη ε4ν !λì κεîταιπρòς ζόφον, α$ δέ τ’ çνευθε πρòς 3Ô τ’ 3έλιόν τε,

(iX, 25-6)11

non sia il “ponente”, dove invece si trova, rispetto a quella, Ce-falonia (fig. 22), secondo ogni verisimiglianza la Σάμη omerica,bensì il luogo del cielo “oscuro”: dunque, visto da terra, quelpunto a mezzo fra Ovest e Nord in cui, d’estate, appunto tra-montava il Sole.

Che l’orientamento diurno fosse fatto sul Sole non è natu-ralmente dubbio: tanto che, quando Odisseo con la sola navesuperstite della sua piccola flotta giunge all’isola Eea, per si-gnificare di aver perso ogni riferimento dice

o amici, non sappiamo dov’è l’occidente e l’aurora, dove va sotto terra il sole che dà luce ai mortali, e dove risorge ...

(Od., X 190-92)12

Anche i venti, però, possono dare indicazioni sull’orienta-mento (benché alla loro volta ne dipendano). Nel mondo ome-

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11 A. Privitera traduce: “Bassa nel mare essa giace, ultima / verso oc-cidente - le altre a parte, verso l’aurora e il sole”. Su questo tormentatissimopasso vd., oltre al commento nell’ed. “Valla”, a. l., M. Negri, Sul mare colordel vino, Milano, Arcipelago, 2008, pp. 60-3. Non è impossibile che l’ag-gettivo cqamalóV stia alla base dell’epiteto virgiliano humilis detto dellacosta laziale (Aen. iii, 522-3). Onde Dante (Inf., i, 106). Ma i tre epiteti,ancorché correlati tanto dall’etimologia, quanto dall’imitazione poetica,hanno valori completamente diversi.

12 Echi in Orazio: O fortes peioraque passi / mecum saepe viri ... (Odi,i, 7, 31-2)? Un altro interessante riferimento ai moti del Sole è in Od., XV,404, dove l’isola Siria è collocata ›Oρτυγίης καθύπεrθεν, ÷θι τροπαì3ελίοιο: vd. anche al cap. 1, p. 41.

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rico (e anche più tardi) i venti principali si disponevano nelmodo seguente:13

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13 Cfr. Ov. Met., 61-6: Eurus ad Auroram Nabataeaque regna recessitPersidaque et radiis iuga subdita matutinis;vesper et occiduo quae litora sole tepescunt,proxima sunt Zephyro; Scythiam septemque trioneshorrifer invasit Boreas; contraria tellusnubibus adsiduis pluviaque madescit ab Austro.

la provenienza trace di Zefiro e Borea in Il. iX, 5, è perfettamente com-patibile con la troade come punto di osservazione.

14 Sulla materia vd. p. es. R. Ritossa, Meteorologia del Mediterraneoper i naviganti, Verona, il Frangente, 2008 (ed. it. di Mediterranean Wea-ther Handbook for Sailors, St ives, imray laurie Norie & Wilson ltd, s.d.).Sulle rose dei venti nell’antichità S. Medas, De Rebus Nauticis. L’arte dellanavigazione nel mondo antico, Roma, «l’Erma», 2004, pp. 48-62.

BOREA (Nord)

ZEFIRO (Ovest) EURO (Est)

NOTO (Sud)

Ma non va dimenticato che, almeno nella meteorologia at-tuale del Mediterraneo, i venti dominanti tendono a provenirepiuttosto da direzioni intermedie rispetto ai punti cardinali,dando così luogo alla partizione di otto “venti” delle rose più an-tiche: così il grecale soffia da NE, lo Scirocco da SE, il libeccioda SW e il Maestrale da NW. Soprattutto i venti dei quadrantisettentrionali vengono fortemente influenzati dall’andamentodella costa (compresi i canali fra le isole), e assumono direzionie nomi specifici delle diverse zone marine in cui spirano (mistral

nel golfo del leone, bora a trieste, meltemi nell’Egeo).14 Nonpensiamo dunque di scostarci molto dal vero – coniugando

