musei s.p.a. di giovanni n. ciullo per d supplemente del sabato di repubblica

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D 43 NEW S MUSEI S.P.A. In Italia sono un flop, all’estero sono un business: nei paesi dove il marketing dimostra che con la cultura si mangia di Giovanni N. Ciullo La Piramide del Louvre, a Parigi:è questo il museo più visitato al mondo. Foto di G. Larin/GS/Contrasto

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Qualcuno sostiene che “con la cultura non si mangia”, ma questo sembra essere vero solo per la dieta italica. Soprattutto quando si parla di musei, e in quel campo l’abisso fra i caterpillar internazionali (diventati vere S.p.A, società per azioni con super fatturati e indotto a tanti zeri) e i carrozzoni di casa nostra è sempre più evidente.

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D 43

NEWS

MUSEIS.P.A.

In Italia sono un flop, all’estero sonoun business: nei paesi dove il marketingdimostra che con la cultura si mangia di Giovanni N. Ciullo

La Piramide del Louvre, a Parigi:è questo il museo

più visitato al mondo.

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15 GIUGNO 2013 D 45D 44

NEWS

Qualcuno sostieneche “con la culturanon si mangia”, maquesto sembra esse-re vero solo per ladieta italica. Soprat-tutto quando si par-

la di musei, e in quel campo l’abissofra i caterpillar internazionali (diven-tati vere S.p.A, società per azioni consuper fatturati e indotto a tanti zeri) ei carrozzoni di casa nostra è semprepiù evidente. Gli ultimi dati non la-sciano dubbi: fra i primi 20 musei almondo, per numero di biglietti emes-si, non c’è neanche un italiano (i Mu-sei Vaticani, settimi in classifica, ap-partengono alla sede papale).Bisognaarrivare così al 23° posto per trovaregli Uffizi di Firenze, staccati dai primidella classe. Che sono, neanche a dir-lo, i soliti noti.Nella top-5 ecco la Na-tional Gallery (quinta), la Tate Mo-dern (quarta) e il British Museum(terzo) tutti a Londra, il Met di NewYork (secondo) e Sua Maestà il capo-classifica: il Louvre di Parigi, che conquasi 10 milioni di visitatori all’anno(per capirci: 38 volte più della Pina-coteca di Brera, a Milano) genera dasolo un volume d’affari superiore atutti i musei italiani messi insieme.Merchandising, gadget, sponsor,bookshop, ristoranti stellati,eventi,sfilate,e-commerce: il con-to economico di chi ha imparato a sta-

re sul mercato continua ad arricchirsidi nuove voci. Il MoMa, al di là delleDemoiselles d’Avignon di Picasso, gra-zie alla diversificazione ha oggi un fat-turato da far invidia a una multinazio-nale. Il Guggenheim di Bilbao nei pri-mi sette anni di vita ha avuto ritornieconomici 18 volte superiori all’inve-stimento iniziale. Il nuovo Louvre diLens, in una zona depressa della pro-vincia francese, prevede ricavi 7 volteil costo sostenuto per la sua costruzio-ne già nei primi 12 mesi di attività. IlVictoria & Albert Museum di Londraha appena dato una dimostrazione dicosa significhi applicare il marketing aun museo: la monografica David Bo-wie is è stata sui giornali di mezzomondo per mesi, attirando sponsor-ship record.Mentre si affacciano le ti-gri dell’arte Brics: fra i primi 20 supermusei al mondo ecco il National Pala-ce di Taipei, il National Museum diSeul, il Centro Cultural Banco doBrasil di Rio de Janeiro e lo ShanghaiMuseum. E ad Abu Dhabi, nel 2016,chi aprirà una super-sede in terra ara-ba? Il solito Louvre.Tutto cominciò dal genio cinico diTom Krens: definito in un librosul tema (Museums Inc., di PaulWerner) una “Miranda da Il Dia-volo investe al Guggenenheim”.Direttore per molti anni del famosomuseo newyorchese, fu il primo adapplicare una formula semplice e al

passo con i tempi: «L’arte è una mercee va trattata come tutte le altre». Cioè,a scopo di lucro.Sdoganò così il bino-mio arte-business, trattò un Basquiatcome un Big Mac, aprì filiali (comeogni multinazionale che si rispetti) ingiro per il mondo (Bilbao, Venezia,Berlino, ecc.) e diventò ufficialmenteil primo “amministratore delegatodella cultura”. «È negli Stati Uniti,con bookshop e caffetterie, che le co-se hanno iniziato a cambiare», confer-ma Luigi Guiotto, docente di Marke-ting territoriale e dei musei presso socio-logia a Milano Bicocca. «Ancora oggisembra strano applicare il marketingai musei, invece è la cosa più giusta elogica. Bisogna capovolgere la pro-spettiva: non considerare più la cen-tralità delle collezioni, ma partire dal-

