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Rapporto sulla previdenza complementare e sulle casse previdenziali 2015 BAFFI CAREFIN Centre for Applied Research on International Markets, Banking, Finance and Regulation Università Commerciale Luigi Bocconi in collaborazione con

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Rapporto sulla previdenza complementare e sulle casse previdenziali2015

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PrefazioneNegli ultimi tempi l’interesse per la struttura e il funzionamento del sistema di previdenza complementare e della casse professionali è notevolmente aumen-tato. Da un lato, trascorsi ormai numerosi anni dalla sua istituzione, il secondo pilastro previdenziale è giunto ad una relativa fase di maturità con un numero crescente di iscritti che hanno maturato i requisiti per la prestazione e emergo-no spunti di riflessione sulle opportunità di intervenire o favorire cambiamenti strutturali per aumentare l’efficienza del comparto, accrescere un’opportuna competizione fra le forme e di coprire significative aree ancora non adeguata-mente presidiate che diventano sempre più rilevanti, ad esempio con riferimen-to alla previdenza dei dipendenti pubblici.

Dall’altro lato, il perdurante scenario di bassi tassi di interesse e il dispiegarsi della crisi finanziaria ed economica, hanno stimolato il dibattito sull’opportunità di favorire cambiamenti nella gestione finanziaria sia dei fondi pensione sia del-le casse previdenziali, per fornire adeguati rendimenti di lungo periodo anche in questi frangenti agli iscritti e per favorire nel contempo l’afflusso di risorse per finanziare le attività produttive. In questo ambito sono da segnalare nuove rego-le per la gestione finanziaria delle forme di previdenza complementare emanate con il Decreto 166/2014 che amplia le alternative possibili, ma richiede non solo consapevolezza nell’assunzione dei rischi e delle opportunità che si presenta-no, adeguate e crescenti competenze della funzione finanza, ma anche mag-giore chiarezza di applicazione delle regole affinchè la nuova disciplina possa essere concretamente applicata. Su questo tema è da tempo in discussione un provvedimento sulla gestione finanziaria delle casse previdenziali.

In questo quadro di rinnovato interesse per il sistema previdenziale la Divisione “Pension and insurance“ del Centro di ricerca Baffi Carefin dell’Università Boc-coni, che ha aggregato nel tempo il Cerap e il Pension Forum, ha promosso la pubblicazione di una serie di saggi sui temi sopra ricordati, con l’obiettivo di fornire un contributo di idee su alcuni profili rilevanti del sistema previdenziale imperniato sui fondi e sulle casse.

In questa iniziativa la Divisione “Pension and insurance” di Baffi Carefin è stata supportata da MondoInstitutional, portale di informazione finanziaria interamen-te dedicato agli investitori istituzionali, con un focus principale sul mondo della Previdenza e delle Fondazioni Bancarie, nato per colmare il vuoto di informazio-ne specializzata, tempestiva e autorevole sul mondo degli investitori istituzionali e per favorire lo scambio di informazioni e le sinergie tra Istituzioni, Investitori di elevato standing e asset manager internazionali e nazionali.

L’augurio è che il Rapporto possa contribuire ad un approfondito dibattito che migliori l’apporto del comparto previdenziale alla soddisfazione di comuni inte-ressi collettivi e degli iscritti.

Sergio PaciResponsabile Divisione “Pensions and Insurance”

Baffi Carefin, Università Bocconi

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AutoriAngelo Contrino Dipartimento di Studi Giuridici, Università Bocconi

Giampaolo Crenca Presidente Consiglio Nazionale Attuari

Marco Degrada MondoInstitutional

Vincenzo del Re Docente di diritto delle assicurazioni, Università Bocconi

Luigi Di Falco Membro Commissione Pensione Ordine Attuari

Luca Di Gialleonardo Mefop SpA

Giovanni Di Marco Membro Commissione Pensione Ordine Attuari

Cinzia Di Palo Università di Cassino e del Lazio Meridionale

Stefano Gaspari MondoInstitutional

Micaela Gelera Membro Commissione Pensione Ordine Attuari

Massimiliano Giacchè Membro Commissione Pensione Ordine Attuari

Massimo Guidolin Dipartimento di Finanza e Centro Baffi Carefin, Università Bocconi

Silvia Leonardi Membro Commissione Pensione Ordine Attuari

Valerio Magni MondoInstitutional

Mauro Marè Università della Tuscia e Mefop SpA

Sergio Paci Dipartimento di Finanza e Centro Baffi Carefin, Università Bocconi

Claudio Tebaldi Dipartimento di Finanza e Centro Baffi Carefin, Università Bocconi

Francesco Vallacqua Docente di Economia e Gestione delle Assicurazioni Vita e dei Fondi Pensione e Centro Baffi Carefin, Università Bocconi. Docente di Diritto del Lavoro II, Università C. Cattaneo Liuc

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Contenuti• Francesco Vallacqua: La previdenza complementare per il pubblico impiego: la disciplina e le prospettive di riforma

• Giampaolo Crenca, Micaela Gelera, Giovanni Di Marco, Silvia Leonardi, Massimiliano Giacchè, Luigi Di Falco:

Il ruolo dell’attuario nella previdenza

• Sergio Paci: L’offerta di rendite delle forme di previdenza complementare

• Stefano Gaspari, Marco Degrada, Valerio Magni: La fotografia dei mandati di gestione dei fondi pensione negoziali italiani

• Massimo Guidolin: Una valutazione dell’impatto di asset class alternative per i fondi pensione italiani

• Claudio Tebaldi: Asset allocation di lungo periodo nei fondi pensione: i titoli illiquidi

• Luca Di Gialleonardo, Mauro Marè: Efficienza e dimensione ottimale dei fondi pensione italiani

• Francesco Vallacqua: La disciplina sui conflitti di interesse nella previdenza complementare

• Massimo Guidolin: Il valore economico di derivati e prodotti strutturati all’interno della gestione

di portafoglio nel lungo periodo

• Cinzia Di Palo, Claudio Tebaldi: La scelte di investimento delle casse previdenziali dei liberi professionisti

• Vincenzo del Re: Enti previdenziali degli ordini professionali e appalti pubblici

• Angelo Contrino: Le recenti modifiche fiscali per i fondi e le casse previdenziali

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La previdenza complementare per il pubblico impiego: la disciplina e le prospettive di riformaFrancesco Vallacqua - Docente di Economia e Gestione delle Assicura-zioni Vita e dei Fondi Pensione e Centro Baffi Carefin, Università Boc-coni. Docente di diritto del lavoro II, Università C. Cattaneo Liuc

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La previdenza complementare per il pubblico impiego: la disciplina e le prospettive di riformaPremessaL’assetto normativo della previdenza complementare dei dipendenti pubblici è caratterizzato da una disciplina i cui elementi fondanti si ritrovano non solo nella normativa generale dei fondi pensione (D.lgs. n.124/93, 252/05), ma anche in specifici interventi di settore, a ciò vanno poi aggiunte le circolari INPDAP (oggi Inps dopo la soppressione avvenuta con la riforma Fornero del 2011) con le quali si è cercato di risolvere taluni profili problematici. L’ostacolo di ordine eco-nomico giuridico, alla partenza di tali fondi era l’assenza, nel settore pubblico della principale fonte di finanziamento presente, invece, nel settore privato: il TFR (trattamento di fine rapporto). Tale ostacolo è stato affrontato attraverso un complesso iter legislativo dal 1995 in poi. Nel pubblico impiego la previdenza complementare, nonostante le continue riforme che hanno abbattuto i livelli del-le prestazioni pensionistiche, ha stentato ad affermarsi. Questo è accaduto sia per la mancanza di risorse per l’avvio sia per l’esistenza di una serie di ostacoli di ordine giuridico ed economico, quali la gestione virtuale del TFR per i dipendenti pubblici ed il meccanismo di opzione dal TFR al TFS (trattamento di fine servizio).

Dipendenti pubblici privatizzati, non privatizzati e TFRPer comprendere le problematiche e le caratteristiche della previdenza com-plementare del pubblico occorre preventivamente fare alcune distinzioni tra cui quella tra soggetti contrattualizzati/privatizzati e non. Senza entrare nel detta-glio si può dire che per “privatizzazione” del pubblico impiego si considera il duplice profilo: • della applicazione, (salvo alcune eccezioni) delle norme di diritto che rego-

lano i rapporti di lavoro dei privati anche al rapporto dei dipendenti pubblici.In particolare essa concerne l’applicazione di quelle norme di cui al capo I, titolo II, libro V del Codice Civile (salvo eccezioni che riguardano princi-palmente la disciplina inerente l’accesso, il cambiamento di mansioni e la mobilità);

• della diretta efficacia ed applicabilità delle norme create dalla contrattazione collettiva.

In particolare a seguito della privatizzazione il rapporto di lavoro è regola-to da contratti individuali stipulati all’atto della assunzione, ma anche ogni volta che si modifica lo status giuridico, e quindi il trattamento economico dei soggetti.

La distinzione tra, soggetti privatizzati e non, è rilevante poiché ai non privatiz-zati non si applica il capo I titolo II libro V del cc., e quindi l’art. 2120 ivi contenu-to. Non trova quindi immediata applicazione la disciplina del trattamento di fine rapporto (TFR).1 Come precisato dall’INPDAP l’art. 2, comma 6, della Legge 335/95 ha demandato alla contrattazione collettiva nazionale, nell’ambito dei singoli comparti, la definizione delle modalità d’attuazione delle disposizioni relative al TFR dei pubblici dipendenti «con riferimento ai conseguenti adegua-menti della struttura retributiva e contributiva del personale interessato».

Laddove pertanto lo stato giuridico e il trattamento economico di particolari categorie di personale rimangano per legge disciplinati dai rispettivi ordina-menti e non già dalla contrattazione collettiva nazionale, le disposizioni di cui al D.P.C.M. 20/12/99 e successive modifiche non troveranno possibilità di appli-cazione fino a quando tali ordinamenti non ne prevederanno l’estensione anche a dette categorie di dipendenti. Si evidenzia inoltre che per quanto concerne in particolare il personale delle forze di polizia e delle forze armate, l’art. 26, comma 20 della Legge 23/12/1998, n. 448, ha riservato espressamente alle procedure di

1 Cfr. INPDAP, Rapporto annuale sullo stato sociale, 2002, p. 423.

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negoziazione e concertazione previste dal D.lgs. 12/5/95, n. 195, «la disciplina del trattamento di fine rapporto ai sensi dell’art. 2, commi da 5 a 8, della legge 335/95… nonché l’istituzione di forme pensionistiche complementari …».

In sintesi si ricorda che i dipendenti pubblici non contrattualizzati sono es-senzialmente: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati ed i procuratori dello Stato, il personale militare e delle forze armate di polizia, il personale della carriera diplomatica e prefettizia, i professori ed i ricerca-tori universitari, nonché i dipendenti degli Enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall’art.1 del D.lgs.del capo provvisorio dello Sta-to 17/07/1947, n. 691, e dalle Leggi n. 281/85, e n. 287/90 (personale della Borsa, Consob, ecc.). Quale che sia la data di assunzione in servizio, anche i dipendenti della Camera dei Deputati, del Senato della Repubblica nonché quelli del Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica sono non contrattualizzati. Lo stato giuridico ed il trattamento economico di tali dipen-denti sono infatti per legge disciplinati dai rispettivi ordinamenti e non già dalla contrattazione collettiva nazionale.

L’estensione del Trattamento di fine rapporto ai dipendenti pubblici con-trattualizzatiLa Legge 335/1995 ha disposto che il TFR fosse esteso gradualmente anche ai dipendenti pubblici, i quali potevano, sino all’approvazione di questa legge, avvalersi solo di istituti diversi (per esempio, l’indennità di buona uscita o di premio di servizio, il trattamento di quiescenza per i dipendenti del parastato e per gli enti di ricerca, ecc.) sinteticamente riconducibili al cosiddetto TFS (trat-tamento di fine servizio).

Per i dipendenti pubblici ai quali si applica la privatizzazione del relativo rap-porto (di cui al D.lgs.165/2001), il TFR:

• sotto il profilo economico costituisce fonte primaria di finanziamento della previdenza complementare;

• sotto il profilo giuridico consente di individuare le varie categorie di lavora-tori interessati e le modalità di accesso alla previdenza complementare. Ne costituisce quindi fonte di regolamentazione ai fini dell’accesso.

Il perché dell’estensione del TFR anche al pubblico impiego si può ricondurre, sia alla necessità di trovare idonee risorse per il finanziamento della previdenza complementare, rendendone il meno costoso possibile l’avvio, sia all’esigenza di completare il processo di armonizzazione tra pubblico e privato, sia perché il TFS mal si prestava a finanziare la previdenza complementare nella misura in cui le prestazioni da esso rappresentate erano calcolate prendendo a riferimen-to le ultime retribuzioni. Quindi, se si fosse usato il TFS sarebbe stato possibile conoscere l’effettivo ammontare da destinare alla previdenza complementare solo alla cessazione dal servizio, con la conseguente impossibilità di effettuare prelievi di risorse da versare ai fondi pensione, senza compromettere la gestio-ne degli enti previdenziali (cfr. INPDAP-CIV, «Rapporto sulla previdenza com-plementare del pubblico impiego», 2003).

Le peculiarità rispetto all’art. 2120 del Codice CivileL’estensione del TFR anche ai dipendenti pubblici è avvenuta attraverso un complesso iter normativo . Il modello delineato dal Codice Civile per la discipli-na del trattamento di fine rapporto dei dipendenti del settore privato non trova una trasposizione automatica ai dipendenti del settore pubblico. La quota da accantonare è il 6,91 per cento della retribuzione annua base di riferimento, così come per i dipendenti privati (art. 4, comma 3, accordo quadro del 29 luglio 1999; art. 1, comma 6 del D.P.C.M. del 20 dicembre 1999), tuttavia, non si applicano le disposizioni sul «Fondo di garanzia per il trattamento di fine rap-porto» data la natura solvibile del datore di lavoro.

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Nell’accantonamento annuale non saranno computate le quote destinate ai fon-di pensione (art.1, comma 6 D.P.C.M.). Anche per i dipendenti pubblici spetta una rivalutazione (75 per cento dell’inflazione più l’1,5 per cento in misura fis-sa), ma questa viene calcolata dall’ex gestione INPDAP presso l’Inps (d’ora in poi definita solo ex INPDAP) che gestisce virtualmente il TFR.2

Altra differenziazione è quella che riguarda la retribuzione utile ai fini del TFR. Infatti, (in base a quanto previsto dall’art. 4 dell’accordo quadro del 29 luglio 1999 richiamato dall’art. 1, comma 6 del D.P.C.M. del 20 dicembre 1999) il TFR per i dipendenti pubblici si applica sulle seguenti voci:• l’intero stipendio tabellare;• l’intera indennità integrativa speciale;• la retribuzione individuale di anzianità;• la tredicesima mensilità;• gli altri emolumenti considerati utili ai fini del calcolo del TFS ai sensi della

precedente normativa (per esempio, retribuzione dei dirigenti, assegno ad personam ecc.).

Ulteriori voci retributive potranno essere, però, introdotte dalla contrattazione collettiva. Tuttavia, la valutabilità di ulteriori voci è possibile solo se viene con-testualmente prevista la copertura finanziaria del complessivo onere (cioè ogni soluzione dovrà muoversi nell’ambito delle risorse disponibili).Circa le anticipazioni da TFR (acquisto prima casa, spese sanitarie ecc.) l’art. 8 comma 3 dell’accordo quadro nazionale in materia di trattamento ,di fine rap-porto e di previdenza complementare per i dipendenti pubblici del 29 luglio 1999 ha stabilito che le previsioni di cui all’art. 2120 del Codice civile non sono diretta-mente applicabili ai pubblici dipendenti, ma si rinvia alla contrattazione di com-parto la realizzazione dell’armonizzazione tra pubblico e privato in materia di an-ticipazione e sempre nel rispetto degli equilibri di bilancio della finanza pubblica.

Infine, si ricorda che (in base a quanto previsto dall’art. 1, comma 6 del D.P.C.M.) il TFR è accantonato figurativamente in un conto virtuale gestito dall’ex INPDAP presso l’Inps (o un diverso ente per i soggetti non iscritti all’ex INPDAP) e liqui-dato al lavoratore alla cessazione dal servizio.

Il trattamento di fine rapporto dei dipendenti degli enti pubblici non economici, degli enti di ricerca e sperimentazione e degli enti per il cui personale non è prevista l’iscrizione all’ex INPDAP resta a totale carico degli enti medesimi, ai quali è affidata la gestione di tali trattamenti (art. 1, comma 8 D.P.C.M. 20 di-cembre 1999). In termini di obblighi contributivi, è previsto che (art. 1, comma 7 D.P.C.M.20 dicembre 1999) le amministrazioni pubbliche continuino a versare in misura invariata, anche per il personale che abbia optato per il TFR o al quale si applica automaticamente la disciplina del TFR, la contribuzione stabilita per il finanziamento delle indennità di fine servizio. In particolare, il contributo previ-denziale a favore dell’ex INPDAP da parte delle amministrazioni pubbliche resta fissato per il personale dello Stato nella misura del 9,60 per cento dell’attuale base contributiva per l’indennità di buonuscita di cui al D.P.R. 1032/1973 e nella misura del 6,10 per cento dell’attuale base contributiva di riferimento prevista dall’art. 11 della Legge 8 marzo 1968, n. 152, per il personale degli enti locali.

Segmentazione dei dipendenti pubblici in base alle regole TFS/TFRPremesso che per i lavoratori pubblici non vige il meccanismo del silenzio as-senso di cui all’articolo 8 del D.lgs. n. 252/05 e tutte le connesse regole, alla

2 L’art. 21 (commi 1-9) del d.l. 201/2011 convertito in Legge 214/2011 prevede che in considerazione del processo di convergenza ed armonizzazione del sistema pensionistico attraverso l’applicazione del metodo contributivo, nonché al fine di migliorare l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa nel settore previdenziale e assistenziale, l’INPDAP e l’ENPALS sono soppressi dal 2012 e le relative funzioni sono attribuite all’ INPS, che succede in tutti i rapporti attivi e passivi degli Enti soppressi.

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luce del quadro normativo e dei chiarimenti da parte dell’ex INPDAP3 è possi-bile individuare le categorie di destinatari e le connesse modalità applicative di seguito indicate.

1 - Soggetti in regime di TFR• Lavoratori con contratto a tempo indeterminato assunti successivamente al

31 dicembre 2000, anche se non per la prima volta, purché ci sia stata so-luzione di continuità (almeno un giorno di intervallo) rispetto a precedenti rapporti di lavoro (a tempo indeterminato in regime di TFS) con pubbliche amministrazioni iscritte all’ex INPDAP, con riferimento ai quali il lavoratore ri-entrava nel regime TFS. Questi soggetti sono automaticamente assoggettati al regime di TFR di cui all’art. 2120 del Codice civile. In caso di adesione a un fondo pensione, dovranno destinare a quest’ultimo la totalità degli accan-tonamenti annuali di TFR (art. 2, comma 2, D.P.C.M. 20 dicembre 1999);

• insegnanti di religione, titolari di un contratto di lavoro rinnovato annualmen-te che risultano assunti dopo il 31 dicembre 2000;

• lavoratori con contratto a tempo determinato: trova applicazione la disciplina sul TFR tenendo conto delle specifiche presenti nelle circolari ex INPDAP.

Per i lavoratori in regime TFR, l’ex INPDAP provvede ad accantonare figurativa-mente e a liquidare, alla cessazione del servizio, il trattamento di fine rapporto ex art. 2120 del Codice Civile. Le quote di accantonamento annuale sono de-terminate applicando l’aliquota del 6,91 per cento sulla retribuzione utile.

2 - Soggetti in regime di TFSPer i lavoratori in regime di TFS esiste una corrispondenza biunivoca tra previ-denza complementare e TFR: non è possibile passare al TFR senza aderire a un fondo pensione, non è possibile aderire a un fondo pensione di comparto senza rinunciare al TFS per il TFR quantomeno fino al 31 dicembre 2015.4 • Lavoratori con contratto a tempo indeterminato assunti al 31 dicembre

2000: per questi soggetti nell’ipotesi di adesione a un fondo pensione di comparto, viene a configurarsi l’esercizio della opzione di cui all’art. 59, comma 56 della Legge n. 449/1997, con conseguente passaggio dal regi-me di TFS a quello di TFR. Gli accordi quadro del 8 maggio 2002, 2 marzo 2006, 1° dicembre 2010 hanno differito il termine originario del 2001 rispet-tivamente al 31 dicembre 2005, al 31 dicembre 2010 e 31 dicembre 2015. Ai fini di tale opzione, l’art. 1 del D.P.C.M. del 20 dicembre 1999 ha stabilito che essa si realizza attraverso la sottoscrizione del modulo di adesione a un fondo pensione, creandosi così una stretta correlazione tra regime del TFR e disciplina dei fondi pensione. I soggetti in TFS usufruiranno, in caso di opzione, di una quota aggiuntiva pari all’1,5 per cento dell’aliquota con-tributiva di riferimento ai fini del TFS; detta quota è da considerarsi neutra rispetto ai conferimenti dei lavoratori e dei datori di lavoro (art. 2, comma 4 del D.P.C.M. e art. 11 comma 6, accordo 29 luglio 1999) e inoltre non satu-ra i plafond di deducibilità fiscale. Ciò è stato esplicitato dalla Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 5/7/2005. La quota di TFR che potrà essere destinata a fondi pensione non potrà essere superiore del 2 per cento della retribuzione utile per il TFR (art. 2, comma 1, D.P.C.M.). Il personale in regi-me TFS transita nel regime TFR mediante la sottoscrizione della domanda di adesione al fondo pensione;

• insegnanti di religione, titolari di un contratto di lavoro rinnovato annualmen-te, al 31 dicembre 2000 già iscritti ai fini TFS;

• dipendenti assunti a tempo indeterminato al 31 dicembre 2000, anche se solo ai fini giuridici e con decorrenza economica successiva al 31 dicembre 2000;

• dipendenti assunti a tempo indeterminato dopo il 31 dicembre 2000 ma senza soluzione di continuità rispetto a precedenti servizi per i quali

3 CFR. Circolare n. 30/02, note operative n. 11/05, n. 16/05, n. 42/09, n. 841/09.4 Se il termine non sarà prorogato dalle parti sociali o nell’ipotesi in cui le stesse parti sociali non ade-guassero l’accordo quadro e gli accordi istitutivi dei fondi, dal 1° gennaio 2016 occorrerà verificare se non saranno più possibili nuove adesioni come optanti, che andrebbero bloccate.

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vigeva il TFS;• soggetti non contrattualizzati, quale che sia la data della loro assunzione

nella pubblica amministrazione. La disciplina relativa all’opzione di cui al D.P.C.M. 20 dicembre 1999 e successive modifiche trova applicazione solo per il personale cosiddetto «contrattualizzato».

La gestione virtuale del TFR dei dipendenti pubbliciLa peculiarità del TFR dei dipendenti pubblici consiste nel fatto che esso è gestito virtualmente. Le quote di TFR, siano esse usate per la liquidazione (cioè non affluite a previdenza complementare) che per il finanziamento della previ-denza complementare, e la quota dell’1,5 per cento ex art. 59, comma 56 Leg-ge 449/1997 sono trattate dall’ex INPDAP come accrediti figurativi (cioè senza la creazione di alcun fondo monetario costituito da risorse effettive) e liquidate (previa applicazione del tasso di rendimento) alla cessazione della attività lavo-rativa (art. 1, commi 6 e 8 e art. 2 commi 5 e 6, D.P.C.M. 20 dicembre 1999). Le somme sono conferite al netto dell’imposta sui rendimenti.

Per effetto degli accantonamenti virtuali vengono, quindi, a determinarsi dei conti virtuali che si trasformano in effettivi solo alla cessazione del rapporto, quando l’ex INPDAP, o il diverso ente, determinerà e trasferirà al lavoratore (nel caso del TFR) o al fondo (nel caso di previdenza complementare) il montante maturato, pur non essendo di fatto mai state accantonate risorse reali a tali scopi. Nel caso di previdenza complementare, il fondo pensione liquiderà al singolo iscritto una prestazione complessiva, costituita dalle somme ricevute dall’ex INPDAP e dal montante maturato presso il fondo stesso a seguito degli accantonamenti di risorse effettive.

Dopo quanto detto, si ritiene utile sottolineare alcune problematiche poste dal meccanismo di gestione virtuale, data la sua peculiarità esse attengono essen-zialmente a:• rinvio al futuro degli oneri della riforma, cioè quando saranno erogate le pre-

stazioni;• esistenza di quote virtuali di ostacolo al trasferimento delle posizioni indivi-

duali e alla anticipazione;• esercizio dell’opzione di cui all’art. 59, comma 56 L. 449/97 e decadenza au-

torizzazione Covip. Il problema assume rilevanza qualora il fondo decada dal-la autorizzazione alla attività nel caso in cui non la inizi entro 12 mesi o non raggiunga la base associativa entro 18 mesi dalla autorizzazione (si veda la deliberazione Covip del 22 maggio 2001). In tal caso si pone il problema di capire se l’opzione cessi di avere effetto oppure rimanga valida, e quindi se il soggetto continui a rimanere in regime di TFR o ritorni in quello di TFS.

La diversità di disciplina della previdenza complementare per il pubblico rispetto al settore privatoIl D.lgs. 252/2005 prevede un percorso differenziato per i dipendenti pubblici. Infatti, il comma 6 dell’art. 23 stabilisce che: «Fino all’emanazione del Decre-to legislativo di attuazione dell’art.1, comma 2, lettera p della Legge 23 ago-sto 2004, n. 243, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, si applica esclusivamente e inte-gralmente la previgente normativa». Ne deriva che, come osservato dalla nota divulgativa INPDAP del 1° febbraio 20065 , fino alla emanazione della suddetta normativa restano fermi, quantomeno per i dipendenti pubblici che aderiscono a un fondo negoziale, il D.lgs. 124/1993 e la disciplina fiscale contenuta nel De-creto 124/1993, nel D.lgs. 47/2000 e nel Testo Unico delle imposte sui redditi, nonché tutte le norme particolari valevoli per i dipendenti pubblici. In sostanza,

5 Cfr. INPDAP nota divulgativa dell’1/2/2006, «Il decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 “Disciplina delle forme pensionistiche complementari”; prime informazioni sulle novità introdotte dal decreto e sui riflessi sulla previdenza complementare per i dipendenti pubblici»; si veda anche INPDAP-CIV, La previ-denza complementare del pubblico impiego. Secondo rapporto, Franco Angeli 2007.

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quindi, per i dipendenti pubblici il testo di riferimento per la previdenza comple-mentare continua a essere il D.lgs. 124/1993.

In realtà, se si guarda al sistema normativo così come delineatosi dopo il D.lgs. 252/2005 (anche per effetto degli interventi da parte della Covip) ci si accorge che il D.lgs. 124/1993 trova applicazione solo nel caso in cui il dipendente pub-blico aderisca a una forma di previdenza collettiva. Nell’ipotesi in cui, invece, aderisca ad una forma di previdenza individuale di fatto ad esso si applica il D.lgs. 252/2005 con l’eccezione del silenzio assenso e di tutte le norme che riguardano il TFR e il contributo del datore, che non è comunque dovuto.

A riprova di ciò è solo per i fondi negoziali (per esempio, Espero per il comparto scuola, che si è imposto di adottare un duplice schema di statuto con distin-zione delle regole da applicare ai pubblici, D.lgs. 124/1993, e ai privati, D.lgs. 252/2005).

Come osservato anche dalla Covip,6 il permanere di tali differenze nella di-sciplina tra dipendenti del settore privato e dipendenti del settore pubblico, conseguente al non realizzato esercizio della delega contenuta nella Legge 243/2004, fa sì che permangano, anche all’interno delle previsione statutarie, diversi regimi applicabili ai dipendenti pubblici e a quelli privati con riguardo in particolare ai trasferimenti, alle anticipazioni e ai riscatti. Di tali differenze devono necessariamente tener conto gli statuti dei fondi interessati, i quali pre-sentano una struttura più complessa.

Diverso è anche il trattamento fiscale delle contribuzioni che, nel caso dei dipen-denti pubblici, prevede l’applicazione di un doppio limite (oltre al limite massimo di deducibilità dal reddito complessivo dei contributi versati a previdenza com-plementare, fissato a 5.164,67 euro, si applica il limite del doppio della quota di TFR destinata a previdenza complementare). Infine, le prestazioni erogate rice-vono, nel caso dei dipendenti pubblici, un diverso e meno favorevole trattamento fiscale (in linea generale, a esse si applica il regime della tassazione separata anche per la parte maturata dal 1° gennaio 2007, in luogo dell’imposta sostitutiva pari al 15 per cento, con possibilità di ulteriori riduzioni fino a un massimo di 6 punti percentuali, prevista per le prestazioni erogate ai lavoratori privati7).

La presenza di un doppio regime delle prestazioni e di un doppio regime fiscale produce, inoltre, complessità nel funzionamento sia sotto il profilo dell’operati-vità che in termini di onerosità.Tale differenza fiscale appare poi incomprensibile se si guarda a quanto previ-sto per i c.d. piani individuali di previdenza non adeguati. Da parte dell’Agenzia delle Entrate8 si ritiene, infatti, che il disposto dell’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 23 del D.lgs. 252/2005 in base al quale «contratti di assicurazione di carattere previdenziale stipulati fino alla data del 31 dicembre 2006 continua-no ad essere disciplinati dalle disposizioni vigenti alla data di pubblicazione del presente decreto» non abbia valenza fiscale. Tale norma, infatti, secondo l’interpretazione di cui sopra fa salva l’applicabilità non di tutte le disposizioni relative a tali forme previdenziali preesistenti, bensì soltanto di quelle che disci-plinano i contratti di assicurazione attraverso cui le stesse forme sono attuate, tra le quali non si è ritenuto di ricomprendere anche le disposizioni fiscali in materia di contributi e prestazioni, riguardanti invece gli iscritti e non il contrat-to di assicurazione in quanto tale. Anche il disposto del comma 4 dell’art. 23 del Decreto, nel disciplinare le forme pensionistiche complementari che hanno provveduto agli adeguamenti disposti dal comma 3 e che «possono ricevere nuove adesioni anche con riferimento al finanziamento tramite conferimento del

6 Cfr. Covip, Relazione annuale per l’anno 2011.7 Per una sintesi del trattamento fiscale sia consentito rinviare a F.Vallacqua, la previdenza complemen-tare per i lavoratori pubblici e privati, Egea 2012 pp.290-291.8 CFR. Circolare del 18 dicembre 2007 n. 70.

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TFR», non reca, secondo l’Agenzia, alcuna disciplina fiscale, nel presupposto evidente che tale trattamento è stabilito dal comma 5 dello stesso art. 23. Per tali soggetti, pertanto, conclude l’Agenzia, si applicano le nuove disposizioni fiscali concernenti la deducibilità dei premi (contributi) versati e il regime di tassazione delle prestazioni maturate a decorrere dal 1° gennaio 2007.

Appare assai singolare a chi scrive che si è consentito a dei prodotti assicura-tivi che non si sono adeguati alla nuova disciplina del D.lgs. 252/05, di mante-nere la vecchia disciplina del 124/93 ma di adottare la nuova disciplina fiscale del D.lgs. 252/05 e che però lo stesso principio non sia stato applicato anche al pubblico impiego.

I fondi del pubblico impiego Espero, Perseo Sirio, Laborfonds, Fopadiva Per i dipendenti pubblici i principali fondi esistenti sono Espero (operativo dal 2005) rivolto ai lavoratori dipendenti ai quali si applica il CCNL del comparto scuola e ai lavoratori delle scuole private, paritarie, legalmente riconosciute, pareggiate, parificate nonché ai lavoratori degli enti di formazione professiona-le. Perseo Sirio rivolto ai dipendenti delle Regioni, delle Autonomie locali e del comparto Sanità, che ha avviato la raccolta delle adesioni a ottobre del 2012. Espero ha una platea di circa 1.200.000 soggetti e oltre 99.000 iscritti, Perseo Sirio una platea 1.571.400 soggetti oltre 17.000 iscritti. Quest’ultimo è la risul-tante della fusione, avvenuta nell’ottobre 2014, tra il fondo Sirio (destinato ai dipendenti dei Ministeri, Enti pubblici non economici, Presidenza del Consiglio, ENAC e CNEL) e quello Perseo (destinato ai dipendenti delle regioni, autono-mie locali e comparto sanità).

I dipendenti pubblici del Trentino-Alto Adige si trovano in una posizione parti-colare in quanto vige il fondo pensione Laborfonds. Come chiarito nella nota operativa INPDAP 11/2005 al personale dipendente dalla Regione Trentino-Alto Adige, dal Consiglio regionale, dell’ASL e dell’amministrazione scolastica della provincia di Trento, si applica il D.P.C.M. del 20 dicembre 1999; mentre invece per il personale delle province autonome di Trento e Bolzano e degli enti colle-gati trovano applicazione le norme previgenti al Decreto (in particolare questo personale è disciplinato dalle Leggi della provincia di Trento n. 2 del 3 febbraio 1997 e n. 1 del 31 dicembre 2000, e della provincia di Bolzano n. 1 del 3 maggio 1999 e n. 1 dell’8 aprile 2004). Queste leggi, in forza della competenza legislati-va concorrente di cui dispongono le due province in materia di ordinamento del personale, hanno disciplinato il passaggio dal TFS al TFR in attuazione dell’art. 2 commi 5-8 della Legge 335/1995 prima che intervenisse il D.P.C.M. del 20 dicembre 1999; hanno cosi consentito l’istituzione di una forma pensionistica complementare, mediante l’adesione del personale interessato al fondo pen-sione Laborfonds, anche in assenza della definizione della normativa nazionale applicabile al pubblico impiego. Queste leggi provinciali prevedono inoltre che le amministrazioni interessate (conservando l’iscrizione all’INPDAP per il pro-prio personale, per il quale continuano a versare la contribuzione all’istituto) erogano il TFR cosiddetto provinciale. Questa prestazione si configura come istituto a carattere ibrido in quanto ai lavoratori viene liquidato, in base all’art. 2120 del Codice Civile, il TFR da parte del datore di lavoro e non dall’INPDAP. L’INPDAP, tuttavia, in base alla normativa previgente al D.P.C.M., continua a liquidare le prestazioni di fine servizio non al lavoratore ma all’ente datore di la-voro, per effetto di un mandato alla riscossione rilasciato dal lavoratore stesso9.

Il fondo Fopadiva si rivolge ai residenti della Valle d’Aosta, anche dipendenti pubblici. Il fondo, istituito nel 1998, è stato autorizzato a operare nel luglio del 2003. Esso è nato per rivolgersi a tutti i dipendenti pubblici delle amministra-zioni locali della Regione a eccezione però di quelli iscritti al fondo cessazione servizi. Quest’ultimo è un fondo preesistente, istituito nel 1956 con il fine d’in-

9 Cfr. Covip «Relazione per il 2004», pp. 115-117; nota INPDAP 11/2005.

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tegrare l’indennità di fine servizio. Per effetto della fusione con il fondo preesi-stente FCS, Fopadiva accoglie ora anche i lavoratori dipendenti della regione e di altri enti locali non economici.10

L’istituzione di forme di previdenza collettive per i dipendenti pubblici non con-trattualizzati, l’avvio delle procedure di concertazione in materia di previdenza complementare, il comparto difesa e sicurezza e le recenti pronunce del TARL’art. 3 del D.lgs. 252/2005 prevede che la fonte istitutiva delle forme di previden-za complementare di carattere collettivo, siano i contratti collettivi di comparto di cui al titolo III del D.lgs. n.165/01, lo stesso articolo prevede la possibilità di crea-re forme di previdenza complementare per i dipendenti pubblici non privatizzati attraverso apposite norme nei rispettivi ordinamenti, ovvero in mancanza, attra-verso accordi tra i dipendenti stessi, promossi da loro associazioni.11 Tale articolo va coordinato con l’art. 26, comma 20, della L. 23 dicembre 1998, n. 448. In base a tale diposizione per il personale delle Forze di Polizia e delle Forze Armate si riserva espressamente alle procedure di negoziazione e concertazione previste dal D.lgs.12 maggio 1995, n. 195, «la disciplina del trattamento di fine rapporto ai sensi dell’art. 2, commi 5 - 8, della Legge 335/1995… nonché l’istituzione di for-me pensionistiche complementari». Successivamente il D.P.R. 16 marzo 1999, n. 254 «Recepimento dell’accordo sindacale per le Forze di Polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione delle Forze di Polizia ad ordinamen-to militare relativi al quadriennio normativo 1998-2001 ed al biennio economico 1998-1999», nel Titolo II, riguardante il personale non dirigente delle Forze di Polizia ad ordinamento militare (Arma dei Carabinieri e Corpo della Guardia di Fi-nanza), all’art.67 (TFR e previdenza complementare), comma 1, stabilisce che le procedure di negoziazione e di concertazione attivate, per la prima applicazione ai sensi dell’art.26, comma 20, della L. 448/1998 provvedono a definire:• la costituzione di uno o più fondi nazionali pensione complementare per il

personale delle Forze Armate e delle Forze di Polizia ad ordinamento civile e militare, ai sensi del D.lgs. 124/1993, della Legge 335/1995, della Legge 449/1997 e successive modificazioni ed integrazioni, anche verificando la possibilità di unificarlo con analoghi fondi istituiti ai sensi delle normative ri-chiamate per i lavoratori del pubblico impiego;

• la misura percentuale della quota di contribuzione a carico delle ammini-strazioni e di quella dovuta dal lavoratore, nonché la retribuzione utile alla determinazione delle quote stesse;

• le modalità di trasformazione della buonuscita in TFR, le voci retributive utili per gli accantonamenti del TFR, nonché la quota di TFR da destinare a pre-videnza complementare. Lo stesso art. 67, al comma 2, specifica che desti-natario dei fondi pensione, di cui al comma 1, è il personale che liberamente aderisce ai fondi stessi12.

Ad avviso di chi scrive, per il personale delle Forze Armate e della Polizia, che attualmente rimane in regime di TFS, l’interpretazione del combinato disposto delle norme di cui sopra conduce a ritenere che:• il vincolo per consentire l’attivazione di forme contrattuali, solo dopo che

attraverso le particolari forme di concertazione e negoziazione previsti in questi settori si sarà provveduto ad estendere il trattamento di fine rappor-to.13 sussista solo ove si voglia utilizzare tale fonte di finanziamento (il TFR) e quindi ci si trovi di fronte a fondi di natura negoziale, ovvero ci si trovi innanzi

10 Cfr. INPDAP, AA.VV., La previdenza complementare dei dipendenti pubblici. La particolarità e le pro-spettive, 2006, p. 119; Covip, «Relazione per il 2006».11 Con riferimento ai soggetti non contrattualizzati è stato rilevato, che abbiamo una fonte innominata: non si individua cioè un particolare atto, suscettibile di dar vita al fondo, ma si rinvia agli ordinamenti di queste categorie professionali nel presupposto che in quegli ordinamenti vi sia una qualche indica-zione al riguardo. Nell’ipotesi in cui ciò non si verifichi si rimanda ad eventuali accordi fra i dipendenti, ma anche qui con formula molto generica si parla di associazioni V. ROPPO, La Costituzione dei Fondi Pensione, in AA.VV., I fondi di Previdenza e di Assistenza Complementare, Antologia a cura di G. Iudica, Padova, 1998.12 Cfr. Comando generale della Guardia di Finanza-ufficio legislazione, Il trattamento pensionistico del personale militare, Roma, 1999.13 Cfr. Inpdap-Civ, La previdenza complementare del pubblico impiego, 2011.

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a fondi istituiti (ex art. 3, c. 2 parte prima del D.lgs. 252/05) in base a norme previste nei rispettivi ordinamenti e che quindi scaturiscono da procedure di concertazione le quali definiscono: la quota percentuale di contribuzione a carico delle amministrazioni e dei lavoratori, la retribuzione utile per la defi-nizione delle percentuali di contribuzione, le modalità di opzione dal TFS al TFR, la retribuzione utile ai fini del TFR, la quota di TFR destinabile ai fondi;

• tale vincolo invece non dovrebbe sussistere nel caso in cui (ex art. 3, comma 2 seconda parte del D.lgs. 252/05) si voglia attivare una forma di previdenza complementare finanziata solo da contribuzioni diverse dal TFR; ovvero nel caso di fondi istituiti sulla base di accordi tra lavoratori promossi da loro asso-ciazioni, che non coinvolgono il datore di lavoro. In tal caso, infatti, tali fondi pur essendo chiusi non avrebbero carattere negoziale. In tal senso si veda la risposta a quesito Covip del 18 maggio 2012 «Richiesta di parere in merito alla istituzione di un fondo pensione rivolto al personale dell’Arma dei Carabinieri».

Se questo è il quadro normativo, il fulcro della questione risiede nell’individua-zione dei soggetti titolati all’avvio delle procedure sopra citate, nonché delle po-sizioni assunte dal giudice amministrativo sul punto. Con sentenza del TAR n. 7715 del 30 luglio 2013, il Giudice Amministrativo in contrasto con quanto pre-cedentemente affermato ha ritenuto che i lavoratori in oggetto non sono titolari di un interesse personale, concreto e attuale all’avvio di un procedimento am-ministrativo finalizzato all’istituzione della previdenza complementare. Le ammi-nistrazioni sono tenute, solo ad intraprendere delle procedure di concertazione che, tramite la partecipazione delle organizzazioni sindacali maggiormente rap-presentative, portino all’emanazione di un D.P.R. volto alla creazione di un fondo negoziale. Detto ciò e tenuto conto della situazione in essere (organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, uniche titolari dell’interesse legittimo ad agire) non essendo ravvisabile un vero e proprio obbligo ad agire in capo all’amministrazione, le organizzazioni sindacali hanno due vie:• attivarsi tempestivamente, per l’avvio delle procedure;• ricorrere nuovamente al tribunale competente, per ottenere da parte delle

relative Amministrazioni l’attivazione degli interventi necessari.14

L’adesione dei dipendenti pubblici ai FIP (forme individuali di previdenza) ed art. 208 del codice della strada (D.lgs. 285/92)La sottoscrizione di forme individuali di previdenza (c.d. FIP) si realizza tramite l’a-desione individuale ad un fondo aperto, e/o la sottoscrizione di un piano individuale di previdenza attuato tramite contratti di assicurazione sulla vita c.d. PIP. Tali forme a differenza di quelle collettive si basano sull’adesione del singolo soggetto, consi-derato in quanto tale, che volontariamente ed indipendentemente da disposizioni varie (previste ad esempio dalla contrattazione collettiva) aderisce a strumenti pre-videnziali messi a disposizione sul mercato da appositi operatori (banche, assi-curazioni, società di intermediazione mobiliare, società di gestione del risparmio) per far fronte alle sue esigenze pensionistiche. Rispetto a tali forme si ricorda che in base alla disciplina attuale non è possibile far confluire né il TFR, né il TFS né il contributo del datore di lavoro eventualmente previsto dalla contrattazione. Tali forme saranno quindi alimentate solo da una contribuzione a carico del lavoratore stesso. Con nota operativa n. 1/11 l’INPDAP ha chiarito che le istanze di opzione per la trasformazione del trattamento di fine servizio in trattamento di fine rapporto conseguenti all’adesione a forme individuali di previdenza complementare da par-te di dipendenti pubblici con le quali è manifestata la volontà di esercitare l’opzione per il passaggio dal TFS al TFR non sono produttive di effetti.Ciò perché in base alla normativa vigente tale opzione non può essere eser-

14 Vedasi Tar Lazio, Sez. 2, Sent. n. 7715 del 30 luglio 2013. CFR. C. COSTANTINO, previdenza commen-tare per il personale delle Forze Armate: due discordanti pronunce del giudice amministrativo a confron-to, Osservatorio giuridico Mefop n. 2/2014. Sia consentio anche il rinvio a Vallacqua F., “La contrattazione collettiva per il pubblico impiego non contrattualizzato: orientamenti in tema di armonizzazione del trat-tamento di fine rapporto e di previdenza complementare (art. 26, c. 20, l. n. 488/1998)” , in Rivista del Diritto della Sicurezza Sociale n. 2/2015, Il Mulino.

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citata e il TFR non può essere devoluto a una forma pensionistica individuale ma solo alle forme pensionistiche complementari istituite dalla contrattazione collettiva. Conseguentemente, l’esercizio dell’opzione della trasformazione del TFS in TFR (funzionale alla destinazione del TFR a previdenza complementare) è possibile solo contestualmente all’adesione a un fondo pensione negoziale e non a una forma pensionistica individuale. Sul tema appare rilevante anche la risposta a quesito Covip del luglio 2013 «Quesiti in materia di adesione di alcuni dipendenti pubblici a fondi pensione aperti (lettera inviata a una società istitutrice di un fondo pensione aperto)». Con tale quesito un società istitutrice di un fondo pensione aperto ha posto alcuni quesiti in merito all’adesione del personale di Polizia municipale e provinciale a fondi pensione aperti, attraverso la destinazione dei proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie per viola-zioni del Codice della strada, come previsto dall’art. 208 dello stesso Codice.

In sintesi, le richieste formulate attenevano alla:• possibilità di applicare al personale di Polizia municipale e provinciale che

aderisce ai fondi pensione aperti le riduzioni alle spese di partecipazione al Fondo previste dall’art. 8, comma 2, dello Schema di regolamento dei fondi pensione aperti;

• possibilità di riconoscere a detti aderenti a fondi aperti la facoltà di riscattare la posizione ex art.14, comma 5 del D.lgs. n. 252 del 2005.

Al riguardo, con propria nota la Covip aveva rappresentato che, trattandosi di questioni che impattano sull’interpretazione e sulla portata dei CCNL del com-parto Regioni-Autonomie locali succedutisi nel tempo e sul loro coordinamento sistematico, era stato chiesto il parere dei soggetti sottoscrittori degli stessi contratti collettivi, estendendo per conoscenza la lettera al Ministero del Lavoro e all’ex INPDAP. Si era pertanto fatto riserva di dare riscontro alla richiesta della Società, una volta acquisite le valutazioni dei soggetti interessati.

A tale proposito si è fatto presente nella risposta che il Dipartimento della Funzio-ne Pubblica ha chiarito che l’istituzione di forme pensionistiche complementari di natura collettiva per i dipendenti pubblici contrattualizzati è rimessa esclusiva-mente alla contrattazione collettiva nazionale, cui compete anche la definizione delle materie demandate alla contrattazione integrativa. Nell’attuale fase transito-ria, in attesa di una disciplina contrattuale nazionale che, tra l’altro, meglio speci-fichi le modalità di devoluzione di dette somme a previdenza complementare, il medesimo Dipartimento ha affermato che è da ritenersi ammissibile che ciascun ente locale determini annualmente il quantum delle risorse destinate alle diver-se finalità di cui all’art. 208 C.d.S., ivi comprese quelle assistenziali e previden-ziali e che spetti all’Organismo previsto dalla contrattazione collettiva nazionale Regioni-Autonomie locali, (costituito a livello di ogni singolo ente in conformità a quanto dettato dall’art.11 della Legge n. 300 del 1970), provvedere invece alla finalizzazione e alla gestione della quota destinata alle predette finalità.

In particolare, l’Organismo, nell’ambito dell’autonomia contrattualmente ricono-sciuta e dei vincoli di finalizzazione posti dalla norma, può pertanto individuare specifiche finalità di assistenza e previdenza a favore del personale indicato dalla norma e i relativi criteri e requisiti di accesso ai benefici, tra cui anche l’individuazione di forme pensionistiche di previdenza integrativa (fondo pen-sione chiuso, fondo pensione aperto, piano individuale pensionistico). Il citato Dipartimento ha inoltre precisato che alla luce degli esiti delle determinazioni che saranno assunte dalla contrattazione collettiva potrà anche essere meglio definita la qualificazione giuridica delle predette risorse. In attesa, pertanto, de-gli ulteriori elementi di cui sopra la Covip ha espresso l’avviso che le adesioni a fondi pensione aperti da parte del personale sopra richiamato e che involgano la destinazione al fondo dei contributi ex art. 208 C.d.S., ancorché effettuate sulla base di convenzionamenti con i relativi enti di appartenenza, debbano essere assimilate alle adesioni individuali.

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Stante quanto sopra precisato, consegue che non potranno trovare applicazio-ne le riduzioni alle spese di partecipazione previste dall’art. 8, comma 2, dello Schema di regolamento dei fondi pensione aperti, né la possibilità di riconosce-re a detti aderenti a fondi aperti la facoltà di riscattare la posizione ex art. 14, comma 5, del D.lgs. n. 252 del 2005, trattandosi in entrambi i casi di situazioni la cui applicazione è limitata alle adesioni su base collettiva.15

Meccanismo di opzione e proposte di modifiche legislativeIn questa ultima parte verranno descritte alcune motivazioni che frenano l’ade-sione ai fondi pensione ed infine verranno considerate delle ipotesi di modifiche legislative: sul regime di opzione, sulle connesse problematiche costituzionali in relazione all’art. 3 Cost., nonché sulla possibilità di adesione obbligatoria alla previdenza complementare attraverso la valorizzazione della specialità di disci-plina della contrattazione nel pubblico impiego.Rispetto al meccanismo di opzione sopra descritto ad oggi si registrano forti resistenze da parte dei dipendenti pubblici legate: • a valutazioni di convenienza del TFS rispetto al TFR. In particolare il dipen-

dente pubblico si interroga del perché per aderire ad un fondo pensione si debba abbandonare un’indennità collegata alla ultime retribuzioni per un TFR da destinare in parte ad investimento sui mercati finanziari;

• al sospetto sulle forme di previdenza complementare spesso percepite alla stregua di qualunque altro strumento finanziario;

• alla situazione di crisi economico-finanziaria che ha acuito la diffidenza ver-so qualunque forma di investimento finanziario;

• alla complessità di disciplina sulla previdenza complementare che rende difficile la comunicazione previdenziale.

