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a.a. 2011-2012 Corso di Storia moderna Modulo 2 Re e regalità nell’età moderna

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a.a. 2011-2012

Corso di Storia moderna Modulo 2

Re e regalità

nell’età moderna

La regalità nel XVII secolo fra delega e concentrazione del potere

6

Un re burocrate seconda metà XVI secolo

Filippo II Asburgo

re di Spagna

ritratto da Alonso Sanchez Coello, 1557

Filippo interpreta la regalità

Filippo II fu un re stanziale per convinzione. Pose la sua corte al centro della Monarchia [Madrid, Escorial] e di lì non si mosse, né per viaggiare, né per andare in guerra.

Il rapporto con i suoi domini fu mediato dalle carte di governo. Egli si pose al centro di un lento flusso di informazioni, ricevute e elaborate dai suoi Consigli, poi filtrate dalle juntas. Volle sempre firmare gli atti di governo di proprio pugno.

Nell’epistolario di Filippo esistono molte testimonianze della sua ossessione per le “carte”.

Lettera firmata da Filippo II, 1557

Il re e le carte

“Fino ad ora non sono stato in grado di farla finita con questi diavoli che sono le mie carte, ma ora ne prendo alcune con me per leggerle all’aperto in campagna, dove ora mi sto dirigendo”. [in G. Parker, Un solo re, un solo impero. Filippo II di Spagna, Il Mulino, 1978, p. 46]

Critiche (riferite dall’elemosiniere del re): “Iddio non ha dato ai re l’autorità sugli altri perché si possano ritirare nel loro gabinetto a leggere o a scrivere e neppure a meditare o a recitare il rosario”

[ivi, p. 50]

Il centro della ragnatela

“L’andar in volta per li Regni per solo diporto non è utile né decente, e per visitarli e provvederli da loro bisogni, non è necessario al principe” - Filippo al figlio, 1598

“Il duca non deve essere presente di persona e non deve stare

neanche nelle vicinanze, soprattutto per ragioni di prestigio. Se l’impresa avrà esito favorevole, il suo prestigio crescerà sia che egli sia presente sia che non lo sia e forse sarà rispettato anche di più se si terrà lontano; ma se l’impresa fallisce l’obbiettivo (come può accadere perché queste cose sono nelle mani di Dio e non in quelle umane) egli perderà molto più prestigio se avrà partecipato di persona” - Filippo al duca di Savoia suo genero, 1586

[in G. Parker, Un solo re, un solo impero. Filippo II di Spagna, Il Mulino, 1978, p. 39]

“L’ombra del re” prima metà XVII secolo

Un nuovo modo di essere ministro

“Dopo l’anno 1625 [la direzione degli affari] fu assunta dal cardinale di Richelieu e col progresso del tempo se gli è assoggettata in modo che ora vedesi comandare come re piuttosto che operare come ministro; altro di ministro non tenendo che il nome ed altro che il nome appunto non mancandogli per essere re, fatto egli solo il direttore della guerra e della pace, il distributore delle finanze, il dispensatore delle cariche della corona e delle dignità ecclesiastiche”.

[Ambasciatore veneto a Parigi Angelo Correr,

cit. in F. Benigno, L’ombra del re, Marsilio, Venezia 1992, p. X]

Richelieu 1637

ritratto di Philippe de Champaigne

Re e validos

A differenza di Filippo II, i suoi successori II delegano l’esercizio del potere a un proprio fiduciario, che funziona come ministro, ma anche come alter ego del re, sostituendolo nelle attribuzioni istituzionali e amministrando la corte e le reti di relazione:

Francisco Gomez Sandoval, duca di Lerma [Filippo III, 1598-1621] Gaspar de Guzman, conte-duca di Olivares [Filippo IV, 1621-1665]

Una scelta simile fanno i monarchi coevi Inghilterra e di Francia: George Villiers, duca di Buckingham [Giacomo I] Armand-Jean Duplessis, cardinale e duca di Richelieu [Luigi XIII] Giulio Raimondo Mazzarino, cardinale [Luigi XIV]

