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  • 7/27/2019 Abilit di counselingprimomodulo.doc

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    Abilit di counseling: COSA INTENDIAMO?

    Il nostro obiettivo lapprendimento delle abilit di counseling, cio di tecniche utili per ilcolloquio di aiuto.

    Diamo inizialmente qualche definizione. Intendiamo per colloquio di aiuto (o relazionedaiuto) quel contesto di relazione - prevalentemente tra due individui - nel quale unapersona porta un problema o una particolare situazione di difficolt e laltra cerca diascoltare e facilitare un percorso di approfondimento ed esplorazione del problema, in vistadi un possibile cambiamento. Chiameremo la persona che porta il problema interlocutore ela persona che si propone lintento di aiutare helper.

    L'utilizzo del temine helper (colui che aiuta) - pi generico rispetto a counselor, operatore,o quantaltro - risponde a una precisa scelta: questo corso on line traccia delle linee guidaper l'approccio di aiuto utili a tutte le persone interessate al tema, quindi non solo a chi fauso del colloquio per la professione (psicologi, operatori sociali, ma anche operatorisanitari, insegnanti...). Le abilit di base del counseling sono spendibili anche in contesti divita quotidiana e possono essere apprese da chiunque avverta il desiderio di qualificare lapropria capacit di ascolto. Riservare un atteggiamento di comprensione e offrire un ascoltoattivo pu essere importante nelle pi diverse occasioni, dai contesti strutturati divolontariato fino alle relazioni pi prossime, come quelle genitori-figli, tra amici, con vicinidi casa...

    Su questo, invito a leggere le parole - riportate alla fine di questo testo - di Carl Rogers,illustre fondatore dellapproccio centrato sulla persona, che terremo in particolareconsiderazionedurante il corso.

    Le tecniche di counseling quindi possono essere utili a tutti, se si discrimina bene il contestoin cui possono essere efficaci e le situazioni relazionali in cui utilizzarle. E chiaro chelapprendimento di tali tecniche non definisce larea professionale del counselor,professionista debitamente formato che, soprattutto nel contesto anglosassone, opera conprecise connotazioni specialistiche.

    Una definizione di counseling comunque utile per comprendere lobiettivo con cui ci siappresta alla relazione con linterlocutore, sia che ci avvenga in un contestoprofessionale sia nella vita quotidiana.

    La British Association of Counseling definisce il counselor come colui che pu indicare leopzioni di cui il cliente dispone e aiutarlo a seguire quella che sceglier. Egli pu aiutare ilcliente a esaminare dettagliatamente le situazioni o i comportamenti che si sono rivelatiproblematici e trovare un punto piccolo, ma cruciale, da cui sia possibile originare qualchecambiamento. Qualunque approccio usi il counselor [...] lo scopo fondamentale lautonomia del cliente: che possa fare le sue scelte, prendere le sue decisioni e porle inessere (BAC, Information Sheet 10, 1990).

    Lobiettivo di chi abbiamo chiamato helper quello di aiutare la persona a esplorare lasua situazione per trovare delle soluzioni che vadano bene per lei stessa. Nellapprendere letecniche che seguono importante tenere ben presente che questo lobiettivo cheperseguiamo.

    Aiutiamoci a definire meglio l'oggetto del nostro interesse con Folgheraiter (Gli elementi checaratterizzano il counseling) e con Mucchielli (Confronto fra colloquio di aiuto e altri generi

    http://www.ericksonformazione.it/corsi/mod/resource/view.php?id=14840http://www.ericksonformazione.it/corsi/mod/resource/view.php?id=14840http://www.ericksonformazione.it/corsi/mod/resource/view.php?id=14841http://www.ericksonformazione.it/corsi/mod/resource/view.php?id=14841http://www.ericksonformazione.it/corsi/mod/resource/view.php?id=14840http://www.ericksonformazione.it/corsi/mod/resource/view.php?id=14840
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    di colloquio), che puntualizzano la definizione attraverso il confronto con altri generi dicolloquio che counseling non sono. Infine, per chiarire i confini tra utilizzo delle abilit dicounseling e counseling professionale, utilizziamo alcune pagine di Geldard e Geldard (Chipu far uso delle abilit di counseling).

    Ecco le parole di Rogers:

    Linteresse per la psicoterapia mi ha spinto a porre unattenzione particolare ad ogni tipo direlazione di aiuto. Con questo termine mi riferisco a una relazione in cui almeno uno deiprotagonisti ha lo scopo di promuovere nellaltro la crescita, lo sviluppo, la maturit e ilraggiungimento di un modo di agire pi adeguato ed integrato nellaltro. Laltro, in questo senso,pu essere un individuo o un gruppo. In altre parole, una relazione di aiuto potrebbe esseredefinita come una situazione in cui uno dei partecipanti cerca di favorire, in una o ambedue leparti, una valorizzazione maggiore delle risorse personali del soggetto ed una maggiore possibilitdi espressione.Ora, ovvio che una definizione del genere copre un vasto ambito di rapporti normalmente ritenutiutili per lo sviluppo. Include certamente il rapporto tra genitori e figli, tra medico e paziente.Dovrebbe includere il rapporto tra insegnante ed alunno, sebbene molti insegnanti non pongano trai loro scopi quello di stimolare la maturazione della personalit degli allievi. Include quasi tutte lerelazioni di orientamento, sia in campo educativo, sia professionale, sia pi strettamentepsicoterapeutico [...] Ma dovremmo prendere in considerazione anche il gran numero di interazionitra individuo e gruppo intese come relazioni di aiuto. Linterazione tra il leader della terapia digruppo e il suo gruppo appartiene a questo tipo di rapporti. Cos per il rapporto tra il consulentedi comunit e la comunit stessa. Ancora, il rapporto tra il consulente industriale e un gruppodirigente pu essere inteso come una relazione di aiuto.Forse una enumerazione cos lunga potr farci capire che molte delle relazioni in cui noi, o i nostriamici, siamo coinvolti, rientra nella categoria dei rapporti destinati a promuovere uno sviluppo edun funzionamento maturo e adeguato della persona. (Rogers, 1989, pp. 68-69)

    Gli elementi che caratterizzano il counseling

    Cosa dunque il counseling e quali attitudini richiede a chi lo applica? Abbiamo il counselingquando un operatore intraprende un colloquio di aiuto con precisi intendimentimolto generali:

    a) Non si propone di realizzare qualcosa di suo, in accordo a un suo progetto o desiderio,bens di facilitare che qualcosa che dentro unaltra persona (il suo interlocutore) sirealizzi secondo le sue proprie potenzialit (Rogers, 1978). Si pone come consulente nontecnico, quindi non come un esperto tenuto a dare un parere o un consiglio di fronte a unasituazione complessa oggettiva, bens come un esperto in grado di offrire alla persona (o

    alle persone) un supporto metodologico ed emotivo affinch questa possa ragionare edecidere da sola ma non in solitudine. Anzi, essa svilupper la certezza di essere stata incontatto anche profondo con una persona accreditata che ha osservato e accompagnato ilsuo decidere, senza influenzarlo radicalmente ma sorreggendolo e rinforzandolo nei suoitratti intrinseci di razionalit, coerenza e sensatezza.

    b) Non si propone di curare (una patologia o una disfunzione) bens di accrescere e dimigliorare (nellottica del cosiddetto recovery) (Folgheraiter, 2004). Spesso pu accadereche questo miglioramento si riferisca alle capacit di una persona gravemente scompensatadi modificarsi e cambiare profondamente: cos, alla fine il risultato appare come se si fosseprodotta una "cura" o si fosse risolta una disfunzione. In realt, si trattato di una

    lievitazione di potenzialit gi presenti, piuttosto che di un capovolgimento radicale diqualit o di essenza di una persona (una brusca riconversione di una struttura psichica"negativa" in una "positiva").

    http://www.ericksonformazione.it/corsi/mod/resource/view.php?id=14841http://www.ericksonformazione.it/corsi/mod/resource/view.php?id=14842http://www.ericksonformazione.it/corsi/mod/resource/view.php?id=14842http://www.ericksonformazione.it/corsi/mod/resource/view.php?id=14841http://www.ericksonformazione.it/corsi/mod/resource/view.php?id=14842http://www.ericksonformazione.it/corsi/mod/resource/view.php?id=14842
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    c) Cos come il counselor non pensa di curare patologie, neppure pensa a "risolvereproblemi" in senso stretto. Egli si congiunge a situazioni esistenziali o a problemi di vitaanche gravi e drammatici con lintento di essere di aiuto, ma non a rigore per cercare"soluzioni". Egli non si aspetta cio che tali problemi cessino definitivamente, sostituiti dauno stato opposto ottimale, la cui immagine risiede nella sua testa e che nel linguaggio

    corrente definito "soluzione". I problemi di vita non ammettono una soluzione ideale (neammettono semmai tante possibili) e dunque non sono neppure problemi in linea logica. Ineffetti, il counselor sa di aiutare le persone afronteggiare la loro situazione di vita, cio agestire il loro vivere cos come , per migliorarlo o renderlo pi sopportabile nel suoperdurare, e non a "risolverle", vale a dire a sostituire meccanicamente la difficolt con unostato ideale predefinito secondo standard oggettivi esterni (Folgheraiter, 1998; 2003).

    d) Ci detto, va precisato che il counseling tipico un aiuto che spesso viene dato allepersone in situazioni di vita ordinarie (Burnett, 1977), per compiere scelte o prendereiniziative del tutto comuni e che quindi non sono connotate da alcun marchiostigmatizzante, come succede agli utenti dei servizi socio-assistenziali. Tali situazioni di

    aiuto "normali" si danno ad esempio con le persone in lutto, con gli studenti nel momento dicompiere scelte di studio o di vita, con i carer nei momenti pi duri e difficili del loroimpegno di cura, e cos via.

    e) Per tutti questi motivi si dice che il counseling per principio guarda "in avanti", allerealt future che si delineeranno come conseguenza delle decisioni e delle azioni emergentiprogressivamente dalla relazione di counseling o dalla successiva autonoma capacit discelta in capo alla persona interessata. Non mira a rivangare il passato, a trarre diagnosi odescrizioni o spiegazioni di cause o catene di cause che hanno portato alla difficilesituazione corrente (Folgheraiter, 1998).

    f) Il counselor agisce sorretto da una idea precisa della reciprocit. un operatoreconsapevole che "relazione di aiuto" significa che laiuto si produce dalla relazione in esseree quindi da entrambe le parti coinvolte. In questa direzione, laccrescimento delle capacitdi autodeterminazione della persona considerato essenziale affinch loperatore possaesso stesso funzionare in quanto helper. La teoria del counseling ammette che ilmiglioramento sia reciproco, debba sempre verificarsi a carico di entrambi i poli dellarelazione, sebbene gli effetti pi vistosi appaiano spesso (o siano ricercati) in capo alcosiddetto utente (Folgheraiter, 1998, 2000; Carkhuff, 1987).

    g) Il counselor quindi non pensa di essere efficace e di ottenere risultati in funzione dellasua bravura, bens in funzione della combinazione di potenzialit che se si fortunati ese ci si crede abbastanza possono sbocciare e dare frutto. Sul piano "filosofico", si trattadi passare da una concezione positivistica dellaiuto, con loperatore che lo intende come unsuo proprio prodotto ovvero come leffetto di una sua precisa manipolazione, a unaconcezione postmoderna, designabile con vari termini come fenomenologica, ocostruttivistica, o relazionale (Cooper, 2001; Folgheraiter, 2000a; Parton, 2003).