Si è laureata in scienze politiche, poi ha fatto un master a Bruxelles. E visto che il francese nelfrattempo l’aveva imparato, si è iscritta all’Écolenationale d’administration di Parigi. Infine labergamasca Claudia Ferrazzi ad appena 34 anni èdiventata vice-amministratore generale del Louvre, la maggior istituzione culturale in un contestonazionale molto speciale (nei primi dieci musei piùvisitati al mondo Parigi ne piazza altri due, il Museéd’Orsay e il Centre Pompidou). Ecco dunque che sispiegano formalità, rigore, e persino un certa austerità.Così, se interpellata, la dottoressa Ferrazzi preferiscenon parlare di se stessa e di come l’ambiente in cui si è trovata le ha permesso di raggiungere velocemente un ruolo che se fosse rimasta in patria moltoprobabilmente non avrebbe mai avuto. Parla invecevolentieri del Louvre da record, del fatto che qui ognigiorno passano almeno 40 nazionalità diverse, e di

come il giovedì, quando il museo è aperto fino alledieci di sera, a venirci siano soprattutto giovani, che spesso si danno appuntamento davanti a una certa opera come preambolo a una nottata parigina.Parla del tempo che viene dedicato alla produzionedelle mostre, che non partono mai dal calcolo di quanti biglietti si potranno staccare, ma da una seriaricerca su un argomento rilevante rispetto alla storiadell’arte. E di come, al pari di ogni museo del VecchioContinente, anche il Louvre ha dovuto affrontare unasignificativa riduzione del finanziamento pubblico. Madice anche che questa riduzione è avvenuta secondoun piano triennale concordato con il ministero, nonall’improvviso. E quando le chiediamo cosa vuol dire essere mamma in carriera a Parigi, risponde che lo Stato francese incoraggia le donne a lavorare,aiutandole. Ma quando serve davvero, senza straneforme di assistenzialismo. Stefano Pirovano

Da sinistra: l’Hermitage diSan Pietroburgo (15° museo

più visitato al mondo); il British Museum di Londra(terzo); la terrazza del Met,

Metropolitan Museum of Artdi New York (secondo).

le esigenze del pubblico che non vuo-le più un museo venerabile e minac-cioso, pronto a schiacciarti con la suacultura.Da tempio,scuola e deposito,il museo S.p.A deve diventare semprepiù simile a Facebook o Twitter: unluogo di aggregazione e di entertain-ment, come i social network. I siti in-ternet in effetti sono oggi la primacartina di tornasole per capire chi hacolto il cambiamento».Il neoministro dei Beni Culturali,Massimo Bray, ne è convinto: imusei sono uno degli asset piùimportanti per l’azienda Italia.L’idea è di affidare ai privati quelli che

lo Stato non valorizza, prolungare gliorari di apertura, migliorare l’aspettodivulgativo («Spesso le brochure sonosolo in italiano»,ha lamentato il Mini-stro), utilizzare il web in un piano dicollaborazione con l’Agenzia Italiaper il digitale.«Non possiamo vivere di rendita»,continua Guiotto. «Anche i nostrimusei devo andare a cercarsi i “clien-ti”, diventando visitor oriented. Pub-blico contro privato? Parlerei piutto-sto dei finanziamenti: escludendo icontributi statali c’è quello diretto(biglietti e servizi) e quello indiretto(soci e sponsor). Su questi due fronti

bisogna lavorare».Stando al Country Brand Index il no-stro è ancora oggi il Paese più ambitodai turisti stranieri, ma ormai da de-cenni non è il più visitato, superato daFrancia, Spagna, Usa, Cina. Così an-che i musei spesso sono vuoti. Treconfronti dicono tutto: 1) Roma ha32 musei, contro gli 11 di Londra,maappena un sesto dei suoi visitatori; 2)su 36 milioni di ingressi nei musei ita-liani, 20 milioni sono gratis; 3) i diret-tori di istituzioni come Uffizi o Galle-ria Borghese guadagnano quattrovolte meno di un commesso della Ca-mera. La Musei S.p.A. è lontana.

LA SIGNORA DEL LOUVRE

Non piùcattedraliinviolabili

i museicambiano

per attirareil nuovopubblico