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Antonio Ruggeri

La “specializzazione” dell’autonomia regionale: i (pochi) punti fermi del modello

costituzionale e le (molte) questioni aperte*

ABSTRACT: The “specialisation” of the regional autonomy: the (few) firm points of the constitutional model and

the (many) open questions

The essay outlines the ratio of the article 116 paragraph 3 of the Constitution and highlights the few firm points of

the constitutional model. The paper discusses many issues which are currently at the center of the debate and, from a

formal point of view, examines the modifiability of the proposal of the law that transposes the agreement related at the

article 8 paragraph 3 of the Constitution. Under the substantive aspect it highlights the need of a flexible and

experimental agreement. Finally, the questioning concerns the consequences which the “specialisation” are able to

have both on the state and regional government and on the special regions.

SOMMARIO: 1. Il duplice errore, di metodo e di merito, compiuto da quanti vedono solo il lato oscuro del

volto della “specializzazione”, sì da augurarsi che il disposto costituzionale che la prevede resti disattivato. –

2. La questione preliminare di ordine teorico: com’è possibile immaginare la “regionalizzazione” di funzioni

riguardanti, in tesi, interessi costituzionalmente qualificati come nazionali? – 3. I (pochi) punti fermi fissati nel

dettato costituzionale (con specifico riguardo al mantenimento del regime duale di autonomia, nelle sue

articolazioni in speciale e ordinaria, seppur specializzabile, ed alla impossibilità di estendere a tappeto, con le

procedure dell’art. 116, la “specializzazione” per l’intero territorio della Repubblica). – 4. Le (molte) questioni

aperte, per il profilo procedimentale (con particolare riguardo alla emendabilità del disegno di legge che

recepisce l’intesa ed alla eventuale rescissione unilaterale di quest’ultima). – 5. Le questioni di sostanza, a

partire da quella relativa al criterio con cui individuare le funzioni suscettibili di regionalizzazione, ai necessari

controlli relativi all’esercizio delle loro funzioni, e il bisogno che l’intesa esibisca duttilità di struttura e presenti

carattere sperimentale, sì da potersi agevolmente rimettere a punto alla luce dell’impatto avuto nell’esperienza.

– 6. I nodi non sciolti di ordine politico-istituzionale, con riguardo ai riflessi della “specializzazione” per le

restanti Regioni di diritto comune, nonché in merito agli equilibri caratterizzanti la forma di governo, in ambito

regionale come pure in ambito statale. – 7. Quali gli effetti della “specializzazione” per l’autonomia delle

Regioni speciali?

1. Il duplice errore, di metodo e di merito, compiuto da quanti vedono solo il lato oscuro del volto

della “specializzazione”, sì da augurarsi che il disposto costituzionale che la prevede resti disattivato

Forse nessun disposto costituzionale è stato fatto oggetto negli ultimi tempi di una messe così

copiosa di commenti quali quelli riversatisi sul terzo comma dell’art. 116 Cost.; e se ne capisce la

ragione, dal momento che l’enunciato esibisce una formidabile duttilità strutturale aprendosi a plurimi

e persino opposti esiti teorico-ricostruttivi ed applicativi, per un verso disponendosi ad utilizzi

serventi la causa dell’autonomia e, allo stesso tempo, idonei a salvaguardare l’unità-indivisibilità

della Repubblica1, mentre, per un altro verso, si presta, laddove non se ne faccia un uso vigilato ed

accorto, a produrre effetti dirompenti2. La letteratura corrente, che a ritmi incalzanti viene ormai

* Contributo scientifico sottoposto a referaggio. 1 Si è in altri luoghi tentato di argomentare la tesi secondo cui autonomia ed unità non vanno visti quali valori distinti

o, peggio, contrapposti e pronti a farsi una guerra ininterrotta e senza risparmio di colpi; vanno, di contro, visti quali le

due facce di un unico valore, internamente composito, che è quello della promozione, la massima possibile alle condizioni

oggettive di contesto, dell’autonomia nella unità-indivisibilità dell’ordinamento, ovvero – se altrimenti piace dire – quello

della salvaguardia della unità attraverso la promozione dell’autonomia. Secondo modello, dunque, occorre risolutamente

puntare al congiunto e, fin dove possibile, ottimale appagamento di entrambi i profili di cui si compone il valore

mirabilmente rappresentato nell’art. 5 della Carta. 2 Il rischio dell’“eversione” è paventato da più autori, tra i quali R. BIN, L’insostenibile leggerezza dell’autonomia

“differenziata”: allegramente verso l’eversione, in Forum di Quaderni Costituzionali, 16 marzo 2019; G. VIESTI, Verso

la secessione dei ricchi? Autonomie regionali e unità nazionale, Laterza, Roma-Bari 2019; M. VILLONE, Italia, divisa e

diseguale. Regionalismo differenziato o secessione occulta?, Editoriale Scientifica, Napoli 2019, e, dello stesso, Riforme

e controriforme in gialloverde, in Diritto pubblico europeo Rassegna online, num. spec. 2/2019, 72 ss., spec. 78 ss.; pure

ivi, altri riferimenti in A. LUCARELLI, Regionalismo differenziato e incostituzionalità diffuse, 2 ss., spec. 7, che si dichiara

dell’idea che il processo di “specializzazione” in corso porterebbe all’avvento di uno Stato federale con legge ordinaria,

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pressoché quotidianamente alla luce, si sente fortemente attratta proprio dal secondo corno,

preoccupata di mettere in risalto il carattere di norma-grimaldello posseduto dal disposto in parola,

potenzialmente idoneo a scardinare la porta della cittadella statale, fino al punto di mettere a rischio

la tenuta stessa dell’ordinamento.

Si spiega in questa luce la non celata avversione di un largo schieramento di studiosi che

vorrebbero puramente e semplicemente disattivato il meccanismo predisposto dalla Carta, nel timore

che possano aversene effetti gravemente penalizzanti specie per le Regioni centro-meridionali e per

le comunità stanziate sui relativi territori. Viene, però, in tal modo, commesso un duplice errore, di

metodo e di merito.

Per il primo aspetto, si riproduce, in forme diverse, lo stesso vizio in cui incappano studiosi ed

operatori che, non gradendo quanto sta scritto in questo o quell’enunciato della Carta, fanno

scientemente luogo a letture correttive e manipolative in genere, abilmente mascherate attraverso un

uso sapiente e raffinato delle tecniche interpretative. Qui, a fronte di un dettato giudicato “sbagliato”,

si invita puramente e semplicemente a lasciarlo cadere di fatto, a lasciarlo appunto sulla Carta,

laddove il percorso più giusto, lineare, sarebbe quello di rimuoverlo o, quanto meno, di correggerlo,

sì da mettere la unità-indivisibilità della Repubblica al riparo dai rischi ai quali si trova esposta per il

modo con cui l’enunciato in parola risulta formulato3. Insomma, anziché battere la via piana della

revisione costituzionale, a mezzo delle procedure per la stessa stabilite4, si consiglia di far luogo ad

un sostanziale svuotamento del disposto costituzionale, senza avvedersi – a quanto pare – di come un

orientamento siffatto concorra esso pure, al pari di quello delle modifiche tacite per via

d’interpretazione, alla sostanziale devitalizzazione normativa della Costituzione, già oggi gravemente

esposta davanti a regolarità della politica devianti dal solco costituzionale5.

Quanto, poi, al merito, l’enunciato in parola, pur non immune da difetti anche non lievi di

formulazione, peraltro ampiamente rilevati dalla dottrina più avveduta6, non merita, a mio modo di

vedere, quel severo giudizio di condanna che è nei suoi riguardi manifestato da molti studiosi;

semmai, come si anticipava poc’anzi, può apparire persino troppo cauto e reticente.

Obiettivo specifico delle notazioni che, con la massima rapidità, ora si faranno è di spiegarne le

ragioni.

concludendo dunque che l’art. 116, comma 3, “in quanto tale, è una norma asimmetrica e dissonante rispetto ai principi

della Repubblica e allo stesso regime delle competenze, così come operante all’interno della nostra forma di Stato e di

Governo” (16); nella stessa Rivista, v., inoltre, A. MORELLI, Dinamiche del regionalismo differenziato e declinazioni

congiunturali dell’autonomia territoriale, 18 ss., e, ancora, C. IANNELLO, La piena sovranità del Parlamento nella

determinazione dei contenuti e dei limiti dell’autonomia differenziata, in Diritti Regionali, 3/2019, 20 settembre 2019.

Emblematico, poi, al riguardo il titolo di recente dato da un sensibile studioso ad una sua riflessione sul tema: v., dunque,

A. SPADARO, Appunti sul “regionalismo differenziato”: una buona idea che può diventare un disastro, in Federalismi.it,

19/2019, 16 ottobre 2019. 3 Si vedrà a breve che anch’io, che pure non esprimo un giudizio di condanna nei riguardi del dettato costituzionale,

semmai giudicandolo eccessivamente timido e complessivamente compromissorio, sono dell’idea che esso vada integrato

in un punto, quanto meno a restare all’interno della “logica” della “specializzazione” dell’autonomia così come da esso

fatta propria. 4 In via di mera ipotesi, si potrebbe anche immaginare che sia battuta la via che porta all’annullamento del disposto in

parola, in quanto frutto non già della mano del Costituente bensì di un atto di potere costituito, come tale assoggettabile

a sindacato di costituzionalità; ma, come dirò meglio più avanti, in disparte la questione che non si capisce chi mai possa

attivarsi per la via incidentale (la sola ormai percorribile) attivarsi in tal senso, è appunto una ipotesi meramente astratta,

dal momento che la Consulta, al di là della disponibilità più volte dichiarata a sottoporre a giudizio le leggi di forma

costituzionale, si astiene dal far luogo alla loro caducazione. 5 Ho avvertito più volte il bisogno di segnalare questo rischio (ad es., nel mio Le modifiche tacite della Costituzione,

settant’anni dopo, in AA.VV., Alla prova della revisione. Settanta anni di rigidità costituzionale, a cura di U. Adamo - R.

Caridà - A. Lollo - A. Morelli - V. Pupo, Editoriale Scientifica, Napoli 2019, 415 ss., nonché in Rivista del Gruppo di

Pisa, 2/2018, 20 giugno 2018). 6 Tra gli altri, A. MORELLi, sub art. 116, in AA.VV., La Costituzione italiana. Commento articolo per articolo, II.

Parte II – Ordinamento della Repubblica (Artt. 55-139) e Disposizioni transitorie e finali, Il Mulino, Bologna 2018, 325

s., spec. 329, cui si richiama anche G. PICCIRILLI, Gli “Accordi preliminari” per la differenziazione regionale. Primi

spunti sulla procedura da seguire per l’attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost., in Diritti Regionali, 2/2018, 21 aprile

2018, 6 in nt. 4.

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2. La questione preliminare di ordine teorico: com’è possibile immaginare la “regionalizzazione”

di funzioni riguardanti, in tesi, interessi costituzionalmente qualificati come nazionali?

Una preliminare questione che va presa di petto e che appare di speciale rilievo teorico è quella, a

mia opinione ad oggi insoddisfacentemente risolta, relativa alla stessa previsione del meccanismo di

“specializzazione”7, specie per ciò che concerne le materie sin qui riservate allo Stato sulle quali può

esercitarsi8. Il loro inserimento nel secondo comma dell’art. 117 può infatti avere una sola

giustificazione: che ad esse afferiscano interessi in tesi non frazionabili sul territorio e, perciò,

bisognosi di essere fatti oggetto di esclusiva disciplina da parte dello Stato stesso, non spiegandosi

altrimenti, alla luce del valore che vuole promossa l’autonomia e portata al suo massimo grado di

realizzazione alle condizioni oggettive di contesto, il trattenimento degli interessi (e, perciò, delle

competenze che li riguardano) in capo allo Stato. Ma, se le cose stanno così, non si capisce come sia

possibile la regionalizzazione delle materie in parola, ferma restando la natura “nazionale” degli

interessi suddetti (quanto meno per le Regioni che non chiedono ovvero non ottengono la

“specializzazione” della loro autonomia). È, però, evidente che qui s’immagina il sempre possibile

mutamento della natura stessa, accertato da un patto tra Stato e Regione, senza che peraltro ne siano

chiare le cause, quali gli indici o i parametri alla cui luce possa aversene il riscontro, e, soprattutto,

perché mai siffatta conversione di natura valga per una o più Regioni e non per altre.

