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8/11/2019 Market Driven marketgement Lambin Riassunto Parte 1 http://slidepdf.com/reader/full/market-driven-marketgement-lambin-riassunto-parte-1 1/41 Marketing (parte 1) CAPITOLO 1: IL CONCETTO TRADIZIONALE DI MARKETING 1.1. La definizione del concetto di marketing La definizione di marketing è “soddisfare bisogni in modo redditizio”. Il concetto di marketing si basa su tre pilastri: 1) orientamento al cliente: le azioni manageriali dovrebbero scaturire dalla comprensione dei bisogni e desideri del cliente 2) integrazione delle attività: ciò impli ca coordinamento con le altre funzioni del’impresa per diffondere la cultura di “orientamento al cliente” 3) obbiettivo di redditività: il marketing deve condurre l’impresa a realizzare dei profitti. In condizioni di mercati competitivi ed eccesso di offerta, diventa necessaria l’adozione di una filosofia di business che sancisca che l’offert a sia guidata dal mercato e la produzione avviata a seguito di una definizione dei bisogni del cliente. Il marketing, perseguendo l’interesse del cliente  favorisce anche quello dell’impresa. 1.1.1. Marketing strategico e marketing operativo Il marketing strategico è un processo orientato all’analisi incent rato sull’individuazione dei bisogni degli individui e delle organizzazioni; il suo ruolo è seguire l’evoluzione del mercato di riferimento e individuare i prodotti- mercati o segmenti sulla base di un’analisi della diversità dei bisogni da soddisfare, che rappresentano opportunità di cui valutare l’attrattività, che dipende dalla competitività dell’impresa e dalla sua capacità di soddisfare i clienti meglio dei concorrenti. La competitività esiste finchè esiste un vantaggio competitivo: compito del marketing strategico è specificare la mission dell’impresa definendone gli obbiettivi.  Il marketing operativo è un processo orientato all’azione che si estende nell’arco di una pianificazione di breve-medio termine, e si indirizza a mercati o segmenti esistenti. E’ il processo commerciale teso al raggiungimento di una quota di mercato mediante mezzi tattici legati a decisioni di prodotto, distribuzione, prezzo e comunicazione. Esso è efficace solo se basato su opzioni strategiche solide e ben definite. 1.1.2. I compiti del marketing strategico Il marketing strategico si basa sull’analisi dei bisogni di individui e organizzazioni: quello che il cliente cerca non è il prodotto, ma la soluzione al problema che è in grado di fornire. I prodotti-mercati identificati rappresentano opportunità economiche di cui valutare l’attrattivi. Per l’impresa il successo dipende dalla competitività, ovvero la capacità di soddisfare i clienti meglio dei concorrenti grazie al vantaggio competitivo. Sia che il concetto di prodotto venga richiesto dal mercato o che venga spinto dall’azienda, esiste un passaggio obbligato attraverso il marketing strategico a cui spetta la valutazione della sua fattibilità economica e finanziaria. La scelta del prodotto-mercato riveste importanza fondamentale, diventando vitale per l’equilibro della struttura finanziaria dell’impresa; il ruolo del marketing strategico riguarda dunque a) la risposta ad opportunità esistenti o b) la creazione di nuove. 1.1.3. Il marketing strategico di risposta e il marketing strategico proattivo Le innovazioni possono avere due origini: il mercato o l’impresa. Se l’esigenza di un nuovo prodotto  viene dal mercato, l’innovazione è “tirata dal mercato”: l’indicazione verrà trasmessa alla funzione R&S che cercherà di dare una risposta al bisogno insoddisfatto, e sarà compito del marketing operativo promuoverla nel segmento target. Un’altra fonte di innovazione è il laboratorio o la funzione R&S, che scopre un nuovo processo, prodotto o modalità che permetta di soddisfare un bisogno latente, o anticipare una domanda di cui non vi è consapevolezza. Le innovazioni così introdotte nascono dalla creatività di scienziati e ingegneri che applicano le loro scoperte a prodotti nuovi: l’innovazione è qui spinta dall’impresa.  Il ruolo del marketing strategico è qui più complesso, spettandogli di valutare le dimensioni del segmento e i fattori di successo alla base dell’innovazione da introdurre; il marketing operativo dovrà invece creare un mercato per il prodotto. Nel marketing strategico si distinguono due approcci complementari: il marketing strategico di risposta e quello di creazione dell’offerta. 1) nel marketing strategico reattivo (di risposta) l’obbiettivo è individuare bisogni o desideri espressi e soddisfarli 2) nel marketing strategico proattivo (guidato dall’offerta) l’obbiettivo

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Marketing (parte 1)

CAPITOLO 1: IL CONCETTO TRADIZIONALE DI MARKETING

1.1. La definizione del concetto di marketing

La definizione di marketing è “soddisfare bisogni in modo redditizio”. Il concetto di marketing si basa su tre

pilastri: 1) orientamento al cliente: le azioni manageriali dovrebbero scaturire dalla comprensione dei bisogni

e desideri del cliente 2) integrazione delle attività: ciò impli ca coordinamento con le altre funzioni del’impresa

per diffondere la cultura di “orientamento al cliente” 3) obbiettivo di redditività: il marketing deve condurre

l’impresa a realizzare dei profitti. In condizioni di mercati competitivi ed eccesso di offerta, diventa necessaria

l’adozione di una filosofia di business che sancisca che l’offerta sia guidata dal mercato e la produzione

avviata a seguito di una definizione dei bisogni del cliente. Il marketing, perseguendo l’interesse del cliente  

favorisce anche quello dell’impresa.

1.1.1. Marketing strategico e marketing operativo

Il marketing strategico è un processo orientato all’analisi incentrato sull’individuazione dei bisogni degli

individui e delle organizzazioni; il suo ruolo è seguire l’evoluzione del mercato di riferimento e individuare i

prodotti-mercati o segmenti sulla base di un’analisi della diversità dei bisogni da soddisfare, che

rappresentano opportunità di cui valutare l’attrattività, che dipende dalla competitività dell’impresa e dalla

sua capacità di soddisfare i clienti meglio dei concorrenti. La competitività esiste finchè esiste un vantaggio

competitivo: compito del marketing strategico è specificare la mission dell’impresa definendone gli obbiettivi. 

Il marketing operativo è un processo orientato all’azione che si estende nell’arco di una pianificazione di

breve-medio termine, e si indirizza a mercati o segmenti esistenti. E’ il processo commerciale teso al

raggiungimento di una quota di mercato mediante mezzi tattici legati a decisioni di prodotto, distribuzione,

prezzo e comunicazione. Esso è efficace solo se basato su opzioni strategiche solide e ben definite.

1.1.2. I compiti del marketing strategico

Il marketing strategico si basa sull’analisi dei bisogni di individui e organizzazioni: quello che il cliente cerca

non è il prodotto, ma la soluzione al problema che è in grado di fornire. I prodotti-mercati identificati

rappresentano opportunità economiche di cui valutare l’attrattività. Per l’impresa il successo dipende dalla

competitività, ovvero la capacità di soddisfare i clienti meglio dei concorrenti grazie al vantaggio competitivo.

Sia che il concetto di prodotto venga richiesto dal mercato o che venga spinto dall’azienda, esiste un

passaggio obbligato attraverso il marketing strategico a cui spetta la valutazione della sua fattibilità

economica e finanziaria. La scelta del prodotto-mercato riveste importanza fondamentale, diventando vitale

per l’equilibro della struttura finanziaria dell’impresa; il ruolo del marketing strategico riguarda dunque a) la

risposta ad opportunità esistenti o b) la creazione di nuove.

1.1.3. Il marketing strategico di risposta e il marketing strategico proattivo

Le innovazioni possono avere due origini: il mercato o l’impresa. Se l’esigenza di un nuovo prodotto viene

dal mercato, l’innovazione è “tirata dal mercato”: l’indicazione verrà trasmessa alla funzione R&S che

cercherà di dare una risposta al bisogno insoddisfatto, e sarà compito del marketing operativo promuoverla

nel segmento target. Un’altra fonte di innovazione è il laboratorio o la funzione R&S, che scopre un nuovo

processo, prodotto o modalità che permetta di soddisfare un bisogno latente, o anticipare una domanda di

cui non vi è consapevolezza. Le innovazioni così introdotte nascono dalla creatività di scienziati e ingegneri

che applicano le loro scoperte a prodotti nuovi: l’innovazione è qui spinta dall’impresa.  Il ruolo del marketing

strategico è qui più complesso, spettandogli di valutare le dimensioni del segmento e i fattori di successo alla

base dell’innovazione da introdurre; il marketing operativo dovrà invece creare un mercato per il prodotto.

Nel marketing strategico si distinguono due approcci complementari: il marketing strategico di risposta e

quello di creazione dell’offerta. 1) nel marketing strategico reattivo (di risposta) l’obbiettivo è individuare

bisogni o desideri espressi e soddisfarli 2) nel marketing strategico proattivo (guidato dall’offerta) l’obbiettivo

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è identificare bisogni latenti o non espressi, o la ricerca di soluzioni a necessità o desideri conosciuti. Le

imprese market-driven, oltre ad agire tramite il marketing reattivo, inducono cambiamenti grazie a quello

proattivo. Obbiettivo del marketing strategico consiste non solo nell’ascoltare i clienti rispondendo ai loro

bisogni espressi, ma anche nel condurli nella direzione in cui vogliono andare, anche se non la conoscono.

1.1.4. I compiti del marketing operativo

Il ruolo primario del marketing operativo consiste nel raggiungere l’obbiettivo di fatturato programmato

minimizzando al contempo i costi: ciò si traduce in programmi di fabbricazione e stoccaggio e distribuzione.

L’incisività del marketing operativo è un fattore decisivo per la performance aziendale, ogni prodotto deve

avere un prezzo accettabile ed essere disponibile, essere sostenuto da attività di comunicazione che lo

rendano noto e lo valorizzino: è dunque il braccio commerciale dell’impresa, che non potrebbe esserci senza

solide scelte strategiche. Un marketing operativo eccessivamente aggressivo non può creare una domanda

dove il bisogno non esiste, come non può mantenere in vita delle attività condannate all’estinzione.  

1.1.5. Il marketing operativo transazionale e relazionale

Spesso si confondono negoziazione commerciale e tecniche di vendita: queste sono spesso paragonate alle

tecniche aggressive che caratterizzano il marketing “selvaggio” o “manipolativo”. Le differenze tra il

marketing transazionale (focalizzato sulla transazione) e quello relazionale sono: 1) il transazionale si

focalizza sulle vendite considerate a sé stanti 2) il relazionale è orientato alla costruzione di una relazione

duratura 3) il relazionale presuppone l’opportunità di condividere i vantaggi, il transazionale opera in base a

un modello in cui l’acquirente vuole un buon prezzo e il venditore un profitto alto 4) il transazionale si

concentra sul prezzo, il relazionale sui vantaggi non economici.

Le tecniche di vendita tradizionale devono evolvere verso la vendita relazionale per tre motivi: a) nella

vendita tradizionale raramente si comprende che essa è un atto di comunicazione non unilaterale e

manipolatorio b) oggi le tecniche di vendita tradizionali appaiono meno efficaci, essendo i clienti più preparati

e meno influenzabili c) adottando tecniche tradizionali non ci si accorge che il marketing relazionale

rappresenta la chiave strategica del mercato. La pratica della vendita relazionale è caratterizzata

dall’importanza attribuita all’esplorazione delle motivazioni d’acquisto del cliente e dalla ricerca di una

relazione duratura con esso.

1.1.6. Il programma di marketing

Il processo di riflessione e pianificazione strategica è diverso da quello del marketing operativo, essendo i

due aspetti però complementari. Il marketing operativo mette in rilievo le variabili non legate direttamente al

prodotto, quello strategico mette l’accento sulla capacità di fornire un prodotto superiore a un prezzo

competitivo. Il marketing strategico conduce alla scelta dei prodotti-mercati da sfruttare, quello operativo

propone invece un obbiettivo di quota di mercato.

1.1.7. Il paradigma del marketing mix

Il marketing mix, o “paradigma delle 4P” (Product, Price, Place, Promotion), è considerato la dimensione

operativa del marketing con cui soddisfare i bisogni del consumatore e comprende gli strumenti di marketing

che i manager combinano per affrontare una data situazione. Nel 1981 vengono aggiunte altre 3P: People(che entrano a contatto coi clienti), Process (implicato nel fornire il servizio) e Physical evidence (rende

tangibile il servizio al potenziale cliente). Sono state fatte varie critiche al paradigma del marketing mix: 1)

manca di contenuto strategico: si assume che i business da realizzare, i clienti e i concorrenti siano noti e

ben identificati 2) la visione del mercato è “dall’interno verso l’esterno”: il concetto di marketing dovrebbe

essere il contrario, dando priorità ai clienti 3) ci si focalizza più sulle transazioni a breve termine: si dovrebbe

construire relazioni coi clienti, in modo da poter competere anche per i servizi e i mercati B2B.

1.2. Gli stadi di implementazione del marketing strategico

Il processo del marketing strategico adotta una prospettiva di medio-lungo termine, e può essere

implementato in sette fasi.

Fase 1: Definizione del mercato di riferimento. La prima domanda è “in che business ci si trova?”. La

definizione del business è il punto di partenza per lo sviluppo della strategia, e consente di identificare i

clienti, i concorrenti, i fattori chiave di successo e le tecnologie alternative.

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Fase 2: Qual è la diversità dei bisogni nel mercato di riferimento? Nella maggior parte dei mercati non si

può soddisfare tutti i clienti con un prodotto: consumatori diversi hanno interessi e desideri diversi. Le

imprese ritengono essenziale allontanarsi dal marketing di massa per focalizzarsi su un gruppo di clienti

identificati, suddividendo il mercato in sottogruppi omogenei di clienti per adattare l’offerta alle loro esigenze.

La segmentazione viene effettuata in due fasi: macro- e microsegmentazione, e il risultato è una griglia che

descrive il profilo dei segmenti più importanti in termini qualitativi e quantitativi.

Fase 3: Quanto è interessante l’opportunità di business nei segmenti individuati? L’impresa deve

valutare l’attrattività intrinseca di ciascun segmento, basandosi su indicatori soggettivi fuori del controllo di

essa. Essi descrivono il contrsto di ogni segmento entro il quale opera l’impresa concorrente, e possono

essere valutati con ricerche di mercato standard.

Fase 4: Abbiamo una proposta di valore sostenibile per ciascun segmento? L’impresa deve

concentrarsi negli ambiti dove poggiano le sue capacità creative, con obbiettivo di identificare il tipo di

vantaggio competitivo di cui gode in ogni segmento e valutarne la sostenibilità. Essa può superare i

concorrenti solo se stabilisce un vantaggio competitivo duraturo nel tempo.

Fase 5: A quale segmento rivolgersi in via prioritaria? Il compito successivo è decidere quale strategia di

copertura del mercato adottare. In una strategia di focalizzazione i confini del mercato sono definiti in modo

ristretto, in una di completa copertura del mercato sono aperte due opzioni: 1) una di marketing di massa,

concentrandosi su ciò che è comune nelle esigenze dei clienti 2) una di personalizzazione di massa,

avvicinandosi al mercato con un programma su misura per ogni segmento. In una strategia mista l’impresa

diversifica le sue attività garantendo che il suo portafoglio sia ben equilibrato.

Fase 6: Come vogliamo competere nel segmento target? Il passo successivo è decidere la strategia di

posizionamento da adottare all’interno di ciascun segmento target. Il posizionamento si definisce come la

decisione assunta dall’impresa nella scelta del beneficio che la marca deve avere e nella sua valorizzazione,

per occupare una data posizione nel mercato. Nei mercati in cui la differenziazione è apprezzata dai clienti

target, si individuano tre strategie: la differenziazione del prodotto, del prezzo o d’immagine. 

Fase 7: Come ottenere un portafoglio prodotti ben bilanciato? Lo scopo di un’analisi del portafoglio

prodotti è aiutare le decisioni delle imprese multi-business nella destinazione delle risorse scarse tra le “unità

strategiche di business” (SBU) che competono nei segmenti target. L’analisi di portafoglio sottolinea alcuni

aspetti della gestione: a) rende la visione a breve termine meno importante b) incoraggia l’impresa a tenere

a mente sia l’attrattività di mercato che il potenziale di competitività c) stabilisce le priorità nella ripartizionedelle risorse d) propone strategie di sviluppo differenziate per tipo di attività e) crea un linguaggio comune

per tutta l’organizzazione e fissa obbiettivi per rafforzare la motivazione. Il risultato di queste sette tappe è la

struttura portante del marketing operativo: risposto a queste domande, rimane da definire le opzioni di

posizionamento da adottare.

1.3. Ulteriori questioni relative al concetto di marketing

1.3.2. La performance del concetto di marketing

Nato negli anni ’50, il successo del marketing può essere spiegato col fatto che sia le imprese americane

che europee operavano in mercati di vendita in rapida crescita, in cui la domanda era superiore all’offerta e i

cui bisogni e desideri dei clienti erano noti. Si è innescato un circolo virtuoso di sviluppo economico, le cuifasi sono: a) il concetto di marketing contribuisce a individuare i bisogni stimolando lo sviluppo dei prodotti b)

gli strumenti del marketing operativo creano e/o sviluppano la domanda di questi pr odotti c) l’incremento

della domanda genera una diminuzione di costi che rende possibili riduzioni di prezzo d) l’ampliamento del

mercato richiede nuovi investimenti in capacità produttiva, generando economie di scala e stimolando sforzi

nel campo della R&S per creare nuovi prodotti. Il marketing ha sviluppato la democrazia economica, perché

inizia con l’analisi dei bisogni, guida le decisioni di investimento e produzione sulla base di essi, rispetta la

diversità dei gusti e delle preferenze, sviluppa prodotti adeguati e stimola innovazione e imprenditorialità.

1.3.3. I rischi del marketing manipolatorio

Il marketing è stato oggetto di critiche, la più grave è rivolta al marketing manipolatorio, che si avvale della

vendita selvaggia e della pubblicità ingannevole, per adattare la domanda alle esigenze dell’offerta. Gli

eccessi del marketing selvaggio hanno portato alla nascita di un contropotere sotto forma di: a)

organizzazioni di consumatori b) leggi che rafforzano la protezione dei diritti legali di essi c) autodisciplina da

parte delle imprese mediante l’adozione di norme morali. 

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1.3.6. Chiarimenti essenziali del concetto di marketing

Nel concetto di marketing l’eslcusiva attenzione ai clienti è restrittiva, ignorando l’influenza degli altri attori

chiave del mercato. Sapere cosa vogliono i clienti è inutile se: a) i concorrenti stanno fornendo lo stesso

prodotto o servizio b) potenti distributori non inseriscono la marca nei propri listini c) potenti influenzatori non

certificano o considerano il prodotto d) potenti stakeholder decidono di boicottare la marca. L’orientamento

dominante al cliente ha deviato l’attenzione dal perseguimento del vantaggio competitivo. 

CAPITOLO 2: IL CONCETTO DI ORIENTAMENTO AL MERCATO

2.1. Un’alternativa: il concetto di orientamento al mercato 

2.1.1. Il modello di orientamento al mercato di Kohli e Jaworski (K&J)

Kohli e Jaworsku utilizzano il termine “orientamento al mercato” per definire il processo di implementazione

del concetto di marketing, definendo operativamente due dei tre pilastri del tradizionale concetto di

marketing: orientamento al cliente e integrazione. L’orientamento al mercato è la generazione

nell’organizzazione di impresa, di marketing intelligence relativamente alle esigenze dei clienti, la suadiffusione tra le funzioni e la responsabilizzazione dell’organizzazione nei suoi riguardi. La generazione di

market intelligence comprende il monitoraggio di fattori quali la concorrenza, gli orientamenti legislativi, la

tecnologia e altre forze del contesto; la sua diffusione significa che le informazioni devono essere trasmesse

alle funzioni, con procedure di diffusione o comunicazione orizzontale; la definizione della responsabilità

organizzativa si manifesta nella selezione dei segmenti target, nella progettazione di prodotti che rispondano

ai bisogni e nella loro promozione. Dal punto di vista operativo il modello K&J rimane generale, non specifica

il tipo di market intelligence da adottare né il tipo di risposta che l’impresa dovrà assumere, e non viene

realizzato collegamento diretto con la funzione marketing.

2.1.2. Il modello di orientamento al mercato di Narver e Slater (N&S)

Narver e Slater nel loro modello definiscono l’OM riferendosi a tre dimensioni comportamentali: orientamento

al cliente, orientamento ai concorrenti, coordinamento interfunzionale, con l’implementazione di due criteri di

decisione, la focalizzazione sul lungo termine e la redditivita. L’orientamento a clienti e concorrenti

comprende le attività di acquisizione di informazioni nel mercato target e la loro diffusione in tutta

l’organizzazione. Il coordinamento interfunzionale è riferito agli sforzi di coordinamento dell’impresa che

coinvolgono altre funzioni aziendali. Un punto di forza del modello N&S è la sua insistenza sull’orientament o

ai concorrenti.

2.1.3. Problemi nell’implementazione dell’orientamento al mercato 

Nonostante l’affermarsi del concetto di OM, molte imprese sono in difficoltà nel valutarne la portata al proprio

interno e nell’implementarlo nell’organizzazione. Un primo problema è costituito dalla varietà di definizione

del concetto di OM: quella dominante offre una visione incompleta della complessa realtà dei mercati odierni

limitandosi a due soli player, cilenti e concorrenti. In secondo luogo non vengono stabiliti legami formali con

la funzione marketing e non vengono proposte implicazioni normative, per attuare la cultura di OM, che è

una filosofia di business che stabilisce la priorità della soddisfazione del cliente. A causa di queste carenze

del concetto di OM, le scaloe di misura proposte non riflettono la complessità dei mercati.

2.2. Il modello di orientamento al mercato

L’orientamento al mercato è una cultura di business che ha l’obbiettivo di progettare e promuovere, a

condizioni redditizie per l’impresa, soluzioni di valore superiore ai clienti diretti, indiretti e agli stakeholder

coinvolti nel mercato. Si evidenzia: a) il termine progettare è riferito alla funzione di analisi svolta dal

marketing strategico, mentre promuovere al marketing operativo b) con soluzioni di valore superiore si

intendono combinazioni di prodotti e servizi che soddisfino i bisogni dei clienti e siano migliori di quelle deiconcorrenti c) si riconosce l’esistenza di diversi tipi di clienti e degli stakeholder d) il coordinamento

interfunzionale è utilizzato per diffondere la cultura di OM.

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Pertanto si distingue tra due tipi di capacità della funzione strumentale: le capacità strategiche di marketing

di individuare le opportunità di mercato e le opzioni di posizionamento, e le capacità operative di marketing

necessarie per attuare le opzioni adottate. Il marketing strategico può essere di risposta o di creazione

dell’offerta, mentre quello operativo può essere di tipo transazionale o relazionale; centrale nel modello

dell’EOM è la visione del mercato come un complesso raggruppamento di stakeholder: fornitori, clienti,

concorrenti, distributori, influenzatori ecc. Si hanno tre dimensioni del concetto EOM: a) la cultura è una

responsabilità assunta dall’amministratore delegato attraverso il coordinamento interfunzionale b) l’analisi è

una responsabilità trasversale assunta dal responsabile di ogni unità di business c) l’azione è la

responsabilità di marrketing operativo, assunta dalla funzione marketing. Si definisce quindi il market-driven

management, ovvero l’insieme di azioni poste in essere da un’impresa per assicurarsi il cliente.  