In questo paragrafo ci si interroga quindi circa la possibilità di modifica della disci-plina di opzione al fine di incentivare le adesioni alle forme di previdenza comple-mentare. Ciò soprattutto da parte di quanti sono diffidenti rispetto all’abbandono del TFS per il TFR, o non ritengono conveniente l’opzione in quanto con carriere lavorative dinamiche. Una proposta potrebbe essere una norma di fonte primaria che consenta una possibilità di scelta circa la trasformazione del TFS in TFR non al momento della adesione ma all’atto della cessazione dal servizio o un certo nu-mero di anni prima dell’età pensionabile. In altri termini, si potrebbe riconoscere ai dipendenti pubblici contrattualizzati la possibilità di adesione alla forma di pre-videnza complementare di comparto attraverso il solo contributo del lavoratore e del datore di lavoro, lasciando in essere il TFS ed introducendo una sorta di diritto di ripensamento. Tale diritto (attraverso gli opportuni strumenti conoscitivi messi a disposizione dai fondi o dalla Autorità di Vigilanza-Covip) si estrinsecherebbe nella possibilità alla scadenza prevista di valutare la convenienza alla opzione (con con-ferimento al fondo della relativa quota di TFR) o di richiedere l’intera liquidazione del TFS. Tale norma, rinviando l’opzione creerebbe oneri aggiuntivi di tipo ammini-strativo dato che occorrerebbe mantenere due distinte posizioni (quella inerente la non opzione e quella equivalente alla adesione a fondo con opzione).16 Sono inoltre da valutare le eventuali ricadute sulla finanza pubblica.17

Da un punto di vista sistematico, a prescindere dalla accettazione o meno di proposte come quella di cui sopra, tutto ciò richiede una riflessione circa:• la parità di trattamento tra soggetti che hanno optato e soggetti che possono

15 Sul punto sia consentito rinviare anche a F. Vallacqua, “L’adesione alle forme di previdenza comple-mentare per i dipendenti pubblici e le relative problematiche: il caso dell’adesione collettiva a fondi pensione aperti” in www.ildirittopericoncorsi.it, Dike Giuridica Editore, 07/04/2010.16 Da un punto di vista fiscale si potrebbe ipotizzare un conferimento in esenzione di imposta con una imputazione convenzionale come quella prevista all’articolo 23, c. 7-bis del D.lgs. n. 252/05 inerente il versamento del TFR maturato. Quindi applicazione della tassazione solo in fase di erogazione delle prestazioni con inclusione di tale conferimento nella base imponibile. Si vedano al riguardo le circolari n.1/E del 9/01/2008 e n. 70/E del 18/12/2007 dell’Agenzia delle Entrate nonché le istruzioni di compila-zione del modello 770 semplificato 2008. La soluzione alternativa potrebbe essere la previa tassazione con conseguente non assoggettamento alla tassazione in fase di erogazione delle prestazioni.17 Sul punto si veda P. Lauriola, Due proposte per incrementare le iscrizioni dei dipendenti pubblici ai fondi pensione, in Osservatorio giuridico Mefop n. 33/2014, p. 7.

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usufruire delle nuove norme;• la modifica delle fonti istitutive e degli accordi quadro sul tema;• la possibilità da parte del legislatore di apportare direttamente modifiche

normative rispetto ad istituti predisposti dalla contrattazione collettiva ed in particolare rispetto a quanto previsto dall’accordo quadro del 29/7/1999 e del relativo D.P.C.M. del 20/12/1999 di recepimento dello stesso.

Circa il primo aspetto (quello della parità di trattamento) la questione va affron-tata alla luce del principio di eguaglianza di cui all’articolo 3 della Costituzione. Occorre quindi verificare se risulti in contrasto con i principi costituzionali la distinzione tra lavoratori, a parità di situazione giuridica, in difetto di ragioni adeguate che ne giustifichino la differenziazione. In tale ottica, rileva il c.d. con-trollo di ragionevolezza, in base al quale sono da considerare illegittime solo le norme che siano determinate da criteri illogici, arbitrari e contradditori. Occorre cioè verificare che «la decisione assunta dal legislatore di differenziare ... de-terminate fattispecie… non sia espressione di mero arbitrio ma abbia dietro di sé una ragione giustificatrice coerente con l’intrinseca causa–legis18». Detto in altri termini, la deroga non solo deve essere coerente con la funzione che l’or-dinamento oggettivamente assegna ad un istituto, ma anche diretta a tutelare interessi di non minore rilevanza19 come potrebbe essere quello di un maggiore sviluppo della previdenza complementare. Circa il secondo aspetto (necessità di modifica o meno delle fonti istitutive e/o dell’accordo collettivo quadro del 29/7/99) occorre distinguere la fattispecie di adesione senza TFR da quella di adesione senza opzione. Sulla questione si può rinvenire il supporto normativo di un adesione senza TFR dal combinato disposto tra l’articolo 8, commi 2 e 3 del D.lgs. n. 124/93, l’art. 11, comma 1 dell’accordo quadro del 29/7/9920 e l’articolo 2, comma 1 del D.P.C.M. del 20/12/9921 i quali indicano a disposizio-ne delle fonti istitutive una soglia, massima, di TFR nella percentuale del 2 per cento. Ciò implica che, ove si volesse superare tale vincolo (limitatamente ai soggetti in regime di TFS) basterebbe una modifica a livello di fonte istitutiva22.Con riferimento invece alla adesione senza opzione, la questione è più com-plessa. Questa infatti è prevista come automatismo dal combinato disposto tra l’articolo 59, comma 56 della Legge n. 449/97 l’articolo 2 dell’accordo quadro del 29/07/99 e l’articolo 1 del D.P.C.M. del 29/12/9923. Ne deriva che un mecca-nismo facoltativo di opzione implicherebbe una modifica delle determinazioni contrattuali e quindi dell’accordo quadro. Ed è qui che si collega il terzo aspetto cioè la possibilità da parte del legislatore di apportare direttamente modifiche normative rispetto ad istituti predisposti dalla contrattazione collettiva ed in par-ticolare rispetto a quanto previsto dall’accordo quadro del 29/07/1999 e del relativo D.P.C.M. del 20/12/99 di recepimento dello stesso.

18 Così Onida V., Relazione in occasione della conferenza stampa del Presidente - 2004, reperibile su www.cortecostituzionale.it.19 Si veda la sentenza della Corte cost. 23 ottobre 2006 n. 396, in www.GiurCost.org.20 L’articolo 8, c. 3 del D.lgs. n. 124/93 prevede l’obbligo di destinazione integrale del TFR solo per i sog-getti di prima occupazione successiva al 28/04/1993, l‘articolo 11, c.1 dell’accordo quadro del 29/07/99 dispone : Si conviene tra le parti che la quota di TFR destinabile ai fondi pensione da parte dei dipendenti già in servizio alla data del 31 dicembre 1995 e di quelli assunti dal 1° gennaio 1996 fino al giorno pre-cedente alla data di entrata in vigore del D.P.C.M. di cui all’art. 2, comma 1, non sia superiore al 2% della retribuzione base di riferimento per il calcolo del TFR medesimo.21 L’articolo 2, c. 1 del D.P.C.M. del 20/12/99 dispone: in fase di prima attuazione, la quota di trattamento di fine rapporto che i dipendenti già occupati alla data del 31 dicembre 1995 e quelli assunti nel periodo dal 1° gennaio 1996 al 31 dicembre 2000 che hanno esercitato l’opzione di cui all’articolo 59, comma 56, della Legge 27 dicembre 1997 n.449, possono destinare ai fondi pensione, non può superare il due per cento della retribuzione base di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Successiva-mente la predetta quota è definita dalle parti istitutive con apposito accordo. La quota del trattamento di fine rapporto destinata in fase di prima attuazione e quella successivamente definita sono trattate come quote figurative e rivalutate secondo il meccanismo di rendimento di cui al comma 5.22 Per i soggetti in regime di TFR, invece, il quadro normativo (combinato disposto tra l’art. 8, c. 3 del D.lgs. 124/93, con l’art. 2 della Legge 335/95, ed il D.P.C.M. del 20/12/99 non sembrerebbe rendere possibile una adesione senza TFR.23 In realtà l’automatismo è frutto degli ultimi due interventi in quanto la Legge. n. 449/97 prevedeva solo una facoltà di opzione.

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Altra via per incrementare le adesioni alle forme di previdenza complementare sarebbe quella di renderne obbligatorie le adesioni. Tale questione va affron-tata da un lato collegando il principio della volontarietà di adesione con la tesi della c.d. funzionalizzazione delle previdenza complementare a quella pubbli-ca ex articolo 38, comma 2 della Costituzione24 e dall’altro facendo riferimento alla specialità della disciplina della contrattazione nel sistema pubblico. Come osservato da parte della dottrina25 nel sistema del D.lgs. 124/93 potrebbe esse-re possibile una lettura del principio della volontarietà di adesione che vincoli solo i contratti del settore privato. Ciò in virtù del fatto che nel D.lgs. n. 124/93 il principio della volontarietà è presente all’articolo 3, comma 4 il quale richiama le sole fonti di cui al comma 1, cioè solo quelle del settore privato26. L’adesio-ne obbligatoria potrebbe ipotizzarsi anche in virtù della specialità della con-trattazione collettiva e nello specifico per l’efficacia generalizzata dei contratti collettivi pubblici e per l’obbligo dei lavoratori di conformarsi al contratto col-lettivo derivante dal rinvio alla contrattazione collettiva stessa, contenuto nel contratto individuale che il lavoratore stipula (cfr. sentenza Corte Cost. 309/97). Per cui in definitiva mentre per i dipendenti privati il superamento della libertà di adesione potrebbe avvenire solo attraverso una modifica legislativa dell’art. 3 comma 4, del 252/05, per i dipendenti pubblici il superamento potrebbe avvenire per via interpretativa alla luce dei precedenti punti citati. La questione può poi essere considerata anche in un ottica comunitaria, infatti la sentenza della Corte di Giustizia sul caso Albany (Corte di Giustizia europea 21/09/99 causa C-67/96) indica come, nonostante la riconducibilità alla nozione d’impresa, i fondi pensio-ne di matrice contrattuale possono condividere con i regimi pubblici la funzione socialmente rilevante della garanzia pensionistica, e quindi in ragione di tale fun-zione possono essere resi obbligatori. Si badi infine che il problema del principio della volontarietà della adesione si pone anche con riferimento all’adozione di meccanismi di adesioni automatica con il solo contributo del datore e connesso diritto di ripensamento.

Concludendo possibili modifiche legislative inerenti il meccanismo di opzio-ne, richiedono valutazioni che investono necessariamente il quadro sistematico della contrattazione collettiva del pubblico impiego ed il ruolo ad essa attribuito

24 Pur senza entrare nel complesso dibattito circa l’inquadramento costituzionale della previdenza com-plementare nel comma 2 o comma 5 dell’art. 38, qui si vuole solo ricordare che la Corte Costituzionale con sentenza n. 393 del 28 luglio 2000, ha sposato la tesi della «funzionalizzazione» della previdenza complementare a quella pubblica, nel senso che essa venendosi a sostituire in parte ai compiti di quest’ultima sarebbe da inquadrare nell’art. 38, comma 2 della Costituzione nel quale e collocata anche la previdenza pubblica. Secondo altri invece la previdenza complementare avrebbe una funzione ag-giuntiva e non sostitutiva della previdenza pubblica e quindi si inquadrerebbe nel comma 5. Al riguardo si osserva come la Corte, inquadrando la previdenza complementare nell’ambito dell’art. 38, comma 2, abbia individuato nel collegamento funzionale tra la prima e la previdenza obbligatoria un momento essenziale della complessiva riforma della materia, al fine di assicurare funzionalità ed equilibrio all’in-tero sistema pensionistico. Circa il problema dell’inquadramento costituzionale della previdenza com-plementare si vedano tra gli altri: M. Persiani., Diritto della Previdenza Sociale, CEDAM, Padova 1997, pp. 33-35; P.Bozzao, La previdenza complementare nella giurisprudenza della Corte Costituzionale,, in Previdenza Agricola nn. 3-4, 2002, pp. 14-16; A. Alaimo, La previdenza complementare dei dipendenti pubblici, in RIV. DIR. SIC. SOC., n. 1 2002, pp. 152-153; C.Cester, La disciplina della previdenza com-plementare fra incentivo e controllo, in Cester C., (a cura di), La riforma del sistema pensionistico, G. Giappichelli Editore, Torino, 1996, p. 27-30; M. Bessone, Previdenza Complementare, G. Giappichelli Editore, Torino, 2000 p. 29-35; A. Tursi La previdenza complementare nel sistema italiano di sicurezza sociale, in Teoria e pratica del diritto, sezione I: diritto e procedura civile, Giuffrè Editore , Milano 2001, pp. 11-24; F Caringella., C. Silvestro, F.Vallacqua, Codice del Pubblico impiego, Dike Giuridica editrice, 2011 pp. 45 e ss.25 Alaimo A., La previdenza complementare dei dipendenti pubblici, in RIV. DIR. SIC. SOC., n. 1 2002, p.156.26 Ciò appare plausibile anche alla luce del confronto tra il testo dell’articolo 3, c. 4 del D.lgs. 124/93 e quello del D.lgs. 252/05 dove si è voluto inserire un principio più ampio che fa esplicito riferimento a tutte le fonti istitutive. Chi è dell’avviso opposto ritiene che nelle previsioni di cui all’art. 3 comma 1 del D.lgs.n. 124/93 siano ricomprese anche le fonti istitutive dei dipendenti pubblici, in quanto le generiche espressioni accordi e contratti collettivi possono ragionevolmente riferirsi anche ai contratti collettivi per il pubblico impiego a nulla rilevando la specialità della contrattazione nel pubblico impiego. In tal senso tra l’altro hanno ragionato le parti stipulanti l’accordo quadro del 29/07/99, che all’art. 9 indica espressa-mente il principio della adesione volontaria . In tal senso anche le fonti istitutive di Espero Sirio e Perseo. Sulla questione si veda A.Tursi La previdenza complementare nel sistema italiano di sicurezza sociale, in Teoria e pratica del diritto, sezione I: diritto e procedura civile, Giuffrè Editore, Milano 2001, pp. 245-251.

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dalla disciplina sulla previdenza complementare distinguendo la fattispecie di adesione senza TFR da quella di adesione senza opzione. La questione va affrontata anche alla luce del principio di eguaglianza di cui all’articolo 3 della Costituzione ed in relazione al c.d. controllo di ragionevolezza, in base al quale sono da considerare illegittime solo le norme che siano determinate da criteri illogici arbitrari e contradditori. Al di là della accettazione o meno di proposte di modifica del meccanismo di opzione forse è il momento di ragionare su un più coraggioso processo che anche in Italia avvii l’adesione obbligatoria a mecca-nismi di previdenza complementare. Come osservato da parte della dottrina nel sistema del D.lgs. n. 124/93 potrebbe essere possibile infatti una lettura del principio della volontarietà di adesione che vincoli solo i contratti del settore privato.

L’adesione obbligatoria potrebbe ipotizzarsi anche in virtù della specialità della contrattazione collettiva ed in particolare in virtù della efficacia generalizzata dei contratti collettivi pubblici per l’obbligo dei lavoratori di conformarsi al con-tratto collettivo derivante dal rinvio alla contrattazione collettiva stessa, conte-nuto nel contratto individuale stipulato dal lavoratore.Da ultimo si osserva che è tutta da valutare l’ipotesi in cui non si rinnovi al 31 dicembre 15 l’accordo per l’opzione. Ci si troverebbe innanzi a soggetti che potrebbero aderire ai fondi di comparto senza trasformare il TFS in TFR o le adesioni sarebbero irricevibili?

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Il ruolo dell’attuario nella previ-denzaDi Giampaolo Crenca - Presidente Consiglio Nazionale Attuari, Luigi Di Falco - Membro Commissione Pensione Ordine Attuari, Giovanni Di Marco - Membro Commissione Pensione Ordine Attuari, Micaela Gelera - Membro Commissione Pensione Ordine Attuari, Massimiliano Giac-chè - Membro Commissione Pensione Ordine Attuari, Silvia Leonardi - Membro Commissione Pensione Ordine Attuari

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Il ruolo dell’attuario nella previdenza

1. Le proiezioni attuariali nell’otti-ca dell’asset liability managementPremessaNegli ultimi anni molti fattori socio-economici hanno influenzato il panorama pensionistico globale. In molti Stati membri vi è stato un trend in aumento di uscita dai piani a prestazione definita (DB), e una crescente importanza dei piani pensionistici a contribuzione definita (DC). In Italia in particolare, alla luce del Salva Italia e del DM 257/2012 sulla solvibilità dei fondi pensione e relativi piani di riequilibrio, alcuni enti hanno dovuto adottare misure volte a garantire l’equilibrio tra entrate contributive e spese per prestazioni pensioni-stiche, che in alcuni casi ha ulteriormente accelerato il passaggio verso il DC.Rispetto ai DB nei DC c’è uno shift significativo dei rischi e delle responsabi-lità, ma anche se nei DC schemes gli iscritti sopportano la maggior parte dei rischi, ciò non significa che il rischio residuo a carico del Fondo non possa rappresentare un pericolo per la continuità aziendale dello stesso.

Tipologie di Fondi Pensione in Italia: di seguito si riportano le tipologie di Fondi Pensione relativi alla previdenza complementare presenti in Italia:• Fondi pensione già istituiti alla data del 15 novembre 1992, quando entrò

in vigore la legge delega in base alla quale fu poi emanato il Decreto lgs. 124/1993:

1. sono denominati fondi pensione preesistenti autonomi quelli dotati di soggettività giuridica.

2. sono denominati fondi pensione preesistenti interni quelli costituiti come poste di bilancio o patrimonio di destinazione delle imprese – banche, imprese di assicurazione e società non finanziarie – presso cui sono occupati i destinatari dei fondi stessi.

• I fondi pensione negoziali, detti anche fondi ad ambito definito o fondi chiu-si, sono istituiti sulla base di accordi tra le organizzazioni sindacali e quelle imprenditoriali di settori specifici: l’adesione a questi fondi è riservata a spe-cifiche categorie di lavoratori

• I fondi aperti invece non riguardano la contrattazione collettiva ma sono creati e gestiti da banche, assicurazioni, Sgr e Sim e poi collocati presso il pubblico.

• I Piani Individuali Pensionistici (PIP), anche detti Forme Individuali Pensioni-stiche (FIP); la differenza tecnica principale rispetto ai fondi è che essendo a carattere individuale, esiste la possibilità di interrompere, e poi eventual-mente riprendere, il versamento dei premi prestabiliti senza che il contratto si interrompa o venga penalizzato.

Le Casse di previdenza: sono enti con personalità giuridica di diritto privato e sono gli enti previdenziali di base di riferimento per i liberi professionisti. I pro-fessionisti iscritti agli Albi professionali sono obbligati ad iscriversi alla propria Cassa di riferimento e a versare regolarmente i contributi previdenziali richie-sti. Chi svolge una professione non rappresentata da una Cassa autonoma è invece obbligato ad iscriversi alla Gestione separata dell’Inps.Gli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria possono avere diverse mo-dalità di gestione finanziaria:• gestione finanziaria a ripartizione senza capitali di copertura es. INPS;• gestione finanziaria a ripartizione con parziale copertura di capitali es. alcu-

ni di quelli trasformati ai sensi del D.lgs. 509/1994;• gestione finanziaria a capitalizzazione come quelli costituiti ai sensi del

D.lgs. 103/1996.L’attivo netto destinato alle prestazioni (ANDP) per i fondi negoziali, aperti e per

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i fondi preesistenti dotati di soggettività giuridica, i patrimoni di destinazione ovvero le riserve matematiche per i fondi preesistenti privi di soggettività giu-ridica, le riserve matematiche costituite a favore degli iscritti presso le compa-gnie di assicurazione per i fondi preesistenti gestiti tramite polizze assicurati-ve, le riserve matematiche per i PIP di tipo tradizionale e il valore delle quote in essere per i PIP di tipo unit linked, ammontavano al 31 dicembre 2014 a 130 miliardi di euro distinti per tipologia di Fondo Pensione di previdenza comple-mentare come riportato nella seguente Tavola 1:

Tavola 1

Fonte: Relazione Covip 2014

Nei Fondi pensione la metà dei contributi dei lavoratori dipendenti sono afferen-ti a devoluzioni della quota TFR, come si può evincere dalla Tavola 2 che segue:

Tavola 2

Fonte: Relazione Covip 2014

Il totale degli Asset gestiti dalle Casse di Previdenza e considerando entrambe le forme gestorie ammontava al 31 dicembre del 2013 a circa 66 miliardi di euro, distinto per Cassa come riportato nella Tavola 3 seguente:

Tavola 3

Fonte: Relazione Covip 2014

Contributions € mln

Fondi pensione negoziali

Fondi pensione aperti

Fondi pensione preesistenti

PIP “nuovi” Total

Employees 4.390 879 3.746 1.820 10.849

of which TFR 2.779 491 1.558 472 5.307

Professionals 9 549 51 1.143 1.752

Total 4.399 1.428 3.797 2.963 12.594

€ mlnPF Categories Resources allocated for the obligationFondi pensione negoziali (New closed PF) 39.644

Fondi pensione aperti (New open PF) 13.980

Fondi pensione preesistenti (Old closed PF) 54.033

Fondi autonomi (PF with own legal entity) 50.705

Fondi interni (Inside a Company i.e. Bank) 3.328

PIP “nuovi” (New Insurance policies) 16.369

PIP “vecchi” (Old Insurance policies) 6.850

Totale 130.941

€ mln

Asset under MGMTENPAM 16.822 ENPAPI 561

ENASARCO 6.950 INPGI 2.412

CF 8.267 ENPAV 467

ONAOSI 445 EPAP 719

INARCASSA 7.908 CNPR 2.429

ENPAF 2.290 ENPACL 812

CIPAG 2.499 EPPI 972

CNPADC 5.925 ENPAB 451

ENPAP 926 CNN 1.517

ENPAIA 2.007 ENPAIA 129

INPGI 461 ENPAIA 23

FASC 718 Total 65.710

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Quadro normativo recenteLa Normativa recente ha definito delle Aree di intervento legate alla gestio-ne degli Asset dei Fondi Pensione, su cui gli Attuari possono impegnare le proprie competenze, in particolare: • A settembre 2014 è stato emanato dal Ministro dell’economia e delle fi-

nanze il DM Economia 166/2014 in materia di investimenti dei fondi pen-sione, ovvero il nuovo Regolamento recante norme sui criteri e limiti di investimento delle risorse dei fondi pensione in attuazione dell’art. 6, comma 5-bis, del Decreto lgs. 252/2005, destinato a sostituire il DM Te-soro 703/1996.

• A dicembre 2014 si è conclusa la pubblica consultazione dello Schema di regolamento ministeriale di attuazione dell’art. 14, comma 3, del de-creto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011 n. 111, recante disposizioni in materia di investimento del-le risorse finanziarie degli enti previdenziali, dei conflitti di interesse e di depositario.

Sebbene si tratti di provvedimenti tra loro diversi (perché riguarderanno pla-tee distinte del panorama “previdenziale” italiano), si tratta di due testi che si prestano ad una lettura e ad un esame congiunti, se non altro perché gli articoli “cruciali” dei due testi normativi concernenti i limiti agli investimenti sono stati riprodotti in modo pressoché identico per entrambe le categorie di enti a cui sono rivolti.

La modifica della regolamentazione esistente, partendo dall’obiettivo di per-seguire gli interessi degli aderenti e dalla considerazione che l’investimento previdenziale ha una natura peculiare e differente da quello puramente fi-nanziario, si muove verso una maggiore attenzione alle capacità di cono-scenza e gestione degli investimenti e dei rischi a essi connessi. In parti-colare conferma il principio della sana e prudente gestione, da perseguirsi attraverso l’ottimizzazione della combinazione redditività-rischio, l’adeguata diversificazione degli attivi e dei rischi e di contenimento dei costi di transa-zione, gestione e funzionamento.

La riduzione delle restrizioni quantitative e l’allargamento delle opzioni di investimento sono accompagnate da una maggiore focalizzazione sui pro-cessi decisionali del fondo pensione, sulle capacità professionali e sull’ade-guatezza delle strutture organizzative.

Per i fondi pensione che coprono rischi biometrici o garantiscono un ren-dimento degli investimenti o un determinato livello delle prestazioni, di cui all’art. 7-bis del Decreto lgs. 252/2005, è richiamata, inoltre, l’attenzione sul-la necessità che la politica d’investimento preveda un approccio integrato tra l’attivo e il passivo, in modo da assicurare la continua disponibilità di attività idonee e sufficienti a coprire le passività.L’Ordine degli Attuari ha più volte ribadito, anche per gli Enti previdenziali (Casse) la necessità di una coerenza tra attività di investimento e struttu-ra delle passività, ossia la realizzazione di attività di ALM (Asset Liability Management) peraltro nella prassi già praticate nel panorama degli Enti previdenziali.

L’Attuario nei Fondi Pensione e nelle Casse di PrevidenzaAll’attività “riservata”, ovvero quella definita dalla normativa vigente che può essere svolta dai soli iscritti all’Ordine degli Attuari, che ha come am-bito di intervento le passività del Fondo Pensione (Liabilities), il nuovo qua-dro normativo indica una serie di aree “non riservate” riguardanti il lato attività del piano pensionistico su cui l’Attuario può esprimere le proprie conoscenze tecniche.

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Nei successivi due paragrafi vengono esaminate in dettaglio le due tipologie di servizi attuariali a supporto delle Aree sopra introdotte.

Le attività legate alle liabilities dei piani pensionisticiNell’ambito dei Fondi e delle Casse di Previdenza a «prestazione definita» ed in base alla normativa vigente, le principali valutazioni di competenza dell’Attuario inerenti le passività, si possono ricondurre sinteticamente a:

• la compilazione del bilancio tecnico, la previsione dei flussi annui delle entrate e delle uscite e analisi di sensitività (stress-testing);

• la costruzione di tavole per riscatto o trasferimento di posizioni previdenziali;• le valutazioni relative a varianti normative (naturalmente, quando queste

richiedono l’elaborazione di bilanci tecnici, si ricade nel punto 1);• l’analisi degli impegni assunti e dei flussi di passività per fornire indica-

zioni utili alle scelte di investimento e ad un più efficiente ALM.

Nell’ambito dei Fondi e delle Casse di Previdenza a «contribuzione defini-ta» le principali valutazioni di competenza dell’Attuario inerenti le passività, sono in gran parte riconducibili a quelle già illustrate con riferimento alle forme «a prestazione definita»:

• elaborazione di bilanci tecnici in caso di gestione diretta delle rendite, con proiezione per anno di gestione delle entrate contributive (distin-guendo, ove previste, le diverse componenti di gettito), delle uscite per prestazioni, delle spese di amministrazione e delle conseguenti disponi-bilità patrimoniali;

• calcolo dei premi per le eventuali coperture accessorie (invalidità e pre-morienza);

• determinazione dei coefficienti di conversione del montante contributivo in rendita;

• l’analisi degli impegni assunti e dei flussi di passività per fornire indica-zioni utili alle scelte di investimento e ad un più efficiente ALM.

La redazione di un bilancio tecnico, generalmente finalizzato alla individua-zione delle condizioni di equilibrio del Fondo o della Cassa di Previdenza, costituisce indubbiamente, per la sua complessità, la prestazione attuariale relativa alle passività più impegnativa.

Le valutazioni richieste dal bilancio tecnico necessitano, in linea di massi-ma, dei seguenti passi operativi:

• predisposizione del piano di lavoro, definizione delle metodologie e dei programmi di calcolo;

• raccolta dei dati di base, analisi e controllo degli stessi;• definizione del sistema di basi tecniche di natura demografica;• elaborazione delle previsioni;• analisi dei risultati;• analisi di sensitività (stress-testing);• relazione conclusiva.

Si utilizzano in genere metodologie che permettono l’esposizione dei risultati sia in forma sintetica - ossia attraverso il confronto tra le voci attive (patrimo-nio iniziale e future entrate contributive) e passive (oneri maturati e latenti) della gestione, espresse in termini di valori attuali medi alla data del bilancio tecnico, secondo lo schema riportato in Tavola 4 -che analitica, evidenzian-do, per ogni singolo anno del periodo di valutazione, le principali voci del conto economico e l’andamento del patrimonio netto (proiezioni di indubbia utilità ai fini di una corretta programmazione degli investimenti, come anche del controllo della liquidità e del livello di copertura delle riserve).

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Tavola 4

Fonte: DM 29 novembre 2007

Nell’ambito della redazione dei bilanci tecnici l’Attuario effettua in genere ulte-riori valutazioni con scenari di basi demografiche o economico-finanziari anche estremi (stress-testing).

Le suddette valutazioni possono, in determinati casi, costituire ulteriori ed utili elementi di valutazione della tenuta del Fondo o della Cassa di Previdenza, anche in presenza di condizioni negative, e essere realizzate allo scopo di prendere in considerazione con gradualità eventuali interventi correttivi.La costruzione di tavole per riscatto o trasferimento di posizioni previden-ziali possono avere un duplice scopo:

• determinare l’importo da versare da parte di un iscritto per ottenere il rico-noscimento, ai fini del diritto e/o della misura del trattamento, di periodi privi di copertura contributiva ma che la normativa interna consente di riscattare (servizio militare, corsi di studio, periodi di aspettativa per maternità etc.);

• determinare il valore della “posizione previdenziale” individuale allo scopo di consentirne la liquidazione o il trasferimento ad altra forma previdenziale.

Le valutazioni relative a varianti normative riguardano l’impatto sulle condi-zioni di equilibrio del Fondo o della Cassa di Previdenza di:

• innovazioni normative esterne al piano pensionistico che possono richiedere modifiche del Regolamento del piano o comunque incidere, positivamente o negativamente, sulle prospettive di sviluppo della gestione;

• modifiche del Regolamento del piano per decisione autonoma degli organi amministrativi dello stesso.

In ogni caso si tratta, in linea di massima, di confrontare le risultanze di bilanci tecnici redatti nel quadro normativo preesistente ed in quello modificato.

Le analisi degli impegni assunti e dei flussi di passività sono valutazioni che riguardano la stima delle passività e degli impegni del Fondo o della Cassa di Previdenza soprattutto nell’ottica della proiezione delle dinamiche dei cash-flow. Dal punto di vista metodologico, l’approccio è del tutto riconducibile ai processi individuati per la predisposizione dei bilanci tecnici, dove magari le fasi di analisi di sensitività (stress test), al caso anche stocastiche, potrebbero rivestire un peso maggiore.

In merito alla copertura dei rischi di invalidità e premorienza, c’è da dire che di regola i Fondi o Casse di Previdenza, si avvalgono di apposite convenzioni con Imprese assicurative. In tal caso l’Attuario può essere chiamato a prestare consulenza per la stipula delle suddette convenzioni e a verificare nel tempo l’andamento della sinistrosità, al fine di accertare la congruità del prezzo assi-curativo pagato dal Fondo o Cassa; analoga consulenza può essere prestata

SCHEMA DI BILANCIO TECNICO PER UN PIANO A PRESTAZIONE DEFINITA

Attività PassivitàPatrimonio netto Valore attuale medio delle pensioni in pagamen-

to ([4])

Valore attuale medio dei contributi dei:- iscritti alla data del bilancio tecnico- futuri iscritti

Valore attuale medio delle future prestazioni di:- iscritti alla data del bilancio tecnico- futuri iscritti

Valore attuale delle spese di amministrazione

Totale attività Totale passivitàDisavanzo tecnico Avanzo tecnicoTotale a pareggio Totale a pareggio

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a favore dei Fondi o Casse che si avvalgono di apposite convenzioni per l’ero-gazione delle rendite.

La costruzione di coefficienti di conversione in rendite dei “conti individuali” (o montanti contributivi) è un problema che si pone, evidentemente, per i soli Fondi o Casse che gestiscono direttamente le pensioni e non si avvalgono quindi di con-venzioni assicurative. La scelta delle basi tecniche dev’essere orientata agli stessi principi di prudenza adottati nell’individuazione delle basi tecniche per la redazio-ne dei bilanci tecnici, avendo cura di procedere ad un periodico aggiornamento delle stesse al variare del quadro economico-demografico-finanziario generale. Le attività a supporto della definizione della politica di investimentoUna attenta e consapevole gestione degli investimenti nei Fondi Pensione e delle Casse di Previdenza si realizza fondamentalmente con il raggiungimento di rendimenti attesi sufficientemente elevati, minimizzando allo stesso tempo il livello di rischiosità.

Per raggiungere tali obiettivi, la politica di investimento non può prescindere dalla valutazione congiunta di attività e passività (Asset-Liability Management), inoltre, l’implementazione ed il monitoraggio dell’asset allocation devono es-sere flessibili in modo tale da catturare l’evoluzione dei mercati dei capitali in armonia con l’equilibrio attuariale del fondo pensione.

Figura 1

Come il processo riportato in Figura 1, Il disegno di una politica di investimento deve iniziare con la chiara identificazione degli obiettivi di investimento nel con-testo di una governance adeguata. Riflettere le dinamiche del mercato, disegnare le politiche di investimento e im-plementarle, non riguarda esclusivamente l’allocation nel lungo termine dei titoli azionari, obbligazionari e degli altri attivi. Le politiche di investimento dei fondi pensione, infatti, devono incorporare un’allocazione del rischio ottimizzata ed una gestione dinamica per riflettere le condizioni dei mercati e l’interazione con i fattori demografici ed economici che ne regolano le risorse disponibili.

Figura 2

In Figura 2 è riportato un esempio di processo completo di implementazione e monitoraggio della politica di investimento. Attraverso un mix di modelli sto-

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castici e deterministici è possibile la valutazione dei rischi inerenti alle diverse strategie d’investimento, ed una valutazione della misura in cui gli aggiusta-menti possono essere utilizzati, sia per la mitigazione del rischio, sia per il rag-giungimento del livello desiderato di rendimento. Si consideri inoltre che l’identificazione del portafoglio con minor rischio è una parte fondamentale per comprendere, misurare, e gestire i rischi associa-ti all’asset allocation, per esempio attraverso strumenti di replica (replicating portfolios), in modo da delineare chiaramente un punto di partenza sostenibile su cui basare e confrontare strategie alternative volte al miglioramento della performance.Nei successivi paragrafi vengono riportati alcuni esempi di misurazione del-la performance, del rischio e delle metriche fondamentali, volte a definire le dimensioni di analisi necessarie alla definizione di una efficiente politica di investimento.

Asset performance measurementCome è possibile valutare la performance di un portafoglio di asset finanziari? Anche la media del rendimento di un portafoglio non risulta semplice da cal-colare se si considera un aggiustamento per il rischio inerente. Infatti, perché rendimenti di portafogli diversi possano essere paragonati, si deve procedere a tale aggiustamento, in modo da poter confrontare performance omogenee. Il metodo più semplice è quello di paragonare i rendimenti con quelli di altri portafogli finanziari con caratteristiche di rischio simili. Ad esempio, portafogli obbligazionari con alto rendimento (high yield) sono raggruppati in un universo, mentre i titoli azionari di crescita (growth stock) sono raggruppati in un altro universo, e così via.Sfortunatamente, le caratteristiche dei portafogli potrebbero non essere abba-stanza omogenee. Infatti, all’interno di uno specifico universo, i gestori potreb-bero essersi concentrati su aspetti particolari e diversi, tali da renderne fuor-viante il confronto.Per questi motivi sono nati i metodi per la valutazione aggiustata per il rischio (risk adjusted performance evaluation) sulla scorta dei lavori di Jack Treynor, William Sharpe, John Lintner e Jan Mossin.

Asset performance attributionGli studi di performance attribution cercano di scomporre la performance totale in componenti discreti che possono essere identificati con un livello specifico del processo di selezione o costruzione del portafoglio.La differenza tra la performance di un portafoglio gestito e un portafoglio benchmark può essere espressa come la somma dei contributi alla performan-ce di una serie di decisioni prese a vari livelli del processo di costruzione del portafoglio.Ad esempio, un sistema comune di attribution scompone la performance in tre componenti:

• Allocazione tra categorie di attivi• Allocazione all’interno della stessa categoria• Scelta degli attivi specifici o stock picking

Misurazione del rischio La seconda dimensione del problema di ottimizzazione della strategia di inve-stimento dopo la misurazione della performance è la misurazione del rischio inerente.

Misurazione del rischio di liquiditàSi definisce rischio di liquidità il rischio che il Fondo non riesca a far fronte ai propri impegni di pagamento quando essi giungono a scadenza. La misurazione del rischio di liquidità può essere effettuata in virtù della valu-tazione della posizione finanziaria netta attraverso costruzione di una “matu-rity ladder”, che consente di valutare l’equilibrio dei flussi di cassa attesi, at-

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traverso la contrapposizione di attività e passività la cui scadenza è all’interno di ogni singola fascia temporale. La maturity ladder consente di evidenziare i saldi e pertanto gli sbilanci tra flussi e deflussi attesi per ciascuna fascia temporale e, attraverso la costruzione di sbilanci cumulati, il calcolo del saldo netto del fabbisogno (o del surplus) finanziario nell’orizzonte temporale con-siderato.Alla sorveglianza della posizione netta di liquidità si deve affiancare l’adozio-ne di strumenti di attenuazione del rischio, quale è, tipicamente, il piano di emergenza (Contingency Funding Plan).

Misurazione del rischio di mercatoDi seguito vengono elencati le definizioni dei principali sotto-rischi che com-pongono il rischio di mercato:

• rischio di interesse: posizioni sensibili alle variazione dei tassi di interesse (Pct, FRA, IRS, Cap, Floor, Future su tassi, ...);

• rischio di spread: posizioni sensibili alle variazioni degli spread creditizi degli emittenti (Corporate Bond, Commercial Papers, ...), ovvero delle refe-rence entities (Credit Default Swap, Asset Backed Securities, ...);

• rischio corso azionario: posizioni sensibili all’andamento dei corsi azionari (titoli azionari, opzioni su titoli o indici, future su titoli o indici);

• rischio merci: posizioni sensibili all’andamento dei prezzi delle commodity (swap su commodity, forward e future su commodity, opzioni su commodity);

• rischio di cambio: posizioni in valuta il cui valore di mercato è sensibile ai cambiamenti dei tassi di cambio (ne sono soggetti, ad esempio, tutti gli stru-menti menzionati quando vengono negoziati in una valuta diversa da quella di riferimento);

• rischio di volatilità: riguarda tutte le posizioni sensibili alla variazione della volatilità del sottostante (tutto ciò che ha carattere opzionale, ad esempio);

• rischio di correlazione: posizioni composte da basket di strumenti (p.e. di CDS o di equity), che risultano pertanto sensibili all’andamento correlato dei loro sottostanti (p.e. iTraxx Indices, Equity Basket);

• rischio inflazione: posizioni direttamente sensibili all’andamento dei tasso d’inflazione dell’area di riferimento (p.e. Bond e Swap Inflation Linked);

• rischio dividendi: posizioni in strumenti azionari, sensibili alle variazioni del dividend yeld (p.e. Equity Swap, Total Return Swap.

Per la misurazione dei rischi sopra elencati dovranno essere calcolati i relativi VaR o CVaR (conditional VaR) del portafoglio tramite metodi parametrici (basati sulla distribuzione dei risk drivers sottostanti) o simulativi (in base a scenari economici).

A titolo di esempio gli step per il calcolo del VaR tramite i modelli parametrici potrebbero prevedere:

• mapping, ovvero definizione delle posizioni standardizzate relative ai singoli fattori di rischio;

• stima di volatilità e correlazioni dei fattori di rischio, quindi delle posizioni standardizzate sulla base dell’ipotesi di linearità;

• combinazione di varianze e correlazioni da un lato e posizioni standardizza-te dall’altro per il calcolo del VaR.

Poiché i modelli parametrici presentano spesso alcuni limiti, ad esempio nel caso gli attivi presentino pay-offs non lineari (difficoltà di mapping delle posizio-ni) o i risk drivers abbiano una struttura di dipendenza non lineare (difficoltà di stima della distribuzione congiunta), i modelli simulativi possono offrire spesso un utile complemento alle analisi.

Misurazione del rischio di creditoLa quantificazione del VaR creditizio ad esempio ai sensi della metodologia

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Credit Metrics è data da due fasi distinte:

1. Quantificazione delle distribuzioni marginali dei valori di tutte le singole po-sizioni in funzione degli stati di credit quality

2. Definizione della distribuzione congiunta delle variabili che descrivono la credit quality di ogni controparte

Con riferimento al punto 1, si rende necessario determinare i seguenti parametri:

• Rating grade e probabilità di default associata alla controparte: reperibile dai rating di agenzia assegnati alle emissioni in portafoglio

• Matrici di migrazione fra classi di rating, reperibili da pubblicazioni agenzie di rating

• Recovery rate atteso, desumibile dalla tipologia di facility• Serie storica degli asset return delle posizioni considerate

Con riferimento al punto 2, per ridurre la dimensionalità del problema, la solu-zione adottata ad esempio nella metodologia CreditMetrics consiste nel map-pare gli asset returns delle singole controparti ad un insieme limitato di fattori sistematici (indici azionari settoriali per i principali paesi), di cui vengono stima-te le volatilità e la matrice di correlazione.

Metriche fondamentaliLa valutazione (rischio/rendimento) delle diverse allocazioni, svolto per mezzo di simulazioni stocastiche, viene infine completata analizzando anche il rischio associato a metriche fondamentali (key metrics), come ad esempio, la proba-bilità che il “funding ratio” o la capitalizzazione del fondo, scenda al di sotto di un determinato livello.

ConclusioniL’Attuario si presenta come una figura altamente qualificata per lo svolgimento delle attività inerenti non solo alla valutazione delle obbligazioni attuali e pro-spettiche nei confronti degli iscritti (liabilities) dei Fondi Pensione, ma anche per la quantificazione e l’individuazione dei rischi tecnici all’interno dell’imple-mentazione di un modello quantitativo a supporto della politica di investimento in ottica ALM.

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2. Il ruolo dell’attuario nell’analisi dei bisogni previdenziali PremessaIl sistema di previdenza come noto è articolato in tre pilastri, il primo, quello di base, di natura obbligatoria, il secondo di natura volontaria, rappresentato dalla previdenza complementare, erogata da Fondi Negoziali, Fondi aperti e PIP e infine, il terzo, costituito dalle coperture assicurative private, che non sarà oggetto di trattazione.Il sistema previdenziale di primo pilastro: si manifesta, come già indicato nel precedente paragrafo, in un complesso e articolato panorama di gestio-ni previdenziali alcune pubbliche e altre private, gestite in via generale con sistemi finanziari a “prevalente” ripartizione (costituiscono un’eccezione gli Enti di previdenza ex D.lgs... n. 103/1996). Queste gestioni sono, per la mag-gioranza, attualmente caratterizzate da sistemi di calcolo della prestazione di tipo contributivo, nei quali il livello finale della prestazione risulta fortemente connesso al livello della contribuzione, alla durata del periodo di contribuzio-ne, al sistema di rivalutazione del montante contributivo e al coefficiente di trasformazione.Nel seguito è riportata una fotografia al 2013 delle forme di previdenza ob-bligatoria, in termini di numero di contribuenti, dedotta dal “Il Bilancio del sistema Previdenziale Italiano - Andamenti finanziari e demografici delle pen-sioni e dell’assistenza”, a cura del Comitato Tecnico Scientifico di Itinerari Previdenziali.

Tavola 5 Numero di contribuenti del sistema previdenziale italiano

(*) anno 2013

Fonte: “Il Bilancio del sistema Previdenziale Italiano - Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza”, a cura del Comitato Tecnico Scientifico di Itinerari Previdenziali.

Il numero totale degli iscritti a forme di previdenza obbligatoria nel 2013 è pari a circa 24.000 migliaia di unità.

Il sistema previdenziale di secondo pilastro: la pensione complementare, come detto, è erogata tramite fondi pensione negoziali, fondi pensione aperti e PIP. Il sistema finanziario di gestione prevalente è quello della capitalizzazione individuale, fanno eccezione alcuni fondi pensione preesistenti che sono gestiti con sistemi finanziari a capitalizzazione collettiva.Nella seguente tavola è riportata la distribuzione dei fondi pensione come risulta dalla rilevazione effettuata dalla Covip e presentata nell’ultima Relazione per l’anno 2014.

Tipologia Lavoratori Numero contribuenti (mgl) (*)Lavoratori dipendenti privati(fpld, trasporti, telefonici, elettrici, volo, spedizio-nieri doganali, credito. ffss, inpdai, istituto giorna-listi, enpals, ipost)

13.460

Lavoratori dipendenti pubblici (cpdel, cpi, cps, cpug, ctps, gestione prestazioni creditizie e sociali, inadel, enpas, enpdep,enam)

3.040

Artigiani 1.773

Commercianti 2.193

Coltivatori diretti, coloni e mezzadri 457

Liberi professionisti (enpacl, enpav, enpaf, cnpaf, inarcassa, cipag, cnpr, cnpadc, cnn, enpam, inpgi, enpab, enpaia, epap,eppi, enpap, enpapi, inpgi (gestione separata)

1.191

Fondo clero 19

Lavoratori parasubordinati 1.536

Totale integrativi (tra le Gestioni INPS) 264

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Tavola 6 Forme pensionistiche complementari. Iscritti per condizione professionale(dati di fine 2014)

Fonte: Relazione Covip 2014

In definitiva circa il 27% dei lavoratori ha aderito a forme di previdenza com-plementare.Le forme di previdenza di primo e secondo pilastro oltre ad avere come ovvio una diversa funzione sociale, hanno anche caratteristiche tecniche differenti, in particolare con riguardo a: • sistemi finanziari di gestione (ripartizione vs capitalizzazione);• misure di sostenibilità; • elementi di solidarietà; • sistemi di rivalutazione della prestazione;• prestazioni accessorie, come quelle di morte e invalidità;• sistemi di rivalutazione dei montanti (media PIL vs rendimenti di gestione)• trattamento fiscale.

Nei successivi paragrafi sarà esplicitato il ruolo che l’attuario può svolgere nell’in-dividuazione e nella stima dei bisogni previdenziali, con la finalità di contribuire alla definizione di un sistema allargato di welfare efficiente, adeguato e flessibile. In particolare si passerà da un’analisi dei bisogni previdenziali degli iscritti ad una gestione pensionistica ad una mappatura dei bisogni di welfare, suddivisi per tipologia di rischio, analizzando le eventuali modalità di finanziamento per tipo di prestazione.

Lo studio dei bisogni previdenziali degli iscritti ad una gestione pensionisticaTra le necessità di una gestione pensionistica è sicuramente prioritaria quel-la di conoscere i bisogni previdenziali dei propri aderenti; al riguardo si fa presente che i bisogni di welfare sono andati modificandosi nel tempo in re-lazione alle modifiche legislative intervenute con riferimento all’innalzamento dei requisiti di pensionamento e all’allungamento della speranza di vita. Tale conoscenza quindi è, per gli Organi di amministrazione delle gestioni previ-denziali, di supporto:1. per la definizione di una coerente politica degli investimenti;2. per il controllo dei rendimenti effettivamente realizzati nei diversi comparti di

investimento (o prevista nell’asset allocation strategica) rispetto agli obiettivi di adeguatezza;

3. per la verifica di comportamenti “specifici” della popolazione di riferimento per la definizione di politiche di welfare più performanti (per le quali eviden-

temente potrebbe essere necessario il supporto anche di altre professiona-lità e in taluni casi di modifiche normative).

La variabile sulla quale si basa generalmente l’analisi dei bisogni previdenziali di un collettivo è il tasso di sostituzione (rapporto tra la prima rata di pensione e l’ulti-

Lavoratori dipendenti Lavoratori autonomi (1)

TotaleSettore privato Settore pubblico

Fondi pensione negoziali 1.769.084 169.893 5.299 1.944.276

Fondi pensione aperti (2) 472.270 583.446 1.055.716

Fondi pensione preesistenti 624.402 3.188 22.543 650.133

PIP “nuovi” (2)(3) 1.500.805 945.179 2.445.984

PIP “vecchi” (2)(4) 159.652 307.603 467.255

Totale (5) 4.527.509 173.081 1.839.346 6.539.936

1 Sono inclusi anche gli iscritti che non risulta svolgano attività lavorativa.2 I dati relativi agli iscritti lavoratori del pubblico impiego non sono disponibili ma si ritiene che siano poco rilevanti, si è pertanto ipotizzato che tutti gli aderenti lavoratori dipendenti facciano riferimento al settore privato.3 PIP conformi al Decreto lgs. 252/2005.4 PIP istituita precedentemente alla riforma del 2005 e non adeguati al Decreto lgs. 252/2005.5 Nel totale si include FONDINPS: sono scluse le duplicazioni dovute ai lavoratori che aderiscono con-temporaneamente a PIP “nuovi” e “vecchi”.Fonte: Relazione Covip 2014.

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ma retribuzione) nelle due componenti, quota obbligatoria e quota complementa-re (ove presente). Per la stima del tasso di sostituzione, quindi, è necessario cal-colare l’importo della pensione di base e quello della pensione complementare.

In questo contesto le finalità delle valutazioni attuariali possono essere duplici:• l’analisi della distribuzione dei tassi di sostituzione sottostanti ad una “nuvola

di rendimenti”• la definizione di una curva di rendimenti obiettivo tenendo conto di un prefis-

sato livello di tasso di sostituzione.Inoltre le valutazioni finalizzate all’analisi dei bisogni previdenziali dovrebbero pre-vedere l’effetto di eventuali anni di interruzione della contribuzione, di esodi antici-pati e infine il ricorso alle anticipazioni come forma di sostegno al reddito (per gli iscritti a forme di previdenza complementare e nei limiti indicati dalla normativa).

Definito l’obiettivo, l’analisi delle necessità previdenziali di un collettivo si svilup-pa nelle seguenti fasi:1. analisi del contesto normativo e statutario vigente;2. raccolta di dati puntuali sulla collettività oggetto valutazione; 3. studio delle caratteristiche socio-demografiche del collettivo, stratificazione

del collettivo in relazione ai bisogni previdenziali e individuazione di profili previdenziali;

4. stima delle grandezze non disponibili per il completamento dei profili previ-denziali;

5. definizione di “profili standard” nel caso di individuazione del TIR medio; 6. individuazione del quadro di ipotesi; 7. esecuzione delle valutazioni rispetto all’obiettivo convenuto con gli Organi di

amministrazione della gestione previdenziale;8. analisi dei risultati delle elaborazioni.

Nel seguito vengono descritte in modo più dettagliato le singole fasi. Per sem-plicità la trattazione riguarda in particolare l’analisi dei bisogni previdenziali de-gli iscritti ad una forma di previdenza complementare.

Analisi del contesto normativo e statutario vigenteL’analisi del contesto normativo deve condurre ad una conoscenza approfon-dita delle norme che regolano il fondo in esame, con riferimento all’unico o ai diversi CCNL coinvolti, alla configurazione in termini di comparti finanziari e alla struttura delle spese. In aggiunta alle predette caratteristiche proprie del fondo è necessario cono-scere le norme che disciplinano la previdenza pensionistica complementare (D.lgs. n. 252/2005) con particolare riferimento al sistema delle anticipazioni e agli istituti del trasferimento e del riscatto.Infine per l’analisi dei bisogni previdenziali la conoscenza deve essere estesa alla normativa di base, con particolare riguardo al sistema di calcolo della pre-stazione obbligatoria e ai requisiti di accesso alla prestazioni.