Rimane, tuttavia, insoluto il quesito di fondo: se la natura degli interessi, che sta a base del riparto

delle materie, è opera della Costituzione (e, a seguire, delle leggi di revisione costituzionale) come

può ammettersi che un patto politico possa successivamente disporne? La circostanza per cui si dà

una esplicita autorizzazione in tal senso dalla stessa Carta non supera bensì aggira l’ostacolo, dal

momento che gli interessi devono restare demandati alla cura del solo ente in grado di prendersela. In

ogni caso, mi parrebbe indiscutibile che il patto in parola non possa far luogo all’affidamento della

cura stessa in modo insindacabile: nessun atto di potere costituito, foss’anche una legge

costituzionale, si sottrae infatti al suo eventuale assoggettamento a sindacato (qui, sub specie della

ragionevolezza, nella sua forma particolarmente espressiva della congruità delle norme, a un tempo,

agli interessi ed ai valori positivizzati di riferimento).

E ancora. Una volta ammesso, in tesi, che gli interessi possano cambiare pelle, convertendosi da

nazionali in regionali9, qualora il processo di conversione siffatta dovesse considerarsi ormai

pervenuto alla sua naturale e compiuta maturazione, più che possibile od eventuale sarebbe doveroso

7 Prediligo il termine che figura già nel titolo dato a questa mia riflessione e che riprendo da studi anteriori, al posto

di altri, quale quello di “differenziazione”, prescelto da altri studiosi, intendendo così mettere in rilievo la peculiare

condizione in cui versano le Regioni che si avvalgono dell’opportunità loro offerta dall’art. 116, comma 3, Cost.,

distinguendola da quella delle Regioni speciali, la cui autonomia – come si sa – è tradizionalmente qualificata come

“differenziata”. 8 Con i dovuti adattamenti, il discorso è però valevole anche con riguardo alla conversione delle materie di potestà

concorrente in materie “residuali”, venendo di conseguenza meno il fatto in sé della “concorrenza” e, dunque, il vincolo

della osservanza dei principi fondamentali stabiliti o, come che sia, desumibili dalle leggi dello Stato (non si nasconde gli

inconvenienti legati allo svuotamento del “contenitore” di cui all’art. 117, comma 3, per le Regioni “specializzate” F.

BALSAMO, Regionalismo differenziato e libertà religiosa, in Federalismi.it, 18/2019, 2 ottobre 2019, spec. § 4). È pur

vero, tuttavia, che – come ha opportunamente rammentato una sensibile dottrina [G. TARLI BARBIERI, Verso un

regionalismo differenziato o verso un regionalismo confuso? Appunti sulla (presunta) attuazione dell’art. 116, comma 3,

Cost., in Osservatorio sulle fonti, 2/2019, 14] – permane pur sempre il ruolo unificante delle competenze “trasversali”

dello Stato, a partire da quella relativa alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti. Come però

si viene dicendo nel testo, la questione ora discussa specificamente si pone in relazione al transito nell’area regionale

delle materie in atto trattenute in capo allo Stato. 9 In punto di astratto diritto potrebbe immaginarsi anche l’inverso, vale a dire la conversione di un interesse da

regionale (e locale in genere) in nazionale (o sovranazionale); il verso di marcia in modo marcato tracciato nella Carta è,

però, come sappiamo, discendente, dovendosi decisamente e costantemente puntare alla massima promozione

dell’autonomia nella cornice dell’unità-indivisibilità dell’ordinamento. Ad ogni modo, la questione ora accennata ha

specifico rilievo per ciò che concerne eventuali modifiche dell’intesa o la sua stessa rimozione, secondo quanto si vedrà

meglio più avanti.

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far luogo al transito delle relative materie dallo Stato alle Regioni (e – parrebbe logico immaginare –

a tutte nella identica misura), anche se – è banale dover rammentare – contro le omissioni assolute

non v’è poi, a conti fatti, rimedio che valga. In siffatto scenario, sarebbe dunque obbligato lo

scivolamento delle materie dall’area del secondo a quella del terzo comma dell’art. 117 o, addirittura,

a quella del quarto comma, come pure a quest’ultimo dovrebbero rifluire le materie di cui all’attuale

terzo comma. Ed è chiaro che, ove ciò si consideri valevole per tutte le Regioni di diritto comune e

per tutte o la gran parte delle materie ad oggi di potestà ripartita, sarebbe giocoforza fare allo scopo

ricorso alle procedure dell’art. 138. Quanto meno, così dovrebbe essere in punto di astratto diritto;

non si dimentichi tuttavia il dato elementare, avallato da una pluridecennale giurisprudenza

costituzionale, costituito dalla strutturale evanescenza concettuale delle etichette costituzionali,

soggette a continua ridefinizione concettuale ed a perduranti, gravi oscillazioni10.

Queste notazioni, qui appena accennate e che meriterebbero di essere riprese in uno studio a ciò

specificamente dedicato, ad ogni buon conto, seppur ritenute teoricamente interessanti, sono sterili a

fronte del fatto in sé della previsione del modulo di “specializzazione”, di cui all’art. 116, comma 3,

Cost. Mi preme, tuttavia, qui ribadire che la regionalizzazione di alcune materie – piena o semipiena

che sia11 – resta pur sempre soggetta, come si diceva, a sindacato di costituzionalità. La circostanza,

cioè, per cui essa sia prefigurata in Costituzione non equivale a riconoscere che le parti contraenti

abbiano carta bianca e possano, dunque, fare in buona sostanza ciò che vogliono12. Di contro, la

regionalizzazione in parola rimane soggetta ad un duplice controllo: esterno, in relazione alla natura

degli interessi cui essa – come si è venuti dicendo – è comunque tenuta a conformarsi, ed interno,

imponendosi la completezza e coerenza interna a ciascuna intesa. L’una qualità rimanda alla necessità

di previsioni volte a mettere al riparo l’unità dai rischi insiti nel fatto in sé della regionalizzazione (e

10 Cfr. sul punto i puntuali rilievi di G. FALCON, Il regionalismo differenziato alla prova, diciassette anni dopo la

riforma costituzionale, Editoriale a Le Regioni, 4/2017, 625 ss. 11 Al piano delle esperienze legislative e di normazione in genere, infatti, si può immaginare – come si è appena detto

– il transito delle materie in atto previste nel secondo comma nell’area della potestà ripartita (se non pure in quelle di

potestà residuale), così come quelle che fanno capo al terzo comma nell’area di cui al quarto. 12 Alla luce della indicazione ora data, non poche riserve sollevano le bozze d’intesa in atto messe a punto (con

specifico riguardo a quelle relative al Veneto ed alla Lombardia) nella parte in cui in esse si prefigura una

regionalizzazione pressoché a tappeto delle materie di cui all’art. 117, comma 3, Cost. [per un quadro di sintesi, in seno

al quale le materie stesse sono state accorpate in alcuni macroambiti, v. F. PALLANTE, Nel merito del regionalismo

differenziato: quali «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» per Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna?,

in Federalismi.it, 6/2019, 20 marzo 2019 e, pure ivi, dello stesso, ora, Ancora nel merito del regionalismo differenziato:

le nuove bozze di intesa tra Stato e Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, 20/2019, 30 ottobre 2019. V., inoltre, C.

TUBERTINI, La proposta di autonomia differenziata delle Regioni del Nord: un tentativo di lettura alla luce dell’art. 116,

comma 3 della Costituzione, in Federalismi.it, 18/2018, 26 settembre 2018; L. VIOLINI, L’autonomia delle Regioni

italiane dopo i referendum e le richieste di maggiori poteri ex art. 116, comma 3, Cost., in Rivista AIC, 4/2018, 14

novembre 2018, 319 ss.; A. PIRAINO, Regionalismo differenziato: attuazione o cambiamento costituzionale?, in Diritti

Regionalit, 2/2019, 24 giugno 2019; nella stessa Rivista, A. STERPA, La differenziazione possibile: istituire le macro-

Regioni per ridisegnare la mappa della diversità, 2/2019, 10 agosto 2019, spec. 14, che avverte del rischio di una

“omogeneizzazione delle differenziate”, ed E. DI CARPEGNA BRIVIO, L’applicazione del regionalismo differenziato per

la sperimentazione delle politiche pubbliche, 3/2019, 2 ottobre 2019. Con specifico riguardo alla Lombardia, v., poi, C.B.

CEFFA, Alcune considerazioni a margine dell’esperienza della Regione Lombardia su limiti e opportunità della

differenziazione come metodo, in Diritti Regionali, 2/2019, 17 luglio 2019; per l’Emilia-Romagna, A. CANDIDO, Prove

di regionalismo differenziato. La richiesta della Regione Emilia-Romagna, 3/2019, 8 settembre 2019, e per il Piemonte

G. SOBRINO, La proposta di differenziazione regionale del Piemonte e le sue motivazioni e prospettive: verso un Piemonte

“più vicino” alla Valle d’Aosta? Spunti per un confronto tra il modello regionale “differenziato” piemontese e

l’esperienza della specialità valdostana, con particolare riferimento alle forme di gestione dei piccoli Comuni, 22

settembre 2019; per il Veneto, M. MANCINI, La via veneta al regionalismo “differenziato”, tra ottimismo della volontà e

pessimismo della ragione (costituzionale). Profili procedurali, in Federalismi.it, 17/2019, 18 settembre 2019; su tutte le

Regioni suddette, M. DE DONNO - P. MESSINA, Regionalismo differenziato e ordinamento locale: le richieste di Emilia-

Romagna, Veneto e Lombardia. Quale idea di autonomia regionale?, in Ist. fed., 2/2018, 471 ss. Con particolare

attenzione all’istruzione ma con considerazioni di più ampio respiro, R. CALVANO, Editoriale. Una crisi gattopardesca

non allontana le prospettive dell’autonomia differenziata: i rischi in materia di istruzione, in Diritti Regionali, 3/2019, 6

settembre 2019; nella stessa Rivista, per la materia dell’energia, C. PELLEGRINO, Autonomia regionale differenziata per

politiche specifiche: l’energia e la Regione Basilicata, 3/2019, 21 ottobre 2019].

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di questo dobbiamo ora specificamente dire); l’altra qualità attiene alla linearità interna al quadro

pattiziamente definito, bisognoso di presentarsi armonico ed equilibrato in ogni sua parte. Come ciò

possa concretamente aversi è questione su cui ad oggi regna non poca confusione ed incertezza.

3. I (pochi) punti fermi fissati nel dettato costituzionale (con specifico riguardo al mantenimento

del regime duale di autonomia, nelle sue articolazioni in speciale e ordinaria, seppur specializzabile,

ed alla impossibilità di estendere a tappeto, con le procedure dell’art. 116, la “specializzazione” per

l’intero territorio della Repubblica)

Ciò posto in premessa e con riserva di approfondimenti a breve, è doveroso riconoscere che nel

dettato costituzionale, al di là di alcune sue innegabili carenze da cui si alimentano i non pochi dubbi

interpretativi che esso solleva, alcuni punti fermi risultino comunque in esso fissati, per quanto, ad

onor del vero, essi pure siano da più d’uno messi in discussione.