2.2.1. Il modello di orientamento al mercato tradizionale è diverso dal tradizionale concetto di marketing?

Vi sono quattro elementi di differenziazione tra il marketing tradizionale (MT) e l’EOM: 1) il concetto di MT è

orientato al cliente, quello di EOM anche agli altri attori di mercato 2) il MT si basa sul modello market-pull,

l’EOM anche su modelli di innovazione technology-push 3) il MT è orientato all’azione, col paradigma delle

4P, l’EOM si basa sull’approccio di soluzione ai problemi del cliente 4) l’MT è limitato alla funzione marketing

mentre l’EOM è una cultura organizzativa diffusa a tutti i livelli.  

2.3. Gli attori del mercato globale

In un’economia di mercato, un ecosistema è un gruppo complesso di operatori, e nei mercati vi sono 5

categorie di attori di mercato: fornitori, clienti diretti e finali, distributori, concorrenti, influenzatori e altri

stakeholder. Con lo sviluppo di Internet i mercati globali si stanno evolvendo nei mercati globali elettronici

(MGE) e i mercati globali tradizionali (MGT). I primi producono e distribuiscono prodotti e servizi digitali, i

secondi collaborano con essi per completare la fase fisica di produzione e distribuzione.

2.3.1. Clienti diretti e clienti finali

La soddisfazione del cliente è al centro del concetto di EOM, e implica l’impegno a capire i bisogni, creare

valore e anticipare i problemi dei clienti, che possono essere vicini o lontani dall’impresa a seconda che i

mercati siano B2B o B2C. Le imprese nei mercati B2B operano dentro una filiera industriale e si confrontanocon clienti diretti, clienti dei propri clienti (indiretti), col cliente finale che si trova in fondo alla catena.

2.3.2. I partner e la domanda indiretta

I clienti diretti e i clienti finali esprimono una domanda diretta di beni o servizi e l’impresa li conosce e sa

come soddisfarli. In molti settori alcuni gruppi di clienti rappresentano una domanda potenziale spesso

ignorata, che esiste perché il valore di alcuni prodotti si realizza se vengono utilizzati con altri prodotti. Per

diventare demand-driven e soddisfare anche la domanda indiretta, molte imprese hanno adottato un

approccio di vendita di soluzioni: la sfida è trovare i partner giusti per trarre vantaggio dalla domanda

indiretta. Per rivolgersi alla domanda diretta i partner commerciali sono grossisti e dettaglianti, per quella

indiretta ci vogliono altre funzioni, individuando altri partner come gli aggregatori, gli integratori ecc.

2.3.3. In distributori e i rivenditori nei MGT

La lotta per il controllo del mercato finale è sempre stata cruciale per produttori e distributori. Il dettagliante

guarda al rendimento sull’investimento di spazio e al contributo all’immagine globale, il fornitore cerca

massimo spazio sugli scaffali, possibilità di testare prodotti e la preferenza del cliente. Oggi i cambiamenti

del contesto competitivo sono la maggiore concentrazione dei rivenditori, la crescita dei gruppi di acquisto di

dettaglianti a livello internazionale e l’uso crescente delle tecnologie informatiche. Mentre i produttori

vorrebbero avere dei partner nei dettaglianti, i secondi li vedono più in termini competitivi che cooperativi.

2.3.4. Concorrenti diretti e produttori di beni sostitutivi

I concorrenti sono attori chiave del mercato e l’atteggiamento da adottare nei loro confronti è un elemento

centrale nella formulazione di qualsiasi strategia, dato che serve come base per il vantaggio competitivo.

L’orientamento ai concorrenti comprende le attività inerenti all’acquisizione e alla diffusione di informazioni

sui concorrenti nel mercato target; l’autonomia d’impresa è influenzata da due fattori, la struttura

concorrenziale del settore e il valore percepito del prodotto da parte dei clienti. Nei mercati saturi,

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l’aggressività della lotta competitiva tende ad aumentare e contrastare le azioni dei rivali diventa obbiettivo

fondamentale. Il rischio di una strategia basata sul “marketing guerriero” è che venga dedicata troppa

energia al tentativo di battere i concorrenti col rischio di perdere di vista i bisogni dei clienti.

2.3.5. Gli influenzatori e i prescrittori

In molti mercati individui o organizzazioni possono svolgere un ruolo nel consigliare, raccomandare o

prescrivere marche, imprese, prodotti o servizi a clienti o distributori. Lo sviluppo dei consumer generated

media sul Web ha contribuito a rafforzare il ruolo degli opinion leader.

2.3.6. e-trailer ed e-marketplace

Un mercato globale elettronico (MGE) è un mercato virtuale online in cui consumatori, fornitori, distributori e

venditori trovano e scambiano informazioni, realizzano scambi commerciali e collaborano gli uni con gli altri

attraverso l’aggregazione di contenuti provenienti da fornitori. I dettaglianti elettronici utilizzano Internet come

mezzo di comunicazione e vendita, e per i clienti l’e-trailing rappresenta un modo veloce e conveniente per

effettuare acquisti, anche se possono verificar problemi sui pagamenti, la consegna e la privacy. Un mercato

elettronico (e-marketplace) è un sistema informativo interorganizzato che abilita lo scambio di informazioni

relative ai prezzi e offerte di prodotti tra acquirenti e fornitori, eliminando le inefficienze della tradizionale

catena di approvvigionamento.

2.3.7. I facilitatori di mercato

I facilitatori di mercato sono uno speciale gruppo di fornitori di servizi che opera sia nei MGT che nei MGE,

motivati a fornire infrastrutture e a garantire le transazioni di mercato. Nei MGT essi sono banche,

magazzini, agenzie di spedizione, uffici doganali e fiscali; nei MGE sono fornitori di servizi Internet, servizi

finanziari online, servizi di logistica, sicurezza e legali. Quando avviene la disintermediazione, l’assenza di

contatto fisico, si crea la necessità di assistenza per la raccolta e il trattamento delle informazioni.

2.3.9. Altri stakeholder di mercato

In un’economia di mercato sono stakeholder i gruppi o individui che possono influenzare o sono influenzati

dagli obbiettivi dell’impresa. In aggiunta agli attori chiave, possono esserlo lavoratori dipendenti, sindacati, le

organizzazioni non governative, le comunità locali, gli investitori e l’ambiente.  L’impresa deve perseguire ibenefici di tutti quei soggetti che rappresentano i suoi stakeholder, soddisfandoli equamente.

2.4. Caratteristiche di un’organizzazione market-driven

2.4.1. Le principali caratteristiche di un’organizzazione orientata al mercato 

Le principali caratteristiche di un’impresa market-driven sono: 1) cultura orientata verso l’esterno e basata su

credenze, valori e comportamenti che sottolineano il valore superiore del cliente e supportano la ricerca di

nuove fonti di vantaggio competitivo 2) capacità di interpretazione del mercato e pensiero strategico vicino al

mercato e di tipo anticipatorio 3) configurazione che consenta all’organizzazione di anticipare e rispondere

alle esigenze del cliente e alle condizioni di mercato. Tali conoscenze creano relazioni coi clienti, gettano le

fondamenta della strategia aziendale e aumentano l’attenzione dei collaboratori dell’impresa alle esigenze

del mercato.

2.4.2. Verso forme organizzative cross-funzionali

La matrice è una struttura organizzativa a rete che consente all’impresa di affrontare le varie tipologie di

business utilizzando strutture di governo multiple. Le strutture a matrice presentano una dimensione riferita

alla responsabilità funzionale e una a un progetto specifico, come il lancio di un nuovo prodotto, o il CRM

(costumer relationship management) assunti da un team-cross funzionale, chiamato anche VMO. La matrice

permette alle imprese di sfruttare le risorse mantenendosi piccole e orientate ai risultati; i VMO adottano

principi del venture capitalism e hanno come caratteristiche: 1) fluidità nel tenere il passo col mercato 2)

assegnazione alle persone di ruoli e non di posti di lavoro 3) rapidità del processo decisionale 4)

concentrazione delle risorse sulle opportunità con massima possibilità di recupero degli investimenti. Le

organizzazioni di marketing sono costruite intorno a due ruoli: gli integratori e gli specialisti. Gli integratori

sono responsabili di marketing che assumono il ruolo di guidare le attività attraverso la catena del valore

dell’impresa, individuando i segmenti di mercato dove competere e le leve per massimizzare la redditività.

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Gli specialisti forniscono le competenze per attuare la strategia di marketing in diversi ambiti. Qui è

importante il coordinamento interfunzionale, che implica il coinvolgimento di tutti i livelli dell’impres a.

CAPITOLO 3: L’IMPATTO DELLA GLOBALIZZAZIONE 

3.1. Lo sviluppo del libero scambio

La globalizzazione si riferisce a un processo mediante il quale le economie, società e culture regionali

diventano integrate attraverso un network globale di comunicazione, trasporto e scambio. La globalizzazione

economica è l’integrazione di economie nazionali nell’economia internazionale con scambi, investimenti

diretti esteri, flussi di capitali, flussi migratori e diffusione della tecnologia.

3.1.1. I postulati del libero scambio

Il libero scambio è un sistema di politiche di transazione che consente agli operatori di agire senza

l’imposizione di restrizioni da parte dei Governi. I suoi postulati sono: 1) la concorrenza stimula innovazione,

produttività e riduce i prezzi 2) la divisione del lavoro genera specializzazione 3) più le unità produttive sono

grandi, maggiori sono la divisione del lavoro e la specializzazione. La specializzazione si basa sulla legge

del vantaggio comparato, secondo cui è interesse di ciascun Paese specializzarsi nella produzione dei beni

che sa realizzare più efficientemente. Il secondo pilastro del libero scambio è la scala di produzione, che

porta al bisogno di mercati globali: più grande è il mercato, meglio è. Ogniqualvolta si innalzino barriere nei

mercati, si limita la possibilità di specializzazione, rendendo la deregulation una necessità (il linguaggio è

qua ultraliberista). La maggior parte degli Stati-nazione adotta politiche di scambio protezioniste: il GATT e la

WTO furono creati per favorire l’apertura dei mercati e promuovere le transazioni internazionali basate sul

libero scambio. La liberalizzazione degli scambi è una delle priorità per combattere la miseria nel mondo.

3.1.2. I vantaggi del libero scambio

Il libero scambio rappresenta una situazione win-win sia per le nazioni ricche che povere. I Paesi ricchi

hanno ampio accesso a prodotti stranieri per consumatori e imprese a prezzi inferiori rispetto a quelli

ottenibili nella produzione locale, e investendo nei Paesi emergenti si generano economie di scalaampliando i mercati. Le economie in via di sviluppo sono indotte a investire nei propri Paesi nell’ambito

dell’educazione, costruendo moderne economie e riducendo la povertà. Il libero scambio stimola la

creazione di un effettivo “villaggio globale” e riduce le guerre, e inoltre riduce la poverà, il lavoro minorile, fa

sviluppare il turismo e così via.

3.1.3. Gli svantaggi del libero scambio

Libero scambio e liberalizzazione del commercio internazionale possono anche introdurre nuove forme di

inefficienza. 1) metà di tutti i commerci internazionali coinvolgono importazioni ed esportazioni delle stesse

merci tra Paesi del mondo 2) I costi dei trasporti internazionali dovrebbero essere inglobati nei prezzi 3) il

libero scambio permette alle imprese di esternalizzare la produzione dei beni da collocare nei mercati locali,

danneggiando le economie dei Paesi sviluppati 4) il libero scambio crea condizioni che permettono alleimprese di aggirare le regolamentazioni inoraggiando il social dumping 5) la specializzazione contribuisce a

ridurre le possibilità di scelte occupazionali 6) il libero scambio rende le nazioni dipendenti da altre.

3.1.4. La tentazione dell’outsourcing  

La delocalizzazione (outsourcing) consiste nel trasferimento di un’attività industriale da una nazione all’altra:

si tratta del trasferimento di alcune o di tutte le attività produttive in un’economia emergente caratterizzata da

salari inferiori, mediante la creazione di una filiale oppure usando i servizi di un fornitore straniero o di un

subappaltatore. La tentazione è forte nel momento in cui si paragonino i costi orari del lavoro nel settore

manifatturiero tra diversi paesi. Un effetto negativo della globalizzazione è la corsa verso il basso, il

trasferimento degli investimenti stranieri nei paesi che presentano costi di manodopera più bassi e in cui le

regolamentazioni sociali e dell’ambiente sono scarse. 

3.2. Il dilemma standardizzazione-adattamento

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Le imprese che adottano un marketing internazionale devono decidere quale strategia adottare

nell’approccio coi mercati esteri. La scelta è tra un approccio multidomestico, in cui la strategia si adatta alle

caratteristiche di ciascun mercato, o globale che somigli alla standardizzazione enfatizzando le

caratteristiche comuni dei vari mercati. La globalizzazione non è più confinata ad imprese appartenenti a

pochi settori industriali, e ha interessato anche imprese abituate a detenere la proprietà e occuparsi

direttamente della gestione di servizi locali. Le imprese hanno concentrato gli sforzi sullo sviluppo di marche

globali potenzialmente in grado di attrarre il massimo numero di clienti su basi mondiali, diventando potenti e

ben valutate dai mercati finanziari.

3.2.1. Tipologie di ambiente internazionale

Goshal e Noria suggeriscono di analizzare l’ambiente internazionale in riferimento a d ue dimensioni: 1) forze

locali: espresse da clienti locali, preferenze, regole e fonti normative che creano un bisogno di reattività e

adattamento locale 2) forze globali: rappresentate da economie di scala, esigenze comuni dei clienti,

competizione mondiale e uniformità dei prodotti, sono incentivi all’integrazione e alla standardizzazione. Per

queste due dimensioni si possono identificare due livelli, forte e debole: a) nell’ambiente globale le forze di

integrazione globale sono prevalenti e la sensibilità locale è scarsa b) nell’ambiente multinazionale le forze di

sensibilità nazionale sono prevalenti e quelle di integrazione globale deboli c) nell’ambiente internazionale

tranquillo, le forze sono deboli d) nell’ambiente trasnazionale le forze svolgono un ruolo importante, è

necessario un livello di standardizzazione e centralizzazione ma occorre rispondere alle situazioni locali.

3.2.2. I driver della globalizzazione

Per garantirsi i vantaggi della globalizzazione, i manager devono analizzare quattro driver di globalizzazione

industriale.

Driver di mercato. I clenti chiedono sostanzialmente lo stesso prodotto o servizio, effettuano acquisti

centralizzati o coordinati, i canali di distribuzione possono acquistare su base globale o regionale, elementi

del marketing operativo richiedeono scarso adattamento locale.

Driver di costo. Il mercato di un Paese potrebbe non essere sufficiente perché l’impresa locale ottenga tutte

le economie di scala e di effetto e di esperienza, la partecipazione a un mercato più esteso può accelerare

l’accumulo di apprendimento ed esperienza, acquisti centralizzati di nuovi materiali possono contribuire alla

riduzione dei costi, un rapporto soddisfacente tra valore delle vendite e costi di trasporto migliora laproduzione della società, il costo dei fattori varia a seconda del Paese, lo sviluppo di pochi prodotti globali o

regionali può ridurre questi costi.

Driver governativi. Dazi sulle importazioni, barriere non tariffarie, sussidi all’esportazione e condizioni per il

trasferimento di tecnologia incidono sul potenziale della globalizzazione; differenze negli standard tecnici

limitano la standardizzazione dei prodotti; l’ambiente di marketing e promozione dei Paesi incide sulle

possibilità di impiego di approcci globali e comuni di marketing operativo.

Driver competitivi. Quando attività come la produzione vengono condivise in vari paesi la quota di mercato

del competitor di un Paese incide sulla sua posizione in termini di scala e costi complessivi, può essere

necessario adattarsi o anticipare le mosse di singoli competitor.

3.2.3. I vantaggi della globalizzazione del marketingI benefici generati da una strategia di globalizzazione sono in primis la possibilità di generare notevoli

economie di scala. Il secondo vantaggio è la velocità di penetrazione nel mercato, con le imprese

globalizzate che sono più centralizzate e possono pianificare e organizzare a livello centrale il lancio di nuovi

prodotti in poco tempo. Un terzo vantaggio è l’opportunità di creare un’unica marca e un’unica identità a

livello globale, permettendo di conseguire risparmi sulla comunicazione, concentrandosi sugli stessi

segmenti di clienti in tutto il mondo e con lo stesso prodotto.

3.2.4. Gli svantaggi della globalizzazione del marketing

I vantaggi della standardizzazione riguardano prevalentemente il lato dell’offerta piuttosto che del mercato,

ma esistono degli svantaggi. Un primo è l’effetto negativo della centralizzazione, che può accelerare la

velocità di lancio del prodotto ma anche rallentare altre decisioni di marketing. Il secondo inconveniente è

dato dalla scarsa sensibilità alle condizioni dei mercati locali e dalla conseguente minor reattività; i

responsabili di marketing non hanno una buona percezione e comprensione dei problemi dei consumatori

locali. Il terzo inconveniente è il pericolo di sviluppare prodotti non in linea con le esigenze dei consumatori,

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coi prodotti sviluppati sulla base del minimo comune denominatore col rischio che i clienti non siano

soddisfatti. Un’ultima insidia riguarda la gestione del rischio: un portafoglio costituito da brand globali è più

vulnerabile e l’insorgere di un problema relativo a una marca globale può essere comunicato al mondo in

poche ore, risultando quindi finanziariamente molto più rischioso per l’azienda. 

3.3. Il marketing può alleviare la povertà nel mondo?

3.3.1. Marketing e povertà nel mondo

Prahalad ha sostenuto che vendere ai poveri può essere redditizio e contribuire a sradicare la povertà,

poiché: a) vi è un potere d’acquisto inutilizzato nella parte inferiore della piramide b) vendendo ai poveri le

imprese private possono arrecare loro una certa prosperità e contribuire a sradicare la povertà c) le

multinazionali dovrebbero svolgere un ruolo di primo piano in questo processo di vendita. L’obbiettivo

prioritario dovrebbe essere creare capacità di consumo nei paesi in via di sviluppo, e perciò il management

dovrebbe essere guidato da tre principi: 1) accessibilità (rivoluzione del monouso) 2) accesso (capillarità

della distribuzione geografica) 3) disponibilità (efficienza della distribuzione).

3.3.3. Strategia di packaging di piccole dimensioni

Una strategia adottata è vendere i beni di consumo in confezioni più piccole, rendendole accessibili ai

poveri. L’efficacia di questa strategia è dubbia: creare valore aumentando la comodità e aiutando a gestire i  

flussi di denaro non aumenta l’accessibilità né risolve il problema della fame e della malnutrizione. E’ chiaro

che la semplice vendita ai poveri non ne migliora il benessere e non ne riduce la povertà necessariamente.

3.3.4. Strategia di basso prezzo

L’unico modo per aiutare i poveri è aumentarne il reddito reale. Ci sono solo due modi per farlo: diminuire i

prezzi dei beni o amuentare il reddito che guadagnano, e per farlo ci sono tre vie: ridurre i profitti, ridurre i

costi senza ridurre la qualità, ridurre i costi riducendo la qualità. I mercati per la vendita ai poveri sono

costosi da servire, i poveri sono dispersi e i mercati hanno scarse infrastrutture per il trasporto e un limitato

potenziale per ottenere economie di scala. Praticare prezzi più bassi per marche della stessa qualità genera

rischi di importazioni parallele da Paesi low-price verso Paesi high-price.

3.3.5. Riduzione della qualità dei prodotti

Per poter ridurre i costi, senza compromettere la strategia dell’impresa, è spesso necessari o ridurre la

qualità. Altri modi per rendere i prodotti più convenienti sono: a) l’adozione del modello di accesso condiviso

per beni affittati o in condivisione b) l’adozione di tecnologie come i pannelli solari per generare corrente c) il

tentativo di ridurre i costi di transazione con l’adozione di sistemi di distribuzione appropriati, che colleghino

vecchie e nuove tecnologie.

3.3.6. Il ruolo del microcredito

Il microcredito svolge un ruolo importante per eliminare la povertà, ma solo in misura limitata. Esso non

allevia la povertà ma riduce la vulnerabilità al consumo; la maggior parte dei suoi clienti è coinvolta in attività

di sussistenza; le imprese che operano col microcredito lavorano in una scala troppo modesta; solo unapiccola frazione del credito è utilizzata per finalità imprenditoriali.

CAPITOLO 4: VALORI EMERGENTI E NUOVE PROBLEMATICHE

4.1. L’obbiettivo dello sviluppo sostenibile 

4.1.1. Una definizione di sviluppo sostenibile

Lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa i bisogni attuali senza compromettere la possibilità delle

future generazioni di soddisfare i propri. E’ un metodo di assunzione di decisioni economiche basato sulla

partecipazione democratica di tutti gli stakeholder mantenendo il patrimonio della collettività. Questa visione

modifica la gestione del mercato: a) si estende il processo decisionale a tutti gli stakeholder b) si regolano i

meccanismi di accesso ai beni pubblici e si integrano le esternalità negative nei prezzi di mercato c) si

allocano i risultati adottando una logica di equità e una prospettiva a lungo termine.

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4.1.2. L’adozione di una visione socio-ecologica del consumo

La visione socio-ecologica del consumo riflette una nuova consapevolezza della scarsità delle risorse

naturali, della crescita dei rifiuti e del costo sociale di consumo, non più visto fine a sé stesso ma in termini

delle implicazioni a monte e a valle. L’ecologista desidera stabilire un prezzo per l’utilizzo dell’ambiente, che

era considerato “bene gratuito”. Il modello dell’inventario del ciclo di vita (LCI) è lo strumento usato dagli

ecologisti per valutare l’impatto totale di un prodotto sull’ambiente, e quantifica l’uso di energia, risorse ed

emissioni nell’ambiente di un prodotto nel corso del suo ciclo di vita; comprende l’impatto ambientale legato

all’approvvigionamento delle materie prime, la produzione, il confezionamento, la distribuzione e le

caratteristiche d’uso, fin dopo utilizzo e smaltimento. Di fronte a questa prospettiva le imprese hanno rivisto il

concetto dei loro prodotti: la preoccupazione ambientale è uno stile di vita che si sta diffondendo e il

prevalere dei bisogni collettivi su quelli individuali rappresenta un nuovo fenomeno economico.

4.1.3. Gli obbiettivi della eco-efficienza

La prospettiva socio-ecologica del consumo induce le imprese a migliorare la loro “eco-efficienza”, il cui

potenziale miglioramente sarebbe benefico per l’ambiente ma aumenterebbe la redditività dell’impresa.

Inoltre l’immagine di un’impresa che gode di buona reputazione riguardo il rispetto dell’ambiente diventa più

un motivo di fedeltà per i clienti, i dipendenti e gli azionisti.

4.2. I nuovi modelli di business per l’impresa eco-sostenibile

L’impresa deve adottare modelli di business più eco-sensibili, e il modello economico della performance

sviluppato da Stahel distingue tra tre tipi di economia: 1) l’economia industriale caratterizzati da alti consumi

di risorse e rapida sostituzione di beni, modello insostenibile nel lungo termine 2) l’economi a dei servizi

funzionali focalizzata sulla gestione degli asset e sull’uso di capacità 3) l’economia circolare che inizia al

termine di un periodo di utilizzo, quando prodotto usati diventano rifiuti generati dai consumatori.

