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Oreste M. G. Debernardi Cultural Projects Advisor Gent.mo. Prof. Barone, mi rivolgo a Lei nella Sua veste di neo Direttore della Scuola Normale Superiore. Ho incontrato venerdì il sig. Marco R., come forse ricorda quando Lei stesso ha fatto capolino in sala stemmi per sincerarsi fosse pronta per condurre il seminario pomeridiano. L‘incontro era finalizzato a informarci reciprocamente sullo stato dei rispettivi ambiti di interesse e per valutare possibili sinergie visto il fertile connubio passato e la attuale mia presenza in Italia. Dalla riunione – cui ha partecipato anche una filologa spontanea non solo per dare un tocco femminile all‘incontro, ma per permettermi una successiva autocritica attraverso il confronto delle mie impressioni col suo punto di vista – sono emerse alcune esigenze. Glissando sui contenuti personali condivisi, direi che il senso di profonda riconoscenza di Marco verso la Scuola per la possibilità di essere stato a contatto con la ricchezza culturale di chi ne frequenta le strutture – perché egli è capace di trarre nutrimento persino dai brevi contatti dovuti dal settaggio delle impostazioni di rete – conferma la fertilità di un ambiente formativo unico a dispetto del declino indicato da alcuni ranking della S.N.S. È anche emersa una sintonia, la stessa che avevamo a inizio millennio, quando gravitavo nell‘orbita della Scuola. Registro con piacere l‘incremento di opere d‘arte presenti al Palazzo Carovana, una presenza che interpreto quale indice della consapevolezza che l‘arte riduca i sentimenti negativi che l‘uomo prova nel confronto con l‘innovazione. L‘opera d‘arte assolve, infatti, alla funzione di ridurre la paura di un concetto davvero innovativo che impone al soggetto conoscente un rinnovamento categoriale o paradigmatico per fruirlo. Permette di familiarizzare con esso affinché gli sia possibile coglierne l‘intima essenza e riesca a inscriverlo nel personale bagaglio di conoscenze, senza assimilarlo a qualcosa di già conosciuto, quindi deformandolo, con l‘illusione di capirlo. L‘inserimento nel senso personale è il punto di transizione tra l‘uso di obsolete categorie interpretative e quelle che il nuovo concetto richiede di adottare per essere compreso. La presenza dell‘opera d‘arte è indispensabile nel processo di apprendimento tout court. Infatti, l‘estesia, la forma sensibile con la quale si percepisce il mondo, richiede di conciliarsi con esso e per farlo occorre agire tenendo conto dell‘amigdala, magari adottando metodi empatici e linguaggi consoni alla nostra sensibilità. L‘arte non è solo gesto, o stile, o cifra espressiva di un autore, è pure fattore di mediazione, catalizzatore emotivo a fini ermeneutici, stimolo che apre prospettive interpretative considerate dal lato del fruitore. Nella bellissima cornice del palazzo, è stato sommessamente spiacevole riscontrare l‘immagine della S.N.S. dall‘esterno che pare non cogliere gli sforzi della Scuola per mantenere la propria eccellenza, almeno a giudicar dall‘apparente declino del ranking e pure nei contenuti della relazione del referente degli studenti umanisti alla cerimonia di consegna dei diplomi del dicembre scorso. Vorrei sottolineare l‘andamento della curva, non il valore assoluto dellAcademic Ranking of World Universities, in quanto basato sul confronto del n. di pubblicazioni prodotte dagli atenei senza parametrare in base al n. dei docenti nell‘ateneo. Per 4 anni la SNS si è posizionata al 27° e 28° posto e poi è scesa al 30° nel 2015, tra le università italiane, e nel periodo è oscillata tra il 446° (2014) e il 486° (2015) a livello mondiale [fonte].

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Page 1: New Oreste M. G. Debernardi Cultural Projects Advisorodeberna/ode/SNS.pdf · 2018. 11. 26. · Oreste M. G. Debernardi Cultural Projects Advisor 2 Poiché Lei non mi conosce, farò

Oreste M. G. Debernardi

Cultural Projects Advisor

Gent.mo. Prof. Barone,

mi rivolgo a Lei nella Sua veste di neo Direttore della Scuola Normale Superiore.