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l’esame dei passi odisseici interessati a una non sporadica espe-rienza in vivo – ritenendo che sotto il nome omerico di Βορεάςsi celi quello che noi oggi chiamiamo – con il nome turco cheha sostituito il classico èτέσιοι – meltemi (figg. 23,24). Questovento, che ruota da NE a NW a seconda della direzione dei ca-nali in cui precipita, è impetuoso, spesso raggiungendo forzadi burrasca, d’estate – dunque nel tempo della navigazione an-tica – e così “perde” le navi (non quelle di oggi, naturalmente,ancorché possa anche ostacolare la navigazione dei grandi tra-ghetti) nel Mediterraneo meridionale, verso Creta e oltre,quando queste perdono la protezione del Capo Malea, e cioèdel Peloponneso (Od., iii, 286 ss., iV, 514 ss., iX, 67 ss. ecc.).Ma questi venti, che di norma non sollevano molto il mare, etendono a calare la sera, erano anche il grande motore eolicodelle circolazioni commerciali fra le sponde del Mediterraneoorientale: ne è qui memoria nella navigazione da Creta al-l’Egitto (Od., XiV, 252 ss.), e dalla Fenicia alla libia (cioèall’Africa: XiV, 290 ss.). E, se non è ancora una volta il nostrosoggiacere al genius loci che spira dall’Odissea, vorremmo solorilevare che lo Zefiro che solo Eolo fa spirare per ricondurreOdisseo in patria dall’isola Eolia è il vento che, provenendo daponente, l’esperienza marinara poteva conoscere come quellopropizio per tornare a itaca e alle isole ionie per quella naveche l’avesse lasciate a levante (Od., X, 25). Quanto al suo re-gime, nonostante Petrarca

Zefiro torna e ’l bel tempo rimena15

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15 Canzoniere, 310, 1. Cfr. p. es. Par. Xii, 46-8; lucr., Nat., V, 736.Nell’Eneide Zefiro è ricordato tre volte: in i, 131 e ii, 417, come vento im-petuoso e burrascoso; in iii, 120, invece come benigno. Col nome di Fa-vonius in Orazio segna la fine dell’inverno e l’inizio del tempo navigabile(Odi i, 4; e il Noto in i, 7, vv. 15-7, porta il sereno).

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in cui riecheggia una vastissima ma anche ambigua tradizioneclassica, in Omero è anche capace di portare pioggia e bruttotempo (Il. iX, 4-7; Od., XiV, 457 ss: è la brutta notte passatada Eumeo all’addiaccio accanto ai porci). Ancora, ma sono soloexempla e forse suggestioni, Euro e Noto, soffiando per un in-tero mese sulla trinachia, impediscono a Odisseo di salpare(Od., Xii, 325-26): uno Scirocco dell’età del Bronzo?

Ma è sull’orientamento notturno, all’interno di una naviga-zione di grande altura, che Omero ci dona le indicazioni piùpreziose. Salpando da Ogigia, infatti

dov’è l’ombelico del mare (Od., i, 50)

Odisseo, seguendo le istruzioni di Calipso, tiene la rottaverso levante, osservando le costellazioni e, in particolare,l’Orsa:

guardando le Pleiadi, Boote che tardi tramonta,e l’Orsa che chiamano anche col nome di Carro,che ruota in un punto e spia Orione:è la sola esclusa dai lavacri di Oceano16

gli aveva ingiunto Calipso, chiara fra le dee, di far rotta avendola a manca (Od., V, 272-7)17

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16 Alla latitudine della grecia Boote non è circumpolare (condizioneche raggiunge per un osservatore che si trovi a una latitudine superiore ai50° N).

17 Sul passo dell’Odissea si può leggere l’ampio commento di J. B.Hainsworth, alle pp. 169-72 dell’ed. “Valla”, vol. ii, 1987 (e la bibliografialì citata: cui però adde Janni 1996, in particolare pp. 67-9; g. Chiarini, Icieli del mito, Reggio Emilia, Diabasis, 2005, in particolare pp. 42-5). Con-tinuiamo a pensare che, oltre che da Ovidio, anche di qui abbia tratta ispi-razione il d’Annunzio per il bellissimo notturno che chiude L’oleandro:

impallidisce sotto il pianto il coro delle Pleiadi e l’una d’elle è occulta, l’una che seppe la felicità. Orione si slaccia l’armatura,

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Questo celebre passo odisseico è in buona parte parallelodella descrizione del cielo stellato in Il., XViii, 486-9, ma nediverge su due punti, a nostro giudizio non senza rilievo: nelcielo iliadico, infatti, stanno anche le iadi, e Orione è citatoespressamente in praesentia;

le Pleiadi, l’iadi e la forza d’Orionee l’Orsa, che chiamano col nome di Carro:ella gira sopra se stessa e guarda Orione,e sola non ha parte dei lavacri d’Oceano

mentre, come sopra si legge, nel notturno dell’Odissea man-cano le iadi, compagne nel cielo delle Pleiadi, Orione è citatosolo in relazione all’Orsa e, soprattutto, appare Boote, la cuistella più luminosa, Arturo, riveste grande rilievo nei calendariantichi.18

Ma cosa guardava esattamente Odisseo? Probabilmente nonla Polare, come facciamo noi (che al “suo” tempo19 era menovicina al Nord di quanto non lo sia ora, ancorché la tradizionevoglia che talete esortasse i naviganti a utilizzare per orientarsila “stella fenicia”, cioè appunto la Polare), ma – almeno ci sem-bra, nonostante Janni,20 l’ipotesi migliore – un “polo Nord ce-

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e Boote si volge, e Cinosura vacilla; e l’Orsa anche impallidirà Oblia la Notte tutte le sue stelle (vv. 469-75).18 Vd. Schiaparelli 1997, pp. 245-6. Janni 1996, pp. 107-22.19 il possessivo è, di necessità, ambiguo: sui “due” tempi di Omero vd.