    Tratto da Folgheraiter F. (2004), Voce di dizionario "Counseling", "Lavoro Sociale", vol. 4, n. 2, settembre2004.

    Confronto fra il colloquio di aiuto e altri generi di colloquio

    Il colloquionon una conversazione

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    In una conversazione "ci si siede e si chiacchiera". Si scambiano delle opinioni, sugli altri e sumolti argomenti. Da una semplice conversazione non esce nulla di definito tranne lo scambiodi alcune informazioni possedute dalluno o dallaltro; non vi nulla oltre l'incontro in sestesso, che crea o rinforza un senso di familiarit. Pu avvenire che tutta la prima fase diun colloquiodaiuto sia del genere "conversazione", per prendere confidenza e "fare la

    conoscenza" in modo graduale (il contenuto degli scambi irrilevante). Ma il colloquiopropriamente detto tuttaltra cosa e non pu limitarsi a ci.

    Il colloquio daiuto non una discussione

    In una discussione cerchiamo di sostenere degli argomenti, di rispondere a delleobiezioni, di parare degli attacchi o delle confutazioni che vengono dalla "parteavversa". I partner sono "faccia a faccia" nel senso del confronto, della rivalit, dellagara. La discussione, per ciascuno dei due interlocutori, ha delle fasi di offesa e dellefasi di difesa. Una discussione pu essere pi o meno appassionata; pifrequentemente implica una forma di lotta o di dibattito "giuridico", con momenti di

    arringa, di accusa, di difesa, di argomentazione, di conclusione. I partner sonoaffettivamente coinvolti (pro o contro) e ciascuno osserva le reazioni dellaltro. Lacomprensione dellinterlocutore "impedita" dalle posizioni personali preconcette. Larelazione che si instaura dominata dallalternanza dominazione- sottomissione e non una relazione di comprensione propriamente detta.

    Il colloquio daiuto non unintervista nel senso giornalistico del termine

    Lintervista giornalistica (per giornali e riviste, per la radio o per la televisione) ungenere di colloquio "faccia a faccia" in cui uno dei due (il giornalista) cercaeffettivamente di far parlare laltro su se stesso o su un determinato problema (tema

    dellintervista). Sembrerebbe che questo tipo di colloquio sia centrato sulla personadellintervistato e richieda, da parte del giornalista, un tentativo per comprendere, ilpi possibile, le opinioni personali del suo "cliente". Evidentemente si tratta diunillusione poich in effetti il colloquio non limitato al faccia a faccia. Un terzopartner, enorme e potente, sempre presente bench non se ne parli esplicitamente:il pubblico.

    Lintervistatore non cerca di comprendere il suo cliente, bens di interessare ilpubblico, vale a dire di accentuare laspetto "spettacolare". Lintervista giornalistica uno spettacolo, e il tema posto o proposto scelto in funzione del pubblico. In ognimodo si cerca di favorire la curiosit del pubblico (gi esistente o al contrario da

    risvegliare e da alimentare). Lintervista, giornalisticamente intesa, ha obiettiviestranei allaiuto.

    Il colloquio daiuto non un interrogatorio

    In un interrogatorio di qualunque genere (il bombardamento di domande nel corsodi uninchiesta, uninterrogazione scolastica, un interrogatorio di polizia), colui che vieneinterrogato palesemente in situazione dinferiorit e le domande sono "sondaggi" cheesercitano unapressione pi o meno ostile. Che si esigano risposte precise a determinatedomande o che si verifichi come una persona ha passato il suo tempo per far cadere un alibi,linterrogato sempre in una posizione di sospetto, a volte di accusa, di fronte a un censoreonnipotente che conduce il gioco in maniera autoritaria. Una simile situazione producenecessariamente nellintervistato il panico o una reazione difensiva, e lo rende soprattuttoansioso di trovare "la risposta indovinata", quella che gli permetter di cavarsela.Lintervistatore si preoccupa delle domande che deve porre e della maniera in cui laltro vi

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    risponde; non si preoccupa delle domande chelaltro si pone n della maniera in cui se lepone. Daltra parte latteggiamento difensivo dellintervistato non facilita certamente ildialogo.

    Il colloquio daiuto non un "discorso" dellintervistatore

    Succede spesso che il colloquio sia, da parte di colui che per definizione deveaccogliere e ascoltare laltro, unoccasione per parlare da solo. "Ha parlato soltantolui", dir laltro uscendo, "non ho potuto dire neanche una parola". Il "discorso" puavere diversi obiettivi coscienti: tentativo pi o meno premeditato di far ammetterequalcosa allaltro o fargli cambiare opinione, informazioni da dare a senso unico e cosvia. Possono esserci anche degli obiettivi inconsci: piacere narcisistico di sentirsiparlare, bisogno di manifestare una volont di potenza, paura di ci che laltropotrebbe dire e cos via. Ci che certo che il discorso-monologo davanti allaltro esattamente lopposto di ci che occorrerebbe fare per comprenderlo.

    Il colloquio daiuto non una confessione

    Latteggiamento (e il ruolo) del confessore implica una valutazione morale di ci che laltrodice, come una serie di confessioni che lo colpevolizzano. Malgrado egli abbia intenzione diperdonare o di assolvere, il confessore si connota come detentore di una regola morale oreligiosa, come "moralmente superiore" o come giudice. Laltro (lintervistato) quindi nellasituazione di colui che ha infranto o rischia di aver infranto la legge morale. Pu capitareche il colloquio daiuto assuma, in certi momenti, le caratteristiche di una confessione;questo per non significa che latteggiamento delloperatore debba essere quella delconfessore o del direttore spirituale. Il suo obiettivo non quello di "liberare dalla colpa" ndi giudicare (punire o perdonare) ma di comprendere la situazione dellaltro.

    Il colloquio daiuto non mira a una diagnosi

    Nellinterrogatorio a scopo diagnostico, il medico, lo psicologo o il terapeuta ha in mente uninsieme di "quadri clinici", di tipi di disturbo o una classificazione di casi; il suointerrogatorio ha per obiettivo sapere in quale "casella" si colloca il suo cliente.Lintervistatore contento (potente, riconosciuto e autorassicurato) quando ha ottenuto lasua diagnosi. Lungi dallaver compreso una singola persona, nellunicit della sua esistenza,ha fatto rientrare il suo "caso" in un "contenitore predisposto" e si immagina con ci diaverlo compreso. In realt egli si fatto sfuggire lessenziale: il vissuto del cliente.

    Tratto da Mucchielli R. (1987),Apprendere il counseling. Manuale di autoformazione alcolloquio di aiuto, Trento, Erickson, pp. 27-29.

    Chi pu fare uso delle abilit di counseling?

    Avete mai avuto problemi, a livello personale? Pu darsi senzaltro che la risposta sia affermativa. Siamoarrivati alla conclusione che non ci sia nessuno, o quasi, che non abbia mai avuto problemi di un qualchetipo. Non il caso di disperare: avere dei problemi non preclude la possibilit di dare una mano agli altri.Con una nota di cautela, per. Se decidete di fare uso di queste abilit di counseling, probabile che gli

    altri si sentano incoraggiati a condividere con voi parte dei loro problemi, o delle cose che li preoccupano.Ora, ascoltare i problemi degli altri pu anche essere unazione di grandissimo impegno emotivo. Tantopi se siete voi i primi ad avere dei problemi che si intromettono in continuazione nella vostra vita. Se ci

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    avviene, possibile che tali problemi ostacolino, in modo anche grave, la vostra effettiva capacitdi dare una mano agli altri.

    C poi da considerare il rischio che vi troviate soffocati, da un momento allaltro, dal peso simultaneo deivostri problemi e di quelli altrui. chiaro, come vedremo nel corso del libro, che nellutilizzo delle abilitdi counseling non si possono non considerare le eventuali ripercussioni su ciascuno di noi. Tali

    ripercussioni, del resto, possono anche essere di segno positivo; una buona capacit di impiego di questeabilit, anzi, ci dar non solo la soddisfazione del dare una mano agli altri, ma servir anche a migliorarele nostre relazioni interpersonali.

    Aiutare gli altri nei problemi della vita quotidiana, in effetti, non una prerogativa degli "esperti",operatori qualificati ad hoc. Al contrario, unattivit che la maggior parte di noi svolge abitualmente, ditanto in tanto, quando se ne presenta la necessit. Unattivit che si svolge in modo del tutto naturale, eche ciascuno di noi impara a fare, dallinfanzia in avanti. Chiunque di noi, scavando nella memoria, sipotrebbe ricordare almeno un momento in cui ha avuto occasione di ascoltare qualcuno che stava male,aiutandolo per ci stesso a sentirsi un po meglio.

    Proviamo a fare un elenco che potrebbe essere senzaltro pi lungo degli ambiti professionali che

    potrebbero essere maggiormente interessati a sviluppare le abilit di counseling: servizi sociosanitari,studidi consulenza, progetti per i giovani, studi legali, servizi abitativi, organizzazioni caritative e divolontariato, servizi di emergenza, ecc. Ma anche a leader religiosi o spirituali, insegnanti, carerinformali, e tanti altri potrebbe essere utile.

    Avete mai notato che c qualcuno che ha una specie di talento naturale nellascoltare gli altri, enellaiutarli a risolvere i loro problemi? Se avete un talento di questo tipo, lavrete forse capito da tutte lepersone che vengono a chiedervi un consiglio, quando hanno qualche problema che le assilla. Ciascuno dinoi, beninteso, ha un certo livello di competenza, e di efficacia, nellarte dellascoltare gli altri. Siamocomunque convinti che, con lapprendimento di determinate abilit specifiche, questo "livello" possamigliorare un po per tutti.

    Utilizzare le abilit di counseling significa diventare un counselor?

    Se vogliamo rispondere con una parola soltanto, questa "no". importante chiarire da subito ladifferenza tra luso di alcune abilit elementari di counseling, nella vita di tutti i giorni, e la praticaprofessionale del counseling stesso. Per meglio illustrare la differenza, descriveremo a parte ciascuno deidue elementi:

    il counseling; lutilizzo delle (o meglio, di alcune) abilit di counseling.

