gestire l’information technology come capitale … · 2017-11-19 · gestire l ’information ......
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GESTIRE L’INFORMATION TECHNOLOGY COME CAPITALE INTELLETTUALE STRATEGICO
Renata Paola Dameri Università di Genova, Facoltà di Economia
Dipartimento di Tecnica ed Economia delle Aziende Via Vivaldi, 2 16126 Genova
ABSTRACT L’Information Technology (IT) è una tecnologia eterogenea e flessibile, che ha in azienda un duplice ruolo: di automazione dei processi e di gestione delle informazioni. Mentre l’effetto di automazione si esercita soprattutto ai livelli operativi della gestione, l’effetto sull’informazione riguarda flussi di dati che attraversano l’azienda in molteplici direzioni: - in modo orizzontale e trasversale, con effetti di integrazione informativa dei
processi; - dal basso verso l’alto, con azioni di raccolta, elaborazione e sintesi dei dati
derivanti dall’attività produttiva e indirizzati al management; - dall’altro verso il basso, con effetti di trasmissione delle decisioni aziendali verso
gli organi esecutivi; - attraverso i confini aziendali, grazie ad interconnessioni che generano reti di
comunicazione e cooperazione tra le imprese. L’interazione tra i dati aziendali e la tecnologia dell’informazione non si limita però ad un mero trattamento operativo dei dati medesimi; essa può produrre una vera e propria creazione e disseminazione di conoscenza, che a sua volta può formare risorse intangibili appropriate, uniche e distintive, fonte per l’impresa di vantaggio competitivo sostenibile. Una conferma di ciò può derivare dall’analisi della spirale della conoscenza di Nonaka1 e dal concetto di risorse invisibili di Itami2, la cui applicazione ai Sistemi Informativi Aziendali dimostra come l’uso dell’IT in azienda può riuscire a innescare processi di creazione di valore grazie allo sfruttamento di conoscenza informatizzata. Questi processi di creazione del valore possono condurre a veri e propri vantaggi competitivi se il sistema formato da “IT + conoscenza” perviene alla creazione di asset informatici immateriali, ovvero di risorse con alcune caratteristiche quali: - un contenuto di conoscenza raccolto dall’attività di gestione e formalizzato; - un supporto tecnologico; - una adeguata diffusione tra i soggetti del sistema aziendale; - un appropriato sistema di difesa dai meccanismi di imitazione da parte dei
concorrenti. L’impresa viene così a disporre di un portafoglio di asset immateriali di origine informatica, ovvero di un Capitale Intellettuale Informatico, che può mettere a frutto tramite opportune attività di management: - la valorizzazione degli asset, tramite l’utilizzo nell’attività produttiva specifica
dell’impresa; - la difesa degli asset e della loro unicità dalle azioni ostili dei concorrenti; - la valutazione del Capitale Intellettuale Informatico e dei suoi componenti, che
permette di prendere coscienza del valore di tale capitale e di commisurare a tale valore gli sforzi per il suo adeguato impiego.
La valutazione deve mirare non tanto a determinare un valore monetario degli asset informatici intangibili, quanto a mettere in evidenza le determinanti di tale valore. Il valore degli asset informatici a contenuto di conoscenza non esiste infatti di per sé, ma dipende da: 1 Nonaka I. – Konno N. (1998), “The Concept of Ba: Building a Foundation of Knowledge Creation”, California Management Review Vol. 40 n° 3 Spring, pagg. 42-45 2 Itami H. (1988), Le risorse invisibili, ISEDI, Torino
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- come l’asset viene creato: quali percorsi di creazione sono stati seguiti, quali possibilità future vi sono per l’innovazione ed espansione di questa risorsa, quali costi sono stati sostenuti, quali dovranno essere sostenuti in futuro per mantenere il valore dell’asset;
- come l’asset viene valorizzato, ovvero se l’impresa è capace di incorporare tale risorsa tecnologica a contenuto di conoscenza in processi e prodotti, rendendoli unici rispetto alla concorrenza, innovativi grazie al loro contenuto di tecnologia e informazione, nonché più capaci di rispondere alle esigenze del cliente;
- come l’asset viene difeso, tenendo conto sia delle possibilità future di rinnovare la risorsa, sia dei processi di imitazione da parte della concorrenza, da cui dipendono la sostenibilità nel tempo dei vantaggi competitivi acquisiti e la realizzazione di economie di scala, di scope e di esperienza necessarie per sostenere la risorsa dal punto di vista economico-finanziario.