M. Negri, “i grandi classici greci e latini” del Corriere della Sera: i volume:l’Iliade a c. di giovanni Cerri, in “Polifemo” i, (2009), p. 315-8.

20 “Né i greci né i Romani ebbero mai il concetto di ‘stella polare’,sebbene α Ursae Minoris fosse ben visibile per loro come per noi... Al mas-simo i Fenici, più attenti dei greci, si valsero della costellazione dell’Orsaminore, meno cospicua ma più precisa come indicatore del nord” (p. 68).E, poco sopra: “Ulisse bada semplicemente ad avere l’Orsa Maggiore a si-

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leste”, situato fra le due Orse e attorno al quale esse “ruota-vano”, che, per una navigazione “per parallelo”21 approssima-

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nistra, ciò che gli assicura una rotta molto approssimativamente per est”(p. 67). ”

21 Ai “tempi di Omero” (vd. ad n. (19)) la Polare distava circa 4° dalPolo settentrionale (rispetto alla posizione attuale, che è a poco meno di1°), e così competeva con thuban (α Draconis) per il ruolo di astro indica-tore del settentrione (Ov., Met. ii, 173). l’idea del ruotare delle Orse attornoa un punto – cioè il Nord – torna, dopo Omero, in Arato, Phaen., 26-7. Ovi-dio (Met. Xiii, 292-4) riprende la descrizione del cielo nella versione ilia-dica:

Oceanum et terras cumque alto sidera caelo Pleiadasque Hyadasque inmunemque aequoris Arcton diversosque orbes nitidumque Orionis ensem.

Sull’Orsa e Boote vd. ancora Ov. Met. X, 446-7. Sul contrasto a scopoastronomico fra le due Orse Arato, Phaen., 37 – per l’Orsa Maggiore – 42– per la Minore, e il suo uso presso i Fenici; Strab. i, 1.6 Una descrizionedi grande interesse della tecnica di navigazione “per parallelo” in lucano,Phars., Viii, 167-84:

‘signifero quaecumque fluunt labentia caelo, numquam stante polo miseros fallentia nautas, sidera non sequimur, sed, qui non mergitur undis axis inocciduus gemina clarissimus Arcto, ille regit puppes. hic cum mihi semper in altum surget et instabit summis minor Vrsa ceruchis, Bosporon et Scythiae curuantem litora Pontum spectamus. quidquid descendet ab arbore summa Arctophylax propiorque mari Cynosura feretur, in Syriae portus tendit ratis. inde Canopos excipit, Australi caelo contenta uagari stella, timens Borean: illa quoque perge sinistra trans Pharon, in medio tanget ratis aequore Syrtim.

(Sul nome Cynosura dell’Orsa Minore (cioè “Coda del Cane” di Boote)cfr. anche Ov., Fasti, iii, 107 ss.). in questo straordinario – dal punto divista della storia della navigazione, beninteso – passo di lucano l’Orsa Mi-nore prevale già nettamente sulla Maggiore come punto di orientamento:si noti l’implicita affermazione secondo cui la latitudine dell’osservatorecorrisponde, a un dipresso, all’altezza osservata dell’Orsa Minore (dal no-

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tiva come allora non poteva che essere, avrebbe fornite indica-zioni attendibili durante il corso della notte, nell’attesa, natu-ralmente, del Sole.

2. ROttE

Un senso di sventura imminente incalza gli Eroi, ne ottundeil giudizio. i due Atridi capeggiano le avverse fazioni, Agamen-none vuole trattenersi ancora a troia, per placare lo sdegno diAtena con sacrifici, Menelao spinge per un immediato ritorno.Dopo una notte di conflitti, parte degli Achei segue Menelao,facendo rotta su tenedo (nunc, per i turchi, Bozcaada)22 dovesacrificano (fig. 25). Di lì Odisseo si stacca con alcune navi,23

e torna sulla costa della troade, per compiacere Agamennone.gli altri, fra cui Nestore (dal quale siamo informati, insieme a