Il primo è dato dal mantenimento del regime duale dell’autonomia regionale, articolato nei due

tipi della ordinarietà e della specialità. Malgrado il diverso avviso di alcuni studiosi, a cui opinione

il disposto in esame avrebbe creato un nuovo “tipo” di autonomia regionale, la “specializzazione” è

in esso prefigurata in seno al genus delle Regioni di diritto comune, le sole alle quali è data appunto

la opportunità di differenziarsi in parte dalle Regioni della loro stessa natura13. D’altro canto, è di

tutta evidenza che le Regioni speciali sono appunto già… tali, in forza di quanto dispongono i

rispettivi statuti; ed è solo a mezzo della loro modifica, con le forme allo scopo previste, che possono

acquisire ulteriori forme e condizioni di autonomia.

Altra questione, poi, è se abbia senso, specie nel presente contesto politico-istituzionale ed

economico-sociale, assai diverso da quello in cui è maturata la stagione costituente, il mantenimento

del doppio regime suddetto. Un senso che, anche a parer mio, non ha, per la elementare ragione che

le condizioni complessive dei territori (e, di conseguenza, l’assetto degli interessi dagli stessi

emergenti) sono assai diverse, specie con riguardo a talune Regioni, forzatamente appiattite e fatte

oggetto di un identico regime14. Di qui, l’opzione, già altrove manifestata15, per un regime di

specialità diffusa al cui impianto, tuttavia, non si è potuto far luogo per le resistenze venute da una

“logica” campanilistica dura da rimuovere, che induce a pensare che anche in futuro il modello qui

vagheggiato assai difficilmente potrà concretarsi16.

13 Il punto è, per vero, discusso e la contraria opinione patrocinata da un’agguerrita dottrina (G. PASTORI, La nuova

specialità, in Le Regioni, 2001, 493; P. PINNA, Il diritto costituzionale della Sardegna, Giappichelli, Torino 2003, 135 s.;

M. CECCHETTI, La differenziazione delle forme e condizioni dell’autonomia regionale nel sistema delle fonti, in

Osservatorio sulle fonti 2002, a cura di P. Caretti, Giappichelli, Torino 2003, 143 ss., e D. GALLIANI, All’interno del

Titolo V: le “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” di cui all’art. 116.3 Cost. riguardano anche le Regioni

a Statuto speciale?, in Le Regioni, 2-3/2003, 419 ss.; altri riferimenti, di recente, in O. CARAMASCHI, Dalla specialità

regionale alla differenziazione ex art. 116, terzo comma, Cost.: verso un sistema regionale asimmetrico?, in Diritti

Regionali, 2/2019, 6 agosto 2019, §§ 2 e 3, e, nella stessa Rivista, T. CERRUTI, Regioni speciali e differenziate: verso una

convergenza?, 24 agosto 2019, spec. § 2), ma la lettera del disposto costituzionale non lascia – a me pare – scampo circa

la soluzione qui nuovamente patrocinata, a favore della quale mi sono già dichiarato nel mio La “specializzazione”

dell’autonomia regionale: se, come e nei riguardi di chi farvi luogo, in Ist. fed., 1/2008, 21 ss., nonché in Forum di

Quaderni Costituzionali, § 3; v., inoltre, ora, T. MARTINES - A. RUGGERI - C. SALAZAR - A. MORELLI, Lineamenti di

diritto regionale10, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano 2019, 24. 14 Sull’asimmetria quale tratto caratterizzante modelli ed esperienze degli Stati composti, v., di recente, i contributi

che sono in Ist. fed., 2/2018, in tema di Asimmetrie e conflitti territoriali nel quadro dell’integrazione europea; inoltre,

F. PALERMO, Lo stato delle asimmetrie regionali in chiave comparata. Miti, realtà e qualche chiave di lettura, in Rass.

dir. pubbl. eur., 2/2018 (fasc. dedicato a Europa, federalismo, diversità, asimmetrie, a cura di R.L. Blanco Valdés e L.

Ferraro), 291 ss. Sulla cultura dell’autonomia, v., poi, AA.VV., La cultura dell’autonomia. Le condizioni pre-giuridiche

per un’efficace autonomia regionale, a cura di R. Toniatti, Università di Trento, Trento 2018. 15 Ragguagli nel mio Prospettive di una “specialità” diffusa delle autonomie regionali, in Nuove aut., 6/2000, 845 ss. 16 … perlomeno nella sua forma pura; potrebbe, tuttavia, accadere che, ove il meccanismo di cui all’art. 116, comma

3, Cost., dovesse farsi valere per tutte le Regioni ordinarie, il regime comune nei fatti scompaia e venga dunque

rimpiazzato da un anomalo regime di “specializzazione” diffusa (v., infatti, quanto se ne dice subito appresso).

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Un secondo punto è dato dall’essere la “specializzazione” dell’autonomia, prefigurata nel disposto

in esame, per sua natura portata all’affermazione di “forme e condizioni” di autonomia almeno in

parte peculiari della singola Regione “specializzata”, dunque diverse tanto rispetto ad altre Regioni

esse pure “differenziate” quanto rispetto a quelle di diritto comune, che seguiteranno ad essere in tutto

e per tutto governate dal Titolo V.

È proprio qui che, invero, si annida il rischio che il disposto dell’art. 116, fatto oggetto di una

innaturale torsione, si traduca in un grimaldello suscettibile di far “saltare” il modello costituzionale,

per plurime e persino opposte ragioni.

Così, per un verso, potrebbe assistersi all’adozione di intese sostanzialmente ripetitive che portino

ad una modifica di fatto del Titolo V, in frode alle procedure di cui all’art. 138. Se questa eventualità

dovesse concretarsi, sarebbe da prendere in considerazione l’ipotesi che si abbia un’intesa

“collettiva”, sottoscritta da più Regioni con lo Stato ovvero che si abbiano grappoli d’intese

sostanzialmente omogenee per l’impianto e nei contenuti17. La qual cosa, però, farebbe a pugni con

il carattere peculiare e tipico di ciascuna Regione degli interessi meritevoli di tutela in ragione della

complessiva conformazione dei territori. Temo, però, che in pratica nulla possa impedire che si

abbiano le intese “collettive” in parola, per quanto la lettera del disposto costituzionale si riferisca a

singole Regioni18; e, d’altronde, potrebbe in ogni caso assistersi alla venuta alla luce d’intese in larga

misura reciprocamente sovrapponibili.

Per un altro verso, poi, il modello costituzionale potrebbe risultare ugualmente aggirato anche nel

caso che si avessero nuovi regimi di autonomia tutti diversi, sia pure nei limiti consentiti dall’art. 116,

l’uno dall’altro e diffusi a tappeto per l’intero territorio della Repubblica in cui sono stanziate le

Regioni di diritto comune19.

La specializzazione è, infatti, un’opportunità offerta a tutte le Regioni di diritto comune; e sarebbe,

anzi, una buona cosa se tutte se ne avvalessero, a partire da quelle meridionali che non devono aver

paura di dotarsi di “forme e condizioni particolari” di autonomia, congeniali a ciascuna di esse20. Solo

che è insito nel disegno costituzionale il fatto che ci si “specializzi” rispetto al regime comune,

mantenuto – come dice lo stesso aggettivo con cui è usualmente qualificato – per la gran parte delle

Regioni. Dunque, per l’idea che sembra essersi fatto l’autore dell’enunciato in parola, la

“specializzazione” dovrebbe riguardare solo alcune e tendenzialmente poche Regioni21: se non porsi,

insomma, quale una eccezione (in senso proprio), di certo non dovrebbe risultare la regola22.

È però chiaro che è praticamente impossibile (ed anzi, come si è venuti dicendo, non auspicabile)

impedire la “specializzazione” diffusa dell’autonomia, non essendo pensabile, ad es., che la Consulta

17 In tema, v., part., A. MORRONE, Il regionalismo differenziato. Commento all’art. 116, comma 3, della Costituzione,

in Fed. fisc., 1/2007, 166 ss.; M. OLIVETTI, Il regionalismo differenziato alla prova dell’esame parlamentare, in

Federalismi.it, 6/2019, 20 marzo 2019, 30; G. CHIARA, Il regionalismo differenziato tra attese federaliste deluse e rischi

di eccessi, in Forum di Quaderni Costituzionali, 6 luglio 2019, § 4; D. CASANOVA, Osservazioni sulla procedura

parlamentare di approvazione del c.d. regionalismo differenziato ex art. 116, terzo comma, Cost., in Diritti Regionali,

3/2019, 8 settembre 2019, 29, e M. MANCINI, La via veneta al regionalismo “differenziato”, tra ottimismo della volontà

e pessimismo della ragione (costituzionale). Profili procedurali, cit., 11 s. 18 Non si dimentichi che, a stare alla lettera dell’enunciato, l’iniziativa d’intesa è riconosciuta in capo alla “Regione

interessata”, dalla quale l’intesa stessa è quindi sottoscritta. Peraltro, una consultazione “collettiva”, nel senso sopra detto,

degli enti locali presenti in Regioni diverse parrebbe essere di problematica realizzazione (sul punto, tra gli altri, M.

OLIVETTI, Il regionalismo differenziato alla prova dell’esame parlamentare, cit., § 6.2). 19 Così, di recente, A. POGGI, Editoriale. Qualche riflessione sparsa sul regionalismo differenziato (a margine del

Convegno di Torino), in Diritti Regionali, 2/2019, 1 aprile 2019, 6 s., e R. BALDUZZI - D. SERVETTI, Regionalismo

differenziato e materia sanitaria, in Rivista AIC, 2/2019, 17 aprile 2019, 4. 20 Molte di esse, peraltro, si sono finalmente attivate in tal senso (per un quadro d’assieme, v. il Dossier del Servizio

studi del Senato, n. 104 del marzo 2019, su Il processo di attuazione del regionalismo differenziato, a cura di L. Fucito e

M. Frati). 21 Interessanti rilievi al riguardo in F. CORTESE, La nuova stagione del regionalismo differenziato: questioni e

prospettive, tra regola ed eccezione, in Le Regioni, 4/2017, 689 ss. e, ora, A. SPADARO, Appunti sul “regionalismo

differenziato”: una buona idea che può diventare un disastro, cit., § 8. 22 Tornerebbe, allora, a riproporsi l’interrogativo di fondo relativo a quale possa essere il fattore determinante la

conversione di natura degli interessi meritevoli di tutela unicamente a beneficio di alcune Regioni.

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(non è chiaro, poi, da chi adita) faccia cadere questa o quella legge adottata a seguito di intesa

unicamente per la ragione che la procedura di differenziazione sia stata messa in atto a “tappeto” o,

quanto meno, a beneficio della gran parte delle Regioni.

Il vero è che l’acclarata diversità dei territori di cui si compone la Repubblica avrebbe piuttosto

richiesto – come si diceva –, in primo luogo, una diversa distribuzione degli stessi tra le Regioni23 e,

secondariamente, per logica conseguenza, avrebbe sollecitato l’impianto di quel regime di specialità

diffusa, cui si faceva sopra cenno, ma non con le procedure di cui all’art. 116, comma 3, Cost., bensì

a mezzo di statuti speciali, sulla falsariga di quanto stabilito per le attuali cinque Regioni che ne sono

dotate24.

4. Le (molte) questioni aperte, per il profilo procedimentale (con particolare riguardo alla

emendabilità del disegno di legge che recepisce l’intesa ed alla eventuale rescissione unilaterale di

quest’ultima)

Di gran lunga maggiori – come segnalo già nel titolo dato a questa mia succinta riflessione – le

questioni aperte dal disposto costituzionale in esame.

Per un fatto di ordine, le espongo distinguendo – come, peraltro, si è soliti fare – quelle che

attengono alla procedura da quelle di sostanza, con l’avvertenza però che la distinzione può farsi solo

fino ad un certo punto, a partire dal quale le prime scivolano e si convertono nelle seconde o, come

che sia, fanno a queste rimando.