Ho incontrato venerdì il sig. Marco R., come forse ricorda quando Lei stesso ha fatto capolino

in sala stemmi per sincerarsi fosse pronta per condurre il seminario pomeridiano.

L‘incontro era finalizzato a informarci reciprocamente sullo stato dei rispettivi ambiti di

interesse e per valutare possibili sinergie visto il fertile connubio passato e la attuale mia

presenza in Italia. Dalla riunione – cui ha partecipato anche una filologa spontanea non solo per

dare un tocco femminile all‘incontro, ma per permettermi una successiva autocritica attraverso

il confronto delle mie impressioni col suo punto di vista – sono emerse alcune esigenze.

Glissando sui contenuti personali condivisi, direi che il senso di profonda riconoscenza di

Marco verso la Scuola per la possibilità di essere stato a contatto con la ricchezza culturale di

chi ne frequenta le strutture – perché egli è capace di trarre nutrimento persino dai brevi contatti

dovuti dal settaggio delle impostazioni di rete – conferma la fertilità di un ambiente formativo

unico a dispetto del declino indicato da alcuni ranking della S.N.S. È anche emersa una sintonia,

la stessa che avevamo a inizio millennio, quando gravitavo nell‘orbita della Scuola.

Registro con piacere l‘incremento di opere

d‘arte presenti al Palazzo Carovana, una

presenza che interpreto quale indice della

consapevolezza che l‘arte riduca i sentimenti

negativi che l‘uomo prova nel confronto con

l‘innovazione. L‘opera d‘arte assolve, infatti,

alla funzione di ridurre la paura di un

concetto davvero innovativo che impone al

soggetto conoscente un rinnovamento

categoriale o paradigmatico per fruirlo.

Permette di familiarizzare con esso affinché

gli sia possibile coglierne l‘intima essenza e

riesca a inscriverlo nel personale bagaglio di

conoscenze, senza assimilarlo a qualcosa di

già conosciuto, quindi deformandolo, con

l‘illusione di capirlo. L‘inserimento nel senso

personale è il punto di transizione tra l‘uso di

obsolete categorie interpretative e quelle che

il nuovo concetto richiede di adottare per

essere compreso. La presenza dell‘opera

d‘arte è indispensabile nel processo di

apprendimento tout court. Infatti, l‘estesia, la

forma sensibile con la quale si percepisce il

mondo, richiede di conciliarsi con esso e per

farlo occorre agire tenendo conto

dell‘amigdala, magari adottando metodi

empatici e linguaggi consoni alla nostra

sensibilità.

L‘arte non è solo gesto, o stile, o cifra

espressiva di un autore, è pure fattore di mediazione, catalizzatore emotivo a fini ermeneutici,

stimolo che apre prospettive interpretative considerate dal lato del fruitore.

Nella bellissima cornice del palazzo, è stato sommessamente spiacevole riscontrare l‘immagine

della S.N.S. dall‘esterno che pare non cogliere gli sforzi della Scuola per mantenere la propria

eccellenza, almeno a giudicar dall‘apparente declino del ranking e pure nei contenuti della

relazione del referente degli studenti umanisti alla cerimonia di consegna dei diplomi del

dicembre scorso. Vorrei sottolineare l‘andamento della curva, non il valore assoluto

dell‘Academic Ranking of World Universities, in quanto basato sul confronto del n. di

pubblicazioni prodotte dagli atenei senza parametrare in base al n. dei docenti nell‘ateneo. Per 4

anni la SNS si è posizionata al 27° e 28° posto e poi è scesa al 30° nel 2015, tra le università

italiane, e nel periodo è oscillata tra il 446° (2014) e il 486° (2015) a livello mondiale [fonte].

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Oreste M. G. Debernardi

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Cultural Projects Advisor

Poiché Lei non mi conosce, farò una breve presentazione dei rapporti intrattenuti con la S.N.S.