    Il counseling cosa ben diversa dallutilizzo di determinate abilit di counseling nella vita di tutti igiorni

    Il counseling

    Apprendere lutilizzo delle abilit elementari del counseling nella sfera della vita quotidiana non vuoldire, di per s, acquisire le abilit professionali di un counselor. possibile comunque che alcuni lettori,entusiasti della loro esperienza nel mettere in pratica queste abilit di base, decidano di intraprendere unvero e proprio percorso formativo per counselor.

    Chiunque voglia diventare counselor dovrebbe frequentare un corso di studi specifico, con il supporto diunesperienza di tirocinio, e con unadeguata supervisione. Un counselor deve avere maturato una buonacompetenza in psicologia e nei processi dello sviluppo umano, oltre che unadeguata conoscenza delleteorie del counseling e di molteplici altri approcci teorici. Deve inoltre fare riferimento a uno specificomodello teorico, da cui deriva un determinato stile di intervento o lintegrazione di pi stili diversi,ricavati da altre teorie sul piano della pratica professionale. Un buon counselor deve essere in grado di

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    servirsi di molteplici abilit, tecniche e strategie diverse, anche in relazione allo stile di interventoprescelto.

    Molti counselor operano allinterno di un setting strutturato poniamo, uno studio professionale in cuisi presentano, a cadenza periodica e con orari predefiniti, le persone che chiedono loro aiuto (i loro"clienti"). Ci sono anche counselor che scelgono un ambiente di lavoro pi informale, ma anchessi si

    attenderanno, normalmente, che sia il cliente a rivolgersi a loro, chiedendo un certo tipo di sostegnopsicologico.

    La pratica professionale del counseling risponde a tutta una serie di criteri e di linee guida, fissate daorganismi professionali che stabiliscono gli standard di accreditamento, e i livelli di competenza, richiestiagli operatori. Ogni counselor deve rispondere a un codice professionale, in cui si sottolinea limportanzadel massimo rispetto per i valori, le esperienze, i pensieri, i sentimenti e la capacit di decidere da soli,da parte dei clienti. Lo scopo sempre quello di soddisfare nel miglior modo possibile gli interessi delcliente (BACP, 1999). Oltre a questo, ogni counselor deve rispondere a principi etici come il rispetto deiconfini che si danno alla relazione, la buona qualit della relazione stessa e la sua congruenza con gliobiettivi a cui risponde ogni singolo intervento di counseling.

    > I confini della relazione tra counselor e cliente

    Ogni intervento di counseling si svolge, normalmente, in un setting che garantisca riservatezza, ma ancheun adeguato senso di sicurezza fisica ed emotiva, sia per il cliente, sia per lo stesso counselor. Sin dalprimo incontro tra le parti occorre chiarire la natura e lo scopo della relazione che si verr a creare, nelrispetto, anche dal punto di vista etico, di determinati "paletti". Non opportuno che i counselor entrinoin contatto con i clienti per ragioni di tipo personale, che esulano dalla relazione daiuto.

    > Le qualit di una buona relazione di counseling

    La qualit delle relazioni instaurate da un counselor non necessariamente la stessa che si richiede nellesituazioni, lavorative o di altro tipo, in cui possiamo impiegare certe abilit di counseling nel corso dellavita di tutti i giorni.

    Ci si potrebbe a questo punto domandare che differenza c tra la relazione daiuto che si crea in unintervento di counseling professionale, e le "normali" relazioni sociali in cui si utilizzano le abilit dicounseling. La differenza principale sta nella diversa qualit della relazione tra il counselor e il suointerlocutore.

    I counselor mettono da parte i loro personali bisogni, e si sforzano di concentrarsi soltanto sulle esigenzedel cliente. Anche un amico o un collega potrebbe fare lo stesso, almeno per un po di tempo, ma difficile senza una preparazione specifica che riesca a mettere da parte le proprie preoccupazioni,concentrandosi soltanto sullaltro.

    Un counselor professionista, invece, dovrebbe essere in grado di mettere da parte i propri interessi e

    dedicarsi interamente allaltra persona, per tutta la durata della seduta. Un buon counselor deve sapersioccupare esclusivamente di ci che gli racconta il cliente, senza "intromettersi" con i suoi pensieri o con isuoi problemi. Una cosa ben diversa, come si pu vedere, dalla normale conversazione tra amici o colleghidi lavoro.

    Una relazione di counseling, inoltre, non prevede quella forma di reciprocit che si pu incontrare,normalmente, in unamicizia.Il counseling, in un certo senso, un processo unidirezionale. Il counselorinvita il cliente a condividere con lui pensieri, sentimenti, esperienze e problemi; da parte sua, per, nondovr fare particolari sforzi di "condivisione", se non nella misura in cui questi vanno a diretto beneficiodel cliente. Anche sotto questo profilo, qualche cosa di ben diverso da una relazione damicizia, in cuidue persone possono condividere le rispettive esperienze e, in tal modo, rafforzare il legame che leunisce.

    Una relazione di counseling, inoltre, non pu assolutamente essere di natura autoritaria. Il counselor devefare del suo meglio per dare vita a una relazione orizzontale, di parit, con la persona che aiuta. Unrapporto ben diverso, per intenderci, da quello che si crea tra unquipe di operatori e chi ne supervisiona

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    o ne coordina le attivit, in un contesto lavorativo. In tale contesto, un dirigente pienamentelegittimato a dare ordini, istruzioni, indicazioni al personale di sua competenza, in modo da realizzare,con le attivit necessarie, gli obiettivi previsti dallazienda, o dal servizio pubblico. In questa situazione ilrapporto tra le parti non certo paritario, ma queste potranno comunque fare uso, laddove opportuno,delle loro abilit di counseling.

    Nelle relazioni sociali "normali", ciascuno di noi cerca spesso di convincere gli amici a fare ci chevorrebbe lui, o ci che ritiene sia "meglio" per loro. Non cos che si comporta un counselor. Questitender a incoraggiare gli altri a fare ci che loro vorrebbero, pi che ci che egli si aspetterebbe, alposto loro. per questo che un buon counselor dovrebbe sempre cercare di evitare, per quanto possibile,di dare consigli ai clienti.

    I counselor, in effetti, non offrono quasi mai consigli, n suggerimenti, circa il modo in cui undeterminato problema dal punto di vista degli "esperti" si presterebbe a essere risolto. Tendono,semmai, a incoraggiare i clienti nella scoperta delle loro risorse, e delle loro personali soluzioni.Viceversa, in un rapporto di amicizia, di lavoro o di supervisione, rientra nellordine delle cose al di ldi un eventuale utilizzo delle abilit di counseling che si diano consigli o suggerimenti a chi si trova indifficolt.

    > Le finalit del counseling

    Lattivit di counseling si propone, normalmente, di aiutare gli altri ad affrontare determinati problemiche li assillano. Pu anche voler dire, molte volte, aiutare le persone a maturare un atteggiamento pipositivo e fiducioso, nel fronteggiare i problemi della vita. Ci si pu rivolgere al counseling, daltra parte,con le motivazioni pi svariate. Ci si pu sentire, ad esempio, sconvolti emotivamente, per la perdita diuna persona cara; o magari soli e depressi, per problemi di tipo relazionale, per lo stress, lansia, perpensieri ossessivi e ricorrenti, legati a certe esperienze del passato. In molti casi, il counseling aiutaeffettivamente a sviluppare nuove abilit, e a fare unesperienza di crescita personale. Risolvere dellequestioni problematiche, o maturare la capacit di fronteggiare i problemi, sono quindi due degli scopi picomuni del counseling.

    La pratica del counseling si fonda su un insieme di regole e di linee guida, stabilite da un organismoprofessionale appropriato, in accordo con un codice professionale incentrato sul rispetto per i valori,lesperienza, i pensieri, i sentimenti e la capacit di autodeterminazione dei clienti.

    Utilizzare le abilit di counseling

    Ogni volta che qualcuno si sente preoccupato o disorientato, magari perch deve prendereuna decisione difficile o risolvere un problema, le abilit di counseling possono esseredaiuto. Un medico potrebbe farne uso nel curare un paziente che ha subito lesioni fisiche nellitigare pesantemente con qualcuno. Un impiegato se ne potrebbe avvalere per aiutare ilcollega in difficolt a gestire il suo carico di lavoro. E gli esempi potrebbero continuare: uninsegnante tanto per farne un altro potrebbe mettere in pratica queste abilit dicounseling, al fine di aiutare uno studente a parlare delle sue difficolt nello studio.

    Le abilit di counseling trasformano le relazioni sociali in cui si applicano? Le relazioni della vitadi tutti i giorni non sono le stesse che si creano tra counselor e cliente, n opportuno che lodiventino.

    Se si amici. In un autentico rapporto di amicizia, difficile che laltra persona apprezzi unvostro eventuale tentativo di farle da counselor. Lamicizia fatta di reciprocit, di condivisionee di mutuo sostegno. probabile, quindi, che laltra persona apprezzi la vostra disponibilit alasciarla parlare delle cose che la preoccupano, attraverso abilit interpersonali come un ascoltoattento e rispettoso, che servir insieme con altre abilit comunicative a metterla pi a suoagio, nel raccontarvi il problema. A differenza di quanto avviene nel counseling, per, non avrete

    particolari confini etici, o regole formali, da osservare; si tratter, semplicemente, di un normale(e bidirezionale) rapporto di amicizia. Tanto per dire, sarete liberi di raccontare, a vostra volta,eventuali esperienze o problemi dello stesso tipo, che vi capitato di affrontare. Nella cornice di

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    un rapporto di amicizia senzaltro possibile, e anzi auspicabile, condividere le rispettivepreoccupazioni. A seconda del rapporto con laltra persona, potreste anche metterle una manosulla spalla, o magari abbracciarla, per rassicurarla o per consolarla.

    Per un manager. Se questo il vostro caso, rivestite un ruolo che vi richiede in continuazione diprendere delle decisioni che coinvolgono gli altri, facendo uso del potere che vi stato conferito.I vostri rapporti con gli altri, quindi, non potranno certo ricalcare quelli tra counselor e cliente.

    Non potrete nemmeno aspettarvi dalle persone con cui lavorate uneccessiva disponibilit aconfidarsi, o a mettersi in gioco, al di l di limiti ben precisi. Con un utilizzo appropriato delleabilit di counseling, tuttavia, potrete aiutare i vostri collaboratori a parlarvi dei loro problemilavorativi, a prendere meglio le loro decisioni e quindi a sentirsi meglio. Non dovrete maidimenticare, per, il tipo di relazione che intercorre tra di voi. Il vostro ruolo quello delmanager, e tale dovr rimanere; allinterno di questo ruolo, per, potrete applicare le abilit dicounseling, per rendere pi facile la comunicazione e il confronto sui problemi del lavoro.