Raccolta di dati puntuali sulla collettività oggetto di valutazione Ai fini dello svolgimento del lavoro è necessario disporre di un data-base com-pleto, riguardante gli iscritti alla data di valutazione riferito a un numero congruo di anni pregressi (di norma in totale un quinquennio) contenente le principali informazioni di natura anagrafica ed economica (retribuzione, contribuzione, posizione maturata), il comparto d’investimento, il numero e l’importo delle an-ticipazioni ed ogni eventuale ulteriore informazione che si renda necessaria in relazione allo Statuto di riferimento.Al fine di procedere con la costruzione delle basi tecniche è inoltre necessario raccogliere informazioni specifiche sulle cessazioni dal fondo ed eventualmen-te sui nuovi ingressi.I dati raccolti sono oggetto di un dettagliato controllo, talvolta infatti possono contenere delle incongruenze (ad esempio tra aliquote di contribuzione e am-

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montare della contribuzione stessa), che devono essere risolte per non inficiare i risultati dell’analisi.

Studio delle caratteristiche socio-demografiche del collettivo, stratificazione del collettivo in relazione ai bisogni previdenziali e individuazione dei profili previdenziali stima delle grandezze non disponibili per il completamento dei profili previdenziali.

Lo studio delle caratteristiche socio-demografiche del collettivo riveste un ruolo rilevante ai fini dell’individuazione dei profili di riferimento. Per giungere alla de-finizione di profili rappresentativi del fondo pensione vengono di norma realiz-zati numerosi raggruppamenti e stratificazioni, ottenuti combinando gli elementi caratterizzanti le singole posizioni: il contratto di lavoro, l’età, l’anzianità di iscri-zione, il sesso, il comparto di investimento, la retribuzione, l’aliquota di contri-buzione. Tanto più esaustiva e analitica sarà la stratificazione del collettivo tanto più elevate saranno le possibilità di individuare profili pensionistici “efficaci”.

Per comprendere la tipologia di studio da realizzare si osserva, a mero titolo di esempio , che l’analisi delle caratteristiche socio-demografiche del collettivo potrebbe mettere in evidenza come la distribuzione degli iscritti per classi di importi retributivi e per anzianità di iscrizione non abbia un andamento rego-lare che possa essere rappresentato da una funzione matematica, a causa della concentrazione di adesioni nell’anno di costituzione del fondo nonché delle adesioni avvenute nel 2007 (a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 296/2006); analogamente dalla stessa analisi potrebbe emergere che la distribuzione degli iscritti per classi di importi retributivi e per età individui un andamento regolare ben rappresentabile da una funzione matematica, con-sentendo di suddividere il collettivo in gruppi di iscritti con carriere omoge-nee (basse, medie e alte). Inoltre in taluni casi il sesso può rappresentare un elemento caratterizzante rispetto al livello e all’andamento delle retribuzioni.

Al fine di garantire la “normalizzazione” dei profili pensionistici, privandoli di ele-menti che potrebbero risultare particolari od univoci, è opportuna la ricostruzione anche di informazioni rilevate, quali ad esempio la retribuzione utile ai fini del TFR ed il montante dei contributi versati. Tale ricostruzione, come anche la stima delle grandezze mancanti, quali, solitamente, l’età di prima iscrizione alla previdenza, gli anni di anzianità contributiva, le retribuzioni precedenti la data di riferimento delle valutazioni, il montante dei contributi versati utile per la quota contributiva INPS, deve essere effettuata attraverso un’analisi dei dati rilevati.

Sui dati rilevati vengono infatti determinate oltre alla retribuzione iniziale al momento dell’ingresso nella previdenza di base, generalmente variabile in funzione dell’età di ingresso e del sesso, anche le linee retributive, che richiedono la definizione del periodo medio di carriera, del rapporto tra retribuzioni medie finale ed iniziale, dell’andamento degli aumenti retributivi nel predetto periodo. Al fine di utilizzare i dati grezzi rilevati vengono utilizzate metodologie di perequazione analitica.

Una volta definite le linee retributive, queste ultime vengono di norma verificate, tramite un confronto tra le retribuzioni teoriche, ricostruite adottando le retribuzio-ni iniziali e le linee retributive costruite sui dati rilevati, e le retribuzioni effettive. Come detto le linee retributive vengono utilizzate anche per la costruzione del-le future retribuzioni e quindi dei montanti contributivi al pensionamento. Per la stima dei montanti contributivi pregressi si è soliti considerare i rendimenti effettivamente realizzati nei singoli comparti di appartenenza, eventualmente facendo una media ponderata tra i diversi comparti.

Riguardo alle linee retributive si fa presente che per la previsione futura potreb-be risultare necessario effettuare una modifica delle linee retributive costruite sui dati rilevati per tenere conto delle prospettive di breve-medio periodo riguar-danti il mercato del lavoro e le connesse dinamiche salariali.

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Definizione di “profili standard”Nelle valutazioni realizzate con l’obiettivo di determinare un TIR medio, per du-rata residua di iscrizione, potrebbe essere utile eseguire l’analisi esclusivamen-te su “profili standard”, procedendo poi ad effettuare una media ponderata dei risultati ottenuti con i “pesi” che all’interno della collettività sono attribuibili a ciascuna caratteristica. In questa fase del lavoro rivestono un ruolo chiave i competenti Organi del fondo, che possono mettere a disposizione le loro cono-scenze riguardo al collettivo di riferimento per coadiuvare l’attività dell’attuario nella definizione dei profili standard.

Individuazione del quadro di ipotesi Lo scenario di ipotesi deve essere definito tenendo conto della normativa vigen-te, delle regole statutarie del fondo, dello scenario macroeconomico e delle spe-cificità degli iscritti oggetto delle valutazioni. Le ipotesi da definire riguardano:

• il tasso di inflazione monetaria: di norma conforme alle ipotesi dello scenario base sottostante le previsioni di medio - lungo periodo del sistema pensioni-stico pubblico elaborate per il Documento di Economia e Finanza - DEF;

• il livello del PIL: di norma conforme alle ipotesi dello scenario base sotto-stante le previsioni di medio-lungo periodo del sistema pensionistico pubbli-co elaborate per il Documento di Economia e Finanza - DEF;

• i coefficienti di trasformazione in rendita delle posizioni individuali: calcolati con le ipotesi previste dalla Covip nei prospetti esemplificativi;

• i coefficienti di trasformazione del montante riferito alla quota contributiva INPS: calcolati in relazione alle previsioni di legge e periodicamente aggior-nati in relazione all’andamento della speranza di vita;

• il tasso annuo di incremento delle retribuzioni per rinnovi contrattuali: di nor-ma pari al tasso di inflazione ipotizzato;

• le linee di carriera: definite sulle retribuzioni del collettivo;• il tasso di rendimento per comparto:

1. valore annuale medio2. curva di rendimenti3. “nuvola di rendimenti”4. TIR

• la probabilità di passaggio tra comparti: definita, per età o per anzianità, in relazione alle caratteristiche della collettività (eventuale sistema di life-cycle);

• la probabilità di richiedere anticipazioni: definita, per età o per anzianità, in relazione alle caratteristiche della collettività;

• le spese di amministrazione e di gestione: definite in misura pari a quelle vigenti nel fondo, eventualmente indicizzate;

• i requisiti di pensionamento: scelti in relazione alla tipologia di attività (ad esempio: lavoratore autonomo o dipendente privato);

• le ipotesi contributive: possono essere adottate ipotesi di costanza contribu-tiva o di presenza di vuoti contributivi (ad esempio nei primi 3 o 5 anni prima del pensionamento).

Esecuzione delle valutazioni rispetto all’obiettivo convenuto con il fondo pensioneUna volta definiti i profili e il quadro di ipotesi si può passare ad effettuare le elaborazioni, che come detto possono avere lo scopo di:

a. analizzare la distribuzione dei tassi di sostituzione sottostanti ad una “nuvola di rendimenti”;

b. definire una curva di rendimenti obiettivo tenendo conto di un prefissato li-vello di tasso di sostituzione.

Obiettivo ALe valutazioni di cui alla lettera A se realizzate utilizzando una nuvola di rendi-menti consentono di addivenire ad una distribuzione di tassi di sostituzione per ciascun profilo, per la quale, oltre al valore medio può essere fornito anche il va-

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lore del 1° percentile; tale valore può considerarsi un valore minimo (“peggiore” tasso di sostituzione) in quanto evidenzia il livello di tasso di sostituzione entro il quale si posiziona solo l’1% delle replicazioni effettuate, mentre il restante 99% raggiunge livelli di tasso di sostituzione superiori. L’analisi dei risultati può consentire di individuare il valore medio della distri-buzione del tasso di sostituzione, al variare delle caratteristiche dei profili, con riferimento alla durata della contribuzione, al livello della stessa, alla presenza di irregolarità contributiva nel periodo precedente il pensionamento.

Un secondo livello di analisi può essere realizzata anche tra il valore medio e il valore del tasso di sostituzione riferito al 1° percentile con riguardo a ciascun comparto d’investimento e anche tra i diversi comparti.

Una volta individuati il/i profilo/i maggiormente esposti ad avere tassi di sosti-tuzione al di sotto della soglia considerata adeguata è plausibile l’introduzione, di un’opportuna informativa a favore degli iscritti interessati e contemporanea-mente, per i restanti profili, per i quali il binomio rappresentato dal I° e II° pilastro risultano dare luogo ad un “eccesso di rendita”, potrebbero essere introdotti, attraverso modifiche normative, nuovi elementi di flessibilità nel II pilastro, tali da coprire i nuovi bisogni di welfare (ad esempio una riduzione dell’orario di lavoro prima del raggiungimento dei requisiti di pensionamento).

Obiettivo BLa realizzazione dell’obiettivo B passa necessariamente per l’individuazione di un tasso di sostituzione obiettivo.

Una volta definito il tasso di sostituzione obiettivo, pari generalmente al 75-80% possono essere definiti per ciascun profilo i TIR necessari, sotto le restanti ipo-tesi, per il raggiungimento del suddetto tasso di sostituzione. I valori dei TIR calcolati con riferimento a ciascun profilo possono quindi essere raggruppati, tramite apposite medie ponderate, rispetto agli elementi più si-gnificativi che li caratterizzano (ad esempio: sesso, tipologia di contribuzione.. etc), con la finalità di tradurli in obiettivi di rendimento al variare della durata residua di iscrizione e quindi dell’orizzonte temporale di investimento.

Una volta definiti i valori del TIR medi, la loro applicazione ai diversi profili con-sente d’individuare quelli per i quali il tasso di sostituzione risulta superiore a quello obiettivo (in quanto eventualmente già superato dalla sola previdenza di base) e quei profili per i quali non è raggiunto il tasso di sostituzione obiettivo.

Detta analisi rappresenta un supporto decisivo nella definizione della politica di investimento del fondo pensione.

La mappatura dei bisogni di welfare dei lavoratoriL’analisi dei bisogni previdenziali degli iscritti a un fondo pensione rappresenta il primo passaggio per la costruzione di un efficace sistema di welfare allarga-to. Detto sistema è caratterizzato da una serie di bisogni, alcuni dei quali già coperti dai Fondi pensione, che possono essere sintetizzati nello schema di seguito riportato, con riferimento a classi omogenee di rischio.

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Tavola 7 I bisogni dei lavoratori

Fonte: elaborazione degli autori

Una volta individuato il bisogno previdenziale sarà necessario definire:• la tipologia di prestazione;• il sistema di finanziamento.In particolare con riferimento alle tipologie di finanziamento si può prevedere un finanziamento:• “implicito”, mediante prelievo di una quota di contribuzione già dedicata a co-

perture integrative esistenti (per fondi pensione complementari e fondi sanitari);• “esplicito”, mediante apposita contribuzione integrativa da parte del lavora-

tore (o del pensionato) ed eventualmente del datore di lavoro;• “derivato”, mediante prelievo di una quota del montante contributivo accu-

mulato presso il fondo pensione;• “modulare” o a “vita intera”, mediante versamento di un contributo sempre

uguale (fisso o in percentuale) la cui destinazione si “sposta”.Per quanto riguarda la tipologia di prestazione e il sistema di finanziamento, a titolo di esempio, per i bisogni che non risultano già coperti dai Fondi pensione si può individuare:

Tavola 8 Le prestazioni e il sistema di finanziamento

Fonte : elaborazione degli autori

Bisogno Prestazione FinanziamentoCopertura in caso di periodi di disoccupazione a seguito di licenziamento

- Prestazione aggiuntiva sotto forma di capitale- Contribuzione nel periodo di disoccupazione

Contributo annuo a carico del lavoratore stimato tenendo conto delle specifiche caratte-ristiche della collettività oggetto di valutazione

Reintegro anticipazioni (es. per spese sanitarie)

Reintegro parziale o totale delle anticipazioni percepite per spe-cifici e limitati motivi (es. salute)

Da valutare la presenza di una copertura assicurativa

Non autosufficienza LTC nel periodo di attività Tramite contributo annuo in misura percentuale del reddito

Copertura in caso di riduzione dell’orario di lavoro

Pagamento dei contributi Erogazione di una rendita temporanea

Tramite utilizzo di una quota pari al 30% o al 50% del montante accumulato

Sostegno al reddito da pensionato

Pagamento da parte del fondo pensione di una rendita vitalizia differita

Tramite l’utilizzo di una quota del montante contributivo accumulato al pensionamento

Classe di bisogni

Definizione Caratteristiche lavorative/pensionistiche

Età in anni

Bisogno di welfare

I Ingresso in attività

Periodo di apprendistato o di contratto a tempo determinato

25 Riduzione del livello minimo di contribuzione obbligatoriaCopertura in caso di periodi di inoccupazioneLTC da attivo

II Lavoratore standard

Contratto a tempo inde-terminato

40 Prestazioni in caso di premorienza/invaliditàAnticipazioniCopertura in caso di periodi di disoccupazioneLTC da attivo Assistenza sanitaria

III Lavoratore “anziano”

Riduzione delle ore di lavoro o uscita dall’atti-vità SENZA il diritto alla prestazione pensionistica di base

60/65 Prestazioni in caso di premorienza/invaliditàAnticipazioniCopertura in caso di riduzione dell’orario di lavoroLTC da attivoAssistenza sanitaria

IV Pensionato “giovane”

Percezione della pensio-ne INPS

66/67 LTC da pensionatoAssistenza sanitaria

V Pensionato “anziano”

Probabile minore auto-nomia

76/78 LTC da pensionatoAssistenza sanitariaSostegno al reddito da pensionato

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3. Il regolamento di attuazione dell’art.7 bis, comma 2 D.lgs.n. 252/2005Principali disposizioni del Decreto n. 259 del 7.12.2012In data 19.2.2013 è stato pubblicato in GU il Decreto del Ministero dell’Econo-mia e delle Finanze n. 259/2012 (nel seguito “Decreto”): “Regolamento recante attuazione dell’art. 7-bis, comma 2, del D.lgs.n. 252/2005, recante i principi per la determinazione dei mezzi patrimoniali di cui devono dotarsi i fondi pensione che coprono rischi biometrici, che garantiscono un rendimento degli investi-menti o un determinato livello di prestazione”.Il citato art. 7-bis è stato introdotto dal D.lgs. n. 28/2007 in attuazione della direttiva 2003/41/CE in tema di attività e di supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali (Direttiva IORP).In via preliminare si sottolinea che il Decreto riconosce l’attuario iscritto all’Albo quale unica figura professionale preposta al calcolo e alla certificazione delle riserve tecniche dei fondi pensione.

Nel seguito sono riportate in sintesi le principali norme del Regolamento di cui al Decreto che interessano le valutazioni attuariali:

• art. 2: l’ambito di applicazione del Decreto riguarda i fondi pensione che co-prono i rischi biometrici, che garantiscono un rendimento degli investimenti o un determinato livello delle prestazioni o erogano direttamente le rendite, i cui impegni finanziari non siano assunti da intermediari già sottoposti a vigi-lanza prudenzial;

• art. 3, comma 4: è previsto che il fondo pensione trasmetta alla COVIP, con cadenza almeno triennale, un bilancio tecnico contenente proiezioni riferite ad un arco temporale individuato tenendo conto delle norme statutarie e delle caratteristiche del fondo e comunque non inferiori a trenta anni;

• art. 4, comma 1: sono definiti i principi di calcolo delle riserve tecniche, le quali devono risultare adeguate agli impegni finanziari assunti nei confronti degli iscritti attivi, dei pensionati e dei beneficiari; il fondo pensione deve disporre in qualsiasi momento di attività sufficienti a copertura di dette riserve tecniche;

• art. 4, comma 2: è stabilito che il calcolo delle riserve sia effettuato e certifi-cato da un attuario ogni anno, ovvero ogni tre anni qualora il fondo fornisca a COVIP una certificazione dell’attuario con l’evoluzione della situazione tec-nica, attestando altresì la congruità degli adeguamenti delle riserve;

• art. 4, comma 3, punto a): viene definito l’importo minimo delle riserve tec-niche, che deve essere calcolato su base individuale tenendo conto degli iscritti al fondo alla data di valutazione, secondo un metodo attuariale pro-spettivo sufficientemente prudente tenuto conto di tutti gli impegni per pre-stazioni e contributi conformemente alla disciplina pensionistica del fondo pensione. L’importo minimo deve assicurare la prosecuzione dell’erogazio-ne ai beneficiari delle pensioni e delle altre prestazioni di cui è già iniziato il godimento e consentire di far fronte agli impegni derivanti dai diritti già maturati dagli aderenti;

• art. 4, comma 3, punto b): vengono definite le basi tecniche economiche, demografiche e finanziarie da utilizzare per il calcolo delle riserve tecniche, la cui scelta deve essere ispirata a principi di prudenza; in particolare i tassi d’interesse sono scelti in funzione del rendimento degli attivi corrispondenti, dei rendimenti attesi degli investimenti e non possono superare il tasso di interesse adottato per la proiezione del debito pubblico nel medio e lungo periodo di cui all’art. 3, comma 2, del decreto del Ministro del lavoro e della Previdenza sociale del 29 novembre 2007; le tavole biometriche da utilizzare devono tener conto delle principali caratteristiche del gruppo degli aderenti

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al fondo pensione e dei mutamenti previsti nei rischi rilevanti;• art. 4, commi 4-6: sono contenute le previsioni in caso di mancata copertura

delle riserve tecniche, consistenti nell’elaborazione di un piano di riequilibrio concreto e realizzabile, che tenga conto della situazione specifica del fondo, della struttura attività-passività, del profilo di rischio, delle esigenze di liqui-dità, del profilo d’età dei pensionati e degli iscritti attivi; il piano è soggetto ad approvazione da parte della COVIP;

• art. 5: è fissata la misura delle attività supplementari, pari al 4% delle riserve tecniche, salve diverse percentuali indicate da COVIP;

• art. 6: è disciplinata la fattispecie connessa alla mancata costituzione di mezzi patrimoniali adeguati alle previsioni del Decreto, che prevede la pos-sibilità da parte della COVIP di limitare o vietare la disponibilità dell’attivo del fondo anche mediante interventi limitativi dell’erogazione delle rendite in corso di pagamento e di quelle future;

• art. 7: nelle disposizioni transitorie e finali viene infine previsto il termine entro il quale devono essere costituite le attività supplementari (dieci anni) per i fondi pensione che già rientrano nell’ambito di applicazione del Decreto alla data di entrata in vigore, attraverso accantonamenti annuali proporzionali, e quello entro cui deve essere comunicato alla COVIP il piano di accumulazio-ne di tali attività (un anno dall’entrata in vigore del Decreto).

Il 28 giugno 2013 è stato inoltre emanato il Decreto Legge n. 76 che introduce il comma 2-bis all’art. 7-bis del D.lgs. n. 252/2005; tale comma dispone che qualora i fondi pensione che procedono all’erogazione diretta delle rendite non dispongano di mezzi patrimoniali adeguati in relazione al complesso degli im-pegni finanziari esistenti, le fonti istitutive possono rideterminare la disciplina, oltre che del finanziamento, delle prestazioni, con riferimento sia alle rendite in corso di pagamento sia a quelle future. Tali determinazioni sono inviate alla COVIP per le valutazioni di competenza.

Si ricorda infine che, con circolare COVIP del 7.5.2014, sono state fornite indi-cazioni circa l’applicazione del Regolamento attuativo dell’art. 7-bis, comma 2, del D.lgs. n. 252/2005, con particolare riferimento alla predisposizione e moni-toraggio dei piani di riequilibrio e alla costituzione delle attività supplementari, nonché alle tempistiche degli adempimenti in sede di prima applicazione.

Le valutazioni attuariali nell’ambito delle regole di solvibilità introdotte dal Decreto n. 259 del 7.12.2012Come noto i fondi pensione interessati alle previsioni del Decreto sono stati quasi esclusivamente i Fondi prensione preesistenti, senza “garanzia” di sol-vibilità da parte di un intermediario già sottoposto a vigilanza prudenziale. Le valutazioni attuariali realizzate a seguito dell’applicazione delle nuove regole di solvibilità si differenziano in relazione alle caratteristiche del Fondo pensione, in merito al sistema finanziario di gestione, alla tipologia di prestazione erogata (a contribuzione definita o a prestazione definita) e alla collettività degli iscritti.

In particolare le previsioni del Decreto riguardo al calcolo della riserva minima degli attivi sono immediatamente applicabili nel caso di sistemi finanziari di gestione a capitalizzazione individuale, nei quali il valore dell’impegno matura-to in capo all’iscritto è identificabile con il conto individuale intestato all’iscritto stesso - il finanziamento della forma è realizzato imputando in capo a ciascun iscritto l’ammontare della contribuzione necessaria a finanziare la sua futura prestazione. La riserva minima può assumere invece valori differenti nei casi in cui il sistema finanziario di gestione sia a capitalizzazione collettiva, ossia nel caso in cui l’equilibrio attuariale sia stabilito per l’intera collettività degli iscritti e fino alla completa estinzione della stessa.

Tale sistema finanziario di gestione a capitalizzazione collettiva implica infatti una solidarietà assicurativa che non rende univoca la metodologia utilizzabile

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nel calcolo degli impegni previsti nella riserva minima.Il Decreto prevede che le valutazioni siano realizzate a “gruppo chiuso”, ossia che gli impegni debbano essere calcolati su quanto già maturato per gli iscritti presenti a tale data e che il periodo di previsione si debba estendere fino ad esaurimento degli impegni.

Tenuto conto degli elementi sopra indicati la riserva minima degli attivi può es-sere definita come nel seguito descritto.

“Riserva oneri-contributi”: la riserva matematica è risultante dalla differenza tra il valore attuale medio degli oneri complessivi (“quota maturata” e “quota matu-randa”) e il valore attuale medio dei contributi.

“Riserva IAS”: la riserva è ottenuta calcolando la passività sulla prestazione spettante alla cessazione dall’attività per qualunque causa dovuta (general-mente pensionamento per vecchiaia, vecchiaia anticipata, invalidità, morte e altre cause) e quindi riproporzionando la stessa prestazione in base al rapporto tra gli anni di servizio maturati alla data di valutazione e l’anzianità complessi-vamente raggiunta all’epoca di cessazione.

“Riserva maturato-oggi”: la riserva è ottenuta calcolando la passività sulla pre-stazione spettante alla data di valutazione in applicazione delle norme regola-mentari vigenti, differita al pensionamento (generalmente per invalidità, morte, vecchiaia o vecchiaia anticipata).

“Montante dei contributi”: l’impegno maturato è definito sui contributi versati, da e per conto dell’iscritto, rivalutati sulla base del tasso di rendimento del patrimo-nio tempo per tempo conseguito.

Di norma la scelta della metodologia è connessa alle caratteristiche del Fondo stesso, in particolare con riferimento al sistema di calcolo della prestazione (es. retributivo/contributivo, aggiuntivo/integrativo della prestazione di base).

Per i pensionati e i differiti la riserva minima è calcolata prevedendo l’eroga-zione della prestazione per tutto il periodo di esistenza in vita dell’iscritto- per i differiti dall’anno di maturazione del diritto - e di eventuali suoi superstiti, deter-minato mediante l’applicazione di apposite tavole biometriche.

Una volta definita la metodologia di calcolo è necessario individuare il quadro di ipotesi da adottare. Al riguardo il Decreto indica che le ipotesi economiche, demografiche e finanziarie devono essere scelte secondo un obiettivo di pru-denza e in particolare (come già previsto dalle linee guida per le valutazioni at-tuariali relative a forme di previdenza complementare dell’Ordine degli Attuari):

• i tassi d’interesse devono essere scelti in funzione del rendimento degli at-tivi corrispondenti detenuti dal fondo pensione e dei rendimenti attesi degli investimenti e non possono superare il tasso di interesse adottato per la proiezione del debito pubblico nel medio e lungo periodo di cui all’art. 3, comma 2, del decreto del Ministro del lavoro e della Previdenza sociale del 29 novembre 2007;

• le tavole biometriche da utilizzare devono tener conto delle principali carat-teristiche del gruppo degli aderenti al fondo pensione, quindi è necessario prevedere una selezione connessa alla tipicità dei rischi gestiti; inoltre è ne-cessario tener conto delle modifiche attese di tali rischi, introducendo un meccanismo di proiezione delle frequenze.

In relazione alle disposizioni relative al Decreto, gli attuari hanno fornito la propria consulenza nella realizzazione delle valutazioni riguardanti la riserva minima e, ove necessario, un supporto strategico oltre che di “quantificazione” per la mes-sa a punto dei piani di riequilibrio e di costituzione della attività supplementari.

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4. Le simulazioni della pensioneIl ruolo dell’attuario nella rappresentazione della pensione futura L’attuario si occupa di determinare l’andamento futuro di variabili demografiche ed economico-finanziarie, disegnando quale sarà la realtà nel breve, medio e lungo periodo; viene definito altresì come il tecnico dell’incerto. Le domande a cui si cerca di dare risposta in questo paragrafo è il contributo che può fornire l’attuario nella proiezione del proprio futuro previdenziale. Normalmente gli attuari forniscono stime e previsioni a livello collettivo fornendo grafici e output certa-mente poco comprensibili ad un utente medio. Tuttavia recependo le sfide cre-scenti della comunicazione la professione può offrire spunti e idee sia sul piano del contenuto del messaggio, che sulle modalità di comunicazione dello stesso, oltre che contribuire in modo determinante sulla metodologia da utilizzare per misurare l’incertezza. La metodologia ha l’importante ruolo di verificare che le informazioni che si vogliono dare rientrino in un quadro di complessiva coerenza e non è possibile sottovalutare la potenza delle ipotesi scelte per il calcolo.L’idea è che l’attuario possa collaborare in team per fornire una sorta di “certifica-zione metodologica” necessaria ad esempio nello sviluppo dei motori di calcolo dei siti web, mediante i quali si possono effettuare simulazioni personalizzate.

La previsione nel sistema pubblicoPer lo sviluppo delle previsioni nel sistema pubblico occorre preliminarmente illustrare la logica del metodo a contributi definiti o contributivo che consiste in una capitalizzazione virtuale ed individuale dei contributi versati lungo l’arco dell’intera vita lavorativa. Viene specificato “virtuale” perché dal punto di vista finanziario il nostro sistema pensionistico si basa invece sul meccanismo del-la ripartizione. La capitalizzazione è inoltre “individuale” poiché la pensione è funzione dell’intera carriera del lavoratore in quanto basata sul montante con-tributivo che si ottiene:

• moltiplicando la retribuzione annua per l’aliquota di computo che nella mag-gior parte dei casi è fissa per il periodo di riferimento (crescente ad esempio per i lavoratori autonomi) e varia in funzione delle gestioni assicurate;

• la sommatoria dei contributi determina un montante individuale che viene ri-valutato annualmente considerando, come tasso di capitalizzazione, la varia-zione media quinquennale del pil (prodotto interno lordo), calcolato dall’Istat.

A livello individuale un elemento determinante del montante diventa quindi la carriera o meglio la retribuzione annua che nella sua evoluzione presenta sia degli elementi “statici” che “dinamici”. In particolare l’analisi statica riguarda lo sviluppo delle retribuzioni in relazione alla discontinuità lavorativa, all’aumen-to dell’anzianità di servizio, al cambio di qualifica all’interno della categoria di appartenenza, al passaggio tra categorie. Elementi dinamici sono invece le variazioni retributive derivanti dal quadro macro-economico. Nel sistema di cal-colo contributivo ogni elemento, sia statico che dinamico, contribuisce ad un incremento di montante e quindi, di conseguenza, ad un incremento del bene-ficio pensionistico. E’ quindi importante la coerenza nella scelta dei parametri e che sia considerato l’effetto di mean reversion; sarebbe inoltre auspicabile un approccio di tipo stocastico.Il montante accumulato è poi rivalutato in base alla media mobile quinquennale del tasso di crescita del prodotto interno lordo e, al momento del pensionamen-to, viene convertito in una rendita vitalizia reversibile. L’ammontare di questa rendita deriva dall’evoluzione della longevità, dall’adeguamento automatico dell’età minima per il pensionamento di vecchiaia alle variazioni della speranza di vita, dalla tipologia di sistema di liquidazione della pensione.Il calcolo della rendita viene effettuato moltiplicando il montante per i coefficien-ti di trasformazione cioè un numero che consente il passaggio dal montante dei contributi versati alla prima rata di pensione annua. Nel sistema contributivo costituisce una delle incognite più importanti insieme alla formazione e rivaluta-

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zione del montante individuale. In particolare i coefficienti di trasformazione scelti per il sistema di base sono calcolati in modo da garantire per ciascuna età al pensionamento (tra 57 e 70 anni) l’uguaglianza tra montante dei contributi e valo-re attuale medio delle future prestazioni (compresa la reversibilità), da cui discen-de che l’importo della pensione è variabile in base all’età oltre che dai contributi versati. In altre parole, a parità di anno di pensionamento, tra i 57 e i 70 anni e, come si vede, prima si smette di lavorare, meno pensione sarà percepita, perché più lunga è la durata residua della vita. C’è da notare che l’uguaglianza attuariale vale solo tra 57 e 70 anni perché chi va in pensione prima (ad esempio invalidità o superstite di attivo) o dopo “prende in prestito” il coefficiente di trasformazione previsto rispettivamente per i 57 anni e per i 70 anni, in particolare in quest’ultimo caso, cioè dopo i 70 anni, non vale il concetto espresso precedentemente e cioè che più si lavora più si percepisce di pensione. C’è da notare che il limite 57-70 non abbraccia tutte le realtà pensionistiche in quanto alcune casse previdenziali hanno scelto l’allungamento della tavola dei coefficienti. La variabile anno di pen-sionamento riveste una certa rilevanza in quanto ad ogni triennio fino al 2021, e successivamente ad ogni biennio, è previsto, dato il trend crescente di allunga-mento della sopravvivenza, l’abbassamento dei coefficienti e quindi dell’importo della pensione attesa. Nel grafico successivo si ha una simulazione, a parità di tutti gli altri parametri, della possibile diminuzione dell’importo di pensione a se-guito della revisione dei coefficienti.

Figura 3. Simulazione della pensione a seguito della revisione dei coefficienti

Fonte: elaborazione degli autori

Nella revisione, la formula di calcolo attuariale e quindi la metodologia di cal-colo, non hanno invece subito modifiche sostanziali, ne è previsto al momento dalla normativa stessa che nel futuro subiscano un cambiamento. Ciò che cam-bierà nelle future variazioni sono le basi tecniche e cioè gli elementi di calcolo, parametri e tabelle, previsti dalla formula, in particolare:

Mortalità, probabilità di morte: per questo parametro vengono utilizzate le tavo-le Istat sulla popolazione italiana più aggiornate al momento della valutazione dei coefficienti; nell’ultimo aggiornamento (Decreto Interministeriale del 22 giu-gno 2015) è stata utilizzata la tavola di mortalità Istat 2013 distinta per sesso. La mortalità viene calcolata distintamente per maschi e femmine e incide sia nella previsione della parte diretta che nella previsione della reversibilità.

Reversibilità, probabilità di lasciare famiglia, probabilità di nuove nozze diffe-renza di età del coniuge superstite: parametri e probabilità vengono combinati per poter misurare la componente reversibile all’interno del coefficiente.

Fattore di sconto finanziario: il tasso di sconto finanziario, o meglio il tasso tecnico di attualizzazione è un tasso che serve a garantire l’equità finanziaria dell’operazione aleatoria di scambio di una rendita per una durata sconosciuta di anni contro un capitale, ovvero il montante contributivo all’epoca di pensio-

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namento. E’ espresso come sintesi tra tasso di rendimento e tasso di indicizza-zione quindi si può considerare una sorta di anticipazione del pil reale. La pen-sione ovvero la rendita così calcolata beneficia quindi di un tasso di rendimento minimo pari all’1,5% e poi viene rivalutata annualmente con il meccanismo di perequazione che consente di recuperare parzialmente l’inflazione.

La previsione nel sistema complementareAnche nel settore della previdenza complementare l’attuario può ricoprire un ruolo molto importante nell’ambito della stima della pensione, e soprattutto nella misura della variabilità che tale stima può avere sulla base dell’andamento dei mercati finanziari, e non solo.E’ un’ulteriore dimostrazione della rilevanza sociale che ricopre la professione dell’attuario. Con riferimento ad un argomento così delicato come quello delle pensioni, è di fondamentale importanza mettere nelle condizioni ciascun cittadino di com-prendere a fondo non solo il livello di montante atteso ma anche i possibili sco-stamenti dal valore atteso misurati a livello probabilistico.L’attuario è il professionista che più di ogni altro è in grado di fornire queste analisi. E’ infatti in possesso di competenze tecniche specialistiche nel misurare i rischi biometrici e finanziari attraverso l’utilizzo di modelli matematici e probabilistici. La Covip, Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione, ha peraltro di re-cente pubblicato un documento, intitolato “La rappresentazione del rischio nella stima della pensione complementare” con l’obiettivo sia di riportare in un quadro unitario i vari aspetti che caratterizzano la tematica e sia di provocare un dibattito con gli operatori del settore nonché con il mondo accademico e scientifico.Il Consiglio e l’Ordine Nazionale degli Attuari, in una nota congiunta, anche in quell’occasione, non hanno naturalmente fatto mancare il loro contributo.Gli elementi che intervengono nel calcolo della prestazione in un sistema con-tributivo sono: • il livello della contribuzione; • la redditività del montante, ossia il tasso di rendimento del comparto scelto; • la durata del periodo di contribuzione; • l’età al pensionamento; • il coefficiente di trasformazione del capitale in rendita.

Un approccio esclusivamente deterministico, ovvero che non tenga conto della probabilità del verificarsi di differenti scenari rispetto a quello base, limita di molto l’affidabilità della stima e non mette l’aderente nelle condizioni di cono-scere approfonditamente i rischi connessi alla sua scelta previdenziale.E’ evidente che l’approccio stocastico deve essere accompagnato da un modello di comunicazione semplice e chiaro nei confronti degli iscritti e degli aspiranti iscritti ai Fondi Pensione, attraverso un uso congiunto delle rappresen-tazioni grafiche e delle tabelle numeriche commentate in termini non tecnici.

L’approccio stocastico consente di apprezzare i rischi connessi ad una deter-minata scelta finanziaria, tenendo conto di tutte le variabili che possono impat-tare sui risultati. In caso di approccio deterministico, cioè quello attualmente utilizzato per la stima della pensione complementare secondo le disposizioni Covip, è sem-pre premiante la scelta di aderire ad un comparto azionario, indipendentemen-te dalla durata di contribuzione al Fondo. Questo perché il rendimento atteso dell’investimento in azioni è superiore a quello in obbligazioni. Ma è evidente che questa ipotesi può essere confermata dai fatti solo nel medio-lungo periodo e non certamente nel breve. Questo tipo di informazio-ne in alcuni casi può essere anche fuorviante per l’iscritto.

Di quale informazione l’aderente potrebbe disporre attraverso un approccio di tipo stocastico?

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Ad esempio potrebbe ricevere un’informazione di questo tipo :

La rata annua di rendita sarà compresa, in 9 casi su 10 (90 per cento di pro-babilità), tra € 5.000 (scenario pessimistico) e € 10.000 (scenario ottimistico).In un caso su dieci (10 per cento di probabilità) la rata annua di rendita potrà essere inferiore a € 5.000 o superiore a € 10.000.

La variabilità della stima dipenderà, come già sottolineato, dalle variabili so-pracitate.

Il contributo dell’attuario nel settore della previdenza complementare non si esaurisce solo in questo ambito.L’attuario redige il bilancio tecnico in forme pensionistiche complementari a prestazione definita, ovvero in quei fondi dove l’entità della rendita pensionisti-ca è prefissata e corrisponde a una percentuale del reddito o della pensione obbligatoria e dove l’ammontare della contribuzione viene determinato di con-seguenza. In questi fondi è di fondamentale importanze stimare le “uscite” atte-se per ogni anno di calendario e determinare l’aliquota media di contribuzione necessaria a mantenere in equilibrio economico-finanziario il fondo, per una maggior tutela degli iscritti stessi.Per i Fondi pensione preesistenti in regime di prestazione definita, la normativa di settore ha chiuso la platea di riferimento alla data del 28 aprile 1993, caratte-rizzando questi Fondi pensione con una connotazione “a esaurimento”.Di conseguenza i regimi a prestazione definita si qualificano per una crescente presenza di pensionati rispetto agli iscritti attivi.Prima il Decreto Lgs. n.124 del ’93 e poi il Decreto Lgs. 252/2005 (sostitutivo del Decreto Lgs. 124/1993) – hanno infatti fissato nuove regole per il sistema della previdenza complementare prevedendo anche un graduale adeguamento alla nuova disciplina per i Fondi pensione preesistenti da realizzarsi con un apposi-to Decreto Ministeriale (DM 62/2007).

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5. Le tavole ips55 e a62Le basi demografiche per le assicurazioni di rendita elaborate dall’ANIAIl monitoraggio dell’andamento tendenziale della sopravvivenza della popolazione generale e, nei limiti dei dati disponibili, di quella dei percettori di rendite assume rilievo per il settore assicurativo, oltre che per finalità di studio, al fine di controllare la tenuta delle basi demografiche utilizzate, tenuto anche conto delle disposizioni regolamentari a riguardo. Le verifiche effettuate periodicamente sui trend di soprav-vivenza e la disponibilità di dati aggiornati hanno determinato la decisione da parte del settore di elaborare per le rendite vitalizie nuove basi demografiche proiettate e selezionate, segnatamente la IPS55 nel 2005 e la A62 nel 2014.l processo metodologico adottato ha ripercorso in entrambi i casi gli stessi passaggi fondamentali, ossia:

• scelta della base proiettata, individuata nelle più recenti previsioni ISTAT sul-la sopravvivenza della popolazione generale italiana;

• lettura della mortalità mediante approccio per generazioni, semplificato con il metodo cosiddetto di age-shifting, individuando cioè una generazione di riferimento e approssimando la mortalità delle singole generazioni mediante la mortalità della coorte di riferimento;

• scelta della base selezionata, individuata in base alla mortalità dei percettori di rendite del mercato inglese.

Nello studio più recente, relativo alla A62, sono state introdotte alcune innovazioni:• le previsioni ISTAT sulla mortalità della popolazione generale sono state

estrapolate fino all’esaurimento della generazione 2020, al fine di consentire una lettura per generazioni più ampia e coerente con l’orizzonte temporale degli impegni assunti, in analogia con quanto fatto dalla Ragioneria Genera-le dello Stato per la stima della spesa pensionistica in Italia, e una struttura della base demografica più resiliente nel tempo;

• oltre alle tavole indicate per rendite differite e immediate, ulteriori tavole di mortalità raccomandate in caso di rendite per collettività, quali quelle di fon-di pensione di matrice occupazionale, anche per rispondere all’esigenza di distinguere tra tali rendite e rendite individuali in virtù del diverso grado atteso di anti-selezione e tenuto conto del possibile sviluppo delle rendite erogate in ambito collettivo;

• tavole distinte in funzioni di diverse composizioni per sesso dei percettori di rendita, al fine di consentire l’utilizzo di dette tavole anche in presenza di rendite non differenziate in funzione del sesso dei percettori.

La serie di tavole così ottenute è denominata A62, ed è in particolare costituita dalla A62D per le rendite individuali differite, dalla A62I per le rendite individuali imme-diate e dalla A62C per le rendite collettive. Nelle seguenti tabelle si riporta una sintesi dei valori delle annualità vitalizie postici-pate a tasso d’interesse 0% per varie età e anni di erogazione della rendita, relative alle tavole di mortalità A62D.

Tab. 9 a62d: annualità vitalizie posticipate a tasso d’interesse 0% - sesso maschile

Età 2015 2020 2025 2030 2035 2040 204550 37,13 38,08 38,08 39,03 39,03 39,03 39,99

55 32,40 32,40 33,34 33,34 34,28 34,28 34,28

60 26,83 27,75 27,75 28,67 28,67 29,60 29,60

65 22,36 22,36 23,24 23,24 24,13 24,13 25,02

70 17,21 18,05 18,05 18,90 18,90 19,76 19,76

75 13,23 13,23 13,99 13,99 14,78 14,78 15,57

80 9,11 9,73 9,73 10,38 10,38 11,06 11,06

85 6,38 6,38 6,86 6,86 7,38 7,38 7,93

90 4,33 4,61 4,61 4,90 4,90 5,20 5,20

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Tab. 10 a62d: annualità vitalizie posticipate a tasso d’interesse 0% - sesso femminile

Fonte: Ania - Le basi demografiche per rendite vitalizie A1900-2020 e A62

Il confronto tra A62 e IPS55Le tavole di mortalità della serie A62 determinano in via generale un incremento delle aspettative di vita rispetto alle tavole della base IPS55, di norma più con-tenuto nei primi anni di previsione e più significativo al crescere dell’orizzonte temporale delle proiezioni, principalmente in virtù delle maggiori aspettative di vita stimate dalle previsioni più aggiornate. In particolare (cfr. le tabelle seguenti), l’incremento dei valori delle annualità vi-talizie della tavola A62D per rendite differite rispetto a quelli corrispondenti della IPS55 risulta più marcato in corrispondenza delle età avanzate, dove d’altra parte l’IPS55 denotava una sottostima rispetto alla durata di vita effettiva registrata negli ultimi anni. Si consideri che alcune irregolarità nel trend delle variazioni tra una base e l’altra derivano da effetti combinati del cambiamento della durata di vita nelle diverse previsioni sottostanti alle diverse basi, dei diversi valori dell’anti-selezione e nei diversi age-shifts associati alle due basi, inevitabilmente variati nello studio che ha condotto alla A62 rispetto a quelli adottati per la IPS55.

Tab.11 Confronto tra ips55 (differite) e a62d – rapporto tra annualità vitalizie posticipate a tasso d’in-teresse 0%, sesso maschile

Tab. 12 confronto tra ips55 (differite) e a62d – rapporto tra annualità vitalizie posticipate a tasso d’inte-resse 0%, sesso femminile

Fonte: Ania - Le basi demografiche per rendite vitalizie A1900-2020 e A62

Età 2015 2020 2025 2030 2035 2040 204550 40,86 41,81 41,81 42,77 42,77 43,72 43,72

55 36,09 36,09 37,04 37,04 37,99 37,99 38,94

60 30,42 31,36 31,36 32,30 32,30 33,25 33,25

65 25,77 25,77 26,69 26,69 27,62 27,62 28,55

70 20,30 21,20 21,20 22,10 22,10 23,01 23,01

75 15,10 15,94 16,79 16,79 17,66 17,66 18,53

80 11,17 11,17 11,91 12,67 12,67 13,46 13,46

85 7,89 7,89 7,89 8,48 9,11 9,11 9,77

90 5,14 5,54 5,54 5,54 5,95 6,37 6,37

Età 2015 2020 2025 2030 2035 2040 204550 2,1 4,7 2,1 4,6 4,6 4,6 7,2

55 5,7 2,5 5,5 2,4 5,3 5,3 5,3

60 3,1 6,7 3,0 6,5 2,9 6,2 6,2

65 3,8 3,8 7,9 3,7 7,6 3,5 7,4

70 4,0 4,0 4,0 8,9 4,0 8,7 8,7

75 3,6 3,6 3,7 3,7 9,5 3,7 9,3

80 2,5 2,9 2,9 3,1 3,1 9,8 9,8

85 1,8 1,8 1,7 1,7 1,8 1,8 9,4

90 13,9 10,9 10,9 7,9 7,9 5,3 5,3

Età 2015 2020 2025 2030 2035 2040 204550 1,4 3,8 1,3 3,7 3,7 6,0 6,0

55 4,4 1,6 4,3 1,6 4,2 4,2 6,8

60 2,0 5,1 1,9 5,0 1,8 4,8 4,8

65 2,4 2,4 6,0 2,3 5,9 2,2 5,7

70 2,6 2,6 2,6 6,9 2,5 6,8 6,8

75 2,8 2,8 2,7 2,7 8,0 2,7 7,7

80 3,2 3,2 3,1 3,0 3,0 9,4 9,4

85 4,4 4,4 4,4 4,1 3,8 3,8 11,3

90 12,5 10,8 10,8 10,8 9,1 7,4 7,4

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L’offerta di rendite delle forme di previdenza complementareSergio Paci - Dipartimento di Finanza e Centro Baffi Carefin, Universi-tà Bocconi

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L’offerta di rendite delle forme di previden-za complementarePremessaMan mano che cresce il numero di coloro che maturano il diritto ad ottenere la prestazione nel sistema di previdenza complementare si pone il problema del decumulo delle somme accantonate e assume sempre più rilevanza conoscere gli elementi che influenzano la prestazione in rendita, al fine di favorire scelte consapevoli nell’ambito delle opportunità offerte dalla normativa in vigore.In particolare, è utile valutare l’opportunità di effettuare shopping around, cioè di trasferire la propria posizione accumulata in una altra forma complementare per utilizzarne le regole di trasformazione del capitale in rendita.A questo scopo si esaminano le caratteristiche delle principali tipologie di ren-dite offerte dai fondi negoziali e dai piani individuali previdenza (Pip). Questi ultimi sono stati scelti in quanto hanno una disciplina peculiare che li rende in parte diversi rispetto alle altre forme previdenziali.

Le variabili che influenzano l’importo della renditaE’ opportuno evidenziare che l’importo iniziale della rendita dipende:• dall’importo accumulato. Più alto è l’ammontare delle risorse conferite come

premio unico alla compagnia, maggiore è la rendita;• dal tasso tecnico utilizzato per attualizzare i flussi futuri. Maggiore è il tasso

per il calcolo, più elevato è l’importo della rendita. Questo tasso è garantito per tutto il periodo. E’ detto tecnico;

• dalle ipotesi demografiche adottate, cioè dalla stima del periodo di soprav-vivenza, nel corso del quale sarà corrisposta la rendita. Quanto più lunga è la durata ipotizzata, tanto minore è l’importo della rendita;

• dagli oneri gestionali a carico del percipiente considerati nel calcolo. Quan-to maggiori sono tali oneri, tanto minore è l’importo della rendita.

Di norma la rendita iniziale viene rivalutata in funzione di un meccanismo par-ticolare basato sulla ripartizione a favore dell’assicurato di una parte del ren-dimento ottenuto dalla compagnia sulle somme ottenute e investite in attività finanziarie, al netto delle risorse pagate, cioè in funzione delle riserve matema-tiche costituite a fronte del contratto di rendita.La compagnia definisce nel contratto quanta parte del reddito viene ricono-sciuta e, in funzione dell’effettivo rendimento ottenuto, calcola la rivalutazione che ne deriva. Quanto più elevati sono gli oneri inseriti nel contratto a carico del cliente, minore è la rivalutazione. Tanto più alto è il tasso tecnico usato per il calcolo e quindi già assegnato in anticipo al percipiente, tanto minore è la parte residuale destinata ad alimentare il meccanismo di rivalutazione. Ne segue che nella scelta occorre tenere conto del trade off tra rendita iniziale e sua crescita nel tempo. Da quanto sinteticamente esposto si intuisce che le variabili rilevanti da stimare sono il tasso di interesse e i flussi aleatori relativi ai pagamenti della rendita. Si tratta di stime estese su un lungo arco di tempo che richiedono cautela.

Per quanto riguarda il tasso di interesse da usare nei calcoli, la disciplina ema-nata dall’Autorità di vigilanza assicurativa nel regime di vigilanza di Solvency I prevedeva che a fini di stabilità fosse calcolato con criteri prudenziali e non fos-se superiore a un livello determinato periodicamente in funzione del rendimento di definite attività finanziarie. Man mano che negli ultimi tempi i tassi di interesse sul mercato finanziario sono scesi, sono diminuiti anche quelli massimi applica-bili, con importanti riduzioni dell’importo iniziale della rendita.

Le regole di vigilanza sono state recentemente cambiate in vista dell’applica-zione dell’intero sistema di vigilanza di Solvency II a partire dal gennaio 2016. La Direttiva Solvency II recepita nel nostro ordinamento ha modificato il codice

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delle assicurazioni e sono stati eliminati gli articoli specifici relativi ai vincoli dei tassi di interesse in quanto non coerenti con i nuovi principi, lasciando la deci-sione alle imprese nell’ambito di articolati vincoli sul calcolo delle riserve e sul capitale da detenere. I bassi tassi vigenti sul mercato e i rigorosi criteri relativi ai requisiti di capitale da soddisfare in caso di concessione di garanzie, non han-no spostato il problema circa la necessità di adottare, comunque, nell’attuale contesto, tassi di interesse molto bassi.

Per quanto concerne le ipotesi demografiche, la problematica è particolarmen-te complessa perché la compagnia deve stimare la sopravvivenza dell’assicu-rato in un periodo di significativi incrementi della speranza di vita e nell’ambito di un rischio che ha natura sistematica, in quanto la sopravvivenza si estende alla generalità della popolazione. E’ un rischio in buona parte non diversificabi-le. Il profilo è delicato in quanto non è consentito alla compagnia di ridurre nel tempo l’entità della rendita in corso di erogazione se verifica che la sopravvi-venza è superiore a quella stimata.

La difficoltà aumenta quando si devono considerare gruppi di assicurati che potranno andare in pensione in epoca futura, con caratteristiche di soprav-vivenza ancora più aleatorie. Per calcolare la rendita la compagnia combina tasso e ipotesi demografica generando i coefficienti di conversione, cioè i nu-meri con cui si deve moltiplicare il premio versato per ottenere la rendita, con la periodicità richiesta, tenendo conto dei caricamenti, cioè degli oneri a carico dell’assicurato. Il coefficiente è quindi la sintesi delle basi di calcolo e punto fondamentale per effettuare le scelte sull’importo iniziale della rendita. Le condizioni con-trattuali fanno riferimento a tabelle che riportano i coefficienti per le varie età in funzione di un tasso di interesse, una data periodicità di pagamento e di una tavola demografica. Nel tempo sono state predisposte varie tavole ela-borate tenendo conto delle più aggiornate ipotesi di sopravvivenza. In certi casi utilizzano un meccanismo di age shifting, che modifica l’età anagrafica dell’assicurato per tenere conto di peculiari caratteristiche della popolazione di riferimento.