Scopo di questo lavoro è introdurre il concetto di Capitale Intellettuale Informatico, definirne la natura e i componenti e tracciare le linee generali per una sua gestione e valutazione. Ciò può essere riassunto nei seguenti quesiti: - cos’è il Capitale Intellettuale Informatico e quali sono i suoi elementi costitutivi? - quali pratiche manageriali di gestione e valutazione sono funzionali al miglior
sfruttamento del Capitale Intellettuale Informatico al fine della creazione del valore?
ai quali si cercherà di dare risposta. Innanzi tutto, verranno richiamati i riferimenti teorici relativi al Capitale Intellettuale, alla creazione di conoscenza, all’impiego delle risorse a base di conoscenza nell’ottica della creazione del valore. Si procederà quindi ad individuare le caratteristiche del Capitale Intellettuale Informatico e ad elencare i suoi componenti, distinguendoli dagli elementi dell’infrastruttura informatica di tipo operativo. A ciò farà seguito l’individuazione delle modalità di gestione di tale patrimonio, ovvero delle operazioni che consentono di generarlo, coltivarlo ed espanderlo nel tempo, impiegarlo nella definizione delle strategie aziendali come risorsa-chiave per il successo dell’impresa. Infine, verranno definite le modalità di valutazione del Capitale Intellettuale Informatico, sotto molteplici aspetti: - la valutazione delle risorse informatiche intangibili in rapporto alla loro capacità
di concorrere alle performance aziendali; - l’apprezzamento di tali risorse soprattutto in ottica qualitativa; - la definizione di processi di sintesi che giungano ad una valutazione d’insieme
dell’intero Capitale Intellettuale Informatico in relazione alla sua incidenza sia sulle performance aziendali che sul valore dell’impresa.
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1. Capitale, Capitale Intellettuale, Capitale Intellettuale Strategico
“More and more, the productivity of knowledge is going to become, for a
country, an industry, or a company, the determining competitiveness factor.
In the matter of knowledge, no one country, no one industry, non one
company has a “natural” advantage or disadvantage. The only advantage
that it can ensure to itself is to be able to draw more from the knowledge
available to all than others are able to do”3.
Questa frase di Peter Drucker è quasi un manifesto dell’evoluzione dei sistemi
economici post-industriali, nei quali l’importanza e il ruolo delle risorse fisiche
lasciano sempre di più spazio alle risorse cosiddette immateriali, che hanno la
conoscenza come fattore costitutivo comune (Hall 1992, Ferrando 1998). Questa
evoluzione modifica la natura e il valore del capitale d’impresa, che viene ad
assumere contorni via via più sfumati e valori più incerti. Infatti, mentre
nell’impresa industriale il concetto di capitale poteva essere ricondotto al capitale
monetario inizialmente conferito nell’impresa, quindi investito in fattori produttivi
specifici per lo più materiali e via via trasformato nella composizione e nell’entità
a causa del processo produttivo (Ferrero 1966), oggi il patrimonio aziendale si
presenta come patrimonio allargato di risorse materiali e immateriali, visibili e
invisibili, la cui entità non sempre deriva da attività di investimento diretto e il
valore non è legato al costo di acquisizione, ma al valore d’uso o economico in
relazione all’espletamento di piani strategici, che potranno o meno dare i propri
frutti in un arco di tempo medio lungo (Coda 1991).
Questa evoluzione è innanzi tutto fonte di una incertezza e di un disagio che
perdurano tutt’oggi, derivanti dall’incapacità dei sistemi di classificazione e di
valutazione tradizionali di descrivere e assegnare un valore al capitale aziendale
(Donna 1992, Guatri 1997). Essa è però anche fonte di innovazione e
rinnovamento delle definizioni di capitale e apre la via a nuovi strumenti di
valutazione e controllo della gestione.
3 Peter Drucker, Post-capitalism society, Butterworth-Heinemann, Oxfor GB, 1993
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È infatti a valle del processo di dematerializzazione dell’economia e di crescita
dell’importanza della conoscenza nei processi produttivi e manageriali che viene
coniato il concetto di Capitale intellettuale. Lo troviamo in due lavori pressoché
coetanei: uno di scuola anglosassone e uno di matrice nordica (Stewart 1994,
Edvinsson – Malone 1997). A questi lavori ne seguono anche altri, con le stesse
finalità: fornire una definizione di capitale intellettuale, identificarne i componenti
e stabilire nuove regole per determinarne il valore, superando le lacune dimostrate
dai vecchi strumenti di valutazione di stretta derivazione contabile.
Senza voler esaurire in questa sede la disamina della letteratura in tema di capitale
intellettuale, si vuole sottolineare quali sono gli elementi che accomunano i
numerosi contributi scientifici forniti. Innanzi tutto, gli autori pongono la
conoscenza e le competenze dell’impresa e dei soggetti che con questa e in questa
operano come elemento costitutivo base degli elementi che compongono il
Capitale intellettuale. Il sapere diventa quindi il punto di partenza per la
costruzione e lo sviluppo di risorse, a loro volta impiegate per la definizione di
profili produttivi e competitivi basati proprio sulla conoscenza (Collis,
Montgomery 1995).
