pm di maggio 2012

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ANNO 86 • n° 997 • € 3,00 • Poste Italiane s.p.a. • sped. in a.p. • D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 1, DCB VERONA il piccolo missionario maggio 2012 - n. 5 www.bandapm.it CONtIENE I.P.

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Il nuovo numero del PM è arrivato!

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Speciale famiglia

Attualità

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IRIN

SS ono anni che nel nostro pianeta è scat-tato l’allarme acqua. Questa preziosa ri-sorsa sta diventando sempre più scarsa

e inquinata. Lo hanno ribadito i partecipanti al 6° Forum Mondiale dell’Acqua (sia l’uffi ciale che l’alternativo Fame) tenutisi a Marsiglia, in Francia, lo scorso mese di marzo. I dati, come sempre, sono allarmanti; ma pesano soprattut-to sulla vita degli abitanti più poveri del Sud del mondo, da sempre condannati a non poter ac-cedere all’acqua e ai servizi igienici di base.

MANGIARE E BERE

Ormai è chiaro a tutti che il primo impegno, ri-spetto alle problematiche sull’acqua, che l’umanità dovrà prendere in tempi brevissimi sarà quello di risparmiare il più possibile il tan-to ricercato “oro blu”. Attualmente il consumo di acqua dolce è legato al 70% alla produzione di alimenti e al settore agricolo, che include, in molti casi, le coltivazioni di cereali per ricavare biocarburanti per le auto e non cibo per gli es-seri umani.

Acqua e cibo. Risorse da risparmiare

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a cura di Pablo Sartori

ACQUA:• 1 miliardo le persone che non hanno a disposizione acqua potabile• dai 3 ai 4 miliardi le persone che non hanno acqua a suffi cienza• ogni 17 secondi muore un bambino per malattie causate dall’acqua inquinata

FAME: Il Forum Alternativo Mondiale dell’Acqua è un mo-vimento civile mondiale che da anni lotta a favore di una gestione ecologica e democratica dell’acqua, in contra-sto con le politiche delle grandi multinazionali del settore idrico

WATER FOOTPRINT: È l’impronta idrica che misura il vo-lume di acqua dolce consumata, direttamente o indiret-tamente, in tutte le fasi di produzione di un alimento o di un bene

Mag 2012

lo Sartori

Manifesto del Forum Alternativo di Marsiglia

Ecco perché il tema del Fo-rum di quest’anno si è con-centrato sul rapporto che esiste tra “Acqua e sicurezza alimentare”. Dietro i nostri pasti quotidiani ci sono enormi consumi d’acqua, che si differenziano a seconda del tipo di ali-mentazione che ciascuno di noi sceglie. Molti

non sanno, ad esempio, che una dieta vegetariana “consuma” molti meno litri di acqua (2300) di quelli bruciati da un’alimentazione a base di carne (dai 4000 ai 5000). Differenze abissali che appaiono chiare ed evidenti nello schema della cosiddetta “doppia piramide alimentare e idrica” che misura il water footprint, dove per produrre un pomodoro sono necessari 13 litri di acqua; 40 per una fetta di pane; 500 litri per 100 grammi di formaggio; 2400 litri per un hamburger.C’è quindi grande differenza, in termini di risparmio di acqua, tra chi si ali-menta a “più non posso” con porzioni gigantesche di patatine, hambur-ger, bistecche e wurstel, e chi, invece, sceglie la famosa e salutare “dieta mediterranea” a base di verdura, frutta, pasta, pesce e poca carne. Oltre ad avere benefi ci effetti sulla sua salute, chi riduce il consumo di carne dà un grande contributo alla ri-duzione del fabbisogno idri-co del pianeta, soprattutto a tutti coloro – e sono la mag-gioranza – che non hanno ac-qua a suffi cienza per vivere, bere, lavare, coltivare e pro-durre a causa degli sprechi e

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dei consumi “superfi ciali” (vedi piscine, campi da golf, parchi acquatici ecc.) della risorsa “ac-qua” da parte di pochi privilegiati.