Un importante cambiamento relativo alle ipotesi demografiche riguarda la nuo-va disciplina introdotta a fine 2012 relativa al divieto di discriminare i prodotti assicurativi sulla base del sesso. Fino a quel momento le tavole riportavano coefficienti diversi per i maschi (più elevati) e le femmine (più bassi) in funzione della diversa probabilità di sopravvivenza. Le femmine vivono di più e quindi, a parità di altri fattori, ricevono una rendita più bassa perché maggiormente protratta nel tempo. La nuova disciplina ha tuttavia consentito ai fondi pensione collettivi di mantenere questa differenziazione. Quelli ad adesione individuale invece devono adottare tavole unificate. Ne segue che sono state elaborate nuove tavole con un diverso mix di composizione maschi/femmine ed è aumen-tata la variabilità dei coefficienti che sono utilizzati.

Poiché i tassi di interesse e le ipotesi demografiche possono cambiare nel tempo, la compagnia inserisce nel contratto di rendita adeguate cautele sulla possibilità di modificare le componenti dei coefficienti, tasso e probabilità di sopravvivenza.Le relazioni di clientela possono incidere notevolmente in proposito. Di fronte a potenziali importanti masse di clienti, tipicamente appartenenti ad una col-lettività, la compagnia può stipulare contratti di durata pluriennale e assumere l’impegno a non cambiare le condizioni per tutta la loro durata.In altri casi la compagnia dichiara le condizioni alle quali converte il capitale in rendita, ma si riserva di modificarle nel tempo in funzione dell’andamento dei tassi di interesse e delle ipotesi demografiche. Le condizioni a cui è possibile cambiare i coefficienti sono più o meno restrittive in funzione del livello di discre-zionalità della compagnia o del collegamento ad elementi obiettivi di mercato va-

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riamente considerati. Per tutelare il pensionato non sono applicabili le modifiche che intervengono entro i tre anni dalla data in cui si richiede la rendita.

Nelle forme previdenziali non assicurative il calcolo è relativamente semplice. L’intera somma conferita viene convertita usando il coefficiente in vigore al mo-mento della richiesta.

Nei Pip, invece, il tema è impostato diversamente perché la fase di accumulo e di decumulo avviene nell’ambito della compagnia e quindi i versamenti con-tributivi effettuati nel corso del tempo possono essere considerati come tanti componenti del premio unico finale, che viene poi trasformato in rendita.

Ne deriva che il calcolo può essere fatto computando i contributi versati con il coefficiente di riferimento in vigore nel periodo in cui è stato effettuato, cioè utilizzando i coefficienti passati. L’utilizzo di coefficienti in vigore nei periodi in cui sono stati effettuati i versamenti ha importanti effetti positivi considerando che negli ultimi anni si sono ridotti i tassi di mercato ed è aumentato il periodo di sopravvivenza. Quindi i coefficienti passati sono superiori a quelli attuali, con evidenti effetti positivi sull’importo della rendita iniziale.

E’ opportuno evidenziare che l’esistenza di una garanzia nell’applicazione dei coefficienti influenza i criteri di scelta fra le varie alternative. Quando è prevista la garanzia in esame, il calcolo della rendita deve considerare non solo i coeffi-cienti attuali, ma anche quelli passati per i rispettivi contributi corrisposti.

Le rendite dei fondi pensione negozialiL’offerta di rendite dei fondi pensione negoziali presenta peculiari caratteristi-che dovute alla loro natura di istituzioni collettive sorte dalla contrattazione fra le parti sociali.

Sebbene i fondi negoziali possano erogare direttamente le rendite ai propri iscritti, ai sensi dell’art. 7 bis del Decreto 252/05, sulla base di una peculiare normativa vigilata dalla Covip, per ora l’erogazione diretta rimane allo stato potenziale e tutti i fondi negoziali a contributi definiti devono stipulare una con-venzione con una o più imprese di assicurazione per consentire ai propri iscritti di convertire il capitale accumulato in rendita.

Dopo un periodo iniziale in cui alcuni fondi hanno instaurato un proprio percor-so di selezione delle compagnie, man mano che avveniva la maturazione dei diritti alle prestazioni, numerosi fondi hanno deciso di aumentare la propria for-za contrattuale e ottenere condizioni competitive sfruttando la comune caratte-ristica negoziale utilizzando la Associazione di Categoria (Assofondipensione) per selezionare le migliori offerte disponibili sul mercato. L’Associazione, per conto e in nome di un gruppo di associati, ha predisposto un bando di gara nel 2008 (per conto di 19 fondi) e uno ulteriore nel 2012 (per 7 fondi) selezionando le migliori offerte, che sono state poi replicate in tante singole convenzioni, con le stesse caratteristiche.Sulla base dei bandi e delle offerte effettivamente fornite dalle compagnie vin-citrici della gara, le convenzioni dei fondi negoziali hanno le seguenti caratte-ristiche principali:

Tipologie di renditaE’ possibile scegliere fra le seguenti forme:• rendita immediata rivalutabile;• rendita immediata rivalutabile reversibile con percentuale di reversibilità

compresa fra 50 e 100%; • rendita rivalutabile, con durata certa per 5 o 10 anni e successivamente

vitalizia;• rendita rivalutabile vitalizia con controassicurazione. In questo caso è previ-

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sta la corresponsione ai beneficiari designati in caso di morte del pensionato di un capitale pari alla differenza fra l’importo versato come premio al momen-to dell’entrata in rendita e la somma delle rendite percepite. Include quindi una copertura caso morte a capitale decrescente nel corso del tempo;

• rendita rivalutabile con maggiorazione per perdita di non autosufficienza a svolgere gli atti della vita quotidiana (Ltc).

Compagnie offerentiIn sede di bando erano ammesse offerte per:• tutte le cinque tipologie sopra ricordate;• solo per le prime quattro;• solo per la quinta, cioè per la integrazione Ltc.

Gli estensori dei bandi erano consapevoli che la maggiorazione per la Ltc era una copertura che non tutte le compagnie erano disposte ad offrire e quindi, per evitare che l’obbligo di offerta per tutte le tipologie limitasse la partecipazio-ne, sono state previste offerte diverse per i ricordati gruppi di copertura.

La selezione del primo bando ha evidenziato un vincitore per le prime quattro tipologie (Unipol Sai) e uno per la sola copertura integrativa Ltc (Generali Italia). Sulla base del secondo bando, tutte le cinque coperture sono state attribuite ad una unica compagnia (Generali Italia).

Tasso tecnicoIl tasso tecnico usato per definire i coefficienti è molteplice, in funzione della scelta dell’assicurato e va dal 2,5% allo zero.

Durata contrattualeLa durata della convenzione ai sensi del primo bando è decennale, con inizio dalla data di sottoscrizione del singolo fondo. Poiché i fondi hanno siglato il contratto in epoche diverse, sono ineguali i termini di scadenza.

Al fine di uniformare le scadenze e quindi avere una maggiore forza contrattua-le in occasione del rinnovo, il secondo bando ha previsto che le convenzioni scadano tutte a fine 2019, indipendentemente dalla data di singola sottoscri-zione da parte dei fondi.

Nell’ambito della durata contrattuale non sono consentite modifiche dei coeffi-cienti di conversione.

Tavole demografiche Le tavole demografiche utilizzate discriminano in funzione del sesso e sono quindi diverse per maschi e femmine.

La durata pluriennale dell’impegno contrattuale e delle relative condizioni offre al momento importanti vantaggi agli utilizzatori di rendite dei fondi negoziali. Infatti, nel tempo si sono ridotti i tassi di interesse nel mercato e sono state introdotte nuove basi demografiche che hanno abbassato i coefficienti di con-versione correnti.

Inoltre, il mantenimento delle differenze di computo in funzione del sesso offre vantaggi agli iscritti di sesso maschile rispetto alle forme previdenziali che uti-lizzano basi demografiche unificate.

Per mettere in evidenza l’impatto del tasso di interesse nella tabella 1 si sono confrontati i coefficienti per il calcolo della rendita vitalizia iniziale posticipata annuale con tasso 2,5% e con tasso zero, riferiti a una persona di 65 anni di sesso maschile e calcolati sulla base delle condizioni offerte dai vincitori dei due bandi. Le rendite iniziali differiscono fra loro di importi intorno al 25%.

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Descrizione Tasso 2,5% Tasso zero Differenza%1° bando Unipol Sai 0,06593 0,04981 24,5%

2° bando Generali Italia 0,06198 0,04583 26,1%

Tabella 1. Coefficienti per il calcolo della rendita vitalizia iniziale, posticipata, annuale - Maschio 65enne con tasso 2,5% e tasso zero

Fonte: elaborazione dell’autore

Altro profilo importante è la differenza per sesso. La tabella 2 evidenzia i coeffi-cienti per un maschio e per una femmina calcolati utilizzando lo stesso tasso di interesse del 2,5%. Emerge una differenza significativa.

Tabella 2. Coefficienti per il calcolo della rendita vitalizia iniziale, posticipata, annuale - Confronto Maschio - Femmina 65enne con tasso 2,5%

Fonte: elaborazione dell’autore

Altra caratteristica dell’offerta di rendite dei fondi negoziali che hanno stipulato le convenzioni sulla base dei bandi ricordati è la notevole possibilità di scelta consentita. Importante è l’opzione per la rendita controassicurata che consente di fronteggiare, con una ulteriore garanzia, il rischio di morte nei primi anni di pensione ricevendo un importo inferiore a quanto versato. La tabella 3 confron-ta i coefficienti richiesti per una rendita vitalizia e una controassicurata per un maschio di 65 anni dalle compagnie vincitrici dei due bandi. La differenza è in entrambi i casi intorno al 10%. Tabella 3. Coefficienti per il calcolo della rendita vitalizia iniziale, posticipata, annuale - Confronto con la rendita controassicurata Maschio 65enne con tasso 2,5%

Fonte: elaborazione dell’autore

Per quanto riguarda la scelta, importante è anche la possibilità di aumentare la rendita in caso di non autosufficienza. La tabella 4 riporta la differenza fra la rendita vitalizia standard e quella con la integrazione in caso di Ltc, evidenzian-do differenze contenute, intorno al 2%.

Tabella 4. Coefficienti per il calcolo della rendita vitalizia iniziale, posticipata, annuale - Confronto con la rendita con supplemento per copertura LTC - Maschio 65enne con tasso 2,5%

Fonte: elaborazione dell’autore

Va considerato che una minoranza di fondi ha provveduto ad effettuare in pro-prio la selezione e ha siglato contratti con specifiche caratteristiche, non gene-ralizzabili. E’ utile tuttavia evidenziare che le convenzioni stipulate recentemente prevedono tassi tecnici più bassi di quelli del gruppo che ha siglato il contratto secondo i contenuti dei bandi predisposti dalla Associazione di categoria, per-ché sono state adeguate alle nuove condizioni di mercato.

L’offerta di rendite dei PipPer esaminare le caratteristiche delle altre forme di previdenza complementa-re si è svolta una analisi sui Pip, cioè sulla tipologia di previdenza individuale

Descrizione Maschio Femmina Differenza%1° bando Unipol Sai 0,06593 0,05627 14,7%

2° bando Generali Italia 0,06198 0,05480 11,6%

Descrizione Vitalizia Controassicurata Differenza%1° bando Unipol Sai 0,06593 0,05955 9,7%

2° bando Generali Italia 0,06198 0,05533 10,4%

Descrizione Vitalizia LTC Differenza%2° bando Generali Italia 0,06198 0,06043 2,5%

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strutturata come contratto assicurativo e offerta esclusivamente da imprese di assicurazione. Questa forma si presta bene per l’analisi in quanto il Pip, se non mantiene nel tempo i coefficienti di conversione, ha caratteristiche simili a quelle dei fondi aperti. Assume invece connotati specifici in presenza del man-tenimento dei coefficienti.

A tal fine si sono esaminati i 50 Pip che a fine settembre 2015 erano aperti alle adesioni e si sono esaminate le caratteristiche della loro offerta di rendita.

Con riferimento al tasso tecnico, nel tempo si sono ridotti i tassi utilizzati per il calcolo dei coefficienti e quelli attuali sono significativamente più bassi anche rispetto a quelli del recente passato. La tabella 5 riporta la ripartizione per livello di tasso attualmente in vigore evidenziando che il 60% ha un tasso compreso fra zero e 0,5%.

Tabella 5. Ripartizione per tasso tecnico

Fonte: elaborazione dell’autore

Anche le tavole demografiche sono cambiate negli ultimi tempi, in primis, per applicare la disciplina che non consente una discriminazione per sesso. Le nuove tavole unificate ipotizzano una composizione mista dei richiedenti e quindi presentano coefficienti inferiori rispetto a quelli applicabili ai soli ma-schi e superiori a quelli applicabili in precedenza alle sole femmine. Si sono ipotizzate varie combinazioni di maschi/femmine e sono aumentate le tavole utilizzate.

Le tipologie di rendita offerte sono di tipo tradizionale: vitalizia, certa per alcuni anni e reversibile, ma solo in pochi casi è prevista una rendita controassicurata e con incremento in caso di Ltc. La copertura per Ltc è talvolta prevista come ulteriore prestazione che si aggiunge alla rendita a fronte del pagamento di uno specifico premio.

Il possibile mantenimento dei coefficienti di conversione nel corso del tempo è una possibile caratteristica dei Pip. Data la composizione dei coefficienti, la garanzia riguarda solo il tasso tecnico, ovvero anche la base demografica, cioè l’intero coefficiente. Tenuto conto dei forti ribassi dei tassi avvenuti negli ultimi tempi anche il mantenimento di tassi più elevati di quelli attuali è un vantaggio per chi ha già in corso un contratto. Per chi entra ora in fase di accumulo è meno rilevante perché si porta dietro tassi bassi. E’ da vedere in prospettiva come il meccanismo potrebbe influen-zare i risultati ed essere modificato se si verificassero periodi di forti aumenti dei tassi di mercato.

In periodi di aumento della speranza di vita e quindi della sopravvivenza, mante-nere la base demografica storica è sicuramente un elemento positivo per il titola-re del contratto assicurativo che ha provveduto all’accumulo nel corso del tempo. La tabella 6 evidenzia quanti Pip prevedono il mantenimento della sola base fi-nanziaria e quanti anche la base demografica. Un discreto numero di piani offre ambedue le garanzie, pari al 26%, mentre il 38% non prevede alcuna garanzia. Il quarto quindi dei pip è caratterizzato da condizioni contrattuali relative alla opzione in rendita che richiedono scelte non basate esclusivamente sui coeffi-cienti in vigore, ma anche su quelli operanti nella fase di accumulo.

Tasso Numerosità %0 21 42%

0,5 9 18%

1 18 36%

1,5 2 4%

Totale 50 100%

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Tabella 6. Ripartizione per garanzia

Fonte: elaborazione dell’autore

Tenuto conto dei fattori ricordati, i Pip attuali presentano una discreta variabilità di coefficienti. La tabella 7 indica la loro allocazione in intervalli che possono consentire un utile riferimento con quelli esaminati per i fondi negoziali. Questi ultimi coefficienti risultano superiori per l’influsso di condizioni definite in con-tratti stipulati in passato. Sono particolarmente convenienti per i maschi perché sono in vigore tavole distinte per sesso, mentre i Pip utilizzano tavole unificate. Tuttavia, i Pip con garanzia delle due basi possono dimostrarsi competitivi in funzione dei passati coefficienti.

Tabella 7. Ripartizione dei coefficienti per classi - 65 anni

Fonte: elaborazione dell’autore

ConclusioniL’analisi ha evidenziato una notevole differenza di condizioni nell’ambito dei Pip e fra Pip e fondi negoziali. Chi ha maturato il diritto alla prestazione pensio-nistica e si appresta a scegliere fra le varie alternative potrebbe quindi avere l’interesse a trasferirsi in altro fondo per sfruttare le opportunità di una offerta più conveniente.

A questo proposito va ricordato che la disciplina riportata negli schemi di re-golamento delle forme di previdenza complementare prevede che “l’aderente che abbia maturato il diritto alla prestazione pensionistica e intenda esercitare tale diritto può trasferire la propria posizione individuale presso altra forma pen-sionistica complementare, per avvalersi delle condizioni di erogazione della rendita praticate da quest’ultima”.

L’applicazione completa di questa regola potrebbe essere di particolare rilie-vo ai fini delle scelte e stimolo per favorire l’opzione in rendita. Per facilitare la comparazione sarebbe utile che venissero pubblicati i coefficienti in vigore offerti da tutte le forme di previdenza complementare evidenziando quelli con la garanzia di mantenimento delle basi di calcolo, in modo simile a quanto già accade con l’indicatore sintetico di costo.

Tipo di garanzia Numerosità %Nessuna garanzia 19 38%

Garanzia base finanziaria 18 36%

garanzia base finanziaria e demografica 13 26%

Totale 50 100%

Coefficienti Numerosità %Inferiori a 0,0400 7 14%

fra 0,0401 a 0,0450 25 50%

fra 0,0451 a 0,0500 17 34%

oltre 0,0500 1 2%

Totale 50 100%

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La fotografia dei mandati di ge-stione dei fondi pensione nego-ziali italianiStefano Gaspari, Marco Degrada, Valerio Magni - MondoInstitutional

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La fotografia dei mandati di gestione dei fondi pensione negoziali italianiIntroduzioneL’indagine condotta dall’Ufficio Studi di MondoInstitutional sui mandati di gestione affidati dai fondi pensione negoziali italiani è diretta ad analizzare le principali ca-ratteristiche dei mandati in termini di tipologia, dimensione, oneri e performance. Ponendo a confronto le evidenze relative al 2013 e al 2014, inoltre, si è cercato di no-tare quali cambiamenti sono intervenuti nelle scelte dei fondi pensione, nell’evoluzio-ne delle dimensioni dei mandati affidati, così come nelle loro performance e nei loro costi. Nonostante il breve lasso di tempo considerato, è stato possibile evidenziare alcuni importanti cambiamenti. Nei dettagli, l’analisi è stata effettuata su tutti i fondi pensione negoziali: a fine 2014 erano 38, mentre a fine 2013 erano 39. Il numero di iscritti è calato dai 1.950.552 aderenti di fine 2013 ai 1.944.276 di dicembre 2014, mentre l’attivo netto destinato alle prestazioni è cresciuto dai 34,5 miliardi di euro di fine 2013 ai 39,6 miliardi di euro di un anno dopo. Per il paragrafo dedicato alla tipologia e alle dimensioni dei mandati di gestione, sono stati presi in considerazione i mandati attivi al 31 dicembre del 2014 e del 2013. Per i paragrafi dedicati all’ana-lisi degli oneri di gestione e delle performance, sono stati invece considerati tutti i mandati attivi lungo l’intero anno solare, al fine di poter effettuare confronti coerenti.

Tipologia dei mandati di gestione: aumentano azionari e obbligazionari mistiNel 2014 sono 251 i mandati di gestione attivi affidati dai fondi pensione negoziali ai gestori finanziari, per un patrimonio totale di 40,19 miliardi di euro al 31 dicembre 2014. Rispetto ai dati del 2013, si registra un incremento sia sul fronte del numero dei mandati di gestione attivi (+2) che del patrimonio affidato (+15,6%): a fine 2013 i 249 mandati in vigore amministravano complessivamente 34,77 miliardi di euro. A fine 2014 (tabella 1) risulta evidente l’incremento, superiore alla media complessi-va registrata dal totale affidato in gestione dai fondi pensione negoziali, per i mandati di tipo Azionario (+34,9% da 1,56 miliardi di euro a 2,11 miliardi di euro, mentre è rimasto stabile a 21 il numero dei mandati attivi alla fine di entrambi gli anni), Obbli-gazionario (+25%, da 9,97 miliardi di euro a 12,47 miliardi di euro con il numero di mandati attivi passati da 44 a 50), Valutario (+20,4%, da 13,9 milioni di euro a 16,7 milioni di euro, con un solo mandato attivo sia a fine 2013 che a fine 2014) e Obbliga-zionario Misto (+19%, dai 4,73 miliardi di euro dei 35 mandati attivi nel 2013 ai 5,63 miliardi di euro dei 37 mandati del 2014). Crescono, inoltre, anche se al di sotto della media complessiva del patrimonio, gli asset gestiti dai mandati Copertura Tasso di Cambio (+13%, mentre restano stabili a 2 i mandati attivi), Total Return (+10,4%, con 2 mandati attivi in entrambi alla fine degli anni presi in esame), Bilanciato (+8,1% il patrimonio a fronte di un calo nel numero dei mandati attivi: dai 136 del 2013 ai 131 del 2014) e Monetario (+3,1% gli asset, mentre i mandati operativi a fine anno cala-no dai 6 del 2013 ai 5 del 2014). Le tipologie di mandati di gestione che invece ridu-cono le risorse amministrate, nonostante l’aumento dei patrimoni totali, sono quelli di Risk Overlay (-6,5%, con 2 mandati attivi sia nel 2013 che nel 2014).

Tabella 1. Le tipologie dei mandati di gestione dei fondi pensione negoziali

Dati relativi ai mandati attivi al 31 dicembre 2014 e 31 dicembre 2013. Fonte: MondoInstitutional

Patrimonio (min euro) Numero mandati2014 2013 2014 2013

Bilanciato 19.103,1 17.664,9 131 136

Obbligazionario “puro” 12.472,7 9.974,2 50 44

Obbligazionario misto 5.628,3 4.727,7 37 35

Azionario 2.105,1 1.560,8 21 21

Monetario 540,5 524,2 5 6

Copertura tasso di cambio 108,6 96,1 2 2

Total return 184,8 167,3 2 2

Risk overlay 34,5 36,9 2 2

Valutario 16,7 13,9 1 1

TOTALE RISORSE IN GESTIONE 40.194,3 34.766,0 251 249

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Per meglio interpretare i dati relativi ai cambiamenti avvenuti nei mandati di gestione dei fondi pensione negoziali è importante analizzare quali modifiche sono intervenute nei mandati a garanzia del capitale e non. I mandati a ga-ranzia sono infatti tipicamente investiti in strumenti a basso rischio dei mercati monetari e obbligazionari.

Sia nel 2013 che nel 2014, i mandati attivi al 31 dicembre con garanzia del capi-tale (tabella 2) sono 38, mentre il patrimonio affidato in gestione cresce dai 4,85 miliardi di euro di fine 2013 ai 5,69 miliardi di euro di fine 2014 (+17,3%). Nel dettaglio, i mandati di tipo Monetario segnano un incremento degli asset al di sotto della percentuale d’incremento totale (+13,2%) e così anche quelli di tipo Obbligazionario Misto (+17,2%), mentre quelli esclusivamente Obbligazionari conquistano consensi e asset (+27,8%). Quest’ultimi, comunque, continuano ad amministrare il 93,7% degli asset affidati a mandati con garanzia.

Tabella 2. Le tipologie dei mandati di gestione garantiti dei fondi pensione negoziali

Dati relativi ai mandati attivi al 31 dicembre 2014 e 31 dicembre 2013. Fonte: MondoInstitutional

A questo punto, tornando a osservare i cambiamenti intervenuti nei mandati di gestione affidati nel 2014 rispetto al 2013, scorporati i mandati con garanzia del capitale, si nota (tabella 3) un deciso trend di crescita in 12 mesi per i mandati di tipo Obbligazionario Misto: i mandati di tale tipologia attivi a fine anno sono passati dai 4 del 2013 ai 7 del 2014 per asset complessivi in rialzo dai 175 milioni di euro di fine 2013 ai 293,6 milioni di euro di fine 2014. In termini percentuali si tratta di un incremento del 67,8% del patrimonio affidato a mandati di tipo Obbli-gazionario Misto.

Il dato, unitamente all’aumento degli asset attribuiti a mandati di tipo Azionario (+34,9%, a fronte, lo ricordiamo, di una crescita complessiva dei patrimoni dei mandati affidati del 15,6%), potrebbe essere interpretato come una maggior apertura da parte dei fondi pensione negoziali agli investimenti nel mercato azionario, sia direttamente che introducendone una piccola porzione anche in mandati dalla natura prevalentemente obbligazionaria. Una scelta che trove-rebbe il proprio fondamento nel contesto più ampio di tassi d’interesse ai minimi storici, inducendo i fondi pensione all’inserimento di una quota di equity in un portafoglio bond per cercare di rafforzarne il rendimento.

Tabella 3. Le tipologie dei mandati di gestione senza garanzia dei fondi pensione negoziali

Dati relativi ai mandati attivi al 31 dicembre 2014 e 31 dicembre 2013. Fonte: MondoInstitutional

Patrimonio (mln euro) Numero mandati2014 2013 2014 2013

Obbligazionario misto 5.334,7 4.552,7 30 31

Monetario 190,7 168,4 2 2

Obbligazionario 167,4 130,9 6 5

TOTALE RISORSE IN GESTIONE 5.692,7 4.852,0 38 38

Patrimonio (mln euro) Numero mandati2014 2013 2014 2013

Bilanciato 19.103,1 17.664,9 131 136

Obbligazionario 12.305,3 9.843,3 44 39

Azionario 2.105,1 1.560,8 21 21

Monetario 349,8 355,8 3 4

Obbligazionario misto 293,6 175,0 7 4

Copertura tasso di cambio 108,6 96,1 2 2

Total return 184,8 167,3 2 2

Risk overlay 34,5 36,9 2 2

Valutario 16,7 13,9 1 1

TOTALE RISORSE IN GESTIONE 34.501,6 29.913,9 213 211

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Dimensione mandati di gestione: crescono quelli con oltre 100 milioni di euroTra il 2013 e il 2014 aumenta la dimensione dei mandati di gestione affidati dai fondi pensione negoziali italiani ai gestori finanziari. In particolare, crescono i mandati attivi con risorse per almeno 100 milioni di euro, mentre diminuiscono quelli con un patrimonio al di sotto di tale soglia (tabella 4).

I mandati fino a 10 milioni di euro passano dai 24 attivi a fine 2013 ai 18 del 2014, con un calo degli asset del 25,6% (da 110,4 milioni di euro a fine 2013 a 82,1 milioni di euro a fine 2014), mentre i mandati con taglio compreso tra 10 milioni di euro e 50 milioni di euro scendono dai 61 del 2013 con 1,7 miliardi di euro ai 52 del 2014 con 1,5 miliardi di euro (-12,9%). In calo anche i mandati con risorse tra i 50 milioni di euro e i 100 milioni di euro: da 53 a 49 con gli asset complessivi che passano da 4 miliardi di euro a 3,8 miliardi di euro (-5,3%). Oltre la soglia dei 100 milioni di euro per singolo mandato di gestione si assiste, invece, a una rapida crescita: i mandati con asset compresi tra 100 milioni di euro e 200 milioni di euro sono 82 a dicembre 2014, contro i 66 di dicembre 2013, e amministrano 11,5 miliardi di euro a fine 2014, contro gli 8,9 miliardi di euro di fine 2013 (+29,5%). I mandati attivi con una massa ammi-nistrata tra 200 milioni di euro e 500 milioni di euro, invece, passano dai 32 con 10,1 miliardi di euro del 2013 ai 35 con 10,96 miliardi di euro del 2014 (+8,3% gli asset). Crescono del 29% anche i patrimoni dei mandati di gestione dal taglio compreso tra 500 milioni di euro e 1 miliardo di euro (da 7,4 miliardi di euro a 9,6 miliardi di euro) e da 11 a 13 mandati. Sono infine solo 2, sia nel 2013 che nel 2014, i mandati affidati con oltre 1 miliardo di euro in gestione, mentre il patrimonio da essi gestito è salito dai 2,4 miliardi di euro di fine 2013 ai 2,7 miliardi di euro di fine 2014.

Tabella 4. I mandati di gestione dei fondi pensione negoziali suddivisi per dimensione

Dati relativi ai mandati attivi al 31 dicembre 2014 e 31 dicembre 2013. Fonte: MondoInstitutional

Complessivamente, come già evidenziato, è chiaro come i fondi pensione ne-goziali italiani abbiano aumentato il taglio dei mandati di gestione attribuiti dal 2013 al 2014. Un fenomeno in parte dovuto alla naturale crescita dei patrimoni gestiti di anno in anno dagli stessi piani previdenziali e in parte legato alla vo-lontà di approfittare delle economie di scala visibili sul fronte degli oneri e dei costi di gestione con il crescere delle dimensione dei singoli mandati.

Figura 1.La distribuzione dei mandati dei fondi pensione negoziali a fine 2014

Dati relativi ai mandati attivi al 31 dicembre 2014. Fonte: MondoInstitutional

Patrimonio (mln euro) Numero mandati2014 2013 2014 2013

da 0 a 10 milioni 82,1 110,4 18 24

da 10 a 50 milioni 1.507,3 1.731,5 52 61

da 50 a 100 milioni 3.821,8 4.036,8 49 53

da 100 a 200 milioni 11.526,5 8.898,4 82 66

da 200 a 500 milioni 10.959,7 10.117,9 35 32

da 500 milioni a 1 miliardo 9.586,7 7.430,7 13 11

oltre 1 miliardo 2.710,2 2.440,4 2 2

TOTALE RISORSE IN GESTIONE 40.194,3 34.766,0 251 249

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Oneri dei mandati di gestione: meno costi al crescere della dimensioneLe commissioni pagate dai fondi pensione negoziali italiani ai gestori finanziari per l’amministrazione dei mandati a loro affidati sono state pari a 44,5 milioni di euro nel 2013 e a 49,5 milioni di euro nel 2014. Un incremento essenzialmente legato all’aumento delle masse affidate in gestione tramite mandati. In termini percentuali (tabella 5), infatti, si registra un leggero calo degli oneri di gestione applicati e ponderati in base agli asset: dallo 0,13% medio valido per tutti i mandati attivi nell’intero 2013 allo 0,12% medio del 2014.

In termini generali, inoltre, i mandati di gestione con garanzia del capitale risul-tano costare mediamente di più di quelli senza garanzia. I mandati a garanzia attivi nel 2013, infatti, mostrano oneri medi dello 0,23% a fronte dello 0,11% dei mandati senza garanzia, mentre nel 2014 per i mandati con garanzia la com-missione media applicata è dello 0,22%, contro lo 0,10% dei mandati senza garanzia del capitale.

Tabella 5. Gli oneri dei mandati di gestione in base alla tipologia del mandato

Dati relativi ai mandati attivi rispettivamente durante l’intero 2014 e l’intero 2013. Fonte: MondoInstitutional

Dal 2013 al 2014 si nota, innanzittutto, una diminuzione degli oneri applicati dai mandati di tipo Azionario (dallo 0,13% medio ponderato per gli asset allo 0,09%). La ragione di questo calo è ricercabile nella scadenza, nel corso del 2014, di alcuni mandati aventi condizioni più onerose rispetto alla media, in particolare in riferimento a due mandati specializzati: uno attivo sul mercato azionario europeo e uno attivo su quello Nord americano.

Un’altra vistosa variazione è relativa ai costi applicati dai mandati di gestione di tipo Valutario (un solo mandato attivo sia nel 2013 che nel 2014): il calo dall’1,79% allo 0,55% è dovuto all’assenza della commissione di performance nel 2014, che è stata invece corrisposta nel 2013.

Sul fronte delle dimensioni dei mandati di gestione emerge evidente, inve-ce, come le fee medie applicate e ponderate diminuiscano significativa-mente con l’aumentare degli asset affidati in gestione (tabella 6). Inoltre, dal 2013 al 2014 si registra un forte ribasso degli oneri dovuti per i mandati di più piccole dimensioni: per i mandati fino a 10 milioni di euro, infatti, risulta una fee media ponderata dello 0,30% nel 2013 e dello 0,19% nel 2014 (un calo dovuto essenzialmente alla vistosa riduzione degli oneri di un mandato e alla crescita delle dimensioni di un altro mandato, passato nel range superiore). I mandati con asset compresi tra 10 milioni di euro e 50 milioni di euro hanno oneri medi nel 2014 dello 0,18%, contro lo 0,20% del 2013, mentre per quelli compresi tra 50 milioni di euro e 100 milioni di euro gli oneri sono stabili allo 0,16% sia nel 2013 che nel 2014. Scendono dallo 0,15% del

2014 2013Totale Mandati

senza garanzia

Mandati garantiti

Totale Mandati senza garanzia

Mandati garantiti

Azionario 0,09% 0,09% 0,13% 0,13%

Bilanciato 0,11% 0,11% 0,13% 0,13%

Copertura tasso di cambio 0,34% 0,34% 0,33% 0,33%

Monetario 0,15% 0,13% 0,18% 0,14% 0,12% 0,18%

Obbligazionario 0,07% 0,07% 0,26% 0,07% 0,07% 0,31%

Obbligazionario misto 0,22% 0,10% 0,22% 0,22% 0,08% 0,23%

Risk overlay 0,97% 0,97% 0,96% 0,96%

Total return 0,28% 0,28%

Valutario 0,55% 0,55% 1,79% 1,79%

TOTALE RISORSE IN GESTIONE 0,12% 0,10% 0,22% 0,13% 0,11% 0,23%

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2013 allo 0,14% del 2014 gli oneri applicati ai mandati con un patrimonio in gestione tra 100 milioni di euro e 200 milioni di euro, mentre si confermano allo 0,13% le fee per i mandati tra 200 milioni di euro e 500 milioni di euro. Oltre i 500 milioni di euro e fino a 1 miliardo di euro le commissioni medie applicate sono dello 0,10% sia nel 2013 che nel 2014, e anche oltre il ta-glio del miliardo di euro le fee sono stabili allo 0,04% nel 2013 e nel 2014.

Tabella 6. Gli oneri dei mandati di gestione in base alla dimensione del mandato

Dati relativi ai mandati attivi rispettivamente durante l’intero 2014 e l’intero 2013. Fonte: MondoInstitutional

Dagli oneri medi applicati è dunque chiaro come i fondi pensione negoziali possono usufruire già attualmente di economie di scala, riducendo i costi di gestione al crescere del taglio dei singoli mandati affidati ai gestori finanziari.

Guardando al futuro, con il crescere del settore della previdenza complemen-tare e con l’aumentare degli asset a disposizione dei singoli fondi pensione, è possibile ipotizzare un’ulteriore riduzione dell’impatto delle fee sui mandati con un maggior risparmio per i piani previdenziali.

Performance dei mandati di gestione: nel 2013 il 61,2% ha “battuto” il benchmark, nel 2014 solo il 41,5%Gli ultimi anni non sono stati facili per i mercati finanziari che, a più riprese, si sono trovati ad affrontare diversi ostacoli, periodi di incertezza legata all’an-damento dell’economia mondiale ed eventi che hanno determinato periodi con maggiore o minore volatilità.

Nei risultati conseguiti quindi dai gestori finanziari dei mandati attivi nel 2013 e nel 2014 è significativo sottolineare un’evidente importante differenza: se, infatti, nel 2013 il 61,2% dei 129 mandati analizzati ha “battuto” il proprio benchmark di riferimento, nel 2014, invece, solo il 41,5% dei 140 mandati analizzati ha superato l’indice di riferimento.

Nei dettagli, nel corso del 2013 (tabella 7) i mandati migliori in termini di ren-dimenti medi sono risultati quelli di tipo Azionario, con un rialzo del +22,18%, contro la media del +21,87% conseguito dai benchmark. Tuttavia, dei 9 mandati di tipo Azionario attivi nel 2013, solo il 44,4% ha supe-rato il proprio benchmark. Dei 38 mandati di tipo Bilanciato Obbligazionario, invece, ben l’89,5% ha ottenuto un rendimento superiore al benchmark. In media, i mandati di tipo Bilanciato Obbligazionario hanno registrato un pro-gresso del 5,34% nel 2013, contro la media dei loro benchmark del +4,74%.

Sempre a livello di quadro generale, i risultati peggiori nel 2013 sono stati conseguiti dai mandati di tipo Obbligazionario Puro: solo il 36,4% dei 22 man-dati attivi ha superato il benchmark. In media i mandati Obbligazionario Puro hanno ottenuto un rendimento positivo dell’1,09% nel 2013, contro il +1,16% della media degli indici di riferimento.

2014 2013Totale Mandati

senza garanzia

Mandati garantiti

Totale Mandati senza garanzia

Mandati garantiti

da 0 a 10 milioni 0,19% 0,18% 0,27% 0,30% 0,31% 0,26%

da 10 a 50 milioni 0,18% 0,17% 0,25% 0,20% 0,19% 0,27%

da 50 a 100 milioni 0,16% 0,14% 0,22% 0,16% 0,14% 0,22%

da 100 a 200 milioni 0,14% 0,12% 0,24% 0,15% 0,14% 0,26%

da 200 a 500 milioni 0,13% 0,11% 0,22% 0,13% 0,10% 0,22%

da 500 milioni a 1 miliardo 0,10% 0,08% 0,21% 0,10% 0,08% 0,23%

oltre 1 miliardo 0,04% 0,04% 0,04% 0,04% -

TOTALE RISORSE IN GESTIONE 0,12% 0,10% 0,22% 0,13% 0,11% 0,23%

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Tabella 7. I rendimenti dei mandati di gestione per tipologia, nel 2013

Dati relativi ai mandati attivi durante l’intero 2013. Fonte: MondoInstitutional

All’interno di valori medi, si nascondono risultati ben diversi ottenuti dai gestori per i differenti mandati.

Nel 2013 (figura 2), la dispersione maggiore nei rendimenti risulta tra i man-dati di tipo Bilanciato, dove il migliore è cresciuto del 14,98% e il peggiore dell’1,88%, con un intervallo di variazione del 13,10%. Sul lato opposto, nel 2013, la dispersione minore è stata registrata tra i mandati di tipo Obbligazio-nario Misto (6,13%).

Figura 2. La dispersione dei rendimenti dei mandati di gestione dei fondi pensione negoziali nel 2013

Dati relativi ai mandati attivi durante l’intero 2013. Fonte: MondoInstitutional

Passando al 2014 (tabella 8), invece, si nota ancora come la performance più significativa sia stata ottenuta dei mandati di tipo Azionario, in rialzo del 16,01%. Tuttavia, si tratta di un risultato inferiore alla media dei benchmark di tali mandati: +17,44%.

E, inoltre, solo il 2 degli 8 mandati di tipo Azionario attivi hanno ottenuto un rendimento superiore a quello del proprio benchmark di riferimento. I risultati migliori, in rapporto al benchmark, sono stati registrati nel 2014 dai mandati di tipo Obbligazionario Puro: dei 30 mandati attivi, il 63,3% ha superato il proprio benchmark.

Ma, in media, i mandati Obbligazionario Puro hanno chiuso il 2014 con una crescita del 5,92%, al di sotto del +6,03% della media dei loro benchmark

Rendimento medio

Rendimento medio benchmark

Sovra/sotto performance media

% mandati che battono il bench-mark

Totale mandati

Azionario 22,18% 21,87% 0,31% 44,4% 9

Bilanciato 10,42% 9,73% 0,69% 66,7% 33

Bilanciato azionario 13,28% 13,12% 0,16% 42,9% 7

Bilanciato obbligazionario 5,34% 4,74% 0,60% 89,5% 38

Obbligazionario “puro” 1,09% 1,16% -0,07% 36,4% 22

Obbligazionario “misto” 3,26% 3,29% -0,03% 40,0% 20

TOTALE RISORSE IN GESTIONE 7,20% 6,83% 0,37% 61,2% 129

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Rendimento medio

Rendimento medio benchmark

Sovra/sotto performance media

% mandati che battono il bench-mark

Totale mandati

Azionario 16,01% 17,44% -1,44% 25,0% 8

Bilanciato 10,60% 11,36% -0,76% 39,4% 33

Bilanciato azionario 13,39% 15,01% -1,61% 28,6% 7

Bilanciato obbligazionario 9,83% 10,21% -0,38% 36,8% 38

Obbligazionario “puro” 5,92% 6,03% -0,10% 63,3% 30

Obbligazionario “misto” 5,31% 5,89% -0,53% 33,3% 24

TOTALE RISORSE IN GESTIONE 8,87% 9,42% -0,55% 41,3% 140

Tabella 8. I rendimenti dei mandati di gestione per tipologia, nel 2014

Dati relativi ai mandati attivi durante l’intero 2014. Fonte: MondoInstitutional

Sul fronte della dispersione dei rendimenti (figura 3), i risultati del 2014 appaio-no subito più diversificati rispetto a quelli del 2013. Da un anno all’altro, infatti, la dispersione è aumentata per tutte le tipologie di mandati tranne quelli di tipo Bilanciato, che hanno invece registrato un leggero calo.

Figura 3. La dispersione dei rendimenti dei mandati di gestione dei fondi pensione negoziali nel 2014

Dati relativi ai mandati attivi durante l’intero 2014. Fonte: MondoInstitutional

Se a livello complessivo si nota un’elevata differenza nel numero dei mandati che hanno superato il proprio benchmark nel 2014 rispetto al 2013, dall’altro lato è interessante notare una certa costanza nei risultati dei due anni da parte dei mandati a garanzia del capitale. Nel 2014, infatti, il 40% dei 25 mandati con garanzia attivi ha superato il proprio benchmark di riferimento, in linea con l’an-no precedente: nel 2013 a superare il benchmark è stato il 45,5% dei 22 man-dati operativi di tale tipologia. Dall’altro lato, invece, nel 2014 solo il 41,7% dei 115 mandati senza garanzia ha “battuto” l’indice di riferimento, contro il 64,5% dei 107 mandati senza garanzia del 2013.

A penalizzare i risultati del 2014, soprattutto per quanto riguarda i mandati di tipo Azionario e Bilanciato, sono stati gli approcci più difensivi adottati dai gestori ri-spetto ai benchmark alla luce del quadro economico e finanziario internazionale. I timori legati alla crescita economica in diverse regioni del mondo, le differenti aspettative di incremento dei tassi d’interesse di riferimento, ma anche i problemi ancora in corso di alcuni Stati con i relativi debiti pubblici, sono solo alcuni dei fattori più importanti che hanno determinato incertezza e volatilità, portando i ge-stori a esporsi meno ai rischi rispetto ai benchmark di riferimento.

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A essere premiati, nel 2014, sono stati invece i mandati con garanzia che han-no adottato un mix di portafoglio basato su duration maggiori rispetto ai propri parametri di riferimento.

ConclusioniDall’analisi condotta sui mandati di gestione affidati dai fondi pensione nego-ziali italiani si possono quinti trarre alcune indicazioni:

• Dal 2013 al 2014 sono aumentati i patrimoni dei mandati di tipo Azionario e Obbligazionario Misto, probabilmente per la ricerca di maggiori rendimenti a fronte di un contesto di tassi d’interesse ai minimi storici;

• In 12 mesi, sono cresciute le dimensioni dei singoli mandati di gestione af-fidati dai fondi pensione italiani per effetto dell’automatico aumento delle masse gestite, e questo ha consentito di “sfruttare” le economie di scala a livello di costi di gestione;

• Al crescere delle dimensioni dei mandati, infatti, sono diminuiti visibilmente gli oneri di gestione applicati;

• Dal 2013 al 2014 si è registrato un leggero calo degli oneri medi complessivi ponderati per gli asset pagati dai fondi pensione ai gestori (dallo 0,13% allo 0,12%), merito delle economie di scala ma anche come conseguenza dei differenti livelli di performance ottenuti nei due anni presi in esame;

• Nel 2013, il 61,2% dei mandati di gestione ha superato il proprio benchmark di riferimento, contro il 41,5% del 2014;

• Tuttavia, sia nel 2013 che nel 2014 i mandati di gestione con garanzia hanno sovraperformato i benchmark di riferimento in modo simile: il 45,5% nel 2013 e il 40% nel 2014;

• Il minor tasso di superamento del benchmark nel 2014 rispetto al 2013 è pro-babilmente legato al differente contesto economico/finanziario che ha indot-to, soprattutto i gestori di mandati di tipo Azionario e Bilanciato, ad assumere posizioni più difensive rispetto ai benchmark di riferimento.

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Una valutazione dell’impatto di asset class alternative per i fondi pensione italiani1

Massimo Guidolin - Dipartimento di Finanza e Centro Baffi Carefin, Uni-versità Bocconi

1 Ringrazio la dott.ssa Veronica Fegatilli per l’eccellente assistenza fornitami nelle diverse fasi di questo lavoro.

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Una valutazione dell’impatto di asset class alternative per i fondi pensione italianiIntroduzioneNel panorama nazionale italiano differenti forme pensionistiche complemen-tari si sono configurate nel corso degli ultimi venti anni, prima di raggiungere la conformazione attuale che si connota, sostanzialmente, di quattro varianti: fondi pensione negoziali, fondi pensione aperti, piani individuali pensionistici di tipo assicurativo (noti come Pip), fondi pensione preesistenti.

La caratteristica che differenzia le diverse categorie di previdenza integrativa di cui sopra, afferisce all’ente “fondatore”: nel caso di fondi pensione negoziali si tratta, infatti, di rappresentanti dei lavoratori e/o datori di lavoro nell’ambito delle dinamiche di contrattazione; i fondi pensione aperti sono promossi e gestiti da banche, società di gestione del risparmio (Sgr) e società di intermediazione mobiliare (Sim); i piani individuali pensionistici di tipo assicurativo sono offerti da imprese di assicurazione; caratteristiche eterogenee presentano, invece, i fondi pensione preesistenti, poiché costituiti prima del Decreto Legislativo n. 124 del 1993 che ha disciplinato la previdenza complementare.2

Entrando nel vivo della trattazione, appare immediatamente chiaro che la com-posizione di qualsivoglia alternativa pensionistica integrativa risulta dominata da classi di investimento tradizionali. Volendo rendere concreta l’idea di “investimen-to tradizionale”, è sufficiente osservare l’elevata percentuale di titoli di stato nella composizione di portafogli dei diversi fondi pensione analizzati (con riferimento alla fine del 2013): tale fetta si muove entro un range compreso tra il 39,3% nel caso delle scelte di investimento relative ai fondi pensione preesistenti, sino ad arrivare al 59,6% in presenza di fondi pensione negoziali. In tutte le varianti di fondi pensione previste dalla normativa attuale, circa la metà dei titoli di stato presenti in portafogli sono titoli di finanziamento del debito pubblico italiano, nel caso dei Pip più recenti i titoli del debito nazionale costituiscono oltre il 40% del patrimonio complessivo (si osservi, per ulteriori dettagli, la tavola 1.8 della “Relazione per l’anno 2013 – Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione”). La configurazione delle scelte di investimento che guidano gli asset managers dei fondi pensione trova riscontro nei principi cardine della normativa italiana vigente in materia di previdenza complementare e nel “look-through principle” enucleato dal terzo pilastro di Solvency II; in base a tale principio l’investimento in specifi-che asset class è consentito a condizione che la funzione preposta all’assunzio-ne dei rischi valuti ex-ante la piena coerenza tra i profili di rischio associati ad uno specifico investimento e i criteri generali di rischio/rendimento cui dichiara atte-nersi un particolare fondo pensione. E’ proprio in questa prospettiva di limitazione e monitoraggio costante del rischio, che l’investimento obbligazionario – non solo in titoli di stato, come riflesso ancora nella tavola 1.8 – trova terreno fertile e im-portanza predominante, contrariamente a quanto accade per i titoli azionari che rivestono ruolo minoritario nella recente composizione dell’investimento dei fondi pensione3. Non diverso è il peso dell’investimento in Organismi di investimento collettivo del risparmio (Oicr) che, al dicembre 2013, rappresentava un’alternati-va concreta solo per i fondi pensioni aperti con una quota del 25,1%. Menzione a se stante merita l’investimento in immobili che è realizzato in scarsa misura me-diante Oicr e in porzione egualmente ridotta attraverso l’investimento diretto; co-stituiscono eccezione i fondi pensione preesistenti che mostrano in media quote

2 Si distinguono i fondi pensione preesistenti “autonomi” dotati di soggettività giuridica (associazioni non riconosciute, associazioni riconosciute, fondazioni o enti morali) dai fondi pensione preesistenti “interni” costituiti all’interno di società (banche, imprese di assicurazione) come patrimonio separato ex art. 2117 c.c. ovvero soltanto come posta contabile del passivo, per i lavori occupati nelle stesse società. 3 E’ opportuno, però, notare che l’esposizione azionaria per i fondi pensione negoziali, calcolata inclu-dendo anche i titoli di capitale detenuti per il tramite di Organismi di investimento collettivo del risparmio (Oicr) sia salita al 24,9% nel 2013, facendo registrare un aumento di oltre due punti percentuali rispetto all’anno precedente.

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di investimento diretto in immobili pari ad oltre un decimo della composizione patrimoniale complessiva ed investimenti indiretti in immobili per circa il 4,3% del patrimonio totale della categoria.

Il ruolo delle asset class alternativeL’analisi sinora condotta ha messo in luce una struttura patrimoniale dei fondi pensione – nelle diverse connotazioni previste dal quadro normativo italiano – fortemente rivolta alle categorie di attività tradizionali; è proprio il superamento di questa prospettiva di contenimento del rischio che genera la domanda di la-voro di questa parte: come cambierebbe il profilo rischio/rendimento delle pos-sibili alternative di previdenza integrativa se nell’assetto patrimoniale venissero inserite asset class “alternative” e con rapporti rischio/rendimento decisamente più aggressivi? I fondi pensione, in tutte le vesti concesse dalla legislazione, delineerebbero ancora un investimento adeguato per i soggetti – notoriamente risk-averse – che nei fondi pensione investono?

Per dare risposta ai quesiti offerti, l’indagine procede con l’identificazione di classi di attività più redditizie e conseguentemente (secondo la teoria dei mer-cati efficienti) più rischiose rispetto alle consuete. La nostra analisi di categorie di investimento “alternativo” è per il resto ricaduta su: • energy traded commodities, ovvero una serie di prodotti derivati legati all’e-

nergia scambiati nei mercati finanziari (petrolio, gas naturale, benzina, elet-tricità, combustibile per il riscaldamento, elettricità);

• all commodities ex energy, un paniere di beni che non comprende prodotti “energy” anche essi scambiati su mercati finanziari regolamentati (metalli preziosi e industriali, grani, cereali, caffè, carne);

• inflation, un indice rappresentativo del livello di inflazione europea;• volatility, un indice in grado di offrire una misura dell’aspettativa di mercato

riguardo alla volatilità di brevissimo termine di un indice azionario Usa di primaria importanza.

Per ognuna di queste classi di attività è stato selezionato un indice che ben replicasse la classe in oggetto, in particolare:• l’indice Dow Jones/UBS Energy è stato utilizzato come approssimazione

della dinamica di prezzo traded nei mercati finanziari per il complesso di beni legati all’energia;

• l’indice Dow Jones/UBS Commodity Index, Ex Energy è stato scelto ai fini di identificare un paniere di prodotti che non includesse i derivati energetici;

• al fine di approssimare il livello di inflazione europea si è scelto di conside-rare l’Eurostat Eurozone Harmonized Consumer Price Index;

• una misura di volatilità attesa è stata individuata nel Chicago Board of Trade VIX Index.