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stro punto di vista, naturalmente, meglio quella della Polare): dunque, tantopiù alta è l’Orsa, tanto più la nave naviga lungo un parallelo settentrionalee, seguendolo, giunge (tenenendola, come Odisseo, sulla sinistra) in unpunto del Mediterraneo orientale situato sulla sua stessa latitudine. È questa,appunto, la navigazione astronomica “per parallelo” che, in un mare chiusocome il Mediterraneo, consente comunque di arrivare nel punto prescelto(ovviamente, con tanta più approssimazione, quanto più è approssimata lastima della latitudine dell’osservatore). Dal punto di vista della storia dellanavigazione astronomica, si noterà che questa strategia di orientamento pre-scinde dalla determinazione della longitudine (accettando ovviamente dinon stimare la distanza da percorrere) e, di conseguenza, può essere svoltacon piena affidabilità sulla base dell’osservazione dell’altezza del Sole almezzodì locale (tecnica nota già dalla fine del XV s. d.C.) e, ovviamente,della Polare. Sulla materia rinviamo al cap. 1, pp. 54, 56.

22 Su tenedo vd. J. Anglès-M. Magni, Guida ai mari di Grecia e Tur-chia, Bologna, Zanichelli, 1993, pp. 235-6.

23 Secondo il Catalogo (ii, 637), Odisseo conduce a troia dodici navi:ma la sua piccola flotta si riduce nel corso del ritorno doloroso, e l’Eroegiunge solo, e portato dai Feaci, a itaca.

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telemaco, di questi movimenti: Od., iii, 130 ss.), Diomede eMenelao si ritrovano una trentina di miglia più a Sud, a lesbo,donde, dopo un consulto, e avuto l’assenso del dio, decidonodi tagliare il mare per geresto, in Eubea, invece di costeggiaretenendo Chio sulla dritta: scelta che si rivela felice per Nestoree (almeno nella tradizione omerica) anche per Diomede;24 nonper Menelao, che al Sunio si separa da Nestore per la pietas

verso il suo pilota, Fronti, ucciso da Apollo,25 e, ripartito, vienecolto da una terribile tempesta al fatale Capo Malea (fig. 26), esospinto prima a Creta, e poi giù fino all’Egitto (Od., iii, 276-300: il racconto delle sue avventure in questo estremo sud delmondo omerico in Od., iV, 351 ss.). Dunque, i tre Eroi avevanoscelta la rotta più diretta per traversare dalla troade fino al Pe-loponneso, quella che da lesbo, in meno di cento miglia, con-duce all’Eubea. Diversa idea doveva invece aver avuta Odisseo,che ritroviamo prima a troia poi a ismaro (Od., iX, 39-40), (fig.

27), nel paese dei Ciconi, già noti nell’Iliade come alleati deitroiani, e che Erodoto (Vii, 59) localizza presso l’Ebro (dun-que vicino all’odierna Alexandroupoli), e Pindaro conoscecome traci.

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24 Una conferma, ma solo indiretta, del buon rientro di Diomede a ti-rinto, dalla fedele (in questa versione) moglie Egialea, può essere trattadalla sua assenza nella nekyia di Od., Xi, 23 ss. Diversamente Pausania ri-ferisce una versione del νόστος di Diomede secondo cui, forse neppure en-trato in città, ma sbarcato a trezene, dove avrebbe consacrato un tempioad Apollo Epibaterio, l’Eroe sarebbe stato scacciato dall’amante della mo-glie, e si sarebbe recato prima in Etolia e poi in italia traversando l’A dria -tico. in Daunia avrebbe sposata Evippe, figlia del re apulo Dauno. la suatomba sarebbe nelle tremiti, e i suoi compagni, trasformati in uccelli ma-rini, riempiono il cielo con strida di dolore, piangendo l’Eroe. Questa ver-sione di un νόστος infelice ne attribuisce la causa alla sua colpa di averferita Afrodite (Il., V, 330 ss.).

25 Cioè morto ex improviso, senza cause.

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Cosa ha spinto l’Eroe tanto a Nord? Non dovrebbe essernestata causa il vento, nonostante la suggestione della forma pas-siva con cui egli stesso descrive il suo giungervi “portato dalvento”,26 perché l’avventura ciconia ha tutta l’aria di una scor-reria già programmata – e finita male. D’altro canto, è quella,lungo la Chersoneso trace, la rotta seguita secoli dopo dallaflotta di Serse (Hdt. Vii, 22, 59, 108-23). Sconfitti dai Ciconi“dell’interno”, venuti in aiuto ai loro vicini, i superstiti ripren-dono il mare e, dopo un avvio difficile, in diversi modi ostaco-lato da Zeus, onde, venti e correnti trascinano le navi oltre ilCapo Malea. Di lì Odisseo si perde nell’ignoto (Od., iX, 39 ss.)Se osserviamo una carta della grecia e dell’Egeo, vedremo su-bito che per tornare – ed è il grande tema dei νόστοι – dallatroade al Peloponneso (fig. 28) sono possibili due rotte princi-pali (con varianti al loro interno):