[vedi F. Benigno, L’ombra del re, Marsilio, Venezia 1992]

Olivares ritratto da Diego Velasquez

(1634-35)

[riproduzione di Erzalibillas; cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/File:Vel%C3

%A1zquez_-_Conde_Duque_de_Olivares_(Museo_d

el_Prado,_1634-35).jpg]

Buckingham 1625

ritratto da Rubens

Il re e l’ombra / 1

La storiografia ha individuato varie e contrastanti ragioni della diffusione del “valimiento” o “ministériat” presso le monarchie europee nella prima metà del XVII secolo [cfr. Benigno, Introduzione]:

- la debolezza dei monarchi, per età, disinteresse, incapacità, estraneità

- la recuperata forza delle aristocrazie

- la complessità della funzione regia, che richiede una sorta di ‘divisione dei lavori’, fra impegni cerimoniali e amministrativi

- la necessità di centralizzare la gestione del patronage regio per ottimizzarne gli effetti, senza coinvolgere direttamente il monarca nella complicata distribuzione delle prebende.

Il re e l’ombra / 2

In una prospettiva simbolica e istituzionale ci troviamo di fronte a un altro dualismo: non due corpi nel re, ma un principio monarchico che si incarna in due persone, il re e il suo alter ego.

L’esistenza dell’alter ego permette al re di sgravarsi della responsabilità dei suoi atti: nella prima metà del XVII secolo il re compie un primo passo in questa direzione. L’IRRESPONSABILITA’ è necessaria per la tutela della monarchia, man mano che la sovranità si rafforza e diventa più incisiva.

Nelle costituzioni moderne, compiutasi l’esperienza traumatica del regicidio, il re diventa un soggetto politicamente e giuridicamente irresponsabile, per assicurare la sussistenza della monarchia. Poiché egli non è più ‘giustiziabile’, la sua inviolabilità personale è garantita insieme all’intangibilità dell’istituzione.

Il re come un sole.

“Lo Stato sono io” Francia, seconda metà XVII secolo

10 marzo 1661

«Ce même jour au matin [9 marzo 1661], le Roi, après avoir appris la mort du cardinal, avoit été enfermé deux heures, pour travailler lui seul au réglement de sa vie et de ses affaires. Il voulut ensuite faire part de ses resolutions aux grands du royaume; et quand il fut arrive à Paris, il ordonna que tous le lendemain se trouvassent au Louvre chez la Reine sa mere à quatre heures. Ce jour-là […], les officiers de la couronne et les ministres étent assembles, le Roi leur dit que Dieu lui avoit ôté un minister qui avoit pris le soin de ses affaires dans les temps de sa jeunesse; qu’il s’en étoit si bien trouvé qu’il avoit souhaité qu’il eût plu de lui conserver plus long-temps; mais puisque sa volonté avoit été de l’en priver, qu’il vouloit à l’avenir gouverner lui-même son royaume; […] que […] il ne vouloit point de premier minister; qu’il se serviroit de ceux qui avoient des charges pour agir sous lui selon leurs fonctions, et que s’il arrivoit qu’il eût besoin de leur conseil, il le leur demanderoit; puis il les congédia».

Mémoires de Madame de Motteville, cit. in G. Ruocco, Lo Stato sono io, il

Mulino, Bologna 2002, p. 7

Non ombra ma sole

Luigi XIV sceglie una strada diversa: nel 1661, subito dopo la morte di Mazzarino, abbandona il ministeriat e rinuncia a una delega completa e stabile del potere, per concentrarlo in sé.

Egli crea attorno a sé un sistema efficiente di rappresentazione e di irradiazione del potere, che non tollera poli concorrenti a nessun livello, almeno sul piano simbolico. Il sistema dà a ogni elemento un posto e una funzione.

Luigi XIV

1638 Nasce da Luigi XIII e Anna d’Austria

1643 diviene RE

1643-51 è minore → reggenza di Anna d’Austria

1661 10 marzo: dopo la morte del cardinale primo ministro Mazzarino dichiara di voler regnare senza primo ministro

1715 muore.