ACQUA, VEICOLO DI PACE

«L’acqua è la base della nostra vita, è il cen-tro dell’equilibrio del nostro pianeta e dei nostri ecosistemi, è il cuore delle nostre economie, delle nostre società e del nostro futuro». Parole di Mikhail Gorbaciov, presidente della ONG am-bientalista Green Cross, pronunciate al Forum di Marsiglia. L’ex presidente russo ha poi ricor-dato come sul pianeta ci sia abbastanza acqua per tutti, “ma dobbiamo imparare a gestirla e a utilizzarla in modo sostenibile”.Consapevoli del fatto che se vogliono, in futuro, evitare confl itti e guerre, i leader della comunità internazionale devono “saper rispondere con urgenza alla crisi idrica globale. È imprescindibi-le saper garantire l’accesso equo all’acqua po-tabile e ridurre rapidamente e signifi cativamen-te gli usi non sostenibili dell’acqua, così come delle altre risorse naturali, allo scopo di proteg-gere il pianeta”. Il rischio di una competizione sfrenata tra regioni e Paesi non può che aumen-tare se non si trova un modo per proteggere e condividere l’acqua. Uno tra questi è senz’al-tro quello di cambiare il nostro stile alimentare, forse tornando ad essere un po’ più “erbivori” e meno “idrovoraci”. ❏

In un piccolo mercato ugandese

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UU n avvenimento importante, il VII Incontro mondiale delle famiglie che si tiene a Milano dal 29 mag-

gio al 3 giugno prossimi. Anche perché si svolge in un momento storico in cui la fa-miglia è colpita da una “crisi” che rischia di essere “distruttiva”. Questo incontro nel capoluogo lombardo, è stato molto atteso, preparato e voluto da Papa Benedetto XVI che con le fami-glie – convocate dal mondo intero – trascorrerà tre giorni, sottolineando così l’importanza che la chiesa attribuisce a questa istituzione considerata il “fondamento della socie-tà”. È un’occasione per infondere “speranza” a una fami-glia che sta vivendo profonde e rapide trasformazioni della mentalità e dei costumi. Il Papa ribadirà quello che è solito ripetere: la famiglia come “piccola chiesa” impegnata a trasmettere la vita e i suoi valori nel tessuto sociale di un paese, per una più grande umanizzazione dei rapporti tra le persone.

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a cura di

Elio Boscaini

Mag 2012

A Milano il VII Incontro mondiale delle famiglie

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L’avvenimento di Milano sarà anche l’occasione per condividere con altri la fatica di educare e la precarietà che caratterizza il vissuto di tan-te famiglie. E anche di confrontare le diverse esperienze e le testimonianze. Sarà la festa del-la famiglia cristiana fondata sull’amore autenti-co degli sposi, sull’accoglienza del dono della vita, sull’unità che unisce nella solidarietà tutti i suoi membri.

LA DIGNITà DEL LAVORO

Tema dell’incontro: “famiglia, lavoro, festa”. Il lavoro è necessario per la sussistenza della fa-miglia, certo, ma è anche il luogo in cui si soddi-

sfa una delle aspirazioni più pro-fonde del cuore umano: essere utile agli altri. Ma in Italia stiamo vivendo un in-credibile spreco di talenti. L’oc-cupazione femminile, a fronte di una formazione ormai superiore

a quella dei maschi, è ferma al 46% della popolazione in età lavorativa (20 punti in meno di quella maschile). È più bassa che in quasi tutti gli altri paesi europei, soprattutto per le mamme con fi gli. E ancora: un salario del 10, o addirittura del 20% inferiore a quello maschile, a parità di istruzione ed esperienza. E poi, un tem-po di cura della casa a carico delle donne molto maggiore che nelle altre nazioni europee. E tante mamme a fare anche da “ammortizzatori so-ciali”, nell’aiuto agli anziani e ai fi gli giovani di-soccupati o con lavoro precario. Insomma, il punto è chiaro: bisogna fare di tutto per conciliare famiglia e lavoro perché nel no-stro paese il lavoro retribuito sembra essere in contrasto con l’avere dei fi gli. Quante mamme rischiano di essere mandate a casa appena ri-

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TO il lavoro

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velano di aspettare un fi glio! E tutto ciò accade in questa nostra Italia, dove ci sentiamo ripetere da tempo che il nostro è sempre più un Paese per anziani, che gli unici fi gli che nascono sono quelli degli immigrati e che solo l’1,4% della ric-chezza nazionale è destinato alle famiglie. L’Italia non fa più fi gli. Il rimedio? Sono anche gli asili nido, ancora troppo pochi, l’aumento del part time e dei congedi parentali condivisi e pa-gati più di oggi. Altrove funziona, perché non in Italia?