    Per un infermiere. In questo caso, sarete abituati ad avere rapporti di tipo professionale con ivostri pazienti, nella cornice dei servizi sanitari. Si tratta, beninteso, di rapporti assai diversi daquelli che si creano tra counselor e cliente; ciononostante avrete senzaltro la possibilit, con unutilizzo calibrato delle abilit di counseling, di aiutare i pazienti a sentirsi emotivamente meglio.

    Avrete forse notato, da questi esempi, che lutilizzo di queste semplici abilit di counseling nonincide sulla natura dei rapporti tra la persona che ne fa uso e il suo interlocutore. Lamicocontinuer a essere nulla pi che un amico; il manager continuer a rapportarsi con i suoicollaboratori nel ruolo di manager; altrettanto si dica per linfermiere. Non sarebbe corretto, nopportuno, tentare di cambiare le carte in tavola. La relazione tra le parti, nella sostanza, sempre la stessa, ma lesperienza suggerisce che, attraverso luso corretto delle abilit dicounseling, essa potr migliorare.

    Al contrario del counseling professionale, in cui raro che si diano dei consigli espliciti e diretti,le "normali" abilit di counseling possono anche essere impiegate in contesti in cui opportuno, se non necessario, dare informazioni, o veri e propri consigli. In certi casi, innegabile che dare consigli sia utile per aiutare qualcuno a risolvere un problema, o ad

    assumere una decisione. Ci tanto pi vero se chi fa uso delle abilit di counseling dispone diconoscenze, o di esperienze, che laltra persona non ha. quello che potrebbe fare una madre,ad esempio, mentre ascolta la figlia adolescente che in rotta di collisione con la sua miglioreamica. Nel suo ruolo di genitore, pu anche essere appropriato, a seconda delle circostanze,che dia dei suggerimenti alla figlia, se non degli espliciti consigli. Per fare un altro esempio, ilresponsabile del personale di unazienda potrebbe affrontare, con le sue abilit di counseling, ilproblema della scarsa puntualit di una dipendente che appena tornata al lavoro, dopo uncongedo per maternit; al tempo stesso, le potrebbe dare dei consigli, facendo riferimento alleregole aziendali sul rispetto degli orari.

    Ogni volta che facciamo uso delle abilit di counseling dobbiamo riconoscere che ci stiamosforzando, deliberatamente, di comunicare in un modo diverso da quello della normale

    conversazione.

    Che risultati possiamo ottenere grazie alle abilit di counseling?

    Sarebbe interessante capire quali siano le aspettative di ciascuno di noi, quando ci viene da domandarci:"Che risultati possiamo ottenere, grazie alle abilit di counseling?". Anche in questo caso, varrebbe forsela pena fermarsi un attimo a riflettere, per mettere meglio a fuoco queste aspettative. Se sietedaccordo, vi proponiamo di annotarle nello schema seguente:

    Mi piacerebbe impiegare le mie abilit di counseling, per aiutare gli altri a:

    1. ..............................................................................

    2. ..............................................................................

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    3. ...............................................................................

    4. ...............................................................................

    A nostro giudizio, le abilit di counseling possono servire a portare conforto a chi vive una situazione disofferenza, e pi in generale ad aiutare le persone in difficolt a:

    affrontare le loro emozioni, in modo da sentirsi meglio; far fronte a pensieri o idee che sono motivo di preoccupazione;

    trovare delle soluzioni ai propri problemi;

    assumere decisioni;

    sentirsi pi sicuri di s;

    rileggere e forse cambiare i propri comportamenti, per quanto riguarda i rapporti con glialtri.

    Chiunque di noi, riflettendo un po sul passato, si ricorder probabilmente di qualcuno che lo ha aiutato,con la sua paziente capacit dascolto, ad affrontare una situazione emotivamente difficile, o a risolvereun problema. Ciascuno di noi, cio, ha gi avuto probabilmente a che fare con qualcuno che, in modo pio meno consapevole, ha fatto uso delle proprie abilit di counseling, per aiutarlo.

    Che tipo di esperienza era? Quali sono gli aspetti pi significativi di quellesperienza, di cui ancora oggi abbiamo il ricordo?

    Riusciamo a ricordarci come ci sentivamo, in quel momento particolare?

    Ci ricordiamo anche che cosa avesse fatto quella persona, per aiutarci?

    Probabilmente sar pi facile ricordarci quanto in seguito ci siamo sentiti meglio pi che non ci chelaltra persona ha effettivamente detto o fatto per aiutarci. Anzi, se quella persona ha fatto un buon usodelle sue abilit di counseling, difficilmente avremo colto le parole che ha usato.

    Aiutare gli altri, con le normali abilit comunicative, qualche cosa che tutti noi impariamo a fare eche, molte volte, facciamo naturalmente lungo tutto il corso della nostra vita. Potremo risultare moltopi efficaci, per, se impareremo anche a fare un uso corretto di alcune abilit di base del counseling.

    Tratto da Geldard K. e Geldard D. (2005), Parlami, ti ascolto. Le abilit di counseling nella vita

    quotidiana, Trento, Erickson, pp. 11-21.

    BREVI NOTE SUGLI ATTEGGIAMENTI SPONTANEI

    Con il test precedente hai scoperto quali atteggiamenti ti viene spontaneo utilizzare nellarelazione di aiuto. Mucchielli ne ha individuati sei e ne ha analizzato gli effetti sul colloquio.Bench tutti abbiano lintento di offrire un aiuto, cinque tra essi possono correre il rischio diostacolare il colloquio, impedendo allinterlocutore di esprimere veramente i suoisentimenti e i suoi vissuti.

    Questi atteggiamenti sono: Valutazione, Interpretazione, Sostegno, Indagine e Soluzione.

    Tutti hanno in comune due potenziali difetti principali:

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    Possono rendere difficile per linterlocutore lesplorazione ampia e serena della suasituazione o del suo problema, soprattutto se utilizzati alleccesso.

    Sono centrati sullhelper, ovvero sono direttivi, e si riferiscono a ci che lui pensa,impedendo di comprendere a fondo ci che linterlocutore, verbalmente o meno, staesprimendo.

    Il sesto, latteggiamento di Comprensione, capace di comunicare il desiderio dicomprendere davvero la persona e di accompagnarla nellesplorazione della sua situazione.

    Nel prossimo modulo troverai una spiegazione dei primi cinque atteggiamenti e dei loropotenziali effetti dannosi.

    Loggetto specifico del nostro corso latteggiamento di comprensione perci iniziamosubito a vedere cosa implica e come si trasmette, per impostare il colloquio di aiuto in modoefficace.

    Una premessa necessaria riguarda il limite implicito che un corso come questo pu averesullapprendimento di atteggiamenti. E chiaro che la comprensione delle implicazionipositive o negative dellassunzione di un atteggiamento piuttosto che degli altri riguarda ilcampo della pratica e quindi va ben al di l delle possibilit formative di un corso base dicounseling (che sia on line o in aula). Quel che cercheremo di fare di rendere esplicitialcuni effetti che possono provocare le risposte dellhelper, invitando ciascuno a rifletteresulla sua esperienza personale.

    L'ATTEGGIAMENTO DI COMPRENSIONE

    Latteggiamento di comprensione si differenzia da tutti gli altri perch non centratosullhelper ma nasce dal tentativo di entrare nel problema cos come vissutodallinterlocutore. Le risposte di comprensione possono essere di diverso tipo, ma miranotutte a ritornare, in sintesi e con altre parole, alla persona che parla, lessenza oparte di ci che ha detto esplicitamente o implicitamente, focalizzando i fatti o leemozioni o i vissuti personali.

    Leffetto della risposta di comprensione di accrescere la fiducia e la motivazionedellinterlocutore a proseguire e approfondire la sua narrazione.

    Latteggiamento di comprensione, cos come gli altri, non si manifesta solo attraverso le

    parole. E anzitutto una disposizione personale, che deve essere fatta propria dallhelper epoi resa evidente allinterlocutore attraverso tutti i canali possibili: il luogo dellincontro e imessaggi non verbali sanno veicolare il desiderio di comprendere tanto quanto le parole.

    La figura proposta di seguito (da M.L. Raineri) ci aiuta a focalizzare gli elementi crucialidellatteggiamento di comprensione, che andiamo ora brevemente a definire uno per uno.

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    Oggetto della seconda parte del nostro corso saranno le principali tecniche di counseling,ma a questo punto una premessa cruciale.

    Lutilizzo delle tecniche senza un sostanziale impegno a far propria lidea che le sorregge,difficilmente porta a qualche risultato nella relazione di auto. Quando si sperimentano nellavita concreta le abilit proposte in questo corso e non si ottengono gli esiti sperati, molto

    facile attribuirne la colpa al metodo che non funziona. Varrebbe prima la pena, invece,riflettere se nelloccasione concreta cerano i presupposti della comprensione, ovvero se ilnostro atteggiamento, il luogo dove eravamo, il modo in cui ci stavamo relazionando conlaltro erano adeguati oppure no. Una risposta pu anche essere tecnicamente sbagliatama veicolare comunque il nostro desiderio di comprensione e quindi essere efficace.Viceversa, una risposta tecnicamente perfetta ma priva di anima difficilmente dar ilrisultato sperato.

    Leggiamo da Mucchielli (Principi del colloquio di comprensione) i principi evidenziati daRogers per un efficace colloquio comprensione, ovvero un collquio che voglia comprendere ilproblema dal punto di vista dellinterlocutore.

    Tenendo presente la figura riportata in precedenza, analizziamo ciascuno degli elementi checoncorrono a rendere un colloquio un buon luogo di comprensione.

    Anzitutto lovale interno delimita la disposizione interna, dove trovano posto i treatteggiamenti personali che Rogers ha sempre ritenuto condizioni necessarie e sufficientiper realizzare laiuto, ovvero congruenza (o genuinit), accettazione incondizionata,empatia.

    Di seguito prendiamo direttamente da Carl Rogers la loro definizione.

    Congruenza (o genuinit)

    http://www.ericksonformazione.it/corsi/mod/resource/view.php?id=14843http://www.ericksonformazione.it/corsi/mod/resource/view.php?id=14843
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    Nella relazione daiuto lhelper cerca di essere sempre se stesso ed essere collegato con isentimenti che prova.

    In primo luogo pongo lipotesi che la crescita di una persona sia facilitata quando ilterapeuta ci che , quando nel rapporto con il suo cliente autentico, senza maschera o

    facciata [...] disponibile ai propri sentimenti ed perci capace di viverli, di essere inrapporto con loro e di comunicarli, se opportuno. Vuol dire che il terapeuta entra in unrapporto personale diretto con il cliente, incontrandolo da persona a persona; vuol dire che proprio se stesso, senza alcuna riserva. Nessuno raggiunge completamente questacondizione, tuttavia quanto pi il terapeuta sa ascoltare con accettazione ci che passadentro di lui tanto pi congruente. (Rogers, 1989, p. 89)

    Accettazione incondizionata

    Lhelper cerca di mantenere una disposizione positiva verso il suo interlocutore senzacondizioni, indipendentemente da ci che questi fa, pensa o dice.