a) costeggiare, superando la bocca dei Dardanelli, e se-guendo la costa che s’inarca risalendo verso Nord e poi pie-gando sempre più marcatamente prima a NW, poi a W, infine aSW, fino a giungere all’Eubea, che sarà possibile costeggiaretanto scendendo dall’Artemisio lungo la costa di levante,quanto percorrendo lo stretto braccio di mare interno, che la se-para dall’Attica,27 lungo la sua costa di ponente (fig. 29). Questarotta, necessariamente con la più grande approssimazione, com-porta una percorrenza di almeno 400 mg (che aumenterebberosensibilmente ove si seguissero i capi e le rientranze della lineacostiera), e, almeno allo stato meteorologico attuale, non è par-

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26 Sulla capacità di una nave dell’Età del Bronzo di risalire il vento vd.appresso.

27 È il luogo evocato in un celebre passo dei Sepolcri: ... il navigante che veleggiò quel mar sotto l’Eubea ... (201-2).

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ticolarmente esposta – in estate almeno – al meltemi. tuttaviain prossimità della penisola nunc Akti, su cui s’innalza l’Athos,e cioè il primo “dito” partendo da Est della Calcidica, ora comeallora “attorno al monte Athos [occorre] fare particolare atten-zione alle raffiche di vento che possono creare un mare moltoagitato.28 Se torniamo alla rotta con cui Odisseo inaugura il suoνόστος doloroso, e se ha ragione Erodoto (Vii, 59) a collocarvii Ciconi presso l’Ebro (dunque in prossimità all’odierna Ale-xandroupoli, dove ai tempi dello storico si trovava la città diDorisco), non c’è dubbio che l’Eroe doveva trovarsi non lon-tano dall’Athos, quando

Contro le navi Zeus che addensa le nubi suscitò boreacon tremendo uragano, e con le nubi ravvolsee terra e mare: dal cielo era sorta la notte.Di traverso esse furono spinte, la forza del ventosquarciò loro le vele in tre e quattro lembi.Paventando la fine, le tirammo giù nelle navi,e spingemmo queste a forza di remi alla riva.

(Od., iX, 67-73)

Secoli dopo, l’Athos conserva la sua fama: Erodoto (Vi, 44,95) ricorda il disastro della flotta di Mardonio nella i guerrapersiana, e come l’anno dopo quella rotta pericolosa sia stataevitata, e dà notizia (Vii, 22, 37, 122) del canale fatto scavareda Serse per evitare di doppiare quella punta pericolosa (anchese l’appuntamento con Borea è solo rinviato: Vii, 189-92 sul

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28 R. Heikell, Grecia, Roma, Atlantis, 1992, p. 250; “corto e ripido” è,crediamo più realisticamente (ma non abbiamo esperienza personale delluogo), definito il mare da J. Anglès-M. Magni, Guida ai mari di Grecia,Bologna, Zanichelli, 1992, p. 293. Da notare che, alla base della penisolaAkti, è ancora riconoscibile il tracciato del canale di Serse, mentre un nuovocanale è stato scavato alla base della penisola Kassandra (la prima a po-nente: canale di Portas).

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disastro presso il Capo Sepia, sopra l’Eubea).29 Dunque questarotta, solo apparentemente più sicura perché tutta in vista diterra, presentava però due aspetti critici: la sua lunghezza e ladifficoltà di doppiare il promontorio dell’Athos. E infatti, perquanto sappiamo, è il solo Odisseo – forse spinto però da avi-dità e desiderio di saccheggio a spese dei Ciconi – a tentarla.tutti gli altri Eroi, infatti, scelgono la rotta alternativa, che ta-glia in mezzo l’Egeo.

b) Nestore in persona illustra a telemaco il percorso scelto,anche in base a un “suggerimento del dio”, per tornare in patria(Od., iii, 153-83)