4.3. L’affermazione del poter e della società civile

Il crescente potere dei cittadini genera nuove aspettative che contribuiscono a migliorare il funzionamento e

la trasparenza del mercato: tale potere è anche un contrappeso verso le imprese e le autorità pubbliche.

4.3.1. Il comportamento del nuovo consumatore

Nel mondo industrializzato i consumatori sono caratterizzati da sette atteggiamenti tipici. 1) senso di potere: i

consumatori si muovono all’interno di mercati con offerta abbondante, concorrenza intensa e fonti

informative indipendenti numerose 2) comportamento d’acquisto professionale: essi si rivelano acquirenti

attenti, esigenti e desiderano informazioni complete per i loro acquisti 3) relazione soddisfazione-piacere-

fedeltà: si ritiene che l’impresa sia responsabile dell’insoddisfazione, e un consumatore insoddisfatto diventa

un cliente perso. Dare al cliente quanto si aspetta non basta per mantenerne la fedeltà 4) ricerca di nuovi

valori: mentre essi prima cercavano comfort e sicurezza, oggi desiderano sempre di più stimoli, piacere,

cambiamento, innovazione e sorpresa 5) bisogno di dialogo: i consumatori sono rappresentati da

associazioni e ONG, ed è significativa l’influenza di gruppi ambientalisti, attivisti e organizzazioni della“società civile” 6) ricerca di esperienze gratificanti: essi generano un movimento di “ritorno alle origini”,

orientato più alle esperienze che al possesso di beni 7) desiderio di consumo etico: essi non vogliono

provare sensi di colpa per i loro acquisti, comprano e usano prodotti con un rapporto qualità/prezzo

accettabile ma che soddisfino anche criteri etici.

4.3.2. L’emergere di nuovi valori  

Sono sempre di più le voci che si ergono a difesa di uno sviluppo sostenibile e di un approccio alla gestione

che tenga conto di tutti i portatori di interesse, i cosiddetti stakeholder.

4.3.3. Azionisti (shareholder) e portatori di interesse (stakeholder)

Il tradizionale approccio agli interessi (shareholder) sostiene che l’obbiettivo dell’impresa è quello di

aumentare i profitti e il valore delle azioni. L’approccio ai portatori di interesse (stakeholder) sostiene che

l’impresa è responsabile nei confronti dei suoi stakeholder e deve operare a loro beneficio; è portatore di

interesse qualsiasi gruppo di persone o individuo che può influire sugli obbiettivi aziendali o subirne

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l’influenza. Al centro del modello sta il principio secondo cui tutti devono essere rispettati e l’azienda esiste

per soddisfare i portatori di interesse allo stesso modo, obbiettivo di per sé molto complesso.

4.3.5. La responsabil ità sociale dell’impresa 

Le aziende stanno adottando il concetto di responsabilità sociale di impresa (RSI) a) per raggiungere i propri

obbiettivi di sviluppo ogni impresa necessita di un ambiente salubre e prospero b) un sistema economico

globale in cui metà umanità è esclusa non è fattibile né accettabile c) il Welfare state e le soluzioni sociali e

fiscali sono giunte al limite estremo d) piuttosto che pagare più tasse, la società civile dovrebbe impegnarsi

nei campi in cui abbia competenze e risorse. L’azienda responsabile riconosce di esserlo non solo verso gli

azionisti ma anche verso la società intera, impegna le proprie risorse per combattere i problemi della società.

Le imprese rappresentano la più grande forza di cambiamento del mondo moderno, e un comportamento

etico che consista nel “far bene facendo del bene” è anche una fonte di vantaggio competitivo. Il processo di

CRM (Corportate Responsability Management) è importante ma presenta un gap di credibilità nel momento

in cui viene usato in forma massiccia a livello di comunicazione di impresa. L’ambito delle nuove norme RSI

coinvolge sette tipi di responsabilità: rispetto dei diritti umani, regole di corporate governance, obbligazioni

sociali, protezione dell’ambiente, business practice, rapporto con i consumatori e impegno sociale.

4.3.6. Il potenziale impatto della certificazione di responsabilità sociale

Man mano che il mondo diventa più collegato, i comportamenti scorretti di un’impresa diventano in breve di

pubblico dominio. Una delle problematiche della responsabilità sociale di cui le imprese devono tenere conto

è la natura contestuale del concetto di “bene sociale”. Essere socialmente responsabili è conveniente? Le

due aree di portatori di interesse qui dominanti sono quelle dei dipendenti e dei clienti: le aziende più

responsabili verso i consumatori generano maggiori profitti. I valori emergenti pongono il dibattito “azionisti

vs portatori di interesse” in una prospettiva convergente: a) l’approccio agli azionisti rappresenta la base del

sistema economico di mercato e andrebbe riaffermato: l’impresa deve creare valore per gli azionisti b) per

creare valore per gli azionisti, va creato valore per il cliente, la cui soddisfazione è la preoccupazione

prioritaria dell’impresa business market-driven c) i clienti di oggi sono più esigenti, non vogliono sensi di

colpa quando consumano ma si aspettano che le imprese soddisfino certi criteri di eco-compatibilità, buone

pratiche umane e sociali dell’impresa, impegno politico ecc. Sembra che l’obbiettivo della soddisfazione del

cliente indurra le aziende ad adottare l’approccio agli stakeholder. 

4.4. Implicazioni per il market-driven management

Il marketing strategico resta il miglior sistema per far incontrare domanda e offerta, ma genera un circolo

virtuoso di sviluppo economico e sociale rinforzato dai cambiamenti che si osservano nei mercati odierni. Qui

le autorità devono monitorare e controllare le iniziative per soddisfare i nuovi bisogni, per conciliare

l’efficienza del mercato con gli imperativi della prospettiva sociale. Il paradigma dell’orientamento al mercato

si può definire facendo riferimento a tre dimensioni: 1) cultura: la filosofia aziendale fa riferimento al sistema

di economia sociale di mercato, e creando valore per il cliente l’impresa raggiunge i suoi target di profitto e

crescita creando valore per gli azionisti 2) analisi: obbiettivo del marketing strategico è proporre ad un

segmento di mercato una soluzione diversa da quella della concorrenza e sostenibile. Oggi ciò è più difficile,poiché la complessità dei mercati è aumentata in seguito all’entrata in gioco di nuovi soggetti come la

società civile, i consumatori, le ONG ecc 3) azione: il settore commerciale dell’impresa ha raggiunto c apacità

impensabili, che consentono di allontanarsi da una “strategia di prodotto” per perseguirne una “di soluzione”.  

4.5. Lo sviluppo di Internet

L’obbiettivo finale del concetto di OM, fornire soluzioni personalizzate e servizi in base alle preferenze 

individuali, diventa più realistico grazie allo sviluppo di Internet.

4.5.1. Dall’e-commerce all’e-business

L’e-business costituisce l’applicazione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per condurre

affari; è un concetto ampio che si riferisce sia alle informazioni relative agli scambi che al servizio clienti e

alla collaborazione con i partner commerciali, i distributori e i fornitori. Internet integra le attività tradizionali

delle imprese e le modalità di competizione, creando nuove opportunità per soddisfare i clienti.

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4.5.2. L’impatto di Internet  

Le principali caratteristiche di Internet sono: a) ubiquità virtuale di domanda e offerta b) facile accesso a

informazioni c) confronto di offerte e prezzi tutto in tutto il mondo d) assenza di barriere all’entrata e)

separazione tra produzione e vendita e) pari opportunità per ciascun venditore. Internet tende ad indebolire il

potere di contrattazione dei canali distributivi, può aumentare l’efficienza di un settore e offre ai consumatori

un accesso agevole alle informazioni, rafforzandone il potere di contrattazione. Internet riduce la necessità di

una solida forza vendita riducendo le barriere all’entrata, crea nuovi sostituti, intensifica la rivalità tra

concorrenti ed espande il mercato geografico. Esso ha due caratteristiche: la capacità di distribuire prodotti

digitali a costi prossimi allo zero, e la capacità di mettere in contatto moltissime persone creando network.

4.5.3. La penetrazione di Internet in Europa

Nell’ultimo decennio Internet è diventato accessibile alla maggioranza degli Europei, e l’esperienza maturata

online rappresenta un importante fattore per l’acquisto in Rete. Più della metà degli utenti di Internet con

esperienza effettua acquisti online.

4.5.4. Il ruolo informativo di Internet

Solo una minoranza di imprese vende ai propri clienti finali attraverso il Web. Internet facilita il passaparola,

e le informazioni più cercate sono i prezzi, le informazioni e le ubicazioni dei prodotti; in breve: 1) i potenziali

clienti sono più collegati, informati e critici 2) preferiscono usare internet per cercare i prodotti 3) tendono a

ignorare i consigli del personale di vendita 4) i siti si usano per cercare informazioni prima e dopo l’acquisto

5) i dispositivi di comunicazione sono anche mobili 6) le persone tendono a usare Internet in modo più

complesso se acquisiscono esperienza 7) le persone possono raccontare le proprie esperienze a tutti.

4.6. I vantaggi differenziali di Internet

Le tendenze che caratterizzano i mercati elettronici rispetto ai tradizionali mercati fisici sono diverse: 1)

personalizzazione e customizzazione: la tracciabilità del consumatore permette l’identificazione dei singoli

acquirenti, dei loro profili demografici e delle loro preferenze 2) combinazioni di prodotti: il venditore deve

decidere quali componenti o funzioni inserire nella “soluzione” proposta al cliente e se saranno immesse nelmercato e valorizzate individualmente o in pacchetto 3) prodotti basati su informazioni: internet consente

creazione e distribuzione di copie perfette di prodotti digitali basati su informazioni, permettendo di

soddisfare la domanda indiretta mediante realizzazione di versioni personalizzate 4) ricerca: i mercati

elettronici abbattono i costi sostenuti dai consumatori per avere informazioni, e dei venditori per

pubblicizzarle 5) differenziazione dei prezzi: i dati generati dal CRM misurano la sensibilità al prezzo dei

clienti 6) facilitazione: i mercati elettronici aiutano a ridurre i costi logistici promuovendo consegne veloci che

permettono la riduzione delle scorte.

4.7. L’approccio di “soluzione” e il mercato virtuale 

Molte imprese cercano di collaborare coi propri clienti e con gli attori del mercato per diventare un fornitore disoluzioni, cioè “combinazioni uniche di componenti di prodotti e servizi” che potrebbero risolvere un

problema del cliente. La decisione di “vendere soluzioni” si basa su due obbiettivi: ottenere margini di profitto

più elevati e generare rapporti duraturi coi clienti.

4.7.1. Il concetto di soluzione per il cliente

Una soluzione è una combinazione di prodotti e servizi che creano un valore superiore alla somma delle sue

parti. Molte imprese non hanno successo nell’adozione di questo approccio perché: 1) si crede di vendere

soluzioni accorpando prodotto e/o servizi che creano poco valore quando sono offerti congiuntamente 2) si

sottovaluta la difficoltà di vendere soluzioni il cui sviluppo comporta maggiori costi e che richiede profonda

conoscenza dei problemi del cliente 3) molte imprese commercializzano soluzioni come vendono prodotti

fisici, non adottando una strategia di vendita di tipo relazionale. Ciò che rende preziosa e unica una

soluzione è l’attenzione ai risultati e un metodo esclusivo che giustifichi un prezzo maggiorato. Il mark eting

strategico definisce il mercato in riferimento a bisogni generici o “prodotti” di cui hanno esperienza potenziali

clienti . Ciò che il marketing operativo propone non sono “prodotti” ma “soluzioni” a questi problemi.  

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4.7.2. L’approccio di “soluzione” e il marketing mix  

Nell’approccio di “soluzione”, obbiettivo prioritario è la comprensione dei problemi del cliente. I clienti non

cercano necessariamente dei prodotti specifici, ma una soluzione globale che potrebbe implicare l’uso di un

pacchetto di prodotti e servizi. L’approccio di “soluzione ai problemi dei clienti” propone un modo diverso di

guardare agli elementi del marketing miz: 1) prodotto: una soluzione a un problema e i benefici che il

prodotto rappresenta 2) luogo: un comodo accesso alla soluzione cercata dal compratore 3) prezzo: tutti i

costi monetari e non sostenuti dal cliente per acquistare la soluzione cercata 4) comunicazione: informazioni,

messaggi e segnali relativi alle soluzioni disponibili e alle loro caratteristiche 5) vendita: processo di

negoziazione o dialogo organizzato col potenziale cliente nella ricerca della soluzione al suo problema. Per

ottenere la soluzione, i clienti sono coinvolti in diverse attività collegate al risultato cercato: tali attività

formano un “mercato virtuale”. 

4.7.3. Che cos’è un mercato virtuale? 

Un mercato virtuale rappresenta una sequenza temporale completa di attività logicamente collegate nello

spazio cognitivo dei clienti, mentre cercano una soluzione a un bisogno generico. In esso le attività

intraprese dai potenziali clienti travalicano i confini tradizionali dei settori e dei prodotti-mercati, e potrebbero

non far parte del core business tradizionale dell’impresa: confinare il mercato al concetto di prodotto -mercato

può essere fuorviante. La sfida è passare al concetto di metamercato, che consiste in un’offerta o in un

assortimento di offerte definite con riferimento a tutti gli elementi compresi nello spazio cognitivo del cliente.

Si crea un metamercato quando le associazioni cognitive tra attività diverse vengono riprodotte nel mercato

fisico razionalizzando le attività del cliente. L’agente che rappresenta i partner che collaborano nel fornire la

soluzione nel metamercato viene detto metamediario: egli risolve quattro problemi dei consumatori, ovvero

tempo di ricerca, facilitazione delle transazioni per acquisti collegati, garanzia di qualità e informazioni

imparziali sui contenuti. La chiave per il successo di un metamediario è la fiducia dei consumatori.

4.7.5. Il concetto di ciclo d’ attività del cliente

Esempio di mercato virtuale è rappresentato dal ciclo di attività del cliente: nella ricerca di un risultato i clienti

si impegnano in una serie di attività secondo una certa sequenza temporale, ed esse possono essere

mappate. Prima, quando stanno decidendo cosa fare; durante quando stanno facendo ciò che hanno decisodi fare; dopo, quando stanno cercando di mantenere i risultati ottenuti.

4.7.6. I benefici attesi dell’approccio di “soluzione”  

L’approccio di “soluzione” è redditizio per molte imprese, e i vantaggi del mercato virtuale sono: 1) il concetto

è allineato alla visione del cliente e orientato alle sue esigenze 2) facilita la comunicazione con i potenziali

clienti 3) le entrate potenziali sono maggiori di quelle dei prodotti-mercati 4) l’impresa offre una soluzione

totale ai clienti, costruendo così esclusività, fedeltà e fiducia 5) il concetto individua le opportunità di crescita

in attività legate a quelle di base 6) il concetto individua chi sono i concorrenti indiretti o potenziali.

CAPITOLO 5: L’ANALISI DEI BISOGNI DEL CLIENTE 

5.1. La nozione di bisogno

Il bisogno è una necessità, una sensazione di disagio derivante dall’assenza totale o parziale di qualcosa

che ci da benessere. Ciascuno può patire due tipi di carenze: 1) carenze biologiche e/o fisiologiche: inerenti

al funzionamento dell’organismo che si manifestano, definiscono i bisogni innati o naturali identici per tutti 2)

carenze derivanti dalla nostra personalità, dall’esperienza o dalle condizioni ambientali e sociali: danno

origine ai bisogni acquisiti e psicologici, che cambiano da persona a persona.

5.1.1. Bisogni generici e bisogni derivati

Il marketing non è in grado di creare bisogni, che pre-esistono e sono legati al vivere di ciascuno di noi, ma

può creare solo una domanda per i beni e i servizi che permettono di soddisfare quel particolare bisogno. Un

bisogno generico è un problema che un consumatore cerca di risolvere acquistando prodotti e servizi, un

bisogno derivato o desiderio è una risposta tecnolog ica ad un bisogno generico e rappresenta l’oggetto del

desiderio del consumatore. A parità di bisogno generico da soddisfare i bisogni derivati sono alternativi e

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competono tra loro; la continua comparsa sul mercato di prodotti differenti è dovuta alla saturazione dei

bisogni derivati, che dipende dalla obsolescenza tecnologica o dalle mutate condizioni sociali e culturali.

Sotto l’impulso del progresso il bisogno generico evolve, e la saturazione è osservabile nella maggior parte

dei beni a due livelli: di miglioramento della performance dei prodotti stessi, e della sostituzione di una

soluzione tecnica con un’altra talvolta migliore. E’ l’evoluzione della scienza a fornire nuovi modi di

soddisfare i bisogni, non il marketing. Anche se non può esserci saturazione generale, si possono rilevare

saturazioni settoriali o di mercato di carattere tecnologico: un ruolo del marketing strategico consiste nel

favorire l’adattamento dell’impresa all’evoluzione osservata nella soddisfazione dei bisogni. L’impresa

definisce la sua mission riferendosi al bisogno generico piuttosto che derivato, visto che il secondo varia.

5.1.2. Bisogni assoluti e bisogni relativi

I bisogni assoluti sono saturabili, a differenza di quelli relativi che sono insaziabili poiché più sale il livello

generale più essi andranno oltre. E’ il fenomeno per cui gli individui hanno la tendenza a considerare la loro

situazione peggiorata se coloro con cui si confrontano hanno visto migliorata la loro più di essi; in tali

condizioni soddisfare i bisogni relativi significa svilupparli ulteriormente. La disillusione relativa dei

consumatori nelle società ricche può riassumersi in tre punti: a) si accorgono sempre meno di miglioramenti

delle loro condizioni di vita b) il benessere e il comfort inducono a dimenticare le conseguenze delle

eccessive pretese c) vogliono tutto e subito, hanno perso concezione del tempo e pazienza. L’idea che ciò

che è indispensabile alla sopravvivenza sia più importante di ogni altro genere di consumo è sbagliata: ogni

consumatore accetta un numero di rischi corrispondenti alla ricerca di soddisfazione ma che possono

mettere in pericolo la sua vita. E’ il sensation seeking, la ricerca di stimolazioni sensoriali nuove e forti.  

5.1.3. Bisogni latenti e bisogni espressi

I bisogni o le soluzioni latenti sono quelli di cui il potenziale cliente non è consapevole, e non sono meno

reali dei bisogni espressi: solo non sono ancora presenti nella sezione conscia del pensiero, ma si attivano

quando si manifestano determinate circostanze. I bisogni latenti sono universali, e ruolo del marketing

strategico proattivo è quello di scoprirli e analizzare la loro potenziale redditività. Da una parte ci sono i

bisogni consapevoli, che comprendono qelli espressi, non espressi e immaginari; dall’altra ci sono i bisogni

non consapevoli, che includono i bisogni effettivi e i bisogni inconsci. Una strategia che risponde solo ai

bisogni consapevoli può essere fuorviante, rischiando di trascurare opportunità non sfruttate.

5.1.4. Bisogni esistenziali e bisogni esperienziali

I bisogni esistenziali sono quelli la cui soddisfazione fornisce una certa utilità, legata al funzionamento del

bene/servizio acquistato e consumato. Le persone sono immerse in un “vuoto esistenziale” caratterizzato

dall’assenza di specif ici bisogni o di precisi obiettivi e attività da svolgere, il benessere psico-psicofisico

diminuisce ed è possibile trovarsi a svolgere attività o ad utilizzare beni senza un fine preciso ma solo per il

gusto di farlo. Nel caso di azioni compiute per piacere che si prova mentre le si fa, si può parlare di bisogni

esperenziali: tutti li provano, quando sentono la necessità di tenersi occupati o interessati a qualcosa. Il

filone del marketing esperienziale studia e analizza l’esperienza di consumo nei differenti contesti.

5.2. La motivazione del cliente finale

La motivazione è quell’energia che ci spinge a mettere in atto un comportamento finalizzato a un preciso

obbiettivo. Quando un individuo avverte malessere dovuto alla mancanza di qualcosa, inizia a porre in

essere comportamenti e azioni volti a soddisfare quel bisogno e a far cessare il malessere: movente di tali

comportamenti è la motivazione, che svolge due funzioni: attiva i comportamenti dando l’impulso, orienta i

comportamenti definendone direzione e tipologia. Due sono gli approcci psicologici: 1) approccio

comportamentista: studia il comportamento senza riferirsi alla consapevolezza dell’individuo e ai suoi

processi mentali 2) approccio cognitivista: attribuisce consapevolezza e volontà all’individuo, che ragionando

può decidere come comportarsi. Per il primo il concetto fondamentale è l’apprendimento, per il secondo è

l’elaborazione delle informazioni unita alla memoria. 

5.2.1. Le teorie della motivazione

Tra le teorie comportamentiste della motivazione vi sono 1) la teoria della riduzione delle pulsioni: parte dal

presupposto che vi siano bisogni fondamentali che danno luogo a specifiche pulsioni, che orientano i

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comportamenti individuali. La motivazione è legata all’equilibrio delle pulsioni e si parla di omeostasi, un

meccanismo con cui un problema crea una pulsione, grazie alla quale l’attività che ne risulta mira a ristabilire

l’equilibrio, sopprimendola. 2) la teoria del comportamento diretto a uno scopo: si fonda sull’ipotesi che

l’anticipazione o l’attesa del risultato sia il motore principale nell’orientare la condotta, e il risultato atteso

servirebbe da stimolo all’azione. 3) la teoria degli incentivi: essi amplificano le pulsioni fondamentali o ne

evocano altre, e il comportamento è qua regolato da una relazione costi-benefici per cui l’individuò imparerà

a reagire a certi stimoli ponendo in essere comportamenti che procurano un beneficio ed evitano costi o che

abbiano in passato procurato effetti negativi. 4) la teoria dell’attivazione: si basa sull’ipotesi che l’organismo

non sia fisiologicamente inerte, ma abbia un’attività naturale che costituisce una sorta di automotivazione. La

motivazione nascerebbe dal mantenere a un livello ottimale il livello generale di stimolazione.

5.2.5. Le determinanti del benessere individuale

La nuova concezione della nozione di bisogno permette di distinguere tre orientamenti motivazionali

generali, che possono essere definiti con tre termini: comfort, piacere e stimolazione. A) la ricerca di comfort

deriva da due tipi di comportamento: uno che riduce le tensioni per mezzo della soddifazione dei bisogni

omeostatici, l’altro che lotta contro la noia con stimoli b) la ricerca del piacere, deriva da due fonti: il piacere

inerente alla riduzione delle tensioni e quello derivante dalla stimolazione c) la ricerca di stimolazione, per

combattere la noia ma anche come obbiettivo in sé, senz’altro fine al di fuori della tensione che genera.

La ricerca di comfort si propone di assicurare un bene negativo; il piacere e la stimolazine hanno lo scopo di

assicurare un bene positivo. 

5.3. La struttura multidimensionale dei bisogni

I bisogni dell’individuo sono stati classificati in varie tipologie, sia psicologiche che in attinenza col marketing.