Non faccio qui parola delle non poche questioni riguardanti la fase endoregionale, la cui disciplina

resta demandata alle fonti di autonomia, chiamate a far luogo a scelte di estrema delicatezza, specie

per gli equilibri di ordine politico-istituzionale da esse discendenti o ad esse comunque in rilevante

misura legati. La “forma di governo” e la stessa “forma di Regione” – per riprendere qui usuali

etichette, che nondimeno meriterebbero un complessivo, critico ripensamento – risultano, di tutta

evidenza, condizionate nel loro modo di essere e nel concreto svolgimento nell’esperienza per il solo

fatto che il patrimonio funzionale della Regione si riconformi in un certo modo piuttosto che in un

altro e in questa o quella misura.

Gli effetti delle soluzioni organizzative adottate possono, poi, riflettersi a raggiera, coinvolgendo

anche gli enti locali stanziati nel territorio della Regione, sol che si pensi che la loro consultazione,

prevista a pena d’invalidità della procedura delineata in Costituzione25, potrebbe aversi in questo

ovvero quel tratto del percorso disegnato nell’art. 116 e con riguardo a questo o quell’oggetto (la

bozza d’intesa già bell’e fatta o una sorta di “pre-bozza”?)26.

23 Sull’annosa questione, tra gli altri, A. LUCARELLI, Le Macroregioni “per funzioni” nell’intreccio multilivello del

nuovo tipo di Stato, in Federalismi.it, 6/2015, 25 marzo 2015 e, nella stessa Rivista, più di recente, O. SPATARO, Crisi del

regionalismo e macroregioni. Spunti di riflessione, 6/2018, 14 marzo 2018; A. POGGI, Tra territorio e spazio... qualche

riflessione, in Diritti Regionali, 3/2018, 28 dicembre 2018, e A. STERPA, La differenziazione possibile: istituire le macro-

Regioni per ridisegnare la mappa della diversità, cit., spec. § 3. 24 Anche, poi, per ciò che concerne la venuta alla luce delle leggi costituzionali di approvazione degli statuti in parola

sarebbe urgente una riscrittura delle regole relative alla loro formazione, in vista di un più appagante equilibrio tra le

istanze di autonomia e quelle di unità (sul punto, se si vuole, può vedersi il mio Note minime a margine di una proposta

volta a convertire il “parere” in “intesa” nelle procedure di revisione, d’iniziativa governativa o parlamentare, degli

statuti regionali speciali: un passo avanti o uno indietro lungo la via della promozione dell’autonomia?, in Diritti

Regionali, 3/2018, 11 ottobre 2018). 25 … senza che nondimeno sia chiaro in che forme potrà aversi (se, ad es., a mezzo del CAL ovvero interpellando

direttamente gli enti locali e come questi ultimi potranno esprimersi). È poi opportuno rendere partecipi del processo

devolutivo di funzioni anche le Conferenze [su ciò, tra gli altri, G. TARLI BARBIERI, Verso un regionalismo differenziato

o verso un regionalismo confuso? Appunti sulla (presunta) attuazione dell’art. 116, comma 3, Cost., cit., 18], sì da

contenere (se non pure azzerare del tutto) i rischi di future e laceranti controversie tra la Regione interessata alla

“specializzazione” ed altre che si sentano da questa penalizzate, con conseguente aggravio del contenzioso davanti alla

Consulta, al quale farò cenno sul finire di questa riflessione. 26 Molti hanno fatto notare che sarebbe opportuno lo svolgimento della consultazione su uno schema d’intesa ancora

in via di perfezionamento, sì da dar modo agli enti locali di poter incidere sui suoi contenuti; è pur vero, però, che lo

schema stesso potrebbe poi andare soggetto a modifiche anche in punti diversi da quelli oggetto dei rilievi degli enti

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In generale, confesso di non essere dell’idea che procedure già di per sé alquanto farraginose

possano risultare viepiù complicate, ma non esito a schierarmi a favore di soluzioni organizzative che

assicurino la più larga partecipazione della comunità organizzata, per un verso, e, per un altro verso,

degli organi di apparato all’adozione di misure da cui dipende la consistenza stessa dell’autonomia

non soltanto della Regione ma anche degli enti con i quali la stessa è chiamata a cooperare (non si

dimentichi, a questo riguardo, che le funzioni che, per il tramite dell’intesa, saranno devolute alla

Regione dovranno poi essere esercitate in obbedienza a quel principium cooperationis sia tra organi

che tra enti che è canone fondamentale dell’azione dei pubblici poteri, nonché con la più larga

partecipazione della comunità all’esercizio dei poteri stessi). Per questa ragione, a me pare che, pur

essendo demandato lo svolgimento delle trattative precedenti la stipula dell’intesa agli esecutivi27,

sarebbe sommamente opportuno il costante e fattivo coinvolgimento anche delle assemblee

legislative, secondo quanto si dirà meglio a momenti con specifico riferimento al ruolo delle Camere.

Venendo, dunque, a dire specificamente della fase extraregionale, la questione di maggior rilievo,

tanto da essere quella che maggiormente ha attratto l’attenzione degli studiosi, è senza dubbio quella

relativa alla emendabilità dell’intesa (rectius, del disegno di legge che la recepisce) nella sede

parlamentare.

Molti hanno insistito nel rilevare come risulti forzato, in ragione della diversità degli oggetti di

regolazione, l’accostamento al tandem intesa-legge, di cui all’art. 8, comma 3, Cost.28. La qual cosa

suddetti, senza che questi ultimi abbiano più modo di manifestare il loro avviso [sulla consultazione in parola, v., tra gli

altri e variamente, oltre allo scritto sopra richiamato di G. TARLI BARBIERI, 16 ss., S. AGOSTA, L’infanzia «difficile» (…

ed un’incerta adolescenza?) del nuovo art. 116, comma 3, Cost. tra proposte (sempre più pressanti) di revisione

costituzionale ed esigenze (sempre più sentite) di partecipazione regionale alla riscrittura del quadro costituzionale delle

competenze, in AA.VV., La riforma del titolo V della Costituzione e la giurisprudenza costituzionale, a cura di E.

Bettinelli e F. Rigano, Giappichelli, Torino 2004, 329 ss.; A. MORRONE, Il regionalismo differenziato. Commento all’art.

116, comma 3, della Costituzione, cit., 170 ss.; F. FURLAN, Il regionalismo asimmetrico a pochi passi dalla meta: quali

le questioni ancora aperte?, in Forum di Quaderni Costituzionali, 6 novembre 2018, § 3.3; M. OLIVETTI, Il regionalismo

differenziato alla prova dell’esame parlamentare, cit., § 7; M. MANCINI, La via veneta al regionalismo “differenziato”,

tra ottimismo della volontà e pessimismo della ragione (costituzionale). Profili procedurali, cit., 19 ss., e, ora, R. CARIDÀ,

Notazioni sulla portata applicativa dell’art. 116 della Costituzione e funzioni amministrative, in Dirittifondamentali.it,

2/2019, 15 ottobre 2019, spec. § 2. 27 Considero questo uno dei punti fermi, dei quali si è prima discorso, anche se in dottrina è stata prospettata la tesi

favorevole allo svolgimento delle trattative da parte delle assemblee elettive (v., part., O. CHESSA, Il regionalismo

differenziato e la crisi del principio autonomistico, in Diritto @ Storia, 15/2017, § 5. Anche A. SPADARO, Appunti sul

“regionalismo differenziato”: una buona idea che può diventare un disastro, cit., § 7, si prefigura ora il caso che sia la

Regione a stabilire se demandare alla Giunta o al Consiglio di condurre le trattative; ed è chiaro – a me pare – che, ove

sia chiamato in campo quest’ultimo, anche la controparte dovrebbe essere data dal Parlamento. Non mi sembra tuttavia

ragionevole che lo Stato debba allinearsi alla scelta della Regione. Favorevole alla soluzione che vuole le trattative

condotte dagli esecutivi, ex plurimis, M. OLIVETTI, Il regionalismo differenziato alla prova dell’esame parlamentare, cit.,

§ 8). D’altronde, per un verso, si fatica a comprendere come possano materialmente svolgersi le trattative stesse nella

sede parlamentare, mentre, per un altro verso, la tesi qui patrocinata ha avuto pieno riscontro nell’esperienza fino ad oggi

maturata.

La circostanza, poi, che l’intesa venga alla luce per mano degli esecutivi dà, per la sua parte, ulteriore conferma del

fatto che a riguardo della iniziativa, di cui è parola nell’art. 116, si debba tenere distinta – come si è già in altri luoghi

prospettato [tra i quali, il mio La “specializzazione” dell’autonomia regionale: se, come e nei riguardi di chi farvi luogo,

cit., 34; v., inoltre, S. AGOSTA, L’infanzia «difficile» (… ed un’incerta adolescenza?) del nuovo art. 116, comma 3, Cost.

tra proposte (sempre più pressanti) di revisione costituzionale ed esigenze (sempre più sentite) di partecipazione

regionale alla riscrittura del quadro costituzionale delle competenze, cit., 328] – l’iniziativa d’intesa, che di certo

esclusivamente compete alla Regione, dall’iniziativa legislativa (nella sua propria e ristretta accezione) che è da

considerare riservata al Governo, mentre solo in via sussidiaria, in caso di perdurante inerzia del Governo stesso, potrebbe

ammettersene l’esercizio da parte della Regione interessata (sarebbe, dunque, da escludere, malgrado il silenzio dell’art.

116 possa far pensare diversamente, l’esercizio da parte degli altri soggetti od organi titolari del diritto d’iniziativa che, a

tacer d’altro, non dispongono dell’intesa e non possono perciò presentarla alle Camere). È, ad ogni buon conto, chiaro

che solo il Governo può farsi garante davanti alla maggioranza che lo sostiene ed all’intero Parlamento del patto siglato

con la Regione. Ed è sempre per questa ragione che il disegno di legge di ricezione dell’intesa è, in buona sostanza, da

considerare sorretto da una questione di fiducia implicita o di fatto, se non pure de iure (ma su ciò, infra). 28 Richiamo qui solo un appello sottoscritto da numerosi costituzionalisti, che può vedersi in Federalismi.it, 5/2019,

6 marzo 2019, sotto il titolo Regionalismo differenziato, ruolo del Parlamento e unità del Paese, nel quale si prende

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è di tutta evidenza29. Il disposto da ultimo richiamato, peraltro, pone problemi peculiari anche per

l’aspetto dei soggetti stipulanti30, specie laddove dovesse accogliersi il punto di vista di un’accreditata

dottrina favorevole a riconoscere in capo alle intese natura di accordi di diritto esterno, sulla falsariga

dei Concordati con la Chiesa31.

Senza ora insistere oltre modo su un confronto che rischia di rivelarsi fuorviante, sta di fatto che,

malgrado gli sforzi argomentativi prodotti da una nutrita schiera di studiosi favorevole a riconoscere

alle Camere la facoltà di emendamento in parola32, nessun appiglio testuale offre l’art. 116 a sostegno

risolutamente posizione a favore della emendabilità nella sede parlamentare del disegno di legge che dà seguito all’intesa.

Non si trascuri, ad ogni buon conto, la circostanza per cui l’accostamento con le procedure relative alle intese con le

confessioni religiose figura esplicitamente negli “accordi preliminari” siglati in vista della stipula delle intese qui fatte

oggetto di studio (G. PICCIRILLI, Gli “Accordi preliminari” per la differenziazione regionale. Primi spunti sulla

procedura da seguire per l’attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost., cit., e A. NAPOLITANO, Il regionalismo

differenziato alla luce delle recenti evoluzioni. Natura giuridica ed effetti della legge ad autonomia negoziata, in

Federalismi.it, 21/2018, 7 novembre 2018, 37). Su tutto ciò, ora, F. BALSAMO, Regionalismo differenziato e libertà

religiosa, cit. 29 Fa ora il punto sull’autonomia delle confessioni religiose diverse dalla cattolica e sul modulo pattizio di cui all’art.