Noi, all’alba, tirammo le navi nel mare lucente,imbarcammo gli averi e le donne dall’alta cintura.Metà dell’esercito, invece, rimase ad attendere là con l’Atride Agamennone pastore di genti:metà, imbarcatici, andammo. le navi correvanomolto veloci: un dio spianò il mare dai grandi abissi.Arrivati a tenedo facemmo sacrifici agli dei,bramosi di giungere a casa: ma Zeus non pensava al ritorno,spietato! che di nuovo suscitò una maligna contesa.Alcuni, voltate le navi veloci a virare, tornaronocol valente astuto Odisseo signoredall’Atride Agamennone, per fargli piacere;invece io, con le navi che mi seguivano in frotta,fuggii, perché comprendevo che il dio pensava sventure.Fuggì il figlio bellicoso di tideo, e incitava i compagni.tardi, dopo di noi, si mosse il biondo Menelao,e ci trovò a lesbo, che studiavamo il lungo viaggio, se far rotta sopra Chio dirupata

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29 tuttavia in Vii, 24, Erodoto suggerisce che la grande opera sia statacompiuta da Serse più per dare un segno della sua grandezza che per unareale utilità, poiché le navi avrebbero potuto essere traghettate con facilitàoltre l’istmo.

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verso l’isola Psiria,30 avendola a manca,o sotto Chio vicino al Mimante ventoso.Chiedemmo che il dio ci mostrasse un prodigio: e luilo mostrò, e ci spinse a tagliare la distesa a metàper l’Eubea, per sfuggire il più presto al pericolo.Si mise a soffiare uno stridulo vento: le navi correvanomolto veloci sulle rotte pescose, e approdammodi notte a geresto. Offrimmo a Posidonemolti cosci di tori, per aver superato il gran mare.Era il quarto giorno quando i compagni del tidide Diomedeche doma i cavalli arrestarono le navi libratead Argo: invece io le tenni su Pilo, né mai si spenseil vento ...

Come chiaramente ci dice Omero, la contesa fra gli Eroi nonconcerneva dunque la via del ritorno – che doveva essere paci-ficamente questa seconda – ,31 bensì i tempi – e le ritualità –delle partenze. Oggi nessuno, con una carta nautica in mano,potrebbe esitare fra le due opzioni: la rotta che taglia diretta-mente da lesbo all’Eubea è considerevolmente più breve diquella che costeggia all’interno Chio (ca. 90 mg contro 140),e, peraltro, si percorre con il meltemi che, soffiando in quellazona – almeno oggi – dell’Egeo prevalentemente da N (NE/W),asseconda della stagione, incide sulle vele con un angolo piùche favorevole (per noi oggi, e in parte anche per una nave di

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30 Nunc Psara.31 Delle vicende del ritorno di Agamennone siamo informati da Od.,

iV, 512 ss., in cui si riferisce che, protetto da Era, Agamennone giunge alCapo Malea (non meno dell’Athos luogo pericoloso e funesto) e di lì unatempesta lo strascina 1groû 2p’ 2scatiÉ” dove un tempo abitava tieste,e dopo di lui, come per ironia della sorte, Egisto. Per l’identificazione delquale vd. il commento della West nell’ed. “Valla”, a. l.

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allora).32 inoltre, circa a metà della traversata – e la cosa eraevidentemente nota alla marineria del tempo – s’incontra l’isolaPsiria, che sulla costa Sud ha un buon ridosso per il meltemi (inrealtà, il viaggio avrebbe potuto essere diviso in due facendoscalo proprio a Psiria). Per contro Chio è troppo a Sud, uscen-done per il mare aperto dalla sua sponda meridionale, per pro-fittare utilmente di questo riparo (anche se, va detto, nel suocanale i venti, pur non frequentemente forti, spingerebbero ot-timamente una nave predisposta – come comunque erano quelledel tempo – alle andature portanti verso il mezzogiorno). tut-tavia, crediamo non dubbio che la scelta, poi risolta nel modomigliore, che agitava gli Eroi non fosse che il riflesso della dif-fidenza profonda che provavano i marinai egei nei confrontidel mare aperto, e del loro istintivo desiderio di tenersi, perquanto possibile, sottocosta.33 Ed è lungo la costa che, non acaso, si svolgono tutte le altre rotte “storiche” dell’Odissea (inparticolare i rientri di Diomede, Agamennone e Nestore34 versoil Peloponneso, e il viaggio di telemaco da itaca a Pilo, e ri-torno). Anche per questo doppiare felicemente il Capo Maleasignificava navigare, di lì in avanti, in franchia, protetti dalvasto ridosso del Peloponneso. Ed era lì che, però, il vento delnord (Βορéhς per Omero, meltemi oggi per noi) poteva trasci-nare una nave verso il mare aperto, fino a Creta e, oltre, giù

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32 Sulla possibilità di una nave egea di “stringere” il vento concordiamocon quanto scrive i. Ruffoni nell’Appendice a M. Negri 2008, pp. 117. Nefa cenno anche Janni 1996, pp.97-8, 409 ss.