Luigi XIV (1643-1715)

Hyacinthe Rigaud,

Ritratto di Luigi XIV

1701

Museo del Louvre, Parigi

Regalità secondo Luigi XIV «La principale speranza di quelle riforme stava nella mia volontà, il

loro fondamento era rendere la mia volontà assoluta, con una condotta che imponesse la sottomissione e il rispetto: rendendo scrupolosamente giustizia a chi la dovevo; ma quanto alle grazie, concedendole liberamente e senza impedimenti a chi mi piacesse e quando mi piacesse, purché l’insieme delle mie azioni dimostrasse che, pur non rendendo conto a nessuno, mi facevo nondimeno guidare dalla ragione e che, nel mio pensiero, il ricordo dei servigi, il favorire ed elevare il merito, in una parola far del bene, non doveva soltanto essere la principale occupazione, ma anche il più gran diletto di un principe …

«Quanto alle persone che dovevano assecondare il mio lavoro, decisi innanzitutto che non avrei mai avuto un primo ministro; e se vorrete darmi ascolto, figlio mio, e dopo di voi tutti i vostri successori, questa carica sarà sempre abolita in Francia, nulla essendo più indegno che il vedere da una parte tutti i poteri e dall’altra il mero titolo di re».

[da Memorie di Luigi XIV, scritte 1670 circa; trad. it. a cura di G. Pasquinelli, Milano 1988]

Il punto di vista del duca di Saint-Simon: la corte di Luigi XIV

1.

«La gloria era la sua passione, ma egli amava anche l’ordine e la regolarità; era per natura prudente, moderato e riservato; sempre padrone della propria lingua e delle proprie emozioni ...

«I ministri, i generali, le favorite e i cortigiani scoprirono ben presto il suo punto debole nella smania di lodi. Non c’era nulla che egli amasse più dell’adulazione: più essa era smaccata e goffa, più egli l’apprezzava

«Nei primi anni del suo regno la Corte fu rimossa da Parigi, per non esservi riportata più. Le preoccupazioni dell’infanzia l’avevano resa odiosa al re. La fuga clandestina a cui egli era stato costretto era ben viva nella sua memoria. Non vi si sentiva sicuro e riteneva che le cabale sarebbero state meglio svelate in una residenza di campagna … Senza dubbio fu spinto dall’idea che la meraviglia e la venerazione nei suoi confronti si sarebbero accresciute se si fosse sottratto allo sguardo quotidiano della moltitudine … La Corte fu definitivamente trasferita a Versailles nel 1682..

«Il nuovo edificio conteneva un numero infinito di camere per i cortigiani e il re desiderava che il potervi risiedere fosse considerato un grande privilegio».

Tradotto da The Memoirs of the Duke de Saint-Simon, ed. F. Arkwright

La corte di Luigi XIV

2.

«Approfittava dei frequenti festeggiamenti a Versailles e delle escursioni in altri luoghi per rendere i cortigiani più assidui e desiderosi di compiacerlo; indicava in anticipo i nomi dei prescelti a partecipare, gratificando così alcuni e svalutando altri. Sapeva che i favori sostanziali ch’era in suo potere elargire sarebbero stati insufficienti a produrre un effetto continuo; ne inventò pertanto di immaginari, e nessuno si mostrò mai così furbo nell’escogitare ridicole distinzioni e preferenze capaci di suscitare tanta gelosia ed emulazione …

«Non si aspettava che tutte le persone distinte lo assistessero costantemente a corte, ma notava subito l’assenza di quelli ch’erano di grado inferiore …

«Amava lo splendore, la magnificenza e la profusione in tutto e incoraggiava un gusto simile nei suoi cortigiani … Rendendo gli abiti lussuosi una moda e, per le persone di alta condizione, una necessità, obbligò i suoi cortigiani a vivere sopra le loro possibilità e gradualmente li ridusse a dipendere dalla sua generosità. Fu un’epidemia che, una volta introdotta, dilagò per tutto il regno, perché non impiegò molto a infettare Parigi e da lì gli eserciti e le province; cosicché un uomo di qualsiasi posizione era ora stimato esclusivamente in base a quanto spendeva per la tavola e per altri lussi. Questa follia, alimentata dall’orgoglio e dall’ostentazione ha già prodotto molta confusione e minaccia di generare nientemeno che rovina e disordine».