    Posso accettare, dellaltra persona, ogni aspetto che mi presenta? Posso accettarlo coscom? Posso comunicargli questo atteggiamento? O lo accetto solo sotto condizione,approvando alcuni aspetti dei suoi sentimenti e dissapprovando tacitamente o apertamentegli altri aspetti? Secondo la mia esperienza se il mio atteggiamento condizionato laltronon cambia, n cresce, almeno in quegli aspetti che non riesco ad accettarecompletamente. (Rogers, 1989, p. 83)

    Empatia

    Sulla base delle due disposizioni di cui sopra, lhelper pu cercare di mettersi nei panni

    dellinterlocutore per comprendere la sua situazione attuale, i suoi sentimenti, i suoi vissuti.

    Sentire il mondo personale del cliente come se fosse nostro, senza per mai perderequesta qualit del come se, questa empatia; sentire lira, la paura, il turbamento delcliente, come se fossero nostri, senza per aggiungervi la nostra ira, la nostra paura, ilnostro turbamento, questa la condizione che tentiamo di descrivere. (Rogers, 1989, p.57)

    Aggiungiamo ancora da Rogers che gli atteggiamenti descritti non hanno senso se non inuna atmosfera di grande rispetto per la persona e per le sue capacit potenziali. Se il puntocentrale del sistema di valori del terapeuta non la dignit della persona, egli non in

    grado di provare un interessamento reale o un desiderio di capire, e forse non rispetterabbastanza se stesso da essere autentico. (Rogers, 1989, p. 98)

    Per approfondire meglio la disposizione personale cui lhelper dovrebbe tendere perottenere una buona relazione daiuto, invito allo studio de Gli atteggiamentidell'helper (Folgheraiter, Hough e Geldard e Geldard).

    A chi desideri soffermarsi ancora sullargomento, suggerisco inoltre un saggio di Rogers chemi pare interessante perch riporta lesperienza che lautore stesso ha fatto, nella vita enella professione, di questi elementi fondamentali. Si tratta di una saggio collocato in unadelle opere pi tardive. Il saggio Esperienze nella comunicazione, contenuto in Un modo

    di essere. I pi recenti pensieri dell'autore su una concezione di vita centrata-sulla-persona.

    http://www.ericksonformazione.it/corsi/mod/resource/view.php?id=14844http://www.ericksonformazione.it/corsi/mod/resource/view.php?id=14844http://www.ericksonformazione.it/corsi/mod/resource/view.php?id=14844http://www.ericksonformazione.it/corsi/mod/resource/view.php?id=14844
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    Infine, segnalo il capitolo 5 di Psicoterapia e relazioni umane (Rogers e Kinget, 1970),interamente dedicato a nozioni teoriche sul terapeuta.

    Dal momento che latteggiamento interno senzaltro un prerequisito centrale per poterapplicare le tecniche in modo non meccanico ma motivato, propongo a questo punto di

    verificare le nozioni e, soprattutto, di ragionare sulla loro spendibilit nel proprio contestodi vita.

    Principi del "colloquio di comprensione" o "colloquio centrato sul cliente"

    Lapproccio di "centrarsi sul cliente" per comprendere il problema come vissuto dallapersona presuppone, logicamente, determinati principi che possono essere formulati nelmodo seguente:

    1. Un atteggiamento di interesse "aperto", ossia una disponibilit integrale, senza alcun

    pregiudizio o preconcetto di qualunque tipo, un modo di essere e di fare che sia unincoraggiamento continuo allespressione spontanea dellaltro.2. Un atteggiamento non giudicante che permette di ricevere e di accettare tutto senza

    critiche, n colpevolizzazioni, n consigli.

    3. Un atteggiamento di non direttivit, basato sul presupposto che non vi sia nulla di"nascosto" da cercare o da verificare e che il cliente abbia la completa iniziativa nellapresentazione del problema e nell"itinerario" del colloquio.

    4. Unintenzione autentica di comprendere laltro nella sua propria lingua, di pensare conle sue parole, di scoprire il suo universo soggettivo. Ossia cogliere i significati che lasituazione ha per il cliente.

    5. Uno sforzo costante per rimanere obiettivo e per controllare tutto ci che avviene nelcorso del colloquio.

    Questo richiede qualche cosa daltro oltre la semplice buona volont. Richiede unaformazione e un metodo. In un certo senso, il problema del metodo comune a tutte lescienze umane. La loro "oggettivit" non quella delle scienze naturali. Lo sforzo di essereoggettivi non importante in nessunaltra cosa pi che nella comprensione di unapersona; questo sforzo esige, allo stesso tempo, da parte di chi assiste, una "fredda"intelligenza e limmersione nella soggettivit del cliente: questo sforzo viene chiamato"empatia", sforzo di decentrarsi da se stessi per entrare nelluniverso dellaltro ecomprenderlo umanamente.

    Tratto da Mucchielli R. (1987),Apprendere il counseling. Manuale di autoformazione alcolloquio di aiuto, Trento, Erickson, pp. 32-33.

    ASPETTI ESTERNI

    Lobiettivo della comprensione si raggiunge anche attraverso la cura riservata agli aspettiper cos dire esterni al contenuto del colloquio: il setting e gli elementi non verbali.

    1. Il setting

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    Si definisce setting il luogo fisico dove la relazione ha luogo, nonch la diposizione spazialedei partecipanti. E importante controllare il setting per poter creare un clima di fiducia egarantire alinterlocutore la riservatezza del colloquio.

    Riflettiamo criticamente sui diversi luoghi in cui possiamo trovarci con il nostro

    interlocutore: lufficio, labitazione nostra o dellinterlocutore, uno spazio aperto, un luogopubblico come un bar o la sede dellassociazione in cui prestiamo volontariato... Di per snessuno di questi contesti preclude la possibilit di condurre un colloquio ma bisogna essereconsapevoli di quali elementi possono creare disturbo alla comunicazione.

    E una valutazione che va fatta di volta in volta rispetto: alla situazione in cui noi siamo(siamo in grado di sostenere il colloquio in quel momento?); alla condizionedellinterlocutore (il tema particolarmente delicato e pu suscitare una reazione forte?);agli elementi del contesto (siamo in un luogo riservato? Ci sono fonti di distrazione?)

    Per approfondire e ampliare la riflessione vedi il contributo di Mucchielli: Le variabili del

    colloquio.

    2. Gli elementi non verbali

    Con lespressione elementi non verbali intendiamo tutti quegli aspetti che non si esprimonoattraverso le parole ma veicolano importanti messaggi relativi allo stato danimo ealla disposizione interna dellhelper come dellinterlocutore. E bene quindi fare attenzionesia al nostro atteggiamento non verbale, sia a ci che il nostro interlocutore comunica inmaniera non verbale.

    In particolare concentrandosi su:

    la postura lespressione del viso

    i gesti

    il tono di voce

    il silenzio

    ...

    Vedi in proposito L'espressione dei sentimenti (Mucchielli e Hough) e La comunicazione nonverbale (Hough, Geldard e Geldard).

    Rispetto agli atteggiamenti non verbali utile ricordare che non sempre essi sono congruenticon i messaggi verbali, come emerge negli esempi dei testi proposti. Lhelper che sariconoscere questa discrepanza pu aiutare la persona a rendersene conto e a chiariremeglio il suo vissuto.

    Le variabili del colloquio

    Un certo numero di fattori determina il "clima" del colloquio. Noi tenteremo di fornirne unelenco completo purch si tenga presente, da una parte, che lintervistatore deve essere ingrado di valutare, in ogni caso concreto, qual la reale influenza di questa o di questaltra

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    delle seguenti variabili e, daltra parte, che tutte queste variabili non hanno il medesimopeso per le persone impegnate nel colloquio (non dimentichiamo, infatti, che i significatinon esistono che per il soggetto che li prova personalmente).

    Variabili "esterne" di spazio/tempo e di contesto sociale

    1. Iltempointerviene per due aspetti: il momento scelto per il colloquio e il lassodi tempo dedicato o da dedicare al colloquio. Daltra parte il colloquio daiutorichiede tempo e bisogna che lintervistatore si prenda il tempo necessario. Uncolloquio daiuto di 10 minuti o anche di mezzora inefficace. La durata mediadi un colloquio efficace varia tra 1 ora e 1 ora e mezzo.

    2. Lecondizioni spazialiintervengono ugualmente secondo due aspetti: il luogo (o il locale)e le posizioni spaziali rispettive degli interlocutori. Il luogo del colloquio non pu essereuno qualunque. Si pu comprendere facilmente che il luogo pi favorevole quello chepermette il miglior ascolto (senza rumori esterni, n disturbi, n telefono, n passaggiodi gente estranea, n interruzioni brusche che diano allintervistato limpressione diessere "di troppo"). Daltra parte la posizione spaziale molto importante. Essendo ilcolloquio "faccia a faccia", essenziale che la disposizione favorisca limpressioneduguaglianza delle persone e di cooperazione. Quando il cliente sprofondato in unapoltrona e loperatore seduto dietro unampia scrivania, il "clima" del colloquio nerisulta sfavorito. Si possono provocare delle reazioni nel cliente anche solo adottando uncerto numero di accorgimenti sotto il profilo spaziale. Si pu dire, ad esempio, che lasituazione classica della psicoanalisi (cliente sdraiato su un divano incitato a dire senzainibizioni tutto ci che gli passa per la testa, psicoanalista silenzioso e nascosto dietro latesta del cliente) induce nel cliente una regressione e una frustrazione, una insicurezza euno stato di inferiorit.

    3. Il contestointerviene a sua volta, pure sotto due aspetti: il contesto-arredamento e ilquadro socio-istituzionale nel quale il colloquio si svolge. Il contesto come ambiente e

    come "arredamento" si avvicina alle condizioni spaziali. Una stanza troppo piccola(soffocante), troppo piena di mobili o troppo carica (che moltiplica i fattori di distrazioneo disturba i movimenti) o, al contrario, troppo vasta (imponente) o troppo vuota (cheesclude lintimit) controindicata. Infine bisogna pensare allinfluenza molto forte, enon sempre considerata, del contesto socio-istituzionale del colloquio, vale a direlistituzione sociale alla quale appartiene loperatore che conduce il colloquio. moltoimportante che lintervistato sappia a chi si sta rivolgendo e che situi il suo intervistatorenella sua precisa cornice istituzionale.

    Variabili relative allappartenenza a gruppi sociali

    Gi la variabile socio-istituzionale deve essere considerata come una variabile relativaallappartenenza sociale; essa assume, tuttavia, un ulteriore aspetto particolare nellamisura in cui mette in gioco gli status e i ruoli sociali.