8, comma 3, Cost., A. MORELLI, L’autonomia delle confessioni religiose tra legislazione e giurisdizione, relaz. al

Convegno su Ripensare o “rinnovare” le formazioni sociali? Legislatori e giudici di fronte alle sfide del pluralismo

sociale nelle democrazie contemporanee, a cura di A. Ciancio, Catania 24-25 maggio 2019, in paper. 30 La differenza rispetto al caso nostro è lampante già per il fatto che il Governo non potrebbe, in alcun caso, rifiutarsi

di sedere al tavolo delle trattative, così come invece si è avuto in base ad una discussa (e discutibile) pronunzia della

Consulta, la n. 52 del 2016, dal momento che le Regioni che facciano richiesta di attivazione del meccanismo di cui

all’art. 116, comma 3, Cost., hanno il titolo giuridico che le abilita in tal senso riconosciuto dalla stessa Carta

costituzionale, ponendosi tra i soggetti componenti la Repubblica, ex art. 114 cost. Bene invece farebbe il Governo ad

opporre il diniego in parola, ove la richiesta di trattativa dovesse venire da Regione speciale, priva dell’abilitazione

suddetta. 31 G. CASUSCELLI, Concordati, intese e pluralismo confessionale, Giuffrè, Milano 1974, seguito da J. PASQUALI

CERIOLI, Il progetto di legge parlamentare di approvazione delle intese con le confessioni diverse dalla cattolica: nuovi

orientamenti e interessanti prospettive, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, marzo 2010. Diversamente, per tutti,

F. ALICINO, La legislazione sulla base di intese. I test delle religioni “altre” e degli ateismi, Cacucci, Bari 2013. 32 Riferimenti, di recente, oltre che nello scritto di F. BALSAMO, sopra cit., in L. VIOLINI, L’autonomia delle Regioni

italiane dopo i referendum e le richieste di maggiori poteri ex art. 116, comma 3, Cost., cit., 330 s.; T. CERRUTI, Regioni

speciali e differenziate: verso una convergenza?, cit., spec. 15 s.; G. TARLI BARBIERI, Verso un regionalismo differenziato

o verso un regionalismo confuso? Appunti sulla (presunta) attuazione dell’art. 116, comma 3, Cost., cit., 18 ss.; F. BIONDI,

Il regionalismo differenziato: l’ineludibile ruolo del Parlamento, in Quad. cost., 2/2019, 442 s.; G. CHIARA, Il

regionalismo differenziato tra attese federaliste deluse e rischi di eccessi, cit., § 4; F. PALERMO, Il ruolo dello Stato nel

regionalismo asimmetrico, in Federalismi.it, 15/2019, 31 luglio 2019, spec. § 2; A. VERNATA, Il regionalismo

differenziato alla prova della Costituzione, in Costituzionalismo.it, 2/2019, 12 ss.; A. MENCARELLI, Il caso della legge

negoziata sul “regionalismo differenziato” e il ruolo del Parlamento: i possibili scenari procedurali, in Federalismi.it,

17/2019, 18 settembre 2019; M. MANCINI, La via veneta al regionalismo “differenziato”, tra ottimismo della volontà e

pessimismo della ragione (costituzionale). Profili procedurali, cit., 25 ss.; C. IANNELLO, La piena sovranità del

Parlamento nella determinazione dei contenuti e dei limiti dell’autonomia differenziata, cit., § 3; A. LUCARELLI,

Regionalismo differenziato e incostituzionalità diffuse, cit., 11 ss.; M. VILLONE, Riforme e controriforme in gialloverde,

cit., 87 ss., e D. CASANOVA, Osservazioni sulla procedura parlamentare di approvazione del c.d. regionalismo

differenziato ex art. 116, terzo comma, Cost., cit., part. § 3, con richiamo alla posizione degli studiosi (part., A. MORRONE,

Il regionalismo differenziato. Commento all’art. 116, comma 3, della Costituzione, cit., 165) che si sono dichiarati

dell’avviso che le eventuali modifiche apportate nella sede parlamentare comportino una riapertura del negoziato con la

Regione (cfr., sul punto, v., inoltre, F. CORTESE, La nuova stagione del regionalismo differenziato: questioni e prospettive,

tra regola ed eccezione, cit., 707 s.; R. TONIATTI, L’autonomia regionale ponderata: aspettative ed incognite di un

incremento delle asimmetrie quale possibile premessa per una nuova stagione costituzionale del regionalismo italiano,

in Le Regioni, 4/2017, 657; D. MONE, Autonomia differenziata come mezzo di unità statale: la lettura dell’art. 116,

comma 3 Cost., conforme a Costituzione, in Rivista AIC, 1/2019, 7 marzo 2019, spec. 277 ss.; B. CARAVITA, Un doppio

binario per l’approvazione del regionalismo differenziato?, in Federalismi.it, 13/2019, 22 giugno 2019, spec. § 2; A.

MORELLI, Dinamiche del regionalismo differenziato e declinazioni congiunturali dell’autonomia territoriale, cit., 25).

Altro è però una direttiva politica manifestata dalle Camere al di fuori del procedimento legislativo, che può incidere sullo

svolgimento delle trattative, ed altra cosa l’approvazione con questa o quella modalità del disegno che recepisce l’intesa.

Questo (e solo questo) è il punto ora discusso. Quanto, poi, all’ipotesi, già ventilata in relazione alla stipula e ricezione

delle intese con le confessioni religiose ed affacciata anche con riguardo al caso nostro, secondo cui nulla osterebbe a che

la controparte dello Stato (qui, la Regione) possa recepire in un momento successivo gli emendamenti parlamentari al

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di questa tesi. Una tesi che, peraltro, per un verso, rischia di dimostrarsi alla prova dei fatti ingenua,

specie laddove dovesse ammettersi che il disegno di legge possa andare soggetto a questione di

fiducia33, e, per un altro verso, di ritorcersi in un pregiudizio per l’autonomia, sol che si convenga a

riguardo del fatto che le eventuali modifiche parlamentari potrebbero poi non essere in melius o,

comunque, realizzare una più efficace sintesi tra le istanze di autonomia e quelle di unità.

Ora, ingenerandosi incertezza circa l’esito di una procedura pur sempre lunga e defatigante, le

Regioni potrebbero alla fin fine sentirsi scoraggiate dal prendere l’iniziativa volta alla

“specializzazione” e, comunque, nutrire diffidenza circa la lealtà della controparte nel tenere fermo

il patto siglato a Palazzo Chigi.

Appare dunque preferibile seguire un diverso percorso, che dia modo alle Camere di indirizzare al

Governo un pugno di “principi e criteri direttivi” già prima dell’avvio delle trattative con la Regione34

e, poi, di seguire passo passo lo svolgimento delle trattative stesse fino ad esprimere il proprio parere

su una bozza d’intesa prima che sia licenziata dal Governo35.

Muovendo dal presupposto della non emendabilità dell’intesa e al fine di salvaguardare al massimo

la libera formazione della volontà dei singoli parlamentari e delle assemblee nel loro insieme, si è

prospettata l’ipotesi di “spacchettare” le materie oggetto di “specializzazione”, in buona sostanza

facendo dunque luogo a plurime intese con la stessa Regione, ciascuna avente carattere omogeneo, sì

disegno di legge, si può, a mio modo di vedere, obiettare che si ribalta in tal modo l’ordine naturale delle cose, l’intesa

dovendo formarsi in ogni sua parte in un momento antecedente, non già in uno successivo, a quello dell’approvazione

della legge che vi dà seguito. Al fine di superare questo rilievo, si è proposto (R. DICKMANN, Note in tema di legge di

attribuzione di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” ai sensi dell’art. 116, terzo comma, Cost., in

Federalismi.it, 5/2019, 6 marzo 2019, 16, cui si richiama anche D. CASANOVA, op. cit., 21, in nt. 39) di dar modo alla

Regione di partecipare attivamente ai lavori parlamentari ed esprimere, dunque, il proprio avviso (se del caso, favorevole)

alle modifiche. Una soluzione che, però, può essere positivamente valutata al piano politico, non pure, a mio modo di

vedere, a quello teorico-giuridico, dal momento che essa non scioglie il nodo interpretativo legato dall’art. 116. 33 Ma v., su ciò, gli argomentati rilievi di M. OLIVETTI, Il regionalismo differenziato alla prova dell’esame

parlamentare, cit., § 9.5, che nondimeno non si nasconde la eventualità che si abbia una questione di fiducia di fatto, sotto

forma di dichiarazione politica. Ciò che potrebbe ugualmente esercitare una pressione non lieve sulla libera formazione

della volontà dei singoli parlamentari. 34 È chiaro che l’attività d’indirizzo, cui si fa ora cenno, è cosa ben diversa dalla previa adozione di una legge-quadro

di attuazione dell’art. 116, la cui adozione è stata caldeggiata da molti autori e però ritenuta non necessaria da altri

[riferimenti e indicazioni in F. PIZZETTI, Le nuove esigenze di governance in un sistema policentrico “esploso”, in Le

Regioni, 6/2001, 1164 ss.; A. MORRONE, Il regionalismo differenziato. Commento all’art. 116, comma 3, della

Costituzione, cit., 153 ss.; M. DI FOLCO, Il regionalismo differenziato; profili problematici e proposte attuative, in Astrid,

16/2011, 21 settembre 2011, § 3; L. VIOLINI, L’autonomia delle Regioni italiane dopo i referendum e le richieste di

maggiori poteri ex art. 116, comma 3, Cost., cit., 324 s.; A. PIRAINO, Regionalismo differenziato: attuazione o

cambiamento costituzionale?, cit., § 2; G. TARLI BARBIERI, Verso un regionalismo differenziato o verso un regionalismo

confuso? Appunti sulla (presunta) attuazione dell’art. 116, comma 3, Cost., cit., 11; F. ANGELINI, Autonomia differenziata

e tutela della salute: autonomia competitiva dei Sistemi sanitari regionali vs universalismo solidale del sistema sanitario

nazionale, in Federalismi.it, 15/2019, 31 luglio 2019, § 3; C. IANNELLO, La piena sovranità del Parlamento nella

determinazione dei contenuti e dei limiti dell’autonomia differenziata, cit., § 2, e, volendo, anche nel mio La

“specializzazione” dell’autonomia regionale: se, come e nei riguardi di chi farvi luogo, cit., § 2.1]: una soluzione, quella

della disciplina in parola, che presenta innegabili vantaggi ma comporta anche costi evidenti, a partire da quello di differire

ad un tempo futuro ed incerto la stipula delle intese (ribalto – come si vede – la prospettiva adottata da L. MICHELOTTI,

A dieci anni dalla costituzionalizzazione del regionalismo asimmetrico: una mano sul freno a leva oppure un piede

sull’acceleratore per l’art. 116, terzo comma, Cost.?, in Le Regioni, 1/2012, 101 ss., che imputa invece i ritardi

nell’attuazione dell’art. 116 proprio alla mancanza di leggi attuative, statale e regionali). 35 Sulle possibili forme di coinvolgimento attivo delle Camere, tra gli altri, v. M. OLIVETTI, Il regionalismo

differenziato alla prova dell’esame parlamentare, cit., § 9.3; D. CASANOVA, Osservazioni sulla procedura parlamentare

di approvazione del c.d. regionalismo differenziato ex art. 116, terzo comma, Cost., cit., § 4; A. MENCARELLI, Il caso

della legge negoziata sul “regionalismo differenziato” e il ruolo del Parlamento: i possibili scenari procedurali, cit.,

spec. 12 ss.; G. CHIARA, Il regionalismo differenziato tra attese federaliste deluse e rischi di eccessi, cit., § 4; S.

BARGIACCHI, L’iter parlamentare del disegno di legge di differenziazione: tra esigenze bilaterali e la necessaria

centralità del Parlamento, in Federalismi.it, 18/2019, 2 ottobre 2019, spec. § 4; A. SPADARO, Appunti sul “regionalismo

differenziato”: una buona idea che può diventare un disastro, cit., spec. § 7, punto n. 4.

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da evitare che ciascun parlamentare si trovi obbligato a soppesare le ragioni del sì con quelle del no,

come verosimilmente potrebbe aversi in caso di unica intesa ad oggetto plurimo.