Tuttavia, come appunto evidenziato dalla frase-manifesto di Drucker, non è la
conoscenza di per sé a costituire fattore distintivo e competitivo, ma i percorsi di
raccolta, crescita, incorporazione in risorse, prodotti e processi che ne determinano
l’appropriatezza e quindi il valore. A partire dallo studio della creazione della
conoscenza all’interno delle aziende (Nonaka 1995), si intuisce che il Capitale
intellettuale non nasce dalla mera accumulazione di informazioni e conoscenze,
bensì dalla capacità di ciascuna impresa di creare e governare attività di
sedimentazione di tali informazioni specifiche e distintive in soggetti e oggetti
fruibili e controllabili, nonché capaci di entrare virtuosamente in processi di
creazione del valore sostenibili nel tempo. Ecco che le risorse del Capitale
Intellettuale non sono quindi tutte le risorse aziendali a contenuto di conoscenza o
tutte le competenze del personale o del sistema organizzativo, bensì solo quelle
che presentano caratteristiche di appropriatezza, sostenibilità, unicità e possibilità
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di difesa da quei processi di imitazione o banalizzazione che ne riducono l‘unicità
e quindi la capacità di generare un vantaggio distintivo4.
Queste riflessioni sono ben riassunte nel concetto di Capitale Strategico delineato
da Donna e Revellino (2003), che completa il pensiero di Drucker evidenziando
come non sono tanto il contenuto o la natura di una risorsa a determinarne la
strategicità, ma la sua attitudine a supportare strategie sostenibili nel tempo, fonti
di flussi di valore capaci di accrescere in modo continuativo il valore del capitale
– questa volta inteso in senso tradizionale – investito nell’impresa, a beneficio
degli azionisti e di tutti gli stakeholder (Amit, Schoemaker 1993).
Anche per questa ragione, non è tanto utile individuare o elencare i componenti
del Capitale intellettuale; si è visto come i vari studiosi che si sono occupati di
questo tema sono per lo più giunti a classificazioni diverse, anche se simili su vari
aspetti; il che ha talvolta generato più confusione che chiarezza. È forse meglio
fornire una definizione astratta delle caratteristiche che un elemento del Capitale
intellettuale deve possedere, per poter farne parte. Ciò presenta anche un altro
vantaggio, oltre a quello di evitare numerose classificazioni differenti: quello di
creare un insieme aperto a nuove risorse e nuove forme di accumulazione e
aggregazione delle informazioni e della conoscenza, che la tecnologia non cessa di
proporre e verso le quali ci si trova spesso privi di concetti definitori o
classificatori (Dameri 2005 a).
Ogni impresa ha quindi potenzialmente un Capitale intellettuale da creare, gestire,
far crescere e rinnovare nel tempo; sta alla sua capacità di promuovere ed attivare
processi di gestione del Capitale intellettuale la trasformazione di un potenziale in
una effettiva arma di competizione capace di produrre ritorni economico-
finanziari rilevabili e appropriabili da parte dell’impresa stessa. Ciò deriva, oltre
che dalle capacità del management, anche dall’utilizzo e dalla gestione degli
strumenti informatici, che sono indissolubilmente legati al governo dei flussi di
dati, informazioni e conoscenza che l’impresa deve ogni giorno affrontare; flussi
che possono costituire un peso, un costo, una opportunità, un vantaggio, a seconda
4 Queste considerazioni richiamano anche la cosiddetta Resource Based View, ovvero la teoria che pone
in relazione i successi e le performance aziendali con la dotazione di risorse di cui ciascuna impresa dispone e che la distingue dalle concorrenti (Wernerfelt 1984, Hamel-Prahalad 1990).
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della capacità dell’impresa di saperli correttamente orientare verso i propri
obiettivi di business.
2. Dall’informatica aziendale al Capitale Intellettuale Informatico
Il processo di dematerializzazione che caratterizza l’economia post-industriale ha
tra le sue cause anche la tecnologia dell’informazione e la sua crescente capacità
di porsi come strumento indispensabile per la gestione aziendale, con ruoli via via
diversi e sempre più elevati, dalla mera operatività alla direzione strategica
(Caselli 1995).
La pur breve storia dell’introduzione degli elaboratori elettronici nelle aziende –
dalla fine degli anni Cinquanta fino ad oggi – presenta una ricca successione di
diversi paradigmi, che si sono avvicendati ma non sostituiti vicendevolmente,
bensì sovrapposti ed intrecciati, coesistendo ma in modo sempre nuovo e diverso
(Moschella 1997). Così, se in un primo momento lo scopo dell’informatica
aziendale era l’automazione delle operazioni ripetitive connesse con
l’elaborazione dei dati, senza che ciò permettesse una rielaborazione delle
informazioni a causa della sequenzialità dei supporti di memoria e dei limiti della
capacità elaborativa delle macchine; in seguito automazione, elaborazione delle
informazioni e comunicazione si sono progressivamente integrate, fino ad essere
ormai parte in modo indistinguibile di un unico processo di gestione di dati e
informazioni e di produzione di conoscenza.