La variabile discriminante nel processo di selezione degli indici sopraelencati ri-siede nella disponibilità di dati mensili tra il febbraio 2001 e il marzo 2014, arco temporale analizzato. Gli indici rappresentativi di asset class non propriamente ca-noniche, sono stati inseriti – secondo modalità e opzioni che nel seguito verranno esposte – all’interno di un portafoglio “tradizionale”, composto da attività quali:• Government Bonds (un insieme di obbligazioni governative riprodotte dall’in-

dice FTSE Euro Government Bonds all maturities negli esercizi quantitativi condotti nel seguito);

• Corporate Bonds (un insieme di obbligazioni societarie che nel seguito verrà rappresentato mediante l’indice FTSE Euro Corporate Bonds all maturities);

• Stocks (titoli di capitale di rischio riprodotti dall’indice Euro Stoxx 50);• European Real Estate (un insieme di titoli e attività immobiliari approssimabili

dal Bloomberg’s Europe 500 Real Estate Index);• Cash (disponibilità liquide o mezzi equivalenti identificabili con l’Euro Over-

night Deposit Index).

Le cinque tipologie di attività presentate catturano in maniera adeguatamente

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indicativa la composizione del portafoglio tipico dei fondi pensione italiani (se-condo percentuali variabili, in accordo alla diversa tipologia di fondo pensione); è proprio in questo scenario di investimento, assimilabile allo status quo, che verranno innestate le attività meno consuete e più aggressive al fine di valuta-re i possibili vantaggi derivanti dalla rivisitazione della pratica di investimento attuale delle forme pensionistiche complementari. Prima di procedere con gli esercizi quantitativi che metteranno in luce pro e contro derivanti dall’introdu-zione di investimenti alternativi nell’asset menu, è opportuno sottolineare che si è deciso di inserire la classe dei titoli immobiliari all’interno del paniere di asset considerati canonici, sebbene le attività immobiliari siano considerate da alcuni come classe alternativa.

L’analisi quantitativaAl fine di valutare i vantaggi di un’estensione delle soluzioni di investimento disponibili per i fondi pensione4,5, il passo successivo da compiere è quello di valutare – prioritariamente in termini di Value at Risk (VaR) ed Expected Shortfall (ES) – un ventaglio di possibili allocazioni di portafogli dei fondi pensione. Le combinazioni di asset class vagliate spaziano dall’assetto di portafoglio me-diamente optato dai gestori di fondi (nel seguito, “scenario status quo”), a por-tafogli in cui le attività canoniche sono riproporzionate per includere in misura del 5%, del 15% o del 20% tutte le attività alternative (ciascuna nella misura dell’1,25%, del 3% o del 5%) oppure una sola delle quattro classi opzionali proposte, in quota variabile tra il 5%, il 15% e il 20%6. Nel seguito, presentiamo le tabelle di sintesi degli esercizi quantitativi realizzati:

Tabella 1a. Analisi del profilo rischio/rendimento delle combinazioni optate

Fonte:Elaborazioni dell’autore

Prima di procedere all’interpretazione dei risultati esposti nelle tabelle, è op-portuno chiarire alcune specifiche tecniche in base alle quali l’analisi quan-titativa è stata modulata. In primis si è scelto di supplementare il VaR di di-mensione p% (la perdita massima di portafoglio che un investitore potrebbe registrare con una probabilità pari a p%) con l’ES di dimensione p% o Tail-VaR (la perdita attesa di portafoglio che un investitore potrebbe registrare con una probabilità pari a p%); questa scelta deriva dal fatto che la seconda misura

StatusQuo

Tutte,5%

Tutte,15%

Tutte,20%

DJ Energy 5%

DJ Energy 15%

DJ Energy 20%

Std. Deviation 1,284% 1,122% 1,005% 0,979% 1,289% 1,632% 1,914%

Mean 0,328% 0,325% 0,320% 0,306% 0,293% 0,223% 0,188%

VaR 5% 1,783% 1,521% 1,334% 1,305% 1,827% 2,461% 2,961%

VaR 1% 2,658% 2,286% 2,019% 1,972% 2,705% 3,573% 4,265%

ES 5% 2,648% 2,315% 2,073% 2,020% 2,658% 3,366% 3,949%

ES 1% 3,421% 2,991% 2,679% 2,610% 3,434% 4,349% 5,102%

Sample Skewness -0,274 -0,188 -0,127 -0,117 -0,462 -0,433 -0,342

Excess Kurtosis 0,526 0,447 0,480 0,549 0,334 0,369 0,503

VaR at 5% after Cornish FisherVaR at 1% after Cornish Fisher

4 La valutazione del rischio di un investimento, ancor prima che del rendimento a questo associato, trova ragione d’essere in accordo all’identità dei soggetti fruitori dell’indagine: le quote dei fondi pensione sono sottoscritte di norma da piccoli risparmiatori che rivolgono attenzione cruciale al profilo di rischio di un investimento.5 Il Value at Risk è calcolato come VaRp

t+1 = −σPF,t+1Ф-1p e l’Expected Shortfall come ESp

t+1 = σPF,t+1[δ(α-1p)/p].

Nelle formule, Ф-1p è il valore di una Gaussiana standardizzata che lascia una percentuale pari a p nella

coda sinistra della distribuzione; δ(.) è la densità Gaussian standardizzata; σPF,t+1 è una previsione di volatilità per il portafoglio PF.6 Coerentemente con quanto riportato nella già citata “Relazione per l’anno 2013” della Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione (Covip) a proposito dell’asset allocation canonica adottata dai fondi pensione italiani al dicembre 2013.

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in oggetto rappresenta un metro di rischio coerente (a differenza del VaR, mi-sura non sub-additiva) per ogni data probabilità p. Inoltre, per ogni esercizio prodotto, sono stati calcolati VaR ed ES a due livelli di probabilità (1% e 5%), per testare l’incremento di “rischio” conseguente alla riduzione del parametro di probabilità. Ove necessario, nel computo di VaR ed ES, sono state applica-te le opportune correzioni alle potenziali non-normalità presenti nelle serie dei rendimenti delle attività in portafoglio; tali correzioni sono frutto dell’applica-zione dell’espansione di Cornish-Fisher – criterio fondato su approssimazioni polinomiali – che consente di correggere le misure di rischio per non-zero skewness (asimmetrie nella distribuzione dei rendimenti) ed eccesso di cur-tosi e tiene in considerazione le proprietà caratteristiche dei dati trattati7.

Tabella 1b. Analisi del profilo rischio/rendimento delle combinazioni optate

Fonte:Elaborazioni dell’autore

I molteplici scenari di allocazione individuati offrono risultati interessanti: l’intro-duzione, in egual proporzione, di tutte le categorie di attività alternative (a fian-co delle tradizionali) comporta una consistente riduzione del rischio in termini di standard deviation dei portafogli cui, però, si accompagna anche una sensibile diminuzione del rendimento medio (cfr. Tabella 1a). Il livello più basso di volati-lità si registra, infatti, quando un quinto del portafogli è rappresentato dall’inve-stimento in “tutte le classi alternative in identica proporzione”; questo risultato evidenzia come all’aumento della quota % di asset classes (singolarmente) più rischiose ed eterogenee, il rischio di portafogli risulti notevolmente limitato in virtù del ben noto effetto diversificazione. Differente effetto si palesa quando le attività meno canoniche sono introdotte non simultaneamente in portafoglio. Nel caso dell’inserimento del DJ Energy Index la varianza di portafogli aumenta al crescere della quota investita nell’indice mentre il rendimento medio si riduce, sfavorendo l’iniziativa di investimento nella sola classe dei prodotti energetici (cfr. Tabella 1a). Risultati non dissimili si registrano quando il portafoglio cano-nico viene arricchito dell’investimento in un paniere di prodotti non comprensivo dei derivati energetici: al crescere della quota dell’indice DJ Commodity Ex Energy Index, difatti, lo Sharpe ratio di portafogli si riduce considerevolmente per il duplice effetto di incremento della deviazione standard e decremento del rendimento medio (cfr. Tabella 1b). Per rendimenti medi soddisfacenti e prossi-

StatusQuo

DJ commex-energy 5%

DJ commex-energy 15%

DJ commex-energy 20%

Infla-tion5%

Infla-tion15%

Infla-tion20%

VIX5%

VIX15%

VIX20%

Std. Deviation 1,284% 1,276% 1,344% 1,420% 1,220% 1,086% 1,022% 1,109% 2,669% 3,666%

Mean 0,328% 0,318% 0,299% 0,289% 0,320% 0,304% 0,296% 0,369% 0,452% 0,494%VaR 5% 1,783% 1,781% 1,912% 2,047% 1,687% 1,483% 1,384% 1,455% 3,937% 5,535%

VaR 1% 2,658% 2,651% 2,828% 3,015% 2,518% 2,223% 2,080% 2,210% 5,756% 8,033%

ES 5% 2,648% 2,632% 2,773% 2,930% 2,517% 2,241% 2,107% 2,287% 5,505% 7,561%

ES 1% 3,421% 3,401% 3,582% 3,785% 3,252% 2,895% 2,723% 2,956% 7,113% 9,769%

Sample Skewness

-0,274 -0,288 -0,389 -0,446 -0,280 -0,292 -0,299 0,089 1,105 1,212

Excess Kurtosis

0,526 0,483 0,671 0,823 0,535 0,550 0,558 -0,056 2,517 2,962

VaR at 5% after Cornish Fisher

2,338% 2,487% 3,355% 4,446%

VaR at 1% after Cornish Fisher

3,646% 3,937% 4,384% 5,771%

7 La skewness di un rendimento giornaliero è definita da: ξ3 = E[(Rt+1 - Ω + 0,5α2)3]/α3; mentre l’eccesso di curtosi da: ξ4 = -3 + E[(Rt+1 - Ω + 0,5α2)4]/α4, dove il termine - Ω + 0,5α2 rappresenta un aggiustamento tipico delle distribuzioni log-normali.

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mi allo 0,3%, l’investimento in inflation-protecting securities riduce la volatilità di portafoglio, effetto che può essere parimenti ottenuto aggiungendo una conte-nuta quota di investimento (pari al 5%) in indici di volatilità (nell’esercizio svol-to si è utilizzato il VIX Index) all’allocazione canonica. Quest’ultima fattispecie permette di ottenere il più alto rendimento medio (0,369%) per livelli di volatilità compresi tra l’1% e il 2%.

In una prospettiva media-varianza, i pesi di portafoglio ottimo per un investitore che a parità di rischio preferisce un rendimento medio di portafogli più elevato appaiono comportarsi come nella Tabella 2.8

Tabella 2. Pesi di portafoglio ottimo

Fonte:Elaborazioni dell’autore

Confrontando l’asset allocation ottimale canonica (scenario “status quo”) con gli scenari che si paventerebbero introducendo singolarmente o simultanea-mente le classi di attività alternative al fianco delle consuete, la prima conside-razione che emerge riguarda l’indice di volatilità: questa asset class presenta peso negativo sia nello scenario di investimento congiunto, sia in quello di inve-stimento singolo. A differenza di quanto accade per il VIX Index, l’investimento in commodities (ex energy), al pari di quello in derivati energetici e in inflation-protecting securities, ottiene peso consistente e positivo nell’allocazione ottima di un ipotetico fondo pensione: l’effetto è ancora più evidente quando le cate-gorie alternative sono aggiunte separatamente al portafoglio “status quo” (cfr. Tabella 2).9 A proposito delle classi di attività tradizionali, è opportuno notare come l’investimento in titoli di stato appaia sicuramente più contenuto (37,42%) quando il ventaglio delle possibilità di investimento è ampliato a tutte le “new asset classes” contemporaneamente ed in egual proporzione, ovvero alla sola classe dei derivati energetici. Categorie di attività quali titoli azionari e obbliga-zionari societari emergono con peso minoritario – persino negativo – quando il paniere di asset afferisce anche ad attività non canoniche. Interessante notare come l’inserimento simultaneo di tutte le possibili categorie di investimento al-ternativo generi uno sbilanciamento in favore dell’investimento nel comparto immobiliare che raggiunge un peso del 28,78%. Una percentuale così eleva-ta è da ricondurre, probabilmente, alla skewness positiva propria delle serie storiche dei rendimenti real estate, prospettiva interessante agli occhi del risk manager; al contrario, rendimenti decisamente non soddisfacenti e, dunque, scarso contributo al rendimento medio di portafogli è da ricondurre alla catego-ria di investimento di cui sopra.

A questo punto, assunto che l’investimento in attività eterogenee e con profili di rischio/rendimento dissimili dagli “ordinari” possa apportare consistenti miglio-ramenti alla rischiosità complessiva e, non da meno, al ritorno medio dell’allo-

StatusQuo

All new asset classes

DJ energy only

DJ commex-ener-gy only

Inflation linked only

VIX only

EU Government Bonds 50,10% 37,42% 28,06% 302,59% 88,90% 57,24%

Euro Stoxx 16,10% 12,07% -56,27% -191,18% -1,28% -25,66%Europe 500 Real Estate 3,40% 28,78% 0,70% -5,72% 0,56% -5,15%FTSE Euro Corporate Bonds 11,00% 4,73% -3,72% -41,16% 12,96% 7,81%DJ energy 0,00% 4,40% 130,97% - - -

DJ commodities ex-energy 0,00% 11,66% - 30,72% - -

Inflation index 0,00% -1,11% - - -1,19% -

VIX 0,00% 2,04% - - - 27,86%

8 Si rileva che i pesi ottimi sono indipendenti dalla struttura delle preferenze, poiché il cash è configurato come un’attività residuale. Nel dettaglio: γ*t = Ϛ-1[Var(Rt+1)]-1E[Rt+1 – rƒ1N].9 Un esempio è offerto dalla quota investita in derivati energetici (pari a 130.97%), quando questa si configura come unica opportunità di investimento integrativa rispetto all’asset menu canonico.

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cazione di un fondo pensione, il quesito che si manifesta è: nei fatti, quali sono i canali che permettono l’accesso a tali attività per un fondo di previdenza com-plementare italiano? In primo luogo la modalità di accesso diretto deve essere esclusa poiché la gran parte delle classi alternative discusse in questa Sezione non sono scambiabili direttamente sul mercato; restano, perciò, opzioni indiret-te quali l’investimento attraverso strumenti tradizionali (azioni ed obbligazioni dei settori in oggetto, proprietà immobiliari, combinazioni di Oicr, derivati dal profilo non strutturato) e strumenti strutturati che fanno index-tracking o che re-plicano (embed) semplici strategie (fondi di investimento mobiliari aperti, fondi di investimento chiusi – anche immobiliari –, Exchange Traded Funds – recen-temente anche strategy-linked –, certificati di investimento index-tracking con e senza garanzia di capitale protetto).10

L’impiego di strumenti tradizionali, sebbene più semplice da un punto di vista strettamente regolamentare, comporta costi di attuazione notevoli e limiti alla realizzazione delle operazioni quando queste sono imprescindibili dall’acqui-sto/vendita diretta di strumenti derivati. Quantomeno in linea teorica le soluzioni indirette preferibili sembrano essere i fondi di investimento aperti (in Italia i fondi chiusi si specializzano nel settore immobiliare) ed i fondi di fondi, eppure nella concretezza si paventano svariate difficoltà per via dell’applicazione del “look-through principle” di cui già si è detto in capo di trattazione. Hanno incentivo, dunque, i fondi pensione nel proporre fondi indice o basati su strategie attive volte a coprire le “nuove” asset class? L’evidenza empirica suggerisce vantaggi legati alla strutturazione di “fondi portfolio commodities” e, seppur in maniera occasionale e incerta, di “fondi portfolio inflation”.

Maggiore attenzione merita l’investimento in Exchange Traded Funds (Etf) e in Certificati di Investimento. Con riguardo ai primi, si tratta sostanzialmente di fondi di investimento scambiati sui mercati ufficiali che replicano indici o semplici strategie (Etf attivi) in accordo con le caratteristiche di Ucits-eligible. Gli Etf costituiscono una valida alternativa di investimento per i fondi pensione italiani in virtù dei costi contenuti di cui sono portatori e dell’efficienza fiscale ed elevata liquidità di cui godono; sebbene non brillino per trasparenza (molti Etf/Etc replicano, infatti, l’indice sottostante in modo sintetico sfruttando anche posizioni in derivati) e l’applicazione del principio del “look through” possa rive-larsi problematica, tali strumenti sono in grado di offrire una gamma di esposi-zione completa alle nuove classi di attività che si sono proposte. I certificati di investimento, invece, altro non sono se non prodotti strutturati ibridi con caratte-ristiche affini a titoli a reddito fisso (protezione del capitale completa o parziale e possibilità di strutturazione delineano le principali caratteristiche comuni) che la disciplina vigente classifica come titoli di debito. Le componenti strutturate – ove la strutturazione offra garanzie di capitale volte a limitare le perdite – di norma vengono sfruttate per collegare un payout bond-like all’andamento di indici sottostanti quali, ad esempio, inflation, commodity o volatility indices.

10 Alcuni esempi di investimento indiretto per il tramite di strumenti tradizionali: l’acquisto di “inflazione” mediante l’investimento in inflation-protected bonds (in cui l’esposizione non è pura poiché non si assu-me una posizione short sul sottostante); l’acquisto o la vendita di commodities attraverso l’investimento o il disinvestimento in quote di aziende del settore (es. settore minerario).

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Asset allocation di lungo periodo nei fondi pensione: i titoli illiquidiClaudio Tebaldi - Dipartimento di Finanza e Centro Baffi Carefin, Uni-versità Bocconi

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Asset allocation di lungo periodo nei fondi pensione: i titoli illiquidiIntroduzioneLa tutela dell’investimento a fini previdenziali, la garanzia di equità intergenerazio-nale costituiscono i caposaldi dei moderni sistemi di welfare pubblici e privati. La garanzia effettiva di tali tutele è oggi severamente messa in discussione a causa delle profonde mutazioni che attraversano la nostra società. La rapidità delle dina-miche demografiche e migratorie, la mutazione del rapporto lavorativo, la progres-siva integrazione e globalizzazione dei mercati finanziari richiedono altrettanta rapi-dità nell’adeguamento normativo e nell’aggiornamento del paradigma gestionale. In questo quadro si trovano ad operare i fondi pensione, gli investitori istitu-zionali iscritti all’albo tenuto dalla Covip ai sensi dell’articolo 19, comma 1, del Decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252.

La recente emanazione del Decreto del Ministero dell’economia e delle finanze n. 166 del 2 settembre 20141 (di seguito “Dm 166/2014”) porta a compimento il ridi-segno della disciplina in materia di gestione degli investimenti e conflitti d’interes-se per questa categoria di investitori istituzionali. Il decreto offre numerosi spunti per una analisi delle scelte gestionali e delle politiche di investimento in relazione alle innovazioni sopravvenute nell’ambito della gestione finanziaria, alle mutate condizione del mercato dei capitali ed alla best practice a livello internazionale.La presente trattazione si articolerà secondo il seguente schema: la seconda sezione richiama gli obiettivi istituzionali, i paradigmi gestionali attualmente in essere ed esamina le potenziali ricadute gestionali dei cambiamenti normativi intercorsi. La terza sezione si focalizza sulla definizione di asset allocation di lungo periodo mentre la quarta sezione si concentra sulle problematiche con-nesse agli investimenti in titoli illiquidi e alle forme di investimenti alternative. La quinta sezione è dedicata al riepilogo e alle conclusioni.

Obiettivi istituzionali e paradigmi gestionali dei fondi pensioneL’articolato del Ministro del Tesoro n. 703 del 21 novembre 1996 (di seguito Dm 703/1996) che regolava i criteri ed i limiti di investimento dei fondi precedente all’emanazione del Dm 166/2014 impone severe limitazioni alle scelte di inve-stimento dei fondi pensione, di fatto limitando le opportunità di investimento alle sole asset class scambiate nei mercati regolamentati. Un aspetto parti-colarmente innovativo delle disciplina introdotta dal Dm 166/20142 riguarda le modalità attraverso la quale si tutela l’interesse degli aderenti. Infatti essa non avviene più tramite limitazioni regolamentari sulla tipologia di investimenti am-missibili, ma piuttosto mediante adozione di modelli di best practice gestionale.

«Il fondo pensione adotta processi e strategie di investimento adeguati alle pro-prie caratteristiche e per i quali sia in grado di istituire, applicare e mantenere congruenti politiche e procedure di monitoraggio, gestione e controllo del rischio»

Il Dm 166/2014 rimuove le limitazioni imposte dal Dm 703/1996 e permette ai fondi pensione l’accesso a forme alternative di investimenti. In particolare il De-creto permette di investire in strumenti non negoziati in mercati regolamentati fino ad un massimo 30% del disponibilità complessive del fondo pensione.

Le motivazioni che hanno portato a questo cambiamento di impostazione sono ben note, infatti le limitazioni esistenti sulla tipologia di investimenti ammissi-

1 Decreto del Ministero dell’economia e delle finanze n. 166 del 2 settembre 2014 “Regolamento recante norme sui criteri e sui limiti di investimento delle risorse dei fondi di pensione e sulle regole in materia di conflitto di interessi”, attuativo dell’articolo 6, comma 5-bis del decreto legislativo n. 252 del 5 dicembre 2005.2 Per una disamina più approfondita dal punto di vista giuridico delle novità normative introdotte dal DM 166/2014 Grippo E. e Sansone R. Diritto Bancario Approfondimenti “Fondi pensione e investimenti alternativi: tra tentativi di riforma e nuova regolamentazione” Dicembre 2014.

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bili possono ostacolare l’efficienza gestionale e si traducono molto spesso in una politica degli investimenti inefficiente. Infatti la recente esperienza dimostra che la limitazione dell’universo dei titoli investibili alle sole asset class quo-tate in mercati regolamentati, congiuntamente con un modello di valutazione a benchmark delle performance gestionali, ha spesso determinato una certa inerzia nelle scelte di investimento ed il conseguente impoverimento nella qua-lità dell’asset selection. In questa situazione il costo della trasparenza offerta dall’utilizzo di soli strumenti liquidi e quotati diventa particolarmente elevato ed in particolare pone gli investitori italiani in una condizione di subalternità nei confronti degli investitori globali e in ultima analisi crea pesanti distorsioni nel mercato dei capitali nazionale.

La recente crisi del debito sovrano e i suoi effetti sul sistema creditizio hanno evidenziato uno degli aspetti più dolorosi derivanti da questa rigidità, ovvero l’impossibilità di utilizzare l’investimento previdenziale e in particolare l’inter-vento dei fondi pensione come strumento di salvataggio di imprese in crisi di liquidità ma potenzialmente produttive. A questo proposito va purtroppo sottoli-neato che tale situazione si è venuta a creare non tanto e non soltanto a causa dei vincoli normativi sui fondi, ma in primo luogo per effetto della endemica sottocapitalizzazione e per la tradizionale riluttanza alla quotazione borsistica delle imprese italiane. Da questo punto di vista la rimozione dei vincoli normativi prodotta del Dm 166/2014 appare certamente una condizione necessaria, ma non sufficiente a rilanciare l’investimento in ambito nazionale. Anche se sono caduti i vincoli di legge, rimangono gli obiettivi di trasparenza ed accountability che devono caratterizzare istituzionalmente gli investimenti previdenziali.

La nuova disciplina chiarisce che al fondo pensione vengono richieste politi-che e procedure di monitoraggio, gestione e controllo del rischio e dunque un aumento delle quote di investimento in ambito nazionale potrà avvenire solo ove le condizioni generali di trasparenza del mercato e di tutela degli investitori permettano scelte di allocazione congrue e utili ai fini previdenziali. Infatti è utile ribadire anche in questa sede che la scarsa protezione degli investitori è causa determinante della segmentazione del mercato ed allontana l’offerta di capitale da parte degli investitori istituzionali italiani dalla domanda di investimento da parte dei produttori nazionali.

La nuova normativa avvicina il modello gestionale dei fondi pensione a quel-lo già adottato a livello internazionale e va nella direzione di una progressiva armonizzazione della disciplina nazionale alla normativa europea. In particola-re il riferimento alle forme di investimento alternativo risponde alla richiesta di maggiore flessibilità ed offre nuove dimensioni di diversificazione dei portafogli. La nozione stessa di investimento alternativo, come autorevolmente affermato nel documento congiunto Oecd-Iops3, è in continua evoluzione e cambia in relazione all’evoluzione di mercati e dell’innovazione finanziaria. La disciplina sui conflitti di interesse completa un rinnovato quadro normativo in cui è chiaro l’intento di promuovere un approccio meno vincolante e più sostanziale alla tutela degli aderenti.

Tra le novità regolamentari di potenziale rilievo per l’investimento pensionistico vale la pena soffermarsi su una particolare categoria di fondi di investimento alternativo recentemente istituita a livello europeo. In data 20 Aprile 2015 Il Consiglio Europeo ha emanato un regolamento che istituisce la categoria degli European Long Term Investment Funds (Eltif). L’investimento dei fondi di cate-goria Eltif si focalizzerà sulle asset class che per loro natura offrono un rapporto rendimento/rischio più favorevole nel lungo periodo e dunque richiedono forti limitazioni sui diritti di riscatto anticipato. In termini generali questa tipologia di

3 Organisation for Economic Co-operation and Development (“OECD”) e del international organization of pension supervisors (“IOPS”).

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investimento appare particolarmente appetibile per un fondo pensione. Infatti la natura delle prestazioni erogate da un fondo pensione consente una pianifica-zione di lungo periodo dell’asset liability management e dunque un investimen-to in un veicolo di tipo Eltif massimizza il vantaggio competitivo che un fondo pensione ha rispetto ad altri investitori istituzionali vincolati ad un orizzonte di investimento più breve e dunque ad esigenze di liquidabilità più stringenti.

Va peraltro riconosciuto che la Legge di Stabilità 2015 all’articolo 1, comma 92 riconosce ai fondi pensione e alle Casse previdenziali un incentivo fiscale sotto forma di credito di imposta a condizione che i proventi assoggettati alle ritenute e imposte sostitutive siano investiti in attività di carattere finanziario a medio o lungo termine. La normativa individua gli investimenti a medio/lungo termine in operazioni di finanziamento (azioni o obbligazioni) per la realizzazione di infrastrutture correlate all’erogazione di servizi pubblici o di pubblica utilità e richiede che le attività di carattere finanziario indicate siano detenute per alme-no cinque anni. E’ chiaro l’intento del legislatore che utilizza la leva fiscale per promuovere l’investimento infrastrutturale.

Asset allocation di lungo periodo Nel panorama internazionale, un famoso stile di gestione adottato da numerosi investitori istituzionali di lungo periodo che contempla l’investimento alternativo illiquido si ispira al cosiddetto “endowment model” introdotto da Swensen.

L’approccio di Swensen parte dall’osservazione che per un investitore di lun-go periodo la migliore liquidabilità di un titolo quotato determina un costo non sempre necessario e dunque gli investimenti più liquidi non sono sistemati-camente migliori di quelli illiquidi. Secondo questa impostazione, la selezione delle principali asset class da detenere in portafogli è dettata esclusivamente dagli obiettivi di redditività e di diversificazione e prescinde dalla liquidabilità dell’investimento. L’analogia tra gli stili di gestione degli “endowment” delle università americane e quelli dei fondi pensione si basa sull’osservazione che in entrambi i casi i vincoli istituzionali sono stabili nel lungo periodo e le pre-stazioni da erogare sono in buona misura prevedibili. Infatti nel caso di un fondo pensione il profilo temporale delle prestazioni richieste dipende in lar-ga misura dal ciclo di vita e dalla distribuzione anagrafica della popolazione degli aderenti.

Tale approccio ha prodotto nei 10 anni precedenti alla crisi fino al 2008 una sor-prendente performance media annua dell’11,8% ed ha influenzato la gestione di tutti gli altri endowment universitari. Il Wall Street Journal ha calcolato sulla base dei dati Nacubo,4 organizzazione che raccoglie le informazioni sulla ge-stione finanziaria di più di 832 istituti educativi, che gli allievi di Swensen gesti-scono più di un sesto del totale del patrimonio totale investito dagli endowment. La crisi del 2008 ha peraltro messo a nudo i limiti di tale approccio gestionale che ben si possono sintetizzare in una famosa citazione dal discorso del Presi-dente di Harvard che annunciava una perdita del 22% il 31 Ottobre 2008: “Yet even that sobering figure is unlikely to capture the full extent of actual los-ses for this period, because it does not reflect fully updated valuations in certain managed asset classes, mostly notably private equity and real estate” 5.

In altri termini la crisi ha evidenziato in tutta la loro gravità i pericoli derivanti dall’illiquidità ed in particolare dall’opacità delle valutazioni per quelle asset class più difficilmente liquidabili, quali ad esempio il private equity e l’investi-mento immobiliare. In particolare le situazioni che determinano le perdite più

4 North American Universities and College Business Officers and Commonfound.5 “Persino questi numeri raggelanti non catturano completamente le perdite reali sostenute, infatti esse non riflettono ancora del tutto le valutazioni aggiornate per alcune asset class, in particolare quelle regi-strate dal private equity e dagli investimenti immobiliari.” Fonte: A. Ang “Liquidating Harvard” Columbia Case.

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consistenti sono quelle determinate da una liquidazione forzata della quota il-liquida del fondo per poter erogare le prestazioni istituzionalmente richieste.

Da un punto di vista teorico è importante evidenziare che un approccio come quello proposto da Swensen è incompleto in assenza di una analisi della strut-tura per scadenza della frontiera rischi/rendimenti ovvero di una classificazione delle asset (liability) classes più articolata. L’aspetto usualmente trascurato è la dipendenza della frontiera rischio/rendimento rispetto all’orizzonte dell’investi-tore. Si considerino ad esempio i rischi demografici ed attuariali, i rischi legati ai cambiamenti climatici e alle spinte inflazionistiche o deflazionistiche, tutti questi rischi hanno un impatto ridotto sulla volatilità del portafogli nel breve periodo mentre diventano le principali fonti di volatilità per investitori di lungo periodo. Questi rischi sono dunque poco rilevanti per investitori di breve periodo ed in-vece diventano determinanti per investitori con un orizzonte medio lungo.

In questi casi è possibile e necessario estendere a tutte le asset class la classi-ficazione dei profili di liquidità che tradizionalmente di applica per analizzare le obbligazioni. Si consideri ad esempio l’indice di durata media finanziaria che de-scrive sinteticamente l’intervallo di tempo caratteristico necessario affinché i flus-si di un’obbligazione siano liquidati. E’ possibile definire una misura di duration anche per titoli i cui flussi futuri siano aleatori, come ad esempio un investimento azionario o immobiliare. Per tali titoli è tuttavia necessario caratterizzare anche la variazione del profilo di rischio al variare dell’orizzonte di liquidazione. Dunque, in ultima analisi il medesimo investimento potrà essere caratterizzato da un diverso profilo di rischio/rendimento al variare dell’orizzonte di investimento.

Proseguendo l’analogia con gli investimenti obbligazionari, la strategia di in-vestimento dovrà contemplare una condizione di bilanciamento tra i profili di liquidabilità delle attività e delle passività. Di fatto anche in questo caso si tratta di estendere al caso di flussi aleatori i principi di base dell’asset liability management. In altri termini, si dirà che un portafogli è ben bilanciato se vi è congruità tra il profilo delle prestazioni da erogare e il profilo temporale delle liquidazioni che massimizza la redditività dei titoli rischiosi.

Per concludere consideriamo un semplice esempio, piuttosto scolastico, di una strategia di investimento illiquido che ben si adatta ad erogare prestazioni pen-sionistiche e che con ogni probabilità ha stimolato la legislazione sugli incentivi fiscali per investimenti di lungo periodo introdotta in Legge di Stabilità. Tale esem-pio è costituito da investimento infrastrutturale che, a fronte di un investimento li-quido immediato, nel lungo periodo produca un flusso liquido di dividendi stabile, poco correlato con il ciclo che in termini attesi abbia una consistenza sufficiente a compensare le prestazioni richieste dal fondo pensione. In tal caso è immediato osservare il rischio di illiquidità dell’investimento infrastrutturale scompare poiché le prestazioni vengono direttamente compensate con i flussi prodotti dall’investi-mento e dunque la liquidazione dell’investimento non è necessaria.

In queste condizioni il rischio di (il)liquidità viene minimizzato e in base all’ap-proccio di Swensen è lecito attendersi che un portafoglio ben diversificato, inclusivo dell’investimento infrastrutturale, offra una remunerazione del rischio superiore a quello ottenibile investendo sul mercato dei titoli liquidi. Si osservi che le dimensioni di diversificazione ottenute mediante questa impostazione hanno il vantaggio di ridurre l’esposizione del portafogli ai rischi geopolitici, caratteristici degli investimenti nei mercati emergenti, mentre richiede una ana-lisi più approfondita delle condizioni di investimento e della bontà dei progetti infrastrutturali attivabile a livello nazionale ed europeo.

Gli investimenti alternativi e l’illiquiditàVale la pena a questo punto affrontare in modo più sistematico le problematiche economico finanziarie connesse con la gestione di allocazioni che possano

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6 Questo approccio è stato introdotto ed esplorato da Kahl M., Liu J., Longstaff F.A. (2003) “Paper millionaires: How valuable is stock to a stockholder who is restricted from selling it?” J. Finan-cial Econom. 67(3):385–410. Schwartz E.S., Tebaldi C. (2006) “Illiquid assets and optimal portfolio choice.” NBER Working Paper 12633, National Bureau of Economic Research, Cambridge, MA e Ang, Papanikolaou, Westerfield (2014) “Portfolio Choice with Illiquid Assets” Management Science 60(11), 2737-2761.

comprendere anche forme di investimento alternativo. La varietà delle forme di investimento che ricadono in questa categoria rende problematica una classifi-cazione univoca, ma è possibile individuare una caratteristica comune a queste forme di investimento in due caratteristiche derivanti. In primo luogo, l’assenza di una quotazione in mercati regolati rende più complicata la procedura di li-quidazione dell’investimento alternativo. In secondo luogo, la mancanza di un mercato liquido di riferimento aumenta l’opacità della valutazione. In sintesi, il meccanismo di valutazione al mercato “si inceppa” e la valorizzazione della partecipazione richiede una modellistica che tenga conto dei vincoli alla liqui-dabilità dello strumento e riduca la capacità dell’investitore di tenere sotto con-trollo la performance del gestore.

Vale infatti la pena ricordare che il modello di valutazione della performance mediante benchmark richiede che l’insieme dei titoli investibili sia lo stesso per tutti i gestori e che nel mercato valga la legge del prezzo unico, ovvero che due titoli che hanno i medesimi flussi di cassa abbiano anche il medesimo prezzo. Queste due pre-condizioni permettono di identificare i fattori di rischio sistematici che caratterizzano quel mercato. Per ognuno di questi fattori è poi possibile determinare un unico prezzo, ovvero l’extra rendimento atteso che verrà riconosciuto dal mercato alle differenti allocazioni in misura proporzionale all’esposizione al fattore stesso.

In presenza di allocazioni in investimenti potenzialmente illiquidi le due condi-zioni necessarie al funzionamento di tale approccio valutativo vengono meno. In primo luogo, le dimensioni di diversificazione sono molteplici e non neces-sariamente le stesse per tutti i gestori. In secondo luogo, l’illiquidità crea una segmentazione del mercato dei capitali e dunque non è possibile associare un unico premio, indipendente dall’investitore, ad ogni fonte di rischio.

Esistono numerosi modelli quantitativi per la valutazione e la selezione del porta-fogli ottimo in presenza di opportunità di investimento sia liquide che illiquide, ma va chiarito che i presupposti teorici su cui si basa la valutazione dei titoli illiquidi sono tutt’altro che consolidati ed ancora oggi sono argomento di dibattito scien-tifico nell’ambito della ricerca economico finanziaria. In effetti, si dovrebbe più correttamente affermare che esistono molteplici definizioni di illiquidità, ognuna di esse applicabile in contesti differenti. Nella presente trattazione, si utilizze-rà un approccio semplificato, particolarmente adatto ad analizzare le scelte di allocazione di un investitore in presenza di una componente di rischio non assi-curabile nel mercato regolamentato. Tale approccio assume pragmaticamente che un titolo si dirà illiquido se l’investitore non ha la possibilità di liquidare il titolo per un certo intervallo di tempo predeterminato oppure l’orizzonte di liquidabilità dipende da un fattore aleatorio al di fuori del controllo del gestore. Questa defi-nizione semplificata rende possibile la determinazione semi esplicita delle quote di investimento ottime, dell’andamento del premio al rischio non assicurabile nel mercato e delle politiche di asset liability management ottimali6 .

In tal caso è possibile dimostrare che i premi potranno dipendere dalle dimen-sioni del fondo, dalla frazione relativa di investimento liquido rispetto a quello illiquido e dalle preferenze degli investitori. La ripartizione ottima tra titoli liquidi e illiquidi dell’investimento dipende in ultima analisi dal grado di correlazione tra le attività, dalle volatilità relative e dal grado di avversione al rischio dell’investitore.

E’ interessante osservare che l’appetibilità dell’investimento illiquido e la sua redditività cresce in ragione inversa alla frazione relativa di investimento illiquido

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sul totale della ricchezza investita. Infatti ,la possibilità di accedere all’investi-mento illiquido genera un beneficio poiché amplia l’insieme dei titoli investibili, ma deve scontare il costo derivante dal vincolo di illiquidità. Tale costo si riduce se il fondo riesce ad erogare le prestazioni senza intaccare la gestione della componente illiquida dell’allocazione. Infatti, è ben noto che episodi di vendita forzata di titoli illiquidi (fire sale) implicano un valore di liquidazione molto basso e dunque potranno generare perdite consistenti corrispondenti ad una frazione rilevante del capitale investito.

E’ dunque possibile concludere che le forme di investimento alternativo offro-no vantaggi crescenti al crescere del patrimonio gestito del fondo per almeno due ragioni. In primo luogo a parità di ricchezza investita nell’attività alterna-tiva illiquida una maggiore patrimonializzazione implica un premio al rischio di illiquidità più elevato; in secondo luogo è una ovvia economia di scala e dunque fondi di grandi dimensioni possono potenzialmente offrire agli aderenti una maggiore performance gestionale, una migliore analisi dei rischi e delle alternative di investimento a parità di costi.

L’investimento in piccole e medie imprese non quotate è una forma alternativa di investimento che periodicamente balza agli onori delle cronache quotidia-ne. Vale dunque la pena esemplificare rischi e opportunità nel caso di specie. E’ chiaro che la domanda di capitale da parte di piccole e medie imprese è particolarmente elevata poiché la crisi del debito sovrano ha determinato un razionamento del credito bancario, la principale fonte di finanziamento per la maggior parte delle piccole e medie imprese. In questa situazione è lecito attendersi prezzi di acquisto relativamente bassi e dunque rendimenti attesi elevati. Questa condizione ha peraltro ridotto gli investimenti sia per le imprese con potenzialità di crescita elevata che per quelle meno perfor-manti. La valorizzazione dell’investimento diretto in piccole e medie imprese richiede dunque una attenta procedura preventiva di selezione delle impre-se potenzialmente più profittevoli. Inoltre, al fine di migliorare la liquidabilità dell’investimento, è utile incentivare le imprese selezionate ad intraprendere un processo progressivo processo di disintermediazione e di accesso diret-to ai mercati dei capitali regolamentati. Da questo punto di vista la scelta di investire direttamente nel capitale di rischio oppure indirettamente in una emissione obbligazionaria dipenderà non soltanto dalle esigenze allocative del fondo ma anche dalla natura degli incentivi indotti dalle differenti forme di partecipazione all’investimento.

In questo specifico caso appare piuttosto chiaro che la creazione di veicoli di investimento specializzati nell’investimento in piccole e medie imprese secondo un approccio non lontano da quello del private equity è decisamente preferibile ad un ingresso diretto del fondo pensione nel capitale delle imprese. In sintesi, nel caso si ritenga che la partecipazione in un investimento diretto o indiretto nel capitale di medie e piccole imprese possa offrire una scelta di inve-stimento in linea con la politica di investimento complessiva, gli aspetti gestionali che richiedono una particolare attenzione riguardano la metodologia di valutazio-ne della partecipazione e la metodologia di analisi e gestione dei rischi.

Di seguito riportiamo una lista di soluzioni a queste problematiche che l’espe-rienza maturata nell’ambito della gestione dei fondi di investimento alternativi ha dimostrato essere operativamente efficaci:• Valutazione con riferimento ad un mercato secondario dove vengono scam-

biate quote di investimento;• Valutazione offerta da una parte terza indipendente;• Validazione di una procedura periodica mediante mark to model con valida-

zione;• Calendario di liquidazione pre-ordinato delle quote illiquide;• Predisposizione di schemi di liquidazione del portafogli sottoposti a valida-

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zione interna e\o esterna;• Analisi di back testing che verifichi la robustezza delle allocazioni rispetto

agli shock sistemici e al (dis)stress degli intermediari finanziari.

ConclusioniNelle moderne economie di mercato la gestione dell’investimento previdenziale è tra i principali compiti istituzionali che il mercato dei capitali deve assolvere. Il trend demografico e l’andamento delle finanze pubbliche rendono tragicamen-te necessario il rilancio delle forme di previdenza complementare che vadano ad integrare il reddito dei futuri pensionati. Le recenti riforme a livello nazionale, la progressiva integrazione del mercato dei capitali a livello europeo pongono le basi per un salto di qualità che non potrà prescindere da una valorizzazione del capitale umano già presente nelle società di gestione e nell’industria finan-ziaria nazionale.

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Efficienza e dimensione ottimale dei fondi pensione italianiLuca Di Gialleonardo - Mefop SpA, Mauro Marè - Università della Tu-scia e Mefop SpA

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IntroduzioneNella maggioranza dei paesi sviluppati, il risparmio previdenziale è una delle più importanti fonti di approvvigionamento del mercato finanziario. Un sistema efficien-te, con costi contenuti, è quindi cruciale per il raggiungimento degli obiettivi di copertura previdenziale del lavoratore. Pur introducendo misure che hanno portato o porteranno i fondi pensione a maggiori investimenti a favore della struttura interna e i presidi di controllo, l’Autorità di vigilanza italiana sui fondi pensione (Covip) ha più volte espresso la necessità di un contenimento dei costi dei fondi pensione1 .La Figura 1 mostra la riduzione del montante finale di un generico fondo pensio-ne italiano in presenza di un costo, espresso in termini di Indicatore sintetico di costo (Isc), dell’1, 2 o 3%. Dopo quarant’anni di contribuzione, un costo supe-riore anche di un solo punto percentuale, può comportare una riduzione impor-tante e molto significativa della prestazione finale di quasi 20 punti percentuali.

Figura 1 Riduzione del montante a termine in presenza di costi

Fonte: elaborazione Mefop. Note: ipotesi di un versamento costante di 2.500 euro annui e un tasso di rendimento nominale lordo del 4%.Fonte: Previ|DATA (database Mefop)

Vi sono, per diverse ragioni legate alla struttura delle varie forme di previdenza com-plementare, una differenza di costi significativa e questa differenza, anche se si ri-duce significativamente nei valori assoluti al passare della permanenza degli iscritti nelle varie forme, tende invece a crescere sul piano relativo. La figura 2 mostra che nel mercato italiano gli Isc dichiarati dai fondi pensione, dopo permanenze di trentacinque anni, variano dallo 0,20% dei fondi pensione negoziali all’1,5% dei Pip.

Figura 2. Isc medi dei fondi pensione italiani (dicembre 2014)

Fonte: DI GIALLEONARDO, L.-MARE’, M. (2015).

1 Si veda, per esempio, la Relazione per l’anno 2010 – Considerazioni del Presidente, Covip (2011): “Per sostenere la redditività della previdenza complementare, è imperativo ridurre ulteriormente i costi, in particolare quelli dei PIP, e approfondire le analisi dirette a individuare le combinazioni rischio/rendi-mento migliori. Per i fondi negoziali, il rinnovo dei mandati di gestione costituisce una buona occasione per vagliare i risultati ottenuti e valutare, in modo più approfondito, le politiche di investimento di compe-tenza del Consiglio di amministrazione.”

Efficienza e dimensione ottimale dei fondi pensione italiani

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La letteratura sull’efficienza dei fondi pensioneIn ambito internazionale la letteratura in tema di efficienza dei fondi pensione e dell’impatto dei costi sulla prestazione pensionistica è piuttosto esigua. Un limite allo sviluppo del filone di ricerca è dato dalla ridotta disponibilità di dati e dalla difficoltà di specificare una funzione di produzione che rappresenti ade-guatamente il funzionamento dei fondi pensione e soprattutto la definizione di una misura di output.Bateman e Mitchell (2004) hanno stimato che una crescita di un punto percen-tuale nei caricamenti annuali sul patrimonio comporta su un orizzonte tempo-rale di quarant’anni di contribuzione una riduzione delle prestazioni pensioni-stiche del 27%.Alcuni autori si sono concentrati sull’effetto che le caratteristiche del fondo pen-sione hanno sui costi amministrativi, sia nei piani a prestazione definita sia in quelli a contribuzione definita, considerando due paesi: gli Usa (Caswell, 1976, Mitchell e Andrews, 1981) e l’Australia (il già citato Bateman e Mitchell, 2004). Altri lavori hanno esaminato i costi e le commissioni dei fondi a contribuzione definita in sedici paesi (per es. Whitehouse, 2000, Dobronogov e Murthi, 2005, James et al., 2005).Nel complesso, la letteratura ha mostrato l’esistenza di significative economie di scala nei costi amministrativi dei fondi pensione. Allo stesso tempo, gli stu-di cross country hanno evidenziato importanti differenze tra i diversi paesi (si veda, tra gli altri, Mitchell, 1998). Gli studi empirici sull’effetto delle economie di scala dei fondi pensione non hanno finora valutato l’impatto della riduzione dei costi sulla qualità del servizio offerto. In una ricerca sul mercato olandese, Pricewaterhouse-Coopers (2007) ha riportato un servizio maggiormente personalizzato da parte dei fondi pensio-ne più piccoli a fronte di costi più elevati. Le differenze nei costi amministrativi tra i fondi sarebbero quindi dovute non solo alle economie di scala, ma anche alla qualità del servizio e al modello più complesso di business con cui operano i fondi più piccoli.Uno studio di Bikker e de Drew (2009), incentrato sul mercato olandese, ha mo-strato l’esistenza di forti economie di scala nella riduzione sia dei costi ammini-strativi sia dei costi finanziari. La maggiore efficienza si riscontra nei fondi che raccolgono la popolazione di un intero settore industriale rispetto ai vari fondi aziendali. I costi operativi dei fondi a contribuzione definita risultano inoltre in-feriori a quelli dei piani a prestazione definita. Allo stesso modo, i fondi con una larga percentuale di iscritti già in fase di erogazione delle rendite presentano costi maggiori.

Se gli studi sui costi dei fondi pensione dei mercati esteri sono molto limitati, essi sono a nostra conoscenza del tutto assenti nel caso italiano. In “The effi-ciency of Italian pension funds: costs, membership, assets”, (Di Gialleonardo-Marè, 2014, 2015), abbiamo approfondito il tema di quali siano gli elementi che più impattano sull’ammontare dei costi amministrativi e di gestione finanziaria dei fondi pensione italiani e, sulla base dell’attuale configurazione del mercato, si stima la dimensione ottimale dei fondi pensione, intesa come quella dimen-sione oltre la quale una crescita in termini di iscritti o di patrimonio non genera più un miglioramento in termini di costi unitari.Il dataset utilizzato è quello dei fondi pensione negoziali, con dati annuali per il periodo 2007-2013. La scomposizione dei costi totali è tratta dal Total expenses ratio (Ter), che esprime i costi annui (amministrativi e finanziari) in percentuale del patrimonio medio del fondo pensione. Tale dato è reperibile dalle note infor-mative e si riferisce a ciascun comparto del fondo pensione. Nel lavoro si con-siderano i costi amministrativi e i costi di investimento. Si tratta di due categorie di costo influenzate da elementi diversi: i costi amministrativi sono in genere sostenuti dal fondo nel suo complesso, mentre i costi finanziari sono diversi in base al singolo comparto di investimento e dipendono dai gestori finanziari e dalla complessità della gestione. I costi amministrativi sono normalmente legati al totale degli iscritti al fondo mentre i costi finanziari sono influenzati dal volume del patrimonio gestito.

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Costi amministrativi, dimensioni, outsourcingNei costi amministrativi sono ricompresi in particolare gli oneri per il personale, per il service amministrativo (tutti i fondi pensione negoziali utilizzano un soggetto esterno a cui delegano la gestione delle attività amministrative), e una serie di spe-se per il funzionamento del fondo, tra cui i costi per la promozione, la sede in cui opera la struttura, i consulenti, i revisori contabili e altri fornitori. Non si ricompren-dono in questa categoria i costi sostenuti per il gestore finanziario e per la banca depositaria, che rientrano nei costi finanziari.La variabile dimensionale che meglio si lega ai costi amministrativi è il numero di iscritti alla forma pensionistica. Una crescita della dimensione del fondo aumenta l’efficienza se il livello di costi amministrativi cresce in misura meno che proporzio-nale al crescere degli iscritti.La Tabella 1 riporta l’ammontare nel 2013 dei costi amministrativi medi per iscritto o espressi in percentuale del patrimonio per classe dimensionale del fondo, in termini di iscritti e di Andp. In entrambi i casi si nota un livello decrescente dei costi unitari.

Tabella 1. Costi amministrativi in base alla classe dimensionale (anno 2013)

Fonte: Elaborazione Mefop su dati Previ|DATA e di bilancio

Rinviando a Di Gialleonardo-Marè (2015) per i dettagli del modello econometrico e dei risultati, la stima ha consentito di determinare un livello soglia degli iscritti per lo sfruttamento massimo delle economie di scala di circa 90.000. Alla fine del 2013 solo sei fondi negoziali superavano tale soglia. Si tratta di fondi di grandi dimensioni, in grado di attivare una struttura interna molto più elaborata e servizi più avanzati che comportano quindi una crescita dei costi amministrativi.

Figura 3. Andamento dei costi amministrativi per iscritto sulla base della stima

Fonte: DI GIALLEONARDO, L.-MARE’, M. (2015).