Dopo un excursus eterodosso [cv htm o pdf] che, da una formazione semiotica a Bologna (con

Umberto Eco e Paolo Fabbri), transitando soprattutto attraverso lo studio della filosofia a Pisa

(con Aldo G. Gargani), accedendo al nascente mondo dell‘informatica (grazie alla relazione con

una ricercatrice in un centro di ricerca privato ho seguito dall‘interno l‘avvento

della microinformatica) e un approfondimento di un paio d‘anni presso la facoltà

di matematica a Pisa, ormai io trentenne, per colmare il limitante gap della

divisione disciplinare tra arte e scienza, inizio a intrattenere relazioni con la

Scuola nei primi anni novanta, prima come semplice frequentatore della

meravigliosa biblioteca, e poi con l‘accredito all‘accesso anche all‘uso delle

risorse della Scuola della professoressa P. Bora e A. M. Iacono per condurre una

ricerca mirata al rinnovamento in chiave epistemologica della topica lacaniana,

ricerca da cui sono conseguiti alcuni testi in seguito raggruppati in: Debernardi

O. M. G., Analitici - Raccolta, s. l., ed. Debernardi, 2006, che si compone dei seguenti:

Debernardi O. M. G., Taccuino adolescenziale, s. l., ed. Debernardi, 2006, (ed. originale 2004);

Debernardi O. M. G., Analitici, s. l., ed. Debernardi, 2006 (ed. originale 1990, 1992, 1995);

Debernardi O. M. G., Dérive existentielle, s. l., ed. Debernardi, 2006, (ed. originale 1995);

Debernardi O. M. G., La cornice invisibile, s. l., ed. Debernardi, 2006, (ed. originale 1997);

Debernardi O. M. G., Avant qu’il arrive (Godot), s. l., ed. Debernardi, 2006, (ed. orig. 1998).

Le pubblicazioni sono state realizzate solo a partire dal 2006, come per altri testi, perché in

precedenza li condividevo in rete, o li distribuivo personalmente a una limitata platea di lettori.

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La ricerca in campo psicoanalitico ha reso necessaria un‘applicazione pratica per testarne i

risultati: ho applicato il trans-metodo che avevo elaborato su soggetti latori di disagio psichico.

In seguito, la ricerca si è estesa alle teorie della conoscenza, col preciso obiettivo di ottimizzare

le tecniche di apprendimento, della creazione e della trasmissione del sapere.

Da tali studi si è generato il volume: Debernardi O. M. G., Codici e

Cognizione, s. l., ed. Debernardi, 2006, (ed. originale 2001).

In seguito, ho avuto occasione di godere della stima del compianto prof.

Lorenzo Foà. L‘intesa con lui si è realizzata – come abbiamo ricordato con

Marco venerdì, il quale, come me, gli era molto legato – sulla base di alcuni

presupposti che avevamo in comune.

Egli, nonostante rivestisse ruoli prestigiosi in una società che è orientata verso

modelli unidimensionali, verso l‘iperspecializzazione in ambiti specifici,

aveva colto l‘importanza di soggetti dotati e creativi, magari divergenti, capaci di coltivare

diversi interessi in modo originale. Egli aveva fatto propria l‘esigenza di proporre una sintesi tra

l‘approccio analitico scientifico e la visione globale di stampo umanistico. Si era dimostrato

felice di aver trovato un soggetto dotato di senso critico, capace di proporre soluzioni

complesse, aumentando e non riducendo l‘ordine di complessità dei problemi affrontati. Vedevo

il bosco ma riuscivo a descrivere anche i singoli alberi, e perciò mi aveva rubricato tra i soggetti

pluripotenziali – il termine è mio, lui preferiva un ossimoro per via dell‘idioletto mutuato dalla

sua formazione: ―scienziato dell‘anima‖, che usò a una riunione indetta su iniziativa di alcuni

componenti del centro di calcolo per avversare il nascente progetto. Forse costoro non mi

capivano perché non mi ero dedicato, come loro, a una singola identità in cui riconoscermi.

Avevo compreso che l‘idea di una vita focalizzata in uno specifico campo è assai romanzata. Si

basa sul presupposto che l'obiettivo esistenziale debba essere unico e che ci sia riservato solo un

destino particolare o un'unica vocazione. Con spirito rinascimentale – ben saprà che a quel

tempo esser portati verso più discipline era considerata tra le migliori condizioni – Lorenzo ha

saputo apprezzare un soggetto come me multi-potenziale e con diversi interessi. E tutto ciò è

scaturito da un‘e-mail e una conversazione de visu, grazie alla quale mi feci

conoscere e gli esposi l‘idea del progetto CEC , poi condotto alla Scuola nel

2002/03, descritto dal testo: Debernardi O. M. G., Comunicazione Empatia

Conoscenza, s. l., ed. Debernardi, 2006, (ed. originale 2003), (in allegato

estratto della fase nascente).

