de luca 2008 estratto da belli mesolella

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a cura di Ailio Belli Anna Mesolella Forme Plurime della Pianificazione Regionale € 28,00 Forme Plurime della Pianificazione Regionale a cura di Ailio Belli e Anna Mesolella Quale patrimonio di riflessione teorica e di sperimentazione disciplinare ci hanno lasciato questi ultimi dieci anni di ripresa della pianificazione territoriale regionale e in che modo si può parlare oggi di natura e forma del piano regionale? Il volume prova a rispondere a questi quesiti presentando non solo gli esiti dell’aività di ricerca per il PRIN (2005) sulle Forme plurime di pianificazione regionale, ma anche il dibaito sviluppatosi in occasione del Congresso AESOP di Napoli del luglio 2007 e del Seminario su “La pianificazione regionale in Europa e in Italia. Le prospeive emergenti” svoltosi nel gennaio del 2008. In particolare il volume riflee sui possibili indirizzi per la costruzione di una caraerizzazione strategica e operativa del piano territoriale a livello regionale, con il fine ambizioso di favorire la costruzione di sistemi di pianificazione strategica adeguati ai recenti processi multilivello di coesione economica, sociale e territoriale. Il requisito di “pluralità”, dichiarato nel titolo del volume e indagato nelle auali forme di pianificazione regionale, riguarda aspei molteplici. Si va dalla pluralità delle forme di razionalità in azione, alla pluralità di strumenti e approcci che caraerizzano le esperienze in corso. Particolare aenzione è stata posta alla coesistenza di network delle componenti struurali dei sistemi regionali, al ruolo degli aori coinvolti nei processi di pianificazione regionale nella varietà di forme cooperative dei rapporti intergovernativi interni ai processi, alla pluralità di approcci nella aribuzione di valenza strategica al paesaggio. Ne è scaturita una integrazione fra due linee di ricerca che sembra feconda; una più propriamente relativa alla pianificazione territoriale (spaziale) regionale, l’altra più legata all’indagine sulle forme di pianificazione strategica e alle modalità negoziali implementate nei processi di governo del territorio. Ailio Belli è professore ordinario di Urbanistica presso la Facoltà di Architeura dell’Università Federico II di Napoli, presidente del Corso di Laurea in Urbanistica e Pianificazione Territoriale ed Ambientale e coordinatore del Doorato di ricerca in Urbanistica e Pianificazione Territoriale. Dirige la Rivista CRU-Critica della razionalità urbanistica ed è autore di diversi volumi e saggi. Nell’ambito della ricerca PRIN Forme plurime della pianificazione regionale (2005) ha svolto il ruolo di coordinatore nazionale, co-fondando il network di ricerca SPHERA (Spatial Planning Harmonization in the European Regional Administrations) Anna Mesolella, doore ed assegnista di ricerca in pianificazione ambientale e territoriale, svolge aività di ricerca presso l’Università Federico II di Napoli ed ha contribuito alla ricerca sulle Forme plurime della pianificazione territoriale regionale. È autrice del libro: Pianificazione regionale tra interessi territoriali e garanzie a lungo termine, Franco Angeli, 2006.

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Il saggio di De Luca individua la pianificazione cooperativa come modalità prevalente per armonizzare la costruzione di politiche pubbliche tra gli attori istituzionali in modo da attivare una nuova governance per il territorio contemporaneo. Il saggio sostiene, e dimostra, che il livello più adeguato per una tale prospettiva d'azione è lo spazio regionale. Il saggio, inoltre, verifica come in alcune leggi regionali italiane sul governo del territorio la modalità cooperativa della pianificazione è presente ed è declinata.

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Fig. 1 – Distribuzione e tipologie dei documenti analizzati dal Rapporto del Territorio INU 2007

Fig. 2 – Stato di avanzamento della legislazione urbanistica regionale dal Rapporto del Territorio INU 2007

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and the population (2006) ranges from 668.000 (Bremen) to 12 million (Bavaria). All these 16 Länder have own parliaments, cabinets and prime ministers. They are all represented in the Bundesrat, a kind of a senate, which defends the interests of Länder and has special legislative powers. No Federal law can be implemented unless it has successfully passed the Bundesrat. Figure 1 The 16 Laender of the Federal Republic of Germany

Source: www.de.all-biz.info/regions 25.01.2009 The Grundgesetz (Basic Law) strongly guarantees the relative dependence of the Länder. It can neither be changed by parliamentary initiatives, nor by a referendum. Over the last decades this deliberate federal system has brought about a complex and time consuming regulatory system, which is increasingly seen as a burden to efficient governance, and as a constraint to social, political and economic development in the country. However, this federalism, with its many negative implications, is a constitutional stronghold of post-war Germany. Since several decades a new set-up of the German Länder is being discussed in political and academic circles, in order to merge the smaller Länder into more efficient larger states, such as merging Hesse, Rhenania-Palatine and the Saar, or Hamburg, Bremen and Lower Saxony. However, there is very little political willingness to consent on such changes. A referendum to merge Berlin and Brandenburg in 1996 failed. The citizens of Brandenburg were not willing to accept their newly won independence after reunification and subjugate under the political and especially financial domination of Berlin. A new referendum is planned for 2010. Meanwhile a growing number of functional tasks, such as courts and police are merged anyway, to allow for more efficient public services. In addition to these two tiers of decision-making, there are powerful local governments. Following the principle of subsidiarity, the German Constitution gives considerable power to the local governments. In Germany, there are 12.475 local governments. 4 cities have more than 1 million inhabitants (Berlin, Hamburg, Munich and Cologne), 82 more than 100.000, a number which qualifies them as a Grossstadt (major city). Although, in principle, the power of self- government is a good base for local governance, it makes efficient governance in city regions, where up to 100

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Fig. 1 – Distribuzione e tipologie dei documenti analizzati dal Rapporto del Territorio INU 2007

Fig. 2 – Stato di avanzamento della legislazione urbanistica regionale dal Rapporto del Territorio INU 2007 87

Fig. 8 – Proiezioni territoriali strategiche e Progetto di Territorio - Regione Abruzzo2005 dal Rapporto del Territorio

INU 2007

Sembra in questo senso che si stiano delineando nuove forme di pianificazione regionali convergenti perlomeno su due temi: il superamento delle logiche sistemiche verso quelle “progettuali” (Piattaforme – Cantieri progettuali – Progetti di territorio e di paesaggio); la ricerca di dimensioni concertative interistituzionali con una accentuazione delle prassi valutative (Emilia-Toscana). Sono in questo senso di un certo interesse le caratterizzazioni che le esperienze “parallele” delle Piattaforme-Dicoter e dei precedenti Programmi complessi, così come quelle dei Patti territoriali, hanno fornito. Queste esperienze possono essere raccolte in due gruppi concettuali, quelle della pianificazione strategica nelle sue diverse forme e degenerazioni e quelle altrettanto problematiche della consensualità costruita intorno agli Accordi di programma in una spesso non sufficientemente riflettuta derivazione dagli Accordi quadro e dalle Intese istituzionali. Al di là delle deformazioni che questi istituzioni e questi strumenti hanno subito, restano alcune considerazioni di fondo che possono essere utili alla costruzione di una nuova forma di piano da poter utilizzare in una dimensione sovraregionale quale quella che si intende proporre. Progetti di Territorio e di Paesaggio I Progetti di Territorio (e di Paesaggio) hanno rappresentato una ipotesi di lavoro, che ha peraltro connotato l’intera esperienza delle Piattaforme strategiche (Ricerca SIU); ma pur riconoscendo a questa esperienza una significativa capacità di proposta e di innovativa interazione con il quadro europeo e con le attività delle regioni, non ne discende in termini espliciti il passaggio da una dimensione ricognitiva e propositiva, quale quella delle Piattaforme, a quella operativa propria dei Progetti di territorio. Sulla definizione di Progetto di territorio si ricompongono diverse linee di ricerca che hanno rappresentato la punta più avanzata della riflessione disciplinare (vedi P.C. Palermo e A. Clementi). Nel Progetto di territorio si intersecano peraltro gli esiti di altri piani di riforma: quello istituzionale, caratterizzato dalle incertezze del nuovo titolo V della Costituzione e da un sistema elettorale che adattativamente recupera in centralismo decisionale, quello che aveva concesso una apparente autonomia dei governi locali, quello giuridico che nel tentativo di aprire alla “consensualità” gli atti autoritativi che caratterizzano la pianificazione urbanistica ha forzato alcuni istituti quali gli Accordi pubblico-privato riducendo al contempo l’autorevolezza degli Accordi tra enti e non risolvendo la questione centrale della dubbia doppia natura dei vincoli urbanistici e ricognitivi. Infine, quello strettamente disciplinare ancora incerto tra una dimensione concettuale unitaria del governo del territorio, in cui sta stretta l’urbanistica tradizionale, e una dialettica “separazione” delle diverse

a cura diAttilio Belli

Anna Mesolella

Forme Plurime della Pianificazione Regionale

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In contrast to other city regions in Germany, the Hanover region has benefited from a long tradition of advanced regional planning approaches, initiated and elaborated by highly professional bureaucracies over decades. The tradition of competent spatial planning in the region since World War II has been an institutional inheritance which has allowed incremental institutional approaches to increase its efficiency and to find broad consensus among the many public and private players and groups in the region. The strong political and civil servant support for a regional approach has meant that the strategic concepts have effectively been translated into regional land use plans, which guide public and private investments to appropriate locations, while conserving landscape and natural resources. Other city regions in Germany, confronted with similar challenges, are eagerly monitoring the Hanover case in order to learn from the institutional solutions. Whether this will be possible, given the history of the planning tradition in the Hanover city region, its wealth and a comparative absence of pressing problems, remains to be seen.

• Inter-communal Master planning in the Ruhr In 2006 eight cities in the conurbation of the Ruhr, decided to join their efforts of land-use planning by establishing an inter-communal Masterplan, which aims to co-ordinate the spatial development of the highly urbanized industrial region. (Städteregion Ruhr, 2006). Assumingly, the term Masterplan was borrowed from a vague Anglo-American planning environment, to signal that the inter-communal planning effort does contradict to the existing regulatory framework for urban development (Hein, 2008). For political and strategic reasons the eight municipalities did not wait until the established upper tier planning body presented a consolidated regional plan. Their ambition was to demonstrate that regional strategic planning could also be done “from below”. Without external institutional support the planning departments of the eight cities joined their competence and forces and developed a co-operative master plan, which should demonstrate that decades of local parochialism do not hinder inter-communal co-operation. The initiative of the eight cities benefited from a research project Ruhr 2030, which had been promoted under a federal applied research initiative, which launched a competition among cities and regions to apply for support for developing scenarios for future spatial

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La Pianificazione Strategica delle regioni Rispetto ai Sistemi “ordinati” si sono quindi diffuse pratiche di piano che hanno assunto la strategicità degli obiettivi come riferimento ed hanno percorso iter formativi diversi, con esiti spesso molto differenziati. Sono comunque riconoscibili due tipologie principali, una derivata dall’evoluzione che la pianificazione strategica urbana ha avuto nel paese a partire dai primi Piani Strategici delle Città di Torino, Firenze, Trieste, etc. e l’altro sviluppatosi intorno alle esperienze promosse dalla Dicoter nelle aree dei Fondi strutturali e sostenute economicamente nelle fasi di formazione del piano.