Infatti, oggi l’informatica aziendale tende a coincidere con il sistema informativo
e poche attività di elaborazione dei dati rimangono escluse dalla gestione
automatizzata. La progressiva estensione delle reti consente una integrazione
interna ed esterna sempre più vasta e riguardante ogni tipo di informazione,
indipendentemente dal suo formato. I flussi di dati da e per l’esterno, interni,
verticali ed orizzontali sono presidiati da applicazioni gestionali che controllano
ogni momento del processo informativo. È quindi evidente che la raccolta,
elaborazione e sedimentazione delle informazioni, unite alla possibilità del loro
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continuo riutilizzo, genera veri e propri oggetti informativi, derivanti
dall’interazione tra elementi di diversa natura, quali gli strumenti hardware, il
software, i supporti di memoria. E tuttavia non sono tanto i singoli elementi degli
oggetti informativi che posseggono valore per l’impresa, quanto il risultato della
loro interazione, dunque gli oggetti informativi che ne risultano.
L’insieme degli oggetti informativi di tipo informatico costituisce quindi un vero e
proprio portafoglio di risorse aziendali, la cui utilità – e quindi il valore – discende
dalla capacità dei diversi elementi hardware, software e di memoria di interagire
tra di loro e di esaltare la possibilità di trarre da queste risorse informative un
supporto di conoscenza per la gestione dell’impresa e delle relazioni che questa
intrattiene con i soggetti esterni e i mercati.
Vedere le risorse informatiche in questa ottica permette di andare oltre l’aspetto
meramente tecnologico e focalizzare lo sguardo sugli aspetti economico-aziendali.
Infatti, la tradizionale classificazione dell’informatica aziendale considera
l’infrastruttura tecnologica, il portafoglio applicativo, le reti, il personale addetto
all’IT, … secondo una classificazione che ha come obiettivo principale la gestione
di tali risorse (Weill, Broadbent 1998). Questa visione però perde di vista alcuni
aspetti cruciali, quali:
i contenuti informativi, che essendo immateriali tendono ad essere
considerati come il mero prodotto dell’elaborazione dei dati;
l’interazione tra diversi elementi, che conduce a oggetti informatici
complessi, più difficili da gestire, ma che costituiscono la vera fonte
dell’utilità dell’IT per la gestione aziendale;
il valore economico delle risorse informatiche, che non discende né dal
loro prezzo di mercato, né dal loro costo di funzionamento, bensì dal
differenziale di conoscenza che riescono a trasferire al processo di
competizione e creazione di valore che l’impresa pone in essere nel
confronto con l’ambiente e prima di tutto con il mercato di sbocco dei suoi
prodotti.
Non sorprende quindi che in un’ottica tecnologica ed efficientista, la stragrande
maggioranza degli sforzi delle imprese sia orientata verso l’efficace
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funzionamento dell’informatica aziendale e la contemporanea e continua tensione
al controllo o meglio ancora alla riduzione dei costi, che purtroppo sono sempre in
tensione (Forrester Research 2005). Ciò però non permette di utilizzare appieno le
potenzialità che l’informatica offre per la gestione aziendale, in termini di attività
di raccolta e gestione delle informazioni e della conoscenza, di personalizzazione
e differenziazione dei prodotti, di formulazione di piani strategici e modelli di
business innovativi e difficilmente imitabili, quindi sostenibili nel tempo
(Normann 2001).
Vedere l’informatica come un capitale consente invece di dare il massimo risalto a
ciò che si richiede da un capitale – e quindi agli aspetti economici per eccellenza:
di procurarselo al minor costo possibile, di investirlo appropriatamente nei fattori
produttivi più adeguati per la propria formula imprenditoriale, di misurarne il
rendimento, di rendere conto dei risultati raggiunti tramite il suo impiego. Vedere
l’informatica come un capitale intellettuale, inoltre, significa dare la massima
importanza ai contenuti informativi e di conoscenza, ovvero al brainware,
piuttosto che ad hardware e software, attribuendo alla tecnologia il ruolo
strumentale che deve assumere in azienda. Vedere l’informatica come un capitale
intellettuale di portata strategica infine, significa imparare a fare dei distinguo, a
mettere diversi oggetti informatici, diversi gruppi di risorse su piani diversi,
rispetto all’importanza strategica che ciascuna risorsa o gruppo di risorse ha per il
conseguimento dei massimi obiettivi aziendali; significa anche collocare le scelte
relative alla gestione del portafoglio di risorse informatiche in un arco di tempo
non breve, ma medio-lungo e ragionare in termini di sostenibilità degli
investimenti informatici nel tempo.
L’individuazione di un Capitale Intellettuale Informatico non è quindi solo uno
studio teorico della natura e del ruolo che la tecnologia dell’informazione ha e può
avere per l’impresa oggi e in futuro; essa ha anche importanti implicazioni sulle
modalità di gestione e di investimento che riguardano l’informatica aziendale, che
seguendo questa ottica possono essere meglio mirate verso la creazione di valore e
di vantaggi competitivi sostenibili grazie al supporto dell’IT.
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3. Il Capitale Intellettuale Informatico: natura e componenti
Cos’è dunque il Capitale Intellettuale Informatico?