Tradotto da The Memoirs of the Duke de Saint-Simon, ed. F. Arkwright

La corte di Luigi XIV secondo Voltaire

«Tutto dava alla corte di Luigi XIV un’aria grandiosa che faceva scomparire le altre corti d’Europa. Egli voleva che lo sfarzo, ch’era un attributo della sua persona, ridondasse su tutto ciò che lo circondava, che tutti i grandi fossero onorati, ma che non uno fosse potente, cominciando da suo fratello e da Monsieur le Prince …

«Aveva creato delle casacche azzurre, ricamate d’oro e d’argento, come uniforme distinta dei principali cortigiani, e il permesso di indossarle era una gran grazia per uomini dominati dalla vanità. Veniva richiesto quasi come la decorazione del gran collare …

«Egli riordinò la sua casa in un modo che vige tuttora, regolandone le cariche e le funzioni, e creando nuovi uffici addetti alla sua persona»

Voltaire, Il secolo di Luigi XIV, 1752 (trad. it. Torino, Einaudi, 1994; p. 290-291)

La corte di Luigi XIV

«La nobiltà, e li principali del regno, estenuati dai grandi dispendi che obbliga la Corte, sono costretti a sostenere il lustro delle loro case con i favori della regia beneficenza, che assicurano con assidua ed esatta servitù, aderendo intieramente al reale servizio …

«La gloria, che nei loro cuori è il maggior stimolo, gl’incoraggisce a consumare egualmente con sontuosi equipaggi le sostanze nel testimonio pomposo delle loro cariche militari, e ad esporre ai cimenti più pericolosi la vita, ogni arduo tentativo venendo con tal mezzo in vantaggio della corona a riuscire …

«Le case che altre volte causarono sconcerti e confusioni alla Corte, si attrovano ormai quasi tutte estinte e depresse … Ogni altra in fine trovasi rimessa e rassegnata a regi beneplaciti, senza mezzi e senza ardimento di contrastarli, irremissibile essendo il castigo ad ogni trascorso, ed aperta la battaglia per reprimere i più contumaci, che ardissero ricalcitrare alla real volontà»

Ambasciatore veneto a Parigi Domenico Contarini (da C. Capra, Corso di storia, II, Le Monnier, 1992)

Elias: il “meccanismo di corte”

“Non esisteva la possibilità di una modificazione nell’ordine gerarchico che non si esprimesse anche come modificazione dell’etichetta; viceversa la minima variazione nella posizione dei vari personaggi nell’etichetta comportava una variazione nell’ordine gerarchico della corte e della sua società. Per questo, dunque, ciascuno era sensibilissimo alla minima variazione e sorvegliava con cura le più piccole sfumature affinché la situazione di equilibrio gerarchico rimanesse intatta, a meno che non cercasse di modificarla a proprio favore. Insomma questa STRUTTURA DI CORTE, COME UNO STRANO PERPETUUM MOBILE si muoveva in circolo, mossa dalla necessità e dalle tensioni relative al prestigio, e che essa riproduceva di continuo attraverso il MECCANISMO DELLA COMPETIZIONE”.

N. Elias, La società di corte, Il Mulino, p. 103

Il cerimoniale di Corte

Luigi XIV, Memorie (II, 15):

«Si ingannano assai quanti ritengono che si tratti soltanto di problemi del cerimoniale. I popoli sui quali noi regnamo, non potendo penetrare il fondo delle cose, sono soliti orientare il loro giudizio su quanto vedono in superficie, e il più delle volte misurano il loro rispetto in base alle precedenze e al rango. Ma così come per il popolo è importante essere governato da una sola persona, altrettanto importante è che colui che assolve tale funzione sia a tal punto innalzato al di sopra di tutti gli altri, che nessun altro possa essere confuso o confrontato con lui; e non si può togliere al suo capo il minimo segno di quella superiorità che lo differenzia dalle membra, senza far torto a tutto il corpo dello Stato».