Solo in seguito mi sono spiegato come fosse stato possibile che in un‘unica

conversazione Lorenzo avesse raggiunto una sicurezza tale da difendere la mia

idea anche contro l‘attacco dei suoi collaboratori amministrativi in riunione,

individuando nella sua capacità di sintesi e di visione globale, la possibilità di

cogliere un tachipsichico che parlava in fretta, facendo pure correlazioni inusitate.

Aveva riconosciuto in me la capacità di combinare diversi ambiti per creare qualcosa di nuovo

nell'area della loro intersezione, come aveva fatto lui in molti momenti della sua vita. Legga

come ha trovato il modo di misurare la vita media dei mesoni nella sua intervista del 2009.

Essendo Lei chimico di formazione, e per giunta in una città come Napoli, ove si diventa

intelligenti perché sottoposti a uno stress cognitivo costante, anche a ogni semaforo, dovendo

sincerarsi di come siano interpretati di volta in volta i colori dagli altri automobilisti per stabilire

come regolarsi – ovvero in una città ove non si rispettano regole generali ma solo applicazioni

locali di regole locali – Lei deve aver esperito che la vera innovazione si genera proprio da un

mix di esperienze pluridisciplinari in aree intersezione di diversi campi.

Ora, chi meglio di Lei sa che il mondo non si dipana secondo le definizioni che l‘uomo ne dà,

ma sono le definizioni che devono rinnovarsi per tentare di descriverlo. Lorenzo, come me,

aveva compreso che il corpus del sapere non solo intende descrivere il mondo alle persone, ma

soprattutto indicare loro come relazionare con quanto non conoscono, favorendo le

trasformazioni soggettive indispensabili ad accoglierlo. Non basta innovare, se non si rinnova

categorialmente il soggetto conoscente.

Ed è a questo punto che entra in gioco un‘ulteriore capacità che i soggetti pluripotenziali hanno,

quella dell'adattabilità. La capacità di trasformarsi in qualsiasi cosa lo richieda una data

situazione. Assumere diversi ruoli a seconda delle esigenze è la capacità di adattamento,

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essenziale in un mondo che cambia velocemente e in modo imprevedibile. Non a caso, nel

progetto CEC stabilimmo per me una definizione di massima, lasciandomi libero di assumere la

forma più congrua all‘obiettivo da raggiungere. L‘adattamento a cui alludo implica flessibilità,

ma anche il mantenimento di alcune condizioni strutturali, affinché non sia tradito l‘obiettivo.

Va sempre avversata la rinegoziazione dei fini in cui a volte cade chi si confronta con una

difficoltà e riduce il grado di complessità della propria visione, magari accontentandosi di un

risultato lontano dall‘obiettivo di partenza.

Dosare sapientemente le metamorfosi è una dote favorita da capacità come l‘apprendimento

rapido, che permette non solo di approfondire celermente l‘ambito di interesse, giungendo a

dominarlo in fretta, ma di trasferire conoscenza tra discipline diverse, riversando quanto già

appreso nella nuova area di interesse. Con queste capacità, grazie al tachipsichismo e a una

sensibilità estroversa ben note a chi mi conosce o a chi mi osteggia proprio a causa di esse,

riuscivo a fronteggiare problemi complessi e multi-dimensionali con un approccio creativo,

sottratto a schemi prestabiliti. L‘aver svolto il progetto circondato dagli studenti e da alcuni

ricercatori della Scuola, investendo nell‘esperienza la sfera interpersonale e quella relazionale,

ha determinato un forte impulso grazie allo scambio di esperienze, know how e punti di vista.

Con il trasferimento a Berlin, ove risiedo da una decina d‘anni, mi sono immerso nel mondo

dell'arte relazionale e contemporanea, dilatando la cornice di riferimento dei miei progetti.