È una dotazione di risorse strategiche, di cui l’impresa può disporre e
di cui ha il controllo, derivanti da processi di sedimentazione di
informazioni e conoscenza grazie al funzionamento di procedure di tipo
informatico, nonché dall’incorporazione di tali informazioni e
conoscenze in uno o più supporti elettronici.
Come si può evincere da questa definizione, non ogni elemento di tipo
informatico, non ogni repository di conoscenze informatizzate può essere
considerato parte del Capitale Intellettuale Informatico. Al contrario, sono
necessarie caratteristiche specifiche per includere un elemento informatico nel
Capitale Intellettuale; allo stesso modo, sono necessarie specifiche attività di
creazione, gestione, manutenzione, innovazione, difesa di tali risorse e del
Capitale che formano, perché esso possa dirsi veramente strategico e possa
esercitare un effetto positivo sulla gestione, che vada oltre l’efficacia operativa e
generi rendite imprenditoriali grazie alla valorizzazione e combinazione delle
risorse informatiche (Rumelt 1987).
Per comprendere in che modo una risorsa informatica possa venire a formarsi,
possono essere utili alcune considerazioni ed osservazioni, che partono dalle
caratteristiche che determinano la sua inclusione nel Capitale Intellettuale
Informatico:
il contenuto di conoscenza;
il derivare da processi di svolgimento di procedure informatizzate;
il risiedere su supporti elettronici.
Il processo di creazione di conoscenza in azienda è stato inizialmente
concettualizzato da Nonaka e Takeuchi (Nonaka, Takeuchi 1995) mediante il
sistema SECI: Socialization, Externalization, Combination, Internalization. Si
tratta di processi che operano sulla conoscenza, distinta in tacita ed esplicita
rispetto ai soggetti e all’organizzazione in cui questi operano. È inoltre utile fare
riferimento anche ai concetti di apprendimento organizzativo (Senge 1992) e di
impresa intelligente o vivente (Quinn 1992, Vicari 1991), che attribuiscono anche
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all’impresa una soggettività ed una autonoma capacità di disporre di propria
conoscenza5, di essere cioè intelligente, vivente e di apprendere dall’esperienza,
dai soggetti che vi operano o con i quali l’impresa entra in contatto,
dall’operatività quotidiana.
Le attività che compongono il SECI sono tutte supportabili tramite l’utilizzo
dell’Information Technology; per esempio, la socializzazione riguarda la
condivisione tra individui di conoscenza tacita, cosa che avviene quando più
soggetti utilizzano lo stesso software o database; l’esternalizzazione riguarda
l’esplicitazione della conoscenza tramite formati intelleggibili, cosa che avviene
per esempio tramite la realizzazione di una applicazione software che automatizza
determinate attività aziendali; la combinazione implica l’intreccio di dati espliciti
verso forme più complesse di conoscenza, come avviene tra l’altro nei sistemi di
Business Intelligence; la internalizzazione converte le conoscenze esplicite degli
individui in conoscenza implicita del sistema: è ciò che avviene quando le persone
alimentano database aziendali (per esempio sistemi che raccolgono le abitudini di
acquisto dei clienti) o quando si creano applicazioni che partono dalle conoscenze
esplicite delle persone e attribuiscono conoscenza al sistema aziendale, con un
procedimento simile al concetto di apprendimento organizzativo.
In tutti questi casi, la tecnologia informatica non solo è strumento di elaborazione
dei dati, ma generalmente è anche processo che genera flussi di dati e
informazioni che, se opportunamente veicolati verso i soggetti e le attività
aziendali, possono dar luogo a conoscenza utile per la gestione.
Gli stessi flussi che generano la conoscenza la depositano anche su supporti di tipo
elettronico, che ne permettono il riuso e la combinazione, secondo modalità
specifiche e uniche dell’impresa. In queste dinamiche vediamo proprio come si
vengono a creare le risorse informatiche a contenuto di conoscenza, che possono
essere comprese tra le cosiddette risorse invisibili: l’IT è contemporaneamente
input, tramite i dati che derivano dalla gestione aziendale, e output, tramite la
raccolta, formalizzazione e organizzazione della conoscenza (Itami 1988).
5 L’impresa intelligente o vivente è vista come un soggetto, una persona che si distingue dalle persone
fisiche che le danno vita. Per questo è possibile distinguere la conoscenza degli individui dalla conoscenza dell’impresa, che manifesta anche una autonoma capacità di imparare e quindi non solo di raccogliere conoscenza dall’ambiente, ma anche di produrre conoscenza rielaborando le informazioni e rinnovandole grazie al proprio “personale” contributo.
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L’analisi di questi processi mette anche in evidenza che spesso le risorse
informatiche a contenuto di conoscenza non derivano da un processo esplicito di
creazione, ma sono un “sottoprodotto” dell’attività quotidiana produttiva
dell’impresa. Infatti, un software è creato in modo esplicito, tramite un vero e
proprio progetto; ma lo stesso non può dirsi dei database aziendali, che raccolgono
i dati derivanti dalla gestione. In alcuni casi, i soggetti che agiscono o
interagiscono con l’impresa possono essere creatori di risorse informatiche a
contenuto di conoscenza: si pensi al dipendente che configura un foglio
elettronico, che può poi essere utilizzato anche da altri impiegati; o dai clienti che,
tramite un sito Internet, informano l’impresa sui propri gusti o abitudini
d’acquisto.