Classe del fondo sulla base del numero di:

Numero di fondi

Valori mediCosti amm.vi per iscritto (€)

Costi amm.vi su patrim. (%)

Patrimonio per iscritto (migl. di €)

Andp (mln €)

Iscritti

lavoratori iscritti0-10 mila 9 34,12 0,30 16.608 119,49 7.108

10-50 mila 15 31,43 0,16 21.191 685,76 34.206

oltre 50 mila 11 19,63 0,14 15.947 2.095,12 124.051

Andp0-150 mln 7 29,10 0,33 13.063 88,78 6.866

150-450 mln 6 40,11 0,17 25.486 320,96 15.887

oltre 450 mln

22 25,00 0,15 18.109 1.448,23 81.738

Totale 35 28,41 0,19 18.365 983,09 55.475

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Fondi negoziali Fondi apertiAnno Andp medio

(mln €)Numero di comparti

Costi finanz. su patrim. (%)

Andp medio (mln €)

Numero di comparti

Costi finanz. su patrim. (%)

2007 121,36 94 0,153 12,34 329 0,894

2008 122,92 113 0,184 13,38 341 1,074

2009 157,42 119 0,202 18,21 310 1,004

2010 197,31 113 0,209 23,58 298 1,031

2011 223,65 113 0,183 30,15 271 1,052

2012 271,93 111 0,199 38,21 256 1,063

2013 321,57 107 0,201 45,63 240 1,080

La Figura 3 riporta i valori dei costi amministrativi per iscritto in relazione al numero di iscritti osservati nel 2011, con l’aggiunta di una linea di trend. Il gra-fico mostra come l’effetto delle economie di scala fino al valore di massima efficienza sia molto forte, mentre le diseconomie di scala successive appaiano trascurabili. Questi risultati suggeriscono che i fondi di maggiore dimensione, pur non avendo un miglioramento dei costi per iscritto oltre la soglia efficiente, non hanno comunque rilevanti disincentivi a un accrescimento ulteriore della dimensione, mentre i piccoli fondi hanno un incentivo a raggiungere, attraverso diverse misure (campagne promozionali, fusione, incorporamento, ecc…) un aumento del numero di iscritti.Naturalmente una buona domanda è quella di come dar vita a un processo di aumento della dimensione media in termini di iscritti delle forme di previdenza complementare. Sicuramente può essere immaginato un percorso volontario di fusioni secondo diversi criteri – settoriale, industriale, territoriale, ecc. – che lasci un certo grado di autonomia ai fondi, da realizzare in un arco ragionevole di tem-po. Possono essere immaginate invece anche forme più dirigiste e dall’alto, con la fissazione di un tetto ai costi (cap) o agli iscritti minimo, che se accrescono indub-biamente le chance di realizzare un aumento della dimensione media dei fondi, comportano un evidente sacrificio e costo in termini di autonomia. A tal fine si ritiene comunque che un apertura delle possibilità di adesione degli individui tra i diversi fondi, un allargamento delle loro opzioni di scelta e un processo di levelling of the playing field, con un aumento del grado di concorrenza tra le diverse forme, possa sicuramente aumentare la dimensione media dei fondi e la loro efficienza. Costi finanziari, tipologia di fondo e di offertaI costi finanziari comprendono le commissioni di gestione finanziaria, le even-tuali commissioni di garanzia e di incentivo pagate ai gestori e i compensi ero-gati alla banca depositaria. La variabile dimensionale più rappresentativa per i costi finanziari risulta essere il patrimonio gestito.Diversamente dai costi di tipo amministrativo, i costi finanziari sono contabi-lizzati anche dai fondi pensione aperti, pertanto l’analisi è estendibile anche a queste forme di previdenza complementare. Inoltre, i dati di costo desunti dalla scomposizione del Ter vengono considerati per ogni comparto gestito e non per il fondo nel suo complesso, dal momento che si tratta di voci specifiche per ogni linea di investimento2 .Si presuppone che un patrimonio gestito più elevato possa consentire al fondo pensione di usufruire di economie di scala e quindi di avere una riduzione dei costi finanziari sul patrimonio.Tuttavia, da una prima analisi descrittiva dei dati, questa ipotesi non appare immediatamente soddisfatta (si vedano la Tabella 2 e la Tabella 3).

Tabella 2. Costi finanziari su patrimonio e Andp nel tempo (2007-2013)

Fonte: Elaborazione Mefop su dati Previ|DATA

2 Nei fondi pensione negoziali il patrimonio di un comparto di investimento è in genere distribuito su più convenzioni con diversi gestori finanziari e diverse condizioni di costo. Pertanto, una valutazione più det-tagliata dovrebbe essere effettuata a livello di singola convenzione di gestione. Tuttavia, non si dispone al momento di dati sufficienti per tale approfondimento.

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Tabella 3. Costi finanziari medi sul patrimonio in base all’Andp del comparto (anno 2013)

Fonte: Elaborazione Mefop su dati Previ|DATA

Si noti come la relazione tra costo finanziario e patrimonio non sia sempre uni-voca, ma appaia, in particolare per i fondi negoziali, crescente al crescere del patrimonio, fino a una certa soglia, per poi invertirsi per i comparti più grandi.Una simile dinamica potrebbe essere spiegata considerando che, al crescere del patrimonio del fondo, il gestore finanziario potrebbe avere maggiori oppor-tunità di investimento, più efficaci, ma allo stesso tempo più costose. Superate determinate soglie, le economie di scala iniziano a ridurre il peso dei costi sul patrimonio. Data questa relazione non stabile, diventa particolarmente interes-sante una stima che consenta di approfondire l’impatto della dimensione sui co-sti finanziari. Rimandando anche in questo caso a Di Gialleonardo-Marè,(2015) per un approfondimento, si rileva come le stime econometriche non evidenzino la presenza di economie di scala particolarmente significative, probabilmente a causa della particolarità del mercato della previdenza complementare in Italia. La gestione finanziaria dei fondi pensione, in particolare nei fondi negoziali, presenta commissioni di gestione di gran lunga inferiori rispetto ad altri stru-menti finanziari e anche alle forme previdenziali presenti nel resto dei paesi OCSE. Questa situazione, prodotta dalla concorrenza dei gestori finanziari, si è perpetrata nel tempo, riducendo, pertanto, gli ulteriori spazi possibili per un aumento dell’efficienza e un guadagno in termini di diminuzione del costo al crescere delle masse gestite.

BibliografiaBATEMAN, H., O.S. MITCHELL, 2004, New evidence on pension plan design and administrative expen-ses: the Australian experience, Journal of Pension Economics and Finance 3, 63-76.BIKKER, J.A., J. DE DREU, 2009, Operating costs of pension funds: the impact of scale, governance, and plan design, Journal of Pension Economics and Finance, 8 , pp 63-89.CASWELL, J.W., 1976, Economic efficiency in pension plan administration: A study of the construction Industry, Journal of Risk and Insurance 4, 257-273.COVIP, 2011, Relazione per l’anno 2010 – Considerazioni del Presidente.DI GIALLEONARDO, L.-MARE’, M. (2014), “The efficiency of Italian pension funds: costs, membership, assets”, Working Paper Mefop, n. 39.DI GIALLEONARDO, L.-MARE’, M. (2015), “The efficiency of Italian pension funds: costs, membership, assets”, Working Paper SIEP, n. 687, February.DOBRONOGOV, A., M. MURTHI, 2005, Administrative fees and costs of mandatory private pensions in transition economies, Journal of Pension Economics and Finance 4, 31-55.JAMES, E., J. SMALHOUT, D. VITTAS, 2005, Administrative costs and the organization of individual retirement account systems: A comparative perspective, Working Paper, World Bank, Washington DC.MITCHELL, O.S., E.S. ANDREWS, 1981, Scale Economies in Private Multi-Employer Pension Systems, Industrial and Labor Relations Review 34, 522-530.MITCHELL, O.S., 1998, Administrative Costs of Public and Private Pension Plans. In: M. Feldstein, ed., Privatizing Social Security, NBER. Chicago: University of Chicago Press, 403-456.MUNDLAK, Y., 1978, On the Pooling of Time-Series and Cross-Section Data, Econometrica 46, 68-86.PRICEWATERHOUSECOOPERS, 2007. Kosten en baten van ondernemingspensioen-fond¬sen [trad.: Cost and benefits of corporate pension funds], PricewaterhouseCoopers, Amsterdam, 8 November 2007.WHITEHOUSE, E., 2000, Administrative Charges for Funded Pensions: An International Comparison and Assessment, Pension Reform Primer Series, Social Protection Discussion Paper No. 16, The World Bank, Washington.

Fondi negoziali Fondi apertiAndp Numero

di compartiCosti finanziari su patrimonio (%)

Numero di comparti

Costi finanziari su patrimonio (%)

0-5 mln € 5 0,208 49 1,135

5-20 mln € 8 0,196 62 1,036

20-50 mln € 23 0,223 67 1,022

oltre 50 mln € 71 0,195 62 1,143

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La disciplina sui conflitti di inte-resse nella previdenza comple-mentareFrancesco Vallacqua - Docente di Economia e Gestione delle Assicura-zioni Vita e dei Fondi Pensione e Centro Baffi Carefin, Università Boc-coni. Docente di diritto del lavoro II, Università C. Cattaneo Liuc

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La disciplina sui conflitti di interesse nella previdenza complementarePremessaIn tema di conflitti di interesse allo stato attuale convivono le normative conte-nute nel D.M. 703/96 e nel D.M. 166/2014. Quest’ultimo entrato in vigore il 28 novembre 2014 sostituirà integralmente il primo. Il D.M. 703/96 è abrogato ma continua ad essere applicato poiché i fondi pensione si devono adeguare alle disposizioni contenute nel D.M. 166/2014 entro 18 mesi. Nelle more dell’ade-guamento continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti. È quindi utile analiz-zare prima la situazione attuale e poi quella del D.M. 166/2014.

I conflitti di interesse nel sistema del D. M. 703/96 In termini generali si può affermare che si verifica una situazione di conflitto d’inte-ressi ogni volta che un soggetto al quale compete una decisione per conto di un altro si trova condizionato da propri interessi rispetto a quelli del soggetto per cui svolge la sua funzione. I conflitti d’interesse possono sorgere data la pluralità di sog-getti coinvolti nell’attività dei fondi pensione (gestori, banca depositaria, fonti istituti-ve). Il legislatore ha inizialmente previsto all’art. 6, comma 4-quinquies, lettera c) del D.lgs. 124/1993 un rimando alla normativa secondaria, la quale si è concretizzata nelle norme contenute agli artt. 7 e 8 del D.M. 703/1996, essenzialmente incentrate su conflitti nella gestione finanziaria. La normativa non vieta ai gestori di effettuare operazioni d’investimento in conflitto d’interessi, ma pone in capo agli stessi obbli-ghi di natura informativa nei confronti dei fondi, e,indirettamente, della Covip, sulla base del principio che, non essendo possibile garantire in assoluto la prevenzione del conflitto, la tutela degli aderenti si realizza mediante obblighi di trasparenza.Analizzando nel dettaglio la normativa in vigore, l’art. 7 disciplina i conflitti spe-cifici della gestione finanziaria. In particolare, prevede che i gestori inviino al fondo pensione una specifica informativa nei casi in cui si trovino in posizione di conflitto con gli interessi del fondo gestito. I gestori che per conto del fon-do pensione effettuano operazioni in cui hanno direttamente o indirettamente, anche in relazione a rapporti di Gruppo, un interesse in conflitto, sono tenuti a indicare specificamente queste operazioni, e la natura degli interessi in conflitto nella documentazione dovuta al fondo pensione. Quest’obbligo sussiste anche nell’ipotesi d’investimento in titoli emessi dai sot-toscrittori delle fonti istitutive, dai datori di lavoro tenuti alla contribuzione, dalla banca depositaria o da imprese dei loro Gruppi, oppure nel caso di operazioni concluse con i medesimi soggetti. A tal fine questi soggetti devono informare il gestore in ordine alla composizione del proprio Gruppo; queste informazioni e quelle relative alla composizione del proprio Gruppo devono essere rese anche dal gestore al fondo pensione e alla banca depositaria.

Si considerano appartenenti al Gruppo dei sottoscrittori delle fonti istitutive, dei datori di lavoro tenuti alla contribuzione, della banca depositaria ovvero dei gestori, coloro che:• controllano i predetti soggetti ovvero ne sono controllati;• sono controllati dagli stessi soggetti che controllano i sottoscrittori delle fonti

istitutive, i datori di lavoro tenuti alla contribuzione, la banca depositaria ov-vero i gestori.

Per l’individuazione del rapporto di controllo si applica l’art. 23 del D.lgs. 385/19931. I titoli di Stati dell’Unione Europea sono esclusi dalle disposizioni in oggetto.

1 «Art. 23,1. Ai fini del presente capo il controllo sussiste, anche con riferimento a soggetti diversi dalle società, nei casi previsti dall’articolo 2359, commi primo e secondo, del Codice civile e in presenza di contratti o di clausole statutarie che abbiano per oggetto o per effetto il potere di esercitare l’attività di direzione e coordinamento.Il controllo si considera esistente nella forma dell’influenza dominante, salvo prova contraria, allorché ricorra una delle seguenti situazioni:1) esistenza di un soggetto che, sulla base di accordi, ha il diritto di nominare o revocare la maggioranza degli amministratori o del consiglio di sorveglianza ovvero dispone da solo della maggioranza dei voti ai fini delle deliberazioni relative alle materie di cui agli articoli 2364 e 2364-bis del Codice civile;

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Il fondo pensione, attraverso il rappresentante legale/responsabile (nei fondi aperti) è tenuto, a sua volta, a darne notizia alla Covip.

L’art. 8 del D.M. 703/1996 disciplina le «altre situazioni rilevanti ai fini del con-flitto di interesse». In particolare considera rilevanti:• la sussistenza di rapporti di controllo tra gestore e banca depositaria2;• il controllo del gestore da parte di soggetti sottoscrittori delle fonti istitutive;• la gestione delle risorse del fondo funzionale a interessi dei soggetti sotto-

scrittori delle fonti istitutive, dei datori di lavoro tenuti alla contribuzione, del gestore o di imprese del proprio Gruppo;

• ogni altra situazione soggettiva o relazione d’affari riguardante il fondo pen-sione, il gestore, la banca depositaria, i sottoscrittori delle fonti istitutive e i datori di lavoro tenuti alla contribuzione, che possa influenzare la corretta gestione del fondo. La situazione di conflitto si estende ai singoli membri del CDA, di direzione e controllo dei fondi pensione.

Il gestore, la banca depositaria, i sottoscrittori delle fonti istitutive e i datori di lavoro sono obbligati a comunicare al fondo l’esistenza del conflitto, e, a sua volta, il legale rappresentante/responsabile del fondo è tenuto a informare la Covip, comunicando anche l’insussistenza di condizioni che possono determi-nare distorsioni nella gestione efficiente delle risorse del fondo o una gestione delle risorse non conforme agli interessi degli aderenti. Nel caso di omessa comunicazione il legale rappresentante o il responsabile non possono opporre alla Covip la loro ignoranza delle fattispecie di conflitto.La Covip, se ritiene rilevante la fattispecie di conflitto d’interesse, può richiedere che il fondo pensione informi gli aderenti, stabilendo le modalità e il contenuto della comunicazione. Nel caso in cui il gestore sia controllato da uno dei sog-getti sottoscrittori delle fonti istitutive, il fondo pensione ne dà comunicazione a ciascun aderente. Il soggetto gestore è tenuto a presentare al fondo pensione la rendicontazione delle operazioni effettuate con cadenza almeno quindicinale. Il legale rappresentante del fondo pensione e, nel caso di fondi pensione aperti il responsabile del fondo, trasmette alla Commissione di vigilanza una relazione con cadenza almeno semestrale sull’andamento e sui risultati della gestione.

Sono infine previste alcune fattispecie d’incompatibilità (confermate anche nel D.M. 79/2007):• le funzioni di membro di organi di amministrazione, direzione e controllo del

gestore sono incompatibili con le funzioni di membro di organi di amministra-zione, direzione e controllo e dei soggetti sottoscrittori del fondo pensione;

• sono inoltre incompatibili le funzioni di membro di organi di amministrazione, direzione e controllo del fondo pensione con le funzioni di direzione dei sog-getti sottoscrittori.

I conflitti di interesse nel sistema del D.M. 166/2014 In tema di conflitti di interesse, la normativa del D.M. 703/96 si basava sul fatto che essendo impossibile garantire una assoluta prevenzione, la tutela passava

2) possesso di partecipazioni idonee a consentire la nomina o la revoca della maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza;3) sussistenza di rapporti, anche tra soci, di carattere finanziario ed organizzativo idonei a conseguire uno dei seguenti effetti:a) la trasmissione degli utili o delle perdite;b) il coordinamento della gestione dell’impresa con quella di altre imprese ai fini del perseguimento di uno scopo comune;c) l’attribuzione di poteri maggiori rispetto a quelli derivanti dalle partecipazioni possedute;d) l’attribuzione, a soggetti diversi da quelli legittimati in base alla titolarità delle partecipazioni, di poteri nella scelta degli amministratori o dei componenti del consiglio di sorveglianza o dei dirigenti delle imprese;e) assoggettamento a direzione comune, in base alla composizione degli organi amministrativi o per altri concordanti elementi».2 Erroneamente tale punto è stato spesso inteso da alcuni fondi come situazione ex lege di incompatibi-lità, di fatto ponendosi problemi quando, a seguito della riorganizzazione del mercato, alcune banche e gestori si sono ritrovati sotto lo stesso gruppo imponendo l’eliminazione di una delle due controparti. Ciò potrebbe limitare il confronto concorrenziale nel mercato.

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tramite obblighi di trasparenza. Nel corso degli anni sono tuttavia emersi rile-vanti problemi applicativi legati sia a un’eccessiva indeterminatezza delle fatti-specie rilevanti, sia a un eccessivo carico di oneri informativi sugli attori. Il tutto senza necessariamente favorire l’identificazione dei conflitti sostanzialmente rilevanti.

Inoltre, la sola trasparenza nei confronti della Covip ed eventualmente degli ade-renti non tutela adeguatamente gli interessi di questi ultimi. Gli aderenti, infatti, hanno scarse possibilità di incidere sul fondo/gestore, potendo solo, nelle ipotesi previste dal D.lgs. 252/05 dalla normativa primaria, trasferirsi ad altro fondo.

Come osservato nello schema di consultazione del Decreto del 2008 nel si-stema del D.M. 703/1996 «l’aderente non ha poteri di voce ed ha limitatissimi poteri di exit». Proprio a seguito di ciò l’art. 6, comma 5-bis, lettera c), del D.lgs. 252/05 (come introdotto dall’art. 1, comma 1, del D.lgs. n. 28/2007) ha previsto che nel dettare la nuova disciplina dei conflitti d’interesse sarebbe stato neces-sario tenere conto dei principi dettati in materia dalla Direttiva MiFID (Direttiva europea 2003/41/CE, Markets in Financial Instruments Directive) e delle speci-ficità dei fondi.

Il D.lgs. 28/2007, che ha recepito la Direttiva Europea 2003/41/CE, ha intro-dotto all’art. 6 del D.lgs. 252/2005 il comma 5 bis, demandando a un Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, sentita la Covip, l’individuazione delle re-gole da osservare in materia di conflitti di interesse tenendo conto delle spe-cificità dei fondi pensione e dei principi di cui alla Direttiva 2004/39/CE, alla normativa comunitaria di esecuzione e a quella nazionale di recepimento. In sostanza, si è previsto che nel dettare la disciplina dei conflitti d’interesse si debba tenere conto dei principi dettati in materia, dalla Direttiva MiFID e delle specificità dei fondi pensione.

Il nuovo sistema sui conflitti di interesse, di cui agli artt. 7 e 8 del D.M. 166/14, nel recepire i principi adottati nella MiFID responsabilizza l’intermediario (forma di previdenza complementare) nella identificazione e valutazione dell’esistenza di un conflitto d’interesse, nonché nel decidere se le misure adottate siano suf-ficienti ad assicurare, con ragionevole certezza, che sia stato evitato il rischio di ledere gli interessi dei clienti. In caso contrario, l’intermediario dovrà informare l’investitore.

La disciplina è chiara nell’attribuire valore dirimente all’esistenza di efficaci mi-sure organizzative. In particolare, la nuova regola opera una distinzione in base alla tipologia di fondo pensione distinguendo tra fondi con soggettività giuridica (art. 7) e fondi privi di soggettività (art. 8). L’obiettivo è di evitare un accumulo di adempimenti per i fondi pensione che non siano nella sostanza efficaci per identificare i con-flitti rilevanti e, dunque, per la tutela degli aderenti. Nello specifico, si prevede che i fondi pensione siano maggiormente respon-sabilizzati nell’identificazione e gestione di eventuali conflitti di interesse e si dotino di misure organizzative idonee ad evitare che i conflitti di interesse com-portino un danno agli aderenti. I conflitti da mappare sono quelli che incidono negativamente sugli interessi degli aderenti e dei beneficiari delle prestazioni pensionistiche. Da un punto di vista procedurale parrebbe a chi scrive che solo i conflitti di cui sopra dovrebbero essere censiti e trattati, mentre non dovreb-bero essere trattati e censiti quelli che non provocano un possibile danno. Si introduce, inoltre, l’obbligo di formulare per iscritto e di rispettare un’efficace politica di gestione dei conflitti, adeguata alla dimensione e alla complessità della propria attività. Nel caso in cui le misure adottate non siano in grado di evitare un danno agli

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aderenti, i fondi pensione sono obbligati a comunicare tali circostanze agli iscritti (una sorta di autodenuncia che sotto il profilo applicativo appare più for-male che sostanziale). Nel caso di operazioni con parti correlate, i fondi pensio-ne dovranno, inoltre, illustrare nella relazione al bilancio gli obiettivi perseguiti e i possibili conflitti di interesse.

Il nuovo modello regolamentare disciplina, inoltre, le ipotesi di conflitto attinenti gli organi di amministrazione dei fondi pensione e i loro componenti, attraverso un richiamo esplicito dell’art. 2391 del Codice Civile (non previsto però per il responsabile del Fondo aperto e del PIP). L’art. 2391 del Codice Civile si fonda sull’obbligo di comunicazione (astensione se amministratore delegato) da parte degli interessati dei propri interessi in una determinata operazione o decisione sottoponendola all’organo collegiale per una valutazione.

Il mancato rispetto degli obblighi di astensione è sanzionato con l’impugnabilità della decisione e il richiamo alle disposizioni penali di cui all’articolo 2629-bis del Codice Civile.L’art. 2391 non prevede però esplicitamente (ad eccezione per l’eventuale am-ministratore delegato) un obbligo di astensione dal voto dell’amministratore in-teressato (art. 2391, comma 2), ferma rimanendo tuttavia l’annullabilità della delibera se il suo voto è determinante e la delibera è potenzialmente dannosa per la società. L’art. 2391 obbliga il consiglio a motivare adeguatamente la convenienza dell’operazione, quando la deliberazione è assunta dopo che un amministratore ha comunicato di essere interessato (art. 2391, comma 2).Secondo la dottrina prevalente l’obbligo di motivazione deve estendersi anche alla scelta di non realizzare l’operazione.3

Infine si osserva come il testo dell’articolo 2391 obbliga l’amministratore a co-municare «ogni interesse nell’operazione”, non più solo “l’interesse in conflitto con quello della società». La norma impedisce che l’amministratore possa sog-gettivamente decidere, nel caso in cui esista un suo rilevante interesse nell’o-perazione. Prevede inoltre che egli investa il Consiglio, il quale dovrà motivare adegutamente le ragioni e la convenienza dell’operazione.

3 CFR. Campobasso G.F., Diritto Commerciale 2. Diritto delle società, UTET, Torino, 2008 , p. 369, nota 37.

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Il valore economico di derivati e prodotti strutturati all’interno del-la gestione di portafoglio nel lun-go periodoMassimo Guidolin - Dipartimento di Finanza e Centro Baffi Carefin, Uni-versità Bocconi

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Il valore economico di derivati e prodotti strutturati all’interno della gestione di por-tafoglio nel lungo periodo

1. Introduzione e concetti generaliLa scelta del portafoglio ottimo è tra i problemi più discussi in Finanza. Merton (1971) analizza economie nelle quali gli individui aggiustano dinamicamente la composizione del portafoglio in modo da massimizzare l’utilità attesa. Nono-stante l’importanza che gli asset managers danno alla corretta selezione della composizione di portafoglio, solo recentemente si è provato ad includere i de-rivati nel processo di ottimizzazione. Parte del problema risiede nel fatto che i metodi di ottimizzazione del portafoglio correntemente utilizzati, come ad esem-pio il modello media-varianza di Markowitz, non sono adatti a gestire il ruolo dei derivati, neppure di semplici opzioni plain vanilla.Prima di tutto, la distribuzione dei rendimenti delle opzioni si discosta signifi-cativamente dall’ipotesi statistica di normalità e quindi non può essere definita unicamente in termini di media e varianza. In secondo luogo, il basso numero di osservazioni storiche disponibili rende la stima (già complessa) della distri-buzione dei rendimenti ancora più imprecisa. Per esempio, è possibile racco-gliere dati relativi alle opzioni Standard & Poor’s 500 soltanto a partire dal 1993, ottenendo così una serie storica che potrebbe non essere abbastanza lunga da permettere di stimare i momenti della distribuzione dei loro rendimenti con sufficiente precisione. Infine, il mercato delle opzioni è caratterizzato da elevati costi di transazione. In media, le opzioni at-the-money (ATM) presentano un differenziale denaro-lettera del 5%, mentre le opzioni out-of-the-money (OTM) hanno un differenziale denaro-lettera del 10%. I costi di transazione stimati sono solitamente così elevati da impedire che un incremento nella performance di portafoglio (calcolato ex-ante ed aggiustato per il rischio) possa essere consi-derato significativo.Nel caso di mercati completi, chiaramente, l’esclusione dei derivati dall’ottimiz-zazione di portafoglio può essere giustificata dal fatto che i derivati risultino ridondanti (si vedano in merito Black e Scholes, 1973; Cox e Ross, 1976)1. Tut-tavia, se si assume invece che i mercati siano incompleti—a causa di negozia-zioni poco frequenti o per la presenza di ulteriori fattori di rischio che non si pos-sono neutralizzare attraverso la semplice compravendita di titoli primitivi (quali azioni ed obbligazioni), quali ad esempio la volatilità stocastica e la presenza di discontinuità (i cosiddetti “salti”) nei prezzi — diventa sub-ottimale escludere i derivati dalle decisioni di portafoglio.

In questo articolo, analizziamo strategie ottimali di investimento ipotizzando che i mercati siano incompleti e che sia possibile scambiare non solo titoli azionari e obbligazionari, ma anche derivati. Il problema viene prima risolto in forma chiu-sa sotto l’ipotesi che le negoziazioni possano avvenire in continuo, ed ignoran-do costi di transazione, tasse ed altre frizioni. In siffatto modello, l’introduzione dei derivati in portafoglio aumenta sempre l’utilità dell’investitore. Il principale obiettivo di questo articolo è dunque di quantificare tale aumento. Per poter valutare il miglioramento della performance attesa aggiustata per il rischio de-rivante dall’introduzione di strumenti derivati, confrontiamo la ricchezza certa equivalente di due investitori che vogliono massimizzare la propria utilità, rispet-tivamente con e senza la possibilità di accedere al mercato dei derivati. Tale differenza di ricchezza può essere interpretata come un eccesso di rendimento (privo di rischio) ottenuto grazie all’accesso al mercato degli strumenti derivati.

1 Un mercato finanziario è completo (nel senso di Arrow-Debreu) se è possibile costruire un portafoglio di titoli ad un determinato punto nel tempo che garantisce uno specifico risultato in ogni possibile stato di natura e ad ogni possibile data futura. La nozione di completezza dinamica è la naturale estensione di questa idea in un contesto di strategie di negoziazione dinamiche. Si vedano Harrison e Kreps (1979) per una discussione più dettagliata.

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Inoltre, i nostri risultati mostrano che questo miglioramento della performan-ce sia guidato principalmente da una componente miopica, ossia la porzione della domanda di derivati che dipende puramente dal rapporto tra rendimento atteso e rischio in un certo istante di tempo. È importante sottolineare che nel nostro articolo i rendimenti dell’asset rischioso (nel nostro caso l’indice FTSE MIB, rappresentativo del portafoglio di mercato) seguono un modello a volatilità stocastica che riflette due fattori di rischio: la presenza di shocks diffusivi, che dipendono unicamente dai cambiamenti nel continuo del prezzo dovuti all’ar-rivo graduale delle informazioni al mercato, ed il rischio di volatilità (per una trattazione dettagliata si veda l’appendice). Successivamente, verrà introdotto anche il rischio di salti nei prezzi. Date queste condizioni, risolviamo un problema di asset allocation dinamica (simile a Merton, 1971) per un investitore con funzione di utilità potenza le cui opportunità di investimento includono, come specificato sopra, non solo le clas-siche obbligazioni prive di rischio di credito ed azioni rischiose, ma anche deri-vati sulle azioni. Ciò che rende i derivati particolarmente attraenti è il fatto che, usando unicamente azioni ed obbligazioni, in mercati incompleti non sia possibi-le ottenere una esposizione ottimale e correttamente quantificata ad ogni fattore di rischio. Ad esempio, un’azione rischiosa, presa singolarmente, costituisce un unico strumento con una molteplicità inestricabile di esposizioni al rischio. Grazie all’aiuto dei derivati, tuttavia, è possibile suddividere tale coacervo di esposizioni in due componenti distinte (al rischio di shock diffusivi ed al rischio di volatilità). I nostri risultati possono essere interpretati in tre passi distinti. Inizialmente, determiniamo la dinamica seguita dalla ricchezza ottima dell’investitore. Nella seconda fase, troviamo l’esposizione ai tre fattori di rischio che corrispondono alla dinamica ottimale della ricchezza. Infine, ricaviamo le quantità ottimali da investire in azioni rischiose e nei titoli derivati che consentono di ottenere l’espo-sizione ottima ai fattori di rischio. È necessario tenere presente che nell’eserci-zio di determinazione dei pesi del portafoglio ottimo si è ipotizzato che i derivati siano in grado di completare il mercato.

Per quanto riguarda la scelta tra diversi tipi di derivati o di sotto-portafogli di op-zioni strutturate, nella prima parte del nostro articolo, nel caso di mercato “com-pletabile” (ossia di un mercato che diviene completo a seguito dell’introduzione dei derivati esaminati nell’articolo) e di negoziazione in tempo continuo, un inve-stitore può raggiungere il risultato di portafoglio ottimale investendo nell’azione, nell’obbligazione priva di rischio di credito, e in un numero sufficientemente ele-vato (potenzialmente infinito) di derivati. In questo contesto, il profilo esatto del payoff dei derivati è irrilevante per la loro capacità di generare valore economico, e l’investitore è indifferente tra il negoziare opzioni plain vanilla o contratti più esotici, i cosiddetti prodotti strutturati. Nulla di speciale, dunque, risulterebbe dal confronto tra derivati plain vanilla e prodotti strutturati di superiore complessità.Nella realtà, tuttavia, le negoziazioni avvengono in tempo discreto, e i mercati sono solitamente incompleti. Inoltre, l’accesso a strategie di ottimizzazione del portafoglio che includano i derivati è generalmente precluso agli investitori re-tail a causa dell’elevato ammontare di investimento minimo richiesto, dagli alti costi di transazione e requisiti di marginazione, dalle restrizioni sulle vendite allo scoperto, e potenzialmente anche dalla mancanza delle conoscenze necessa-rie per operare correttamente nel mercato dei derivati. In questa situazione, le caratteristiche dei derivati disponibili nel mercato possono essere determinanti per il valore economico del portafoglio di questi investitori, anche ex-ante (os-sia teorico). Un investitore retail potrà dunque beneficiare di un derivato il cui payoff abbia un profilo uguale (o quasi) a quello ottimale e che sia offerto nel mercato da un emittente che sappia implementare meglio di lui (o in maniera più economica) la strategia di replica corrispondente. Nella seconda parte dell’articolo forniremo inoltre intuizione e riferimenti nella letteratura per il caso di mercati incompleti, nel quale oltre al rischio di shock diffusivo e di volatilità esiste il rischio di salti nei prezzi, e nel quale il profilo di payoff ottimale ottenuto è generalmente complicato e non dipende soltanto dai prezzi osservabili delle azioni, ma anche dal percorso seguito da variabili di

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stato latenti come la volatilità stocastica. Inoltre, il payoff ottimale diverrà speci-fico dell’investitore che viene analizzato, e, di conseguenza, non sarà negoziato nel mercato. Nonostante ciò, le istituzioni finanziarie possono disegnare con-tratti che riescano almeno ad approssimare tali payoffs ottimali e aiutare così gli investitori ad avvicinarsi al loro first best come determinato da un problema di ottimizzazione di portafoglio. Nel caso in cui esistano prodotti strutturati di investimento (da ora in poi, PSI, come ad esempio i certificati di investimento), essi potrebbero aumentare in modo significativo l’utilità dell’investitore, e quindi la domanda per tali prodotti potrebbe essere molto elevata.È importante specificare che nel nostro lavoro consideriamo il punto di vista di un investitore di lungo periodo. In particolare, il periodo di turbolenza che ha caratterizzato i mercati finanziari a partire dal 2008 ha moltiplicato le sfide che i fondi pensione devono affrontare sviluppando strategie focalizzate a raggiun-gere un adeguato target di prestazione pensionistica con elevato livello di pro-babilità. Mentre la gestione di portafoglio tradizionale si concentra sulla diversi-ficazione tra le diverse classi di attività, il nostro articolo si concentra invece su un approccio che predilige la diversificazione tra fattori di rischio. Per esempio, la possibilità di ottenere un premio per il rischio di volatilità e di salto può essere particolarmente interessante per gli investitori che operano in logica di lungo periodo. Litterman (2011) sostiene che i fondi pensione possano rivelarsi più adatti di altre istituzioni finanziarie a sopportare (e quindi monetizzare) i rischi di volatilità e di salti, dal momento che la volatilità è mean-reverting ma stazionaria su lunghi orizzonti temporali, ed i salti saranno molto più dannosi per coloro che investono nel breve piuttosto che nel lungo periodo. Di conseguenza, i fondi pensioni possiedono un vantaggio comparato se confrontati con gli investitori di breve periodo, e le opportunità di negoziazione che ne derivano possono portare ad un miglioramento della performance aggiustata per il rischio.La recente riforma della normativa dedicata ai fondi pensione negoziali aperti appare essere incentrata sull’allineamento delle direttive regolamentari al prin-cipio dell’efficiente gestione appare essere destinata ad aumentare gli spazi destinati sia agli investimenti alternativi, sia ai derivati nella gestione di portafo-glio. In questo articolo identifichiamo l’efficiente gestione con l’adozione di un modello quantitativo ottimizzante e basato su inputs – quali la funzione obiettivo dell’investitore tipo – che vengono razionalmente trasformati in esposizioni (ai fattori) e quindi pesi (nelle diverse asset classes) ottimali. Nel resto dell’articolo ci occuperemo del problema dell’ottimizzazione del portafoglio di un investitore con un orizzonte temporale lungo all’interno di un modello stilizzato (ma realisti-co) in cui esiste un’unica attività rischiosa (nel nostro caso l’indice FTSE MIB), una attività priva di rischio (un’obbligazione che paga un tasso r costante) e un PSI di complessità variabile.

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2. Il Problema di Asset Allocation Questa sezione si occupa di descrivere e risolvere il problema di ottimizzazione del portafoglio affrontato da un investitore di lungo periodo all’interno del mo-dello sopra descritto. L’investitore possiede inizialmente una ricchezza positiva W0 . Nel momento in cui gli viene offerta la possibilità di investire in una attività priva di rischio (che rende un interesse al tasso costante r), un asset rischioso (il portafoglio di mercato) ed il titolo derivato, egli sceglie, ad ogni istante t, di investire una frazione Фt della sua ricchezza nell’asset rischioso St, ed una fra-zione Ψt nello strumento derivato Ot. Lo scopo dell’investimento è di massimiz-zare l’utilità attesa della sua ricchezza finale WT , con T≥τ,2

dove γ >0 è il coefficiente relativo di avversione al rischio dell’investitore ed il processo della ricchezza soddisfa la condizione di auto-finanziamento:

dove ѲB

t e ѲZt sono le esposizioni ad i due fattori di rischio, B e Z (rispettiva-

mente il rischio di shock diffusivo e il rischio di volatilità). La massimizzazione dell’utilità attesa intende catturare l’applicazione del principio dell’efficiente ge-stione in questo modello stilizzato, il cui ruolo è prevalentemente esemplifica-tivo, nel senso che l’identificazione tra efficiente gestione e massimizzazione dell’utilità attesa si applica anche modelli più complessi.

Fatta eccezione per l’introduzione di strumenti derivati tra le opportunità di in-vestimento, il problema di investimento è riconducibile al problema standard proposto da Merton (1971). È interessante notare che, le scadenze dei derivati selezionati non devono necessariamente coincidere con l’orizzonte di investi-mento. Ad esempio, potrebbe risultare difficile per un investitore che investe con orizzonte decennale, trovare una opzione con la stessa scadenza. La scel-ta di pesi ottimali di portafoglio al tempo t richiede quindi unicamente di defi-nire i contratti derivati Ot da scegliere in quello stesso istante, e non nei periodi futuri, in quanto sarà possibile riallocare dinamicamente (in tempo continuo) il portafoglio, a condizione che in ogni istante futuro esistano strumenti derivati che completino il mercato.

Seguendo l’approccio proposto da Merton (1971), si derivano ѲBt e ѲZ

t , le posi-zioni ottimali da assumere relativamente ai fattori di rischio, per poi trasformarle nuovamente attraverso la relazione lineare che li definisce nei pesi ottimali da investire nelle attività rischiose. A questo punto, assumendo che vi siano de-rivati non ridondanti disponibili sul mercato ad ogni istante t<T , per un certo livello di ricchezza Wt e di volatilità Vt , sotto specifiche ipotesi sul pricing kernel che consentano di prezzare tutti i fattori di rischio presenti nell’economia (e di conseguenza anche tutti i titoli derivati), i pesi ottimali di portafoglio per i fattori di rischio B e Z sono quindi dati da :

Come discusso, a partire dalle esposizioni ottimali ai fattori di rischio viene poi determinata la quantità ideale di ricchezza da investire nelle attività rischiose.È interessante notare che la domanda di derivati aumenta per due principali ra-gioni. Prima di tutto, un investitore miopico è attratto dal derivato perché, come canale per diversificare il rischio di volatilità, può potenzialmente incrementare

2 Una alternativa imperfetta alle opzioni di lunga scadenza è una sequenza di opzioni di breve scadenza accuratamente gestita. Le formule seguenti ipotizzano l’utilizzo di una strategia di trading dinamica che consiste in una sequenza di contratti di opzioni sovrapposti che producono lo stesso profilo di investi-mento della strategia ottimale.

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il rapporto tra rischio e rendimento. Questo tipo di domanda si riflette nel primo componente di Ψ̂ t . Ad esempio, nel caso in cui il prezzo per il rischio di volatilità sia negativo (ξ < 0), risulta più conveniente assumere una posizione corta sulla volatilità e di conseguenza gli investitori saranno incentivati ad vendere quei derivati con esposizione alla volatilità positiva. La situazione opposta si verifica quando ξ > 0. Inoltre, gli agenti meno avversi al rischio saranno molto più decisi nell’investire in strumenti derivati per poter beneficiare in pieno del migliora-mento del rapporto tra rendimento e rischio.

In secondo luogo, un investitore che opera in modo non miopico può benefi-ciare dell’investimento in strumenti derivati anche quando la domanda miopica di tali contratti diminuisce o si azzera a causa di un premio nullo per il rischio di volatilità. Nel nostro caso, lo Sharpe ratio associato ad un’opzione dipende esclusivamente dalla volatilità stocastica, secondo una relazione proporziona-le. Questo implica che se il rendimento realizzato dall’opzione aumenta ad un certo istante, si verificherà un aumento nello Sharpe ratio (migliore rapporto rendimento-rischio) relativo al rendimento dell’opzione nell’istante successivo.

Ovvero, è più probabile che un buon risultato sia seguito da un altro buon ri-sultato e viceversa. Un investitore con avversione relativa al rischio γ<1 è parti-colarmente svantaggiato da una sequenza di risultati negativi in quanto la sua utilità può diminuire illimitatamente. Un investitore con γ>1 (ossia relativamente propenso al rischio), invece, trae beneficio da una serie di risultati positivi grazie al fatto che la sua curva di utilità può salire all’infinito. Di conseguenza, a secon-da dell’avversione al rischio, gli agenti reagiscono diversamente all’incertezza temporale che devono affrontare. E’ necessario tener presente che l’interazione tra lo strumento derivato e l’asset sottostante, complica la domanda ottimale di asset rischioso. Ad esempio, acquistando una opzione call, un individuo sta di fatto investendo una frazione gS— tipicamente definita come il delta della op-zione — nel sottostante. L’ultimo termine di Ǿ̂ t ha proprio lo scopo di corregge-re l’effetto delta. Inoltre, dalla correlazione negativa tra volatilità e shocks nei prezzi nasce un secondo tipo di effetto, detto di correlazione, o, tipicamente, effetto leva (Black,1976). Nello specifico, una posizione corta sulla volatilità comporta automaticamente una posizione lunga sugli shocks del prezzo, ed, allo stesso modo, sulla azione sottostante. Il secondo termine nella formula di Ǿ̂ t ha lo scopo di correggere proprio questo effetto di correlazione.

2.1 Un Esempio di Strategia Ottimale Per esaminare le proprietà qualitative dei risultati teorici analizzati in preceden-za, definiamo i parametri di uno scenario base da utilizzare per fornire un esem-pio realistico. Nello specifico, per quanto riguarda il rischio di volatilità, fissiamo che la media di lungo periodo sia (ῡ=13%)2 il tasso di reversione alla media к=5 e il coefficiente di volatilità σ=0,25. La correlazione tra rischio di prezzo e di volatilità è posta pari a ρ=-0,40. Considerando le ben note proprietà empiriche degli eccessi di rendimento azionari, è possibile calibrare il prezzo di mercato per gli shocks Browniani B. In particolare, se fissiamo η= 4 e lo combiniamo con la volatilità media di lungo periodo, otteniamo un premio al rischio azionario medio del 6,76% all’anno. Fissiamo il tasso di interesse privo di rischio uguale a 3,5% (per semplicità ipotizziamo una struttura a termine piatta così che questo sia anche il tasso che riceve un investitore di lungo periodo).

Le proprietà relative al prezzo di mercato per il rischio di volatilità, tuttavia, non sono altrettanto note. In parte perché, essendo la volatilità una attività non di-rettamente negoziabile, risulta più complicato stabilire un valore ragionevole da assegnare al suo prezzo di mercato. Dal punto di vista empirico, tuttavia, vi è ragione di pensare che il rischio di volatilità possa essere prezzato (si veda ad esempio Pan, 2002, e Bakshi e Kapadia, 2003, che mostrano che il premio attribuito al rischio di volatilità po-

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trebbe essere negativo).3 Invece di calibrare il premio per il rischio di volatilità in base ai risultati empirici raccolti, lo lasceremo variare nel corso della nostra analisi in modo da poter comprendere meglio come diversi livelli e segni di tale coefficiente possano influire sulla decisone ottimale di investimento. Tuttavia, a differenza di Liu e Pan (2003) ed altri articoli ad essi successivi, assumeremo che il premio per il rischio di volatilità possa essere positivo. Utilizzando questo insieme di parametri, ed in particolare il rapporto tra rischio e rendimento implicito nei dati, riportiamo ora alcuni esempi di pesi ottimali da investire in opzioni o nell’indice FTSE MIB. Nello specifico, consideriamo il seguente prodotto strutturato della categoria degli “equity protection” (d’ora in avanti, EPSP), basato sull’acquisto di una strategia di opzioni “straddle” asim-metrica che assume posizione lunga sulla volatilità:

Dove c(St,Vt; K, τ) è la formula utilizzata per prezzare un’opzione call Europea standard con strike K e tempo residuo τ;p(St,Vt:K,τ) è la corrispettiva formula di una put. Inizialmente, fissiamo α1 = 4 e α2=1 La figura 1 mostra in alto con la linea continua, come si comporta il payoff del dello straddle asimmetrico al variare dell’indice FTSE MIB sottostante e con la linea continua il comportamento di tale funzione di payoff quando il peso ottimo è applicato al EPSP. In basso nella stessa figura, mostriamo con la linea con-tinua il payoff del portafoglio ottimo calcolato in corrispondenza dei parametri discussi in precedenza (come funzione dei rendimenti aggregati del FTSE MIB) e con la linea tratteggiata i rendimenti del FTSE MIB corrispondenti ad un sem-plice investimento nel portafoglio di mercato.La figura 2 (in appendice) mostra che la domanda di derivati è determinata principalmente dalla componente miopica. In particolare, quando il premio per il rischio di volatilità è fissato uguale a zero, la componente non miopica della domanda di straddles corrisponde ad una percentuale essenzialmente nulla della ricchezza totale per un investitore con avversione relativa al rischio pari a γ = 3 ed orizzonte temporale T = 5 anni. Al contrario, quando ξ = 6 che rap-presenta una stima conservativa per il premio per il rischio di volatilità, il peso ottimale da investire in EPSP aumenta fino a 17% per un individuo con le stesse caratteristiche. Per meglio quantificare l’effetto della componente non miopica, è utile osservare le dinamiche della domanda al variare dell’orizzonte temporale o della persistenza della volatilità, rappresentate nei due grafici posti rispetti-vamente in basso a sinistra e in basso a destra della Figura 1. Si consideri, ad esempio, un investitore con coefficiente di avversione al rischio γ =3 (ossia abbastanza propenso al rischio) che desidera coprirsi dall’incertezza tempo-rale prendendo una posizione corta sulla volatilità. Il grafico in basso a sinistra mostra come ad un aumento dell’orizzonte di investimento, corrisponda un solo lieve declino nella domanda di hedging intertemporale. Allo stesso modo, il grafico in basso a destra mostra che se diminuiamo il livello di persistenza della volatilità aumentando il tasso di regressione verso la media к, si ottiene un beneficio maggiore dalla persistenza intertemporale, e quindi un aumento nella relativa domanda di hedging.Se il mercato diventa più volatile, i costi degli EPSP aumentano, ma la sensibi-lità alla volatilità degli strumenti derivati aumenta. In particolare, all’aumentare della volatilità di mercato, un dato EPSP offre una esposizione minore alla vo-latilità per ciascun dollaro investito. Per raggiungere l’esposizione ottimale alla volatilità, nasce dunque la necessità di investire di più nel EPSP, da cui deriva l’aumento di | Ψ̂ t | legato alla volatilità si mercato. Nel caso in cui la volatilità della volatilità diventi più marcata, il rapporto tra rischio e rendimento relativo al

3 A livello logico, un premio per il rischio di volatilità negativo potrebbe essere giustificato dal fatto che la volatilità complessiva del mercato è tipicamente elevata durante periodi di recessione. Una posizione corta sulla volatilità, che perde valore quando la volatilità sale, è dunque relativamente più rischiosa di una posizione lunga, e di conseguenza richiede un premio maggiore per il rischio. Un premio per il rischio positivo rimane, tuttavia, un caso altamente plausibile.

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rischio di volatilità diviene meno attraente, e questo spiega la conseguente di-minuzione nella posizione assunta sull’EPSP. Infine, la variazione della strategia ottimale al variare dell’avversione al rischio γ, rappresentata nel grafico in alto a sinistra, è quella che ci si può ragionevolmente aspettare: gli investitori meno avversi al rischio sono più aggressivi nell’implementare strategie di investimen-to rischiose. Nonostante la maggior parte dei prodotti finanziari analizzati in questo articolo siano solitamente negoziati sia Over The Counter (OTC) che su mercati rego-lamentati, alcuni di questi strumenti potrebbero risultare di gran lunga meno liquidi dei portafogli di mercato ad essi sottostanti. I derivati azionari plain va-nilla sono molto più disponibili sul mercato, anche se per i grandi investitori le transazioni potrebbe richiedere molto tempo prima di essere completate, oppure comportare alti costi di transazione, diminuendo in tal modo l’efficienza della strategia. Dunque, una volta introdotti i prodotti derivati nella strategia complessiva, gli investitori devono anche gestire il rischio di liquidità intrinseco nella negoziazione di derivati, ovvero, il rischio che la strategia che si vuole ap-plicare non possa essere realizzata alla data di scadenza del contratto. Un altro tipo di problemi di implementazione è legato alla difficoltà che si può riscontrare nell’allineare la gestione strategica dei derivati alle altre parti del portafogli già esistente. Il benchmark della gestione potrebbe non essere disponibile in unico contratto derivato, a meno che l’investitore non voglia (e sia in grado) negoziare OTC azioni su panieri di titoli adeguate al suo specifico portafoglio azionario.

3. I miglioramenti della performance ex-ante di portafoglio aggiustati per il rischioNella sezione precedente si è proceduto a determinare quale sia l’esposizione ottimale per un investitore con un dato orizzonte temporale (5 anni) ai due fattori di rischio considerati, ossia il rischio di shock diffusivo di prezzo ed il rischio di volatilità. Di conseguenza si sono poi determinati i pesi da assegnare all’asset rischioso ed allo strumento strutturato per raggiungere tali esposizioni. In que-sta sezione si procede a calcolare qual è il miglioramento atteso ex-ante della performance di un portafoglio in cui siano inseriti i prodotti strutturato. Si sup-ponga che la volatilità di mercato sia Vt e si consideri un investitore con ricchez-za iniziale Wt ed un orizzonte di investimento di anni T, il quale trae profitto dal mercato dei derivati. Si può quindi dimostrare che la sua utilità attesa ottimale è

dove τ ≡ T-t Tale utilità non dipende dunque dalle caratteristiche specifiche del derivato scelto dall’investitore. L’utilità indiretta di un investitore che non può accedere al mercato dei derivati è invece

A questo punto, per quantificare il miglioramento ottenuto dall’introduzione del derivato, applichiamo la seguente formula:

che misura il miglioramento del portafoglio in termini di rendimento annuale, calcolato in tempo continuo, della ricchezza certa equivalente. Considerando che l’investitore ha avversione relativa al rischio costante, non dipende dalla ricchezza iniziale Wt .