33 A torto Janni 1996, pp. 98-9, ritiene che la scelta di non costeggiareChio sull’interno discenda dal timore “di trovarsi con una costa sottovento”,cioè quella anatolica. Nel canale di Chio i venti sono prevalentemente set-tentrionali, e l’isola costituisce un sicuro ridosso rispetto a un eventuale –e poco probabile – insorgere di un vento da ponente. Peraltro, Od., iX, 67-73 ben dà conto del comportamento di un equipaggio egeo in circostanzepericolose in prossimità della costa.

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fino ai confini meridionali del Mediterraneo, in Egitto: comeaccadde a Menelao.

3. tEMPi E PERCORSi (fig. 30)

tre passi dell’Odissea ci danno informazioni sui tempi dipercorrenza di tratti di mare di cui possiamo determinare l’am-piezza:

a) il viaggio di telemaco da itaca a Pilo (fig. 31). Atteso cheoggi, crediamo, nessuno più ragionevolmente dubiti che la Piloomerica sia da identificarsi con il palazzo di Epano Englianòsin Messenia e che, con ogni verisimiglianza, sia la baia di Voi-dochilià il luogo in cui approda, dopo il suo viaggio notturno,telemaco,35 possiamo calcolare in ca. 89 mg la distanza copertapartendo da itaca al tramonto (Od., ii, 388) e giungendo all’albaa Pilo (iii, 1-5). Resta però naturalmente da chiederci quantosia stata lunga quella notte. Ben consci della pericolosità delcammino in cui ci inoltriamo, ma altrettanto convinti della li-ceità di percorrerlo, si potrebbe azzardare, ovviamente senzasuperare in alcun modo il rango della semplice ipotesi di lavoro,che il viaggio potrebbe essersi svolto verso la fine di ottobre: èquesto infatti il tempo che meglio concilia a) il dato indubbioche la scena principale dell’Odissea non pare alludere a un’am-

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34 Anche teucro, fratellastro per parte di padre di Aiace, come lui figliodi telamone, ritorna in patria, a Salamina (per incidens, ora confermatacome terra micenea, e omerica secondo il Catalogo, da un grande palazzoaffacciantesi sul mare dal suo lato sud): ma ne è scacciato dal padre e, inesilio, giunge a Cipro, dove fonda una nuova Salamina: ne resta una ma-gnifica memoria poetica in Orazio (Odi i, 7, vv. 21-32).

35 Su questa identificazione M. Negri, Strabone e la geografia del Pe-loponneso miceneo, ora in ΙΣΤΙΑ ΛΕΥΚΑ, Alessandria 2010, pp. 211-45(in partic. p. 237).

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bientazione estiva (p. es. vd. la scena della “brutta notte” pas-sata da Eumeo in Od., XiV, 457 ss., già esaminata, o l’uso co-mune di coprirsi la notte, e non solo, con mantelli di lana: p.es. Od., XX, 95) b) il fatto che le Pleiadi, Boote e Orione “aitempi di Omero” erano visibili contemporaneamente dalla metàdi agosto alla fine di ottobre c) la necessità, per rendere, se nonverisimile, almeno però non impossibile la descrizione del viag-gio stesso, di disporre di un tempo notturno il più lungo possi-bile. Per esempio alla latitudine di 40° (itaca come già si è visto,è intorno ai 38° 30’ N) nel 2011 il Sole è tramontato alle ore17.23 ed è sorto alle 06.09 intorno alla metà di quel mese36

(quindi si sono avute ca. 12 ore e mezza di buio), mentre allafine dello stesso ottobre il tramonto è stato alle 16.58 e l’albaalle 06.22. Nel primo caso, dunque, la velocità della nave ditelemaco avrebbe dovuto essere di ca. 7,1 nodi, nel secondodi 6,8.

b) la traversata da lesbo a geresto di Nestore, Diomede eMenelao. la distanza è suppergiù la stessa (ca. 86 mg, per larotta più breve scelta dagli Eroi), ma Omero qui non specifical’ora della partenza. ipotizzando che si fossero, com’è del tuttocoerente con le abitudini del tempo, vd. sopra (e, peraltro, conogni buona prassi nautica, di fronte a una traversata che dovevaessere avvertita come estremamente impegnativa), mossi al-l’alba, l’arrivo è di notte, ma non sappiamo quanto avanzata.Come già aveva notato il Palmer,37 i due viaggi sono, per tempoimpiegato e distanza coperta, sostanzialmente simmetrici (e,così, testimoni di coerenza interna al racconto).

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36 Ora solare al meridiano di greenwich, riferita alla latitudine di 40°N. Essendo itaca a 20° 40’ E, i tempi del tramonto e dell’alba sono antici-pati, rispetto all’ora Ut, di ca. 23’.