È qui evidente l’influenza dell’annoso dibattito riguardante gli oggetti delle pronunzie referendarie

e delle leggi di revisione costituzionale. Può, tuttavia, tornare, ancora una volta, utile l’esperienza

maturata sul terreno dei rapporti con le confessioni religiose, unitamente a ragioni di economia, che

portano dunque a concludere per l’ammissibilità di un’unica intesa con la singola Regione.

Problemi di grande momento si pongono, poi, in relazione alla eventuale rescissione non

concordata dell’intesa, tanto per il caso che si abbia da parte dello Stato, in conseguenza dell’acclarata

e ripetuta inerzia o di carenze in genere evidenziatesi in sede di esercizio delle funzioni da parte della

Regione “specializzata”, quanto per il caso che si abbia da parte di quest’ultima che non intenda più

farsi carico di determinate funzioni.

Fermo restando che è senza dubbio preferibile uno scenario che veda rimossa o sostanzialmente

cambiata l’intesa per via pattizia, occorre, comunque, guardarsi dal rischio che s’intenda l’art. 116

come espressivo di un modulo di bilateralità necessaria, anche per il caso dell’eventuale superamento

dell’intesa, così come si è fatto da un’accreditata dottrina in relazione alle intese con le confessioni

religiose diverse dalla cattolica. La qual cosa potrebbe portare all’effetto di una innaturale

“pietrificazione” dell’intesa stessa, per il caso che la controparte non dovesse concordare

sull’opportunità del superamento stesso.

È proprio qui che, come si accennava poc’anzi, si registra una lacuna di costruzione nel disegno

fatto nell’art. 116, una carenza che per vero non è chiaro come possa essere colmata, in attesa di una

(ad oggi improbabile) revisione del disposto in parola.

Non è chiaro, in particolare, come possa conciliarsi il bisogno di salvaguardare le aspettative di

tutela di ciascuna delle parti in causa (in ispecie, del soggetto storicamente debole del rapporto, la

Regione) con il bisogno di dar modo a ciascuna di esse di sciogliersi da un vincolo che potrebbe in

talune congiunture rivelarsi soffocante.

Quanto ad una eventuale iniziativa dello Stato in tal senso, una soluzione adeguata parrebbe essere

quella dell’abrogazione della legge, di cui all’art. 116, comma 3, Cost., da parte di altra legge

approvata a maggioranza “iperaggravata” (ad es., in unica deliberazione adottata a maggioranza dei

due terzi dei membri di ciascuna Camera), una maggioranza che potrebbe considerarsi espressiva di

una garanzia sufficiente anche per l’autonomia regionale. Il punto è, però, che di questa eventualità

non v’è traccia alcuna nel dettato costituzionale; la qual cosa, per vero, è da riportare a quella “logica”

di favore per una disciplina pattiziamente definita, di cui si diceva poc’anzi.

Si potrebbe, per vero, prendere in considerazione l’idea che sia la stessa intesa a prefigurare il suo

stesso superamento ad opera della legge “iperaggravata” suddetta. Senonché all’accoglimento di

questa eventualità osta la circostanza per cui nessuna fonte può istituire – secondo l’aureo

insegnamento di un’autorevole dottrina – altre fonti del suo stesso rango (e, più ancora, di rango

sovraordinato); di contro, è possibile il caso opposto, che qui però non interessa, di una fonte che

“declassi” la sua stessa disciplina, ammettendo la eventualità di sue successive innovazioni per mano

di fonti di grado inferiore. L’ipotesi di una modifica della legge in discorso ad opera di altra legge

approvata a maggioranza semplice (e, persino, di atti sublegislativi) non è, comunque, da prendere in

conto perché palesemente avversata dall’art. 116.

Al tirar delle somme, non sembra che resti altra soluzione di quella del ricorso alle procedure di

cui all’art. 138, cosa peraltro – come si sa – alquanto disagevole36. Lo strumento in parola, poi,

astrattamente si presta anche a mere revisioni del riparto delle materie tra Stato e Regioni, cui

36 Una eventualità, peraltro, in passato contestata da un’accreditata dottrina (N. ZANON, Per un regionalismo

differenziato: linee di sviluppo a Costituzione invariata e prospettive alla luce della revisione del titolo V, in AA.VV., Problemi del Federalismo, Giuffrè, Milano 2001, 57) ma ammessa dalla dottrina largamente maggioritaria (per tutti, A.

MORRONE, Il regionalismo differenziato. Commento all’art. 116, comma 3, della Costituzione, cit., 152; l’ipotesi è, ora,

discussa, tra gli altri, da A. VERNATA, Il regionalismo differenziato alla prova della Costituzione, cit., 10 ss., e A.

NAPOLITANO, Il regionalismo differenziato alla luce delle recenti evoluzioni. Natura giuridica ed effetti della legge ad

autonomia negoziata, cit., 12 ss.).

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potrebbe conseguire l’illegittimità sopravvenuta della legge di “specializzazione” dapprima

adottata37, salvo ad accedere all’idea, nondimeno problematicamente argomentabile, che la disciplina

speciale anteriore resista persino ad innovazioni a mezzo di fonte sovraordinata38. È pur vero che, in

via generale, revisioni nel segno del “riaccentramento” dovrebbero presumersi – salva la prova del

contrario39 – incompatibili con il valore della promozione dell’autonomia: un’obiezione, questa, che,

seppur teoricamente sensata, urta però con il dato di fatto per cui le leggi di revisione costituzionale,

a partire da quella che ha riscritto il Titolo V nel 2001, non vanno soggette – come si diceva – a

caducazione da parte della Consulta, che però non si trattiene dal far luogo alla loro sostanziale

riscrittura per via d’interpretazione.

Non è poi affatto chiaro come possa aversi la rescissione del patto da parte della Regione, per il

caso che fosse quest’ultima a prendere l’iniziativa in tal senso, senza che tuttavia si riscontri la

disponibilità dello Stato a riprendersi le funzioni dapprima trasferite.

Ovviamente, è da prendere in esame la eventualità che la Regione voglia liberarsi solo di alcune

funzioni; questa soluzione, però, porta naturalmente all’esito di un aggiornamento in tal senso

dell’intesa con le procedure già seguite in occasione della sua venuta alla luce. Sta di fatto però che,

laddove una sollecitazione rivolta allo Stato in tal senso non dovesse sortire gli effetti sperati, la

Regione potrebbe abbandonare a se stesse le funzioni “sgradite”, non esercitandole, ovvero adottare

atteggiamenti ostruzionistici, sì da obbligare in buona sostanza lo Stato a riprendersele sia pure

obtorto collo, a mezzo della necessaria attività “sussidiaria”40, ovvero a tornare a sedersi al tavolo

delle trattative in vista della ormai improcrastinabile revisione dell’intesa.

5. Le questioni di sostanza, a partire da quella relativa al criterio con cui individuare le funzioni

suscettibili di regionalizzazione, ai necessari controlli relativi al loro esercizio, e il bisogno che

l’intesa esibisca duttilità di struttura e presenti carattere sperimentale, sì da potersi agevolmente

rimettere a punto alla luce dell’impatto avuto nell’esperienza

Qui il discorso si lega a filo doppio a quello di sostanza. La migliore garanzia di un’ottimale sintesi

delle istanze di unità e di quelle di autonomia si ha non soltanto per effetto della previa definizione

in astratto di un adeguato regime complessivo di “specializzazione”, congruo rispetto ai peculiari

interessi emergenti dal territorio e rispettoso altresì di quelli facenti capo ad altre Regioni ed all’intera

comunità nazionale, ma anche grazie alla previsione di strumenti adeguati di controllo nei riguardi

dell’esercizio delle funzioni da parte della Regione, seguiti dalla eventuale attivazione di meccanismi

di sussidiarietà41.

Il problema cruciale che, ad ogni buon conto, si pone, per l’aspetto sostanziale, riguarda la

individuazione delle funzioni da “regionalizzare”, in uno con la previsione di meccanismi di

salvaguardia delle aspettative delle rimanenti Regioni e dell’intera comunità statale; il che, poi, in

buona sostanza, rimanda ai limiti di ordine assiologico-sostanziale alla “specializzazione”42. Una

37 L’ipotesi è ora prospettata anche da A. MENCARELLI, Il caso della legge negoziata sul “regionalismo differenziato”

e il ruolo del Parlamento: i possibili scenari procedurali, cit., 7, con richiamo ad una indicazione di A. Piraino. 38 Tutt’al più l’argomento potrebbe essere speso solo per revisioni di carattere generale, non già per una legge di

revisione costituzionale che in modo diretto ed esplicito punti a far cadere la legge di “specializzazione” riguardante

questa o quella Regione. D’altro canto, il canone ordinatore della specialità, ammesso (e non concesso) che abbia

autonomia concettuale ed operativa, può in ogni caso essere superato dalla legge generale posteriore che dichiari in modo

esplicito di voler rimuovere le norme speciali anteriori (ragguagli nel mio Fonti, norme, criteri ordinatori. Lezioni5,

Giappichelli, Torino 2009, 60 s.). 39 È questo infatti uno dei casi in cui, a mio modo di vedere, s’inverte l’onere della prova, presumendosi la

incostituzionalità dell’atto impugnato e gravando pertanto l’onere di dimostrarne la validità su chi lo difende in giudizio. 40 … che, però, per sua natura, resta circoscritta a singoli casi e presenta, dunque, carattere temporaneo. 41 Ho anticipato il mio avviso sul punto, di cruciale rilievo, in La “specializzazione” dell’autonomia regionale: se,

come e nei riguardi di chi farvi luogo, cit., § 2.4. 42 Puntuali rilievi in tema possono ora vedersi in E. CASTORINA, Regionalismo “specializzato” e “politiche attive del

lavoro”: un percorso denso di criticità, in Federalismi.it, 19/2019, 16 ottobre 2019.

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verifica, questa, che, per essere effettuata a modo, naturalmente rimanda – come si diceva all’inizio

di questa riflessione – al canone della ragionevolezza.

Il cuore della questione, ad ogni buon conto, com’è stato fatto notare da molti studiosi43, è nella

previsione di meccanismi di solidarietà interregionale, accompagnata dalla definizione dei livelli

essenziali delle prestazioni relative ai diritti, di cui all’art. 117, comma, lett. m), Cost. E non è

inopportuno al riguardo qui ribadire che i meccanismi in parola da un canto, i livelli suddetti dall’altro,

non sono cosa diversa dall’unità-indivisibilità della Repubblica bensì sono la stessa, in alcune delle

sue più salienti e qualificanti espressioni, in action.

Non mi stancherò di ripetere un concetto che ho molte volte già rappresentato; ed è che l’unità-

indivisibilità dell’ordinamento non si preserva con il mero fatto della salvaguardia della integrità

territoriale ma implica pari condizione nel godimento dei diritti fondamentali e nell’adempimento dei

doveri inderogabili di solidarietà. L’art. 5, insomma, fa tutt’uno con gli artt. 2 e 3 e con i restanti

enunciati costituzionali che danno voce ai principi fondamentali, per la elementare ragione che

uguaglianza e solidarietà – come ha di recente rilevato una sensibile dottrina44 – sono i “fondamenti

etici e giuridici dello Stato democratico”. Si può, forse, andare ancora oltre, riconoscendo che tratto

caratteristico dei principi fondamentali, proprio perché tali, è la loro sostanziale non autonomia

concettuale e positiva, il bisogno cioè di darsi mutuo sostegno e, ancora prima (e di più), di farsi l’uno

parte integrante dell’altro.