LA GIOIA DELLA FESTA

Il lavoro, però, non deve invadere tutto lo spa-zio familiare. Ecco quindi la festa. La festa come espressione di gratuità. Gratuità della vita in famiglia, dello stare insieme per godere del dono della vita e dell’amore e per “uma-nizzare il tempo”. Ogni festa è caratterizzata dalla gioia condivisa. Da soli non si fa festa. Né c’è festa se si è tristi. E per il credente un di più: la festa è sempre un momento di comunione.

Sempre secondo lo stile della famiglia di Na-zaret, in cui piccoli – ma anche i grandi – cre-scevano e si fortifi cavano “in sapienza e grazia di Dio” (Luca 22,40).

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Il nostro amico

Wow!

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Dalla pagina di Facebook di Gianni, papà di Samuele e Annalisa

“C“C arissimi Annalisa e Samuele, ap-profi tto della calma della notte per scrivervi quello che domani vi dirò

quando ci incontreremo noi quattro, assieme a mamma. Voglio dirvelo tramite Facebook affi n-ché tutti i nostri amici e amiche – e sono tantis-simi – sappiano il regalo che il Signore ha fatto alla nostra famiglia con la vostra Cresima e Pri-ma Comunione. In quanto papà, mi sento orgo-glioso di avere due ragazzi come voi. E adesso vi spiego il perché.

Voi sapete benissimo che la nostra è una fami-glia un po’ “speciale”, come dite sempre voi. Speciale perché ha fatto delle scelte molto di-verse da quelle di molte altre famiglie. A volte scelte non facili e sofferte; spesso condivise con entusiasmo da noi quattro ma anche non capite o apprezzate da parenti e amici. Sempre, co-munque, portate avanti in piena libertà, all’inter-no della nostra famiglia dove vige il patto di par-lare, parlare e ancora parlare tra noi, nell’ascolto

e rispetto delle opinioni di ciascuno.

IL PANE DI TUTTI

Così è stato per la tua Prima Comunio-ne, caro Samuele. Per il tuo primo in-contro con Gesù, decisione unanime in famiglia: prima la comunione e poi gran-de festa per tutti! Niente regali di moda né pranzi al ristorante: la voglia di stare insieme con chi ti vuole bene in un gior-no speciale è stato l’unico regalo che tu avevi chiesto! Da questo gesto di affetto e amicizia è scaturito, sempre per tua spontanea iniziativa, il voler condividere un segno di solidarietà con coloro che

Piccoli “zabbalin” del Cairo

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Gesù

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in altre parti del mondo stanno vivendo situazio-ni di grande diffi coltà. Il pane spezzato della tua “eucarestia” è diventato libri e strumenti sco-lastici per i piccoli “zabbalin” del Cairo, i piccoli raccoglitori d’immondizia che sognano di anda-re anche a scuola e non solo di lavorare.Tu hai ricevuto un dono grandissimo nel corpo di Gesù, che a sua volta ti ha trasformato in un “dono” per noi di casa e per gli altri. Lo abbiamo capito tutti da come sei cambiato – in meglio, è ovvio… – e dal tuo impegno nello studio, nel metterti a servizio nei lavori di casa, nelle rela-zioni con amici, parenti, vicini, e con tutte le per-sone che ti incontrano. La Prima Comunione, per te, più che una bella cerimonia da ricordare con video o foto, è stata la prima tappa di un’av-ventura meravigliosa tutta da scoprire e da vi-vere. Anche per te il bello comincia adesso!

LA LUCE DELLA FEDE

Confesso, Annalisa, che hai avuto ragione tu! Io non ero d’accordo con la tua decisione di “fare” la Cresima a 19 anni. Ma adesso vedo che è stata la scelta più giusta. Se, come dice il don, la cre-sima è il sacramento della maturità della fede,

“perché riceverla a 12 o 13 anni?“ mi chiedevi, sfi dandomi, cinque anni fa. Ti abbiamo accom-pagnato con grande rispetto e libertà nel tuo pe-riodo “così così” dell’adolescenza. A mamma e a me hai fatto capire quanto ci tenevi alla tua libertà nel fare nuove esperienze di vita; anche quando noi eravamo apertamente contrari a certe tue idee, modi di fare e scelte con-crete, ti siamo stati vicini con tanto affetto e serenità. Alle tue provocazioni abbiamo sempre risposto con la calma di chi spe-rava che lo Spirito del Signore ti illu-minasse il cuore.E quando hai deciso tu di es-sere “pronta” a fare il grande passo, hai preso il volo da sola, forte dell’amore di Dio e quella della tua famiglia, vera scuola di vita dove si può imparare cosa signi-fi ca seguire Gesù e il suo Vangelo oggi.