37 l.R. Palmer, Minoici e Micenei, torino, 1969, pp. 9 ss.

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c) il viaggio di Diomede fino al golfo Argolico, su cui si af-faccia tirinto (fig. 32). Nestore, riferendone, utilizza l’espres-sione τέτρατον Ëμαρ ðην che, per la verità, potrebbe alluderetanto al tempo occorso a Diomede per raggiungere il golfo Ar-golico da geresto, quanto – e ora crediamo più verisimilmente– 38 indicare l’intera durata del suo νόστος dalla troade.39

i tempi sono assolutamente ragionevoli, anche perché nonsappiamo quanto gli Eroi si siano trattenuti a geresto; comun-que sia, questa dista da Nauplio ca. 100 mg, distanza ben per-corribile in due giorni (senza, naturalmente, entrare nell’internodel golfo Saronico – come invece certamente doveva aver fattoteucro).

S’impone, però, a questo punto un caveat. Non stiamo re-gredendo a una fase schliemanniana “ingenua” di utilizzazionedel testo omerico alla stregua di un resoconto di viaggi: sem-plicemente, abbiamo verificata la coerenza interna del racconto,e se quanto ne esce è in qualche misura “conciliabile” con larealtà e con la storia. il che ci sembra.

Com’è ben noto, esiste un limite di velocità non superabileda parte di un’imbarcazione immersa con la sua opera vivanell’acqua, espressa dalla formula:

V (in kn) = 2,5 √ lunghezza immersa (in m)

Quindi un’imbarcazione di 9 metri, indipendentemente dallaforza propulsiva degli apparati applicati, non potrà comunquesuperare la velocità di 7,5 nodi.40

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38 Rispetto a quanto sostenuto in M. Negri 2010, p. 238.39 Così giustamente interpreta la West nel suo commento all’ed.

“Valla”, vol. i, p. 232. 40 l. Casson, in Ships and Seamanship in the Ancient World, Princeton,

NJ, 1971, p. 283, indica per le navi del tempo velocità oscillanti, in mareaperto, fra i 4,5 e i 6 nodi; vd. anche Medas, cit., pp. 40-8. Janni 1996, pp.77-106, dedica un denso e dotto capitolo alla ricostruzione di una nave

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Come si vede, siamo largamente all’interno delle velocitàrichieste dai tempi dei tre viaggi sopra esaminati, giacché nonc’è dubbio che le navi “omeriche” superassero, e di molto, que-sta lunghezza. E, come dice Strabone, forse ripensando alla Re-

pubblica, “è lecito infatti al poeta anche inventarsi coseinesistenti ma quando sia possibile armonizzare i canti alla re-altà e salvare il racconto allora conviene che se ne astenga”.

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“omerica” (con condivisibili riflessioni sulla stratificazione cronologica, eculturale, che il termine sottende), giungendo a ipotizzare, sulla base delnumero più comune di rematori (/guerrieri), cioè cinquanta, tratto dal Ca-talogo, una lunghezza fuori tutto di 30-32 metri, quindi enormemente ec-cedente, anche riducendo la parte immersa, la lunghezza richiesta perraggiungere velocità quali quelle sopra indicate (p. 86). Un’imbarcazionedel genere – sostanzialmente, quindi, una galera – è certamente più velocequando è spinta a remi piuttosto che a vela, ma, com’è ovvio, questo com-porta un enorme dispendio di energia, né la vogata può essere mantenuta(soprattutto da parte di un equipaggio non coatto, com’è stato poi nelle veree proprie “galere”) per un tempo eccessivo. Onde, appena possibile, il ri-corso alla vela. Sulle navi greche si veda anche di J. S. Morrison e R. t.Williams, Greek Oared Ships 900-322 BC, Cambridge, Cambridge Univer-sity Press, 1968. Per le stime degli Antichi a partire da Erodoto (iV, 86) vd.M. Negri 2010, p. 238 (e la bibliografia lì citata).

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Fig. 22 Itaca e Cefalonia

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Fig. 23 I venti nell’Egeo

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Fig. 24 I venti nell’Egeo (particolare)

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Fig. 25 Le rotte omeriche: dalla Troade a Tenedo

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Fig. 26 Le rotte omeriche: da Lesbo a Capo Malea

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Fig. 27 Le rotte omeriche: dalla Troade a Ismaro

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Fig. 28 Le rotte omeriche: da Lesbo a Geresto

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Fig. 29 Le rotte omeriche: dalla Troade a Geresto

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Fig. 30 Le rotte omeriche

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Fig. 31 Le rotte omeriche: da Itaca a Pilo

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Fig. 32 Le rotte omeriche: da Lesbo al Golfo Argolico