Fig. 7 – Stato dei Piani Strategici delle città associate alla rete. Anno 2005 e 2007

Questo proliferare di esperienze se da un lato ha prodotto una messa in discussione del tema dell’“utilità” della pianificazione, spostando l’interesse sui meccanismi dello sviluppo, spesso con una eccessiva sottolineatura delle componenti endogene e una sopravvalutazione del ruolo “sviluppista” delle infrastrutture, dall’altro ha ingenerato “sbandamenti” positivi sulla natura esclusivamente dirigistica e regolativa del piano. Una buona pianificazione strategica non ha componenti dirigistiche. La assunzione da parte dei comuni (città medie) nell’area dei fondi strutturali di un ruolo promotore nei processi di pianificazione strategica ha indotto due deformazioni nel modello tradizionale di piano. Una ibridazione nel piano strategico delle componenti dirigistiche ha prodotto a volte effetti (de)regolativi. Si è nella sostanza inteso introdurre attraverso la fattibilità del piano strategico vere e proprie varianti negli strumenti urbanistici ordinari o, di contro, si è recuperata la natura retorica del piano strategico per non impegnarsi in attività di pianificazione ordinaria. L’altra deformazione riguarda la diffusa insufficienza dimensionale dei temi al centro del piano, una questione di massa critica necessaria a una progettualità strategica non recuperabile con una maggiore enfasi sul ruolo delle reti spesso non dipendente dalle scelte e dalle risorse locali. Da questa ultima deformazione sono peraltro derivate alcune interessanti esperienze che hanno spostato la pianificazione strategica urbana nella dimensione regionale e o in quella di area Vasta ponendo questioni nuove quali la interazione con le altre pianificazioni di area vasta già praticate (in genere di tutela) e la opzione tra pianificazione per progetti (Progetti di territorio) e pianificazione per ambiti e quindi riproponendo il nodo del coordinamento tra razionalità parziale e intenzionale (costruzione di senso) e razionalità comprensiva, regolativa (costruzione di coerenza).

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Costola fittizia rimisurare

Quale patrimonio di riflessione teorica e di sperimentazione disciplinare ci hanno lasciato questi ultimi dieci anni di ripresa della pianificazione territoriale regionale e in che modo si può parlare oggi di natura e forma del piano regionale? Il volume prova a rispondere a questi quesiti presentando non solo gli esiti dell’attività di ricerca per il PRIN (2005) sulle Forme plurime di pianificazione regionale, ma anche il dibattito sviluppatosi in occasione del Congresso AESOP di Napoli del luglio 2007 e del Seminario su “La pianificazione regionale in Europa e in Italia. Le prospettive emergenti” svoltosi nel gennaio del 2008. In particolare il volume riflette sui possibili indirizzi per la costruzione di una caratterizzazione strategica e operativa del piano territoriale a livello regionale, con il fine ambizioso di favorire la costruzione di sistemi di pianificazione strategica adeguati ai recenti processi multilivello di coesione economica, sociale e territoriale. Il requisito di “pluralità”, dichiarato nel titolo del volume e indagato nelle attuali forme di pianificazione regionale, riguarda aspetti molteplici. Si va dalla pluralità delle forme di razionalità in azione, alla pluralità di strumenti e approcci che caratterizzano le esperienze in corso. Particolare attenzione è stata posta alla coesistenza di network delle componenti strutturali dei sistemi regionali, al ruolo degli attori coinvolti nei processi di pianificazione regionale nella varietà di forme cooperative dei rapporti intergovernativi interni ai processi, alla pluralità di approcci nella attribuzione di valenza strategica al paesaggio.Ne è scaturita una integrazione fra due linee di ricerca che sembra feconda; una più propriamente relativa alla pianificazione territoriale (spaziale) regionale, l’altra più legata all’indagine sulle forme di pianificazione strategica e alle modalità negoziali implementate nei processi di governo del territorio.

Attilio Belli è professore ordinario di Urbanistica presso la Facoltà di Architettura dell’Università Federico II di Napoli, presidente del Corso di Laurea in Urbanistica e Pianificazione Territoriale ed Ambientale e coordinatore del Dottorato di ricerca in Urbanistica e Pianificazione Territoriale. Dirige la Rivista CRU-Critica della razionalità urbanistica ed è autore di diversi volumi e saggi. Nell’ambito della ricerca PRIN Forme plurime della pianificazione regionale (2005) ha svolto il ruolo di coordinatore nazionale, co-fondando il network di ricerca SPHERA (Spatial Planning Harmonization in the European Regional Administrations)

Anna Mesolella, dottore ed assegnista di ricerca in pianificazione ambientale e territoriale, svolge attività di ricerca presso l’Università Federico II di Napoli ed ha contribuito alla ricerca sulle Forme plurime della pianificazione territoriale regionale. È autrice del libro: Pianificazione regionale tra interessi territoriali e garanzie a lungo termine, Franco Angeli, 2006.

4ª di coperta, libro Belli-Mesolella

Definitiva: 20 luglio 2009

© copyright alinea editrice s.r.l. - firenze 200850144 firenze, via pierluigi da palestrina, 17/19 rossotel. +39 055/333428 - fax +39 055/331013

Tutti i diritti sono riservati:nessuna parte può essere riprodotta in alcun modo (compresi fotocopie e microfilms)senza il permesso scritto della Casa Editrice

e-mail: [email protected]://www.alinea.it

isbn 978-88-6055-370-6

Finito di stampare nell’ottobre 2008—Stampa: Genesi Gruppo editoriale srl. - Città di Castello (Perugia)

Forme Plurime della

a cura di Attilio Belli

Anna Mesolella

Pianificazione Regionale

Quale natura cooperativa per la pianificazione regionaledi Giuseppe De Luca

In questo contributo1 ci proponiamo, con degli appunti ancora “sparsi”, tre obiettivi: i) discutere sul ruolo della pianificazione cooperativa, come modalità prevalente, per armonizzare la costruzione di politiche pubbliche tra gli attori isti-tuzionali e come momento di coinvolgimento degli attori non istituzionali in modo da attivare una nuova governance per il territorio contemporaneo; ii) avvalorare che il livello più adeguato per una tale prospettiva d’azione, nell’evoluzione delle trasformazioni territoriali contemporanee, è lo spazio regionale; iii) verificare se in alcune recenti leggi regionali italiane, inerenti il sistema di governo del territorio, la modalità cooperativa della pianificazione è presente e come è declinata.

1. Cos’è la pianificazione cooperativa

La cooperazione territoriale è uno dei tre obiettivi posti alla politica regio-nale europea, assieme agli obiettivi della convergenza e della competitività regionale e occupazione. L’obiettivo cooperazione “è inteso a rafforzare la cooperazione tran-sfrontaliera mediante iniziative congiunte locali e regionali, a rafforzare la coope-razione transnazionale mediante azioni volte allo sviluppo territoriale integrato connesse alle priorità comunitarie, e a rafforzare la cooperazione interregionale e lo scambio di esperienze al livello territoriale adeguato”2.

Per il raggiungimento dell’obiettivo sono mobilitati i fondi FESR, allocati se-condo le priorità definite nel Regolamento CE 1080/2006: si tratta tanto di azioni congiunte tra regioni transfrontaliere, che di attività di ricerca e di condivisione di buone pratiche interregionali.

La cooperazione è l’elemento fondante anche dello Schema di sviluppo dello spazio europeo (1999) secondo il quale: “i futuri problemi connessi con lo sviluppo territoriale dell’europa potranno essere risolti unicamente grazie alla coopera-zione delle autorità di governo e amministrative centrali e locali, dal momento

1 Che discute sono una parte degli esiti della ricerca dell’Unità di Firenze dal titolo Forme e metodi di cooperazione nei piani e nei programmi per il governo del territorio. esiti che saranno presentati nel vo-lume di G. De Luca e V. Lingua, Pianificazione regionale cooperativa (in corso di stampa).

2 Regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio dell’11 luglio 2006 recante Disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione. da qui ha preso corpo il cosiddetto Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale (GECT) quale nuovo strumento giuridico europeo che consente, ad autorità appartenenti a Stati diversi, di istituire gruppi di cooperazione per organizzare e gestire azioni cooperative con o senza cofinanziamento europeo.

a cura di Attilio Belli e Anna Mesolella

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che, in vista dell’integrazione europea, si intensificano i rapporti a tutti i livelli, tra le diverse regioni e tra le regioni e gli organismi nazionali ed europei. cre-sce la dipendenza di città e regioni dalle tendenze mondiali e dalle decisioni comunitarie”3.

È nell’ottica dello SDEC che la pianificazione cooperativa, in questo caso in-teristituzionale, trova una forte ragion d’essere come uno dei momenti più signifi-cativi per armonizzare tutte quelle politiche e azioni a forte impatto territoriale; ed è sempre in questo documento che si innestano i germogli di un nuovo processo politico-culturale che, in pochi anni, porterà al concetto di coesione territoriale, che sta alla base non solo della rivisitazione dello stesso Schema di sviluppo europeo (presentata nel 2005), quanto del consolidamento del cosiddetto “nuovo modello di società europea”4.

Il modello cooperativo, non è una novità, tutt’altro. Esso nasce per risolvere i problemi generati da modelli di governo nettamente improntati alla dipendenza o alla separazione delle competenze, ma ha avuto una accelerazione non solo per impulso delle politiche comunitarie, quanto per le rilevanti e significative trasfor-mazioni socio-economiche globali. Trasformazioni che non solo hanno sempre più interconnesso città e territori, fino a rendere fragili e alcune volte del tutto “obsole-ti” i tradizionali confini amministrativi locali e regionali, quanto hanno portato ad aumentare significativamente gli attori non istituzionali da coinvolgere nella co-struzione delle politiche pubbliche5. I confini amministrativi degli enti istituziona-li, tuttavia, sono uno dei punti più problematici nell’elaborazione e nella gestione delle politiche territoriali, perché l’evoluzione economica, non solo nelle aree par-ticolarmente dinamiche, ha finito per sopravanzare e in molti casi anche rendere “critica” la gestione di significative parti del territorio se circoscritta ai tradizionali ambiti istituzionali.

In Italia questo aspetto è particolarmente rilevante, perché la scala dell’am-ministrazione e della politica per il territorio ha ancora oggi tre gradini: quella dei Comuni, quella delle Province, e quella delle Regioni, più un altro in “attesa” di istituzione, quella della Città metropolitana. A questi tre gradini, se ne possono aggiungere altri due non generalizzati, il primo di natura territoriale, le Comunità montane (attivate dalla legge 1102/1971 e ora in via di ridefinizione) il secondo di natura funzionale, al di sotto dei comuni, le Circoscrizioni (introdotte dalla legge 278/1976). A questi “gradini” istituzionali si affiancano e spesse volte si interse-cano altre scale di enti funzionali che controllano particolari aspetti settoriali del territorio: come le Soprintendenze per i beni architettonici e del paesaggio o le Autorità di bacino per i corsi d’acqua, che rendono il governo del territorio fram-mentato e difficile.