Le esperienze sociali e artistiche condotte hanno approfondito diversi temi. Ho svolto alcuni

progetti in Italia, complice anche una giovane moglie, controllore di volo, sul patrio suolo.

All‘inizio del 2016, ho acquisito un edificio vicino a Lucca con relativo terreno[progetto The

dare] ove penso di realizzare un istituto in cui accogliere soggetti dotati [progetto L’a-scuola].

Esiste una correlazione tra tale decisione e l‘istanza che mi è stata rivolta nel 2014 da parte di

insegnanti di musica che, constatando gli ottimi risultati che avevo ottenuto con uno dei loro

violinisti, diplomando al conservatorio lucchese, mi hanno chiesto di ripetere l‘esperienza anche

con altri allievi, portando anche loro all‘eccellenza come era avvenuto col giovane di cui mi ero

occupato. Avevo immaginato un‘ipotesi di intervento [bozza del progetto MES] che però non si è

concretizzata per ragioni ovvie a chiunque conosca la situazione didattica italiana attuale (non a

caso il nome del progetto è anche acronimo del Meccanismo Europeo di Stabilità…).

Occorrevano risorse per i musicisti internazionali che avrei dovuto necessariamente coinvolgere

(si apprende a suonare usando i neuroni a specchio di fronte ad esempi virtuosi). È stato

paradossale riscontrare che in una città come Lucca, famosa sostanzialmente per la sua

tradizione musicale – ricordo che Lucca esiste nell‘immaginario collettivo essenzialmente in

virtù della musica che ha saputo esprimere in passato e per lo stesso motivo è stata persino

annoverata da Forbes tra le primissime città a livello mondiale in termini di qualità della vita – il

budget annuale del suo conservatorio si attestasse su circa 1,5M€ a fronte, ad esempio, dei

7,5M€ di una scuola privata come quella di Fiesole! Forse chi doveva decidere in merito, non ha

colto la ricaduta, anche economica, dell‘eventuale conquista dell‘eccellenza in quel

conservatorio, ricaduta che sarebbe stata sul lungo periodo pari a multipli dell‘investimento

iniziale. A dire il vero, avrei potuto tentare di supplire con il crowdfunding, ma in quel periodo

dovevo conciliare esigenze emotive e il personale senso storico; non ho potuto far prevalere

esigenze esterne che taluni credevano io potessi soddisfare.

Venendo ai giorni nostri, poiché il contesto urge di porsi a salvaguardia degli

obiettivi annotati nell‘ingresso del palazzo Carovana, e in senso più generale

urge agire come fa lo stimato e a me caro prof. Settis, che si batte in difesa

della Costituzione attaccata di recente, sento il bisogno anch‘io di dare un mio

contributo. Sono stato legato da un rapporto di profonda amicizia a Teresa

Mattei sin dal 1990 e pure lei, che mi è stata vicina in momenti difficili, non

separava la sfera personale da quella politica, concetto a me familiare per aver

io respirato l‘atmosfera bolognese post ‘77.

Poiché l‘incontro di venerdì alla Scuola mi ha rievocato piacevoli sensazioni

e, intendendo io continuare a esplorare quanto la passione mi indica e l‘azione

sociale richiede, Le manifesto interesse ad incontrarla col fine di vagliare

insieme possibilità collaborative, in termini da definire.

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Di fondo mi interessa una proiezione nel futuro, in modo da poterci orientare nel tempo.

Non sono attratto dall‘idea di ripetere l‘esperienza di ricerca già svolta alla Scuola, anche se mi

ha dato soddisfazioni e stimoli evolutivi. In generale, non mi piace ripetere esperienze, non

ritenendo di avere abbastanza tempo per sperimentare tutto ciò che la vita potrebbe offrire.