    1. Status e ruoli sociali.Lo status sociale dellintervistatore (e quello dellintervistato) deveessere preso in considerazione come unimportante variabile della situazione dicolloquio. Per prendere un caso estremo, diciamo che il direttore generale di un grandemagazzino, che desiderasse applicare la tecnica del colloquio daiuto "faccia a faccia"con una delle sue commesse, incontrerebbe appunto lostacolo maggiore in questavariabile. Allo stesso modo il funzionario delle imposte o il commissario di polizia deldistretto avrebbero poco successo se si mettessero a praticare il colloquio non direttivocon uno dei loro dipendenti. Il fatto che lo status sociale (il ruolo del professionista

    gerarchicamente situato) non solamente un titolo da trascrivere sul biglietto da visita;esso viene percepito da ciascun partner e questa percezione accompagnatainseparabilmente da opinioni, preconcetti e atteggiamenti (positivi o negativi).

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    2. Stereotipi dei gruppi sociali di appartenenza.Anche nel caso in cui si conosca laltropersonalmente, il suo gruppo di appartenenza o i suoi gruppi di appartenenza suscitanoopinioni stereotipate. Abbiamo visto pi sopra la definizione e le manifestazioni deifenomeni di questo tipo. Per neutralizzare gli aspetti negativi di questa variabile, alcunitecnici dellintervista, in analogia con quanto fanno i commessi viaggiatori, suggerisconoagli operatori di ricercare i gruppi di appartenenza comuni a quelli dei loro clienti e, sedel caso, farsi passare per membri di qualcuno di questi gruppi (sportivi, di tempo libero,di azione sociale, folcloristici, ecc.). In realt pi efficace non mentire e analizzarelimpatto reale degli stereotipi, se questi risultano essere degli ostacoli nel corso delcolloquio.

    3. Variabili di et e di sesso. Tra i gruppi di appartenenza di notevole rilevanza non possonomancare i gruppi di et e di sesso. Quando una giovane psicologa deve intervistare unacoppia di anziani genitori di cui essa potrebbe essere la figlia, si ritiene che la suagiovinezza, il fatto che sia nubile e il suo sesso intervengano come variabili importanti(anche se latenti) del colloquio. Lo stesso dicasi se questa ragazza deve intervistare ungiovane o viceversa. Reazioni inconsapevoli di questo genere possono costituire fattori

    che molto rapidamente sabotano sia lascolto comprensivo (da parte dellintervistatore)che lespressione spontanea e cooperante (da parte dellintervistato).

    Variabili "storiche": il colloquio come momento vissuto da ognuna delle due persone che

    stanno luna di fronte allaltra

    1. Lidea che ciascuno si fa prima del colloquiosulla maniera in cui questo si svolger,sullatmosfera, sui risultati. Questa variabile generalmente molto importante soprattuttoquando lintervistato al suo primo colloquio. Il primo colloquio molto importante poichassume inevitabilmente, per il soggetto, un valore di modello o di riferimento.

    2. Le reazioni affettive immediate. Simpatia e antipatia prendono qui il loro posto. I fattoridella simpatia e dellantipatia sono stati studiati in psicologia senza che i vari autori sianoriusciti a mettere a punto qualcosa di univoco, confermando cos il giudizio comune secondoil quale queste reazioni affettive hanno dell"imponderabile". In effetti, rappresentanolintreccio di diversi elementi, tra i quali possiamo distinguere:

    I fattori dappartenenza ai gruppi sociali (fattori gi visti sopra) che mettono in gioco glistereotipi e fanno scattare attrazioni o inibizioni. Il fenomeno appare visibilmentequando si scopre, nel corso del colloquio, che laltro di un gruppo conosciuto o amico.Il cambiamento di "tonalit affettiva" degli scambi diventa allora sorprendente. Lo stessofenomeno si produce, nel senso opposto, quando si scopre che laltro appartiene a un

    gruppo "nemico", malvisto o sul quale si nutrono delle riserve. I fattori di sesso, gi visti. evidente che le determinanti della simpatia-antipatia negliinterlocutori di sesso differente sono basate su peculiari criteri di valutazione di cuifanno parte lattrazione o la repulsione pi o meno apertamente sessualizzate. Levariabili legate allet intervengono anchesse, come abbiamo gi detto, mettendo ingioco le opinioni generali, le attrazioni o i conflitti intergenerazionali.

    Le "reminiscenze affettive" inconsce. Delle somiglianze, non avvertite chiaramente, conpersone (estranee allattuale incontro) simpatiche o antipatiche possono risvegliare, persemplice associazione, particolari reazioni affettive verso laltro "qui e ora". Associazionidi questo tipo avvengono a partire da dettagli: colore degli occhi, fossette, forma delnaso, forma della bocca, lentiggini, ecc.

    Le caratteristiche morfologiche. Non si tratta qui di credere o di non credere allamorfopsicologia ma di constatare che il viso dellaltro, il suo sguardo, la sua mimica,lespressione della sua fisionomia, il sorriso (caratteristiche alle quali si aggiungono il

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    suono della voce e altri criteri personali come le mani o la morfologia generale del corpo)diventano oggetto di una percezione che determina una reazione affettiva di simpatia, diindifferenza o di antipatia. Varie ricerche in morfopsicologia hanno mostrato che questapercezione fisiognomica costituisce, per cos dire, unintuizione del "carattere"; lasimpatia proverrebbe sia da unidentificazione (riconoscere nellaltro uno stile di azionee di reazione identico al nostro), sia da unaspirazione (riconoscere nellaltro uno stile oun "genere" al quale noi aspiriamo, non possedendolo). Lantipatia sarebbe dovuta, comeha mostrato Szondi, al riconoscimento nellaltro di certi tratti di carattere che abbiamoin noi e che ci sforziamo di respingere, di combattere o di nascondere.

    Lestetica generale. Sebbene ognuno abbia i suoi criteri personali di bellezza o dibruttezza e sebbene ogni sesso abbia i propri criteri (le donne non trovanonecessariamente "bello" un uomo che gli altri uomini trovano bello e viceversa), si pudire che vi sono criteri generali di armonia e di difformit che determinano lattrazione-simpatia o la repulsione-antipatia.

    Il modo di presentarsi e latteggiamento generale. Il linguaggio utilizzato, il modo divestirsi, di presentarsi, di comportarsi con agli altri sono valutati in funzione di criteriderivati dalla nostra educazione (influenza dei modelli socioculturali) e determinano isentimenti che noi proviamo per laltro in quanto persona.

    Infine, nel corso del dialogo, la valutazione dellintelligenza, dei gusti, delle abitudini,delle qualit, della "storia" dellaltro (biografia commovente o ripugnante), ecc. crea leimpressioni di accordo interpersonale (fattore di simpatia) o di disaccordo pi o menoprofondo (fattore di antipatia) e ci, come si vede, il risultato del primo impatto,positivo o negativo, nella relazione.

    3.Lidea che ognuno si fa dellopinione dellaltronei suoi confronti e delle intenzionidellaltro. Con questa variabile noi entriamo gi nello "svolgimento" del colloquio (retto da

    leggi specifiche dinterazione), che si chiama la dinamica del colloquio (si veda pi avanti).

    In conclusione. Saper osservare e saper ascoltare esigono entrambi la conoscenza di tutte levariabili della situazione di colloquio, nonch il controllo e la padronanza di queste variabili.Ci che non bisogna dimenticare lo scopo del colloquio. Lo scopo quello di riuscire aportare alla luce le realt da comprendere, di fare in modo che il "cliente" possa esprimere,nel modo pi facile possibile, il suo problema personale. Le difficolt relative allachiarificazione del problema stesso sono grandi e noi vedremo pi oltre come si possonorisolvere. Un motivo in pi per non accrescere queste difficolt a causa di ostacolistrutturali, determinati dalle condizioni stesse in cui il colloquio si svolge.

    Tratto da Mucchielli R. (1987),Apprendere il counseling. Manuale di autoformazione alcolloquio di aiuto, Trento, Erickson, pp. 47-52.

    L'espressione dei sentimenti

    Tratto da Mucchielli R. (1987),Apprendere il counseling. Manuale di autoformazione al colloquio di aiuto,Trento, Erickson, p. 39.

    Gli stati affettivi (il "vissuto") si esprimono direttamente e ogni modalit "interna" ha le sueespressioni immediate che si offrono alla vostra percezione. Un sorriso trionfante significamolto semplicemente la soddisfazione della vittoria. Se un cliente vi dice con quel sorriso:"Il medico ha detto che mia moglie era matta e lha fatta ricoverare", voi dovete vedere ilsorriso e comprendere ci che questo fatto significa per il cliente. Pu darsi che lui, dicendoci, non si renda conto che allo stesso tempo ha mostrato un sorriso trionfante.

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    Se la signora che sta seduta di fronte a voi tiene la sua borsetta e il suo ombrello ben strettia s o annoda le sue caviglie attorno ai piedi della sedia, occorre percepire questaespressione di inquietudine, di insicurezza; il suo essere contratta ha valore diunespressione diretta, anche prima che apra bocca. Se qualcuno se ne sta zitto, si puvedere in questo silenzio lespressione di una inibizione, di un fastidio o di un blocco

    qualsiasi. Se qualcuno cambia bruscamente argomento nel corso del colloquio, bisognavedervi un tentativo di scansare (o di fuggire) qualche cosa.

    Tutti gli atteggiamenti hanno un significato diretto, esprimono qualcosa. Lo stupore, lacollera, laggressivit, la paura, langoscia, il fastidio, lesasperazione, il panico, il piacere-soddisfazione, il dispiacere, la vergogna, la tristezza, ecc. si traducono non soltanto inparole ma pi sovente, oltre le parole, attraverso il tono, la mimica, le "posture" osservabili.

    perci importante saper utilizzare le conoscenze psicologiche provenienti dalla vostraautointrospezione e dalla vostra esperienza delle realt umane per cogliere le espressionidirette del vissuto, attraverso le parole e, se possibile, al di l delle parole, sempre a

    condizione che questo sia il frutto di unosservazione e non di una supposizione. Detto perinciso: c una grande legge psicologica che pu essere applicata in questo caso: tutte levolte che si "suppongono" le sensazioni degli altri, che si attribuiscono loro delle intenzioni odei secondi fini, con 95 probabilit su 100 si sta proiettando la propria soggettivit e non sista osservando. Cos, allorch qualcuno suppone che un altro nutra dei sentimenti malevolinei suoi confronti (senza possedere dei fatti derivanti da unoggettiva osservazionepsicologica, avendo fatto una supposizione), si pu dedurre che questa supposizione significauna diffidenza nei confronti dellaltro; attribuire idee malevole agli altri non il risultato diunintuizione ma lespressione diretta della diffidenza nei confronti di questi altri.

    Perci, se qualcuno vi dice: "Sebbene non mi abbia mai detto nulla, ho lintima certezza che

    il mio vicino mi vuole male", potete rispondere senza alcun rischio di sbagliarvi: "Voi nutriteuna certa sfiducia nei confronti del vostro vicino".