Altre forme, non volontaristiche, non esistono, salvo la possibilità di attivare modalità di gestione comune di particolari servizi. Ma in questo caso non è più pos-sibile parlare di cooperazione interistituzionale verticale, quanto di pianificazione orizzontale. È proprio questa che, almeno in alcune ristrette parti d’Italia, sta aven-

3 Schema di sviluppo dello spazio europeo: verso uno sviluppo territoriale equilibrato e sostenibile dell’Unio-ne europea, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali della Comunità Europea, Lussemburgo 1999, p. 7.

4 Luxembourg Presidency of EU (2005). Per la spiegazione di questo processo rimandiamo cfr. Faludi (2007).

5 Su questi temi rimandiamo alle riflessioni di Bobbio (2002, 2003 e 2004).

forme plurime della

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do una certa vivacità. Complice, da un lato, le ricadute delle Politiche Comunitarie e lo stesso recente dibattito sui Fondi strutturali per il periodo di programmazione 2007-2013, che obbligano a definire strategie cooperative tra enti per accedere a canali finanziari comunitari, e, dall’altro, il continuo restringimento delle risorse pubbliche locali che, indirettamente, stanno portando a forme di ristrutturazione forzata del classico sistema auto-organizzativo delle autonomie locali (anche at-traverso l’esperienza della cosiddetta pianificazione strategica), almeno nelle aree urbane più complesse e/o di tipo metropolitano.

Questa doppia tenaglia sta aprendo una nuova stagione rispetto a quella au-spicata nel testo unico sulle autonomie locali, il n. 267 del 2000, che, in maniera troppo burocratica, aveva posto il problema dell’unione dei Comuni quantomeno per identificare in maniera volontaria il “giusto” ambito territoriale di riferimento entro cui inscrivere politiche di sviluppo economico e sociale e politiche di go-verno del territorio. un auspicio che andava anche nella direzione di cercare di superare o quantomeno di attenuare, seppur in forma volontaristica, la notevole frammentazione dei comuni italiani. Gli auspici sono rimasti tali e le Unioni real-mente definite e operative non molte6.

La nuova stagione sembra nascere dalla presa di coscienza che la coopera-zione tra territori può anche essere non istituzionale, cioè imposta da disposizio-ni di legge, e può non essere solo di gestione associata di servizi comuni; e che esiste una terza modalità di cooperazione più libera e aperta, quella legabile alla cooperazione volontaria per definire atti di pianificazione e di programmazione sul modello proposto da tempo dall’Unione Europea. Cioè una cooperazione di scopo7. Può sembrare una visione semplicistica, specialmente se si considera che, nella tradizione italiana classica della pianificazione, le politiche urbanistiche loca-li dovevano sempre inscriversi in un coordinamento territoriale più ampio. Anzi doveva esistere un “Piano di coordinamento” che assumesse il ruolo di guida e controllo degli ambiti locali. L’attuale Piano territoriale di coordinamento provin-ciale (al di là delle varie declinazioni che le leggi regionali dichiarano, come vedre-mo sinteticamente dopo) e qualche “Piano regionale” mantengono ancora questa caratteristica (almeno sulla carta).

I temi della cooperazione nella pianificazione territoriale e nel governo dei fatti urbani sono lasciate al libero coordinamento intergovernativo e/o interistitu-zionale delle politiche locali e alle conseguenti esigenze della cosiddetta governance territoriale tra gli enti istituzionali, che hanno sviluppato, su base volontaristica, forme di cooperazione, la più importante della quale è quella della pianificazione strategica che, in italia, ha avuto nel migliore dei casi un solo risvolto di natura concertativa, più che di cooperazione vera e propria. Sovente con interpretazioni, e conseguenti pratiche, che sono andate in un senso opposto a quello auspicato in ambito internazionale8.

6 Secondo il Forum Anci sull’associazionismo intercomunale: “sono 1.317 i comuni italiani che in questi anni si sono associati per dare vita a 289 unioni” (dati maggio 2008, http://portale.ancitel.it/ancitel.cfm).

7 Questa linea ha avuto riflessi anche nella cosiddetta stagione della pianificazione “complessa”in Italia. Per tutti rimandiamo a Ombuen, Ricci, Segnalini (2000) e Lingua (2007)

8 Per tutti rimandiamo a Martinelli (2005) e Gibelli (2007).

a cura di Attilio Belli e Anna Mesolella

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proprio per questo il modello cooperativo non istituzionalizzato può rappresen-tare una nuova e flessibile modalità di governo dei fatti territoriali. Esso, difatti, è il contraltare di altri due modelli: quello della dipendenza, che prevede che i governi di rango inferiore si trovino in una posizione di dipendenza rispetto al governo di rango superiore, che detiene le risorse finanziarie e legali per l’attuazione delle politiche; e quello della separazione, che prevede una rigida separazione di compe-tenze tra i diversi livelli, garantendone la reciproca indipendenza e la non inter-ferenza da parte dei livelli sovra-ordinati. Tale modello comporta una divisione territoriale dei poteri e del lavoro finalizzata a prevenire i conflitti e ad eliminare sovrapposizioni e ridondanze.

Oggi è più che mai chiara la difficoltà di mantenere sia la dipendenza sia la separatezza delle sfere d’azione dei diversi enti di governi. Troppo interconnes-si e interdipendenti sono i territori che, definire ambiti territoriali di competenza “esclusiva”, minerebbe alla base qualsiasi politica pubblica.

Tuttavia esistono una serie di problemi, il più importante dei quali è quello del come legare insieme una molteplicità dei livelli di governo che comunque esi-stono su un dato territorio, ciascuno dei quali ha proprie agende, fa affidamento a proprie norme istitutive, elabora proprie politiche gestendole con proprie “mac-chine” amministrative. È questa caratteristica organizzativa che consiglia forme di cooperazione tra questi livelli al fine di pianificare, programmare e/o gestire il territorio, a fronte dell’inadeguatezza generale dei confini amministrativi dei vari enti locali, della debolezza delle macchine amministrative e dall’assoluta necessità di interconnettere i diversi attori, sia pubblici che privati, presenti. E questo riman-da, appunto, al principio di intervento dei fondi UE, da cui siamo partiti.

2. Il ruolo dello spazio regionale

Interrogarsi sul principio di intervento dei fondi UE significa interrogarsi sul livello più adeguato e più capace per “accomodare” interessi territoriali diversi con gli attori portatori di interessi diversificati e, sovente, anche divergenti. Nella immagine più recente questo livello è stato da alcuni indicato in quello regionale, essendo questo: “il luogo istituzionale abbastanza vicino al territorio per riuscire a coglierne le suggestioni e le proposte, e abbastanza lontano per non appiattirsi su ogni singola, specifica increspatura della domanda di territorio e quindi capace di concorrere allo sviluppo locale, ma con un’opportuna mediazione”9.

Il dibattito è, tuttavia, ancora aperto e le pratiche, cui fare riferimento per discernere alcune utili indicazioni sulle quali misurare una possibile proposta ope-rativa, non numerose; mentre diffusa è la convinzione che nell’assetto giuridico e normativo italiano, almeno fino alle recenti modifiche costituzionali del 2001, la Regione e lo stesso spazio regionale erano considerati come soggetti politici deboli, sia nei confronti del governo centrale, sia nei confronti di quelli locali.

Tuttavia, facendo perno su alcune, seppur molto parziali e territorialmente

9 Barca (2000), p. 104.

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definite, esperienze dirette10 e sugli esiti della nostra personale ricerca, ci sembra di poter affermare che lo spazio regionale sia quello meglio attrezzato e meglio po-sizionato a sostenere forme esplicite di cooperazione territoriale nella complessa articolazione del sistema istituzionale italiano e della scala dei problemi del terri-torio contemporaneo.

L’affermazione poggia su tre assunti11: i) la regionalizzazione delle politiche europee, specialmente nella stagione della programmazione dei Fondi strutturali 2000-06 e con più evidenza in quelli del periodo 2007-2013, che vede le Regioni isti-tuzionali assolvere un ruolo di “attivatori di processi” di territorializzazione delle politiche con forme esplicite di indirizzo e coordinamento sia per gli attori istitu-zionali che per i portatori di interessi non istituzionali; ii) la modifica dell’assetto istituzionale italiano nel 2001 che ha consolidato un processo di neoregionalismo ridefinendo il ruolo delle Regioni istituzionali e affidando loro competenze legisla-tive concorrenti in molte materie, tra cui – per quanto qui interessa – quella del go-verno del territorio, ma al contempo disegnando un diverso assetto nelle relazioni intergovernative tra governo centrale e governi locali fondato sulla filiera della “leale collaborazione”; iii) l’“europeizzazione” della pianificazione territoriale e della programmazione economica, o meglio l’assoluta necessità per chiunque trac-ci politiche spaziali di medio periodo (che non siano “semplicemente” politiche regolative) di dover far conto o di dover intercettare gli input e i canali finanziari originati nell’UE e veicolati non solo attraverso i Fondi strutturali, ma in diverse politiche e strategie comunitarie.

Quest’ultimo punto è un passo cruciale non tanto perché nessuna politica spaziale circoscritta ad un ambito territoriale può attualmente fare a meno dell’in-fluenza delle politiche europee, quanto perché intercettare politiche e relativi flussi finanziari provenienti dall’UE innesta, nei modelli di costruzione delle politiche locali, una propensione d’azione orientata al progetto. Si allenta, quindi, la classica impostazione regolativa della pianificazione di sistema, fatta per livelli di compe-tenza e attuata tramite forme di conformità a cascata in territori istituzionali dati, in favore di una pianificazione sistemica dove diversi attori sono obbligati a col-laborare, elaborando veri e propri progetti di spazio in territori i cui confini sono “a geometria variabile”, cioè legati a problemi da risolvere o a potenzialità locali da attivare in forma competitiva in più ampie reti globali di competizione e, in maniera quantomeno concertata, predisporre dei crono-programmi d’azione che recuperano la cognizione del tempo, in genere assente nella classica pianificazione di sistema.

Qui sorge il nodo più significativo nell’attuale stagione della pianificazio-ne. Chi meglio può sostenere un impianto d’azione fatto di concorrenzialità e di “adattamento” veloce agli input della programmazione economico-finanziaria che

10 In particolare all’esperienza fatta in Toscana; in parte descritta nel volume da noi curato Piano di indirizzo territoriale. Le regole e le strategie, (2003); nonché nel volume della Regione Toscana-Giunta regionale, (2005); ed infine nella partecipazione al gruppo di progetto che la portato alla redazione del Piano di indirizzo territoriale 2005-2010, e di tutti gli allegati costitutivi, compreso il Quadro strate-gico regionale per il periodo 2007-2013.

11 Messi in rilievo dall’Unità di ricerca Forme di razionalità in azione nella pianificazione territoriale regionale, attiva presso l’Università di Napoli “Federico II”, e discussi in Mesolella (2006), cfr. § 2 del cap. 1, da cui abbiamo ripreso l’impostazione.

a cura di Attilio Belli e Anna Mesolella

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trova le sue origini nell’UE? O meglio chi può sostenere l’europeizzazione12 delle politiche spaziali in un approccio di coesione territoriale?