Il re, la corte, il regno

Luigi XIV porta a perfezione quella che Jurgen Habermas definisce la

SFERA PUBBLICA RAPPRESENTATIVA

Jürgen Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica, ed. or. tedesca Neuwied 1961 [trad. it. Laterza, 1984]

Il rilancio della dottrina del diritto divino XVII secolo

Stati Generali 1614

Cahier général del Terzo Stato: “Il Re sarà supplicato di far decretare nell’Assemblea degli

Stati generali come legge fondamentale del Regno, che sia inviolabile e notorio a tutti, che come egli è riconosciuto sovrano nel suo Stato, non derivando la sua corona che da Dio soltanto, non vi è potenza in terra, sia spirituale che temporale, che abbia alcun diritto nel suo regno di privare le persone sacre dei nostri Sovrani, né di dispensare o assolvere i sudditi dalla fedeltà e obbedienza che gli sono dovuti, per qualsiasi causa o pretesto. Tutti i sudditi, di qualsiasi qualità e condizione siano, si atterranno a questa legge come santa e vera, come conforme alla parola di Dio, senza distinzione o limitazione alcuna; e che sarà firmata e giurata da tutti i deputati degli Stati, e, in seguito da tutti i beneficiari e ufficiali del Regno”

(F.S. Romano, Le origini dell'assolutismo moderno, Udine 1979, p. 22)

Monarchia sacra medievale e monarchia di diritto divino ‘moderna’

Non si tratta della stessa idea medievale dell’origine divina e del carattere sacrale del potere del re.

La dottrina del XVII esclude la mediazione della Chiesa. E’ una teoria finalizzata a enfatizzare il potere regio, dando all’assolutismo

regio una legittimazione religiosa, nell’investitura diretta del re da parte di Dio.

Essa è stata sviluppata da Giacomo VI Stuart, re di Scozia, poi d’Inghilterra

(The True Law of Free Monarchies, 1598) e poi dal filosofo Robert Filmer (Patriarcha, scritto prima del 1653, pubblicato postumo 1680)

Il teorico più importante è stato il prelato francese Jacques Bénigne

Bossuet, precettore del re Luigi XIV.

Jacques Bénigne Bossuet, La politica tratta dalla Sacra Scrittura (1679), 1709

“Considerate il principe nella sua reggia. Di là partono gli ordini che fanno andare di concerto i magistrati ed i capitani, i cittadini ed i soldati, le province e le armate di mare e di terra. E’ l’immagine stessa di Dio che, assiso sul suo trono nel più alto dei cieli, regola il funzionamento di tutta la natura … E infine riunite insieme tutto quello che, di così grande ed augusto, abbiamo detto sull’autorità regale. Guardate un popolo immenso riunito in una sola persona, guardate questa potenza sacra, paterna ed assoluta; considerate la ragione segreta che governa tutto il corpo dello Stato, racchiusa in un solo capo: vedrete nei re l’immagine di Dio, ed avrete l’immagine della maestà regia”.

Bibliografia citata

G. Parker, Un solo re, un solo impero. Filippo II di Spagna, Il Mulino, 1978

F. Benigno, L’ombra del re, Marsilio, Venezia 1992

G. Ruocco, Lo Stato sono io, il Mulino, Bologna 2002

N. Elias, La società di corte, il Mulino, Bologna

Voltaire, Il secolo di Luigi XIV, Einaudi, Torino 1994

J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica, Laterza, 1984

F.S. Romano, Le origini dell'assolutismo moderno, Udine 1979

C. Capra, Corso di storia, II, Le Monnier, 1992

J.-J. Chevallier, Le grandi opere del pensiero politico, il Mulino, Bologna 1968