Gruppo di preparazione alla Prima Comunione in Togo

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Festa allo stadio per i “cresimandi” della Diocesi di Milano

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Chasqui

Quando arrivai qui nella missione

di Kalongo, nel nord dell’Uganda,

avevo appena 33 anni. Avevo scelto io

quella vita e quella missione, perché come sa-

cerdote missionario e medico ero convinto che

il modo migliore per realizzarmi come perso-

na fosse quello di mettermi a completo servi-

zio dei più poveri. E chi erano i più poveri e

bisognosi, se non questi fratelli africani che vi-

vevano in una delle zone più abbandonate del

mondo? Senza questa “chiamata” missionaria,

di sicuro me ne sarei rimasto in Italia, magari

a lavorare nell’azienda di famiglia, famosa in

tutto il mondo per le sue ottime caramelle al

miele.Mi buttai a capofi tto nel lavoro missionario, con

il preciso obiettivo di trasformare un malanda-

to dispensario sanitario in un moderno ospeda-

le dotato di 345 posti letto, in grado di garantire

assistenza sanitaria qualifi cata e dignitosa alla

popolazione, soprattutto alle persone più deboli

come erano le donne, i bambini e i malati di lebbra.

Per loro dovetti “adattarmi” a fare di tutto: il chirurgo,

l’ostetrico, il radiologo, il pediatra. Alternavo il lavoro

di medico a quello di manovale, per seguire la costru-

zione dei padiglioni dei vari reparti. Curavo i malati nel

corpo, soprattutto i bimbi denutriti e le loro mamme, i leb-

brosi e i portatori di handicap; ma guarivo le ferite dell’ani-

ma, attraverso la testimonianza dell’amore di Cristo che non

esclude né discrimina nessuno.

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Il medico della carità

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Dio è amore, c’è un prossimo che

soffre e io sono il suo servitore

Non importa se non riuscirò a convertire quelli

che sono lontani da Gesù. Resterà però sempre nell’animo

loro una traccia, una breccia fatta dall’amore, non quello mio,

umano, ma quello di Gesù che ha infi ammato il mio cuore. Devo

vivere la carità di Cristo in ogni momento, in ogni ambiente in cui

mi trovo

Andando all’ospedale la gente avvicinava padre Giuseppe per dir-

gli qualcosa. Egli si fermava e ascoltava con pazienza, nonostante gli

impegni di lavoro. Questa di sapere ascoltare gli altri è una dote nella

quale noi, normalmente, non brilliamo. (dott.ssa Dorina, suora combo-

niana)

Ambrosoli durante quel periodo è sempre stato a disposizione di

tutti. Era diverso da noi. Aveva una marcia in più, morale e materia-

le, che certamente gli veniva dalla sua permanente serenità. Il

suo comportamento verso il prossimo mi ha confermato che i

santi esistono ancora ai nostri giorni

(dott. Luciano Giornazzi, deportato e compagno di pa-

dre Giuseppe Ambrosoli in un campo di addestra-

mento tedesco nel 1944)

Questa è stata la mia vita spesa per gli altri.

Così fi no a quel fatidico 13 febbraio 1987,

quando ricevemmo l’ordine dalle autori-

tà militari di abbandonare l’ospedale

di Kalongo entro 24 ore. Il Paese era

sconvolto da una terribile guerra ci-

vile che non risparmiava niente e

nessuno, nemmeno chi come noi

aveva servito i poveri e i malati

per più di 30 anni. Quando la

notte del 13 febbraio, a bordo

del convoglio di 34 camion

che portava in salvo 1500

persone tra ammalati, in-

fermiere, missionari e civili,

vedevo alle mie spalle le co-

lonne di fumo dell’ospedale

in fi amme, pensai che stava-

no andando in fumo 30 anni di

sacrifi ci e lavoro.