Così stando le cose, è di tutta evidenza che nessuna intesa può venire alla luce (e bene farebbero,

dunque, le Camere a rigettarle) ove non fosse in ciascuna di esse precostituito un chiaro, esaustivo e,

perlomeno sulla carta, efficiente quadro di controlli costantemente esercitati dallo Stato, dandosi allo

stesso tempo alla Regione l’opportunità di poter esprimere e far valere il proprio punto di vista, in

sede politico-istituzionale prima ancora che in sede giurisdizionale (segnatamente, davanti alla

Consulta)45. Un quadro che può tornare utile proprio in occasione di eventuali controversie Stato-

Regione, fermo restando ovviamente che lo stesso non si sottrae, in punto di diritto, alla sua eventuale

sottoposizione a sindacato di costituzionalità, tanto per il caso che dovessero prevedersi misure non

rispettose dell’equilibrio unità-autonomia quanto ove dovessero rivelare carenze di disposti, come si

è venuti dicendo, necessari.

Un punto su cui a me pare che convenga particolarmente insistere è poi quello relativo alla struttura

dell’intesa, al suo essere, per un verso, dotata della necessaria duttilità interna, sì da dar modo

all’esercizio delle funzioni di potersi svolgere con agilità di movenze, e, per un altro verso, di

connotare come mobile o, diciamo pure, sperimentale il regime pattiziamente definito, nel senso di

prefigurare il suo eventuale aggiornamento, dopo un iniziale rodaggio ed all’esito dell’impatto dallo

stesso avuto con l’assetto degli interessi, per il modo con cui risultano ripartite le relative competenze

tra Stato e Regione46.

43 Di recente, I. NICOTRA, Le Regioni tra uniformità e differenze: autonomia responsabile o egoismi dei territori?, in

Diritti Regionali, 1/2019, 1 marzo 2019; S. GAMBINO, Regionalismo (differenziato) e diritti. Appunti a ri-lettura del

novellato titolo V Cost., fra unità repubblicana, principio di eguaglianza ed esigenze autonomistiche, in Astrid, 4 marzo

2019; A. SAITTA, Audizione resa il 13 giugno 2019 innanzi alla Commissione parlamentare per l'attuazione del

federalismo fiscale sull’attuazione e le prospettive del federalismo fiscale e sulle procedure in atto per la definizione delle

intese ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, in Osservatorio AIC, 4/2019, 2 luglio 2019, 10 s.; C.

BUZZACCHI, LEA, costi, fabbisogni e copertura finanziaria: le categorie di riferimento per la finanza regionale presente

e in corso di differenziazione, in Diritti Regionali, 3/2019, 30 settembre 2019; G. BERNABEI, L’autonomia differenziata

nel contesto della finanza locale, in Federalismi.it, 18/2019, 2 ottobre 2019; A. SPADARO, Appunti sul “regionalismo

differenziato”: una buona idea che può diventare un disastro, cit., § 8, punti 4 e 5, e C.B. CEFFA, Regionalismo

differenziato e garanzia dei diritti sociali: profili di compatibilità costituzionale e potenziali benefici, in

Dirittifondamentali.it, 2/2019, 14 ottobre 2019. 44 V. BALDINI, Unità dello Stato e dinamiche delle autonomie territoriali, in Federalismi.it, 13/2019, 3 luglio 2019, §

4, il cui titolo è qui testualmente riprodotto. 45 Su ciò, v., part., lo scritto sopra cit. di A. SPADARO, § 4. 46 In tema, tra gli altri, M. CECCHETTI, La differenziazione delle forme e condizioni dell’autonomia regionale nel

sistema delle fonti, cit., 170, e A.M. RUSSO, Il regionalismo italiano nel vortice autonomistico della differenziazione:

l’asimmetria sperimentale tra integrazione e conflitti, in Ist. fed., 2/2018, 380. Il carattere sperimentale, di cui si viene

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In fondo, se ci si pensa, si tratta di applicare qui lo schema che ormai stabilmente si ha per le

esperienze di delega legislativa, immaginando dunque la eventualità di ulteriori intese “integrative e

correttive” dell’intesa iniziale47. Allo stesso tempo, potrebbe prefigurarsi l’adozione di ulteriori

intese, a finalità specificativo-attuativa dell’intesa di base, sollecitandosi così il modulo pattizio a

moltiplicarsi a cascata.

Ancora una volta, l’esperienza maturata sul terreno degli accordi con le confessioni religiose può

rivelarsi istruttiva al riguardo; e, al pari di questa, si potrebbero delineare moduli consensuali meno

solenni di quello descritto nell’art. 116. Nulla, infatti, a mia opinione, osta alla venuta alla luce di

intese ulteriori, in relazione ad oggetti puntualmente indicati ed a mezzo di procedure più agili e

semplificate di quella stabilita nella Carta48. Dubito tuttavia che l’intesa di base possa prevedere la

propria eventuale modifica a mezzo delle intese ulteriori in parola, alla cui adozione consegua un

“declassamento” formale-procedimentale in deroga al disposto dell’art. 116. Potrebbe invece pensarsi

a moduli pattizi aggiuntivi, a mera finalità di specificazione-attuazione di quanto stabilito nella intesa-

madre, per quanto non ci si nasconda che il confine tra la mera attuazione e la integrazione, che porti

alla estensione della “specializzazione” a nuovi campi materiali, sia alquanto sottile.

Il carattere sperimentale in parola s’impone soprattutto per una ragione di fondo; ed è che la

“specializzazione” dell’autonomia costituisce un fatto inusuale per le esperienze istituzionali del

nostro ordinamento, i cui effetti possono essere prefigurati solo in modo largamente approssimativo,

richiedendo piuttosto di essere fatti oggetto di oculate verifiche nella pratica49. La verità è che non

abbiamo certezza di cosa siffatta forma di promozione dell’autonomia potrà in concreto rappresentare

per il nostro ordinamento; e, d’altro canto, anche i richiami di vicende altrove maturate, quale quelle

avutesi in Spagna, cui si fa al riguardo sovente riferimento50, possono giovare solo fino ad un certo

punto, dal momento che anche discipline positive analoghe e persino identiche, di cui si abbia

riscontro nel passaggio da un ordinamento all’altro, possono poi affermarsi in modi anche

sensibilmente diversi. Non escluderei, poi, che, a conti fatti, possano aversene tanto inconvenienti

quanto benefici sia per le Regioni interessate che per le restanti. Confesso di invidiare coloro che

hanno incrollabili certezze al riguardo, senza però voler essere nei loro panni.

6. I nodi non sciolti di ordine politico-istituzionale, con riguardo ai riflessi della

“specializzazione” per le restanti Regioni di diritto comune, nonché in merito agli equilibri

caratterizzanti la forma di governo, in ambito regionale come pure in ambito statale

Alcune incertezze sono, poi, alimentate da nodi politico-istituzionali ad oggi non sciolti.

In primo luogo, non è chiaro se e quali effetti potranno produrre le esperienze di “specializzazione”

nei riguardi delle restanti Regioni di diritto comune, sollecitando pratiche ora imitative ed ora

ora dicendo, non dovrebbe poi comportare – si faccia caso – la stipula di intese a durata prefissata, come pure da taluno

ventilato [riferimenti in G. TARLI BARBIERI, Verso un regionalismo differenziato o verso un regionalismo confuso?

Appunti sulla (presunta) attuazione dell’art. 116, comma 3, Cost., cit., 30 ss.]; cosa, però, a mia opinione mal conciliabile

con il valore di autonomia, che richiede di essere promosso e salvaguardato, non obbligato a recedere ed a ripiegare su se

stesso a scadenza prestabilito, quale un prodotto commestibile, senza peraltro tacere quanto poco sensata sia l’idea,

assiomaticamente affermata, che alcuni interessi a partire da una certa data perdano la loro natura propriamente regionale

e tornino, dunque, a convertirsi in nazionali, salvo nuovo accordo che ne mantenga la cura in periferia. 47 Così, già, nel mio il mio La “specializzazione” dell’autonomia regionale: se, come e nei riguardi di chi farvi luogo,

in Forum di Quaderni Costituzionali, § 2.5. 48 In tema, tra gli altri, S. AGOSTA, L’infanzia «difficile» (… ed un’incerta adolescenza?) del nuovo art. 116, comma

3, Cost. tra proposte (sempre più pressanti) di revisione costituzionale ed esigenze (sempre più sentite) di partecipazione

regionale alla riscrittura del quadro costituzionale delle competenze, in AA.VV., La riforma del titolo V della

Costituzione e la giurisprudenza costituzionale, cit., 335, e M. OLIVETTI, Il regionalismo differenziato alla prova

dell’esame parlamentare, cit., § 10.5. 49 … le quali, poi, potranno, nel bene e nel male, tornare particolarmente utili anche per forme di “specializzazione”

riguardanti altre Regioni, tanto in sede di prima affermazione quanto di modifiche di intese già fatte, e per la stessa

devoluzione di ulteriori condizioni di autonomia alle Regioni speciali. 50 Di recente, v. il fasc. 2/2019 di Ist. fed., dedicato a Quarant’anni di autonomia in Spagna.

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reattive51, e, quindi, nei riguardi delle Regioni speciali, che proprio alla luce dalle esperienze in parola

potrebbero sentirsi indotte ad attivarsi in vista dell’ulteriore adeguamento della loro autonomia52. Né

è chiaro quali riflessi potranno aversene a carico della forma di governo sia delle Regioni interessate

dalla “specializzazione” che, verosimilmente in minor misura, dello Stato. È ragionevole infatti

attendersi, per effetto dell’arricchimento del patrimonio funzionale delle Regioni suddette, una

ulteriore sottolineatura del ruolo degli esecutivi, in particolare appunto dei Presidenti delle Regioni

stesse che, a motivo della legittimazione loro conferita dall’elezione diretta, di già rivestono un ruolo

di centrale rilievo in seno all’ente di appartenenza.

Il vero è, però, che, anche per effetto dell’accresciuto patrimonio delle funzioni, occorrerebbe a

quest’ultimo affiancare nuove soluzioni organizzative in ambito regionale53 che, allo stesso tempo,

portino ad un ruolo ulteriormente rimarcato sia delle Giunte che dei Consigli, senza peraltro lasciare

insoddisfatta l’esigenza di un ripensamento del ruolo degli enti locali, bisognosi di essere coinvolti

attivamente nell’esercizio delle funzioni stesse.

Qui – come si vede – il discorso si lega a filo doppio a quello relativo alle procedure di

“specializzazione”, in particolare per l’aspetto del coinvolgimento attivo delle assemblee elettive in

ambito sia statale che regionale, cui si è dietro fatto cenno. È chiaro, infatti, che, laddove esso dovesse

affermarsi (com’è auspicabile)54, non potrebbe che avere la sua naturale proiezione altresì in sede di

realizzazione dell’intesa, tanto più poi proprio in ambito regionale, in considerazione dell’accresciuto

carico delle funzioni cui occorre far fronte che richiede la previa definizione da parte delle assemblee

stesse di un quadro di “principi e criteri direttivi” concernenti lo svolgimento delle trattative e la

confezione delle intese e, quindi, l’esercizio delle funzioni acquisite per il tramite di queste, bisognoso

di svolgersi sotto la costante vigilanza delle assemblee stesse. Non si trascuri il dato elementare, di

tutta evidenza, per cui ritardi e carenze che dovessero al riguardo riscontrarsi non restano indifferenti

anche per i Consigli, oltre che per la Giunta e il Presidente, potendosene avere l’attivazione di

meccanismi di sostituzione da parte dello Stato fino, nei casi limite, alla messa in atto delle procedure

per la revoca dell’intesa, nonché, ricorrendone le condizioni, allo scioglimento anticipato dei

Consigli.