A nostro avviso lo può fare solo il livello spaziale regionale, purché “de-istituzionalizzi” il tradizionale strumento regionale della pianificazione di siste-ma, favorendone la sua evoluzione in strumento di regia aperto all’incrocio sia delle istanze che provengono dal territorio, sia agli input europei. solo questo livello istituzionale, dopo le modifiche costituzionali del 2001, ha la forza (ma probabilmente non ancora l’autorevolezza) di attivare e sviluppare ogni possibi-le pratica di coordinamento intergovernativo e multilaterale sia verticale tra i li-velli istituzionali, da quello europeo a quello locale, cui compete (per il principio della sussidiarietà) la formulazione e la messa in opera delle decisioni attraverso gli strumenti della pianificazione urbanistica; sia orizzontale infra-territoriale e infra-attoriale. Solo così, infatti, è possibile generare una nuova governance terri-toriale, da più parti reclamata.

Questa evoluzione è oramai necessaria, si pensi solo a due temi centrali per lo spazio contemporaneo: la questione paesaggistica inerente la Convenzione Europea del Paesaggio, cui sono coinvolti direttamente le comunità locali e quel-le istituzionali, a qualsivoglia livello esse appartengano; e il tema delle grandi infrastrutture, le cosiddette Trans European Network, che vedono anch’esse l’in-terconnessione degli interessi locali diffusi con quelli globali e di assetto del ter-ritorio europeo. Entrambi richiedono una visione strategica spaziale13 intorno alla quale dovrebbe essere costruito, in forme negoziali e pattizie e con modalità aperte di partecipazione per tutti gli interessi (anche quelli diffusi), un comune progetto di spazio territoriale.

Ma l’attuale impianto normativo delle regioni italiane, almeno di quelle che si sono dotate di leggi regionali post 2001, è in linea con questo assunto? O meglio quale forma di concertazione a livello di pianificazione regionale è oggi previsto nei recenti apparati normativi delle Regioni italiane?

3. I processi cooperativi presenti nelle leggi regionali sul governo del territorio dopo la riforma costituzionale del 2001

Proponiamo qui una lettura delle interpretazioni regionali della modifica co-stituzionale, ovvero cerchiamo di evidenziare quali rapporti siano stabiliti nelle leggi tra gli enti amministrativi competenti in materia di governo del territorio e quindi tra le loro azioni pianificatorie, nonché tra amministrazioni e soggetti pub-blici e privati; e poi proviamo a verificare, per il solo livello della pianificazione regionale, la natura e i contenuti nei primi documenti di politica spaziale.

12 Come viene inteso in Featherstone e Radaelli (2003); cioè di costruzione di un comune sentire, di linguaggi, approcci, procedure e protocolli, ma anche di tematiche di policy making pubbliche e private.

13 Intesa nel senso di Mascarucci (2008).

forme plurime della

97 Pianificazione Regionale

3.1 Quali rapporti tra gli Enti territoriali?

La scelta dei casi in analisi è, ovviamente, circoscritta a quelle regioni che han-no legiferato in materia di governo del territorio14. tra le motivazioni principali che accomunano i provvedimenti legislativi regionali post 2001 vi è l’intenzione, più o meno palese, di dar luogo a un sistema di pianificazione più snello ed efficace, sia attraverso l’accelerazione dell’iter amministrativo di formazione della decisione, sia attraverso la definizione di alcuni principi e criteri di valutazione per consentire ai soggetti preposti al controllo di affrontare le decisioni partendo da un patrimo-nio cognitivo già in partenza delineato e condiviso. Ma emerge un altro elemento di un notevole interesse: la declinazione del principio di “leale collaborazione”15, con forme non univoche di collaborazione interistituzionale. Comparando, seppur velocemente, i principi ispiratori delle singole normative regionali (tab. 1) con i tipi di rapporti interni che regolano le relazioni tra gli enti territoriali (tab. 2), emergo-no forme plurime nell’interpretazione di questo principio che sottostà al nuovo regionalismo scaturito dalle modifiche costituzionali del 2001; ma anche modalità applicative assai differenti che si rifanno a concetti estrapolati da svariati campi d’azione: la concertazione istituzionale (della Calabria) è certamente diversa dal coordinamento (della Lombardia), così come è distante dalla cooperazione istitu-zionale (della Campania e del Friuli).

Gli stessi principi ispiratori non sembrano avere degli ancoraggi stabili e chiari. È in genere presente la sostenibilità/sviluppo sostenibile; quasi tutte richia-mano i principi costituzionali della sussidiarietà e adeguatezza e poco quello della differenziazione (citato solo dalle leggi della Toscana e della Lombardia), affian-candoli talvolta ad altri principi quali l’efficienza (come in Veneto e in Lombardia), oppure a cospicuo elenco (sempre la Lombardia) dove è presente la partecipazio-ne, la collaborazione, la flessibilità e la compensazione. In altre parole sembra che il venir meno di alcuni storici ancoraggi della pianificazione classica, come l’inte-resse pubblico e collettivo o quello della giustizia sociale, abbia lasciato aperto un baratro culturale che viene via via riempito facendo riferimento ad un arcipelago di principi, tutti tenuti insieme da quello della sostenibilità delle scelte e dalla sus-sidiarietà come modalità organizzativa.

Ma anche su quest’ultimo passaggio la condotta non è univoca perché, nono-stante siano previste le Conferenze, gli Accordi e le Intese, come modo dichiarato per definire e condividere le scelte della pianificazione, per le procedure di verifica e per quelle di formalizzazione della strumentazione di piano (tab. 2) prevale una certa propensione a riaffermare l’importanza dell’ente superiore rispetto a quello di livello inferiore. Caso estremo le procedure previste nel Veneto che, contraddi-

14 Così come prevede il nuovo art. 117 della Carta Costituzionale. Le Regioni che lo hanno fatto, con progetti di legge avviati dopo l’entata in vigore delle modifiche costituzionali, sono: la Calabria (n. 19 del 16 aprile 2002, Norme per la tutela, governo ed uso del territorio); il Veneto (n. 11 del 23 aprile 2004, Norme per il governo del territorio); la Campania (n. 16 del 22 dicembre 2004, Norme sul governo del territorio); la Toscana (n. 1 del 3 gennaio 2005, Norme per il governo del territorio); la Lombardia (n. 12 del 11 marzo 2005, Legge per il governo del territorio); e il Friuli V.G. (n. 5 del 27 feb-braio 2007, Riforma dell’urbanistica e disciplina dell’attività edilizia e del paesaggio). Recentemente anche la Provincia autonoma di Trento si è dotata di nuova disciplina (legge provinciale n. 1 del 4 marzo 2008, Pianificazione urbanistica e governo del territorio), ma non abbiamo fatto in tempo a prenderla in considerazione.

15 Sul carattere innovativo del principio rimandiamo a Di Andrea (2001), p. 163 e ss.

a cura di Attilio Belli e Anna Mesolella

98

cendo i principi dichiarati, tracciano un impianto fortemente gerarchico, affidando la verifica di conformità dei piani provinciali o locali all’organo cui spetta la loro stessa approvazione. Ma anche nella Lombardia emergono aspetti fortemente vin-colanti rispetto ai comuni, obbligati a recepire gli esiti della verifica senza possibi-lità di appello.

A livello provinciale, le procedure appaiono meno “dirigistiche”, tanto in Lombardia, dove all’esito della verifica devono seguire le proposte di modifica della Giunta Provinciale al piano, e in Campania, dove il piano provinciale è sot-toposto a verifica di conformità dopo la sua approvazione (anche se gli esiti della conferenza sono solo ratificati dal Consigli Provinciali). Da questa impostazione si discosta la sola Toscana che affida questo compito alla figura del Responsabile del procedimento che “accerta e certifica che il procedimento medesimo si svolga nel rispetto delle norme legislative e regolamentari vigenti”, nonché “verifica che lo strumento della pianificazione territoriale si formi in piena coerenza con gli altri strumenti della pianificazione territoriale di riferimento (...), tenendo conto degli ulteriori piani o programmi di settore vigenti. (…) Qualora emergano profili di incoerenza o di incompatibilità rispetto ad altri strumenti della pianificazione ter-ritoriale (...) il responsabile del procedimento provvede a darne tempestiva infor-mazione agli organi dell’amministrazione competenti all’approvazione”, anche ai fini dell’eventuale attivazione di un “Accordo di pianificazione” (art. 16, Lr 1/05).

Se guardiamo, invece, alle procedure di concertazione (tab. 3a e 3b), l’istituto che prevale è quello della Conferenza. Ma anche qui con una pluralità di forme – riservata solo agli enti istituzionali; estesa anche agli enti funzionali; aperta ai por-tatori di interessi diffusi – e di esiti attesi – per mera consultazione; solo per pareri; per verifiche di coerenza e compatibilità; raramente per giungere ad un accordo di pianificazione, ma in questo caso si trasforma nella più tradizionale “conferenza di servizi” – che tradiscono vari tentativi di definire percorsi fortemente ponderati sui vari contesti regionali e “modelli” di governance adeguati ai territori amministrativi, piuttosto che una modalità prevalente, quindi non solo lessicale, per definire politi-che pubbliche condivise16. Rilievo accentuato dal fatto che la Conferenza, nelle pro-cedure di concertazione di qualsivoglia livello di pianificazione (tab. 3) è sempre at-tivata nelle fasi iniziali del percorso decisionale e mai accompagna l’intero percorso, assumendo così il ruolo – certo importante e significativo – di attivatore di processi di conoscenza e di consultazione interistituzionale e/o di coinvolgimento dei porta-tori di interessi diffusi, e poco quello di tracciare coerenti decisioni inter-attoriali che obblighino i singoli partecipanti all’azione. Nei casi in cui questo accade (Toscana, Veneto, Lombardia) questa evolve in Conferenza di servizi17 alla fine della quale si sottoscrive un vero e proprio accordo che modifica uno strumento di pianificazione

16 Come d’altronde auspicava già la legge di riforma delle autonomie locali del 1990, la n. 142, all’art. 3, comma 3, che indicava nel principio della cooperazione dei comuni e delle province tra loro e con la regione, l’organizzazione del sistema delle autonomie locali al servizio dello sviluppo economico, sociale e civile.

17 Che, a norma dell’art. 14 della legge n. 241 del 1990, assegnano all’ente interessato a un deter-minato procedimento la facoltà di convocare una conferenza atta a acquisire tutte le intese, i nulla-osta e gli assensi degli enti interessati a quel procedimento. La conferenza di servizi consiste, infatti, nell’esame contestuale dei vari interessi pubblici presenti nell’ambito di un determinato procedimen-to e viene indetta, dall’amministrazione che cura l’interesse pubblico prevalente o dall’amministra-zione competente a concludere il procedimento che deve precedere tutti gli altri

forme plurime della

99 Pianificazione Regionale

esistente. Quindi ha una visione e una prospezione assai parziale e un’ottica di go-vernance cooperativa non ancora soddisfacente. Probabilmente non è da questo ver-sante che arriveranno le possibili novità nei rapporti intergovernativi e nelle azioni multilivello, né da questa prospettiva è possibile realmente capire il ruolo del livello regionale, anche se è da notare che solo a questo livello, in molte regioni, è presente il più alto coinvolgimento sia degli attori istituzionali (Veneto, Toscana, Friuli) che di quelli portatori di interessi diffusi (Calabria, Campania, Lombardia).