5.3.1. L’elenco dei bisogni di Murray  

Murray considera il bisogno un costrutto ipotetico che rappresenta una forza nella corrispondete regione del

cervello e che organizza e guida il comportamento della mente e del corpo al fine di mantenere l’orga nismo

in una condizione di equilibrio. I bisogni dell’individuo sono classificati secondo quattro dimensioni: bisogni

primari e secondari a seconda che abbiano visioni fisiologica o meno; bisogni positivi o negativi a secondache il soggetto sia attirato o respinto dall’oggetto; manifesti o latenti, a seconda che il bisogno conduca a un

comportamento reale o immaginario; bisogni di cui l’individuo è consapevole o inconsapevole, a seconda

che mantenfa nei loro confronti un atteggiamento introspettivo o meno. Murray ritiene che tutti gli individui

abbiano gli stessi bisogni, ma la loro espressione varia da persona a persona, potendo distinguere tre stati

diversi: a) refrattario: nessuno stimolo può risvegliuare il bisogno b) inducibile: il bisogno è attivo ma può

essere risvegliato c) attivo: il bisogno determina il comportamento dell’organismo.  

5.3.2. La gerarchia dei bisogni di Maslow

Maslow raggruppa i bisogni fondamentali in cinque categorie: i bisogni fisiologici, di sicurezza, sociali, di

stima e di autorealizzazione. Ci sarebbe un ordine prioritario nei bisogni, nel senso che ciascuno comincia a

cercare la soddisfazione dei bisogni prioritari prima di passare alla categoria successiva, essendoci quindiun’attenuazione progressiva dell’intensità dei bisogni soddisfatti e un’intensità crescente per quelli di ordine

superiore non ancora soddisfati. Queste categorie di bisogni coesistono sempre, ciò che cambia è il grado di

importanza che ognuna può assumere a seconda dell’individuo o delle circostanze.  

5.3.3. La lista dei valori di Rokeach

Un valore è la convinzione durevole del fatto che uno specifico modello di comportamento o di vita sia

preferibile ad un altro, opposto o diverso sul piano personale e sociale. Un “sistema di valori” è un insieme

organizzato di convincimenti durevoli, relativamente a modelli di comportamento o di vita in un continuum di

importanza relativa. Esistono valori terminali e strumentali: i primi sono i nostri convincimenti riguardo agli

obbiettivi che ci proponiamo di raggiungere, i secondi indicano i nostri convincimenti sulle modalità di

comportamento da adottare per raggiungere i valori terminali. La maggior parte delle persone appartenenti a

una società possiede gli stessi valori, anche se in misura diversa. Per comprendere le motivazioni individuali

si comincia a comprendere i valori ai quali sono legati gli individui, in particolar modo quando si tratta di

prodotti che hanno un valore per il consumatore.

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5.3.4. Il modello della catena “mezzi -fini”  

Gli studi di Maslow e Rokeach hanno dimostrato che i valori svolgono un ruolo rilevante nella gestione del

comportamento dell’individuo, e utilizzarli nel marketing è produttivo da un punto di vista sia analitico che

previsionale, per confrontare il comportamento del consumatore con i suoi valori. E’ questo l’obbiettivo della

teoria “mezzi-fini”, nota come “modello MEC”, che cerca di spiegare come il consumatore scelga i prodotti

che gli serviranno a ottenere le conseguenze desiderate che lo condurranno al raggiungimento della

condizione finale a cui mira. La rappresentazione mentale della catena è composta da tre elementi: a) gli

attributi dei prodotti b) le conseguenze del comportamento di consumo c) i valori strumentali e terminali.

5.3.5. La teoria dei valori del consumo di Sheth, Newman, Gross

 Applicando il concetto di valore ai comportamenti di acquisto, tali studiosi descrivono la decisione di acquisto

come un fenomeno multidimensionale che chiama in causa valori diversi che vengono così definiti: 1) valore

funzionale: l’utilità percepita di un’alternativa, derivante dalla sua capacità di svolgere il proprio ruolo

funzionale, utilitario o fisico 2) valore sociale: l’utilità percepita di un’alternativa derivante dalla sua

associazione a uno o più gruppi sociali 3) valore emozionale: l ’utilità percepita di un’alternativa derivante

dalla sua capacità di suscitare sentimenti o reazioni affettive 4) valore epistemico: l’utilità percepita di

un’alternativa derivante dalla sua capacità di suscitare curiosità, di apportare del nuovo o di  soddisfare un

desiderio di conoscenza 5) valore circostanziale: l’utilità percepita di un’alternativa derivante da una

situazione o da un contesto specifico nel quale si trova chi deve decidere. Alcuni valori possono avere

un’importanza maggiore rispetto ad altri, esso sono tra loro indipendenti con ognuno che si aggiunge agli

altri e contribuisce alla formazione della scelta. Il concetto di valore offre all’analista di mercato un quadro

concettuale semplice ma completo, che permette di analizzare la struttura dei bisogni del clienti finale e di

segmentare il mercato.

5.4. La motivazione del cliente industriale

5.4.1. Specificità dei mercati business-to-business

Le differenze tra il marketing B2C e B2B possono essere raggruppate in tre categorie, a seconda che

interessino la domanda, il profilo del cliente industriale o le caratteristiche dei prodotti o servizi industriali.La domanda di beni industriali. La domanda industriale è una domanda derivata, espressa da

un’organizzazione che utilizza i prodotti acquistati all’interno del suo sistema di produzione per rispondere

alla domanda di altre organizzazioni e del consumatore finale. La domanda industriale è instabile e reagisce

bruscamente a una debole variazione della domanda finale (principio di accelerazione).

Il cliente industriale. L’impresa industriale si trova di fronte a clienti multipli: i suoi clienti diretti e i clienti dei

suoi clienti diretti. Il cliente industriale è un acquirente professionista tecnicamente competente, e l’atto di

acquisto implica un livello di standardizzazione non rintracciabile nell’acquisto del consumatore finale. 

Il prodotto industriale. Il prodotto ricercato è indicato con precisione dal cliente industriale, le prestazioni

attese sono specificate e il margine di manovra del fornitore è limitato.

5.4.2. Il cliente industriale (B2B) come centro decisionale d’acquisto  Si definisce centro d’acquisto un gruppo di individui che devono prendere assieme una certa decisione

d’acquisto. Ognuno di essi esercita un ruolo specifico nel processo decisionale, e il gruppo d’acquisto è

caratterizzato dalla presenza di un sistema di comunicazione o interazione e da un sistema di valori o di

norme condivise che orientano e vincolano il comportamento di ogni membro del centro d’acquisto. Il centro

d’acquisto è composto da cinque ruoli: 1) l’acquirente: all’interno dell’organizzazione ha il compito di definire

le condizioni d’acquisto, di selezionare i fornitori e le marche e di negoziare i contratti 2) l’utente: utilizza il

prodotto, può formulare rivendicazioni o rifiutarsi di lavorare con certi mercati 3) il prescrittore: è in grado di

influenzare la decisione finale, definendo quei criteri che restringono la scelta possibile 4) il decisore: è

responsabile della scelta finale delle marche e dei venditori 5) i filtri: membri che controllano il flusso di

informazioni all’interno del gruppo e possono influenzare direttamente il processo d’acquisto.  

5.4.3. Bisogni generici dei clienti industriali

Il cliente industriale si identifica col centro d’acquisto, composto da persone che esercitano funzioni differenti

all’interno dell’organizzazione e che hanno motivazioni organizzative e personali distinte. Quel lo che si

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potrebbe chiamare bisogno generico del cliente industriale va definito in riferimento a cinque dimensioni: 1)

dimensione tecnologica 2) dimensione finanziaria 3) dimensione di assistenza 4) dimensione d’informazione

5) dimensione strategica. Rispetto a quella del consumatore finale, la struttura delle motivazioni del cliente

industriale è più complessa e più semplice: più complessa perché chiama in causa un’organizzazione e

diverse persone operanti in tale organizzazione, più semplice perché le motivazioni principali sono più

oggettive e più facili da identificare.

CAPITOLO 6: IL COMPORTAMENTO D’ACQUISTO DEL CLIENTE 

6.1. I diversi ruoli del cliente

Una transazione commerciale richiede che il cliente realizzi tre azioni: acquisto, pagamento del prodotto e

suo utilizzo, potendo risultare quindi acquirente, pagante e consumatore. L’acquirente partecipa al processo

di acquisizione nel mercato, il pagante finanzia l’acquisto, il consumatore usa il prodotto o beneficia del

servizio. Ognuno di questi tre ruoli definisce il cliente, ed esso può essere identificato in quattro suddivisioni.

Il consumatore è anche acquirente e pagante. In questo caso un’unica persona ricopre i tre ruoli. 

Il consumatore non è acquirente né pagante. Qui il consumatore si distingue dal pagante e dall’acquirente

nella situazione che si verifica nei mercati dei beni di consumo per i prodotti acquistati da casalinghe per uso

domestico o per i bambini.

Il consumatore è anche acquirente, ma non pagante. Tutte le decisioni relative ad acquisti effettuati su

conti spese rientrano in questa categoria, ed è il caso dei programmi di copertura sanitaria offerti ai

dipendenti delle imprese. Qui si registrano spesso consumi eccessivi.

Il consumatore è il pagante, ma non l’acquirente. Nei mercati B2B si ricorre spesso a un intermediario

esterno incaricato di acquistare un’attrezzatura o delle materie prime per conto di un’impresa che finanzia

l’operazione e utilizza il prodotto. 

6.2. Il processo d’acquisto e consumo nei mercati B2C 

Dal punto di vista del processo di marketing, il comportamento d’acquisto è quell’insieme di attività cheprecedono, accompagnano e seguono le decisioni d’acquisto e durante le quali l’individuo interviene al fine

di compiere scelte con cognizione di causa e non in modo casuale e incerto.

6.2.1. Fasi del processo d’acquisto 

Nel processo d’acquisto intervengono le 5 fasi del processo di risoluzione di un problema da parte del cliente

1) individuazione del problema 2) ricerca di informazioni 3) valutazione delle possibili soluzioni alternative 4)

decisione d’acquisto 5) comportamento dopo l’acquisto. L’acquirente è considerato un soggetto attivo.  

6.2.2. Il principio di razionalità limitata

Il comportamento d’acquisto è indicato dal principio di razionalità limitata, cioè nei limiti delle capacità

cognitive e di apprendimento degli individui. Tale principio presuppone che le scelte siano oggetto di unariflessione del cliente, che si effettuino sulla base della previsione di dati futuri e che siano guidate dal

principio della scarsità generalizzata, secondo cui ogni atto umano comporta un costo-opportunità. Questo

approccio prende il nome di comportamento risolutorio razionale, coerente con gli obbiettivi fissati

inizialmente. Il consumatore è coerente in relazione ai suoi principi e non rispetto a quelli stabiliti senza alcun

riferimento a uno specifico contesto ambientale o di preferenze: il comportamento razionale non esclude

quello impulsivo. La razionalità comporta solo l’adozione di una procedura sistematica di scelta.

6.2.3. I diversi approcci risolutori

Vi sono tre comportamentei risolutori: 1) comportamento risolutorio estensivo: si adotta dove il valore delle

informazioni e/o il rischio siano elevati, i criteri di scelta tra alternative sono mal definiti e la loro

identificazione richiede una ricerca approfondita 2) comportamento risolutorio limitato: si osserva quando i

criteri di scelta sono definiti, ma l’acquisto richiede comunque una preliminare ricerca di informazioni e

valutazioni 3) comportamento risolutorio di routine: il cliente ha accumulato una quantità sufficiente di

esperienza e informazioni, oltre a formulare preferenze in un processo di scelta ripetitivo.

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6.2.4. La ricerca di informazioni

La maniera in cui il cliente-acquirente cerca le informazioni per prendere la decisione dipende da una serie

di fattori: 1) il rischio percepito: dipende dall’incertezza sulla portata delle conseguenze derivanti dalla scelta,

e si identificano sei tipi di rischi a) rischio funzionale: le caratteristiche del prodotto non corrispondono alle

attese b) rischio finanziario: acquisto a condizioni di prezzo più elevate c) rischio di perdita di tempo: dovuto

alle ore dedicate a reclami, resi ecc d) rischio fisico: provocato da prodotti il cui consumo potrebbe portare

dei pericoli e) rischio sociale: se il prodotto trasmette un’immagine sociale non corrispondente alla

personalità del cliente f) rischio psicologico: rispecchia una perdita di autostima. I clienti sviluppano

particolari strategie e tecniche per ridurre il livello di rischio. 2) grado di coinvolgimento: è una situazione di

risveglio vissuta dall’individuo riguardo a un’attività legata al consumo. Un forte coinvolgimento comporta un

livello elevato di riflessione preliminare e una forte reazione affettiva 3) familiarità e competenza con la

tipologia di prodotto: la prima si riferisce alle precedenti esperienze che l’acquirente ha avuto col prodotto, la

seconda è la conoscenza specifica relativa alla composizione del prodotto, alle sue caratteristiche o al suo

funzionamento. Il consumatore competente sa cosa conosce e cosa no, cerca informazioni e colma il deficit

di conoscenza. 4) stile di shopping: si ha quello di tipo funzionale, che è strumentale all’approvvigionamento

di beni, e quello ricreativo che è valutato come un’attività autonoma rispetto all’acquisto. 

6.2.5. I costi dell’informazione 

E’ possibile raggruppare in tre categorie tali costi: a) costi di ricerca: sostenuti per conoscere i mercati e

delimitare l’insieme delle opportunità b) costi di percezione: sostenuti per identificare le caratteristiche dei

beni inseriti nell’insieme sotto esame, nonché i termini di scambio c) costi di valutazione: permettono di

valutare il grado di presenza delle caratteristiche percepite e di verificare l’autenticità dei segnali inviati dal

mercato sulla qualità dei beni. Questi costi riguardano essenzialmente il tempo impiegato nell’acquisto.  

6.2.6. Le fonti dell’informazione 

L’attività di raccolta delle informazioni può essere migliorata ricorrendo a fonti di informazione diverse: a)

fonti di informazione dei produttori: sono gratis e facilmente accessibili, ma incomplete e parziali b) fonti di

informazione personali: è il passaparola, si addicolo ai bisogni del futuro acquirente e la loro affidabilità

dipende da quella della fonte c) fonti d’informazioni neutre: sono articoli su giornali o riviste, permettono diaccedere a tante informazioni ad un costo contenuto, sono obbiettive, concrete e competenti.

6.3. Il processo d’acquisto nei mercati B2B 

6.3.1. Fasi del processo d’acquisto 

Il processo d’acquisto del cliente industriale può suddividersi in sei diverse fasi: identificazione dei bisogni;

determinazione delle specifiche e programmazione dell’acquisto; identificazione delle alternative d’acquisto;

valutazione delle attività alternative d’acquisto; scelta dei fornitori; controlo e valutazione della performance.

Non tutte le decisioni di un cliente industriale seguono questo processo, saranno la complessità della

decisione e il suo grado di rischio a determinar e il grado di formalizzazione del processo d’acquisto. 

6.3.2. La filiera industriale

Una filiera indistriale è costituita da tutti gli stadi del processo produttivo che porta, dalle materie prime, a

soddisfare il bisogno del cliente finale indipendentemente dal fatto che riguardi un bene materiale o un

servizio. Esiste dunque una gerarchia di settori che si configurano come clienti o fornitori, a seconda della

loro posizione.

6.3.3. Struttura tipica di una filiera industriale

La struttura tipica della domanda industriale comprende: 1) prima trasformazione: domanda di materie prime

che vengono trasformate in prodotti semilavorati 2) trasformazione finale: domanda di prodotti grezzi che

saranno trasformati in prodotti trattati più complessi 3) primo assemblaggio: domanda di prodotti finiti che

vengono usati per fabbricare prodotti più complessi, che rappresentano componenti di altri prodotti 4)

assemblaggio finale: domanda di prodotti finiti che vengono assemblati in prodotti destinati alla domanda

finale 5) assemblatori: domanda di vari prodotti che vengono assemblati per creare sistemi o grandi

complessi. A queste domande vanno aggiunte quelle di beni d’investimento, materiali di consumo e servizi.  

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6.4. Il prodotto come paniere di attributi

Dal punto di vista del cliente si può definire il prodotto come un “paniere di attributi” che fornisce al cliente

stesso il valore funzionale o “di base” specifico di quella classe di prodotti.  

6.4.1. Il servizio o beneficio di base

Il servizio di base offerto da un prodotto o da una marca corrisponde al valore funzionale della categoria di

prodotto; costituisce il vantaggio di base fornito da ciascuna delle marche con modalità che tenfono ad

uniformarsi. Di conseguenza è spesso in sé un criterio di scelta poco determinante.

6.4.2. I servizi supplementari

Oltre all’utilità di base, il prodotto offre un insieme di altre utilità o servizi supplementari la cui importanza può

esser decisiva quando le prestazioni di marche diverse si equivalgono. Questi servizi possono essere

“necessari” o “aggiunti”: i primi sono le modalità di produzione del servizio di base e tutto ciò che lo

accompagna di norma, secondi sono utilità non legate al servizio di base offerti in più dalla marca e che

rappresentano un importante elemento di distinzione. Questi servizi supplementari generano soddisfazione

per il cliente. Si può definire una marca come un paniere di attributi che genera il servizio di base e alcuni

servizi supplementari, necessari o aggiunti, la cui importanza e utilità possono essere percepite in modo

diverso dai potenziali clienti. Ogni marca possiede almeno una caratteristica unica, e la percezone globale di

una marca da parte del cliente costituisce l’immagine di marca. 

6.5. Il customer relationship management

La gestione del rapporto col cliente (CRM, Customer Relationship Management) è al centro del processo di

marketing. Può esservi differenza tra ciò che l’impresa pensa che il cliente desideri e ciò che il cliente vuole

realmente. Da qui la necessità di interpellare direttamente il cliente e misurare il suo grado di soddisfazione.

6.5.1. Definizione di CRM

Lo scopo del CRM è quello di aumentare in modo efficace ed efficiente l’acquisizione e il mantenimento diclienti redditizi avviando in modo selettivo, costruendo e mantenendo con loro un rapporto adeguato. Con il

CRM si parte dall’identificazione degli “indiziati”, clienti che potenzialmente potrebbero essere interessati al

prodotto o servizio offerto; dei “candidati”, potenziali clienti che hanno già un f orte interesse verso il prodotto;

dei “candidati non accreditati”, coloro che l’azienda esclude perché non sufficientemente affidabili. L’impresa

cercherà di convertire i candidati accreditati in nuovi clienti e in clienti affezionati, la sfida successiva sarà di

trasformare i clienti in sostenitori che lodano l’azienda. Affinchè il rapporto col cliente sia efficace, è

necessario che membri delle diverse funzioni dell’impresa lavorino assieme per costituire team

interfunzionali e che la cultura aziendale, orientata al mercato e al cliente, sia presente a ogni livello

dell’organizzazione. Il CRM ruota intorno al cliente. 

6.5.2. La gestione della relazione cliente-fornitore nei mercati B2BNei mercati B2B si possono identificare tre diverse categorie di cliente: 1) il cliente collaborativo: vuole e può

avere un rapporto di controllo condiviso con il fornitore, 2) cliente attivo: cerca il controllo quasi totale della

relazione d’acquisto 3) cliente passivo: ha un basso livello di coinvolgimento nell’esperienza d’acquisto, non

dimostra fedeltà e non è disponibile a informarsi di più.

6.6. Il comportamento del cliente dopo l’acquisto 

L’obbiettivo del CRM è costruire rapporti redditizi, durevoli e reciproci con buoni clienti. E’ necessario a)

monitorare la soddisfazione del cliente b) gestire correttamente i reclami dei clienti insoddisfatti c) trovare

soluzioni appropriate ai loro problemi d) ricompensare i clienti che dimostrano fedeltà.

6.6.1. Il comportamento del consumatore insoddisfatto

I clienti che pongono dei problemi sono a) quelli che sono scontenti e non si lamentano b) quelli che si

lamentano ma non sono soddisfatti del modo in cui il loro reclamo viene trattato e accolto dall’impresa. Le

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perdite di clienti provengono da questi due gruppi e sono una pubblicità negativa dannosa e difficilmente

controllabile. Il livello di soddisfazione o insoddisfazione dei clienti è un dato fondamentale nel sistema

informativo di mercato; un reclamo non è in sé un elemento negativo, poiché il cliente accetta il problema

purchè l’impresa apporti una soluzione. I reclami sono un’importante fonte d’informazione che permette di

conoscere meglio i bisogni dei clienti e la loro percezione della qualità per i prodotti dell’impresa.  

6.6.2. Metodi di misurazione della soddisfazione/insoddisfazione

La procedura d’indagine si articola in tre fasi. Viene stabilito il livello generale di soddisfazione

dell’intervistato, gli viene chiesto di attribuire un punteggio all’importanza e alla performance di ogni singolo

attributo, vengono misurate le intenzioni volte a una ripetizione dell’acquisto.  

6.6.3. Analisi della soddisfazione del cliente

Il primo passo consiste nel calcolare il punteggio medio di performance e la deviazione standard di ciascun

attributo, che vengono poi messi a confronto coi valori medi del settore d’appartenenza. Dal confronto si

ottiene una fotografia credibile della qualità percepita del prodotto. I punteggi di performance vanno distribuiti

lungo due assi: su quello orizzontale i valori relativi alla performance media, su quello verticale le deviazioni

standard. Se la deviazione è alta, pochi tra gli intervistati hanno espresso la stessa opinione, se è bassa la

maggioranza la condivide. Nel quadrante inferiore destro gli attributi dela marca o dell’impresa indicano che i

clienti sono soddisfatti e concordano nell’affermarlo, avendosi “soddisfazione omogenea”. Nel quadrante in

alto a destra i clienti esprimono opinioni diverse, con la “soddisfaione distribuita”. Nel quadrante superiore

sinistro la soddisfazione è al di sotto rispetto a quella media del settore, nella “insoddisfazione distribuita”.

Nell’ultimo, i consumatori sono insoddisfatti e lo dicono, nella “insoddisfazione omogenea”.  

6.6.4. Stili di risposta legati alla soddisfazione e all’insoddisfazione 

I clienti possono esprimere sei profili del comportamento di fedeltà: 1) l’apostolo: cliente molto soddisfatto

che parla della sua esperienza ad altri potenziali clienti 2) il fedele: il cliente soddisfatto che non parla con

altre persone 3) il disertore: cliente insoddisfatto che se ne sta zitto 4) il terrorista: il cliente insoddisfatto che

parla troppo 5) il mercenario: il cliente tendenzialmente soddisfatto che farebbe di tutto pur di ottenere un

trattamento migliore 6) l’ostaggio: cliente che non ha altre scelte.

6.7. Il rapporto soddisfazione-fedeltà

6.7.1. Il concetto di fedeltà alla marca

Jacoby e Kyner hanno elencato sei criteri per determinare la fedeltà alla marca. Essa è 1) la risposta

comportamentale 2) premeditata 3) espressa nel tempo 4) da un’unità decisionale 5) rispetto a una o più

marche alternative e 6) dipendente da un processo psicologico. Chi decide non deve per forza essere

l’utilizzatore o l’acquirente del prodotto, e si ha qua il concetto di fedeltà multimarca, dove un individuo può

essere fedele a più marche.

6.7.2. Il rapporto soddisfazione-fedeltà

Nei mercati non competitivi il grado di soddisfazione ha un impatto limitato sulla fedeltà, essendo qui i clientivincolati. Nei mercati competitivi vi sono notevoli differenze nel tasso di fedeltà tra i clienti “soddisfatti” e

quelli “pienamente soddisfatti”. Limitarsi a soddisfare clienti che hanno libertà di scelta non è più sufficiente

per conservare la loro fedeltà: solo i clienti pienamente soddisfatti saranno clienti fedeli.