Da quanto ora detto, si deduce anche che la maggior parte delle risorse
informatiche che compongono il capitale intellettuale non sono state acquisite
dall’impresa tramite acquisto dall’esterno, sul mercato, ma derivano da processi
interni e strettamente legati all’operatività aziendale oppure alla realizzazione di
progetti e strategie. Questo aspetto è fondamentale poiché consente di distinguere
le risorse informatiche generiche da quelle specifiche; mentre le risorse generiche
costituiscono delle commodities informatiche, dei meri strumenti operativi, le
risorse specifiche possiedono quelle caratteristiche di unicità e difficile imitabilità
che le differenziano dalle risorse dei concorrenti e costituiscono una ricchezza
distintiva dell’impresa.
Ora, poiché le conoscenza informatizzate sono in genere facilissime da copiare, le
risorse informatiche presentano una scarsa sostenibilità strategica nel tempo, a
meno di operare in due direzioni:
la protezione, sia essa legale o tecnica, dall’imitazione;
la personalizzazione nel combinare la risorsa informatica con le proprie
strategie, modelli di business, prodotti, processi produttivi (Porter 1996):
in questo caso infatti la risorsa informatica può anche essere di per sé
facilmente imitabile o replicabile, ma i concorrenti non riescono a erodere
il vantaggio competitivo dell’impresa, poiché non possono utilizzare la
risorsa o la conoscenza che questa contiene nella stessa combinazione
produttiva.
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Ciò ci conduce quindi ad un secondo gruppo di osservazioni sul Capitale
Intellettuale Informatico:
esso non esiste in mancanza di specifiche attività volte alla sua creazione,
conservazione e difesa;
il suo valore non è oggettivo, ma dipende fortemente dalla relazione tra
uso delle risorse informatiche e strategie aziendali.
La natura del Capitale intellettuale informatico può quindi essere riassunta nella
Fig. 1, dalla quale si evince che tale Capitale non è un concetto statico, ovvero un
semplice insieme di elementi produttivi, bensì un concetto dinamico e sistemico,
che deriva dall’incontro tra elementi tecnologici e immateriali quali le
informazioni e la conoscenza, nonché attività e comportamenti operanti su tali
elementi combinati tra loro. Questi comportamenti, che verranno analizzati nei
prossimi paragrafi, sono contemporaneamente costitutivi del Capitale intellettuale
informatico nonché manageriali, ovvero necessari per la sua gestione.
Per quanto riguarda invece la composizione del Capitale intellettuale informatico,
Tecnologia Capitale +
Intellettuale Informazioni informatico
Creazione Uso in relazione alle strategie
aziendali Manutenzione
Difesa
Fig.1 – La natura del Capitale Intellettuale Informatico
non si ritiene opportuno stilare un elenco di risorse informatiche, piuttosto è
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necessario definire le caratteristiche che queste dovrebbero possedere per potervi
essere incluse.
Innanzi tutto, tali risorse sono risorse composite, ovvero derivanti dalla
combinazione di elementi informatici elementari (Dameri 2002, Dameri
2005 a): per esempio un sistema informatico di gestione dello scheduling
della produzione, che trae i dati dagli ordini che i clienti inviano tramite un
sistema di e-procuring, è composto da hardware, reti, software, dati,
conoscenze e competenze del personale, relazioni con la clientela.
Inoltre, le risorse informatiche così individuate devono avere una chiara
destinazione strategica, ovvero far parte di una combinazione di attività
finalizzate ad un preciso posizionamento strategico e modello di business
(Porter, Millar 1986, Porter 1996); devono inoltre essere fonte di valore
tramite l’impatto sull’eccellenza operativa dei processi chiave che
compongono la catena del valore, oppure tramite l’impatto sulla capacità
dell’impresa di attrarre, soddisfare e trattenere clienti, fornitori, partner,
dipendenti, finanziatori (Donna 2003).
Infine, è necessario che l’impatto della risorsa sul modello di business, sul
vantaggio competitivo e sulla creazione di valore si possano controllare e
mantenere nel tempo: la risorsa quindi deve essere unica, distintiva e
difendibile sia dall’imitazione e copia, che dalla banalizzazione; questo
effetto interessa fortemente la tecnologia informatica e i modelli di
business che su di essa si basano: l’IT infatti ha costi rapidamente
decrescenti, rapida diffusione e repentina obsolescenza, che rendono in
breve tempo superate le innovazioni di prodotto e processo, vanificando i
vantaggi competitivi e riducendo i flussi di valore attesi, impedendo un
adeguato ritorno degli investimenti effettuati (Shapiro, Varian 1999;
Edvinsson 2002).