3.2 Naturaecontenutideiprimidocumentidipianificazioneregionale

Se spostiamo, invece, la nostra lettura comparativa ai primi documenti di piano e alle enunciazioni che questi prospettano, la nostra domanda trova altra soddisfazione. La lettura18, pur facendo riferimento a dei materiali a diverso stadio di formazione (p.e. solo il piano della Toscana è approvato definitivamente, mentre quello della Calabria è ancora a uno stadio intenzionale), è l’unica che attualmente ci permette di elencare una serie di questioni rilevanti che attengono la natura dei piani regionali contemporanei e i contenuti che in concreto vi compaiono; e, al contempo, ci permette di cominciare a rispondere alla domanda iniziale posta in questa riflessione: quale compito è affidato alla pianificazione regionale nel nuovo assetto istituzionale post 2001?

Nonostante le diverse sfaccettature presenti, i differenti gradi di avanzamento e gli embrionali esiti leggibili in questi documenti (tutti comunque recenti) è, difatti, possibile intravvedere una significativa evoluzione della pianificazione regionale verso forme di pianificazione strategico-negoziale assai dinamiche, dove l’obiettivo principale poggia su un forte e robusto legame con la programmazione economica, indipendentemente dalla natura dello strumento, dalla sua titolazione e soprattutto dagli obiettivi dichiarati nell’articolato normativo di riferimento (tab. 4).

Sembra un paradosso, e in parte lo è, perché un Quadro territoriale (Calabria), dovrebbe essere diverso da un Piano territoriale (Campania, Lombardia, Friuli V.G.), e che la funzione di “indirizzo” (Toscana) dovrebbe evocare diverse modalità di azione e di ruolo rispetto al puro “coordinamento” (Veneto). Eppure non sembra così, anzi sembra di trovarci in un periodo in cui le parole non hanno un senso “universalmente” condiviso19, e l’intenzionalità originaria via via piegata, adattata e dinamizzata all’opportunità più “prossima”. Opportunità più prossima che nel caso della pianificazione regionale significa interconnettere input provenenti dal-la programmazione europea con strategie territoriali negoziali che, per comodità espositiva, definiamo “locali”.

Il contenuto della pianificazione regionale, direttamente o indirettamente, sembra cioè fortemente influenzato sia dalla costruzione dei Quadri strategici re-gionali20, sia dalla possibilità concreta di intercettare politiche, flussi finanziari e

18 Possibile per la realizzazione di un Atlante della pianificazione regionale. Piani e quadri vigenti e in corso di redazione, a cura di V. Lingua, Network Sphera, Unità di Firenze, marzo 2008, ora pubblicato in Properzi (2008), pp. 45-76.

19 La scelta delle parole dovrebbe essere un atto linguistico pregnante che al contempo serve sia dal punto di vista esegetico di interpretazione di fatti ed eventi, sia dal punto di vista strumentale in una ottica costruttiva Austin (1962).

20 Redatti a compendio del Quadro Strategico Nazionale, per il nuovo periodo di programmazione

a cura di Attilio Belli e Anna Mesolella

100

opportunità, interne ed esterne allo spazio regionale, con un fine: quello di attivare strategie inclusive per un continuo accomodamento tra interessi territoriali pre-senti nello spazio regionale, selezione di alcuni temi e strategie di livello regionale e modellamento a interessi “locali” di interessi nazionali e/o europei.

Questa forte contaminazione con le politiche di programmazione e di uti-lizzo delle risorse finanziarie sembra aver costretto le Regioni a riflettere non solo sulle politiche di intervento, ma anche sulla loro territorialità, determinando for-me embrionali di policy making, in parte con una impostazione di natura adattiva (rispondendo positivamente ai programmi e alle loro parole d’ordine) fino a in-fluenzarne i contenuti; in parte con una impostazione di natura esplorativa, fino a tracciare dei contenuti e dei ruoli strumentali diversi rispetto agli stessi contenuti della normativa regionale.

Se, infatti, trasferiamo la nostra comparazione alla dimensione testuale dei piani e quindi al loro contenuto (tab. 4) notiamo un chiaro allontanamento rispetto alla tradizionale pianificazione di sistema fatta per successivi passaggi sempre più puntuali (anche nel Veneto dove la normativa mantiene ancora una impostazione di natura gerarchica). Al contrario la dimensione testuale dei piani svela un ruolo di cabina di regia cooperativa per il livello regionale, tanto da reinterpretare lo stesso ruolo del piano regionale per indirizzarlo verso impostazioni in grado di cogliere le azioni e le interazioni tra le stesse più che il “disegno” fisico e ammi-nistrativo dello sviluppo; e in una ottica di condivisione (almeno nelle esperienze che ci sembrano più interessanti) delle scelte formalizzate in protocolli di intesa (Calabria) o in un vero e proprio patto (Toscana) con gli attori interessati, come presupposto per la convergenza delle rispettive sfere d’azione applicate ai territori. Dunque non tanto dei piani regolativi, né semplicemente di indirizzo, quanto dei piani orientati al progetto.

Ma emerge un altro interessante aspetto: il ruolo dei mobilizzatori di interes-si con una forte propensione comunicativa.

4. Conclusione

È noto che l’interpretazione del principio di sussidiarietà verticale presenta, ancora, degli elementi di incertezza per la sua reale applicazione nel sistema de-cisionale pubblico legato all’attività di pianificazione spaziale e ai suoi strumenti. La discussione è ancora aperta sia nel mondo accademico che in quello tecnico-professionale, essendo ancora non risolto il nodo tra leggi di principio di livello nazionale e ordinamenti regionali.

In questo sfondo la pianificazione regionale, che nel nuovo impianto ammi-nistrativo italiano neo-autonomista ha avuto un deciso rilancio, sembra assumere un preciso ruolo di compositore nei processi multilivello di coesione economica, sociale e territoriale. Tuttavia essa è compressa tra le indicazioni locali e le indica-zioni che provengono dal livello nazionale ed europeo.

2007-2013 dell’Unione Europea e che hanno obbligato ad interpretare lo spazio regionale non più come luogo delle opportunità e delle risorse dormienti da mettere in gioco, cioè come un nuovo regionalismo competitivo.

forme plurime della

101 Pianificazione Regionale

Una pianificazione spaziale senza riferimenti di livello nazionale ed europeo oggi è impensabile, così come è improponibile una pianificazione spaziale regio-nale autonoma rispetto agli interessi e alle richieste delle autorità locali comunali. Gli interessi locali spesse volte sono tutt’altro che omogenei e spesse volte anche più robusti di quelli regionali. In diversi ambiti regionali esistono aree metropoli-tane e/o municipalità inserite in reti sovranazionali o in reti globali, che rendono problematico il ruolo delle Autorità regionali.

In questa doppia compressione la pianificazione spaziale regionale è inserita e può giocare un ruolo importante, non solo come compositore di interessi (locali/globali), ma soprattutto come tavolo di costruzione di vision spaziali possibili cui legare alcuni progetti di territorio. Proprio per questo la natura della pianificazio-ne spaziale sembra essere cooperativa.

Allegato

9

ALLEGATO Tab. 1 – Principi ispiratori e modalità del rapporto tra gli enti territoriali

Regione Principi ispiratori dichiarati Tipo di rapporto prevalente Modalità

Calabria Sussidiarietà Concertazione istituzionale Conferenza di pianificazione Conferenza di servizi Accordo di programma

Veneto

Sussidiarietà Adeguatezza Efficienza

Sussidiarietà e coerenza

Ciascun piano indica il complesso delle direttive per la redazione degli strumenti di pianificazione di livello inferiore e determina le prescrizioni e i vincoli automaticamente prevalenti Ogni piano detta i criteri ed i limiti entro i quali il piano di livello inferiore può modificare il piano di livello sovraordinato senza che sia necessario procedere ad una variante

Campania Sostenibilità Cooperazione istituzionale Conferenza di pianificazione Intese

Toscana

Sviluppo sostenibile Sussidiarietà Differenziazione Adeguatezza

Coerenza

Comunicazione avvio procedimento Accordi di pianificazione Intese

Lombardia

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Coordinamento

Intese Accordi

Friuli V.G. (non indicati) Cooperazione istituzionale

Delega di pianificazione dei Comuni ad entità superiori

Conferenze di pianificazione Intese di pianificazione

Fonte: nostra elaborazione sulle normativa per il governo del territorio regionale Tabella 1 – Principi ispiratori e modalità del rapporto tra gli enti territoriali.

Fonte: nostra elaborazione sulle normativa per il governo del territorio regionale.

a cura di Attilio Belli e Anna Mesolella

102

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forme plurime della

103 Pianificazione Regionale

* Del nucleo di valutazione fanno parte: l’Assessore regionale all’Urbanistica e Governo del territorio che lo pre-siede; i Dirigenti dei servizi Urbanistica e Ambiente del Dipartimento regionale relativo; il segretario dell’Au-torità di bacino; gli Assessori Provinciali all’uopo delegati dalla Giunta Provinciale; un delegato dell’A.N.C.I., uno dell’U.N.C.E.M. e uno dell’A.N.C.E.; un delegato in rappresentanza dei parchi della Regione Calabria; un rappresentante per ciascuno degli Ordini professionali degli Architetti-pianificatori-paesaggisti-conservatori, de-gli Ingegneri, dei Geologi, degli Agronomi e Forestali, nonché dei Geometri; un rappresentante designato da ognuna delle Università Calabresi; un rappresentante dell’Unione regionale delle bonifiche; un rappresentante dell’Unione piccoli Comuni; un rappresentante unitario delle organizzazioni ambientaliste e protezioniste; un rappresentante delle organizzazioni sindacali dei lavoratori; un delegato della Lega delle Autonomie Locali; 5 esperti nominati dal Presidente della Giunta regionale, su proposta dell’Assessore regionale all’Urbanistica e al Governo del Territorio, con particolare competenza in materia di pianificazione urbanistica, territoriale, tutela e conservazione del patrimonio storico architettonico e paesaggistico della Calabria e di difesa e gestione del rischio geologico, idrogeologico e di riduzione del rischio sismico. I componenti il Nucleo di Valutazione sono nominati con decreto del presidente della Giunta regionale e durano in carica per l’intera durata della legislatura e comun-que fino alla designazione dei sostituti. ** Conferenza dei comuni, delle comunità montane e degli enti gestori delle aree regionali protette, creata in ogni provincia. Vi siedono: sindaci dei comuni e i presidenti delle comunità montane e degli enti gestori delle aree regionali protette o loro delegati; alle sedute della conferenza partecipano, senza diritto di voto, il presidente della provincia, il vicepresidente e l’assessore competente, se delegato. Ha funzioni consultive e propositive.nell’ambito delle materie trasferite alle province attinenti al territorio e all’urbanistica** non ne sono precisati i contenuti.

Tabella 3a – Procedure di cooperazione ordinarie inter-istituzionale e interattoriale di area vasta.Fonte: nostra elaborazione sulle normativa per il governo del territorio regionale.