CAPITOLO 7: IL SISTEMA INFORMATIVO MARKETING

7.1. Struttura del sistema informativo marketing

Il sistema informativo di marketing è un insieme di attività, tecnologie, procedure organizzative, modelli,

metodologie e persone volto alla raccolta, al trattamento, alla conservazione, alla distribuzione e

all’interpretazione di dati riguardanti fenomeni di mercato ritenuti rilevanti ai fini dell’effettuazione di analisi e

dell’assunzione delle decisioni di marketing dell’impresa. Nel contesto di macromarketing i flussi

d’informazioni sono analizzati da tra sottosistemi: il sistema di contabilità interna, di business intelligence e di

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ricerca di marketing. Un quarto sottosistema è il sistema analitico di mercato, che elabora dati e trasferisce

informazioni al management.

7.1.1. Sistema di contabilità interna

I dati raccolti per scopi diversi dalla ricerca, sono definiti dati secondari interni. Un rapporto di vendita

mensile classificato per prodotto, gruppo di clienti e territorio di vendita permette di: confrontare le vendite

del periodo e dell’anno precedente, valutare l’efficienza delle vendite per area, analizzare la penetrazione sul

mercato. Molte aziende non raccolgono informazioni abbastanza dettagliate da servire alla ricerca. Si

possono intraprendere analisi di vario tipo: grafiche, previsioni di vendita a breve termine, della correlazione

tra vendite e fattori esplicativi di base, con modelli econometrici. Ci sono dei requisiti da tener presenti nella

strutturazione di un sistema di report: a) tempestività: le informazioni devono essere disponibili quando

servono b) flessibilità: le informazioni devono essere in formati diversificati e con vari livelli di dettaglio c)

inclusività: il sistema deve coprire tutte le esigenze informative d) accuratezza: il livello di precisione deve

essere adeguato e) comodità: le informazioni devono essere accessibili ai decisori. I dati che arrivano dal

sistema di internal accounting costituiscono il fondamento del SIM.

7.1.2. Il sistema di business intelligence

I dati forniti dal sistema di contabilità interna devono essere completati con informazioni sul contesto

macromarketing e sulla concorrenza. Per raccogliere informazioni di business intelligence esistono vari

metodi: 1) il metodo casuale consiste in una ricerca informale di informazioni condotta dai manager 2) la

forza vendita: i venditori dovrebbero ricevere formazione e motivazione necessarie a registrare i dati relativi

al mercato 3) i centri informativi vantano la presenza di personale che effettua ricerche 4) un gran numero di

imprese acquista informazioni ricavate da ricerche commissionate da vari clienti a servizi associati.

7.1.3. Il sistema della ricerca di marketing

Il ruolo della ricerca di marketing comporta la diagnosi delle esigenze informative e la selezione di variabili

rilevanti e collegate tra loro, in base alle quali vengono raccolte, registrate e analizzate informazioni valide e

attendibili. La ricer ca di marketing deve assolvere quattro funzioni: 1) diagnosticare l’esigenza di

informazione 2) selezionare le variabili da misurare 3) assumersi la responsabilità della validità interna ed

esterna delle informazioni 4) trasmettere le informazioni al management. L’analista deve partecipare in modoattivo alla definizione del problema, all’elaborazione della ricerca e all’interpretazione dei risultati relativi. 

Importazione della ricerca di marketing a livello manageriale. La ricerca di marketing ha tre obbiettivi: 1)

supporto alla comprensione: tratta di scoprire, descrivere e analizzare fattori di mercato e la domanda 2)

supporto alla decisione: individuare le strategie e gli strumenti di marketing più appropriati 3) supporto al

controllo: valutare la performance e i risultati dei programmi di marketing.

La tempistica della ricerca di mercato. L’interrogativo di un manager è se avviare o meno una ricerca di

marketing specifica, tenendo conto di a) vincoli temporali: la ricerca richiede tempo, e spesso l’urge nza della

situazione la impedisce b) disponibilità di dati: in alcuni casi il management ha informazioni sufficienti per

decidere senza ulteriori ricerche c) valore per l’impresa: dipende dalla natura delle decisioni da prendere. In

molti casi anche una piccola ricerca può migliorare la qualità delle decisioni manageriali sostanzialmente.

7.2. Ricerca di marketing e metodo scientifico

La ricerca di marketing deve produrre conoscenze accreditate senza le quali non è possibile adottare buone

decisioni. Il ricercatore di mercato deve seguire il metodo scientifico, che si propone di garantire due tipi di

validità dei risultati a) validità interna: riguarda la relazione tra due variabili, si ha se si può ritenere che esista

una relazione di causa-effetto tra esse b) validità esterna: riguarda il poter generalizzare i dati osservati.

7.2.1. Caratteristiche della conoscenza scientifica

La conoscenza scientifica stabilisce i fatti che permettono di chiarire le teorie, per poi descriverli e spiegarli.

Essa va oltre i semplici fatti: l’analista dovrebbe cercare riscontri nuovi che rispondano a criteri di autenticità.

Essa è verificabile: una proposta o una spiegazione devono prestarsi a test empirici in grado di invalidarle. E’

analitica: il ricercatore tenta di scomporre il processo decisionale per determinarne il meccanismo. E’ chiara

e precisa: la scienza tende alla precisione, all’accuratezza e alla riduzione dell’errore. E’ comunicabile: i

risultati e la metodologia di una ricerca vanno presentati in modo esaustivo e preciso. Ha valore generale: il

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ricercatore dovrebbe inserire i fatti in contesti più generali, affinchè le teorie possano applicarsi ampiamente.

7.2.2. L’interfaccia manager -ricercatore

In molti casi i ricercatori di mercato non sono abbastanza orientati al management e molti management non

lo sono alla ricerca. L’utilizzatore della ricerca dovrebbe informare il ricercatore sul problema specifico

dell’impresa, le sue origini e il contesto attuale, le limitazioni di costo e di tempo per la ricerca e quelle per le

politiche perseguibili, sui dati che verranno forniti dall’azienda e sui mutameni della situazione. Il ricercatore

dovrebbere essere onesto e trasparente sui risultati attesi, fornire una presentazione e spiegazione delle

conclusioni, richiedere al decisore le informazioni necessarie a pianificare e svolgere la ricerca, esigere un

rapporto valido ed esauriente, rifiutarsi di distorcere o abbreviare i risultati in base a pregiudizi dell’utente. 

7.2.3. Fasi del processo di ricerca

 Anche la ricerca di marketing si compone di una sequenza di attività tra loro correlate: 1) definizione del

problema: manager e analista di mercato devono definire il problema e concordare sull’obbiettivo dello

studio 2) disegno della ricerca: il piano della ricerca è una struttura che specifica i metodi di raccolti e analisi

dei dati richiesti, e la sua elaborazione è di competenza dell’analista 3) raccolta d’informazioni: approvato il

piano di ricerca inizia la raccolta d’informazioni, fase affidata a società di ricerche di mercato. La fae di

raccolta dei dati si articoli nei momenti del “pre-test” e dello studio vero e proprio su un campione più vasto

4) elaborazione e analisi dei dati: completata la raccolta, i dati vanno convertiti in una forma corrispondente

agli interrogativi del manager, mediante rivesione, codifica, classificazione e analisi dei dati 5) presentazione

del rapporto di ricerca: la fase finale consiste nell’interpretare le informazioni e trarre conclusioni utili alle

decisioni del management. Qui il rischio è di incorrere in un eccessivo tecnicismo.

7.2.4. Tipologie di ricerche di marketing

Si possono classificare le ricerche di marketing in base alla tecnica usata o alla natura del problema

affrontato. La ricerca esplorativa è volta a chiarire la natura del problema, a generare nuove idee o

percezioni e a fornire indicazioni per ulteriori ricerche. La ricerca descrittiva intende determinare la frequenza

con cui qualcosa si verifica o la relazione tra due variabili, ed essa spesso risolve i problemi di marketing. La

ricerca casuale si propone di trovare delle relazioni di causa ed effetto, e qui si ha un’aspettativa circa la

relazione che va spiegata. La ricerca esplorativa e quella descrittiva di solito precedono quella casuale.

7.3. La ricerca esplorativa

7.3.1. Obbiettivi della ricerca esplorativa

L’esigenza di ricorrere alla ricerca esplorativa nasce quando l’impresa affronta problemi mal definiti, volendo

trovarne le spiegazioni più plausibili. I principali obbiettivi sono: esaminare la minaccia proveniente da un

problema o il potenziale di un’opportunità, formulare un problema vago per un’indagine più preciso,

formulare un ipotesi, raccogliere e analizzare informazioni, stabilire le priorità per altre ricerche, accrescere

la familiarità del ricercatore col problema, chiarire un concetto. Si adatta a problemi di cui si sa molto poco.

7.3.2. Sviluppo delle ipotesiLa ricerca esplorativa traduce il problema in obbiettivi, per sviluppare ipotesi verificabili. Un’ipotesi è una

proposta congetturale che fornisce una risposta possibile alla domanda di ricerca formulata, oltre ad

aggiungere un buon livello di specificità. Si hanno quattro fonti principali di informazioni: 1) le teorie 2)

l’esperienza dei manager con problemi simili 3) l’utilizzo di dati secondari 4) la ricerca esplorativa.  

7.3.3. L’uso dei dati secondari  

I dati secondari sono già pubblicati e raccolti per scopi diversi da quelli della ricerca in atto. Possono essere

classificati come provenienti da fonti interne o esterne: i primi sono centralizzati nel sistema di contabilità

interna, i secondi provengono da una vasta gamma di fonti come pubblicazioni governative, libri e periodici. I

dati secondari hanno il vantaggio di essere rapidamente rintracciabili a costi inferiori rispetto a quelli primari,

oltre a contenere informazioni sconosciute al ricercatore, ma comportano problemi quali: informazioni non

aggiornate, difformità nella definizione dei termini, unità di misura non coerenti. A ciò si aggiunge che l’utente

non può verificarne l’accuratezza: essi vanno quindi sottoposti a un utilizzo più critico. 

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7.3.4. L’idagine presso informatori chiave 

Dopo aver esaminato le fonti secondarie, si possono ottenere spunti e idee discutendo con persone dotate di

conoscenze ed esperienze privilegiate in merito al problema in esame. Queste persone sono operatori

(partecipano allo scambio) ed esperti, che possiedono informazioni privilegiate in virtù della loro professione.

7.3.5. Benchmarking e analisi di casi selezionati

Un terzo metodo usato nella ricerca esplorativa consiste nell’analisi dettagliati di casi simili al fenomeno

studiato, alla ricerca di spiegazioni o per decidere come comportarsi.

7.3.6. Discussioni all’interno di focus group 

L’intervista con il focus group si sviluppa all’interno di un gruppo di 8-12 individui, che si riunisce e discute

col moderatore che introduce l’argomento. I principali vantaggi sono la rapidità, la facilità di esecuzione e i

costi contenuti, la riduzione della distanza tra intervistato e clienti, la flessibilità e che gli intervistati si

stimolano a vicenda. Anche i limiti delle interviste con i focus non importanti: gli intervistati non

rappresentano un valido campione della popolazione, l’interpretazione de i risultati è soggettiva, le valutazioni

tendono a essere conservatrici in quanto il metodo favorisce idee spiegabili e non troppo innovative.

7.3.7. Tecniche di proiezione

Se la domanda è mascherata è più probabile che gli intervistati diano una risposta sincera. Le tecniche di

proiezione constano di modalità indirette usate per formulare e sottoporre le domande, per permettere la

proiezione di convinzioni e sentimenti su una terza persona quando esposti a uno stimolo non strutturato. Le

tecniche più usate sono l’associazione tra foto e situazioni, il completamento di frasi e i giochi di ruolo.  

7.3.8. Limiti della ricerca esplorativa

La ricerca esplorativa non può sostituire quella quantitativa e conclusiva. E’ pericoloso accettare

passivamente i risultati di un focus group o di alcune interviste informali, poiché i risultati non sono

proiettabili su un campione più vasto, e perché vi è un alto grado di ambiguità nei risultati dovuto alla loro

interpretazione da parte del moderatore. Il rischio più grande è però che venga scartata un’idea valida e

promettente che non sia stata considerata tale nello studio qualitativo.

7.4. La ricerca descrittiva

7.4.1. Obiettivi della ricerca descrittiva

La ricerca descrittiva vuole fornire un’immagine chiara di un particolare aspetto del mercato in un dato

momento o controllare l’andamento di una certa attività nel tempo. I suoi obbiettivi sono: descrivere

l’organizzazione e i canali di distribuzione di un mercato, valutare le proporzioni o il profilo socio -demografico

di una popolazione, prevedere il livello della domanda primaria, descrivere il comportamento d’acquisto dei

consumatori, descrivere come essi percepiscono le marche e l’evoluzione degli stili di vita. Prima di iniziare

una ricerca di questo tipo vanno rispettate tre condizioni: formulare una o più ipotesi derivate dalla domanda

di ricerca, specificare l’oggetto della ricerca, specificare il metodo usato per raccogliere informazioni. Vi sono

due tipi di studi descrittivi: a) studi trasversali: riferiti a un campione di popolazione le cui caratteristichevengono rilevate una volta sola b) studi longitudinali: forniscono misure ripetute nel tempo, sia in base alle

stesse variabili che a variabili diverse.

7.4.2. Metodi di raccolta di dati primari

Vi sono tre metodi di raccolta dei dati primari: le osservazioni, le ricerche e le sperimentazioni.

Metodi di osservazione. L’osservazione scientifica è il processo di registrazione degli schemi

comportamentali di persone, oggetti o avvenimenti senza interrogarli o comunicare con loro. Si osservano

cinque diversi fenomeni: 1) le azioni e le prove fisiche 2) i fattori temporali 3) le relazioni e le localizzazioni

spaziali 4) i comportamenti espressivi 5) le informazioni pubblicate. Il vantaggio di questi metodi è dato dal

carattere non invasivo, i dati sono più oggettivi di quelli derivanti dalla comunicazione ma hanno il limite di

non essere utili nello studio di motivazioni, attitudini, preferenze e intenzioni.

Metodi di ricerca. Ci sono quattro metodi per raccogliere i dati di un sondaggio: 1) le interviste personali si

adattano a concetti di prodotto complessi o a nuovi prodotti, consistono in incontri individuali tra intervistatore

e intervistato e sono basate su un questionario 2) le interviste telefoniche si adattano a concerti di prodotto

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basilari e ben definiti o a caratteristiche specifiche del prodotto, le domande sono poste per telefono e le

informazioni richieste sono definite, non riservate e limitate 3) i questionari postali sono usati per allargare il

campo dell’inchiesta, l’efficacia è maggiore se si tratta di concetti definiti e le domande non sono troppo

numerose e specifiche 4) i sondaggi online prevedono l’uso di Internet per la raccolta di dati relativi ai

mercati e ai clienti, col vantaggio della velocità e dell’accuratezza dei dati raccolti. Ogni metodo è spesso

impiegato congiuntamente agli altri.

7.4.3. Struttura dei questionari

Una buona strutturazione dei questionari è la chiave per ottenere risultati. Il questionario è una serie di

domande selezionate per produrre i dati necessari agli obbiettivi di un progetto di ricerca, deve comunicare a

chi risponde l’obbiettivo della ricerca e comunicare al ricercatore cosa ha detto l’intervistato. Esso

rappresenta l’interfaccia tra i quattro partecipanti all’indagine: il decisore che necessità di informazioni,

l’analista di mercato che deve tradurre un problema in domande, l’intervistatore che deve raccogliere

informazioni attendibili, gli intervistati che devono accettare di comunicarle.

7.4.4. Metodi di campionamento

Il campionamento è la selezione di una porzione di popolazione target onde poter trarre conclusioni generali

sull’intero target. Le tecniche di campionamento possono essere divise in due categorie: campionamenti

probabilistici e campionamenti non probabilistici.

Campionamenti probabilistici. Tra i campioni probabilistici si distinguono: a) il campione casuale: prevede

una procedura di campionamento che garantisce che gli elementi della popolazione abbiano probabilità

uguale e conosciuta di essere inclusi nel campione b) campione stratificato: la popolazione target è

suddivisa in gruppi isolati, basati su criteri di dimensione, reddito o età: da ognuno di questi gruppi viene

prelevato un campione isolato detto “strato” c) campione a stadi: la popolazione target è divisa in diversi

sottogruppi detti “blocchi” da cui viene selezionato un campione casuale d) capionamento per aree: implica

due o più fasi, che combinano diverse tecniche statistiche. Invece che prendere tutte le unità da ogni blocco

selezionato a caso, viene estratto un campione casuale di unità da ciascuno di essi; i sottoblocchi possono

essere a loro volta oggetto di campionamento.

Campioni non probabilistici. E’ possibile individuare tre tipi di campioni non probabil istici: 1) i campioni di

convenienza la cui costruzione è basata sulla praticità o sulla facilità con cui l ’analista rintraccia i soggetti 2) icampioni a scelta ragionata per i quali l’analista cerca di selezionare gli individui che con maggiore

probabilità apporteranno un’informazione pertinente 3) i campioni “per quote” dove il ricercatore intervista un

tot di persone per ognuna delle catogorie di riferimento.

7.4.5. Gli errori nella ricerca

L’errore associato alla ricerca può essere a) di campionamento : può essere ridotto o controllato aumentando

le dimensioni del campione b) sitematico: nasce da una moltitudine di fattori, e per ridurlo si deve applicare

un controllo severo e rigoroso a tutto il processo di raccolta, codifica e analisi dei dati.

7.4.6 . La raccolta dei dati e l’acquisizione delle conoscenze 

Completata la raccolta dei dati, i dati “grezzi” vanno trasformati in informazioni in un processo composto dialcune fasi: a) conversione dei dati: comprende la loro trascrizione, codifica, classificazione e

schematizzazione b) analisi descrittiva: fornisce un’idea iniziale sulla natura dei dati e comporta la misura

della loro concentrazione e dispersione, la distribuzione, una rappresentazione grafica ecc c) l’analisi

inferenziale si propone di analizzare la portata e la natura delle possibili associazioni tra coppie di variabili.

7.5. La ricerca casuale

7.5.1. Obiettivi della ricerca casuale

La ricerca casuale organizza la raccolta dei dati in modo da consentire una rappresentazione univoca degli

stessi, con tre obbiettivi: 1) definire direzione e intensità di un nesso causale tra una o più variabili d’azione e

una di risposta 2) misurare il tasso d’influenza di una variabile d’azione su una di risposta 3) elabora

previsioni su una variabile di risposta in base a vari livelli di variabili d’azione. Per determinare l’esistenza di

una relazione casuale ci vogliono tre condizioni: 1) la variabile d’azione deve precedere quella di risposta 2)

deve esserci correlazione tra un’azione e un risultato rilevato tramite osservazione 3) l’influenza di altri fattori

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causali deve essere stata eliminata o essere sotto controllo. Le principali minacce alla validità interna di un

esperimento sono: a) la storia (eventi esterni all’esperimento che influenzano le reazioni) b) la maturazione

(mutamenti avvenuti nel tempo negli individui) c) l’effetto test (consapevolezza dell’individuo di essere

sottoposto a un test) d) l’effetto di misura preliminare (influenza anche questo l’individuo) e) l’effetto dello

strumento (gli strumenti di misura possono cambiare) f) l’effetto selezione (un gruppo sperimentale può non

essere rappresentativo della popolazione target).

7.5.2. Definizione della sperimentazione

La sperimentazione è una forma d’indagine scientifica in cui il ricercatore manipola e controlla una o più

variabili d’azione e osserva le variabili di risposta corrispondenti a tali manipolazioni. Le unità sperimentali

sono le entità del trattamento. Si identificano due tipi di sperimentazione: 1) l’esperimento di laboratorio: il

ricercatore crea una situazione che presenta le condizioni desiderate per manipolare alcune variabili e

controllarne altre 2) l’esperimento sul campo: è organizzato in una situazione realistica o naturale, ma

comporta la manipolazione di una o più var iabili d’azione in condizioni controllate. 

CAPITOLO 8: L’ANALISI DEI MERCATI ATTRAVERSO LA SEGMENTAZIONE  

8.1. Fasi del processo di segmentazione strategica

L’applicazione del processo di segmentazione strategica si compone di quattro fasi. La prima è l’analisi di

segmentazione, suddivisione dei prodotti-mercati in gruppi di potenziali acquirenti aventi le stesse

aspettative o richieste che devono essere diverse da quelle dei consumatori di altri segmenti. La seconda

fase riguarda l’individuazione del mercato target; la terza consiste nel posizionamento sul mercato; la quarta

prevede la programmazione di marketing mirata ai segmenti target. La prima fase è suddivisa in due

momenti, la macrosegmentazione che mira all’identificazione dei prodotti -mercati, e la microsegmentazione

che porta a distinguere i segmenti di clienti all’interno di ciascun prodotto -mercato preso in esame. Esistono

quattro metodi per applicare la microsegmentazione: 1) segmentazione descrittiva 2) segmentazione in base

ai benefici o vantaggi perseguiti 3) segmentazione per stili di vita 4) segmentazione comportamentale.

8.2. L’analisi di macrosegmentazione 

8.2.1. Definizione del mercato di riferimento in termini di soluzione

La realizzazione di una strategia di segmentazione presuppone la definizione della missione dell’impresa. Il

cliente identifica il prodotto con la soluzione che offre: nessuno compra un prodotto in quanto tale, ciò che si

cerca è la soluzione a un problema. Per un’impresa orientata al mercato è importante definire il settore

d’attività in termini di bisogni generici piuttosto che in termini di prodotto; la definizione della mission del

business è il punto di partenza per sviluppare la strategia perché aiuta a identificare i clienti da servire, i

concorrenti da superare, i fattori di successo e le tecnologie a disposizione.

8.2.2. La concettualizzazione del mercato di riferimentoOccorre definire il mercato di riferimento dal punto di vista del cliente e non del produttore. Un mercato di

riferimento può definirsi in base a tre dimensioni: clienti, tecnologie, bisogni da soddisfare.

I bisogni o le funzioni. Si fa riferimento ai bisogni o alle funzioni che il prodotto deve soddisfare. Con

“funzione” si può intendere un pacchetto di benefici ricercati da diversi gruppi di clienti.

I clienti. I diversi gruppi di clienti che potrebbero acquistare i prodotti sono classificabili in base ai seguenti

criteri: privato o azienda; classe socio-economica; area geografica; tipo d’attività, dimensione dell’azienda,

produttore dell’attrezzatura o utente ecc. 

Le tecnologie. Le tecnologie sono i modi alternativi in cui può essere realizzata una particolare funzione per

un cliente. La dimensione tecnologica è dinamica, poiché una tecnologia può sostituirne un’altra col tempo. 

8.2.3. La definizione dei confini del mercato

Possiamo distinguere tre concetti: 1) il prodotto-mercato: è definito da un gruppo di clienti che cerca una

funzione o un assortimento di funzioni basate su una singola tecnologia. Corrisponde alla nozione di unità

strategica di business (SBU) e aderisce alla realtà del mercato, col difetto però che è difficile trovare misure

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di mercato appropriate 2) mercato-soluzione: si è di fronte a un mercato definito dall’esecuzione di

determinate funzioni per un gruppo di clienti determinati, comprese tutte le tecnologie sostitutive che

possono eseguire la stessa funzione. Si avvicina al concetto di bisogno generico e ha il vantaggio di

enfatizzare l’esistenza di prodotti o tecnologie sostitutive per realizzare la stessa funzione, ma ha il difetto

dell’eterogenicità degli ambiti tecnologici considerati 3) industria: è definita da una particolare tecnologia che

include diversi business, ma è la nozione meno soddisfacente perché orientata all’offerta e non al mercato. 