La definizione del Capitale Intellettuale Informatico, come già sottolineato, non è
un esercizio fine a se stesso, ma il primo passo di un diverso paradigma di
gestione dell’IT aziendale, come verrà illustrato nei paragrafi successivi.
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4. GESTIONE E GOVERNANCE DEL CAPITALE INTELLETTUALE INFORMATICO
Riconoscere l’esistenza di un Capitale Intellettuale Informatico con importanza
strategica significa modificare le modalità di gestione e di governance dell’IT in
azienda. Il cambiamento interessa l’intero sistema aziendale; innanzi tutto, perché
sia l’IT che la conoscenza che questa veicola sono risorse sistemiche, trasversali e
pervasive dell’impresa e dei suoi soggetti, sia interni che esterni (Ventrakaman,
Henderson 1998); poi perché la gestione dell’IT e la sua governance nell’ottica
del Capitale Intellettuale implicano una revisione delle modalità di investimento,
di utilizzo, di manutenzione e crescita, di sfruttamento, nonché diverse attribuzioni
di responsabilità tra gli uomini chiave che governano l’impresa. Pur non potendo
esaurire il vasto argomento in questa sede, può essere comunque utile delineare gli
elementi chiave che configurano la governance e il management dell’IT,
confrontandoli con le attuali linee gestionali.
4.1 Acquisizione e crescita del Capitale Intellettuale Informatico
L’acquisizione del Capitale Intellettuale Informatico non può avvenire mediante il
semplice acquisto di hardware, software e infrastrutture sul mercato; allo stesso
modo, non si può semplicemente assumere personale con una qualche
preparazione informatica. Anche le conoscenze e competenze dei soggetti esterni
che in qualche modo sono interessati dal Capitale Intellettuale Informatico
dell’impresa possono richiedere interventi specifici di formazione.
La distinzione tra commodities informatiche e risorse informatiche strategiche è
essenziale per condurre adeguate politiche e attività di acquisizione. Infatti, le
commodities continueranno ad essere oggetto di quelle che sono oggi le tecniche
manageriali applicate all’IT: valutazione economico-finanziaria dei costi e degli
investimenti, focus sul risparmio e sul contenimento della spesa, ricorso
all’outsourcing. Al contrario, l’acquisizione delle risorse informatiche strategiche
non farà ricorso al mercato, ma cercherà di sfruttare i processi di generazione dei
dati e delle informazioni che derivano dalla normale operatività aziendale; per
questo, è importante che l’impresa analizzi attentamente i flussi informativi e il
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trattamento dei dati che viene effettuato dal sistema informativo automatizzato,
nonché riesca ad individuare fonti di conoscenze specifiche e distintive, che
possono essere impiegate con successo nel sistema di creazione del valore che
caratterizza una o più linee di business e che sono memorizzate su supporti
informatici e quindi riutilizzabili nel tempo. La valutazione di queste risorse e
quindi dell’opportunità e convenienza degli investimenti a supporto della loro
sostenibilità e rinnovo nel tempo non vanno valutati semplicemente mediante
l’analisi economico-finanziaria dei costi e dei benefici, bensì applicando strumenti
di analisi e valutazione strategica quali per esempio la Balanced Scorecard
(Kaplan, Norton 1992; Dameri 2006). Il ricorso all’outsourcing deve essere
valutato attentamente tenendo conto non solo della convenienza economica, ma
anche dell’opportunità, giudicando in base al tipo di controllo che l’impresa vuole
mantenere sui propri flussi di dati e sulle procedure che ne effettuano
l’elaborazione.
Le risorse del Capitale Intellettuale Informatico vanno inoltre continuamente
monitorate, al fine della loro sostenibilità, crescita, rinnovamento. Anche in questo
caso, le politiche di gestione sono molto diverse rispetto a quelle tradizionali:
infatti il ciclo di vita dell’IT viene di solito scandito dalle operazioni di
progettazione, sviluppo, utilizzo, dismissione. Nel caso del Capitale Intellettuale
Informatico invece, le risorse presentano un contenuto di conoscenza che risulta
predominante rispetto alla tecnologia, che funge da fattore abilitante della risorsa
nella catena del valore; il ciclo di vita delle risorse informatiche presenta quindi
aspetti particolari derivanti dalle economie di rete e di scope e quindi utilizzi che
possono accrescere il valore della risorsa anziché consumarla, mentre l’imitazione,
l’obsolescenza e la banalizzazione possono spazzarne via l’intero valore in un
attimo. È quindi determinante la difesa della risorsa (cui accenneremo in seguito)
e la sua continua crescita grazie al supporto di flussi di conoscenza che la
alimentano progressivamente.