Ho maggiore esperienza rispetto allora, grazie alla decina d‘anni trascorsi all‘estero e a contatto

con soggetti dotati provenienti da ogni parte del mondo. A ciò si unisce la consapevolezza a

posteriori dell‘evoluzione dei ragazzi di cui mi sono occupato durante il progetto CEC, essendo

trascorsi abbastanza anni per poter fare una valutazione ex post. Quanti di costoro hanno

preferito ―soddisfare la bramosia di sapere con l‘indigesto alimento del potere‖, come annotavo

anni fa? La spinta alla competizione ha sortito il risultato di allontanarli dalla libera ricerca? In

alcuni casi, credo che sia accaduto. Loro stessi non sanno fornire un‘autolettura della propria

condizione, ritenendola frutto di condizioni contestuali e non derivanti necessariamente dai

modelli formativi. Ma per me la correlazione esiste, e credo che questi ultimi siano un‘eredità

con la quale, magari inconsciamente, faranno i conti sempre.

Al proposito, ritengo che la Scuola possa migliorare il codice morale trasmesso, superando

l‘individualismo esacerbato a favore di logiche collaborative, facendo in modo che la ricerca

dell‘eccellenza non spinga a una competizione ossessiva, ma sia una naturale ambizione con cui

interpretare l‘essere, senza scadere nell‘isolamento dovuto a un elitarismo estremizzato,

favorendo quella sorta di umana ‗transumanza‘ che se non sbaglio richiedevano gli studenti.

L‘integrazione tra le due aree disciplinari per me è scontata e andrebbe favorita senza orientarla

dirigisticamente per evitare si creino divisioni ulteriori dovute alla forzatura, in quanto le

diverse formae mentis occorre trovino liberamente modo di fondersi.

Nelle lettere al Prof. Settis, che allego per dare il senso dell‘evoluzione del pensiero, trapelano i

presupposti su cui mi basavo in ordine ai concetti di ricerca e di formazione, rispettivamente

venti e sedici anni fa. Scrivevo che ―la qualità della ricerca è funzione delle persone che la

conducono, della loro motivazione, degli strumenti a disposizione, dell‘ambiente in cui la

svolgono, dell‘interazione reciproca tra ricercatori. Ogni intervento su una di queste variabili ha

ricadute sul risultato finale‖. E ancora: è la ―ricerca che ha consentito all‘uomo, attraverso

abduzioni inattese e la sovversione degli schemi del passato, di transitare a nuovi paradigmi e a

quella crescita al cui cospetto ci troviamo. E la persistenza di obsoleti modelli finalizzati alla

conservazione del potere e alla riproduzione dell‘ordine‖ fanno resistenza all‘evoluzione.

A ciò consegue che servano soggetti unici, speciali, creativi, oserei dire ineffabili.

Che sia necessario un creativo per comprendere un creativo, credo sia una frase scontata, come

pure sostenere che la capacità di distinguere soggetti divergenti – ovvero capaci di trovare

soluzioni in modo abduttivo e non meramente deduttivo o induttivo – pertenga a chi contempli

la divergenza come ricchezza e non come stranezza.

Non pensi che io stia cercando di occupare il tempo post estivo, prima di tornare nella mia

Berlin, o sia in attesa di superare gli aspetti burocratici connessi al progetto The dare.

Spero sia chiaro dal tenore di questa mia che tengo davvero a che la Scuola sia ancora baluardo

dei valori che ho amato e credo non debbano essere diluiti dalla superficialità contemporanea.

Qualora l‘ipotesi collaborativa prendesse corpo, non porrei limiti temporali.

Ora vengo al punto dell‘esigenza di ristabilire una migliore posizione nel ranking delle scuole

mondiali. Tango questo argomento forse influenzato dai grafici mostrati dal Direttore alla

consegna dei diplomi. Non so se ciò rientri tra i Suoi obiettivi, neppure ho ancora approfondito a

cosa ascrivere l‘attuale posizionamento [Il World University Ranking posiziona la S.N.S. al

102esimo posto nel 2016 su scala mondiale, dopo averle riconosciuto il 63esimo nel 2015]. È

possibile che altri atenei siano diventati più competitivi, inoltre è certo che nel contesto italiano,

ove la regressione culturale è sempre più diffusa, vi siano sempre meno soggetti capaci di offrire

contributi alla futura crescita del Paese, ma è essenziale agire per indurre un‘inversione di

tendenza. La quale è difficile ascriverla a ragioni economiche, considerato che gli oltre 30M€

che riceve la S.N.S. all‘anno si ripartiscono su 600 allievi (somma per allievo multipla di altri

atenei). Non ritengo essenziale rincorrere il posizionamento in statistiche, ma promuovere

l‘innovazione, e, personalmente, non direttamente sul punto di frontiera, ma in leggera

retroguardia, sul crinale della comprensione dei soggetti che acquisiscono il nuovo concetto.