Seguendo l’approccio di Liu e Pan (2003), si può dimo-strare che per un investitore con γ ≠ 1, il miglioramento del portafoglio grazie all’utilizzo dei derivati è strettamente positivo. Per un investitore con funzione di utilità logaritmica (γ =1), il miglioramento è strettamente positivo se ξ ≠ 0 e nullo negli altri casi. Tale miglioramento è fortemente collegato al tipo di domanda

τγξ

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di derivati. Per un investitore miopico con utilità logaritmica, la domanda di derivati sorge dalla necessità di trarre profitto dal miglioramento del rapporto tra rischio e rendimento dato dall’esposizione al rischio di volatilità. Quando il premio per questo rischio è pari a zero, la domanda non miopica di derivati scompare. Tuttavia, in presenza di una domanda non miopica di derivati, un investitore ottiene un guadagno strettamente positivo sulla sua ricchezza, indi-pendentemente dal valore di ξ.Per poter ottenere una misura quantitativa del miglioramento ex-ante ed ag-giustato per il rischio, ci riferiamo ancora una volta allo scenario base descritto nella sezione precedente ed i relativi parametri. I risultati sono riportati nella Figura 3 (in appendice). Concentrandosi inizialmente sul primo grafico in alto a destra, si può notare che l’aumento di ricchezza è molto sensibile al prezzo dato al rischio di volatilità. In condizioni normali di mercato, utilizzando un valo-re di tale premio pari a 4, i nostri risultati mostrano che l’aumento percentuale di ricchezza equivalente certa ottenuto grazie ai derivati è di circa 4,1% all’anno per un agente con coefficiente di avversione al rischio pari a 3. Nel momen-to in cui l’investitore diventa meno avverso al rischio e, di conseguenza, più determinato a trarre vantaggio dal mercato dei derivati, il miglioramento dato dall’introduzione dei derivati aumenta ancora di più, come si può osservare nel grafico in alto a sinistra.Fissando ξ=0, possiamo valutare ulteriormente l’importanza relativa che le due componenti, miopica e non miopica, hanno sul miglioramento del portafoglio. L’aumento di ricchezza dato da negoziazioni non miopi di derivati è pari soltan-to al 0,02% annuo. Questo risultato conferma quanto detto precedentemente: la domanda di derivati è principalmente determinata dalla componente miopica. In basso nella Figura 3, invece, vi sono due grafici che consentono di analizza-re meglio l’aumento del benessere ex-ante dovuto all’investimento non miopico nei derivati, osservata al variare dell’orizzonte di investimento e del grado di persistenza della volatilità. Intuitivamente, all’aumentare di entrambe le variabili appena citate, lo strumento derivato diventa una copertura ancor più efficace contro l’incertezza temporale. Di conseguenza, il portafoglio migliora ulterior-mente. Infine, i due grafici riportati al centro della figura, mostrano che quando la volatilità, o la volatilità della volatilità, aumentano, vi è una probabilità più alta di guadagnare investendo nei derivati.Nel momento in cui i derivati consentono di ottenere una esposizione diretta alla volatilità senza essere esposti al (la direzione del) prezzo dei titoli azionari, le opportunità di investimento aumentano e la volatilità può essere considerata come un asset class a sé stante. Coloro che investono potranno dunque sfrut-tare il trade-off tra distinti fattori di rischio a seconda delle loro preferenze.

4. Discussione, conclusione, ed ulteriori estensioniAnalogamente a quanto fatto da Liu e Pan (2003), sarebbe interessante esten-dere il nostro esercizio per poter valutare il ruolo di un SPS come tramite per distinguere il jump risk (letteralmente rischio di “salto”) dal rischio di shock diffu-sivo in un mercato completo, nel caso in cui vi siano risultati analitici disponibili. L’evidenza empirica che arriva dal mercato delle opzioni US suggerisce che, per individui la cui avversione al rischio varia all’interno di un intervallo ragio-nevole di valori, il jump risk viene ricompensato molto più del rischio di shock diffusivo nel prezzo (Pan, 2002) e questa situazione potrebbe ad uno sbilan-ciamento del portafoglio verso opzioni fortemente out-of-money ed analoghe funzioni di payoff strutturati. Intuitivamente, questo avviene perché, a differenza del rischio di shock diffusivo del prezzo, che può essere controllato attraverso negoziazioni continue, la natura improvvisa ed altamente influente del jump risk, elimina la possibilità che l’investitore riesca a scambiare senza utilizzare la leva per evitare livelli negativi di ricchezza. Di conseguenza, senza l’accesso al mercato dei derivati, l’investitore potrebbe evitare di far ricorso all’utilizzo di leva eccessiva su un titolo rischioso. Lo stesso investitore si sentirebbe tuttavia più libero effettuare la sua scelta se fosse possibile utilizzare i derivati per con-trollare i casi più sfavorevoli associati al jump risk. Ad esempio, questa situazio-

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ne si potrebbe realizzare investendo di più nel titolo rischioso e comprando una opzione put fortemente out-of-the money per coprirsi da salti negativi.Recentemente, Branger e Brauer (2008) hanno analizzato nel dettaglio il gua-dagno economico ex-ante ottenuto aggiungendo un PSI (nel caso specifico, un certificato di investimento del tipo equity protection oppure un certificato a sconto o del tipo turbo a leva dinamica) al portafoglio che contiene non solo titoli azionari ed obbligazionari, ma anche una prefissato numero di opzioni plain vanilla. I loro risultati non si discostano molto dal caso in cui l’investitore non possa accedere al mercato dei derivati, e questo dimostra come l’enorme flessibilità di un prodotto strutturato nel replicare anche payoff molto complessi possono essere cruciali se applicate alla gestione del portafoglio.Come estensione di questo lavoro, sarebbe interessante considerare esplicita-mente i vincoli tipici dei fondi pensionistici relativamente al rischio di perdita in un orizzonte di breve periodo. Nei periodi in cui diminuisce la liquidità di certe attività, i contratti derivati possono diventare preziosi strumenti per generare payoffs che non potrebbero essere ottenuti altrimenti. Inoltre, i fondi pensione sono soggetti al potenziale smobilizzo imprevedibile ed improvviso da parte di un certo numero di investitori. Cui, Oldenkamp, e Vellekoop (2013) crearono un modello per il problema di massimizzazione dell’utilità attesa con una funzione di utilità potenza “displaced” utilizzando una soglia che garantisca al fondo di non perdere mai più di una percentuale fissata del suo valore iniziale. Usando un’estesa gamma di attività con che include derivati sul mercato azionario e sulla varianza, gli autori mostrano che un portafoglio ottimale che include i de-rivati non solo aumenta marcatamente il benessere in termini di utilità attesa, ma migliora anche la maggior parte (ed in alcuni casi tutti) gli altri criteri di valutazione frequentemente usati dai fondi pensione, come il quantile al 2,5% dell’indice di finanziamento e lo shortfall relativo atteso (ad esempio, Value-at-risk e Tail-Value-at-Risk), come la probabilità di raggiungere specifici obiettivi di rendimento.

Hsuku (2007) e Tan (2009) affrontano il caso in cui si assume che chi investe derivi la propria utilità dal consumo, il che significa che, per loro, è accettabile spendere tutta la ricchezza che hanno accumulato. Questo è ciò che accade in un fondo pensione in corrispondenza di un recesso o dello smobilizzo dei fondi da parte dell’investitore. È interessante notare che Tan evidenzia che in assen-za di reddito non da capitale, il costo in termini di utilità attesa di non essere in grado di aggiungere una posizione lunga sulla put o sulla call è generalmente molto basso, mentre in presenza di tale reddito (ad esempio sotto forma di reddito da lavoro), lo stesso costo è sostanziale per posizioni lunghe su opzioni call, ed è invece quasi nullo nel caso della put. Infine, si potrebbe chiedere se le strategie suggerite in questo articolo possano effettivamente produrre risultati di performance incrementale in pratica. Il lavoro di Faias e Santa Clara (2011) simula in tempo reale i rendimenti effettivi out-of-sample aggiustati per il rischio sopportato investendo in una attività priva di rischio, nell’indice FTSE MIB, e in quattro contratti di opzioni con scadenza di un mese e moneyness costante (una ATM call, una ATM put, il 5% di una OTM call, ed il 5% di una OTM put option) ma assumendo un processo flessibile per il rendimento dell’indice. Di conseguenza, gli autori applicano un metodo di si-mulazione per la ottimizzazione del portafoglio simile a quanto proposto da Cui, Oldenkamp e Vellekoop’s (2013) inserendo costi di transazione realistici. I loro risultati dimostrano che gli investitori avrebbero potuto ottenere elevati Sharpe ratios ed equivalenti certi positivi nel periodo tra gennaio 1996 ed Ottobre 2010. La strategia migliore riporta un indice di Sharpe pari a 0,50. Questo dato si può facilmente paragonare con lo Sharpe ratio del 0,13 riportato dal mercato nello stesso periodo. Molte strategie presentano anche valori di skewness positivi e bassi livelli di curtosi in eccesso, che non potrebbero essere ottenuti semplice-mente vendendo singole opzioni.In questo articolo, per semplicità, abbiamo usato soltanto opzioni call Euro-pee all’interno delle nostre strategie di buy-and-hold. Una naturale estensione è quella di includere derivati più complessi, possibilmente “path dependent”

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ossia il cui payoff a scadenza dipenda dal valore assunto dal sottostante duran-te l’intera vita dell’opzione. Dovrebbe essere il principio dell’efficiente gestione ad indicare non solo quanti derivati sia ottimale detenere, ma anche quale sia il numero ottimale di derivati e la peculiare struttura del portafoglio risultante.

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Figura 1. Straddle Asimmetrico e Payoff Ottimo di Portafoglio

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Figura 2. Statica Comparata dei Pesi di Portafoglio

Legenda: l’asse verticale descrive i pesi percentuali di portafoglio, mentre l’asse orizzontale descrive i valori della variabile indicata nel titolo di ciascun grafico

Figura 3. Statica Comparata dell’Aumento nel CER Percentuale Annuo Dovuto all’Introduzione di uno Straddle Asimmetrico nel Portafoglio

Legenda: l’asse verticale descrive l’aumento ex-ante della ricchezza in percentuale annua, mentre l’as-se orizzontale descrive i valori della variabile indicata nel titolo di ciascun grafico.

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AppendiceScopo di questa appendice è descrivere in maniera più dettagliata il modello che si è utilizzato nell’articolo. Nell’economia (semplificata) che si è ipotizzata i titoli primitivi sono una obbligazione priva di rischio di credito che paga un tas-so di interesse costante r, ed una azione rischiosa che rappresenta il mercato azionario aggregato. Per poter catturare le caratteristiche empiriche rilevanti delle tipiche serie storiche di dati sui rendimenti azionari aggregati, assumiamo che i seguenti processi descrivano i rendimenti dS/S dell’asset rischioso:

dove B e Z sono processi standard di moto Browniano che assumiamo essere indipendenti. Il processo istantaneo V della varianza è un processo stocastico con media di lungo periodo ῡ>0, tasso di reversione alla media к>0, e coeffi-ciente di volatilità σ≥0 . Questa formulazione della volatilità stocastica (Heston, 1993), consente ad uno shock di prezzo diffusivo B di entrare nella dinamica della volatilità mediante il coefficiente costante ρ che introduce correlazione tra il prezzo e la volatilità degli shocks. Infine, η è una costante che quantifica il premio per il rischio associato al rischio di diffusione, B. Oltre ad investire in azioni ed obbligazioni, all’investitore è data anche la possi-bilità di includere un derivato nel proprio portafoglio. I titoli derivati rilevanti sono quelli che consentono all’investitore di ampliare la dimensione del trade-off tra rischio e rendimento. Nello specifico, all’interno del nostro modello, questi de-rivati sono in grado di offrire esposizioni differenziali ai due principali fattori di rischio presenti nell’economia (il rischio di volatilità e il rischio di diffusione). Per concretezza, consideriamo la classe di derivati il cui prezzo Ot al tempo t dipende dal prezzo St e dalla volatilità Vt del sottostante mediante la generica funzione Ot = g(St,Vt). Detto τ il suo tempo a scadenza, questo specifico derivato è definito dalla struttura del suo payoff alla data di chiusura del contratto. Ad esempio, si parlerà di opzione call Europea quando g(Sτ,Vτ) = (Sτ,– K)+, oppure di opzione put Europea nel caso in cui g(Sτ,Vτ) = (K – Sτ )

+. In entrambi i casi, contrariamente a quanto detto nel precedente esempio di contratto lineare, la relazione di prezzo g(St ,Vt) al tempo t<τ non può essere univocamente defini-ta esclusivamente dall’informazione contenuta nel sottostante. In altre parole, includendo diverse tipologie di rischio in modo non banale, il mercato diven-ta incompleto rispetto all’asset rischioso ed all’obbligazione priva di rischio. Il mercato può essere completato inserendo un numero sufficiente di derivati (non-ridondanti) O(i)

t = g(i)(St,Vt) per i =1,2,...,N.

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Le scelte di investimento delle casse previdenziali dei liberi pro-fessionistiCinzia Di Palo - Università di Cassino e del Lazio Meridionale e Clau-dio Tebaldi - Dipartimento di Finanza e Centro Baffi Carefin, Università Bocconi*

* Si ringraziano M. Angrisani, G. Corvino, S. Paci, e F. Vallacqua per i commenti e la documenta-zione fornita.

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Le scelte di investimento delle casse previ-denziali dei liberi professionistiIntroduzione Il sistema pensionistico italiano ha una struttura multi-pilastro; il primo è pub-blico e obbligatorio, offre una copertura previdenziale di base ed è gestito a ripartizione, il secondo e il terzo sono privati e su base volontaria, offrono una copertura supplementare o aggiuntiva su base individuale e sono entrambi ge-stiti a capitalizzazione.

Il sistema pensionistico obbligatorio, ispirato al principio di protezione sociale su base occupazionale, fornisce copertura a tutte le categorie di lavoratori (di-pendenti privati e pubblici, autonomi, liberi professionisti, parasubordinati) ed è composto dall’insieme delle gestioni dell’Istituto Nazionale di Previdenza Socia-le (Inps) e dagli Enti di previdenza privati, o Casse di previdenza, gestori della previdenza per i liberi professionisti. Ciascun Ente, pur operando entro lo stes-so pilastro della previdenza obbligatoria, presenta una propria configurazione sia per quanto riguarda le regole per la contribuzione sia per quanto riguarda le regole per il pensionamento e per la modalità di calcolo della pensione. In base al rapporto Covip (2015), tali enti sono complessivamente 20, amministrano 22 gestioni, contano più di un milione di iscritti (1.695.447 individui contribuenti nel 2013) a fronte di 369.167 di pensionati, e detengono attività per un ammontare complessivo di circa 65,7 miliardi alla fine del 2013.

Questa ricerca intende discutere le scelte di allocazione delle Casse di previ-denza, la loro congruità in relazione ai fini istituzionali e agli sviluppi più recenti intervenuti nell’ambito della ricerca in ambito economico/finanziario. La secon-da sezione richiama il quadro normativo di riferimento, la terza sezione si dedi-ca ad una analisi della situazione attuale in relazione agli equilibri demografici ed alla congiuntura economica. Nella quarta sezione si fa riferimento breve-mente alla caratterizzazione dei rischi di lungo periodo e alla struttura per sca-denza del rapporto rischio/rendimento che la ricerca economico finanziaria ha recentemente prodotto. La quinta sezione analizza le scelte di allocazione e le politiche gestionali in essere. La sesta sezione discute brevemente la proposta di regolamento ministeriale recentemente sottoposta a consultazione pubblica.

La normativa in sintesi Gli Enti di previdenza privati sono stati istituiti nel tempo attraverso provvedimenti normativi che ne hanno approvato gli statuti dei singoli ordinamenti e hanno come finalità principale l’erogazione di prestazioni pensionistiche di base e di prestazioni assistenziali a tutti gli iscritti. La Legge 335/1995 estende a tali Enti alcune regole previdenziali della previdenza obbligatoria. Essi comprendono le Casse privatizza-te ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 (Dlg. 509/94) di trasfor-mazione in persone giuridiche private, associazioni o fondazioni, degli Enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza, e le Casse istituite direttamente come private ai sensi del D.lgs. 103/96 di estensione della tutela previdenziale ob-bligatoria ai soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione.

Il Dlg. 509/94 trasforma gli Enti in associazioni o fondazioni senza scopo di lucro con personalità giuridica di diritto privato. Al fine di assicurare la continuità nell’ero-gazione delle prestazioni, il Dlg. 509/94 richiede la previsione di una riserva legale, in misura non inferiore a cinque annualità dell’importo delle pensioni in essere (art. 1, comma 4, lettera c), e nell’ambito delle regole di gestione concede agli stessi ampia autonomia gestionale, amministrativa e contabile (art. 2, comma 1). Tenuto conto dell’attività di natura pubblica svolta da tali Enti, l’autonomia è soggetta alla garanzia dell’equilibrio di bilancio ed alla necessità di redigere bilanci tecnici con periodicità almeno triennale (art. 2, comma 2, del Dlg. 509/94), oltre che alla vigilan-za da parte degli organi competenti (art. 3, comma 1, del Dlg. 509/94).

Il Dlg. 103/96, in attuazione della Legge 335/95, prevede la costituzione di Enti di diritto privato per estendere la tutela previdenziale obbligatoria a favore di

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quei professionisti iscritti agli albi che esercitano attività libero professionale. Tali Enti erogano le prestazioni previdenziali obbligatorie a favore degli iscritti secondo il sistema contributivo, di cui all’art. 1 della Legge n. 335/1995. Come previsto dall’art. 6 comma 7 del citato decreto, a tali Enti si applicano le disposi-zioni di cui al Dlg. 509/94, con particolare riferimento alle disposizioni in materia di gestione e di vigilanza.

In relazione alla gestione delle risorse finanziarie, gli Enti di previdenza privati istituiti con il Dlg. 509/94, al pari di quanto avviene per l’intero sistema di previ-denza obbligatorio, seguono lo schema a ripartizione, secondo il quale le entra-te contributive correnti, versate dai lavoratori attivi, sono utilizzate per pagare la spesa pensionistica corrente per i lavoratori che hanno concluso il proprio ciclo di attività. Al contrario, gli Enti istituiti con il Dlg. 103/96 utilizzano il sistema tec-nico di gestione della capitalizzazione,2 sebbene agli iscritti non sia retrocesso il rendimento conseguito con le attività di investimento ma venga retrocesso un rendimento legato alle dinamiche del Prodotto interno lordo (Pil) italiano riferito ad un determinato orizzonte temporale (ad esempio ENPAPI, ENPAP e EPAP). Nella gestione a ripartizione, il sistema è in equilibrio se i contributi versati nell’anno dagli attivi sono uguali alle prestazioni da corrispondere nello stesso anno ai pensionati. Le recenti dinamiche di instabilità economica e demografi-ca minano alle basi le condizioni indispensabili per l’equilibrio finanziario di un sistema a ripartizione e pongono un problema di sostenibilità di lungo periodo delle prestazioni pensionistiche. In particolare, la riduzione della popolazione attiva rispetto a quella non attiva (per esempio, a causa di una riduzione nel nu-mero dei nuovi iscritti) o la riduzione della contribuzione, a causa di dinamiche economiche connesse con il negativo andamento dell’occupazione, compor-tano una progressiva destabilizzazione degli equilibri relativi al finanziamento del sistema in ogni caso deve garantire la copertura finanziaria degli impegni già maturati nei confronti dei propri iscritti e deve corrispondere prestazioni adeguate nel rispetto del principio dell’equità intergenerazionale. Le Casse di previdenza del Dlg. 509/94 dispongono, comunque, di significative riserve pa-trimoniali e si trovano dunque nella condizione di poter pianificare un percorso graduale che permetta nel lungo periodo di mantenere la solvibilità del proprio debito derivante dalle obbligazioni pensionistiche promesse ai suoi iscritti.

In relazione alla modalità di calcolo della pensione è possibile considerare la seguente suddivisione di massima. Originariamente per le Casse privatizzate del Dlg. 509/94 era previsto il calcolo delle metodo retributivo, poi a seguito del-le riforme pensionistiche che si sono succedute, la maggior parte delle Casse ha optato per il passaggio al metodo contributivo.

Per gli Enti del Dlg. 103/96 il sistema di calcolo della prestazione è quello con-tributivo, come previsto dall’art. 1 della Legge 335/95: l’importo della pensione annua dipende dall’effettivo ammontare della contribuzione versata e opportu-namente rivalutata nell’intero arco della vita lavorativa (montante contributivo in-dividuale) e da un coefficiente di trasformazione stabilito e dipendente dall’età dell’iscritto all’epoca del pensionamento. Il montante contributivo individuale è costituito dal complesso dei contributi soggettivi versati, annualmente rivalutati su base composta alla fine di ciascun anno, in base ad un tasso annuo di capi-talizzazione pari alla variazione media quinquennale del Pil nominale.

Si deve evidenziare che in considerazione dell’esigenza di assicurare l’equi-librio finanziario degli Enti previdenziali, l’articolo 24, comma 24, del Decreto legge n. 201 del 2011, convertito in Legge n. 214 del 2011, detto Decreto Sal-va Italia, oltre a ribadire l’autonomia gestionale di tali Enti, richiede che questi adottino misure volte ad assicurare l’equilibrio tra entrate contributive e spesa

2 AdEPP Associazione degli Enti Previdenziali Privati. (2015). Lavoro, Crescita, Europa. Il valore delle casse previdenziali private. Quarto Rapporto sulla Previdenza Privata Italiana. Disponibile su http://www.adepp.info/ e Angrisani M. (2011). Casse professionali, patrimoni e sostenibilità.

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per prestazioni secondo bilanci tecnici riferiti ad un arco temporale esteso a cinquanta anni.

Si osserva, inoltre, che l’equilibrio tra entrate contributive e spesa pensionistica, auspicato nella norma del Decreto Salva Italia, è concepito per un sistema a ripartizione in condizioni di stabilità demografica ed economica quando, in ipo-tesi di aliquota contributiva costante, non richiede l’impiego di risorse patrimo-niali. Tuttavia, l’attuale struttura demografica delle Casse di previdenza appare ben lontana dal soddisfare l’ipotesi di stabilità, nel senso che non sono stabili né il rapporto tra gli attivi e i pensionati né il livello di contribuzione in ragione della variazione delle condizioni economiche.

Per esemplificare un trend comune, è utile considerare il caso della Cassa di Previdenza ed Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti (Inarcassa), una delle più grandi Casse per numerosità degli iscritti, che con la riforma del 2012 ha operato il passaggio al metodo di calcolo contributivo in base pro-rata a partire dal 1° gennaio 2013. Il numero degli iscritti Inarcassa è cresciuto di circa quattro volte negli ultimi 20 anni, passando da 41.952 nel 1990 a 167.092 nel 2013, con tassi annui di crescita costantemente positivi che però si sono sensibilmente ridotti negli ultimi anni3. La crescita nel numero degli iscrit-ti Inarcassa è risultata particolarmente accentuata alla fine degli anni Novanta, con tassi di crescita superiori al 10%. Tale crescita, che complessivamente nel periodo 1995/2007 ha visto tassi annui di crescita superiori al 5%, si è conside-revolmente ridotta e dal 2008 ad oggi, i tassi annui di crescita sono passati dal 4,1% a circa l’1% e il flusso al netto delle cancellazioni negli ultimi quattro anni è risultato negativo e dunque la numerosità degli iscritti si è ridotta. Il rapporto attivi/pensionati è pari a 7,2 nel 2013, e, secondo quanto riportato nel bilancio tecnico di previsione 2015, tale rapporto, pari a 5 nel 2015, scenderà sotto 2 nei prossimi 20 anni per stabilizzarsi su un valore poco più grande dell’1 nel 2060.

Alla instabilità demografica già descritta, va aggiunto l’effetto della mancata crescita economica e della conseguente marcata riduzione nel volume d’affari medio e nel reddito registratasi a partire dal 2008 nel contesto drammatico di crisi nel mercato del lavoro. Va ancora evidenziato che nel bilancio consuntivo 2013 è indicato che “... circa il 27% dei nostri associati versa in condizioni eco-nomiche prossime alla soglia di povertà…”. Va dunque anticipato l’effetto sul sistema pensionistico di una componente strutturale economicamente debole costituita da professionisti a basso reddito e bassa produttività.

Anche alla luce dei problemi legati all’andamento della finanza pubblica, non ci si deve stupire del fatto che le recenti riforme adottate sono volte a rendere più stringenti i vincoli di solvibilità degli Enti. Tuttavia in presenza di evidenti fenomeni di instabilità demografica, economica e finanziaria, la maggiore solvibilità si po-trebbe tradurre semplicemente in un progressivo impoverimento delle prestazioni pensionistiche a parità di contribuzione e dunque, in assenza di una gestione attiva degli effetti dei disequilibri sulle dinamiche del patrimonio accumulato, da-rebbe luogo ad una violazione al principio di equità intergenerazionale.4 Questo contributo si concentra sulle problematiche di gestione finanziaria del patrimonio accumulato dalle casse in relazione alle prestazioni che dovranno essere erogate.

La situazione in essere e gli squilibri economico/demograficiUno degli aspetti più pericolosi della situazione attuale è che i rischi finanziari derivanti dagli squilibri generati dalle dinamiche demografiche ed economiche

3 I dati riportati sono tratti dai seguenti documenti disponibile su https://www.inarcassa.it/ Inarcassa Cas-sa Nazionale Di Previdenza Ed Assistenza Per Gli Ingegneri Ed Architetti Liberi Professionisti. Inarcassa in cifre 2013 Statistiche su iscritti e pensionati, redditi e volume d’affari, Il Bilancio Consuntivo 2013, il Bilancio di previsione 2015.4 Angrisani M. e Di Palo C. (2015) “Controlling a demographic wave in defined contribution pension systems.” Pure Mathematics and Applications, July 2015 discutono come gestire in modo efficiente i problemi di insta-bilità demografica ed economica in un sistema a ripartizione dotato di una componente a capitalizzazione.

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sono quantificabili solo in riferimento ad una modello quantitativo di proiezione. Da un punto di vista operativo, l’esatto calcolo del “funding ratio”, definito come il rapporto tra il patrimonio corrente e il valore attuale delle prestazioni potenziali che andranno garantite agli aderenti, dipende inevitabilmente da una serie di assunzioni riguardanti l’andamento degli indicatori economici e della perfor-mance finanziarie degli investimenti. Dunque in ultima analisi è soggetto ad un rischio di modello oltre che ad una discrezionalità valutativa. La normativa in essere riduce tale discrezionalità, individuando esplicitamente le proiezioni di lungo periodo, le variabili demografiche, macroeconomiche e finanziarie da utilizzare nella redazione del bilancio tecnico.

La normativa recente ha certamente posto sotto controllo gli indicatori di sol-vibilità e di conseguenza la tutela dell’investimento previdenziale è rafforzata. Sono lasciati, però, ampi margini di ambiguità in relazione al criterio di riparti-zione tra le generazioni dei benefici e delle perdite derivanti dall’investimento in capitale di rischio in presenza di squilibri demografici ed economici mettendo a rischio la salvaguardia del principio di equità intergenerazionale e di adegua-tezza delle prestazioni da erogare.

Un tipico esempio degli elementi di incertezza che ancora caratterizzano la normativa si trova nella prescrizione riguardante i metodi di capitalizzazione delle passività e delle attività delle Casse. Infatti in molti casi la regola utilizza-ta dagli enti per ricapitalizzare il montante contributivo utilizza un tasso di ca-pitalizzazione massimo pari alla variazione media quinquennale del Pil nomi-nale e dunque il valore attuale delle prestazioni da garantire varia in relazione alle fluttuazioni future del Pil. La regola di rivalutazione del patrimonio dipende in ultima istanza dalla performance finanziaria degli investimenti operati dalla cassa stessa. In particolare nella nota del Ministero del Lavoro del 22 maggio 2012, il legislatore utilizza una logica macro-prudenziale e richiede che nel-la redazione del bilancio tecnico “il tasso di redditività del patrimonio di cui all’articolo 3 comma 1 lettera d) del d.l. 29 novembre 2007, fermo restando il rispetto del criterio in base al quale esso è determinato in funzione del ren-dimento medio dell’attività dell’ente realizzato nell’ultimo quinquennio, ai fini della verifica di cui all’articolo 24, comma 24, in considerazione dell’attuale situazione dei mercati finanziari e della bassa redditività degli investimenti conseguita negli ultimi anni, in via prudenziale, il predetto tasso di redditività del patrimonio non potrà in ogni caso essere posto in misura superiore all’l% in termini reali”.

Tale disposizione limita l’indice di redditività del patrimonio di lungo periodo ed è chiaramente volta ad evitare che un eccessivo “ottimismo” nelle proiezioni di redditività possa mascherare una patrimonializzazione insufficiente della Cas-sa. Infatti, in presenza di disequilibri demografici ed economici, la solvibilità degli Enti nel lungo periodo è garantita dalla consistenza patrimoniale delle attività prodotte investendo il surplus contributivo che si viene a determinare nella fase in cui il numero degli iscritti cresce. Questo surplus contributivo potrà e dovrà essere investito in attività finanziarie rischiose allo scopo di aumentare le attività funzionali a erogare le prestazioni nella fase in cui decresce il rapporto iscritti pensionati, crescono le prestazioni da erogare e diminuisce il flusso dei contributi.

Il criterio prudenziale sopra indicato appare sufficiente a limitare il rischio di insolvenza di lungo periodo, ma, nel caso di un sistema a ripartizione, non offre alcuna indicazione riguardo alle modalità di selezione e di liquidazione delle attività finanziarie richieste per erogare le prestazioni qualora, a causa degli squilibri demografici, la contribuzione non risultasse sufficiente. Infatti, in base alla normativa vigente, la struttura per scadenza dei rischi finanziari è decisa dai gestori finanziari e non è richiesta la congruità di tale struttura con le esigen-ze di liquidabilità del patrimonio.

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Al fine di comprendere meglio questo tipo di problematica e proporre possibili soluzioni, vale la pena richiamare alcune semplici indicazioni che la ricerca economico/finanziaria ha elaborato proprio allo scopo di caratterizzare le scelte ottime di allocazione di lungo periodo.

I rischi di lungo periodo e la struttura per scadenza della frontiera rischio/rendimentoIn termini generali è importante ricordare che l’insieme dei portafogli efficien-ti varia al variare dell’orizzonte dell’investitore. L’analisi di questa dipendenza si complica ulteriormente in presenza di allocazioni su titoli non negoziati su mercati regolamentati. In questo caso va tenuta in considerazione anche la componente di rischio di liquidità e il corrispondente premio o sconto che esso determina sul prezzo del bene. Dunque anche l’efficienza dell’allocazione è commensurata con gli obiettivi temporali dell’investitore. Nel caso di una Cassa di previdenza, l’allocazione deve essere più remunerativa e più liquida in corri-spondenza ad un orizzonte di investimento compatibile con il profilo temporale di erogazione delle prestazioni. Il più semplice modello che introduce e analiz-za la dipendenza delle allocazioni ottime rispetto all’orizzonte di investimento è il modello introdotto da Campbell e Viceira5. Questo approccio dimostra che la valutazione della struttura per scadenza della rischio richiede un modello di allocazione dinamica che includa un insieme di predittori per migliorare la stima dei rischi e delle correlazioni attese. Questi predittori sono usualmente degli indicatori legati al ciclo economico ed alla profittabilità dei titoli investibili e per-mettono una valutazione dell’insieme degli investimenti efficienti condizionata al livello dei predittori. Infatti, è possibile dimostrare che, se ignorati, i trend di lungo periodo associati ai predittori generano una distorsione significativa delle misure di rischio e di rendimento che l’investitore utilizza nel calcolo dell’alloca-zione ottimale.

In altri termini questo approccio dimostra che la variabilità degli indicatori eco-nomico/finanziari può modificare radicalmente le scelte di allocazione efficiente rispetto a quelle operate da investitori di breve periodo. La situazione peggiora ulteriormente se le allocazioni includono investimenti alternativi, il cui valore di liquidazione varia considerevolmente in considerazione delle variazioni indotte dal ciclo economico e creditizio.

Queste brevi considerazioni indicano chiaramente che non esiste una politica di gestione finanziaria ottima in termini assoluti, ma piuttosto una struttura per scadenza di scelte ottimali che dipendono dal profilo temporale delle preferen-ze e dei vincoli ai quali è soggetto l’investitore.

La legislazione attuale riguardo alle politiche di investimento delle Casse di previdenza concede ampia flessibilità alle scelte di investimento. In termini ge-nerali quindi essa non soffre delle medesime problematiche che affliggevano le politiche di investimento dei fondi pensione prima del DM 166/2014 il quale rimuove i vincoli sulle categorie di investimento ed anzi garantisce libertà allo-cativa al gestore.

In assenza di pianificazione di lungo periodo delle politiche di investimento e di liquidazione del patrimonio, vi è un concreto rischio che nella contingenza creata di disequilibri di bilancio, le esigenze di solvibilità prendano il soprav-vento e si proceda ad un riequilibrio basato semplicemente sulla riduzione in-discriminata delle prestazioni. Una soluzione di questo tipo darebbe luogo ad una violazione più o meno esplicita del principio di equità generazionale ed al principio di adeguatezza delle prestazioni. Per ovviare a questa situazione è dunque urgente rimuovere gli elementi di incertezza normativa riguardante il

5 Per una introduzione generale al problema si consulti “Strategic Asset Allocation Portfolio Choice for Long-Term Investors” J. Y. Campbell and L. M. Viceira, Clarendon Lectures in Economics.

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profilo temporale di redditività e di liquidabilità degli investimenti in relazione alla gestione finanziaria ed attuariale degli squilibri demografico/economici. L’esperienza maturata nel corso delle recenti crisi finanziarie ha dimostrato che una strada percorribile per limitare gli effetti delle vendite forzate, è la predispo-sizione di piani preordinati di investimento e di liquidazione delle attività.

Ricorrendo ad una semplice analogia quotidiana, così come è necessario pre-disporre di piani per la gestione della mobilità in occasione di eventi straordi-nari per garantire un ordinato smaltimento del traffico, allo stesso modo è ne-cessario predisporre dei piani di investimento e di liquidazione del patrimonio accumulato per garantire una gestione ordinata ed efficiente dei disequilibri di origine demografica ed economica. In considerazione della normativa vigente, la predisposizione di un “piano di liquidabilità” del patrimonio potrebbe appa-rire non necessaria; infatti l’erosione del patrimonio per erogare le prestazioni non fa parte degli scenari ammissibili in condizioni di sostenibilità. Al contrario le recenti crisi hanno dimostrato che tali piani sono necessari per evitare i co-sti provocati da una gestione improvvisata di un evento “inatteso” dal punto di vista legislativo, ma possibile e largamente prevedibile su base statistico/demografica.

Nel caso di specie, la predisposizione di piani di gestione dei disequilibri an-drebbe ad orientare le scelte di investimento anche in tempi normali. Pertanto, essa potrebbe assumere un importante ruolo di indirizzo dei gestori con il con-seguente aumento di trasparenza e di consapevolezza degli aderenti riguardo alle scelte operate dal management. Inoltre, la loro pubblicazione non andreb-be a compromettere la flessibilità delle scelte allocative. La prossima sezione è dedicata all’analisi delle politiche di investimento in essere.

Le politiche gestionali e le scelte allocative delle Casse di previdenzaLa Legge 111/2011 ha affidato alla Covip il controllo sugli investimenti delle risorse finanziarie e sulla composizione del patrimonio degli enti previdenziali di base privatizzati e privati. Ogni Ente è tenuto a rilasciare un documento di politica degli investimenti analogo a quello richiesto per i fondi pensione. Tale documento riporta tutte le informazioni riguardanti la composizione delle atti-vità detenute, mobiliari e immobiliari, a loro volta disaggregate nelle diverse tipologie di investimento e la relativa redditività, i criteri di attuazione del piano, il sistema di monitoraggio e controllo della complessiva gestione finanziaria.

La Relazione Covip per l’anno 20146 rileva che sussiste ancora una elevata eterogeneità nelle modalità di comunicazione delle informazioni richieste a discapito della trasparenza e dell’efficacia comunicativa. Rileviamo in questa sede che la standardizzazione nella forma della relazione appare un passag-gio fondamentale per ragioni molteplici; in primo luogo permette un confronto diretto tra le politiche di investimento delle differenti Casse. In seconda battuta, la standardizzazione della comunicazione costituisce un elemento di trasparen-za nella misura in cui permette agli aderenti di avere un raffronto diretto tra le politiche adottate da uno specifico Ente e altri Enti. In altre parole, la standar-dizzazione della relazione è potenzialmente il primo passo per poter introdurre dei benchmark valutativi. In tal senso è auspicabile che, anche a livello italiano, si sviluppi una reportistica per l’attività degli investitori istituzionali che potrà costituire una base informativa sulla quale verificare la bontà delle allocazioni e delle gestioni in relazione alle istituzioni “concorrenti”7.

In linea con quanto auspicato nella sezione precedente, la Relazione Covip 2014 rileva che alcune Casse hanno ritenuto utile inserire nella relazione in-

6 Covip Commissione di Vigilanza dei Fondi Pensione. (2015). Relazione per l’anno 2014. Disponibile su http://www.covip.it/.7 Il sito web www.mondoinstitutional.com offre una ampia attività di reporting riguardante una vasta gamma di investitori istituzionali, tra i quali anche numerose casse di previdenza professionali.

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formazioni specifiche riguardanti le procedure di selezione delle allocazioni adottate, le modalità di definizione della ripartizione strategica delle attività in relazione al criterio di Asset and Liability Management, l’impiego di strategie di gestione attive o passive, riguardanti la segmentazione del portafoglio per tener conto specificamente delle esigenze di copertura degli impegni previ-denziali (ad esempio, core-satellite, liability driven portfolio)8.

In ultima analisi, l’impressione complessiva che deriva dall’analisi delle politi-che gestionali indica che le Casse previdenziali più grandi hanno recepito la necessità di provvedere ad una progressiva modernizzazione delle procedu-re. La frammentazione delle informazioni che ancora caratterizza il comparto richiede ora uno sforzo per accelerare questo processo e muovere verso una armonizzazione degli standard gestionali, prima a livello nazionale. L’obiettivo di lungo periodo rimane l’uniformizzazione delle politiche di regolamentazione degli investitori istituzionali a livello europeo.

Una visione di insieme alle allocazioni di questi investitori mostra una scelta di allocazione che è predominata dalle componenti obbligazionarie e immobi-liari. In base ai dati Covip, considerando partecipazioni dirette ed indirette, la componente obbligazionaria si attesta al 35,2%, mentre il 30,2% del patrimonio complessivo è investito nella componente immobiliare. La maggior parte degli investimenti avviene in forma diretta. Il comparto azionario è presente in misura pari all’10,4% del totale. Forme di investimento alternativo al di fuori del com-parto immobiliare, quali fondi di private equity o venture capital sono presenti in misura minore.

Una analisi più approfondita del profilo temporale del trade off rischio/rendi-mento richiede la conoscenza più dettagliata della natura degli investimenti obbligazionari ed azionari; tuttavia vale la pena rilevare che una frazione così rilevante di investimento immobiliare genera inevitabilmente un andamento pro-ciclico dei valori patrimoniali e richiede una gestione attiva delle componenti liquide per evitare che problemi di liquidità contingente possano pregiudicare la redditività complessiva. L’altra problematica che andrà affrontata nel breve periodo riguarda la gestione degli effetti della manovra di alleggerimento quan-titativo intrapresa dalla Banca Centrale Europeo (Bce) sul valore della compo-nente obbligazionaria dei portafogli. La manovra è disegnata per incentivare la propensione degli investitori verso la presa di rischio, tuttavia nel caso di investitori di lungo periodo la selezione delle alternative rischiose non appare semplice e va certamente legata ad una analisi del profilo temporale di redditi-vità del portafogli anche in relazione all’erogazione delle prestazioni.

A tale proposito, al fine di incentivare l’investimento infrastrutturale, la Legge di Stabilità 2014 riconosce a Casse e fondi pensione degli sgravi fiscali se investono in attività di lungo periodo e nello specifico dell’investimento in in-frastrutture. Data la natura pubblica delle Casse di previdenza è chiaro che il sostegno degli investimenti a livello nazionale è un compito compatibile con i vincoli istituzionali di questi istituti. Naturalmente non va dimenticato che questo sostegno non deve mettere in alcun modo in discussione il principio di tutela dell’investimento previdenziale e dunque andrà svolto in condizioni di massima trasparenza, compatibilmente con gli obiettivi di redditività e limitando l’assun-zione di rischi finanziari e creditizi.

Da un punto di vista finanziario, l’allocazione di risorse previdenziali in investi-menti alternativi di lungo periodo è sensata ove vi sia congruità tra l’orizzonte temporale di liquidabilità dell’investimento infrastrutturale e l’orizzonte tempora-le di erogazione delle prestazioni. A nostro avviso nella situazione contingente,

8 Per maggiori approfondimenti su questo tema si consulti “La valutazione delle strategie di investimen-to degli enti previdenziali” E. Sabatino (2015) Master thesis U. Bocconi.

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l’investimento infrastrutturale potrebbe offrire una soluzione alternativa all’inve-stimento immobiliare e, in misura minore, all’investimento obbligazionario.

La Relazione Covip mostra che le Casse previdenziali gestiscono direttamente investimenti per un controvalore pari al 55,6% del totale, mentre nel rimanente 44,4% di casi la gestione è affidata a intermediari specializzati. Anche l’analisi delle strutture gestionali rivela una estrema eterogeneità nella natura organiz-zativa e nel livello di competenze presenti. Va detto, a scanso di equivoci, che il modello organizzativo delle Casse ha indubbiamente il pregio di offrire la mas-sima flessibilità allocativa e non risente delle pesanti limitazioni regolamentari che hanno caratterizzato, ad esempio, le gestioni dei fondi pensione. Tuttavia, l’elevato grado di autonomia e la mancanza di un controllo del mercato sulla qualità della gestione rendono necessaria una severa disciplina dei conflitti di interesse che vada a regolare l’attività di consulenza, la selezione e la gestione degli investimenti e la valutazione della performance.

In particolare l’attività dell’Autorità di Vigilanza e la recente giurisprudenza han-no rimarcato più volte la necessità di aumentare il livello di trasparenza sulle attività gestionali e di operare una disclosure sistematica sul ruolo svolto dagli advisor in fase di selezione e di valutazione degli investimenti, anche in relazio-ne alla natura pubblica degli Enti previdenziali.

La consultazione Mef e le prospettive normativeLo schema di regolamento ministeriale sottoposto a consultazione pubblica dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef)9 risponde alla esigenza accre-sciuta di omogeneizzazione e di razionalizzazione delle strategie di investimen-to alla luce delle criticità emerse in talune gestioni10.

La proposta normativa in discussione riflette a nostro avviso una condivisibile esigenza di maggiore efficienza gestionale, di più trasparenza e “accountabili-ty” delle scelte di investimento, pur garantendo una flessibilità gestionale suffi-ciente ad evitare un condizionamento eccessivo delle performance.

Entrando più nello specifico, la normativa adotta in modo chiaro ed incontro-vertibile un approccio improntato ad una maggiore responsabilizzazione degli enti in termini di efficienza e trasparenza gestionale. In particolare essa richiede l’adozione della misura di “funding ratio” come criterio di equilibrio finanziario, richiama il concetto di liquidabilità e di efficienza rischio/rendimento.

Pur condividendo le linee generali, a nostro avviso la proposta normativa è ancora un po’ troppo timida nella definizione dei criteri e delle condizioni di liquidabilità degli investimenti rischiosi. Come già ampiamente discusso, la prevedibilità del profilo temporale delle prestazioni da erogare offre una solida base di partenza per determinare l’equilibrio tra liquidabilità dell’investimento e redditività del medesimo. In altri termini, la proposta di intervento legislativo deve incentivare l’adozione di un profilo di investimento che non garantisca la liquidabilità in termini assoluti, quanto piuttosto un piano di liquidabilità delle attività congruo al profilo temporale di erogazione delle prestazioni future.

Non è difficile comprendere che nei prossimi anni, in virtù degli squilibri econo-mico/demografici, gli Enti previdenziali dovranno affrontare delle vere e proprie sfide gestionali per garantire livelli di welfare adeguati agli aderenti nel rispetto dei requisiti di sostenibilità e di sana e prudente gestione.

Anche alla luce delle economie di scala che sono necessarie per competere

9 La documentazione è disponibile sul sito web http://www.dt.tesoro.it/it/consultazioni_pubbliche/10 A tal proposito si consulti il Documento Conclusivo dell’Indagine Conoscitiva sulla Situazione Econo-mico-Finanziaria delle Casse Privatizzate anche in Relazione alla Crisi dei Mercati Internazionali, dispo-nibile sul sito del Senato della Repubblica.

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nei mercati dei capitali internazionali, in futuro andrà certamente ricercato un nuovo punto di equilibrio che, pur nel mantenimento dell’indipendenza gestio-nale delle Casse, permetta un rapporto trasparente di sinergia e scambio di conoscenze tra le Casse in materia di investimenti finanziari anche ipotizzando (attraverso accordi di tipo consortile) la creazione di gestioni comuni di know how e di veicoli finanziari.

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Enti previdenziali degli ordini pro-fessionali e appalti pubbliciVincenzo del Re - Docente di diritto delle assicurazioni, Università Boc-coni

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La qualificazione giuridica degli Enti previdenziali degli ordini professionaliCome noto, il problema della qualificazione giuridica pubblica o privata degli Enti previdenziali privatizzati (ai sensi del D. l.gs. n. 509/1994 e del D. lgs. n. 103/1996) è stato a lungo dibattuto, dando luogo a contrasti di giurisprudenza e a disparità di vedute, in relazione alla necessità di stabilire se sia o meno applicabile la nor-mativa prevista, in diversi settori, per i soggetti aventi natura pubblicistica.Al riguardo, ad esempio, sono noti i precedenti confliggenti della giurisprudenza amministrativa, in materia di finanza, circa la inclusione delle Casse nel novero delle amministrazioni pubbliche considerate nel conto economico consolidato.

Un primo indirizzo (Tar Lazio, Sentenza n. 224/2011) ha sostenuto la tesi secondo la quale la qualificazione pubblicistica dovrebbe essere esclusa non essendo possibile configurare un’ingerenza diretta da parte dell’Amministrazione e per-ché – in coerenza con la riforma stessa del settore, e quindi con l’autonomia finanziaria e di gestione che li connota – gli enti previdenziali non sarebbero de-stinatari di forme di finanziamento pubblico.

Un secondo indirizzo (seguito da Cons. Stato, Sentenza n. 224/2011) ha invece espresso il convincimento secondo cui la privatizzazione delle Casse di previ-denza avrebbe determinato l’acquisizione pacifica della personalità giuridica di diritto privato, ma che ciò non sarebbe sufficiente a sottrarle all’alveo pub-blicistico. Per l’orientamento in questione, militano in favore di questa tesi, tra l’altro, gli specifici poteri demandati al Ministero competente, il controllo della Corte dei Conti e, in modo particolare, il carattere pubblicistico – in virtù di una stretta connessione all’interesse pubblico - dell’attività e della funzione istituzio-nale di previdenza ed assistenza svolte dalle Casse in seno al quadro normativo di riferimento, nonché l’obbligatorietà di iscrizione e di contribuzione unitamente alla disciplina degli sgravi e della fiscalizzazione degli oneri sociali. Questi ultimi elementi, nella ricostruzione in esame, concorrono nel delineare un sistema di fi-nanziamento pubblico “sia pure indiretto e mediato attraverso risorse comunque distolte dal cumulo di quelle desinate a fini generali” (così il Consiglio di Stato nella sentenza sopra citata).

Nonostante le perplessità di parte degli interpreti, che evidenziano il rischio di un’incoerenza di fondo rispetto agli scopi e alla filosofia sottesi al processo di privatizzazione, allo stato non sembrerebbero profilarsi scostamenti dalla via in-terpretativa intrapresa dal Consiglio di Stato.

La disciplina generale del Codice dei contratti pubbliciUn secondo profilo in relazione al quale il tema della natura giuridica pubblici-stica o privatistica degli Enti previdenziali di categoria assume grande rilievo, come noto, attiene all’applicabilità alle Casse – quali committenti - delle regole di evidenza pubblica dettate dal Codice dei contratti pubblici (D. lgs.n. 163/2006) in attuazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici, applicabilità che andrebbe senz’altro affermata qualora si reputi che le Casse costituiscano organismi di diritto pubblico ai sensi dell’art. 3, comma 26, del Codice,1 e che

1 Art. 3, comma 26, D.lgs... n. 163/2006: “L’«organismo di diritto pubblico» è qualsiasi organismo, anche in forma societaria: - istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; - dotato di personalità giuridica; - la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico”.

Enti previdenziali degli ordini professionali e appalti pubblici

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dovrebbe invece essere esclusa nel caso contrario.Anche in questo caso, la giurisprudenza amministrativa è andata affermandosi nel senso di una connotazione pubblicistica degli Enti sufficiente a determinare la soggezione degli appalti da essi commissionati al Codice dei contratti pubblici (si veda, ad esempio, Cons. Stato, Sentenza 21 maggio 2009, n. 3141). A questo fine, dato atto della pacifica sussistenza del requisito della personalità giuridica, si attribuisce rilievo alla iscrizione e alla contribuzione obbligatorie, nelle quali si tende a ravvisare un meccanismo di finanziamento pubblico ancorché indiretto, oltre che alle forme di controllo pubblico affidate al Ministero competente, e alle finalità di interesse generale prive di carattere commerciale o industriale. A livello nazionale si è in tal modo delineata una consonanza con le soluzioni espres-se dalla giurisprudenza comunitaria (cfr. Corte di Giustizia, Sentenza 11 giugno 2009, C-300/07), incline a valorizzare l’influenza dominante dei pubblici poteri veicolata dalla contribuzione imposta ex lege; ciò in un contesto normativo nel quale gli enti di previdenza figurano espressamente menzionati nell’elenco degli organismi di diritto pubblico (cfr. all. III alla Direttiva Ce 2004/18).

In controtendenza rispetto a questi orientamenti interpretativi, in un primo tempo il legislatore è intervenuto con una norma ad hoc che, secondo la più diffusa inter-pretazione, avrebbe potuto (o probabilmente inteso) scongiurare la soggezione degli Enti previdenziali di categoria alle regole vigenti in materia aggiudicazione degli appalti pubblici: il riferimento è all’art.1, comma 10-ter, d.l. n. 162/2008, poi convertito in Legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, L. n. 201 del 22.12.2008,2 che ha escluso l’appartenenza delle Casse al novero composito degli organismi di diritto pubblico a condizione che esse non usufruiscano “di finanziamenti pubblici o altri ausili pubblici di carattere finanziario”.

In un secondo tempo, però, lo stesso legislatore – con l’art. 32, comma 12, D.l. n. 98/2011, convertito in L. n. 111/2011 – recependo una segnalazione al Governo dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (le cui competenze sono attualmente esercitate dall’Autorità Nazionale Anticorruzione), che aveva sollevato diversi dubbi circa la portata e i possibili effetti del prece-dente intervento normativo, ha stabilito che la prevista esclusione dalla disciplina degli appalti di associazioni e fondazioni non si estende ai casi in cui opera una contribuzione obbligatoria a carico degli iscritti.