PIANO A LIVELLO TERRITORIALE REGIONALE PIANO A LIVELLO TERRITORIALE PROVINCIALE

REG Organo istituzione Organismo Ruolo Momento Art. Organo istituzione Organismo Ruolo Momento Art. C

ALA

BRIA

Nucleo di valutazione*

Esprime alla Giunta regionale pareri in merito alla definizione del QTR ed i suoi rapporti con il Sistema Informativo Territoriale, contribuendo così alla definizione del documento preliminare

in fase preliminar

e

9 25.2

Conferenza di Pianificazione (Regione, Province contermini,

Comuni, Comunità Montane, Autorità di bacino e Enti di gestione dei parchi e delle aree naturali protette, le forze

economiche e sociali e i soggetti interessati alla formazione degli

strumenti di pianificazione)

Esame del documento preliminare di piano (compreso quadro conoscitivo, scelte pianificatorie e valutazione sostenibilità). I partecipanti espongono le loro osservazioni, proposte e valutazioni, delle quali si dà atto in un apposito verbale che l’amministrazione procedente è tenuta a considerare nel processo di pianificazione avviato.

prima della adozione

13 26.3

Conferenza di Pianificazione (articolata per singola Provincia, vi partecipano:

Comuni, Comunità Montane, Autorità di bacino e Enti di gestione dei parchi e delle aree naturali protette, le forze economiche

e sociali e i soggetti interessati alla formazione degli strumenti di

pianificazione)

Esame del documento preliminare di piano (compreso quadro conoscitivo, scelte pianificatorie e valutazione sostenibilità). I partecipanti espongono le loro osservazioni, proposte e valutazioni, delle quali si dà atto in un apposito verbale che l’amministrazione procedente è tenuta a considerare nel processo di pianificazione avviato.

prima della adozione

13 25.3

VEN

ETO

Province, comuni, comunità montane e enti di gestione delle aree naturali

protette

Esame del documento preliminare di piano non è stabilita una procedura specifica

prima della adozione

25.2

Regione, province contermini, comuni, comunità montane e enti di gestione delle aree naturali protette, enti pubblici e soggetti gestori dei

servizi pubblici, nonché delle reti e dei servizi ad uso pubblico di rilevanza

provinciale

Esame del documento preliminare di piano non è stabilita una procedura specifica

prima della adozione

23.2

CA

MPA

NIA

Conferenza di pianificazione (le province, i comuni, gli enti locali, le altre amministrazioni interessate alla

programmazione e le organizzazioni sociali, culturali, economico-professionali,

sindacali e ambientaliste di livello regionale)

Elabora osservazioni e proposte di modifica alla proposta di Ptr

prima della adozione

15.2

Conferenza (comuni della provincia, enti locali e organizzazioni sociali,

culturali, ambientaliste, economico-professionali e sindacali di livello

provinciale come individuate dalla regione)

Elabora osservazioni e proposte di modifica alla proposta di PTCP

prima della adozione

20.6

TOSC

AN

A

Enti ed organismi pubblici individuati dall’amministrazione competente per esprimere osservazioni, nulla-osta e

pareri ***

Trasmettono i loro pareri entro i termini definiti dall’amministrazione competente (o, se questa la convoca, tramite conferenza dei servizi).

prima della adozione

15

Enti ed organismi pubblici individuati dall’amministrazione competente per esprimere osservazioni, nulla-osta e

pareri ***

Trasmettono i loro pareri entro i termini definiti dall’amministrazione competente (o, se questa la convoca, tramite conferenza dei servizi).

prima della adozione

15

LOM

BAR

DIA

Soggetti interessati

esprimono proposte per la predisposizione del PTR, seguito alla pubblicazione della determinazione della Regione a procedere all’elaborazione del piano

in fase preliminar

e 21.1

Comuni, comunità montane, enti gestori delle aree regionali protette

interessati, altri enti locali, autonomie funzionali, parti sociali, ordini

professionali, associazioni ambientaliste e portatrici di interessi

diffusi

Possono esprimere proposte, entro termine stabilito e con modalità eventualmente precisate con atto della provincia

in fase preliminar

e 17.1

Soggetti portatori di interessi diffuse, soggetti pubblici e privati

Pareri secondo modalità definite dalla Regione (eventualmente anche tramite “forum per le consultazioni”)

prima della adozione

21.1 Regione Consultata direttamente dalla Provincia per pareri

in fase preliminar

e 17.2

Conferenza dei comuni, delle comunità montane e degli enti gestori

delle aree regionali protette**

Esprime parere obbligatorio, dal quale la provincia può discostarsi motivandolo

prima della adozione

17.3

FRIU

LI V

.G. Consiglio delle autonomie locali Esprime il proprio parere sul progetto di

Ptr*** predisposto dalla GR prima della

adozione 10.3

Commissione consiliare competente regionale

Esprime il proprio parere sul progetto definitivo di PTR predisposto dalla GR una volta acquisito il parere del Consiglio delle Autonomie locali

prima della adozione

10.4

a cura di Attilio Belli e Anna Mesolella

104

*** Inoltre l’articolo 7 comma 5 della legge dice che: “I comuni, le province e la Regione, gli enti parco e gli altri soggetti, pubblici e privati, nonché i cittadini, singoli o associati, partecipano alla formazione degli strumenti della pianificazione territoriale”. **** All’art. 14 della l.r. 20/2000 è precisato che: “La conferenza di pianificazione ha la finalità di costruire un quadro conoscitivo condiviso del territorio e dei conseguenti limiti e condizioni per il suo sviluppo sostenibile, nonché di esprimere valutazioni preliminari in merito agli obiettivi e alle scelte di pianificazione prospettate dal documento preliminare. (...) Alla conferenza partecipano necessariamente gli enti territoriali e le amministrazioni [competenti per il piano]. Alla conferenza intervengono inoltre tutte le amministrazioni competenti al rilascio dei pareri, delle intese e degli atti di assenso, comunque denominati (...). L’amministrazione procedente può altresì convocare altre amministrazioni coinvolte o interessate dall’esercizio delle funzioni di pianificazione. La confe-renza realizza la concertazione con le associazioni economiche e sociali, chiamandole a concorrere alla definizione degli obiettivi e delle scelte strategiche individuati dal documento preliminare, acquisendone le valutazioni e le proposte.(...) In considerazione delle conclusioni della conferenza di pianificazione, la Provincia e la Regione, in caso di PTCP,ovvero il Comune e la Provincia, in caso di PSC, possono stipulare un accordo di pianificazione che defini-sca l’insieme degli elementi costituenti parametro per le scelte pianificatorie (...). Nella predisposizione e appro-vazione del ptcp o del psc, la provincia o il comune tiene comunque conto deicontributi conoscitivi e delle valutazioni espressi in sede di conferenza di pianificazione e si conforma alle deter-minazioni eventualmente concordate con l’accordo di pianificazione.***** Il Documento preliminare di piano (Dpp) contiene lo schema dell’assetto del territorio e individua i limiti e condizioni di trasformazione per lo sviluppo sostenibile (art. 2 comma 1)

Tab. 3b – Procedure di cooperazione ordinarie inter-istituzionale e interattoriale comunale e intercomunale.Fonte: nostra elaborazione sulle normativa per il governo del territorio regionale.

PIANO A LIVELLO TERRITORIALE SOVRA-COMUNALE PIANO A LIVELLO TERRITORIALE COMUNALE

REG Organismi o Strumento Ruolo Momento Art. Organismi o strumento Ruolo Momento Art.

CA

LABR

IA

Conferenza di Pianificazione (Regione, Provincia, Comuni contermini e quelli eventualmente individuati dal PTCP, Comunità Montana e Enti di gestione

dei parchi e delle aree naturali protette interessati, forze economiche e sociali ed soggetti interessati alla formazione degli

strumenti di pianificazione)

Verifiche di coerenza e compatibilità del documento preliminare di Piano strutturale e di Regolamento edilizio (compreso quadro conoscitivo, scelte pianificatorie e valutazione sostenibilità)

prima della

adozione

13 27bis

Conferenza di Pianificazione (Regione, Provincia, Comuni contermini e quelli eventualmente individuati dal PTCP, Comunità Montana e Enti di gestione

dei parchi e delle aree naturali protette interessati, forze economiche e sociali ed soggetti interessati alla formazione degli

strumenti di pianificazione)

Esame congiunto del documento preliminare di Piano strutturale e di Regolamento edilizio e urbanistico (compreso quadro conoscitivo, scelte pianificatorie e valutazione sostenibilità). I soggetti intervenuti possono presentare proposte e memorie scritte, che il Consiglio Comunale sarà chiamato a valutare in sede di adozione del PSC

prima della adozione

13 27.2

VEN

ETO

Accordo di pianificazione + Conferenza dei servizi (enti e soggetti interessati; se i comuni appartengono a più province,

sono presenti anche le province e la Regione)

Un accordo di pianificazione è stipulato tra gli enti e soggetti interessati sulla base di un documento preliminare di piano. Il piano è poi adottato dai comuni interessati. La conferenza dei servizi a cui partecipa anche la provincia esprime parere e "approva" il piano (ratificato dalla provincia)

sin da prima della

adozione

16.4

soggetti di cui all’art. 5 (enti pubblici territoriali e amministrazioni preposte

alla cura degli interessi pubblici coinvolti; associazioni economiche e

sociali portatrici di rilevanti interessi sul territorio e di interessi diffusi, nonché

con i gestori di servizi pubblici e di uso pubblico)

soggetti coinvolti per l’esame documento preliminare

Prima della adozione

5 14.1

PAT con “procedura concertata” Accordo di pianificazione + Conferenza dei servizi (enti e soggetti interessati –

Provincia compresa-)

Un accordo di pianificazione è stipulato tra gli enti e soggetti interessati sulla base di un documento preliminare di piano. Il piano è poi adottato dal comune. La conferenza dei servizi a cui partecipa anche la provincia esprime parere e "approva" il piano (ratificato dalla provincia)

sin da prima della

adozione 15

CA

MPA

NI

A

Organizzazioni sociali, culturali, economico-professionali, sindacali ed

ambientaliste di livello provinciale

Consultate dalla GC prima della predisposizione della proposta di PUC.

prima del deposito della

proposta di PUC

24

TOSC

AN

A

Enti ed organismi pubblici individuati dall’amministrazione competente per

esprimere osservazioni, nulla-osta e pareri ***

Trasmettono i loro pareri entro i termini definiti dall’amministrazione competente (o, se questa la convoca, tramite conferenza dei servizi)

prima della

adozione 15

Enti ed organismi pubblici individuati dall’amministrazione competente per

esprimere osservazioni, nulla-osta e pareri ***

Trasmettono le loro osservazioni entro i termini definiti dall’amministrazione competente (o, se questa la convoca, tramite conferenza dei servizi).

prima della adozione

15

LOM

BAR

DIA

Parti sociali ed economiche esprimono parere tramite

consultazione prima

dell’adozione 13.3

ASL e ARPA esprimono osservazioni

dopo adozione

e prima della approvazione

13.6

FRIU

LI V

. G.