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Padre Giuseppe Ambrosoli è morto nella missione com-boniana di Lira il 27 marzo 1987. Pochi istanti prima di

morire ha pronunciato per l’ennesima volta quella frase

che amava ripetere nei momenti più diffi cili della sua vita: “Ciò che Dio vuole non è mai troppo”. Dal 1994 pa-dre Giuseppe riposa in terra africa-na, nel suo ospedale di Kalongo, uno dei migliori centri sanitari di tutta l’Uganda.Dopo la sua morte, nel 1999, è stata avviata la causa di beatifi cazione, che è tuttora in corso, segno dell’amore sconfi nato di questo medico missio-nario che ha saputo donarsi senza riserve agli altri. Un dono della pro-pria vita fatto con intelligenza e liber-tà, dando spazio alla responsabilità degli africani affi nché diventassero i protagonisti della loro rinascita umana e cristiana. Un esempio di come oggi, an-che nel fare il bene, sia necessario essere preparati e saper dare ai poveri ciò di cui hanno veramente bisogno. L’amore e la ca-rità non si improvvisano.

Parlane con ...PADOVA

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Danila: [email protected]

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Zoom a cura di Antonio Romero

AA rrivarono in migliaia a Ro-sarno, paese in provincia di Reggio Calabria, tra il 2008

e il 2010. Erano soprattutto migranti africani, in cerca di un lavoro e di una vita migliore. Tra questi Ibrahim, della Costa d’Avorio, arrivato nel sud d’Ita-lia dopo aver attraversato il Sahara dal Mali alla Libia, e il tratto di mare del canale di Sicilia. A Rosarno il lavo-ro si chiama “raccolta delle arance”; il padrone si chiama ’Ndrangheta e i suoi caporali; la casa è un ghetto di baracche abbandonate fuori paese, senza acqua né luce. Il presente e il futuro di Ibrahim sono condizioni di vita “inaccettabili da qualunque esse-re umano”, razzismo e sfruttamento sul lavoro, pagato 20 euro al giorno.

“FANTASTICA” ARANCIATA

In Calabria è il primo anello della ca-tena aranceti-arance-multinazionale-aranciata-consumatore. Una catena

che, secondo quanto denuncia la Coldiretti, “spreme agricoltori e lavoratori e inganna i consu-matori”. I piccoli produttori di agrumi vendono le arance da succo ai commercianti, a 7-8 centesimi al chilo (15 centesimi sarebbero un prezzo “equo”). I commercianti vendono alle in-dustrie che a loro volta produ-cono il concentrato e lo riven-dono alle grandi multinazionali come la Coca Cola, detentrice del marchio Fanta. Le bibi-

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44 Rosarno (RC). Manifestazione a sostegno dei lavoratori immigrati

Un’aranciata

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Storie di arance e "agrumetti"

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Mag 2012Mag 20

te prodotte con le arance calabresi contengono, in genere, solo il 12% di vero succo d’arancia; la restante per-centuale è composta da concentrati importati dal Brasile ma indicati come “made in Italy” sulle etichette.In questo stato di cose c’è chi perde e chi ci guadagna. Perdono i piccoli agricoltori di agrumi, che preferisco-no lasciar marcire sui rami la frutta piuttosto che raccoglierla in perdita; i lavoratori sottopagati, costretti a vi-vere per mesi in condizioni disumane; i consumatori che a loro insaputa be-vono aranciate contenenti solo il 12% di succo d’arancia. Grandi business, invece, per i clan della ’Ndrangheta che ricattano produttori, lavoratori e commercianti, imponendo una per-centuale sui guadagni di chi produ-ce e lavora; buoni affari per le grandi aziende multinazionali (vedi box) che vendono a caro prezzo bevande pro-dotte a basso costo.

IL CORNETTO SOLIDALE

Si chiama Agrumetto (no, no è un errore…) ed è il cornetto “antisfrut-tamento”, la prima brioche farcita con le arance calabresi, per tute-lare i coltivatori di Rosarno. È frut-to di anni di lotta e di coraggio nel produrre e vendere arance “nel ri-spetto dei lavoratori e della qualità del prodotto fi nale”. Un dolce per la colazione, creato esclusivamente con la marmellata delle arance locali, allo scopo di informare l’opinione pubblica su quanto sta accadendo nel settore della produzione di agrumi in Calabria, e di convincere il governo a cambiare la legge per innalzare la percentuale di vero succo d’aran-cia per ogni litro di aranciata (vedi box 2). Un semplice cor-netto per rendere meno pesante e un po’ più dolce la vita (non certo l’aranciata che non può comprare…) di Ibrahim e dei suoi amici.

IL MONDO DI COCA COLA

“Coca-Cola Company” è il primo produttore al mondo di be-

vande. Solo i suoi marchi (500 in tutto il mondo) valgono oltre

15 miliardi di dollari. Ogni giorno le bibite del gruppo (caffè, tè,

Soft drinks, Energy drinks, Sport drinks, succhi, acqua) sono servite

al ritmo di 1 miliardo e 700 milioni di consumazioni.