Pertanto, anche all’esito degli sviluppi normativi più recenti,3 quantomeno allo stato, gli orientamenti dei quali sopra si è dato conto permangono attuali: in que-sto quadro, la contribuzione obbligatoria continua a costituire un indice ben diffi-cilmente eludibile ai fini dell’applicabilità dell’evidenza pubblica.

In sintesi, la regola generale che ad oggi pare doversi desumere dall’ordinamen-to è che le Casse sono soggette al Codice dei contratti pubblici.

2 Questa norma dispone quanto segue: “Ai fini della applicazione della disciplina di cui al Decreto legi-slativo 12 aprile 2006, n. 163, non rientrano negli elenchi degli organismi e delle categorie di organismi di diritto pubblico gli enti di cui al Decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, e gli enti trasformati in associazioni o in fondazioni, sotto la condizione di non usufruire di finanziamenti pubblici o altri ausili pubblici di carattere finanziario, di cui all’articolo 1 del Decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, e di cui al Decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, fatte salve le misure di pubblicità sugli appalti di lavori, servizi e forniture”.3 Peraltro, muovendo dal riscontro della permanenza del controllo statuale (nella specie con espres-so riferimento all’Enasarco e all’Enpam), la giurisprudenza amministrativa ha ridimensionato la portata dell’ultimo intervento legislativo attribuendogli un effetto solo esplicativo e non innovativo (Cons. Stato, sentenza 23 dicembre 2013, n. 6185: “La natura di «organismo di diritto pubblico» dell’Enasarco (come dell’Enpam nel caso di specie) rendeva non rilevante la previsione dell’art. 1, 10º comma ter, d.l. 23 ot-tobre 2008 n. 162, conv. dalla l. 22 dicembre 2008 n. 201, proprio perché la norma non ricomprendeva anche le fondazioni che continuavano a essere sottoposte al controllo dello stato; la circostanza poi che questo, comma sia stato modificato dall’art. 32, 12º comma, d.l. 6 luglio 2011 n. 98, conv. dalla l. 15 luglio 2011 n. 111, con l’esplicita previsione che «la condizione prevista dal periodo precedente deve intendersi non realizzata nel caso di contribuzione obbligatoria prevista per legge a carico degli iscritti delle associazioni o fondazioni», ha effetto meramente esplicativo, ma non innovativo, e non porta alla giurisdizione ordinaria le controversie relative alle gare bandite prima della modifica richiamata”).

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Gestione delle risorse e Codice dei contratti pubbliciUna soluzione diversa da quella raggiunta nel paragrafo che precede si è inve-ce recentemente prospettata con riguardo sia alla individuazione, da parte delle Casse, del gestore delle risorse finanziarie dell’Ente in caso di adozione del re-gime di gestione indiretta tramite convenzione, sia alla selezione del depositario.

In questa materia, infatti, in sede di normativa secondaria si è ipotizzata l’adozio-ne, da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, di un regime speciale la cui base giuridica, secondo le intenzioni espresse dal Ministero, troverebbe riscontro anche nella normativa primaria, di rango legislativo.

In proposito viene in considerazione quanto previsto dallo Schema di Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze recante il Regolamento ministeriale ma-teria di investimento delle risorse finanziarie degli enti previdenziali, dei conflitti di interessi e di depositario, ai sensi dell’art. 14, comma 3°, D.l. 6 luglio 2011, n. 98 (convertito, con modificazioni, in l. 15 luglio 2011, n. 111), anche alla luce dei contenuti della Relazione con la quale l’Amministrazione, sottoponendo il testo alla procedura di consultazione pubblica, ha illustrato le linee guida seguite nella sua redazione: In particolare, sono rilevanti:• l’art. 4, comma 1°, dello Schema di Regolamento, che per quanto riguarda i

“criteri di gestione indiretta”, prevede quanto segue: “In caso di gestione ef-fettuata in modalità convenzionata, gli Enti adottano un processo di selezione dei gestori che garantisce la trasparenza e la competitività del procedimento secondo criteri di proporzionalità rispetto agli obiettivi perseguiti, assicurando la coerenza tra obiettivi e modalità gestionali, decisi preventivamente dagli amministratori, e i criteri di scelta dei gestori. I competenti organi di ammini-strazione degli Enti richiedono offerte contrattuali, per ogni tipologia di servi-zio. Le offerte contrattuali rivolte agli Enti sono formulate per singolo prodotto in maniera da consentire il raffronto dell’insieme delle condizioni contrattuali con riferimento a ciascuna tipologia di servizio offerto”;

• l’art. 10, comma 2°, dello Schema di Regolamento, che per quanto riguarda il depositario prevede quanto segue: “Per l’individuazione del depositario gli Enti adottano un processo di selezione basato sui criteri di cui all’art. 4, com-ma 1 del presente decreto”;

• la citata Relazione, laddove si osserva quanto segue: “Le risorse degli Enti previdenziali potranno essere investite in forma diretta ed indiretta, tramite convenzioni. Con riguardo a questa ultima tipologia, la scelta del gestore do-vrà essere effettuata sulla base di un processo di selezione che garantisca la trasparenza e la competitività del procedimento, improntato a criteri di propor-zionalità, tale da assicurare la coerenza tra le modalità gestionali e gli obiettivi fissati preventivamente dagli amministratori. Questo regime di carattere ge-nerale, adottato anche per la selezione del depositario, è volto a coniugare l’esigenza di flessibilità operativa degli Enti con la necessità che le procedure di selezione siano corrette e trasparenti. In proposito, è bene specificare che, in linea con la disposizione che esclude i servizi finanziari dal suo ambito di applicazione e con un parere reso dall’Avvocatura dello Stato al riguardo, si è ritenuto che per queste fattispecie non fosse applicabile il Codice dei Contratti Pubblici (decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163), che altrimenti la legge richiama per questi Enti in virtù dell’obbligatorietà dell’iscrizione e del versa-mento dei contributi”.

Il Ministero muove così dall’assunto che le procedure di selezione dettate dal Codice dei contratti pubblici sarebbero senz’altro applicabili, in astratto, alle Cas-se di previdenza, da qualificarsi come organismi di diritto pubblico ai sensi del medesimo Codice (e di ciò si dà atto nelle premesse dell’articolato, laddove si fa richiamo all’art. 32, comma 12, D.l. n. 98/2011). Tale qualificazione è oggettiva-mente coerente con il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento che si è sopra descritto.Nel contempo, tuttavia, agli specifici fini considerati dallo Schema di Regola-

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mento, il Ministero ha escluso l’applicabilità del Codice dei contratti pubblici e ha reputato sufficiente che le procedure di selezione da seguire garantiscano il rispetto della trasparenza e della competitività del procedimento secondo criteri di proporzionalità rispetto agli obiettivi perseguiti.

Questo convincimento è espresso dal Ministero, oltre che sulla base di un parere conforme reso dall’Avvocatura dello Stato, sulla base della natura e tipologia dei servizi in questione. Ne dà atto in modo esplicito una delle premesse del testo: “Considerato che l’allegato IIA del citato decreto legislativo n. 163/2006 esclude dall’applicazione del Codice dei contratti i servizi finanziari relativi all’emissione, all’acquisto, alla rendita e al trasferimento di titoli o di altri strumenti finanziari, nonché i servizi forniti da banche centrali ed il parere a tal proposito espresso dall’Avvocatura Generale dello Stato con nota 419253/P dell’11 ottobre 2014”.

Come noto, l’esclusione riportata in nota dal Il citato all. IIA - che in via generale, per contro, include i servizi finanziari tra quelli soggetti al Codice dei contratti pubblici - ha titolo nell’art. 19, comma 1°, lett. d), secondo cui il Codice non si applica ai contratti pubblici “concernenti i servizi finanziari relativi all’emissione, all’acquisto, alla vendita e al trasferimento di titoli o di altri strumenti finanziari, in particolare le operazioni di approvvigionamento in denaro o capitale delle stazio-ni appaltanti, nonché i servizi forniti dalla Banca d’Italia”.

La ratio di questa disciplina, che annovera le categorie citate tra i c.d. “contratti esclusi in tutto o in parte dall’applicazione del Codice” (artt. 16-26, D. lgs. n. 163/2006), è generalmente indicata nel fatto che la scelta del soggetto chiamato a rendere servizi finanziari relativi all’emissione, all’acquisto, alla rendita e al tra-sferimento di titoli o di altri strumenti finanziari implica ed esige in modo reputato indefettibile dal legislatore (in aderenza al diritto comunitario) una delicata con-siderazione delle qualità dell’appaltatore da parte dell’Ente committente. Come sovente si sottolinea, infatti, si tratta di servizi per i quali l’affidabilità, la professio-nalità e la competenza del soggetto erogatore rivestono importanza primaria, al pari della sua solidità finanziaria e patrimoniale.

Gli orientamenti accolti dal Ministero nello Schema di Regolamento e nella Rela-zione hanno ricevuto l’approvazione della maggioranza dei soggetti che hanno fatto pervenire le loro osservazioni nell’ambito della procedura di consultazione pubblica conclusasi lo scorso 5 dicembre 2014. Nel contempo, però, si sono manifestate perplessità legate alla soluzione norma-tiva adottata. Come si è ricordato sopra, lo Schema di Regolamento non enuncia in termini espressi la non applicabilità del Codice alla selezione del gestore e del depositario, che è esplicitata solo nella Relazione, ma si limita a prevedere che al riguardo debba essere adottato “un processo di selezione dei gestori che garantisce la trasparenza e la competitività del procedimento secondo criteri di proporzionalità rispetto agli obiettivi perseguiti, assicurando la coerenza tra obiet-tivi e modalità gestionali, decisi preventivamente dagli amministratori, e i criteri di scelta dei gestori”, e che “I competenti organi di amministrazione degli Enti richiedono offerte contrattuali, per ogni tipologia di servizio. Le offerte contrattuali rivolte agli Enti sono formulate per singolo prodotto in maniera da consentire il raffronto dell’insieme delle condizioni contrattuali con riferimento a ciascuna tipo-logia di servizio offerto”. Questa previsione, che la Relazione riconduce all’esigenza di coniugare la flessi-bilità operativa degli Enti con la correttezza e trasparenza delle procedure seletti-ve, in effetti risulta coerente con l’esclusione dall’applicazione del Codice esplici-tata dalla Relazione, posto che essa non avrebbe senso in un contesto nel quale il Codice fosse chiamato a trovare applicazione, e posto che in generale per i contratti (in tutto o in parte) esclusi l’art. 27 del Codice – norma di chiusura delle disposizioni dettate per questa tipologia di contratti - impone comunque che l’affi-damento avvenga “nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità” e sia preceduto (ma solo “se compatibile con l’oggetto del contratto”) “da invito ad almeno cinque concorren-

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ti”. Peraltro, anche l’art. 6, commi 6 e 8, D. lgs. n. 252/2005, che l’art. 14, comma 3, D.l. 6 luglio 2011, n. 98, ha richiamato demandando al Ministero l’esercizio della potestà regolamentare in materia, per la selezione dei gestori contempla procedure di pubblicità semplificate che comunque garantiscano la trasparenza del procedimento e la coerenza tra obiettivi e modalità gestionali, decisi preven-tivamente dagli amministratori, e i criteri di scelta dei gestori. Prescindendo in questa sede da ogni raffronto tra le formule normative adottate dal Codice e dallo Schema di Regolamento in relazione ai caratteri inderogabili dei processi di affidamento, si può quindi ritenere che, sebbene il dato non sia oggetto di espressa previsione nel testo, lo Schema di Regolamento sottopo-sto alla consultazione pubblica non possa essere interpretato se non nel senso dichiarato dalla Relazione, ossia che esso abbia inteso escludere i contratti di affidamento al gestore e alla banca depositaria dall’applicazione del Codice.

Sono, tuttavia, opportune alcune considerazioni. L’esclusione è motivata dalla Relazione tramite il richiamo “alla disposizione che esclude i servizi finanziari” dal campo di applicazione del Codice. Sennonché, i servizi finanziari e anche quelli bancari in via generale sono inclusi dall’all. IIA, mentre ad essere sottratti all’ambito applicativo del Codice, ai sensi dell’art. 19, comma 1°, lett. d), e della nota 3 al punto 6.b dell’all. IIA, sono i contratti pubblici “concernenti i servizi finanziari relativi all’emissione, all’acquisto, alla vendita e al trasferimento di titoli o di altri strumenti finanziari, in particolare le operazioni di approvvigionamento in denaro o capitale delle stazioni appaltanti, nonché i servi-zi forniti dalla Banca d’Italia […]”. Pertanto, la soluzione accolta dallo Schema di Regolamento non riposa sull’affer-mazione di una generica natura di servizi finanziari delle prestazioni del gestore e del depositario, ma presuppone una verifica, con esito positivo, della loro af-ferenza e/o riconducibilità all’acquisto, alla vendita e al trasferimento di titoli o di altri strumenti finanziari. Se in giurisprudenza non si è mancato di osservare che la categoria generale dei servizi finanziari inclusi, a fronte della più analitica descrizione dei servizi esclusi, finisce con l’assumere un carattere residuale, è altrettanto vero, però, che in concreto la valutazione di quali servizi finanziari meritino la qualificazione di servizi esclusi sconta un rilevante margine di incertezza. Inoltre, si è anche osservato che al riguardo sarebbe necessario adottare una interpretazione di carattere restrittivo, poiché l’esclusione, prevista con riferimento ai soli servizi fi-nanziari contemplati dall’art 19, comma 1, lettera d), del Codice, comporta una deroga, di carattere eccezionale, all’applicazione delle regole generali in materia di evidenza pubblica. Ad esempio, si tende così a reputare sottratti al novero dei servizi esclusi la stipulazione di contratti di mutuo, trattandosi di operazioni non connesse con strumenti finanziari, ancorché finalizzate all’approvvigionamento di denaro. Lo stesso Ministero, formulando richiesta di parere al Consiglio di Stato sullo Schema di Regolamento, ha evidenziato dubbi interpretativi “circa la reale porta-ta dell’ambito di applicazione sul piano oggettivo” del Codice.

Al riguardo, tuttavia, non parrebbe irragionevole ritenere che il complesso delle attività demandate tramite convenzione al gestore – al quale spetta appunto il compito di investire le risorse finanziarie - attenga precipuamente o, quantome-no, sia connesso in via strumentale e inscindibile (per prestazioni specifiche ed essenziali alla gestione, come quelle relative alla gestione amministrativa e contabile) alla negoziazione di prodotti finanziari nell’interesse dell’Ente e alla gestione finanziaria delle sue risorse, e che, pertanto, lo Schema di Regola-mento legittimamente ne affermi la sottrazione alla normativa di fonte Ce sugli appalti di servizi. Anche per quanto concerne gli affidamenti alla banca depositaria – per le cui fun-zioni si vedano gli artt. 7, D. lgs. n. 252/2005, e 48, D. lgs. n. 98/1998 (T.U.F.) - par-rebbe sussistere un apprezzabile nesso di strumentalità rispetto all’investimento delle risorse delle Casse, e del resto i compiti demandati al depositario presup-pongono il possesso e l’esercizio di elevate competenze di tipo finanziario, che

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si traducono nello svolgimento di servizi indispensabili e coessenziali (ancorché resi da un soggetto terzo rispetto al gestore) al processo produttivo legato alla gestione di fondi di investimento.

L’assimilazione, ai fini in esame, dell’attività della banca depositaria ai servizi fi-nanziari esclusi, tuttavia, potrebbe prestare il fianco a censura qualora si ritenes-se di dover attribuire rilievo autonomo agli elementi propri di servizi di tipo diver-so, che il depositario è normalmente chiamato a svolgere: si pensi, ad esempio, alle funzioni di controllo, di sorveglianza e di custodia (che secondo la Corte di Giustizia non rientrano nel concetto di “gestione dei fondi d’investimento”: cfr. Sentenza 4 maggio 2006, causa n. C-169/04).D’altro canto, si deve rilevare che il Consiglio di Stato, con provvedimento del 22 ottobre 2015 reso in via interlocutoria sulla suddetta richiesta di parere da parte del Ministero, ha anticipato di propendere per la necessaria applicabilità delle procedure di evidenza pubblica tanto alla scelta del gestore quanto alla scelta del depositario, perché il servizio affidato al gestore non solo non potrebbe rien-trare tra i servizi finanziari esclusi ai sensi dell’art 19, comma 1, del Codice, ma neppure potrebbe essere qualificato come “servizio finanziario” in senso proprio. Secondo il Consiglio di Stato, infatti, il servizio del gestore sarebbe prestato, verso corrispettivo di commissioni, in esecuzione di un contratto ad hoc riconducibile al mandato, connotato da una piena autonomia nell’amministrazione delle risorse non compatibile con la natura di “servizio finanziario” e tale da demandare all’En-te soltanto l’emanazione di linee di indirizzo.4 Inoltre, muovendo dagli obiettivi generali sottesi alla gestione previdenziale degli investimenti e dall’esigenza – considerata dall’art. 7, comma 10°, dello Schema - di un contenimento dei rischi allorquando l’Ente affidi a terzi lo svolgimento delle attività e dei processi connes-si di investimento, il Consiglio di Stato si è dichiarato incline a ritenere che solo la procedura di evidenza pubblica sarebbe in grado di assicurare un’adeguata tutela degli interessi dell’Ente e degli aderenti, nonché di garantire appieno il controllo dei procedimenti di esternalizzazione. Cionondimeno, allo stato, l’orientamento in questione – che risulta per diversi aspetti opinabile - è formulato in termini interlocutori, perché il Consiglio di Stato, tenuto conto che la materia investe indirettamente la competenza dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), ha invitato il Ministero ad acquisirne il parere riservandosi all’esito ogni pronuncia sullo Schema di Regolamento.5

Non è allora inutile rilevare che l’Autorità in passato ha avuto modo di esprimer-si accogliendo una interpretazione restrittiva della nozione di servizi finanziari rilevante ai fini in esame. In particolare, l’Autorità ha escluso che il servizio di gestione di un fondo immobiliare da parte di una società di gestione del rispar-mio – avendo ad oggetto una pluralità servizi eterogenei (servizi prettamente fi-nanziari, servizi di contabilità, di consulenza gestionale, di gestione di proprietà immobiliari, di progettazione e realizzazione di immobili, ed ulteriori servizi tecni-ci) - sia equiparabile ad un servizio finanziario consistente nell’emissione, nell’ac-quisto, nella vendita e nel trasferimento di titoli o altri strumenti finanziari (Parere 4 agosto 2009). Ancora, in un altro caso dubbio, l’Autorità non ha avallato la tesi della non applicabilità del Codice ad affidamenti non riconducibili alla presta-zione di un servizio finanziario in senso stretto: si è trattato, nella specie, delle cosiddette attività di “arranging” (i.e. mandato a strutturare e gestire un contratto di finanziamento, prendendo contatto con il maggior numero possibile di banche e svolgendo attività di coordinamento tra tutti i finanziatori, e sovente con garan-

4 Nel motivare il proprio apprezzamento il Consiglio di Stato, in particolare, richiama i seguenti profili di disciplina: a) le convenzioni devono “prevedere l’attribuzione in capo all’Ente della titolarità dei diritti di voto inerenti ai valori mobiliari nei quali risultano investite le disponibilità dell’Ente medesimo” (art. 4, comma 2°, lett. c); b) sebbene in via generale gli Enti siano titolari dei valori e delle disponibilità conferiti in gestione, resta però “in facoltà degli stessi di concludere, in tema di titolarità, diversi accordi con i gestori a ciò abilitati nel caso di gestione accompagnata dalla garanzia di restituzione del capitale” (art. 4, comma 3°). 5 Il Consiglio di Stato si pronuncerà anche su altri punti significativi dello Schema di Regolamento, non oggetto di trattazione in questa sede.

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zia di “underwriting”, ossia “di sottoscrizione a fermo del finanziamento con cui viene assicurata la disponibilità dei fondi, o di parte di essi, anche in assenza di finanziatori interessati al progetto”). Pur se in un’ottica di cautela, anche al fine di evitare possibili contenziosi, tenuto conto delle incertezze interpretative che caratterizzano la materia l’Autorità ha ritenuto opportuno esprimersi indican-do come soluzione l’adozione di “idonea procedura ad evidenza pubblica per il conseguimento di qualunque provvista finanziaria, sulla base della strutturazione finanziaria elaborata dagli Arrangers” (Parere 16 dicembre 2010).

Se l’atteso parere dell’Autorità sulla natura dei servizi demandati al gestore e al depositario non offrirà un pronunciamento univoco nel senso di un’adesione alla soluzione prospettata dallo Schema di Regolamento, è ragionevole pensare che il parere definitivo del Consiglio di Stato – che pur ha dato atto della sussistenza di elementi favorevoli alla tesi della non applicabilità al gestore e al deposita-rio delle disposizioni del Codice – difficilmente si discosterà dall’orientamento contrario già anticipato. In questo caso, l’obiettivo di assicurare una maggiore flessibilità operativa degli Enti tramite un’attenuazione delle regole di evidenza pubblica sarebbe frustrato.

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Le recenti modifiche fiscali per i fondi e le casse previdenzialiAngelo Contrino - Dipartimento di Studi Giuridici, Università Bocconi

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I. Variazione aliquota dell’imposta so-stitutiva sui redditi prevista dall’art. 17, comma 1, D.lgs. n. 252/2005; la fiscalità delle rendite finanziarie: il D.L. n. 66/2014 come convertito con L. n. 89/20141. Introduzione: novità introdotte con i commi 621, 622 e 624 della Legge di Stabilità 2015L’articolo 1 della Legge 23 dicembre 2014, n. 190 (“Legge di Stabilità 2015) ha introdotto con i commi 621, 622, e 624 alcune novità in materia di tassazione delle forme pensionistiche complementari; novità che sono state poi recente-mente chiarite e riassunte dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 2/E del 13 febbraio 2015. In particolare:• con il comma 621 della Legge di Stabilità 2015 il legislatore ha innalzato

dall’11,50% al 20% l’aliquota dell’imposta sostitutiva da applicare sul risultato di gestione maturato dalle forme di previdenza complementare;

• con il comma 622, il legislatore ha modificato le modalità di determinazione della base imponibile su cui applicare l’imposta sostitutiva, per tener conto degli inve-stimenti effettuati dai fondi pensione in titoli del debito pubblico e degli altri titoli ad essi equiparati, i cui redditi scontano l’aliquota agevolata nella misura del 12,50%;

• infine, con il comma 624, il legislatore ha stabilito che, in deroga (espressa) all’art. 3 dello Statuto del Contribuente, la nuova aliquota del 20% di cui al comma 621 deve applicarsi anche all’imposta complessivamente dovuta per il periodo d’im-posta in corso al 31 dicembre 2014. A tal proposito, la norma ha altresì introdotto una correzione nel calcolo della base imponibile al fine di parametrare il carico fiscale per il 2014 alle posizioni pensionistiche in uscita nello stesso anno.1

2. Ambito soggettivo della riforma (alla luce, anche, della Circolare di com-mento n. 2/E/2015 dell’Agenzia delle Entrate)Le novità introdotte con le disposizioni appena analizzate della Legge di Stabili-tà 2015 si applicano a tutte le forme di previdenza complementare il cui risultato di gestione è sottoposto a tassazione con le modalità previste dall’art. 17 del D.lgs. n. 252/2005, ovvero: (i) i fondi pensione in regime di contribuzione o di prestazione definita;(ii) le forme pensionistiche individuali; nonché(iii) i fondi già istituiti al 15.11.1992 (c.d. “vecchi fondi pensione”).

2.1. Focus sui fondi pensione cui aderiscono i dipendenti pubbliciSecondo l’Agenzia, dovrebbero rimanere soggetti alla previgente disciplina dettata dal D.lgs. n. 124/1993 tanto i contributi versati ai fondi pensione cui aderiscono i pubblici dipendenti, quanto le prestazioni pensionistiche erogate dagli stessi; mentre solo il risultato maturato anno per anno dai fondi in esame risulterebbe soggetto ad imposizione con la nuova aliquota del 20%.In sostanza, dunque, l’Agenzia interpreta l’art. 23, comma 6, del D.lgs. n.

1 La B.I. calcolata ai sensi del comma 622 è ridotta del 48% della seguente differenza: (erogazioni effettuate nel 2014 per il pagamento dei riscatti) – (valori posizioni individuali al 31.12.2013 + contributi versati nel 2014).

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252/1005, secondo cui “Fino all’emanazione del decreto legislativo di attuazio-ne dell’articolo 1, comma 2, lettera p), della Legge 23 agosto 2004, n. 243, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni […] si applica esclusivamente ed integralmente la previgente disciplina”, in modo strettamente letterale, riferendo tale disposizione esclusivamente ai “dipendenti” della P.A. e non anche al trat-tamento fiscale dei fondi pensione cui tali dipendenti aderiscono.Tale interpretazione suscita non poche perplessità, peraltro già “recepite” in alcuni esposti presentati da alcuni fondi pensione all’AGCM. Invero, la pretesa applicazione della disciplina fiscale preesistente alla riforma del 2005 – meno favorevole di quella contenuta nel D.lgs. n. 252/2005 – solamente ai contributi e alle prestazioni pensionistiche, rispettivamente versati e erogate dai fondi dei pubblici dipendenti, finirebbe per penalizzare eccessivamente i prodotti offerti in questo settore previdenziale rispetto a quelli offerti in altri comparti della pre-videnza complementare.

3. Calcolo della base imponibileI fondi pensione di cui al par. 1 sono soggetti ad un’imposta sostitutiva sui redditi che si applica sul risultato netto maturato in ciascun periodo di imposta con le modalità di cui all’art. 17 del D.L.gs. n. 252/2005 (si rinvia alla lettura della norma-tiva e della Circolare in commento per l’analisi dei dettagli meramente operativi).

3.1 I redditi dei titoli pubbliciIl comma 622 della Legge di Stabilità 2015 coordina la tassazione dei fondi pensione con le norme (contenute nel D.L. n. 138/2011, e poi confermate dal D.L. n. 66/2014) che accordano una tassazione nella misura del 12,50% a talu-ne tipologie di redditi di capitale, essenzialmente riferibili a quelli che derivano dal possesso di titoli di Stato italiani o esteri (rectius, di Stati UE o SEE white list).Il legislatore vuole quindi evitare che i relativi proventi, concorrendo al risultato di gestione tassato al 20%, perdano i vantaggi di cui godono. A tale scopo è previsto che la base imponibile dell’imposta sostitutiva, relativamente ai redditi derivanti da titoli pubblici ed equiparati, sia determinata in base al rapporto tra l’aliquota prevista dalle disposizioni vigenti per tali redditi (12,50%) e quella dell’imposta sostitutiva applicabile in via generale sul risultato dei fondi pensio-ne (20%). Conseguentemente, i redditi derivanti da titoli pubblici concorrono nella determinazione della base imponibile solo nella misura del 62,50%, evi-tando così una penalizzazione dell’investimento effettuato in tali titoli.Gli investimenti dei fondi pensione sono così implicitamente indirizzati, oltre che nelle attività che permettono di usufruire del credito d’imposta di cui ai commi 91 – 64 dell’art. 1 della legge di Stabilità 2015, anche nei titoli di Stato e assimilati.A tal proposito si osserva2 che l’Agenzia ha precisato che la correzione dell’im-ponibile per tener conto dei redditi riferibili ai titoli pubblici, può essere operata soltanto con riferimento alle posizioni dei soggetti ancora iscritti nella gestione al 31.12.2014. Tale intervento interpretativo sarebbe finalizzato ad evitare che le posizioni fuoriuscite nel 2014 – e che già beneficiano del concorso alla forma-zione dell’imponibile per il 52% del loro ammontare per effetto del comma 624 della Legge di Stabilità 2015 (cfr. infra) – vengano a beneficiare di un ulteriore abbattimento dell’imposta. Giova peraltro rilevare che in relazione alle posizioni in uscita nel 2014, a fronte delle relative erogazioni, è stata accantonata un’im-posta sostitutiva calcolata con un’aliquota inferiore rispetto a quella applicabile sulle rendite finanziarie riferite ai titoli pubblici (11 o 11,50 per cento, anziché il 12,50 per cento); pertanto, relativamente a tali posizioni, non sarebbe comun-que stata ravvisabile l’esigenza di garantire la minore tassazione prevista a beneficio dell’investimento in tali titoli.In conclusione, pare d’interesse rilevare che l’aumento delle aliquote imposi-tive sulle rendite finanziarie, già oggetto d’intervento nel 2011, costituisce un

2 Scifoni G., Sul filo di lana l’Agenzia delle Entrate chiarisce le modifiche della tassazione della previ-denza complementare, in Corr. Trib., 11/2015, 837.

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aggravio sia per i risparmiatori sia per gli intermediari finanziari, che vedran-no incrementare il costo del finanziamento (dovendo assicurare un rendimento maggiore ai finanziatori, per rendere appetibili i propri strumenti di raccolta, che altrimenti potrebbero investire in titoli, pubblici italiani e non, gravati dall’aliquo-ta impositiva del 12,50%), trovandosi inoltre a dover gestire l’ennesima modifica normativa, con effetti procedurali e sui sistemi informativi.3

3.2. Trattamento delle posizioni fuoriuscite nel 2014Come in precedenza rilevato, derogando (espressamente) al principio di irre-troattività previsto dallo Statuto, il comma 624 dell’art. 1 della Legge di Stabilità 2015 dispone che l’imposta complessivamente dovuta per il periodo d’imposta in corso al 31.12.2014, è determinata con l’aliquota del 20 per cento. La me-desima disposizione prevede, altresì, una riduzione della base imponibile cal-colata con le modalità sopra illustrate, per tenere conto delle posizioni definite nel corso del periodo d’imposta 2014 e per le quali il fondo pensione abbia già effettuato il riconoscimento agli iscritti – in sede di determinazione dell’impor-to della prestazione spettante – di rendimenti al netto dell’imposta sostitutiva dell’11 o dell’11,50 per cento, così da evitare che la maggior aliquota di tassa-zione introdotta gravi, di fatto, sugli iscritti.La riduzione in parola è pari al 48 per cento della differenza tra le erogazioni ef-fettuate nel corso del 2014 per il pagamento dei riscatti ed il valore delle rispetti-ve posizioni individuali maturate al 31.12.2013, maggiorate dei contributi versati fino alla data in cui è stato effettuato il riscatto. In sostanza, come dimostrato in nota4 , tale riduzione della base imponibile permette di ottenere un’imposta pari all’11,50 per cento sul rendimento già maturato e erogato nel 2014. Si rileva5 inoltre che, poiché secondo quanto indicato dall’Agenzia nella Circo-lare n. 2/E/2015 i Fondi che adottano il sistema di valorizzazione in quote devo-no procedere al calcolo dell’imposta sostitutiva con la stessa periodicità con cui il fondo procede al calcolo delle singole quote, gli stessi dovranno determinare la quota di fine anno 2014, in relazione alla posizione fuoriuscite nello stes-so anno, tenendo conto della disciplina fiscale previgente (quindi dell’aliquota all’11,50%), mentre le nuove disposizioni saranno applicate dal 2015 e le som-me dovute in relazione all’aggravio impositivo saranno imputate al patrimonio del fondo in occasione della prima valorizzazione di tale anno. Diversamente, ai rendimenti maturati nel 2014, ma non ancora liquidati e ai quali, dunque, non si applica il meccanismo correttivo appena descritto, si applicherà da subito la tassazione al 20 per cento, con corrispondente riduzione del valore impiegabile dai fondi pensione in futuri investimenti.

3.2.1. Ulteriori osservazioni criticheIn senso sfavorevole ai contribuenti, l’Agenzia ritiene che la riduzione del 48% debba applicarsi sia alle posizioni fuoriuscite nella vigenza della tassazione con l’aliquota dell’11 per cento (1.1.2014 – 23.06.2014), che a quelle fuoriuscite successivamente all’innalzamento della predetta aliquota all’11,50 per cento (24.06.2014 – 31.12.2014).Ed infatti, nella Circolare n. 2/E/2015 l’Ufficio argomenta che il comma 6-ter dell’art. 4 del D.L. n. 66/2014 nell’elevare dall’ 11 all’11,50 per cento la misura dell’imposta sostitutiva dovuta sul risultato netto maturato per l’anno 2014 non ha previsto fattori di rettifica della base imponibile per tener conto delle posizioni

3 Molinaro, L’aumento dell’aliquota sulle rendite finanziarie penalizza risparmiatori, imprese e intermedia-ri finanziari, in Corr. Trib., 2014, 2295.4 A titolo esemplificativo, ipotizzando un rendimento maturato nel 2014 pari ad euro 1.000, l’applicazione dell’aliquota del 20 per cento deve essere effettuata su una base imponibile determinata al netto del 48 per cento dei rendimenti netti maturati ed erogati durante lo stesso anno (nell’ipotesi, sempre pari a 1.000 euro), con riferimento ai quali il fondo pensione aveva già accantonato un’imposta dell’11,50 per cento. B.I.= 1000 – [1000 x (100% - 11,50%) x 48%] = 1000 – [1000 x 0,885 x 0,48] = 575,20.Imposta = 575,20 x 0,2 = 115,04 →115 = 1000 (rendimento maturato e erogato) x 11,50%.Per un confronto sui calcoli cfr. Molinaro, Legge di stabilità 2015: il credito d’imposta mitiga l’aggravio impositivo per gli enti previdenziali e per gli enti non commerciali, in Il Fisco, 2015, 530.5 Cfr. Molinaro, Legge di stabilità 2015: il credito d’imposta mitiga l’aggravio impositivo per gli enti pre-videnziali e per gli enti non commerciali, in Il Fisco, 2015, 530.

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già definite al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina.Nonostante il silenzio manifestato sul punto dal legislatore, giova rilevare che la correzione del 48 per cento prevista dal comma 624 dell’art. 1 della Legge di Stabilità e precedentemente descritta, garantisce l’efficace perequazione tra le fiscalità dei soggetti fuoriusciti e di quelli invece rimasti nella forma pensionisti-ca solo per le erogazioni effettuate tra il 24.06.2014 e il successivo 31.12.2014, quando, cioè, l’aliquota accantonata era dell’11,50 per cento. E invero, al fine di ottenere la piena ed efficace perequazione delle fiscalità dei diversi soggetti coinvolti nella forma pensionistica per le erogazioni effettuate tra il 1.1.2014 e il 23.06.2014 in vigenza dell’aliquota dell’11 per cento, bisognerebbe operare una correzione del 50,55 per cento (circa) invece che quella del 48 per cento legisla-tivamente prevista6.

3.3. Calcolo dei risultati negativi intervenuti nel 2014 e negli anni precedentiPur in mancanza di una previsione normativa espressa, l’Agenzia ha ritenuto che i risultati negativi di gestione pregressi debbano essere depotenziati per tener conto della minore aliquota precedentemente vigente. Pertanto, con riferimento al risultato negativo di gestione relativo al periodo di imposta 2014 – e precedenti – si determina un risparmio d’imposta da utilizzare nei periodi successivi nella misura dell’11,50%; il che equivale ad affermare che le perdite in parola possono essere portate ad abbattimento dell’imponibile positivo di un futuro esercizio per il 57,50 per cento del relativo ammontare (i.e. 11,50% : 20%).

4. La fiscalità delle rendite finanziarie: il D.L. n. 66/2014 come convertito con L. n. 89/2014

4.1. Le cassa previdenzialiA norma dell’articolo 3, comma 11, D.L. n. 66/2014, come convertito dalla L. n. 89/2014, per i redditi di cui all’art. 44, comma 1, lett. g-quinquies), t.u.i.r., derivanti da contratti sottoscritti fino al 30.06.2014, la misura dell’aliquota del 26%, prevista dall’art. 3, comma 1, del suddetto D.L., si applica sulla parte dei suddetti redditi maturati a decorrere dal 01.07.2014.

4.2. La previdenza complementareSono escluse dall’ambito operativo dei provvedimenti indicati in epigrafe le forme di previdenza complementare di cui al D.lgs. n. 252/2005, per le quali l’aliquota del 26% non si rende applicabile al risultato netto maturato in ciascun periodo di imposta (è ora applicabile, cfr. supra, l’aliquota del 20%).

6 Mantenendo fermi i valori della nota 6:[1000 – 1000 x (100% - 11%) x 50,55%] = 550,105 → 550,105 x 20% = 1000 x 11%.

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II. Il credito d’imposta ex art. 1, commi 91 – 94, L. n. 190/2014.Il D.M. del 19.06.20157 ha dato attuazione all’art. 1, commi da 91 a 948, L. n. 190/2014, stabilendo le condizioni, i termini e le modalità di applicazione del cre-dito di imposta istituito in favore (i) degli enti di previdenza obbligatoria di cui al D.lgs. n. 509/1994 e al D.lgs. n. 103/1996 (art. 1, comma 91, Legge di Stabilità); (ii) delle forme di previdenza complementare di cui al D.lgs. n. 252/2005 (art. 1, comma 92, Legge di Stabilità).

1. Il decreto attuativo1.1. Individuazione delle “attività di carattere finanziario a medio o lungo termine”L’art. 2 del D.M. attuativo dei commi dal 91 al 94 dell’art. 1 della Legge di Stabilità contiene una lunga elencazione di “attività di carattere finanziario a medio o lungo termine”9, precisando che per poter usufruire del credito d’imposta in esame, le attività di carattere finanziario ivi elencate devono essere detenute per almeno cin-que anni. In caso di cessione o di scadenza dei titoli oggetto di investimento prima del quinquennio – sempre al fine di ottenere il credito – il corrispettivo conseguito va reinvestito entro 90 giorni in una delle attività contenuta nell’elenco normativo.In generale, il Decreto cerca di favorire il risparmio e il sostegno dell’economia rea-le, disincentivando le attività speculative. La scelta di fondo, dunque, è stata quella di veicolare le risorse verso settori ritenuti strategici per il rilancio dell’economia, quali quello delle infrastrutture e quello delle società non quotate nei mercati rego-lamentati, con l’evidente intento di creare un collegamento, notoriamente a medio-lungo termine, tra i soggetti operanti in tali settori e le esigenze di investimento delle forme pensionistiche complementari e degli enti privati di previdenza obbligatoria. L’investimento nel settore delle società non quotate è stato ritenuto preferenziale ai fini del credito d’imposta in esame, in quanto strutturalmente di lungo periodo e atto a garantire il carattere non speculativo di un investimento; i tale contesto, dunque, si è inteso premiare il solo investimento indiretto in società quotate, ovvero, quello attuato per il tramite di OICR che abbiano una durata minima di almeno 5 anni.

1.2. Decorrenza del creditoL’articolo 4 del decreto attuativo stabilisce che il credito d’imposta è riconosciu-to a decorrere dal periodo d’imposta 2015 tanto per la previdenza complemen-tare quanto per quella obbligatoria.A tal proposito, è necessario osservare che se è vero che la ratio dell’istituzione del credito in esame è quella di “compensare” l’inasprimento della tassazione dei fondi previdenziali attuata, rispettivamente, con l’innalzamento al 20 per cento dell’aliquota sull’imposta sostitutiva Ires e con l’innalzamento al 26 per cento dell’aliquota di tas-

7 GU Serie Generale n. 1754 del 30.07.2015.8 Art. 1, comma 92, Legge di Stabilità 2015: “A decorrere dal periodo d’imposta 2015, alle forme di previdenza complementare di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, e’ riconosciuto un cre-dito d’imposta pari al 9 per cento del risultato netto maturato, assoggettato all’imposta sostitutiva di cui all’articolo 17 di tale decreto applicata in ciascun periodo d’imposta, a condizione che un ammontare corrispondente al risultato netto maturato assoggettato alla citata imposta sostitutiva sia in-vestito in attività di carattere finanziario a medio o lungo termine, individuate con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di cui al comma 91 del presente articolo. Il credito d’imposta, che non concorre alla formazione del risultato netto maturato e che, ai fini della formazione delle prestazioni pensionistiche, incrementa la parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta, va indicato nella dichiarazione dei redditi relativa a ciascun periodo d’imposta e può essere utilizzato a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello di effettuazione del citato investimento, esclusivamente in compen-sazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, nei limiti dello stanziamento di cui al comma 94 del presente articolo. Al credito d’imposta non si applicano i limiti di cui all’articolo 1, comma 53, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e all’articolo 34 della legge 23 dicembre 2000, n. 388.”Art. 1, comma 93, Legge di Stabilità 2015: “Con il decreto di cui al comma 91 sono stabiliti le condizioni, i termini e le modalità di applicazione riguardo alla fruizione del credito d’imposta, al fine del rispetto del limite di spesa di cui al comma 94 e del relativo monitoraggio”.Art. 1, comma 94, Legge di Stabilità 2015: “Per l’attuazione dei commi da 91 a 93 è autorizzata la spesa di 80 milioni di euro a decorrere dall’anno 2016.”

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9 (i) Azioni, quote, obbligazioni, o altri titoli di debito di società ed enti residenti, ai sensi dell’art. 73 t.u.i.r., in Italia o in uno Stato Membro UE o, ancora, in Stati aderenti all’accordo sullo spazio economico euro-peo, operanti prevalentemente nella elaborazione o realizzazione di progetti relativi a settori infrastrut-turali turistici, culturali, ambientali, idrici, stradali, ferroviari, portuali, aereoportuali, sanitari, immobiliari pubblici non residenziali, delle telecomunicazioni, della produzione e trasporto di energia.(ii) Azioni o quote di OICR, di durata non inferiore a cinque anni che investano:1. in titoli individuati nel precedente punto, e in crediti a medio e lungo termine erogati alle società di

cui al precedente punto;2. in strumenti finanziari emessi da società non quotate nei mercati regolamentati che svolgono attività

diverse da quella bancaria, finanziaria o assicurativa e in crediti a medio o lungo termine a favore di tali società, che siano residenti, ai sensi dell’art. 73 t.u.i.r., in Italia/Stati Membri UE/Stati aderenti all’accordo sullo spazio economico europeo.

sazione dei rendimenti sugli investimenti, allora pare del tutto singolare che il credito sia usufruibile solo a partire dal periodo di imposta 2015, soprattutto se si considera – come già rilevato in precedenza – che l’imposta sostitutiva Ires con aliquota al 20% è applicabile, in deroga allo Statuto, anche per il periodo di imposta 2014.

1.3. Modalità di riconoscimento del credito d’impostaIn attuazione dell’art. 5, comma 1, del D.M. 19 giugno 2015, con Provvedimento emesso in data 28.09.2015, il Direttore dell’Agenzia delle Entrate ha individuato le modalità e stabilito i termini di presentazione della richiesta per il riconosci-mento del credito d’imposta in esame.In particolare, detto Provvedimento stabilisce che:• la richiesta è presentata all’Agenzia delle Entrate esclusivamente in via tele-

matica attraverso i canali Entratel o Fisconline, direttamente oppure tramite i soggetti incaricati di cui ai commi 2-bis e 3 dell’art. 3 D.P.R. n. 322/1998;

• la richiesta dev’essere redatta su apposito modello allegato al presente provvedimento;

• la richiesta dev’essere presentata, a decorrere dal 2016, tra il 01.03 e il 30.04 di ciascun anno;

• la trasmissione è effettuata utilizzando il software “Creditoprevidenza”;• i soggetti incaricati della trasmissione hanno l’obbligo di rilasciare al richie-

dente un esemplare cartaceo della richiesta predisposta con l’utilizzo del software suddetto, nonché copia della comunicazione dell’Agenzia delle En-trate che ne attesta l’avvenuto ricevimento;

• la richiesta dev’essere conservata a cura del richiedente;• la competenza per gli adempimenti conseguenti alla gestione della richiesta

è demandata al Centro operativo di Pescara;• il mancato utilizzo dei servizi telematici specificati nel provvedimento del

direttore dell’agenzia comporta il rifiuto dell’operazione di versamento;• l’ammontare del credito di imposta complessivamente riconosciuto e fruito

dev’essere indicato tanto (i) nella dichiarazione dei redditi del periodo di imposta in cui lo stesso è concesso, quanto (ii) nelle dichiarazioni dei redditi relative ai periodi di imposta nei quali il credito è utilizzato;

• per gli enti di previdenza obbligatoria il credito di imposta non concorre alla formazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi e del valore della pro-duzione ai fini IRAP (art. 5, comma 6, D.M.);

• per gli enti di previdenza complementare il credito di imposta non concorre alla formazione del risultato netto maturato (si evita così una doppia imposizione) e, ai fini della formazione delle prestazioni pensionistiche, incrementa la parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta (art. 5, comma 7, D.M.);

• sia per gli enti di previdenza obbligatoria, che per quelli di previdenza comple-mentare, al credito di imposta non si applicano i limiti di cui all’art. 1, comma 53, L. n. 244/2007 (250.000€ l’anno) – per la compensabilità dei crediti da indivi-duare nel quadro RU – e di cui all’art. 34 L. n. 388/2000 (1 miliardo di lire) – per la compensazione dei crediti d’imposta e dei contributi (art. 5, comma 8).

1.4. L’ammontare del credito erogabile Come sancito dal comma 94 dell’art. 1 della legge di stabilità, l’ammontare annuale del credito in esame è di 80 milioni di euro. Nel D.M., in attuazione

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del coma 93, è stato previsto che l’Agenzia delle entrate deve determinare an-nualmente la percentuale del credito di imposta spettante a ciascun soggetto, facendo inoltre salva la possibilità di “interventi riduttivi” dell’importo limite del credito di imposta.L’importo del credito sarà dunque pari al rapporto tra il “platfond” di 80 milioni di euro previsto dalla legge di stabilità e l’ammontare del credito di imposta complessivamente richiesto dal singolo contribuente, sicché l’ammontare del credito concretamente erogato sarà pari all’importo determinato in sede di ri-chiesta solo qualora il credito complessivamente richiesto dagli aventi diritto non sia superiore al limite di spesa sancito dal comma 94 della L. n. 190/2014. In conclusione, può esser inoltre utile rilevare che l’art. 5, comma 4, del D.M. di-spone che se viene dichiarato in compensazione un credito maggiore a quello spettante in base alla percentuale di cui sopra, l’intera operazione di versamen-to dovrà esser terminata/scartata.E’ dunque evidente che il vero quesito da porsi è se le limitazioni che accom-pagnano il credito di imposta permetteranno di compensare – come promesso dal legislatore – l’aggravio (e talvolta il raddoppio) della tassazione degli enti di previdenza, tenendo conto – anche e soprattutto – del fatto che il suddetto importo di 80 milioni dovrà essere “spartito” tra gli enti di previdenza comple-mentare e obbligatoria.

2. Ambito soggettivo

2.1. Previdenza complementarePossono fruire del credito in esame – a decorrere dal periodo di imposta 2015 – le forme di previdenza complementare di cui al D.lgs. n. 252/2005. Per tali soggetti il credito di imposta riconosciuto è pari al 9% dell’ammontare del ri-sultato netto di gestione – calcolato e assoggettato ad imposta sostitutiva ai sensi dell’art. 17 D.lgs. n 252/2005 – investito in attività di carattere finanziario a medio o lungo termine. Possono parimenti beneficiare del credito in esame le forme pensionistiche complementari, disciplinate dall’art. 17, comma 5, D.lgs. n. 252/2005, attuate mediante contratti di assicurazione sulla vita o convenzioni con imprese di assicurazione. Il quesito da porsi qui è: possono accedere al credito anche le forme previden-ziali istituite prima del D.lgs. 252/2005 nei quali confluiscono anche posizioni di assicurati non iscritti a forme pensionistiche complementari? Secondo taluna dottrina10: SI, seppur limitatamente alla quota parte di patrimonio gestito cor-rispondente alle posizioni degli aderenti a forme di previdenza integrativa. Ri-sposta affermativa al quesito potrebbe rintracciarsi anche nell’informativa della COVIP del 05.01.2015, che è infatti indirizzata anche ai “fondi preesitenti” al D.lgs. n. 252/2005.

2.2. Previdenza obbligatoriaPossono fruire del credito in esame – a decorrere dal periodo di imposta 2015 – le forme di previdenza obbligatoria di cui ai DD.lgs. n. 509/1994 e n. 103/1996. Per tali soggetti il credito di imposta è pari alla differenza tra l’ammontare delle ritenute e imposte sostitutive effettivamente applicate nella misura del 26% sui redditi di natura finanziaria dichiarate e certificate dai soggetti intermediari o dichiarate dai soggetti medesimi, e l’ammontare di tali ritenute e imposte sosti-tutive computate nella misura del 20%, a condizione che un importo corrispon-dente o una quota di tali redditi sia investito in attività di carattere finanziario a medio o lungo termine (art. 1, comma 1, D.M.).Qualora gli enti di previdenza obbligatoria percepiscano redditi di natura finan-ziaria assoggettati all’imposta sostitutiva prevista dagli articoli 5 e 7 del D.lgs. n. 461/1997, con riferimento ai redditi sottoposti ai predetti regimi, gli stessi possono determinare il credito di imposta relativamente agli investimenti effet-

10 Scifoni, Sbloccato il credito d’imposta per le attività finanziarie a medio-lungo termine dei fondi pen-sione, in Corr. trib., 2015, 2594.

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tuati in un periodo di imposta con riferimento alle imposte sostitutive applicate ai redditi realizzati o maturati nel periodo di imposta precedente. Qualora, inol-tre, venga operata tale scelta, sui redditi maturati o realizzati nell’anno 2015, il credito d’imposta sarà riconosciuto sulla base degli investimenti in attività di carattere finanziario a medio e lungo termine effettuati nel 2016 e la relativa richiesta sarà presentata nel 2017 (Provv dir. A.E.).Con riguardo alla disposizione contenuta nell’art. 1 del D.M. 19 giugno 2015 sembra che, in linea di massima, il credito sia pari al 6% dei redditi di natura finanziaria – di medio-lungo periodo – assoggettati alle ritenute e a imposte sostitutive del 26%.

2.3. Innesti alla disciplina intervenuti con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate1) Il credito di imposta è riconosciuto in relazione alle imposte sostitutive e alle ritenute applicate sulla parte di base imponibile non riferibile agli investimenti in titoli di cui all’art. 3, comma 2, lett. a) e b), D.L. n. 66/2014, anche nel caso in cui gli investimenti siano operati per il tramite di OICR o nell’ambito di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione.→ Sono esclusi gli investimenti in “obbligazioni pubbliche” ai sensi dell’art. 31

D.P.R. 601/1973 (lett. a) art. 3, comma 2, D.L. n. 66/2014;→ Sono escluse le obbligazioni emesse dagli Stati inclusi nella lista di cui al

decreto emanato ai sensi dell’articolo 168-bis t.u.i.r. e obbligazioni emesse da enti territoriali dei suddetti Stati.

2) La comunicazione degli intermediari di cui all’articolo 4, comma 3, D.M. 19 giugno 2015 deve indicare esclusivamente le ritenute ed imposte sostitutive applicate sulla quota di redditi assoggettati ad imposizione piena.

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