8.3. Lo sviluppo di una griglia di macrosegmentazione

8.3.1. L’analisi di pertinenza 

Per arrivare a una griglia di segmentazione bisogna considerare le variabili pertinenti per non omettere criteri

importanti, poi vanno isolate quelle che hanno importanza strategiche; quelle correlate tra loro vanno

raggruppate per ridurle, le combinazioni impossibili vanno eliminate. I segmenti con differenze trascurabili o

dimensioni contenute vanno raggruppati. E’ la fase più difficile, perché richede efficienza e realismo.

8.3.2. Il test della griglia di macrosegmentazione

Per verificare l’utilità della griglia di segmentazione è necessario collocare i clienti dell’impresa, nonché i suoi

concorrenti, nei segmenti considerati, per valutare il potenziale di ciascun segmento in termini di dimensioni

e di crescita e misurare la quota di mercato dell’imrpesa in ciascun segmento. 

8.3.3. La ricerca di nuovi segmenti

La definizione dei confini di mercato non rimane stabile: l’estensione a nuovi gruppi di clienti avviene

attraverso un processo di adozione e diffusione, l’estensione verso nuove funzioni invece avviene attraverso

la sistematizzazione e creazione di prodotti che inglobano una combinazione di funzioni.

8.4. L’analisi di microsegmentazione nei mercati dei beni di consumo

Obbiettivo della microsegmentazione è l’analisi più dettagliata delle diversità nelle richieste dei vari gruppi di

clienti all’interno dei prodotti-mercati identificati attraverso l’analisi di macrosegmentazione.

8.4.1. La segmentazione sociodemografica o descrittiva

La segmentazione socio-demografica si basa sul fatto che persone che presentano diversi profili socio-

demografici hanno anche diversi bisogni e aspettative nei confronti di prodotti e servizi. Le variabili più

utilizzate sono il sesso, l’età, il reddito, la provenienza geografica, le dimensioni familiari, il livello d’istruzione. 

L’utilità dei dati socio-demografici. I vantaggi di questa segmentazione sono il costo ridotto e la facilità di

applicazione. Ultimamente si sono verificati mutamenti nei Paesi industrializzati, come la riduzione del tasso

di natalità, l’aumento dell’aspettativa di vita, del numero di donne lavoratrici e dei divorzi, che si ripercuotono

sulla struttura della domanda e sul comportamento d’acquisto. Si creano nuovi segmenti di mercato, ma si

modificano anche le aspettative di segmenti già presenti.

I limiti della segmentazione descrittiva. La segmentazione socio-demografica pone l’accento sulla

descrizione delle caratteristiche del segmento piuttosto che sull’analisi dei fattori che ne spiegano laformazione. Altro difetto è dato dal suo valore previsionale, che tende a diminuire nelle economie

industrializzate: il fatto di appartenere ad un gruppo ad alto reddito non implica per forza un comportamento

d’acquisto diverso da quello di un individuo della classe media.  

8.4.2. La segmentazione in base ai vantaggi perseguiti

Nella segmentazione basata sui vantaggi perseguiti ci si concentra sulle differenze all’interno dei sistemi di

valori dei clienti. Due individui con un identico profilo socio-demografico possono presentare sistemi di valori

molto diversi, mentre la stessa persona può attribuire valori diversi a ciascun prodotto acquistato. Il fattore

critico è il valore o il vantaggio ricercato in un prodotto, cercando di spiegare le differenze nelle preferenze.

I dati di mercato necessari. La realizzazione di una segmentazione richiede la conoscenza del sistema di

valori dei clienti. Ogni segmento è definito in base al paniere completo di attributi necessari: i clienti

desiderano il maggior numero di attributi o di vantaggi, e ciò che fa la differenza è l’importanza relativa

assegnata ai singoli attributi. Le opportunità di segmentazione nascono dai compromessi che i consumatori

riescono ad accettare tra i possibili benefici e il prezzo da pagare per averli. L’analisi di questa

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segmentazione presenta implicazioni per la definizione della politica di prodotto: comprese le aspettative di

un gruppo di consumatori, l’impresa può svilupparli o modificarli per indirizzarli a clienti potenziali.

I limiti della segmentazione in base ai vantaggi perseguiti. La difficoltà di questo metodo riguarda

l’identificazione degli attributi da privilegiare, poiché i consumatori sono poco inclini all’introspezione in tema

di consumi. Un’ulteriore difficoltà attiene al fatto che, se da un lato aumenta la comprensione dei problemi

dei diversi gruppi di clienti, dall’altro vengono perduti i dati relativi al loro profilo socio -demografico. La

raccolta di dati primari costuisce sempre un’operazione costosa, ed è necessario ricorrere a sofisticati

metodi di misurazione statistica e analisi per identificare i vari sottogruppi dei clienti.

La segmentazione dei mercati tramite analisi congiunta. L’obbiettivo dell’analisi congiunta è di misurare

le preferenze dei clienti per diversi livelli degli attributi dei prodotti e dei benefici da essi generati. L’analista

che rileva un’eterogeneità nelle preferenze può creare segmenti raggruppando gli individui ch e assegnano la

stessa utilità agli attributi.

8.4.3. La segmentazione comportamentale

La segmentazione comportamentale si propone di classificare si propone di classificare i consumatori

rispetto al loro reale comportamento d’acquisto al momento della transazione: si qualifica come un metodo

descrittivo applicato a posteriori. I criteri più usati sono l’utilizzo del prodotto, il volume d’acquisto e il tipo di

fedeltà. Nel primo si può tracciare una distinzione tra utilizzatori, non utilizzatori, utilizzatori al primo acquisto

ed ex utilizzatori. Nel secondo si ha il presupposto che in molti mercati una piccola percentuale di

consumatori concentra su di sé un’alta percentuale di vendite. Nel terzo i clienti possono essere suddivisi in

clienti a fedeltà incondizionata, a fedeltà non esclusiva e non fedeli.

La segmentazione tribale. La segmentazione rappresenta il tipico approccio intellettuale dell’analista di

marketing. Al contrario, nella “segmentazione tribale” sono gli individui stessi a raggrupparsi

spontaneamente in base a caratteristiche comuni: in un moto di resistenza alla solitudine molte persone

cercano di creare legami sociali, con la società che si evolve verso la ricostituzione delle “tribù”,

microcomunità nelle quali gli individui sono stretti da forti legami emotivi e da una sorta di cultura comune.

Pare che l’appartenenza a queste tribù sia diventata più importante dell’appartenenza alle classi sociali. 

La specificità delle tribù. Le tribù si differenziano dai segmenti per tre aspetti: 1) emergono in modo

spontaneo, avviate dagli individui che si affiliano 2) il raggruppamento in tribù è una realtà mentre la

segmentazione è un artefatto intellettuale 3) l’affiliazione a una tribù può essere plurima ed effimera: unindividuo può appartenere a tutte le tribù che vuole. Si tratta di una forma di segmentazione

comportamentale, che contribuisce a tre livelli all’orientamento del processo di marketing: 1) a livello della

ricerca di differenziazione del prodotto o servizio, mettendo in primo piano il valore del legame funzionale di

tale prodotto o servizio 2) a livello di ricerca di fidelizzazione dei clienti, attraverso lo sviluppo di una fedeltà

affettiva fondata sul sentimento di appartenenza 3) a livello della ricerca d’immagine, attraverso l’iscrizione

della marca e dell’impresa nella tendenza socio-economica e della cultura tribale.

8.4.4. La segmentazione socio-culturale o per stili di vita

Individui appartenenti allo stesso gruppo socio-demografico possono presentare preferenze e

comportamenti d’acquisto molto diversi, ma può accadere che individui molto diversi in termini socio-

demografici abbiano comportamenti molto simili. La segmentazione socio-culturale aggiunge a quellademografica attività, attitudini, interessi, opinioni, percezioni e preferenze. Quando si parla di stile di vita,

s’intende il modo in cui una persona vive, come trascorre il tempo e spende il suo denaro: è quindi il risultato

globale del sistema di valori di un individuo, dei suoi atteggiamenti, dei suoi interessi e delle sue opinioni,

oltre che del suo tipo di consumo. Descrive il modo di essere di un individuo e lo distingue dagli altri.

8.5. La microsegmentazione nei mercati dei beni industriali

8.5.1. La segmentazione descrittiva

Il modo più semplice per segmentare un mer cato industriale consiste nell’utilizzare caratteristiche aziendali

che descrivono il profilo del cliente B2B, come il settore industriale, di localizzazione geografica, di

dimensione d’impresa, di composizione della base azionaria o di mercati finali serv iti.

8.5.2. La segmentazione in base ai vantaggi perseguiti

La segmentazione in base ai vantaggi perseguiti nei mercati B2B poggia sui bisogni del cliente industriale,

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che sono definiti con chiarezza. Il più delle volte gli utenti finali sono alla ricerca di vantaggi, funzioni o

prestazioni differenti in un prodotto. I prodotti industriali presentano un gran numero di usi, e la

classificazione in base al settore permette d’identificare i bisogni prioritari e la loro importanza.

8.5.3. La segmentazione comportamentale

Nei mercati B2B, il suo obbiettivo consiste nell’adottare le strategie d’approccio ai clienti industriali in

rapporto alle strutture e alle caratteristiche di funzionamento del centro decisionale d’acquisto. Il grado di

formalizzazione del processo d’acquisto può variare a seconda della complessità delle decisioni da prendere

e delle strutture organizzative. La segmentazione per vantaggi perseguiti è più facile da realizzare nei

mercati B2B rispetto ai mercati dei beni di consumo, perché gli utenti sono professionisti che hanno meno

difficoltà a esprimere i bisogni e a qualificare l’importanza relativa degli attributi di un prodotto. 

8.6. I requisiti per una segmentazione efficace

Per essere efficace l’analisi di segmentazione deve identificare gruppi di clienti che rispettino cinque

condizioni: risposta differenziata, dimensione sufficiente, misurabilità, accessibilità e attivabilità.

8.6.1. Risposta differenziata

I segmenti identificati devono essere diversi dal punto di vista della loro sensibilità a una o più variabili di

marketing. Il criterio di segmentazione massimizza le differenze tra segmenti (condizione di eterogeneità) e

minimizzi quelle tra clienti nell’ambito di uno stesso segmento (condizione di omogeneità). Condizione

chiave è di evitare la sovrapposizione tra i segmenti, che potrebbe portare una cannibalizzazione tra prodotti

della stessa impresa, quando sono destinati a segmenti diversi. Un segmento non raggruppa

necessariamente degli acquirenti, ma piuttosto gli acquisti che effettuano.

8.6.2. Dimensione sufficiente

I segmenti identificati devono rappresentare un potenziale di clienti destinato a far realizzare fatturato

sufficiente a rendere ragione dello sviluppo di prodotti differenziati. Questa condizione riguarda la

dimensione del segmento in termini di volume o frequenza degli acquisti, e anche il suo ciclo di vita. E’

importante accertarsi che la nicchia identificata non sia effimera e la durata della sua vita sia lunga. Infineimplica che il valore aggiunto del prodotto sia conveniente dal punto di vista economico per l’impresa.  

8.6.3. Misurabilità

Prima di scegliere un segmento target bisogna stabilire le sue dimensioni, valutare il potere d’acquisto dei

segmenti e le caratteristiche comportamentali. Se il criterio di segmentazione è astratto, la raccolta di queste

informazioni diventa difficoltosa; se è concreto, le cose si complicano ed è probabile che l’azienda debba

svolgere una propria ricerca di mercato.

8.6.4. Accessibilità

L’accessibilità indica la misura in cui un segmento di mercato è raggiungibile utilizzando un unico

programma di marketing. Esistono due modi per arrivare ai potenziali clienti: uno è l’autoselezione dei clienti,l’altro è la copertura controllata dei segmenti con cui si raggiungono i clienti target senza sprecare risorse.

8.6.5. Attivabilità

Per raggiungere i segmenti è possibile elaborare programmi di marketing specifici.

8.7. L’emergere di segmenti transnazionali di mercato 

I segmenti transnazionali sono gruppi di consumatori con gli stessi bisogni e le stesse aspettative ma in

Paesi diversi. La globalizzazione non coincide con l’uniformità, e quella dei bisogni si traduce nella nascita,

in paesi diversi, di gruppi di consumatori dal profilo simile cui rivolgersi usando le stesse campagne

pubblicitarie e le stesse marche.

CAPITOLO 9: L’ANALISI DI ATTRATTIVITA’ DEL MERCATO 

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9.1. I fondamenti dell’analisi della domanda 

Bisogna distinguere tra due livelli di domanda: 1) la domanda primaria di un prodotto rappresenta il volume

delle vendite realizzate presso un dato gruppo di clienti, in un luogo e in un periodo specifici e in un

determinato contesto economico e di micromarketing 2) la domanda relativa alla marca o all’impresa

rappresenta la quota della domanda primaria detenuta dalla marca o dall’impresa in una categoria di

prodotto e in un determinato segmento o prodotto-mercato.

9.1.1. La domanda primaria espandibile e non espandibile

Si possono osservare due situazioni di mercato distinte: i mercati in cui la domanda primaria è detta

espandibile, quando il livello delle vendite è influenzato da fattori del contesto macromarketing e

dall’intensità degli sforzi di marketing; la domanda non espandibile, quando il livello totale delle vendite no n è

più influenzato dal contesto macromarketing in cui è inserito e dagli sforzi di marketing delle aziende

concorrenti. I mercati in questo caso sono stagnanti.

9.1.2. La domanda primaria come funzione di risposta

La domanda primaria è rappresentata da una funzione che mette in relazione il livello delle vendite alle

cause che lo determinano, che si definiscono “determinanti della domanda”.  

L’influenza dei fattori di marketing (contabili). Il rapporto tra la domanda di mercato e la pressione totale

di marketing del settore non è lineare. Con l’aumento della pressione totale di marketing aumentano anche

le vendite ma a un tasso decrescente, e oltre a un certo livello di intensità di marketing la domanda primaria

raggiunge il livello massimo, detto livello di saturazione o mercato potenziale.

L’effetto del contesto macromarketing. Il livello della domanda primaria è influenzato anche da fattori

relativi al contesto socio-economico. Le imprese sono impotenti di fronte allo scenario di mercato che

prevale, possono tentare di prevedere l’evoluzione futura delle condizioni di contesto al massimo. Si tratta di

un compito difficile, specie in una situazione turbolenta e spesso distruttiva.

9.1.3. Il mercato potenziale attuale e assoluto

Si può distinguere tra il mercato potenziale attuale e quello assoluto. Il primo è rappresentato dal limite verso

il quale tende la domanda primaria per una pressione di marketing totale del settore tendente all’infini to; ilsecondo è il limite massimo della dimensione del mercato, nell’ipotesi fittizia di una copertura ottimale del

mercato di riferimento. Il mercato potenziale assoluto ha tre prerequisiti: a) tutti gli utilizzatori di un prodotto

sono utilizzatori effettivi b) ciascun utilizzatore usa il prodotto in ogni occasione c) ciascun uso del prodotto

avviene nella misura massima possibile. Il mercato potenziale assoluto ha valore che evolve nel tempo sotto

l’influenza di fattori di diffusione e di contagio o a causa di fattori esogeni su cui l’impresa non ha controllo.  

9.2. La struttura della domanda primaria di beni di consumo

9.2.1. La domanda di beni di consumo

La stima della domanda dei beni di consumo si basa su due fattori: il numero di unità potenziali di consumo

n e la quantità acquistata da ciascuna unità q. Si ha: Q = n x q dove Q è la domanda totale inquantità. Il volume d’affari totale si determina con:  R = n x q x p dove R è il volume d’affari totale e p

il prezzo medio per unità.

9.2.2. La domanda di beni di consumo non durevoli

La domanda totale di un bene di consumo non legato all’uso di un bene durevole si può determinare

ricorrendo al numero di unità di consumo potenziali, alla percentuale di clienti che usano il prodotto (tasso di

occupazione) e dalla dimensione o frequenza degli acquisti (tasso di penetrazione). Il mercato potenziale

assoluto si determina ipotizzando un tasso di occupazione del 100% e uno di penetrazione ottimale per ogni

occasione di acquisto. Quando il bene di consumo è legato all’utilizzo di un bene durevole, si necessità dei

seguenti dati: numero di unità di consumo potenziali, tasso di dotazione del bene durevole di tali unità, tasso

di consumo del bene durevole e consumo per occasione di utilizzo. Anche in questo caso il mercato

potenziale assoluto si determina presupponendo un tasso di dotazione delle unità di consumo del 100%, un

tasso d’impiego medio e un tasso di consumo medio. 

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9.2.3. La domanda di beni di consumo durevoli

Quando il bene di consumo è durevole, si deve distinguere tra domanda di primo acquisto e domanda di

sostituzione. La prima chiama in causa il numero delle unità di consumo esistenti e il loro tasso di dotazione,

oltre al numero di nuove unità di consumo e il loro tasso di dotazione. La seconda chiama invece in causa la

dimensione del parco esistente, la distribuzione dell’età del parco, della durata di vita, il tasso di

rottamazione del prodotto, l’eventuale effetto di sostituzione e il tasso di mortalità delle unità di consumo.

Essa dipende dal ritmo al quale gli utenti si sbarazzano di un prodotto in quanto consumato o obsoleto.

 Alcuni dei dati necessari per la previsione della domanda primaria possono essere ottenuti dai dati storici

relativi alle vendite; i tassi di sostituzione stimati non permettono di distinguere il tipo di obsolescenza

responsabile della sostituzione del prodotto. Bisogna poi fare attenzione al fatto che, alla sostituzione,

l’utente può ancora orientarsi verso un prodotto che esercita la stessa funzione ma è di un’altra categoria.

9.3. La domanda di servizi nei mercati di consumo

La domanda di servizi nei mercati di consumo si determina come la domanda dei beni di consumo,

basandosi sul numero di unità di consumo potenziali e sulla frequenza di utilizzo del servizio. I servizi

tuttavia sono immateriali e deperibili, e la loro produzione necessita di un contatto con la persona o con

l’organizzazione che eroga il servizio. 

9.4. La domanda di beni industriali

La domanda industriale è una domanda derivata dal mercato di consumo finale. L’attività di previsione può

diventare complessa per il produttore quando il suo output ha tante applicazioni diverse. La domanda si

struttura in modo diverso a seconda che si tratti di beni di consumo, di componenti o di attrezzature.

9.4.1. La domanda di beni industriali di consumo

Si tratta di prodotti che l’impresa industrale utilizza nella sua attività produttiva e che non vengono incorporati

nel prodotto finito. Le componenti della domanda sono: numero potenziale di imprese utenti, percentuale di

utenti effettivi, livello di attività per utente effettivo, tasso d’impiego per occasione d’uso.  

9.4.2. La domanda di componenti industriali

I componenti industriali vengono incorporati nel prodotto fabbricato dal cliente industriale, e qui la domanda

dipende dalla quantità prodotta dall’impresa industriale cliente. Si hanno come componenti della domanda:

numero di potenziali utenti industriali, percentuale di utenti effettivi, quantità prodotta per utente effettivo,

tasso d’impiego per unità di prodotto.

9.4.3. La domanda di beni industriali strumentali

In questa categoria rientrano i beni durevoli ed è importante distinguere fra domanda di primo acquisto e

domanda di sostituzione. La domanda di primo acquisto si determina così: numero di imprese dotate del

bene durevole, incremento della capacità produttiva, numero di nuove imprese utilizzatrici, capacità di

produzione. Per la domanda di sostituzione si avranno: dimensione del parco esistente, distribuzione dell’etàe del livello tecnologico, delle durata di vita dei prodotti, tasso di sostituzione, effetti sostituzione dei prodotti

e di riduzione della capacità produttiva.

9.4.4. L’effetto di accelerazione 

La domanda di beni strumentali industriali dipende dalla capacità produttiva delle imprese clienti e una

variazione anche minima della domanda finale può tradursi in un cambiamento sostanziale nella domanda di

beni strumentali. Questo fenomeno prende il nome di “effetto di accelerazione”. Per un’accurata previsione

della propria domanda i produttori di tali beni devono analizzare non solo la propria domanda, ma anche la

domanda finale che si rivolge alle imprese che riforniscono.

9.5. L’analisi delle opportunità di crescita nel mercato esistente 

Lo scarto fra il livello attuale e il livello assoluto della domanda porimaria rappresenta un indicatore del grado

di sviluppo o di sottosviluppo di un prodotto-mercato. Maggiore è lo scarto, più il potenziale di crescita della

domanda primaria sarà elevato. Si hanno quattro opportunità di crescita: gap nella distribuzione, nell’utilizzo,

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nell’offerta di prodotti e nella concorrenzialità. 

9.5.1. Gap della rete distributiva

Le carenze nella distribuzione sono dovute a un’assenza o a un’inadeguatezza della r ete di distribuzione nel

prodotto mercato. Si possono verificare tre situazioni: 1) una copertura insufficiente 2) un’intensità di

distribuzione insufficiente 3) un’esposizione insufficiente. La domanda di un prodotto può essere penalizzata

dal verificarsi di una o tutte queste tre situazioni.

9.5.2. Gap nell’utilizzo del prodotto 

Una seconda causa dello scarto osservato può risiedere in un insufficiente impiego del prodotto. Si possono

verificare tre tipologie di gap: 1) carenza nel numero di utenti 2) carenza nelle occasioni di utilizzo del

prodotto 3) carenza d’impiego. 

9.5.3. Gap nelle linee di prodotti

L’inadeguatezza delle linee di prodotti è dovuta alla mancanza di una linea completa. Si possono verificare

sette situazioni: 1) gap nella dimensione delle linee di prodotti. La dimensione può essere definita in

relazione a tre parametri: la “quantità del contenitore”, la “capacità” e la “potenza” 2) gap nelle opzioni

disponibili nelle linee di prodotti: l’impresa può offrire degli optional, cercando di soddisfare la domanda dei

singoli clienti 3) gap nello stile, colore, gusto o profumo della linea di prodotti 4) gap nella forma: il cliente

può essere attratto più da una forma rispetto ad un’altra. Per “forma di prodotto” si intendono le modalità di

funzionamento, la presentazione, la composizione e la confezione 5) gap di qualità nelle linee di prodotti: lo

sviluppo di linee dal prezzo diverso è una tecnica usata per dare al consumatore una scelta di prodotti

differenziata per qualità e prezzo 6) gap nelle linee di prodotti con marca del distributore: molti produttori

realizzano una percentale consistente di affari mediante la vendita di prodotti su cui i distributori appongono

la propria marca 7) gap nelle linee di prodotti relativi a un determinato segmento: si verifica un gap di

prodotto in ogni segmento in cui non si presenta l’offerta. Ognuna di queste situazioni d’inadeguatezza

costituisce un’opportunità di crescita, mediante politiche d’innovazione o differenziazione del prodotto.  