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Per farlo occorre l‘umiltà della rinuncia al vecchio sapere, cosa che in S.N.S. mi ha spinto a

preferire la relazione con i ragazzi piuttosto che con i docenti, escluso alcune eccezioni che

mantenevano viva la loro freschezza mentale. Con ―promuovere l'innovazione‖ non alludo a

operazioni di divulgazione scientifica quanto più a creare vettori di rinnovamento categoriale, di

elementi di rottura degli equilibri precedenti, catalizzatori di fenomeni di condensazione

cognitiva. Il progetto CEC credo abbia suscitato rottura all'epoca non a caso proprio nell'area

più tradizionalista della Scuola, quella caratterizzata da minore capacità di autorinnovamento.

A dire il vero, ho sempre subito il fascino di figure come il giovane Gödel, piuttosto che nel

blasonato Hilbert. E ciò anche prima di sapere che l‘idea del primo avrebbe avuto la meglio

sull‘altro. In sintesi, credo sia utile poter contare su qualcuno capace di pensare al futuro in

termini visionari, di vedere strutture celate e correlazioni non banali, affiancato ai ricercatori.

Certo la sfida è ambiziosa, mi auguro non sia confusa come segno di una hybris irrealistica.

Ho notato che Le attribuiscono un indice di Hirsch di 69 di tutto rispetto, ho ascoltato Suoi

interventi di cui v‘è traccia in rete, e ho avuto modo di cogliere nelle Sue parole e nel Suo stile

locutorio elementi che mi hanno suggerito di dedicare un sabato per raccogliere queste parole.

La Sua idea che il salto paradigmatico vada favorito tenendo conto dei sistemi complessi, ormai

studiabili nel loro sistema naturale senza riduzioni di complessità, mi trova concorde.

Pure il Suo approccio al problema del Big data indifferenziato, cogliendo l‘esigenza di

un‘analisi delle correlazioni non apparenti che non ricalchi l‘ordine paradigmatico precedente,

altrimenti servirà a ben poco: che senso avrebbe riordinare masse di dati di ordini di grandezza

superiori con gli stessi criteri compositivi di quelle precedenti? È proprio in un nuovo possibile

ordinamento che si genera il salto di complessità cui la vera ricerca mira.

Al proposito, mi interessavo di middleware giusto due estati fa, o meglio di sistemi che

catalizzino dati informativi e li trasformino in spunti di comprensione attraverso operatori

semantici o di altra natura.

All'epoca intendevo applicare alcuni modelli di potenziamento cognitivo ad app cognitive,

stimolanti l‘apprendimento attraverso giochi. Avevo in mente una collaborazione con un fisico

normalista che opera a New York, ma poi una grande società ha comprato la start-up in cui

lavora e non ho neppure fatto a tempo a condividere l‘idea.

Intravedo anch‘io un incremento dell‘uso della realtà aumentata, a patto che diventi di massa

com‘è avvenuto, ad esempio, con i sistemi operativi a finestre, permettendo di superare i limiti

sensoriali e incrementando le potenzialità cognitive, riducendo altresì l‘impatto di grosse

rivoluzioni percettive conseguenti al cambiamento dei modi di pensare in modo controintuivo.

Concordo quando dice che l‘interazione del cervello con una realtà naturale sia molto più diretta

rispetto al caso di un intermediario di tipo indiretto fisico-matematico. La possibilità di

muoversi in maniera naturale in mondi in cui non possiamo accedere realmente, ma percepiti

come se fossimo nella vita reale con le nostre dimensioni spazio temporali, possono attivare

processi di salto cognitivo sfruttando isomorfismi sensoriali che giungono alla consapevolezza

in modo naturale. Al proposito ricordo l‘eccellente Prof. Franco Conti che sapeva pensare oltre

R5… senza l‘uso di alcun marchingegno. Non so se sia stata sostituita una figura come la sua

alla Scuola, capace di contribuire alla didattica creando nuove forme di insegnamento; una

figura di primo contatto con gli studenti ammessi, capace di orientare gli allievi.