4.2 Utilizzo e difesa Già da tempo molti autori affermano che il vero valore dell’IT non sta tanto nella
sua portata operativa, quanto nel contributo che questa può dare nella creazione di
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valore e nella realizzazione di vantaggi competitivi (Porter, Millar 1986;
Willcocks, Lester 1999). A parere di chi scrive, ancora una volta la distinzione tra
commodities informatiche e Capitale Intellettuale Informatico può aiutare a
risolvere il problema del contributo dell’IT alla creazione del valore. Infatti, da un
lato le commodities informatiche vanno considerate come un qualsiasi fattore della
produzione, che deve rispondere ai requisiti di efficienza ed efficacia. Al
contrario, le risorse del Capitale Intellettuale Informatico vanno viste come
un’arma strategica centrale nell’abilitazione di nuovi modelli di business, nella
creazione di vantaggi competitivi sostenibili, nel conseguimento di performance
superiori ai concorrenti. Ventrakaman e Henderson (1998) individuano tre diverse
modalità di utilizzo dell’IT a supporto di strategie vincenti:
mettere le risorse informatiche strategiche a servizio dei clienti, al fine di
migliorare il valore fornito e percepito dei prodotti e processi produttivi e
di conseguenza la customer satisfaction e la fedeltà del consumatore;
utilizzare l’IT non solo per le attività operative, ma anche per abilitare i
processi di formazione, diffusione e condivisione delle conoscenze e
competenze sia all’interno dell’impresa che attraverso i suoi confini;
ridisegnare la topologia aziendale grazie all’IT, realizzando assetti
organizzativi di tipo reticolare e interconnessioni con il sistema produttivo,
capaci di superare i vecchi modelli di integrazione verticale tipici
dell’economia industriale.
Per quanto riguarda invece la difesa del Capitale Intellettuale Informatico, si tratta di
un argomento centrale poiché se da un lato l’IT nel codificare la conoscenza ne
aumenta la fruibilità, la condivisione e la possibilità di incorporarla in prodotti e
processi, dall’altro ne rende estremamente più facile l’imitazione e la copia; inoltre, la
rapidità con la quale la tecnologia si diffonde e la visibilità delle soluzioni
informatiche adottate dall’impresa, che rendono possibili l’imitazione del modello di
business e i processi di reverse engineering, sottopongono alla rapida erosione del
vantaggio del first mover e del posizionamento competitivo acquisito.
Anche la debolezza del regime di brevettabilità e del diritto d’autore, in particolare
vigenti in Europa, rendono assai arduo per le imprese difendere le loro risorse
informatiche dal punto di vista meramente legale. Diventa quindi necessario pensare
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ed attuare vere e proprie strategie di difesa e conservazione del Capitale Intellettuale
Informatico, che non possono tuttavia basarsi su attività statiche e di protezione, ma
devono concepire politiche di innovazione progressiva, incorporazione e
complementarietà (Teece 19987):
l’innovazione progressiva consente di progredire nell’innovazione delle risorse
informatiche, man mano che queste subiscono l’imitazione e la
banalizzazione;
l’incorporazione consiste nell’incorporare in modo del tutto distintivo una o
più risorse informatiche nei propri prodotti o processi produttivi, in modo da
generare barriere all’entrata rispetto alle imprese concorrenti;
la complementarietà consiste nel creare interdipendenze non facilmente
replicabili tra una risorsa informatica che di per sé sarebbe facilmente
imitabile e altre risorse aziendali dotate di maggiore specificità, quali il
marchio, il sistema distributivo, brevetti relativi a prodotti, etc.
4.3 La Governance del Capitale Intellettuale Informatico Riconoscere la distinzione tra commodities informatiche e Capitale Intellettuale
Informatico significa anche dover analizzare criticamente il modello di IT
Governance presente in azienda. Il modello più frequentemente applicato dalle
grandi imprese europee, come risulta da una recente ricerca di Forrester Research
(2005), è quello centralizzato, con attribuzione dei poteri decisionali ad un uomo
solo, l’IT manager, che presenta un profilo professionale di tipo tecnico,
decisamente orientato al governo della tecnologia. Ciò con lo scopo principale se
non esclusivo di garantire il buon funzionamento del sistema informatico, al minor
costo possibile, gestendo gli investimenti in nuovi progetti nell’ottica
dell’efficienza e della massimizzazione tra i costi e i benefici di breve termine.
Ciò finisce tuttavia per trascurare il ruolo strategico dell’IT, enfatizzando il suo
ruolo operativo, e soprattutto per ignorarne il contenuto di conoscenza,
attribuendole un connotato esclusivamente tecnologico.
Al contrario, governare l’IT aziendale nella sua duplice veste di infrastruttura
operativa e capitale di risorse di conoscenza richiede un diverso modello di
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governance, che può essere molto brevemente delineato secondo le seguenti linee
generali:
attribuzione dei poteri a team di Governance dell’IT, di cui facciano parte
sia uomini dell’IT che uomini del business;
modello di governance federato, in cui le decisioni centralizzate relative
all’infrastruttura sono affiancate da decisioni decentrate presso le business
unit quando riguardano una o più risorse strategiche per una specifica
attività produttrice di valore;
revisione degli obiettivi della Governance e del management dell’IT, che
tengano e rendano conto non solo dell’efficienza operativa, ma anche
dell’impatto strategico del Capitale Intellettuale Informatico e delle risorse
che lo compongono.
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