Come per il PSC

Conferenza di Pianificazione (vi partecipano: Regione, Provincia, soggetti pubblici che svolgono funzioni pianificatorie, Amministrazioni statali competenti, Comuni contermini, eventuali altri soggetti pubblici convocati dal Comune)

La Conferenza è convocata dal Comune, che la presiede. Essa

verifica la completezza e l’aggiornamento del quadro

conoscitivo, raccoglie e integra le valutazioni dei soggetti

partecipanti. Se richieste, esprime valutazioni preliminari sul Documento Preliminare di

Piano*****. Nella conferenza sono acquisiti

intese, concerti, pareri , nulla osta e atti di assenso. La Regione e il

Comune definiscono una Intesa di Pianificazione, che ha per oggetto il recepimento delle prescrizioni del

Ptr e la delega al rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche.

prima della adozione

18

forme plurime della

105 Pianificazione Regionale

REG Denominazione e natura del piano territoriale regionale Art.

LeggeContenuto del piano territoriale regionale

CA

LABR

IA

Quadro territoriale regionale (QTR) Strumento di indirizzo per la pianificazione del territorio con il quale la regione, in coerenza con le scelte ed i contenuti della programmazione economico-sociale, stabilisce gli obiettivi generali della propria politica territoriale. Esso inoltre definisce gli orientamenti per la identificazione dei sistemi territoriali e indirizza, ai fini del coordinamento, la programmazione e la pianificazione degli enti locali. Attualmente la Calabria non ha alcun quadro territoriale vigente, ma delle Linee guida dalle quali si possono desumere cinque funzioni principali: 1. definizione della trama territoriale relazionale e della sua articolazione 2. tutela e valorizzazione del paesaggio, perché assume la valenza di piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici e attua i contenuti della Carta Calabrese del Paesaggio 3. ricerca delle coerenze per le strategie di settore attraverso una impostazione di priorità strategiche 4. attivazione dei progetti di sviluppo sostenibile del territorio e delle città 5. indirizzi alla pianificazione degli enti locali.

17 19/02

Linee Guida della Pianificazione regionale approvate con DCR n. 106 del 10 novembre 2006 Quadro Strategico Territoriale Regionale approvato con DGR n. 824 del 28 novembre 2006 Atto di indirizzo e Documento di Avvio approvati con DGR n. 16 del 19 gennaio 2007 L’Atto di indirizzo per la Elaborazione del Quadro Territoriale Regionale assegna al QTR la missione di sviluppare e territorializzare gli indirizzi degli strumenti di programmazione in atto, per il rafforzamento e la costruzione dei diversi sistemi della Calabria, sulla base dello slogan “Calabria in cambiamento: governare il presente e progettare il futuro”. Il QTR dovrà in tal senso, recepire alcune indicazioni fondamentali dello Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo, individuando alcuni temi "forti" di orientamento rivolti alle politiche regionali, tra cui: - un modello di sviluppo territoriale policentrico basato sul potenziamento della rete delle città; - la ricerca di una nuova partnership, basata su un rapporto equilibrato tra città e sistemi rurali e volta a favorire forme di sviluppo endogeno basate su un processo di diversificazione che valorizzi la specificità delle risorse locali; - la garanzia di un buon livello di accessibilità da conseguire attraverso l'integrazione ed il potenziamento delle reti della comunicazione, sia in riferimento alle infrastrutture per la mobilità ed il trasporto delle merci che a quelle immateriali per la diffusione dei saperi e lo scambio delle conoscenze; - la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale e culturale delle regioni europee. I suddetti temi dovranno guidare la redazione del QTR, prevedendo uno scenario di sviluppo futuro fortemente orientato al raggiungimento di obiettivi riferiti al territorio regionale nel suo insieme, da conseguire, in tempi brevi , anche attraverso la promozione e sperimentazione di “Laboratori di Progetto” a valenza strategica. Al momento il QTR è in fase di redazione, sulla base del Documento di Avvio, contenente le finalità e l’articolazione del QTR. Non è dunque possibile delineare gli obiettivi generali e specifici, le azioni e i contenuti del piano. Un utile riferimento, in questo senso, è il Quadro Strategico Territoriale Regionale (QTRS), che individua una visione guida e i progetti strategici che insistono sul territorio regionale. Successivamente, si prevede che tali progetti vengano definiti in un’Agenda Strategica che definisca più compiutamente il profilo delle azioni previste e delle loro fattibilità, gli attori in gioco, gli strumenti da utilizzare, le risorse necessarie, le fasi di attuazione e i tempi di riferimento. Tale agenda dovrà dar luogo a protocolli di intesa con gli attori interessati, come presupposto alla convergenza delle rispettive sfere d’azione applicate ai territori interessati.

VEN

ETO

Piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC) Il PTRC in coerenza con il programma regionale di sviluppo indica gli obiettivi e le linee principali di organizzazione e di assetto del territorio regionale, nonché le strategie e le azioni volte alla loro realizzazione. Esso è pensato per essere strumento di supporto all’attività di governance territoriale della Regione, in quanto consente di rendere coerente la “visione strategica” della programmazione generale e quella di settore con il contesto fisico, ambientale, culturale, civile ed economico, attraverso un’interpretazione del territorio che ne ponga in risalto i punti di forza e di debolezza e ne evidenzi potenzialità e opportunità. Lo spazio del Piano rappresenta quindi un momento di raccordo significativo fra politiche e interventi in una visione sistemica. In questo quadro il nuovo PTRC è “progetto di territorio” ed in quanto tale la “forma” è derivata dal percorso formativo dentro la filiera decisionale regionale e non solo, ma anche dalla necessità di andar oltre la dimensione “urbanistica” per essere strumento che favorisce un processo decisionale interattivo e quadro di riferimento disciplinare multilivello per costruire – a fronte di una forte articolazione sociale e degli interessi – punti di riferimento condivisi. A questo scopo, il piano si basa sulla costruzione di una community vision, derivata, accanto alla necessaria dimensione propositiva, da una dimensione dell’ascolto, che si è configurata nella creazione di una serie di occasioni di confronto con i diversi attori.

24 11/04

Adottato il Documento Preliminare con DGR n. 2587 del 7 agosto 2007 Gli orientamenti del Programma Regionale di Sviluppo rappresentano la base per la costruzione del nuovo PTRC, finalizzato a: - elaborare una politica territoriale in base alla infrastrutture esistenti e programmate; - promuovere un’organizzazione razionale delle zone industriali, per cui il tema della qualità della vita e della sostenibilità dello sviluppo assume un ruolo centrale; - localizzare i centri direzionali del terziario in corrispondenza dei centri maggiori e in prossimità dei grandi nodi di comunicazione; - rilanciare e sostenere le funzioni commerciali e residenziali dei centri storici e delle aree urbane; - tutelare il patrimonio agricolo e favorire la specializzazione delle produzioni. Il sistema degli obiettivi del PTRC è costituito da una matrice in cui sono stati identificati gli obiettivi strategici e gli obiettivi di livello operativo per macrotematiche: uso del suolo, biodiversità, energia risorse e ambiente, mobilità, sviluppo economico, crescita sociale e culturale. La vision del piano viene delineata complessivamente in 7 tavole la cui matrice è costituita dai “venetini”, ovvero delle rappresentazioni di sintesi, già orientate al progetto, dei dati e delle analisi effettuate e dalla rappresentazione del Veneto, in scala 1:250.000, con sovrapposti tematismi, proposte, orientamenti. Nel Quadro Sinottico del Sistema degli Obiettivi sono state indicate le principali linee di progetto – montagna, città, paesaggio – in riferimento alle specificità della Regione del Veneto. Al momento non sono presenti indicazioni di carattere normativo, per cui non risulta possibile indicare il grado di prescrittività del piano. Alcune indicazioni possono venire dall’allegato A5, relativo alla valenza di piano paesaggistico territoriale del PTRC. Il documento riporta l’itinerario metodologico per l’individuazione e la valutazione dei sistemi di paesaggio. Si prevede che, nell’apparato normativo, sia contemplata la disciplina paesaggistica degli ambiti di paesaggio, le cui politiche sono definite in base ai relativi obiettivi di qualità discendenti dalla valutazione della rilevanza e dell’integrità della tipologia dei valori paesaggistici.

CA

MPA

NIA

Piano territoriale regionale (PTR) Il PTR ha un carattere processuale e strategico, inteso come: - ricerca di generazione di immagini di cambiamento, piuttosto che come definizioni regolative del territorio; - campi progettuali piuttosto che come insieme di obiettivi; - indirizzi per l’individuazione di opportunità utili alla strutturazione di reti tra attori istituzionali e non, piuttosto che come tavoli strutturati di rappresentanza di interessi. Esso si propone quindi come piano d’inquadramento, d’indirizzo e di promozione di azioni integrate attraverso la copianificazione, individua infatti: a) gli obiettivi di assetto e le linee principali di organizzazione del territorio regionale,

nonché le strategie e le azioni volte alla loro realizzazione; b) i sistemi infrastrutturali e le attrezzature di rilevanza sovraregionale e

regionale, nonché gli impianti e gli interventi pubblici dichiarati di rilevanza regionale;

c) gli indirizzi e i criteri per la elaborazione degli strumenti di pianificazione territoriale provinciale e per la cooperazione istituzionale

A questo scopo, il PTR si basa su 5 “Quadri Territoriali di Riferimento” utili ad attivare una pianificazione d’area vasta concertata con le Province, con una forte componente paesaggistico-ambientale.

13 16/04

Approvato con DGR n. 1328 del 3 agosto 2007 Il PTR si pone come obiettivo principale di contribuire allo sviluppo ecosostenibile, attraverso una mediazione tra pianificazione territoriale e paesistico-ambientale e programmazione dello sviluppo. Fa da sfondo una concezione dello sviluppo sostenibile concretamente orientata alla: - tutela, valorizzazione e riqualificazione funzionale del territorio incentrata sul minor consumo di suolo e sulla difesa del territorio agricolo; - difesa e recupero della diversità territoriale, sostenuti dalla costruzione della rete ecologica e da un assetto policentrico ed equilibrato, capace di rompere l’assetto gerarchizzato e squilibrato esistente, assicurando una configurazione reticolare e armonica; - prevenzione e superamento delle situazioni di rischio ambientale; - integrazione degli insediamenti industriali e residenziali volta ad una complessiva riqualificazione socioeconomica e ambientale; - miglioramento del sistema della mobilità, da garantire attraverso una interconnessione capace di realizzare l’integrazione delle diverse modalità di trasporto e un potenziamento ambientalmente compatibile. Tali principi si traducono in obiettivi e strategie per ciascun quadro di riferimento territoriale, oltre che nelle Linee Guida per il paesaggio. In particolare, le Linee guida per il paesaggio in Campania: - forniscono criteri ed indirizzi di tutela, valorizzazione, salvaguardia e gestione del paesaggio per la pianificazione provinciale e comunale, - definiscono il quadro di coerenza per la definizione nei Piani Territoriali di Coordinamento Provinciale (PTCP); - definiscono gli indirizzi per lo sviluppo sostenibile e i criteri generali da rispettare nella valutazione dei carichi insediativi ammissibili sul territorio. Attraverso le Linee guida per il paesaggio in Campania la Regione indica alle Province ed ai Comuni un percorso istituzionale ed operativo coerente con i principi dettati dalla Convenzione europea del paesaggio, dal Codice dei beni culturali e del paesaggio e dalla Lr. 16/04, definendo direttive specifiche, indirizzi e criteri metodologici il cui rispetto è cogente ai fini della verifica di coerenza dei piani territoriali di coordinamento provinciali (PTCP), dei piani urbanistici comunali (PUC) e dei piani di settore, da parte dei rispettivi organi competenti, nonché per la valutazione ambientale strategica. Considerato il valore strategico e di indirizzo del PTR, nonché la sua attenzione all’attivazione di pratiche di copianificazione, la disciplina del piano si sviluppa in pochi articoli relativi soprattutto

a cura di Attilio Belli e Anna Mesolella

106

ai contenuti del PTR, ai procedimenti di pianificazione paesaggistica, alle modalità di copianificazione, che dovranno avvenire attraverso l’attivazione di conferenze permanenti, accordi di pianificazione e laboratori di pianificazione partecipata.