    Elementi della comunicazione

    Tratto da Hough M. (1999),Abilit di counseling. Manuale per laprima formazione, Trento, Erickson, p.38-39.

    Una notevole quantit di informazioni pu essere ottenuta prestando attenzione sia alla maniera in cui lecose vengono dette che all'effettivo contenuto del discorso. La voce, il tono, il volume, lintensit, il

    ritmo, le informazioni che vengono date, sono tutti aspetti della comunicazione verbale che di solito cidicono di pi, riguardo a ci che una persona sente, che non le parole stesse che sceglie di adoperare.Quando le persone sono infelici o tristi, tali sentimenti si riflettono nella loro voce e quando si provanosentimenti positivi come la gioia, anche questi vengono facilmente individuati. Un cliente che stiadescrivendo un episodio traumatico o infelice pu riuscire a nascondere, per esempio, qualcuno deisentimenti a esso associati, ma a un certo punto questi sentimenti sono destinati a interferire e alterare ladescrizione che sta facendo.

    Unanziana donna, a cui era accaduto di perdere molti dei suoi effetti personali e delle sue cose duranteunalluvione, descrisse ci che provava nel modo seguente:

    Penso siano solo cose materiali, per cui non sono importanti, sento che dovrei ringraziare il Signore

    per ci che mi ha donato. Cerano delle fotografie... [pausa] ...erano della mia famiglia [silenzio].Ma sono molto contenta. Certe persone non sono cos fortunate, e io veramente ringrazio il Signoreper i doni che ha voluto farmi.

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    Il counselor che assisteva la cliente era ben cosciente della tristezza presente nella voce della donna,dellesitazione che aveva avuto nel corso della descrizione e del lungo silenzio di riflessione occorsoproprio prima che lei usasse la parola "fortunate" riferita a se stessa.

    Non sono unicamente gli episodi traumatici che i clienti possono cercare di minimizzare o mascherare. Avolte si verifica lesatto contrario ed eventi felici vengono descritti in termini che non lasciano dubbi sul

    significato che hanno in realt per il narratore. Quando Viviana, una donna di quarantasei anni, parlavadellimminente matrimonio della sua unica figlia, appariva intenta a esprimere, quantomenoesteriormente, la sua felicit e la sua approvazione, dato che la figlia era palesemente contenta. Parlavadei buoni rapporti che aveva sempre avuto con lei, del ricevimento che stava aiutandola a organizzare edella casa che aveva acquistato di recente con il futuro sposo.

    Si trova proprio qui, dalla parte opposta della citt, cos non troppo lontana. Sono propriocontenta per lei. Non avrei mai pensato di potermi sentire cos quando la mia unica figlia se nefosse andata di casa, ma proprio cos. [Ride.]

    Il counselor si era accorto che la risata di Viviana suonava piuttosto forzata. Not anche lespressionetriste che per un momento aveva oscurato il suo volto. Quando ebbe finito di parlare, Viviana rimase in

    silenzio per un po, fino a che quellespressione malinconica riapparve sul suo viso. Sebbene avessemanifestato gioia riguardo al matrimonio della figlia, Viviana era incapace di nascondere, anche a sestessa, i sentimenti contrastanti che ovviamente provava.

    a comunicazione non verbale

    Tratto da Hough M. (1999),Abilit di counseling. Manuale per laprima formazione, Trento, Erickson, pp.40-46.

    Nel counseling importante imparare a osservare la comunicazione non verbale del cliente

    e le relative implicazioni, perch attraverso losservazione di questi aspetti dellacomunicazione che il counselor pu rendersi conto del messaggio o del sentimento che nesono alla radice e che il cliente non stato in grado o ha avuto paura di esprimere con leparole. Mentre parla, per esempio, un cliente pu manifestare un sentimento moltoforte attraverso lespressione del volto, attraverso la postura o la mimica. Il volto lareadel corpo attraverso la quale, nel modo pi evidente e chiaro, vengono espressi isentimenti, e il modo in cui il cliente fa uso, in particolare, del contatto oculare pu diremolto sul suo stato danimo. Ci che segue una sintesi dei diversi aspetti dellacomunicazione non verbale, aspetti di cui il counselor deve essere profondamenteconsapevole.

    La postura

    La postura di un cliente pu comunicare molti atteggiamenti diversi, come timidezza,paura o sconforto; queste sono indicate solitamente quando il corpo del paziente siritrae o volta le spalle al counselor. Daltro canto, il capo chino, le spalle curve elevitamento del contatto oculare indicano un atteggiamento sottomesso o unacertatristezza. Il fatto che un cliente tenga braccia e gambe saldamente incrociatepu indicare un certo grado di vulnerabilit o la paura ad aprirsi. Certe personecercano di comunicare autorit o status sociale nel modo in cui stanno sedute o inpiedi, ma il counselor dovrebbe assicurarsi di disporre i posti a sederein manieraequa; in questo senso, le sedie devono essere della stessa altezza e dello stesso

    tipo e devono venire collocate correttamente luna rispetto allaltra.

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    Ci significa che le due persone non dovrebbero trovarsi cos vicine da sentirsi adisagio (la distanza normale di circa un metro) e che le sedie dovrebbero esseredisposte in maniera leggermente angolata luna rispetto allaltra, di modo che siacliente che counselor abbiano, di tanto in tanto, lopportunit di interrompere ilcontatto oculare. Quando le persone sono sedute direttamente luna di fronte allaltra,

    esistono infatti minori possibilit di interrompere il contatto oculare. Inoltre, le sedieposte luna di fronte allaltra possono ricordare una situazione di colloquio formale (dilavoro, per esempio) e mentre ci pu essere appropriato in un contesto di questotipo, apparir probabilmente troppo di confronto o intimidatorio per dei clienti incounseling.

    Il contatto oculare

    Se troppo insistito, il contatto oculare tende a essere snervante per molti,specialmente quando arriva ad assomigliare a uno sguardo fisso. Vi devessere unacerta abilit da parte del counselor nel mantenere la giusta dose di contatto oculare,

    soprattutto perch questa quantit dipende in parte dai bisogni individuali diciascun cliente, nonch dalla risposta di ciascuno. I clienti che si sentonoragionevolmente decisi e sicuri di s saranno perfettamente in grado di mantenere ilcontatto oculare, mentre quelli spaventati o vulnerabili si troveranno pi in difficolt.Pu anche accadere che il cliente eviti il contatto oculare quando depresso o quandoprova sentimenti come senso di colpa, vergogna o rinuncia. In generale, il contattooculare indica interesse ed collegato allatto del prendere la parola nellaconversazione. Nel corso di un dialogo, siamo soliti guardare il nostro interlocutorenegli occhi per una durata che va dal venticinque al settantacinque per cento deltempo totale e questo reciproco scambio di sguardi aiuta a mantenere vivalattenzione (Argyle, 1990). Nel counseling, tuttavia, questa alternanza nel prendere la

    parola nella conversazione pu risultare leggermente alterata per il fatto che ilcliente a essere il destinatario della maggior parte dellattenzione. Tale attenzioneinclude infatti, da parte del counselor, lascoltare attentamente, e quando si nellaposizione di ascoltatori si tende a guardare laltra persona pi di quanto si farebbe sesi stesse semplicemente parlando con lei (Argyle, 1990). Ecco perch gli studenti dicounseling devono imparare, attraverso la pratica e laddestramento delle loro abilit,ad adeguare e correggere la quantit di contatto oculare che abitualmente offrirebberoin una normale conversazione.

    Lespressione facciale

    Ci siamo gi riferiti al fatto che il cliente possa registrare sentimenti forti come larabbia, la tristezza o la gioia attraverso lespressione facciale nello stesso modo in cuiquesto avviene tramite le parole che proferisce. Le prime impressioni che abbiamodelle altre persone sono solitamente basate sullosservazione del volto e delleespressioni che questo manifesta. In vista di ci, gli studenti di counseling debbonoessere coscienti delle loro stesse espressioni facciali e delleffetto che esse hanno sulcliente. I clienti che si presentano per un counseling sono spesso spaventati,apprensivi o comunque turbati e si preoccuperanno quindi di capire quanto ilcounselor sia disponibile, aperto e comprensivo. Tali atteggiamenti di sostegno edi assenza di giudizio possono essere scorti nel volto; e allo stesso modo losono gli atteggiamenti che denotano noia, impazienza, mancanza di interesse e dicomprensione e incapacit di stabilire un reale contatto empatico con il cliente. Ilnostro volto pu trasmettere i nostri pensieri e i nostri sentimenti pi reconditi; eccoperch virtualmente impossibile fingere un interesse che non sia realmentepresente. Gli studenti sono spesso preoccupati di come essi stessi "appaiono" ai

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    clienti. Spesso questa preoccupazione si intensifica durante le sedute diaddestramento riprese dalla videocamera e quando vengono poi riviste per valutare lecapacit di ciascuno. nel corso della visione dei video che gli studenti diventanocoscienti, magari per la prima volta, della propria comunicazione non verbale,compresi lespressione facciale e i manierismi. Sebbene sia importante essere

    coscienti delle proprie espressioni facciali e del modo in cui esse condizionano ilcliente, si dovrebbe ricordare ugualmente che il volto del counselor mostrer con piprobabilit le reazioni pi appropriate quando viene provato un reale interesse neiconfronti del cliente e quando ha luogo un ascolto attivo.

    La mimica

    Luso della mimica un altro aspetto della comunicazione non verbale di cui glistudenti diventano profondamente coscienti durante le sedute in cui si esercitanoripresi dalla videocamera. La mimica delle mani, in particolare, sembra spessoeccessiva e invadente e questo un problema a volte associato al nervosismo che

    proprio soprattutto della fase iniziale della formazione. Vi qui unimportante analogiatra il nervosismo provato dallo studente di counseling allinizio del training e ilnervosismo che invariabilmente i clienti provano la prima volta che si rivolgono a uncounselor. Ansia, tensione o agitazione possono fungere da amplificatori delluso dellagesticolazione del counselor o del cliente e, di conseguenza, ci pu creareunatmosfera sgradevole che viene percepita da entrambi. I counselor possonoimparare con la pratica a modificare luso che essi stessi fanno della mimica. Possonoanche riuscire a essere di aiuto ai clienti dimostrandosi aperti e rilassati nel lorocomportamento generale. I clienti tenderanno inoltre a essere maggiormente aproprio agio in assenza di barriere fisiche quali scrivanie o tavoli che vengano postitra loro e il counselor.