Più disagevole fare previsioni dotate di un minimo di attendibilità quanto agli effetti che

potrebbero prefigurarsi per gli sviluppi della forma di governo dello Stato. L’assottigliamento delle

funzioni facenti capo allo Stato dovrebbe comportare un minor aggravio di ruolo per il Governo; non

si trascuri, però, che quest’ultimo dovrebbe – come si è veduto – essere chiamato a compiti di

controllo sull’azione regionale e, come si è appena rammentato, laddove necessario, di sostituzione

in via sussidiaria. Parimenti non chiaro è quali riflessi potrebbero aversene per le assemblee

legislative (e, perciò, in buona sostanza, anche per il Governo-legislatore). Ancora una volta, infatti,

gli oneri di normazione dovrebbero decrescere, ma alcune discipline non potranno in alcun caso fare

difetto (si pensi, ad es., alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti e, in

51 Ad es., potrebbero aversi quei conflitti interregionali davanti alla Consulta, tanto in sede di giudizi sulle leggi quanto

per conflitti di attribuzione, che fin qui sono mancati. 52 I tentativi in tal senso – come si sa – non sono in passato mancati, senza che peraltro abbiano a tutt’oggi portato

frutti tangibili. 53 Si pensi solo al bisogno della Regione di dotarsi di strutture nuove o rinnovate al fine di poter far fronte in modo

adeguato ai maggiori impegni in sede di attuazione della normativa eurounitaria riportabili alla estensione dei campi

materiali acquisiti in forza della “specializzazione”. Il vero è che i rapporti tra Unione europea e Regione, anche (e

soprattutto) per il verso ascendente, dovranno essere fatti oggetto di un complessivo ripensamento in una sede ad essi

specificamente dedicata. Mi riprometto di farvi luogo in altra occasione (per talune prime notazioni, v., di recente, L.M.

MOSCATI, La differenziazione regionale nei rapporti con l’Unione europea. Il terzo comma dell’art. 116 per un’Europa

delle Regioni, in Diritti Regionali, 3/2019, 24 ottobre 2019). 54 Se, però, il buon giorno si vede dal mattino, l’andamento delle trattative che hanno interessato Lombardia, Veneto

ed Emilia-Romagna, svoltosi in un clima gravato da una fitta nebbia che non ha consentito di fare luce su alcuni suoi

passaggi di cruciale rilievo, non induce all’ottimismo circa la possibilità di recuperare trasparenza e partecipazione

(impietoso il giudizio di un accreditato studioso, da poco scomparso, L. VANDELLI, Il regionalismo differenziato, in

Rivista AIC, 3/2019, 4 settembre 2019, 576, quando ha rilevato che “vari Ministri non conoscevano interamente i testi; e

sicuramente non li conoscevano, non dico le regioni non interessate, ma nemmeno le regioni interessate”).

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genere, alle norme di legge espressive di competenze “trasversali”, idonee a distendersi praticamente

in ogni ambito materiale). Sta di fatto che, quanto più mobile e vario per i territori di cui si compone

la Repubblica dovesse risultare il nuovo riparto delle competenze tra Stato e Regioni, tanto più

potranno aversi frequenti riassestamenti degli equilibri istituzionali, in seno ad uno stesso ente (la

Regione come pure lo Stato), con riflessi – come si diceva – altresì a carico di altri enti. Insomma, è

da mettere in conto una fluidità di quadro istituzionale complessivo dagli sbocchi largamente

imprevedibili.

Tutto ciò, unitamente al bisogno di mantenere costantemente alta la vigilanza a presidio dell’unità-

indivisibilità della Repubblica, spinge per un ulteriore, vigoroso rilancio del regionalismo

cooperativo55, che va complessivamente ripensato e riconformato56 in modo da dare un senso

concreto, non meramente nominale e di facciata, ai processi di codecisione politico-istituzionale

Stato-Regione ed alla stessa cooperazione tra Regioni, specie se finitime che, in sede di

“specializzazione”, si siano dotate delle medesime funzioni, il cui esercizio si riveli essere

particolarmente impegnativo ed oneroso57. La qual cosa, poi, potrebbe dar vita ad un effetto deflattivo

del contenzioso davanti alla Consulta, ad oggi di dimensioni intollerabili, sempre che – beninteso –

la “leale cooperazione”, tanto predicata quanto poco praticata, riesca finalmente ad affermarsi in

forme complessivamente appaganti.

7. Quali gli effetti della “specializzazione” per l’autonomia delle Regioni speciali?

Non è, poi, chiaro se e quali effetti la “specializzazione” produrrà per le Regioni di speciale

autonomia.

La specialità – come dice lo stesso termine – implica una condizione eccezionale rispetto a ciò che

è appunto… ordinario; ed implica altresì una condizione di complessivo vantaggio rispetto a quella

in cui versano le Regioni di diritto comune58. Nel momento in cui ciò che è stato pensato come

eccezionale tale non sarà più o lo sarà in più ridotta misura, l’intero quadro merita – a me pare – di

essere ridefinito.

Ci si deve chiedere, in primo luogo, cosa ne sarà della clausola di maggior favore, di cui all’art.

10 della legge cost. n. 3 del 2001. Essa – come si sa – rimanda ad un raffronto, peraltro assai scivoloso

ed impegnativo, tra il regime comune, di cui al Titolo V per come riscritto dalla legge stessa59, e

55 Questo bisogno è stato, ancora di recente, opportunamente evidenziato (O. CARAMASCHI, Dalla specialità regionale

alla differenziazione ex art. 116, terzo comma, Cost.: verso un sistema regionale asimmetrico?, cit., § 6). 56 Qui, com’è chiaro, il discorso naturalmente rimanda alla ristrutturazione della seconda Camera, assicurando in essa

la stabile presenza dei rappresentanti delle autonomie. Un tema, questo, che, dopo i ripetuti fallimenti dei tentativi posti

in essere allo scopo di dar vita alla riforma in parola, quale da ultimo quella messa a punto dal Governo Renzi, sembra

essere diventato un vero e proprio tabù, specie a seguito del taglio drastico effettuato nella composizione di entrambi i

rami del Parlamento. Di tutto ciò, ad ogni buon conto, non è ora possibile dire oltre il fugace cenno appena fatto, se non

ribadire che la riforma in discorso meriterebbe di essere riconsiderata in modo adeguato e non fatta oggetto di previsioni

palesemente carenti, quali quelle esibite dal disegno da ultimo bocciato dal voto popolare. 57 Sulle intese interregionali, v., per tutti, gli studi di A. STERPA, tra i quali, principalmente, Le intese tra le Regioni,

Giuffrè, Milano 2011. 58 La lettera dell’enunciato costituzionale, per vero, si apre ad ogni possibile esito, ma è fuor di dubbio che l’obiettivo

avuto di mira sia stato (e sia) nel segno della promozione della condizione di autonomia delle cinque Regioni (e delle due

Province autonome) rispetto a quella in cui versano le restanti Regioni. Così era secondo l’originario dettato e così – a

me pare – è altresì per la sua attuale versione, anche – viene da pensare – al confronto con l’autonomia delle Regioni

“specializzate” [la più sensibile dottrina ha, ancora di recente, avvertito a guardarsi dal rischio che la “specializzazione”

possa risolversi in un surrettizio aggiramento del dettato costituzionale, ponendosi quale una specialità mascherata e

persino in una ancora più avanzata di questa: v., dunque, A. POGGI, Editoriale. Qualche riflessione sparsa sul

regionalismo differenziato (a margine del Convegno di Torino), cit., 5]. 59 Ma v. la diversa impostazione della questione che è in M. DI FOLCO, Il regionalismo differenziato; profili

problematici e proposte attuative, cit., § 2, e R. TONIATTI, L’autonomia regionale ponderata: aspettative ed incognite di

un incremento delle asimmetrie quale possibile premessa per una nuova stagione costituzionale del regionalismo italiano,

cit., 646 ss. Come si è però fatto in altri luoghi notare, il disposto dell’art. 10, l. cost. n. 3 del 2001, con il riferimen to

puntuale fatto alla stessa legge che lo contiene, non dovrebbe presentare carattere dinamico o mobile, sì da valere anche

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quello proprio della singola Regione di speciale autonomia. A questo raffronto dovrebbe restare

estranea l’osservazione della condizione delle Regioni “specializzate”. Solo che l’art. 116, comma 3,

è parte integrante del Titolo stesso, tant’è che si è affacciata da taluno l’idea che quanto rientra sotto

la sua “copertura” debba ugualmente esser tenuto presente. Ci si avvede, tuttavia, subito che il

ragionamento appena fatto si presenta fondato su basi assai gracili, ove si ammetta – come, a mia

opinione, si deve – che il termine di raffronto per una rilettura “adeguatrice” degli statuti speciali è il

dettato del Titolo V, quale rifatto dalla legge di riforma del 2001 e per come valevole per le Regioni

di diritto comune in genere.

Così stando le cose, se ne ha che la clausola in parola spinge, nel tempo dell’attesa (ormai in modo

abnorme prolungatasi) dell’adeguamento degli statuti al nuovo quadro costituzionale ridisegnato nel

2001, nel verso dell’assimilazione o, diciamo pure, dell’appiattimento delle “forme e condizioni” di

autonomia di cui siano, rispettivamente, dotate la singola Regione speciale e le Regioni di diritto

comune (non “specializzate”); di contro, la clausola di “specializzazione” spinge nel verso della

differenziazione. L’equilibrio in cui le due spinte in parola verranno a trovarsi dipenderà – com’è

chiaro – dalla consistenza complessiva delle esperienze di “specializzazione”, dal modo con cui esse

si evolveranno nella Repubblica fondata sulle autonomie. È ad ogni buon conto da attendersi

(perlomeno, la speranza è questa…) che dalle esperienze di “specializzazione” si abbia una

sollecitazione per un rifacimento degli statuti speciali che, ovviamente, trarrà frutto dal modo con cui

le esperienze stesse si sono manifestate, tenendo pertanto conto sia dei vantaggi che degli

inconvenienti che ad esse si sono accompagnati: un aggiornamento che – lo si dice, sempre più

stancamente, ormai da anni – non può ormai più tardare60, specie in considerazione, per un verso, dei

bisogni sempre più impellenti nel tempo presente venuti alla luce e che richiedono strumenti nuovi

ed adeguati a farvi fronte, e, per un altro verso, del contesto sia politico-istituzionale che economico-

sociale in cui le vicende del regionalismo s’inscrivono e svolgono. Un contesto che è profondamente

segnato da plurime e soffocanti emergenze, dall’avanzata, seppur non lineare e comunque sofferta,

del processo d’integrazione sovranazionale, da vincoli sempre più incisivi ed onerosi venuti a carico

degli Stati dalla Comunità internazionale.

Una specialità rigenerata e resa più salda sin dalle sue fondamenta ed una specializzazione al passo

con le sfide del tempo presente sono gli ingredienti di base della ricetta giusta per ridare nuovo senso

al valore di autonomia, nella unità-indivisibilità dell’ordinamento, e, per il suo tramite, un po’ di

ristoro alle comunità stanziate sui territori della Repubblica.

con riferimento a successive innovazioni apportate al quadro così come ridefinito nel 2001. Il valore di autonomia,

tuttavia, osta ad un eventuale impoverimento o assottigliamento del patrimonio funzionale di cui la Regione si sia nel

frattempo dotata in forza della clausola di maggior favore; è, dunque, verosimile attendersi che quest’ultima possa essere

riprodotta in occasione di future modifiche o, in mancanza, che a ciò provveda la giurisprudenza costituzionale a mezzo

di una tra le molte modifiche tacite cui ha fatto (e fa) luogo per via d’interpretazione. 60 … tanto più, poi, per la Sicilia, il cui statuto risente della peculiare ed irripetibile congiuntura storico-politica in cui

è venuto alla luce e risulta, pertanto, bisognoso di un corposo aggiornamento che tenga, in particolare, conto dei compiti

viepiù gravosi demandati alla Regione, il cui adempimento richiede la dotazione di strumenti nuovi ed efficaci, nonché

della collocazione strategica della Regione nel Mediterraneo, riconsiderata alla luce degli sviluppi avutisi e di quelli in

corso al piano delle relazioni in seno all’Unione europea ed alla Comunità internazionale (una proposta di nuovo

articolato, corredata dei contributi scientifici che la sostengono, può vedersi in AA.VV., Per un nuovo statuto della

Regione siciliana, a cura di A. Ruggeri - G. D’Amico - L. D’Andrea - G. Moschella, Giappichelli, Torino 2017).