TOSC

AN

A

Piano di indirizzo territoriale (PIT) E’ l’atto di programmazione con il quale la regione stabilisce gli orientamenti per la identificazione dei sistemi territoriali, indirizzando a fini di coordinamento la programmazione e la pianificazione degli enti locali, oltre a definire la politica territoriale regionale. Esso delinea la strategia dello sviluppo territoriale mediante l’indicazione e la definizione: a) degli obiettivi del governo del territorio e delle azioni conseguenti; b) del ruolo dei sistemi metropolitani e dei sistemi delle città, dei sistemi locali e dei

distretti produttivi, delle aree caratterizzate da intensa mobilità nonché degli ambiti territoriali di rilievo sovraprovinciale;

c) delle azioni integrate per la tutela e valorizzazione delle risorse essenziali. E’ articolato in indirizzi di medio periodo fondati su: - la costruzione di una visione condivisa, espressione della territorialità regionale, che indica le regole invarianti territoriali, ma anche di un “patto” interistituzionale sottoscritto tra Regione e il sistema delle autonomie locale - l’integrazione e coerenza con il Programma regionale di sviluppo, in modo da delineare un unico processo per raggiungere gli stessi traguardi strategici unificanti. Ha natura ed effetti di piano paesaggistico.

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Approvato con DCR n. 72 del 24 luglio 2007 Le politiche e gli indirizzi del PIT sono riferiti all’intero spazio regionale e per intere componenti del sistema territoriale regionale. Queste sono organizzate in metaobiettivi tematici: 1. la «città policentrica toscana» che rappresenta il sistema territoriale urbano fatto dalle tante città e delle configurazioni metropolitane in cui si organizza la vita, l’economia e la cultura urbana della regione; 2. il «distretto industriale integrato toscano», considerato come un unico spazio dinamico composto dalla filiera ricerca, industria e servizi avanzati che rappresentano il vero e innovativo tessuto connettivo dell’economia regionale; 3. il «patrimonio territoriale e culturale» della Toscana considerato come “metafora” di riferimento dove è visibile la ricchezza stratificata depositata sul territorio che il piano vuole preservare, tutelare e conservare con il contenimento dell’espansione edilizia; 4. il «patrimonio costiero» della Toscana, cioè la salvaguardia e lo sviluppo della costa dove si punterà a una riformata portualità con riferimento anche a quella turistica; 5. le infrastrutture per la logistica e la mobilità di interesse unitario regionale, con la scelta di puntare verso alcuni grandi progetti che proiettano la Toscana sullo scenario nazionale e internazionale, come la “piattaforma logistica costiera” e la nuova relazione ferroviaria costa-appennini; ed infine 6. i beni paesaggistici di interesse unitario regionale. Ad ogni metaobiettivo sono correlati degli obiettivi conseguenti, cioè delle specificazioni che, restringendo e specificando il campo d’azione, trasferiscono le indicazioni strategiche in pratiche dell’agire. In questo senso, il PIT perché propone argomenti e politiche per sostenere gli obiettivi, piuttosto che azioni specifiche territorialmente zonizzate. Il PIT si basa su un patto sottoscritto tra il sistema delle autonomie locali e i loro rappresentati, nonché le principali associazioni che rappresentano interessi diffusi.

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Piano territoriale regionale (PTR) Atto fondamentale di indirizzo, agli effetti territoriali, della programmazione di settore della Regione, nonché di orientamento della programmazione e pianificazione territoriale dei comuni e delle province. Indica gli elementi essenziali dell’assetto territoriale e definisce i criteri e gli indirizzi per la redazione degli atti di programmazione territoriale di province e comuni. Esso, sulla base dei contenuti del programma regionale di sviluppo e della propria programmazione generale e di settore, indica gli elementi essenziali del proprio assetto territoriale e definisce altresì, in coerenza con quest’ultimo, i criteri e gli indirizzi per la redazione degli atti di programmazione territoriale di province e comuni. Il PTR ha natura ed effetti di piano territoriale paesaggistico. Esso, inoltre, risponde all’esigenza di un piano di natura, contestualmente, strategica e operativa, in una logica orizzontale e flessibile, di forte integrazione tra politiche, obbiettivi e strumenti attuativi. Gli obiettivi costituiscono per tutti i soggetti coinvolti a vario livello nel governo del territorio un riferimento centrale e da condividere per la valutazione dei propri strumenti programmatori e operativi. Ha natura ed effetti di piano territoriale paesaggistico

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Proposta di PTR approvata con DGR n. 6447 del 16 gennaio 2008 Il Documento di Piano individua 3 macro-obiettivi (principi ispiratori dell'azione di Piano con diretto riferimento alle strategie individuate a livello europeo) e 24 obiettivi di Piano. La declinazione degli obiettivi è strutturata secondo due logiche: dal punto di vista tematico e dal punto di vista territoriale. La declinazione territoriale è effettuata sulla base dell'individuazione di sistemi territoriali considerati come chiave di lettura del sistema relazionale a geometria variabile ed integrata, che si attiva e si riconosce spazialmente nel territorio: Sistema Metropolitano, Sistema della Montagna, Sistema Pedemontano, Sistema dei Laghi, Sistema della Pianura Irrigua, Sistema del Fiume Po e Grandi Fiumi di Pianura. Il Documento di Piano definisce le linee orientative dell'assetto del territorio regionale identificando gli elementi di potenziale sviluppo e di fragilità che si ritiene indispensabile governare per il perseguimento degli obiettivi. La definizione degli orientamenti è costruita in riferimento agli obiettivi prioritari di interesse regionale, identificati ai sensi dell'art.19, comma 2 lett. b della legge 12/2005: poli di sviluppo regionale, zone di preservazione e salvaguardia ambientale e infrastrutture prioritarie. Gli obiettivi definiti nel Documento di Piano costituiscono per tutti i soggetti coinvolti a vario livello nel governo del territorio un riferimento centrale e da condividere per la valutazione dei propri strumenti programmatori e operativi. Quanto ai contenuti del Piano Territoriale Paesistico Regionale, le misure di indirizzo e di prescrittività paesaggistica si sviluppano in stretta e reciproca relazione con le priorità e gli obiettivi messi a sistema dal Piano Territoriale Regionale, con specifica attenzione ai temi della riqualificazione paesaggistica e del contenimento dei fenomeni di degrado.

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Piano territoriale regionale (PTR) Il PTR persegue le seguenti finalità strategiche: a) la conservazione e la valorizzazione del territorio regionale, anche valorizzando le

relazioni a rete tra i profili naturalistico, ambientale, paesaggistico, culturale, storico e la riqualificazione urbana e ambientale;

b) le migliori condizioni per la crescita economica del Friuli VG e lo sviluppo sostenibile della competitività del sistema regionale;

c) le pari opportunità di sviluppo economico per tutti i territori della regione nella prospettiva di rafforzamento del policentrismo e di integrazione dei diversi sistemi territoriali;

d) la coesione sociale della comunità, nonché l’integrazione territoriale, economica e sociale del Friuli VG con i territori contermini;

e) il miglioramento della condizione di vita degli individui, della comunità, degli ecosistemi e in generale l’innalzamento della qualità ambientale;

f) le migliori condizioni per il contenimento del consumo dell’energia e del suolo, anche con lo scopo di mantenere la più estesa fruizione a scopi agricoli e forestali, nonché per lo sviluppo delle fonti energetiche alternative;

g) la sicurezza rispetto ai rischi correlati all’utilizzo del territorio. Viene redatto in coerenza con gli strumenti della programmazione economica e finanziaria regionale ed ha la funzione di quadro di riferimento per gli strumenti di pianificazione di livello inferiore. Si configura essenzialmente in uno strumento di programmazione e di conoscenza, mediante il quale la Regione può esprimere una efficace politica di governo del territorio, lasciandosi alle spalle il tradizionale ruolo di semplice “controllo” delle scelte di pianificazione dei Comuni. Si crea in questo modo un legame interdipendente fra pianificazione strategica regionale e pianificazione territoriale.

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Adottato con DPR n. 0329/Pres. Del 16 ottobre 2007 Le finalità strategiche del PTR, definite dall'articolo 5 della Lr. 30/2005 riguardano: a) la conservazione e la valorizzazione del territorio regionale, anche valorizzando le relazioni a rete tra i profili naturalistico, ambientale, paesaggistico, culturale e storico; b) le migliori condizioni per la crescita economica del Friuli Venezia Giulia e lo sviluppo sostenibile della competitività del sistema regionale; c) le pari opportunità di sviluppo economico per tutti i territori della regione; d) la coesione sociale della comunità nonché l'integrazione territoriale, economica e sociale del Friuli Venezia Giulia con i territori contermini; e) il miglioramento della condizione di vita degli individui, della comunità, degli ecosistemi e in generale l'innalzamento della qualità ambientale; f) le migliori condizioni per il contenimento del consumo del suolo e dell'energia, nonché per lo sviluppo delle fonti energetiche alternative; g) la sicurezza rispetto ai rischi correlati all'utilizzo del territorio. Tali finalità sono declinate esplicitate in 37 obiettivi generali del PTR, a loro volta declinati in obiettivi specifici. Strutturando ad albero le finalità strategiche del nuovo PTR e i principali obiettivi si è giunti alla definizione delle matrici delle azioni del PTR di ciascuna risorsa essenziale. Tale impostazione permette di individuare ogni singola azione di piano che è oggetto di un atto normativo, regolamentare, programmatico, progettuale. La matrice delle azioni del PTR, articolata nelle cinque risorse di interesse regionale, ha considerato le proposte emerse nell’ambito del processo di Agenda 21 RPTR. Il PTR regionale ha un contenuto essenzialmente prescrittivo, che si sostanziano in: - “prescrizioni specifiche”: disposizioni cogenti immediatamente precettive, che devono essere recepite negli strumenti di pianificazione comunale e sovracomunale e negli atti amministrativi attuativi. - “prescrizioni regolative”: disposizioni vincolanti con contenuto non direttamente precettivo, destinate a fornire a tutti i soggetti che esercitano la funzione della pianificazione criteri ed indicazioni, la cui attuazione viene attribuita agli strumenti di pianificazione comunale, sovracomunale, infraregionale e di settore secondo quanto previsto dalla legge regionale e regolamenti. I contenuti prescrittivi del PTR costituiscono anche il quadro di riferimento ai fini dell’espressione di determinazioni, intese, accordi di programma.

Tabella 4 – Natura e contenuti della pianificazione territoriale regionale.Fonte: nostra elaborazione sulle normativa per il governo del territorio regionale e sui documenti di pianificazione regionale.