    Il contatto fisico

    Gli studenti di counseling chiedono spesso se sia mai appropriato mostrare calore ai clienticon il contatto fisico. Questa domanda provoca inevitabilmente una lunga e animatadiscussione; solitamente, i partecipanti al gruppo di formazione accondiscendono volentieria esprimere i loro punti di vista sul contatto fisico e sui modi in cui i diversi individuipossono percepirlo. Alcune forme di contatto fisico non comportano alcuna profondaaccezione personale; per esempio, le persone si stringono la mano molto di frequente eassai raramente sono sconcertate dallesperienza. Il contatto fisico nel counseling per piproblematico, perch vi sono clienti che hanno subito traumi direttamente correlati acontatti fisici impropri (per esempio abusi fisici o sessuali) e per i quali questo tipo dicomunicazione, sebbene dettato dalle migliori intenzioni, appare inaccettabile se nonaddirittura terrorizzante. Tuttavia, una veloce carezza su una mano per alcuni clienti puessere indice di affetto ed empatia, soprattutto se si fa attenzione nello scegliere ilmomento giusto e se il gesto viene autenticamente sentito da parte del counselor. Csempre qualche problema legato alla scelta del momento pi opportuno per stabilire uncontatto fisico, anche quando i clienti non vi si oppongono; se un counselor tocca un clientetroppo prematuramente nel corso del loro rapporto, ci pu essere interpretato comeeccessiva confidenza. Esistono anche differenze culturali nella quantit di contatto fisicoche gli individui dispensano e nel modo in cui le altre persone vi reagiscono (Argyle, 1990).Un modo in cui il counselor pu forse valutare come i pazienti reagiscano al contatto fisico prendere nota delle loro reazioni quando ci si stringe la mano al primo appuntamento. Lepersone che accettano il contatto fisico e sono a proprio agio con esso reagirannoprobabilmente in modo caloroso a una prima stretta di mano, mentre altri pi inibitidifficilmente dimostreranno un qualsiasi entusiasmo. Il calore e lautenticit del contatto

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    fisico possono influenzare latteggiamento del cliente in maniera decisamente positiva,ma unicamente se ci viene fatto a solo vantaggio del cliente. Pu accadere che icounselor, soprattutto quelli che hanno da poco iniziato a lavorare con i clienti, facciano usodel contatto fisico come un metodo per rassicurarli, il che spesso inopportuno e rivelaunesigenza pi del counselor che del cliente. Non si dovrebbe scordare che il counselor

    stesso pu non sentirsi a proprio agio per ci che riguarda il contatto fisico. Ancora unavolta, ci dipende dalle esperienze di vita e dai modi in cui avvenuta la comunicazione infamiglia. Inoltre, bisogna tener conto delle diversit culturali gi menzionate: per esempio,le persone dellEuropa del nord possono essere meno entusiaste, rispetto a persone di altriPaesi, nei confronti della comunicazione tattile; nella cultura inglese il contatto fisico puessere minimo o persino totalmente assente tra persone che non si conoscano intimamente.Tuttavia, il contatto fisico pu giovare enormemente al cliente quando avviene al momentoopportuno ed sinceramente motivato. Esso pu comunicare in maniera pi efficacelempatia che il counselor sente nei confronti del cliente.

    Quelle che seguono sono alcune considerazioni generali sul contatto fisico e la

    comunicazione tattile. Gli individui reagiscono in modi diversi al contatto fisico. Alcune forme di contatto fisico non recano in s alcun messaggio personale, per

    esempio quando un medico esamina un paziente.

    Se si verifica al momento opportuno ed sinceramente motivato, il contattofisico pu aiutare a stabilire un legame positivo.

    Il contatto fisico di particolare aiuto quando lespressione verbale delsentimento difficile oppure impossibile.

    Ogni cultura possiede proprie regole sulluso del contatto fisico. Tali regoleprecisano le circostanze in cui si pu farne uso e quali parti del corpo possonoessere toccate.

    Vi sono individui che, per esperienze legate ai primi anni di vita, sono sospettosio persino impauriti nei riguardi del contatto fisico.

    Il contatto fisico usato a volte in modo maschilista o assoggettante.

    Il contatto fisico pu anche venire usato per dominare o impaurire.

    Il contatto fisico pu invadere lo spazio dellaltra persona.

    Se inaspettato, il contatto fisico pu essere causa di imbarazzo.

    Il contatto fisico pu essere rassicurante e di aiuto.

    Il contatto fisico pu venire facilmente frainteso, specialmente se fatto inmaniera goffa o inopportuna.

    Per alcune persone il contatto fisico rappresenta una rassicurazione sul propriofascino fisico e sessuale. Questo fatto pu presentare talvolta dei problemi nelcounseling, soprattutto se il cliente cerca di suscitare nel counselor un interessedi tipo sessuale. Una situazione di questo genere deve essere trattata con

    sensibilit ma con decisione dal counselor e deve essere chiarita e messa inrilievo la natura professionale del rapporto, cos che il cliente si senta accettato

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    per se stesso. In altre parole, il cliente deve sentirsi stimato senza bisogno difare ricorso a stratagemmi, sessuali o di altro tipo.

    Attraverso il contatto fisico, il paziente si pu sentire a volte "autorizzato" a esprimeresentimenti forti che sono stati a lungo inibiti o repressi. Quando Vera, una paziente di

    diciotto anni, parl con il counselor della morte della madre, stava visibilmente cercando ditrattenere le lacrime.

    Vera aveva dieci anni quando la madre era morta e nessuno le aveva mai parlato diquesta perdita. Non le era stato permesso di partecipare al funerale e poco tempodopo si era trasferita con il padre in unaltra citt. Mentre descriveva questi eventi,Vera si ferm diverse volte, incapace di proseguire. Durante una di queste pause, ilcounselor tocc la mano di Vera con lo scopo di trasmetterle il suo affetto e il suointeresse. Vera reag a questo gesto riversando fuori tutta la tristezza che non erastata in grado di esprimere per anni. Vera espresse la sua infelicit verbalmente eattraverso il pianto. Nel corso di un successivo incontro, fu in grado di parlare con

    grande intuito degli eventi traumatici della sua vita.Coinvolgersi nella relazione

    Tratto da Geldard K. e Geldard D. (2005), Parlami, ti ascolto. Le abilit di counseling nella vitaquotidiana, Trento, Erickson, pp. 82-89.

    Ogni volta che ascoltiamo veramente qualcuno, gli trasmetteremo dei rimandi, pi o menopercettibili. Sono i segnali delle nostre reazioni rispetto a quel che ci viene detto, e delle nostresensazioni nei confronti della persona che ci parla. Dovremo fare parecchia attenzione a questisegnali, se vogliamo che essi esprimano un messaggio appropriato.

    Ogni volta che ascoltiamo una persona, le trasmettiamo dei messaggi.

    Che cosa pensate sia possibile dire, o fare, per trasmettere un messaggio appropriato? Unasoluzione potrebbe essere, anche in questo caso, quella di puntare su un messaggio diretto eimmediato, tanto per fare un esempio:

    Credo che quello che mi stai dicendo sia importante. Ti andrebbe di continuare?

    Unaffermazione di questo tipo potrebbe anche andare bene, ma per essere davveroconvincente andrebbe accompagnata da tutta una serie di comportamenti concreti. Ne

    proponiamo un elenco sommario, per poi descriverli in dettaglio, uno per uno.

    Il contatto oculare Lespressione facciale

    La prossimit fisica

    La posizione del corpo

    Lintonazione della voce

    Le interiezioni

    La comunicazione non verbale

    Il contatto oculare

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    Capita a tutti di sentire un genitore che, rivolto al figlio piccolo, esclama: "Guardami in faccia,quando ti parlo!". abbastanza comune, per i genitori, dire delle frasi di questo tipo: quando siparla con qualcuno, e questi non ci rivolge lo sguardo, facile convincersi che non ci stiaascoltando affatto. Se vogliamo entrare in sintonia con una persona, quindi, non potremo farea meno del contatto visivo con lei. Se seguiamo questo accorgimento, pi facile che lapersona in questione percepisca che la stiamo ascoltando con cura.

    Dovremo comunque modulare il contatto oculare, in una forma che sia appropriata perla persona a cui ci rivolgiamo: anche nei livelli di contatto oculare, infatti, esistono delledifferenze notevoli, a seconda della cultura a cui si appartiene. Quale che sia la cultura,comunque, non certo appropriato mettersi a fissare qualcuno in continuazione. Cos facendo,lo si metterebbe soltanto a disagio. Non nemmeno appropriato, per, rivolgere lo sguardoaltrove per la maggior parte del tempo: finiremmo per trasmettere il messaggio che nonstiamo affatto ascoltando il nostro interlocutore. Si tratta di trovare un buon punto dequilibriotra questi due estremi: mantenere il contatto visivo, spostando lo sguardo altrove, di tanto intanto.

    Mentre cerchiamo di aiutare qualcuno, inoltre, non dobbiamo dimenticarci che gli possiamo

    rivolgere dei "messaggi oculari" di approvazione, o di disapprovazione. Gi solo con gliocchi, in effetti, possiamo far passare i messaggi pi diversi: dal fatto che ci stiamodivertendo, al fatto che stiamo ascoltando con la massima attenzione tutto quello che ci vienedetto.

    Lespressione facciale

    Quando si dice che qualcuno ha una "faccia da poker", si allude al fatto che difficile capirequello che pensa, guardando soltanto alla sua espressione facciale. Se vi trovaste a parlare conuna simile persona, avvertireste probabilmente un certo disagio: vi chiedereste, come minimo,"che cosa gli stia passando per la mente". Se vogliamo riuscire ad aiutare qualcuno, dobbiamosforzarci di coinvolgerci nella relazione con lui. Occorre che quella persona possa intravederein noi un atteggiamento di interesse genuino verso quello che ci dir.

    Il messaggio che le arriva dovrebbe essere chiaro e inequivocabile: quello che ci dice ciinteressa e, soprattutto, non ci permetteremo di biasimarla, n di giudicarla. Per fare questo,per, non possiamo dimenticare limportanza della nostra espressione facciale.

    La prossimit fisica

    Avete mai fatto caso a quel che vi succede quando qualcuno vi si avvicina troppo fisicamente,mettendovi a disagio? Avete notato, daltra parte, come ci si sente quando si parla con qualcuno, equesti si allontana, o si tiene a una notevole distanza? Ognuno di noi ha una sua percezionedella distanza fisica "ottimale", rispetto agli altri; tale distanza, del resto, varia molto aseconda del tipo di relazione che abbiamo con la persona che ci parla. chiaro che la distanzafisica, in tutti i casi, reca con s un messaggio. Se rimaniamo troppo distanti, la persona che stiamoascoltando avvertir forse uno scarso interesse da parte nostra, nei suoi confronti. Se invece ciavviciniamo troppo, potrebbe avvertire una specie di "invasione" dei suoi "confini", al punto daritrarsi di scatto. Gestire la prossimit fisica diventa ancora pi difficile quando si tra persone diculture diverse: ci che "normale" in una data cultura, infatti, non necessariamente tale