9.6. Il modello del ciclo di vita del prodotto

Nell’analisi dell’attrattività, l’analisi del potenziale di mercato rappresenta una prima fase che va completata

con una valutazione del ciclo di vita del prodotto (CVP), ossia dell’evoluzione della domanda potenziale nel

tempo. La prima fase è il decollo, poi si ha la crescita esponenziale, la turbolenza, la maturità e il declino.

9.6.1. I fattori determinanti del ciclo di vita del prodotto

Il livello di analisi più utile è quello del prodotto-mercato, perché descrive meglio i comportamenti d’acquisto

in una determinata categoria di prodotto e definisce il quadro di riferimento: un prodotto visto come un

insieme specifico di attibuti, destinato a un gruppo determinato di clienti. A ogni prodotto-mercato può

corrispondere un ciclo di vita distinto, e si deve distinguere tra ciclo di vita del prodotto e della marca (CVM).

9.6.2. Il modello del ciclo di vita di un prodotto-mercatoNel caso di un prodotto-mercato è in gioco la domanda primaria e i fattori più importanti della sua evoluzione

sono le variabili di contesto fuori controllo e quelle di marketing sotto il controllo dell’impresa. Il ciclo di vita

del prodotto rimane sempre esposto all’influenza della pressione di marketing del settore, in particolare nella

fase di espansione del mercato. E’ il dinamismo delle imprese che fa evolvere un mercato. 

9.6.3. Le implicazioni strategiche del ciclo di vita del prodotto

La strategia di marketing deve evolvere di pari passo ai cambiamenti dei comportamenti dei consumatori e

della concorrenza. Affermare che un prodotto ha un ciclo di vita significa che l’ambiente economico e

competitivo è diverso in ogni fase, l’obbiettivo strategico prioritario deve essere ridefinito in ogni fase, la

struttura dei costi e dei profitti è diversa in ogni fase, il programma di marketing deve essere adattato in ogni

fase del CVP.

9.6.4. La fase di introduzione

Nella fase di introduzione, il mercato è spesso caratterizzato da crescita lenta delle vendite dovuta a diversi

fattori: 1) incertezza tecnologica: l’impresa innovatrice non domina ancora del tutto la tecnologia 2)

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distribuzione: può mostrarsi restia nell’offrire un prodotto non ancora affermato su un ampio mercato 3)

clienti potenziali: possono essere lenti a modificare le loro abitudini di consumo o produzione 4)

concorrenza: l’impresa innovatrice è senza concorrenti diretti almeno per un certo periodo, la cui durata

dipenderà dal grado di protezione dell’innovazione. Questa fase ha elevato grado di incertezza, e i fattori

pongono il nuovo prodotto in una posizione rischiosa dal punto di vista economico e finanziario, per cui

quanto più breve è la fase introduttiva, tanto meglio è per la redditività dell’impresa. La durata della fase di

introduzione dipende dalla velocità con cui i potenziali clienti meno ricettivi all’innovazione adotteranno il

prodotto. L’obbiettivo prioritario dell’impresa consiste nel creare la domanda primaria il più rapidamente

possibile, allo scopo di uscire dalla fase di incertezza rendendo nota l’esistenza del prodotto, infor mando il

mercato, incoraggiando i potenziali clienti e assicurandosi i canali di distribuzione. In questa fase è critica la

scelta tra prezzo di penetrazione e prezzo di scrematura.

9.6.5. La fase di crescita

Se il prodotto supera l’introduzione sul mercato, entra nella fase di crescita caratterizzata da rapido sviluppo

delle vendite. I primi clienti soddisfatti ripetono i loro acquisti e influenzano gli altri potenziali clienti, la

maggiore disponibilità del prodotto dovuta a una più ampia distribuzione gli conferisce una maggiore

visibilità, l’entrata di nuovi concorrenti determina un aumento della pressione totale di marketing sulla

domanda. Caratteristica di questa fase è la diminuzione dei costi di produzione, dovuta all’aumento dei

volumi prodotti e all’effetto d’esperienza. Qui il volume d’affari aumenta a un tasso crescente, il gruppo target

è costituito dal segmento dei ricettivi precoci, si affacciano sul mercato nuovi concorrenti e la tecnologia è

diffusa sul mercato. Gli obbiettivi del marketing diventano estendere la dimensione del mercato,

massimizzare il tasso d’accopazione del mercato, costruire una forte immagine di marca e creare fedeltà. La

strategia di sviluppo della domanda primaria richiede grandi mezzi finanziari, mentre non necessariamente si

raggiunge il punto di equilibrio.

9.6.6. La fase di turbolenza

Il period di turbolenza rappresenta una fasi di transizione durante la quale il tasso di crescita delle vendite

subisce una decelerazione, pur rimanendo superiore a quello dell’economia generale. La domanda aumenta

a un tasso decrescente, il target è rappresentato dalla maggioranza del mercato, i concorrenti più deboli si

ritirano, il settore aumenta il suo grado di concentrazione. Le imprese più dinamiche ridefiniscono i loroobbiettivi, con l’attenzione che si sposta dallo sviluppo della domanda primaria alla creazione della quota di

mercato. I nuovi obbiettivi sono segmentare il mercato, massimizzarne la quota, posizionare la marca nella

mente dei clienti e creare e mantenere la fedeltà alla marca. Il periodo di turbolenza può essere molto breve.

9.6.7. La fase di maturità

Nel momento in cui la crescita della domanda primaria continua a rallentare per poi assestarsi al ritmo della

crescita del PIL in termini reali, il prodotto è entrato nella fase di maturità. I tassi di occupazione e

penetrazione del prodotto sono molto elevati, la copertura del mercato tramite distribuzione è intensiva, la

tecnologia si è stabilizzata. Il mercato è molto segmentato e le imprese si sforzano di coprire l’intera gamma

dei bisogni offrendo una vasta scelta di varianti dello stesso prodotto. La domanda primaria non è più

espandibile e cresce al ritmo dell’economia, la domanda di beni durevoli è determinata da quella disostituzione, i mercati sono ipersegmentati, il mercato è dominato da pochi concorrenti forti e le tecnologie

sono standardizzate. Obbiettivo prioritario dell’impresa è mantenere e allargare la quota di mercato e

ritagliarsi un vantaggio competitivo difendibile sui concorrenti diretti. A condizione che l’impresa riesca a

evitare una guerra dei prezzi, è questa la fase con la redditività più elevata.

9.6.8. La fase di declino

La fase di declino si traduce in un decremento strutturale della domanda per uno dei seguenti motivi:

compaiono nuovi prodotti tecnologicamente più avanzati, le preferenze e i gusti si modificano, cambiamenti

dell’ambiente sociale, economico e politico rendono i prodotti obsoleti se non vietati. Alcune imprese

disinvestono e si ritirano dal mercato, altre si specializzano. L’abbandolno è a lungo andare inevitabile. 

9.7. Il modello del ciclo di vita di un prodotto come quadro concettuale

9.7.1. La diversità dei profili del CVP

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 A volte i prodotti saltano la fase di introduzione ed entrano in quella di crescita, altri saltano la maturità, altri il

declino e riprendono vigore dopo un rallentamento e così via. Non si presume quindi l’esistenza di un solo

modello di evoluzione che intervenga sempre. La difficoltà consiste nel determinare in anticipo il tipo di

evoluzione destinato a prevalere.

9.7.2. Strategie di “ringiovanimento” del prodotto 

Le imprese possono agire sull’andamento della curva del CVP innovando, riposizionando il pr odotto,

favorendo la sua diffusione o modificandolo. In ogni fase del CVP l’imprea tenterà di abbreviare la fase di

introduzione, accelerare la fase di sviluppo, prolungare la fase di maturità e rallentare la fase di declino. Un

profilo ideale di ciclo di vita è caratterizzato da una fase d’introduzione breve, una fase di crescita rapida,

una fase di maturità lunga e un declino lento e progressivo.

CAPITOLO 10: L’ANALISI DI COMPETITIVITA’ DELL’IMPRESA 

10.1. La crescente interdipendenza competitiva

I mer cati nazionali vanno visti come parte di un mercato di riferimento regionale o mondiale. Un’economia

molto integrata nella rete globale diventa più vulnerabile a traumi esterni: le forme tradizionali di

organizzazioni multidomestiche diventano obsolete e vengono sostituite da strutture transnazionali, con

molte imprese che stanno rielaborando la regola di standardizzazione totale basata su “un unico modello per

tutte le necessità”. Le acquisizioni e le fusioni sono necessarie al raggiungimento della dimensi one richiesta

per competere in un mercato allargato; la standardizzazione delle marche e delle strategie comunicative

sono motivate dal raggiungimento di economie di scala per rimanere competitivi. Per l’impresa

internazionale è difficile mantenere un equilibrio tra due obbiettivi apparentemente conflittuali: da un lato la

standardizzazione e dall’altro l’adattamento. Il problema è capire fino a che punto spingersi con la prima,

senza rischiare di perdere contatto con i mercati locali solo per ridurre i costi.

10.2. La nozione di vantaggio competitivo

Per vantaggio competitivo s’intende l’insieme delle caratteristiche o attributi detenuti da un prodotto che gli

conferiscono superiorità nei confronti dei concorrenti diretti. Questa superiorità è relativa, stabilita in rapporto

al concorrente che occupa la posizione migliore nel prodotto-mercato o nel segmento. La superiorità può

essere il risultato di una moleplicità di fattori, suddivisi in tre categorie: vantaggio competitivo di qualità, di

costo o basato sulle competenze chiave.

10.2.1. Il vantaggio competitivo di qualità (o esterno)

Un vantaggio competitivo di qualità si basa su alcune qualità distintive del prodotto che forniscono un valore

superiore al cliente, permettendo di stabilire un prezzo di vendita più alto rispetto a quello dei concorrenti.

Una strategia basata su un vantaggio competitivo esterno è detta di differenziazione, e per il successo il

supplemento di prezzo che il cliente è disposto a pagare deve essere superiore al costo necessario aconferire il valore supplementare del prodotto.

10.2.2. Il vantaggio competitivo di costo (o interno)

Un vantaggio competitivo di costo si basa sulla superiorità dell’impresa nel controllo dei costi di produzione,

di amministrazione o di gestione del prodotto. Apporta un “valore al produttore”, garantendogli un costo

unitario inferiore a quello del principale concorrente. Per il successo di una strategia fondata su un vantaggio

di costo, l’impresa deve offrire al cliente un valore accettabile, in modo che  il prezzo praticato si avvicini al

prezzo medio della concorrenza. Se si sacrifica la qualità, la riduzione di prezzo richiesta dai clienti sarà

compensata dal vantaggio di costo stesso.

10.2.3. La ricerca di un posizionamento competitivo sostenibile

Questi due vantaggi competitivi sono spesso incompatibili. Lo scopo di un’analisi di competitività è

permettere all’impresa di individuare la propria posizione rispetto a queste dimensioni, di ricavarne

indicazioni strategiche e di definire obbiettivi prioritari. Per avere potere di mercato si utilizzaranno le

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informazioni fornite dagli studi d’immagine di marca, per aumentare la produttività si farà ricorso alla curva

dell’esperienza oppure alle informazioni ottenute attraverso il sistema di marketing intelli gence.

10.2.4. Il vantaggio competitivo basato sulle competenze chiave

Una competenza chiave è una capacità o tecnologia particolare, che crea un valore unico per il cliente. Le

competenze chiave possono essere fonti sostenibili di vantaggio competitivo duraturo nel tempo, se: a)

genera un valore per i clienti rispetto all’offerta de concorrenti b) è difficile da imitare o reperire sul mercato c)

consente all’impresa l’accesso a numerosi settori di attività apparentemente non collegati tra loro. Per

identificare e sviluppare le competenze chiave, l’impresa deve isolare le attività più importanti e affinarle

all’interno di una definizione delle forze vitali dell’organizzazione. 

10.2.5. Il vantaggio competitivo strategico e operativo

Un’impresa può dominare i suoi concorrenti in modo duraturo nella misura in cui crea un differenziale

difendibile. Ottenere un vantaggio competitivo operativo comporta lo svolgimento delle stesse attività dei

concorrenti, ma in modo più efficace. Ciò significa offrire una qualità superiore o a un prezzo inferiore,

prodotti che riducono i costi dei clienti e costi inferiori e migliore qualità, oltre a operare più veloci dei

concorrenti e collocarsi più vicino al cliente fornendo maggiore assistenza. I concorrenti possono imitare le

tecniche di gestione, le nuove tecnologie, i miglioramenti degli input, nonché le migliori modalità di

soddisfare i bisogni dei clienti.

Per contro, ottenere un vantaggio competitivo strategico, comporta un elemento di differenziazione che puà

essere a) esercitare nel mercato di riferimento delle attività differenti da quelle dei concorrenti diretti b)

esercitare attività simili, ma in modo diverso, per proporre al mercato un insieme di valori unico.

10.3. Le forze che guidano la concorrenza nel settore

La nozione di concorrenza allargata si basa sull’idea che la capacità dell’impresa di sfruttare il vantaggio

competitivo non dipenda solo dai concorrenti diretti, ma anche dal ruolo delle forze rivali, come i potenziali

entranti, i prodotti sostitutivi, i clienti e i fornitori.

10.3.1. La minaccia dei nuovi entrantiI potenziali concorrenti in grado di entrare in un mercato costituiscono una minaccia che l’impresa deve

circoscrivere e contro la quale deve proteggersi, creando barriere all’entrata. I potenziali entranti sono: a) le

imprese esterne che potrebbero superare le barriere b) le imprese per le quali l’entrata costituirebbe sinergia

c) le imprese che entrando proseguirebbero la loro strategia d) i clienti o i fornitori che si integrino a monte o

a valle. La rilevanza della minaccia dipende dal livello delle barriere all’entrata, che posssono essere 1) le

economie di scala 2) brevetti che proteggono i prodotti 3) la differenziazione del prodotto e l’immagine di

marca 4) il fabbisogno di capitale 5) i costi di trasferimento che il cliente deve sostenere per passare dal

prodotto attuale a quello del nuovo entrante 6) l’accesso ai canali di distribuzione 7) l’effetto esperienza e il

conseguente vantaggio di costo di cui gode il produttore affermato.

10.3.2. La minaccia di prodotti sostitutiviI prodotti sono “sostitutivi” se svolgono una funzione simile per lo stesso gruppo di clienti, basandosi su

tecnologie diverse. Costituiscono una minaccia permanente, che può aggravarsi quando il rapporto

qualità/prezzo del sostitutivo si modifica rispetto a quello del prodotto-mercato. Occorre individuare

sistematicamente i prodotti che rispondono allo stesso bisogno generico o che ricoprono la stessa funzione.

10.3.3. Il potere di contrattazione dei clienti

I clienti possono influenzare la redditività potenziale di un’impresa costringendola a concedere riduzioni di

prezzo, servizi più estesi e condizioni di pagamento più favorevoli. La rilevanza di questo potere dipende da:

a) i clienti sono concentrati o acquistano quantità consistenti rispetto al volume d’affari del venditore b) i

prodotti acquistati rappresentano una porzione considerevole dei costi del cliente, il che lo spinge a

contrattare c) i prodotti sono standardizzati o poco differenziati e i clienti sono sicuri di poter trovare altri

fornitori d) i costi di trasferimento per il cliente sono contenuti e) i clienti rappresentano una reale minaccia

d’integrazione a monte e sono entranti potenziali f) il cliente ha informazioni complete sulla domanda, sui

prezzi e sui costi del fornitore. Un’impresa può migliorare la propria posizione con una politica di selezione

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della propria clientela con l’obbietivo di realizzare una buona ripartizione del portafoglio clienti e di evitare

ogni forma di dipendenza.

10.3.4. Il potere di contrattazione dei fornitori

Fornitori inflienti possono ridurre la redditività di un settore se i clienti non sono in grado di recuperare gli

aumenti imposti nei costi sui prezzi di vendita. Le condizioni che assicurano a un fornitore un elevato potere

di cotrattazione sono: a) situazione di monopolio b) il gruppo dei fornitori è dominato da poche imprese c)

non vi sono prodotti sostitutivi d) l’impresa non è un cliente importante per il fornitore e) il prodotto è un input

importante nella produzione del cliente f) il gruppo di fornitori ha differenziato i propri prodotti o ha creato

costi di trasferimento g) i fornitori minacciano l’integrazione a valle. 

10.3.5. L’identificazione dei concorrenti  

Il modello delle cinque forze non consente di identificare i concorrenti più pericolosi, che sono: 1) concorrenti

diretti: aziende che registrano nei confronti un punteggio alto nella soddisfazione dei bisogni dei clienti e

nella dotazione tecnologica 2) concorrenti potenziali: hanno punteggio alto nella dotazione tecnologica ma

non soddisfano gli stessi bisogni a cui si rivolge l’impresa in esame 3) produttori di beni sostitutivi: servono i

medesimi bisogni del mercato, utilizzando risorse o tecnologie diverse rispetto all’azienda in esame 4)

concorrenti dormienti: rappresentano una minaccia minima, avendo targe e tecnologie diverse.

10.4. Il vantaggio competitivo basato sul potere di mercato

Nell’analisi di una situazione di mercato, si distinguono quattro situazioni competitive: concorrenza pura o

perfetta, oligopolio, concorrenza monopolistica e monopolio.

10.4.1. La concorrenza pura o perfetta

Il modello di concorrenza pura è caratterizzato dalla presenza sul mercato di un gran numero di venditori da

un lato e di acquirenti dall’altro, nessuno dei quali è abbastanza orte da influire sul livello dei prezzi. I prodotti

sono sostituibili tra loro e si vendono al prezzo di mercato, i venditori non detengono potere di mercato e i

loro comportamenti non sono influenzati dalle rispettive azioni. La sola manovra per l’impresa che cerchi di

migliorare la propria performance competitiva consiste nel modulare l’offerta o variare la propria capacitàproduttiva aumentandola o diminuendola a seconda del prezzo di mercato.

Una commodity è sempre un paniere di attributi. Nell’approccio al mercato delle commodity è importante

analizzare i bisogni del cliente in termini di “soluzione ricercata”. Il problema è scoprire quali siano i servizi

cui il cliente è sensibile e in quale fase è probabile che reagisca al l’offerta di questi servizi. 

La segmentazione di un mercato di commodity. Vi sono tre tipi di clienti anche nei mercati delle

commodity: 1) gli incorreggibili: comprano solo in base al prezzo e vedono i fornitori come nemici. Il prezzo è

il loro interesse primario, e sarebbero disposti a cambiare fornitore anche per un differenziale minimo.

Costituiscono la metà se non di più del mercato 2) gli occasionali: sono clienti che danno molta importanza

al prezzo ma amano l’idea di un rapporto selettivo con certi prodotti o servizi. Con loro, superato l’argomento

prezzo, sussiste un potenziale di differenziazione 3) gli esigenti: danno valore a relazioni durature e alle

applicazioni avanzate dei prodotti. Pagherebbero un prezzo più alto se l’offerta comportasse benefici reali intermini di miglioramento dei processi, riduzione dei costi o vantaggi per l’utente finale.  

10.4.2. L’oligopolio 

L’oligopolio è una situazione in cui l’interdipendenza tra imprese rivali è molto forte, a causa del numero

ridotto di concorrenti o della presenza di alcune imprese dominanti. La dipendenza tra concorrenti è tanto più

forte quanto più sono indifferenziati i prodotti delle imprese a confronto: si parla di oligopolio indifferenziato

per distinguerlo da quello differenziato, in cui i beni hanno caratteristiche distintive rilevanti per il cliente.

Il meccanismo della guerra dei prezzi. In condizioni di oligopolio indifferenziato i prodotti sono percepiti

come commodity e la scelta del cliente dipende dal prezzo e da servizio. Si parla allora di leadership di

prezzo: il prezzo proposto dall’azienda dominante funge da prezzo di riferimento per l’insieme dei

concorrenti. Lo scenario della guerra dei prezzi si sviluppa quindi nel modo seguente: 1) la riduzione dei

prezzi decisa da un’impresa provoca lo spostamento di una fetta importante di clienti 2) la quota di mercato

dell’impresa aumenta e il cambiamento viene avvertito dai concorrenti, che abbassano i prezzi per

contrastare il deflusso 3) la parità di prezzi è così ripristinata, ma a un livello di prezzo inferiore e meno

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remunerativo 4) la diminuzione del prezzo medio non ha contribuito ad aumentare le dimensioni complessive

del mercato. L’assenza di collaborazione tra concorrenti porta ad un peggioramento della situazione per tutti.

Tipologie di comportamenti competitivi. Per “comportamento competitivo” s’intende l’atteggiamento di

un’impresa nel suo processo decisionale a fronte delle azioni e reazioni dei concorrenti. Se ne hanno cinque

categorie: 1) comportamento indipendente: si verifica quando le azioni e/o reazioni dei concorrenti non

vengono prese in consideraizone nelle decisioni dell’impresa 2) comportamento accomodante: corrisponde a

un atteggiamento fiducioso o compiacente che persegue l’intesa o la collusione, piuttosto che il  confronto

sistematico 3) comportamento adattativo: tiene esplicitamente conto delle azioni della concorrenza,

adattando le proprie decisioni alle azioni osservate nelle imprese concorrenti, senza anticiparne le reazioni

4) comportamento anticipatore: l’impresa cerca di anticipare le reazioni dei concorrenti alla sue decisioni,

presumento che questi adottino un comportamento adattativo 5) comportamento aggressivo o di battaglia:

consiste nell’anticipare le reazioni dei concorrenti alle decisioni dell’impresa, attribuendo ai concorrenti un

comportamento che li condurrebbe ad adottare la strategia più sfavorevole all’avversario. In una condizione

di oligopolio indifferenziato, i comportamenti più frequenti sono quelli adattativi e anticipatori.

Il marketing “guerriero”. Nelle economie industrializzate ostacolare le azioni della concorrenza diventa un

fattore chiave di successo. Questo clima concorrenziale favorisce l’adozione di un marketing combattivo che

si pone come obbiettivo principale la distruzione dell’avversario. Questa visione si scontra con l’orientamento

al mercato che suggerisce di mantenere un certo equlibrio tra l’orientamento al cliente e alla concorrenza.  

L’analisi e il monitoraggio della concorrenza. L’atteggiamento da adottare verso la concorr enza deve

potersi fondare su un’analisi precisa, chiedendosi quali siano gli obbiettivi dei concorrenti, quale strategia si

utilizzi per raggiungerli, quali mezzi abbiano i concorrenti e quali strategie adotteranno in futuro.

10.4.3. La concorrenza monopolistica o imperfetta

La situazione di concorrenza monopolistica si colloca a metà tra la concorrenza perfetta e il monopolio. I

concorrenti sono numerosi e le loro forze sono equilibrate ma i prodotti sono differenziati. La competizione si

fonda su una strategia di differenziazione pensata per generare un vantaggio competitivo esterno.

Condizioni di successo di una strategia di differenziazione. Per avere successo una strategia di

differenziazione deve conferire un elemento di unicità, che deve rappresentare un valore agli occhi del clienti

o per un aumento della sua performance di impiego o per una diminuzione del suo costo. Il valore deve

essere importante perché questi accetti di pagare un supplemento di prezzo, e l’elemento di diffenziazionedeve essere sostenibile in quanto il premium price deve essere superiore al supplemento di costo sostenuto

dall’impresa per produrre e mantenere l’elemento di differenziazione. 