Lattina di Fanta per il mercato arabo

PICCOLO AUMENTO, GRANDI VANTAGGI

Sono 870mila le tonnellate di arance rac-colte ogni anno in Calabria. Ogni punto percentuale in più oltre il 12%, darebbe un aumento di produzione annua di 25 milioni di chili di arance. Più produzione e quindi più lavoro per tutti, anche con le arance a 15 centesimi di euro al chilo, e con meno passaggi nella fi liera produt-tiva dall’agrumeto al consuma-tore.

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Spazzascienza a cura di Beniamino DaneseDanesse

AA lessandria d’Egitto, primo secolo. È una delle più importanti città dell’impero romano. Un grande faro si erge oltre i 130 metri d’altezza all’ingresso del porto, visibile a quasi 50 chilometri di distanza. Un altro

grande “faro” di questa capitale multietnica è la Biblioteca. Vi lavorano molti studiosi in diverse materie. Secoli dopo, il faro sarà distrutto da un terremoto e la biblioteca da un incendio. Molte opere andarono perdute nell’incendio, ma quelle ricopiate e distribuite sono giunte fi no a noi.Nella famosa biblioteca lavora Erone. È un matematico (a scuola ancora oggi si usa la sua formula per trovare l’area di un triangolo) e inventore. Tra le sue in-venzioni ci sono le cose più disparate: siringhe, ruote a vento che muovevano pompe o facevano suonare sirene, tasti con il martelletto per gli strumenti mu-sicali. Un congegno particolare da lui inventato era la Eolipila (traducibile come “sfera di Eolo”, il dio dei venti) mossa dalla forza del vapore.Anche noi possiamo costruire alcuni congegni mossi dalla forza del vapore, che dopotutto soffi a con tanta potenza da poter essere considerato il re dei venti. Quando l’acqua viene fatta bollire e trasformata in vapore, infatti, essa aumenta il proprio volume di circa mille volte.

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La turbina

La caldaia

Attenzione!

In primo luogo, attenzione! Per quanto in picco-le quantità, usiamo il fuoco, e dobbiamo stare attenti a non provocare l’Incendio della Bibliote-ca Parte Seconda e non provocare incendi né in cucina né in giardino. Si usano anche uno spillo e una siringa. Sarà bene essere molto attenti e responsabili, e farsi aiutare dai genitori.

ALL’OPERA!

Materiale: Ci serve una lattina (sarà la nostra caldaia); uno spillone; una siringa; fi lo di ferro; alcune scatolette usate dove accendere il fuo-co. Gessetti, un po’ d’alcol, fi ammiferi, una can-nuccia, un ritaglio di contenitore d’alluminio.La caldaia: Anziché aprire normalmente la latti-na, dobbiamo forarla con uno spillo, e svuotar-la a poco a poco aiutandoci con la siringa. Una volta fatto ciò, possiamo mettere un po’ d’acqua dentro la lattina. Dobbiamo poi costruire, col fi lo di ferro, dei sostegni per la lattina, in modo che sia possibile accendere il fuoco sotto.

Il fuoco: Mettiamo alcuni gessetti in una piccola scatoletta o, meglio ancora, in uno di quei reci-pienti d’alluminio delle candeline. Poi versiamo-ci dentro un po’ d’alcol. I gessetti sono porosi e si imbevono d’alcol, per poi rilasciarlo a poco a poco una volta che lo accendiamo – a distanza – coi fi ammiferi. Posto sotto la lattina (che presto scotterà), farà bollire l’acqua nella caldaia e dal foro che abbiamo fatto uscirà un getto di vapore.

La turbina: Bisogna ritagliare la turbina dal contenitore d’alluminio, secondo la forma che risulta migliore. Si infi lza con lo spillo in modo che possa ruotare, e si attacca alla cannuccia come soste-gno. Si può avvicinare al getto di vapo-re che esce dalla caldaia. Il getto non è pericoloso perché si mescola subito con l’aria fredda circostante. Per que-sto motivo, a tratti, lo si vede conden-sare in una specie di nuvola o uscire in forma “invisibile”. Extra: Se la lattina-caldaia viene posta su una barchetta, il getto di vapore la farà muovere dalla parte opposta. L’eo-lipila di Erone era una specie di lattina sospesa, dove i getti che uscivano dai lati, la facevano ruotare su sé stessa.