Benefici di una differenziazione efficace. La differenziazione ha l’effetto di conferire all’impresa un certo

potere di mercato, e il risultato è una sorta di mini-monopolio col potere di contrattazione del cliente che

viene parzialmente neutralizzato. L’impresa monopolistica gode di una relativa autonomia d’azione nei

confronti dei suoi rivali, e con la differenziazione può difendersi meglio dal potere di contrattazione dei

fornitori e dai prodotti sostitutivi. In una condizione di concorrenza monopolistica l’impresa offre un prodotto

differenziato e detiene un vantaggio competitivo esterno. Suo obbiettivo è sfruttare la domanda preferenziale

senza smettere di tenere sotto controllo il valore e la durata dell’elemento di differenziazione.  

10.4.4. Il monopolioNel monopolio il mercato è dominato da un solo produttore, che si trova davanti un gran numero di clienti: il

suo prodotto non ha concorrenti diretti nella sua categoria. L’impresa innovatrice detiene un potere di

mercato che in teoria è elevato ma in realtà viene minacciato dai nuovi entranti. Un monopolio è raramente

assoluto, poiché spesso continua a esistere la concorrenza dei prodotti sostitutivi. I monopoli di stato

seguono logica diversa da quella dell’impresa privata: quella dell’interesse comune e del servizio pubblico,

che favorisce una gestione incentrata sui problemi interni di funzionamento o burocratica.

10.4.5. La dinamica concorrenziale

Si possono delineare due casi limite in cui il potenziamento di profitto è quasi nullo ed elevatissimo. Nel caso

della concorrenza perfetta si avrà: ingresso libero nel prodotto-mercato, le imprese prive di potere di

contrattazioni, la concorrenza libera per il gran numero di concorrenti, i prodotti che si somigliano tutti. Nel

caso del monopolio si avrà: potenti barriere all’entrata, nessun concorrente, nessun prodotto sostitutivo,

clienti privi di potere di contrattazione, fornitori privi di potere di contrattazione.

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10.5. Il vantaggio competitivo basato sui costi

Il vantaggio competitivo di un’impresa può dipendere dalla presenza di differenziali di costo, dovuti a una

maggiore produttività e al controllo dei costi. Nei settori in cui il valore aggiunto al prodotto rappresenta

un’alta percentuale del costo totale, si constata una tendenza alla riduzione dei costi man mano che

l’impresa accumula esperienza nella fabbr icazione del prodotto.

10.5.1. L’enunciato della legge di esperienza 

Secondo la legge di esperienza, il costo unitario del valore aggiunto di un prodotto standard, misurato in

unità monetarie costanti, diminuisce di una percentuale fissa ogni volta che la produzione totale cumulata

raddoppia. Il termine “esperienza” designa il volume cumulato di produzione, la cui crescita per unità di

tempo non va confusa con l’aumento dell’esperienza; la legge non è naturale ma statistica, coi costi che si

riducono solo se qualcuno li abbassa migliorando la produttività, e vanno misurati in unità monetaria

costante ovvero aggiustati in base all’inflazione. L’effetto di esperienza è più marcato nella fase di avvio e di

crescita del ciclo di sviluppo di un nuovo prodotto, e riguarda i costi legati al valore aggiungo, ovvero quelli

su cui l’impresa esercita un controllo. 

10.5.2. Le cause dell’effetto di esperienza 

I fattori che contribuiscono a ridurre i costi lungo la curva di esperienza sono diversi: 1) efficienza del lavoro

manuale: ripetendo la stessa operazione i lavoratori diventano più abili e aumentano l’efficienza 2)

specializzazione del lavoro e miglioramento dei metodi: la specializzazione aumenta l’efficienza dei

lavoratori 3) nuovi processi di fabbricazione: le innovazioni di processo e i miglioramenti possono

rappresentare un fattore importante di riduzione dei costi 4) migliore performance delle attrezzature di

produzione: la valutazione iniziale della presentazione di un’attrezzatura appena progettata può esser e

prudente 5) mutamento del mix di risorse impiegate: con l’esperienza il produttore può rincorrere a risorse

diverse o più economiche 6) nuova concezione del prodotto: una volta acquisita una buona conoscenza dei

requisiti di performance, l’impresa può ridefinire il prodotto in modo da usare materiali e risorse meno

costosi. Tutti questi fattori sono sotto il controllo diretto dell’impresa.  

10.5.4. Le implicazioni strategiche della legge di esperienzaLe impiegazioni strategiche della legge di esperienza si possono riassumere in sei punti: 1) l’impresa che

raggiunge il maggior volume di produzione cumulata avrà i costi più bassi a condizione che valorizzi l’effetto

di apprendimento 2) l’impresa aggressiva proverà a scendere lungo la sua curva di esperienza in modo da

accumulare vantaggio di costo 3) l’obbiettivo è di crescere più velocemente dei concorrenti diretti 4) questo

obbiettivo può essere realizzato meglio nella fase di lancio del prodotto 5) il mezzo migliore per aumentare la

quota di mercato consiste nell’adottare un prezzo di penetrazione 6) questa strategia darà all’azienda una

performance di profitto al di sopra della norma.

La valutazione della disparità di costo. Se la produzione cumulata determina la riduzione prevista dei

costi e se l’impresa dominante è in grado di difendere il beneficio dell’apprendimento, l’effetto di esperienza

porta alla creazione di un ostacolo all’entrata di nuovi concorrenti e produce un vantaggio di costo per

l’impresa leader. Le imprese con basse quote di mercato av ranno costi più elevati, e quella con la quota dimercato maggiore beneficerà inoltre di una maggiore liquidità. Gli effetti di esperienza possono determinare

forti disparità tra costi di imprese identiche per dimensione, ma diverse nella capacità di valorizzare questo

potenziale con investimenti di produttività.

La curva di esperienza come indicatore previsionale. E’ possibile utilizzare la curva di esperienza per

prevedere gli sviluppi futuri e verificare la fattibilità di diverse strategie possibili. Prima di adottare una

strategia basata sull’esperienza è importante procedere al calcolo del tempo e degli investimenti necessari

per raggiungere l’obbiettivo prefissato. 

10.5.5. I limiti della legge di esperienza

La legge di esperienza regge nelle attività in cui un volume maggiore conferisce un vantaggio economico e

in cui il processo di apprendimento è importante. Le situazioni in cui la legge di esperienza ha un effetto

limitato sono quando: a) il ptenziale di apprendimento è ridotto b) un concorrente può accedere a una

fornitura particolare con un vantaggio di costo c) i vantaggi di costo dati dall’esperienza sono annullati da

rapidi cambiamenti tecnologici d) si ha scarsa sensibilità al prezzo da parte del mercato e) si ha ampio

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potenziale di differenziazione dei prodotti. Un’impresa dominata da un concorrente che dispone di un

vantaggio di costo irraggiungibile può adottare una strategia di differenziazione o basata sullo sviluppo

tecnologico. La legge di esperienza dà all’impresa un vantaggio competitiv o operativo non sempre

sostenibile per lunghi periodi di tempo.

10.6. Il vantaggio competitivo internazionale

Secondo Porter esisteno quattro caratteristiche del contesto in cui le aziende locali competono: 1) i fattori

produttivi: sebbene i fattori di produzione siano importanti, ciò che conta è la capacità del paese di creare,

rinnovare e sviluppare tali fattori e non solo la loro dotazione iniziale 2) la domanda: la qualità della domanda

interna è la più importante nella determinazione di un vantaggio competitivo 3) i settori a monte e collegati:

un’azienda che opera con diverse industrie collegate ottiene e mantene dei vantaggi dati da strette relazioni

operative, vicinanza ai fornitori e flussi continui di prodotti e informazioni 4) la strategia, la struttura e la

rivalità delle imprese: non esiste una strategia universalmente applicabile, dipende dallo stato di salute e dal

grado di flessibilità dei fattori che lavorano per un settore in quel Paese in quel momento.

Porter identifica tre situazionin che favoriscono la conquista di un vantaggio competitivo nazionale: 1) alta

percentuale di domanda locale: le imprese hanno buone possibilità di conquistare vantaggio competitivo in

segmenti globali, che rappresentano una parte importante della domanda interna ma pesano poco negli altri

Paesi 2) acquirenti sofisticati ed esigenti: la conquista di un vantaggio competitivo delle imprese nazionali in

un segmento dipende dal grado di sofisticazione e dalle esigenze dei clienti locali 3) anticipazione dei

bisogni degli acquirenti: il fatto che determinati bisogni siano espressi prima dalla clientela nazionale e poi da

quella straniera rappresenta un vantaggio per le imprese locali. La composizione della domanda interna è

alla base del vantaggio competitivo della nazioni; senza concorrenza domestica, una crescita del mercato

locale o detenerne una larga fetta può indurre un atteggiamento compiacente che ostacola gli investimenti.

CAPITOLO 11: IL MERCATO TARGET E LE STRATEGIE DI POSIZIONAMENTO

11.1. Strategie di copertura del mercato di riferimento

11.1.1. Strategia di focalizzazione

La strategia di focalizzazione è quella dello specialista alla conquista di una grossa quota di mercato

all’interno di una nicchia ristretta, con l’impresa che si concentra sui bisogni di un numero ridotto di segmenti.

La specializzazione può riguardare una funzione (specialisti di funzione) o un determinato gruppo di clienti

(specialisti di clienti): nel primo caso l’impresa svolge un numero ridotto di funzioni ma si rivolge a una vasta

gamma di clienti, nel secondo si ha una situazione in cui in confini di mercato sono definiti in modo ampio dal

punto di vista della funzione e ristretto in merito al gruppo di clienti verso i cui bisogni si punta l’attenzione.

11.1.2. Copertura totale del mercato

In questa strategia i confini del mercato sono ampiamente definiti: l ’impresa si rivolge al mercato intero e può

scegliere tra una stragia di marketing differenziato e indifferenziato. Con la prima ignora le diversità presentiall’interno del segmento e decide di rivolgersi all’intero mercato come un tutt’uno, con la seconda si rivolge

sempre all’intero mercato ma con programmi di marketing su misura per ciascun segmento. I prezzi di

vendita sono stabiliti in base alla sensibilità al prezzo di ciascun segmento, ma il rischio è di ipersegmentare

il mercato, aprendo la strada al cannibalismo tra marche della stessa impresa.

11.1.3. Strategia mista

L’impresa diversifica le sue attività in termini di funzioni e/o gruppi di clienti. La scelta di una strategia di

copertura del mercato dipenderà dal numero di segmenti identificabili e dalle risorse dell ’impresa.

11.1.4. Ipersegmentazione e controsegmentazione

Le politiche estreme a cui può arrivare una strategia di segmentazione sono: 1) ipersegmentazione: dà vita a

prodotti su commissione realizzati per soddisfare i bisogni individuali, a costi elevati 2) controsegmentazione:

l’impresa offre un prodotto base con poche opzioni, a un prezzo ridotto. La logica market-driven richede il

massimo grado di adattamento alle diversità dei bisogni e ports alla commercializzazione di prodotti

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personalizzati; quella supply-driven cerca di incrementare la produttività con la massima standardizzazione.

Il molti settori, in particolare dei beni di largo consumo, si registra un ritorno alla semplicità, con prodotti che

forniscono solo la funzione di base a un prezzo inferiore.

11.1.5. Selezione dei segmenti prioritari

La decisione relativa ai segmenti target è compatibile sia con una copertura ampia del mercato che con la

selezione di uno o più segmenti. La regola è rivolgere la propria attenzione in particolare a gruppi di clienti

che diano maggior valore al prodotto e non a quelli che rivestono maggiore interesse per l ’impresa.

11.2. Le decisioni di posizionamento strategico

11.2.1. Definizione del posizionamento

Il posizionamento è la decisione dell ’impresa relativa al beneficio che la marca deve possedere per

conquistare una posizione distintiva nel mercato. Si può descriverlo rispondendo a quattro domande: 1) una

marca per cosa? [beneficio per il cliente] 2) una marca per chi) [segmenti target] 3) una marca per quando?

[situazione d’uso] 4) una marca contro chi? [concorrenti diretti]. La strategia di posizionamento è la modalità

operativa adottata per introdurre una strategia di differenziazione basata sull ’analisi interna dei punti di forza

e di debolezza, sul contesto competitivo e sul tipo di beneficio distintivo che la marca può offrire. La

percezione che il consumatore ha nella propria mente della marca è detta “immagine della marca”.

11.2.2. Condizione per lo sviluppo del posizionamento

Quando si sceglie un posizionamento è necessario: a) conoscere il posizionamento attuale della marca e

delle marche concorrenti nella mente dei consumatori b) selezionare un posizionamento, valutarne la

dimensione e il profitto potenziale e se è davvero specifico e distintivo c) verificare se la marca ha il

potenziale necessario per raggiungere il posizionamento desiderato nella mente dei consumatori,

giustificando un eventuale premium price d) quantificare il grado di vulnerabilità del posizionamento e)

garantire la consistenza del posizionamento con gli strumenti di marketing mix. La differenziazione

rivendicata deve essere “unica”, “importante” per il consumatore “sostenibile”, “comunicabile” e “accessibile”.

11.2.3. Modalità di posizionamento della marca rispetto ai concorrentiCi sono vari modi di posizionare una marca nei confronti dei concorrenti: 1) differenziazione del prodotto: si

fa leva sui benefici del prodotto, come performance, longevità, affidabilità, design, novità 2) differenziazione

del prezzo: il prezzo distingue dai concorrenti, applicando il più alto della categoria, il più alto valore del

denaro o il prezzo più basso della categoria 3) differenziazione dell ’immagine: in molti settori le marche non

sono differenziabili sulla base di caratteristiche tangibili, e a fare la differenza può intervenire l’immagine.

11.2.4. Credibilità del posizionamento scelto

 Alcune imprese adottano una strategia di posizionamento basata su più benefici, dovendo evitare quattro

errori fondamentali: 1) sottoposizionamento: i clienti potenziali hanno una vaga idea di quale sia il fattore

distintivo rivendicato dalla marca 2) sovraposizionamento: i clienti hanno un ’immagine troppo ristretta della

marca 3) posizionamento confuso: i clienti sono confusi perché l ’impresa avanza troppe rivendicazioni sulsuo prodotto 4) posizionamento ambiguo: i potenziali clienti non riescono a credere ai vantaggi promessi

dalla marca.

11.3. Il comportamento di risposta del cliente al posizionamento dell’impresa

Si possono identificare diversi livelli di risposta del cliente nei confronti dell ’informazione percepita. Per

“risposta” si intende ogni attività mentale e fisica provocata nel cliente da uno stimolo.

11.3.1. La gerarchia dell ’ apprendimento

I livelli di risposta del cliente potenziale possono essere raggruppati in tre categorie: a) risposta cognitiva:

chiama in causa le informazioni possedute e la conoscenza b) risposta affettiva: analizza l ’atteggiamento e il

sistema di valutazione c) la risposta comportamentale: descrive l ’azione, non solo l’atto di acquisto ma

anche il comportamento post-acquisto.

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11.3.2. Il modello di coinvolgimento di Foote, Cine e Belding (FCB)

Secondo questo modello si possono avere quattro situazioni d’acquisto. 1) il grado di coinvolgimento nei

confronti del prodotto è alto e la modalità di percezione della realtà è essenzialmente intellettuale: si ha forte

necessità di informazioni dovuta all’importanza del prodotto, seguono questo schema le deciioni che

riguardano gli acquisti più importanti 2) il coinvolgimento nei confronti del prodotto è alto, ma c ’è minor

necessità di informazioni e maggior bisogno di uno stimolo di tipo attitudinale o emotivo: si trovano in questa

categoria i prodotti di rilevante valore sociale o emotivo 3) decisioni che implicano un ragionamento minimo

e la tendenza a sviluppare, per comodità, delle abitudini d ’acquisto: il coinvolgimento è basso e il

comportamento di routine, rientrano qui la maggioranza dei prodotti alimentari, e la pubblicità deve creare e

mantenere l’abitudine e stimolare il ricordo del prodotto 4) esiste un basso coinvolgimento nei confronti del

prodotto e una modalità d’acquisto sensoriale: i prodotti mirano a soddisfare gusti personali che hanno a che

fare con l’immaginazione e con la soddisfazione immediata.

11.3.4. Strategie per cambiare posizionamento

Nel determinare quale strategia adottare per modificare un posizionamento sfavorevole, ne esistono sei: 1)

modificare il prodotto: se la marca non corrisponde alle aspettative del mercato, si può modificare il prodotto

rinforzando la caratteristica che risulta carente 2) modificare il peso degli attributi: si convince il mercato che

la caratteristica che la marca possiede è molto importante 3) modificare le convinzioni relative alla marca: il

processo implica un riposizionamento percettivo 4) modificare le convinzioni relative alle marche concorrenti:

va usata se il mercato sovrastima alcune delle caratteristiche dei concorrenti 5) attrarre l ’attenzione verso

attributi finora ignorati: implica la creazione di un nuovo vantaggio 6) modificare il livello di attributi richiesti:

l’impresa può tentare di convincere il segmento che la qualità offerta è adeguata a quello scopo.

11.4. La catena del valore nell’analisi di differenziazione

Nella strategia di un elemento di unicità su cui fondare una strategia di differenziazione è necessario evitare

due errori: individuare un elemento di unicità che l’impresa non è in grado di offrire, e identificare un

elemento di unicità che l’impresa può offrire ma non viene apprezzato dai clienti.

11.4.1. Alla ricerca della differenziazioneLe possibili fonti di differenziazione per le attività di base sono: 1) acquisti: qualità e affidabilità di componenti

e materiali 2) produzione: tempi brevi di fabbricazione, scarti minimi 3) immagazzinaggio e distribuzione:

consegna rapida e nei tempi richiesti, gestione ordini, scorte sufficienti 4) marketing e vendite: intensità e

creatività pubblicitaria, qualità e copertura della forza vendita 5) assistenza ai clienti: assistenza

nell’installazione, riparazioni rapide ecc. Per le attività di supporto le potenziali fonti di differenziazione sono:

a) risorse umane: formazione avanzata del personale, impegno nel servizio clienti b) ricerca e sviluppo:

caratteristiche uniche del prodotto, rapidità di sviluppo di nuovi prodotti c) infrastruttura: reputazione

dell’impresa, sensibilità ai bisogni dei clienti. L ’obbiettivo consiste nel trovare variabili con cui l’impresa può

acquisire un elemento di unicità che la differenzi dai concorrenti e la valorizzi agli occhi del cliente.

11.4.2. La misurazione del potere di mercatoIl potere di mercato è misurato dalla capacità dell’impresa di imporre un prezzo superiore a quello praticato

dai suoi diretti concorrenti. Una misura è data dall ’elasticità al prezzo della domanda dell’impresa per il

prodotto differenziato: minore è l’elasticità della domanda, più bassa sarà la volatilità o la sensibilità della

quota di mercato di fronte a un aumento di prezzo del prodotto. La forza della marca dipende dal grado di

attaccamento o di fedeltà dei clienti alla marca o all ’impresa, e ha cinque indicatori: 1) più limitata sensibilità

al prezzo: una marca forte resiste meglio a un aumento di prezzo 2) accettazione di premium price: una

marca è forte se i clienti sono disposti a pagarla di più rispetto alle concorrenti 3) tasso di esclusività: il

consumatore più fedele è quello per cui la marca detiene una percentuale maggiore di requisiti 4) tasso di

fedeltà dinamico: si può esaminare lo schema d’acquisto nel tempo, da utilizzare per stimare la probabilità

che un consumatore riacquisti la stessa marca 5) misure attitudinali positive: il grado di familiarità con la

marca, di stima e la qualità percepita sono buoni indicatori della forza di una marca.

11.5. Segmenti target internazionali

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La segmentazione globale dei mercati è il processo d’identificazione di segmenti di clienti potenziali che

abbiano attributi e comportamenti d’acquisto simili. Nella segmentazione globale si possono adottare tre

approcci: a) identificazione di gruppi di Paesi che richiedono prodotti simili b) identificazione di segmenti

presenti in più paesi c) scelta di target diversi in ciascun Paese, con lo stesso prodotto.

11.5.1. Gruppi di Paesi target

Il mercato globale viene segmentato in base a variabili geografiche, molti prodotti non necessitano di essere

adattati in ogni Paese, ma tale approccio presenta tre limiti: a) si basa su variabili legate al Paese e non agli

schemi di comportamento dei clienti b) presuppone l’esistenza di un’omogeneità totale all’interno dei Paesi

c) trascura che vi sono segmenti omogenei di consumatori che possono valicare i confini nazionali.

11.5.2. Vendere in segmenti universali che attraversano i confini tra i Paesi

Molti prodotti di consumo sono sempre più accettati su scala mondiale, ma anche se i bisogni sono diversi

può esistere un segmento del mercato che presenta bisogni identici in ogni paese di cui fanno parte gli

utilizzatori più esigenti, poiché questi gruppi sono i più esposti ai contatti e alle esperienze internazionali. I

marchi di alto livello possono rivolgersi al target internazionale formato da questo segmento universale con

le stesse strategie con cui si sono posizionati nel loro mercato locale. Le dimensioni di un segmento di

questo tipo possono essere molto limitate in alcuni Paesi, è la somma a renderli attraenti.

11.5.3. Rivolgersi a segmenti differenti in ogni Paese

 Anche se i bisogni sono differenti in ogni Paese, si può vendere lo stesso prodotto in segmenti diversi,

adottando un posizionamento specifico sulla base di variabili come il network distributivo, la pubblicità o il

prezzo. Questo approccio richiede notevoli adattamenti delle strategie di comunicazione e vendita. Quello

della segmentazione universale è il più radicale e dà all’impresa un vantaggio competitivo significativo,

perché il prodotto e la comunicazione possono essere standardizzati e trasferiti in Paesi diversi. D ’altra

parte, questi adattamenti possono compromettere l’unità dell’immagine di marca.

11.5.4. Il caso dei segmenti universali

L’approccio globale alla segmentazione dei mercati ha l ’obbiettivo di individuare le similitudini tra Paesi e

cerca l’omogeneità nei prodotti, l’approccio internazionale è multidomestico e tenderebbe a ignorare i puntidi contatto avendo l’effetto di mantenere e coltivare differenze non sempre giustificate.

La ricerca di un compromesso tra standardizzazione e adattamento. Un certo grado di adattamento dei

prodotti e/o della strategia di comunicazione sarà necessario nella maggior parte delle situazioni di mercato.

L’idea base è puntare alle somiglianze transnazionali adattandosi alle differenze locali, e si possono adottare

tre tipi di politica di prodotto: 1) prodotto universale: il prodotto è fisicamente identico in ogni Paese 2)

prodotto modificato: il prodotto di base è lo stesso, ma con una serie di modifiche 3) prodotto adattato a un

Paese: il prodotto è studiato apposta per soddisfare i bisogni di un dato paese.

L’affermazione di una marca globale. La popolarità delle marche globali è indipendente dall’atteggiamento

nei confronti del Paese d’origine, e la vocazione globale di un prodotto è legata al carattere universale del

vantaggio ricercato. Più il prodotto si avvicina ai poli hi-tech/hi-touch, più diventa universale; queste due

categorie di beni hanno in comune il fatto di essere prodotti a forte coinvolgimento e ricorrere a un linguaggiouniversale. I prodotti hi-tech si rivolgono a un pubblico di acquirenti specializzati, i prodotti hi-touch ricorrono

più all’immagine che alle caratteristiche tecniche, ma si basano su temi o bisogni universali come l ’amore, la

ricchezza e l’eroismo.