Nel suo lavoro trovavo conferma della correttezza dell‘obiettivo didattico di comunicare la

passione per la conoscenza come forma di insegnamento, quale momento di dilatazione degli

orizzonti cognitivi. Come il prof. Conti insegnava che la matematica fosse parte integrante della

cultura e svolgesse un ruolo fondamentale nella società, mi accorgo di aver appreso la lezione

essendomi dedicato a promuovere il gusto per l‘apprendimento in quasi tutti i miei progetti, che

avevano spesso l‘obiettivo di modellizzare la problematica affrontata di volta in volta, più che

quello di creare un bagaglio nozionistico specifico. Il loro carattere sperimentale anticipava

possibili scenari, dotando i partecipanti di strumenti per gestirsi in tali prospettive evolutive…

Mi accorgo dall‘approssimarsi del margine che mi sono dilungato forse troppo. Non mi resta

che citare G. B. Vico, scusandomi per non aver avuto abbastanza tempo per esser più breve. E

pure se, qui e là, ho avuto un approccio dal sapore un po‘ ingenuo e naive.

Cordialmente Oreste M. G. Debernardi

Pisa, 03/09/16

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Oreste M. G. Debernardi

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Cultural Projects Advisor

Il testo della lettera è stato rivisto varie volte il giorno seguente la stesura, chiedendomi come

Lei avrebbe reagito nel leggerla. Mentre la parte che segue (PS) è stata scritta il 07/09/16.

PS Attendendo il momento più opportuno per l‘invio a Lei della missiva, che nel

frattempo ho inviato a Marco e ad alcune amiche per avere da loro un feedback, mi è venuta

un‘idea. Tra costoro, una si è sbilanciata in un commento positivo, aggiungendo che si

comprende che sono affezionato alla Scuola. In effetti, dal mio punto di vista non avevo colto

questa mia prospettiva. Con tale pensiero, ovvero che si abbia esigenza di un momento di

verifica esterno, mentre la ragazza, che mi aveva accompagnato all‘incontro con Marco,

raccontava l‘esito del suo recente viaggio all‘estero in una struttura di ricerca ove trasferirsi, le

chiedevo come procedessero nel valutare l‘efficienza in quel contesto. A quel punto mi è

sovvenuta una figura capace di valutare la ‗produttività‘ del personale docente in merito alla

ricaduta innovativa o altre variabili che si decida di prendere in considerazione. Attività svolta

da un soggetto dalla formazione eterodossa, capace di interfacciarsi con docenti e allievi, dotato

di un approccio epistemologico, una figura, che, anche se inizialmente avversata dai docenti,

acquisirebbe anche per loro valore e significato nel tempo perché consentirebbe loro un

confronto indispensabile a una retroazione prima che giunga il ranking a sancire un eventuale

errore di indirizzo. Un soggetto onesto intellettualmente e disincantato, capace di intuire e poi

verificare, al di là delle apparenze d‘immagine e dei giochi di potere, gli esiti di scelte

didattiche, la cui validità non dovrà più discendere dal fatto che ricalchino schemi già percorsi o

consentano il mantenimento di posizioni di potere. Capace di orientarsi a verificarne i risultati in

modi sempre nuovi affinché essi non risultino anacronistici, dando così maggiore garanzia della

capacità innovativa della Scuola, cercando lo specifico contributo da parte di ogni docente agli

obiettivi della Scuola, non facendo valutazioni d‘insieme del tutto inutili sul piano operativo.

Una figura direttamente referente al Direttore che rielabora e riadatti qualcosa di simile all‘OEE

(Overall Equipment Effectiveness), finalizzato al controllo e all‘implementazione degli

orientamenti e obiettivi didattici.

Se si cerca una competitività con altre scuole è utile dotarsi di un sistema di controllo e

miglioramento dell‘efficienza attraverso forme davvero critiche. Ovvio esso non possa esser

lasciato solo all‘autocoscienza del didatta e neppure al contraddittorio didatta/allievo per ovvie

dinamiche che ne impedirebbero una reale efficacia. Gli obiettivi potrebbero essere:

– misurare la ricaduta didattica in modo oggettivo stabilendo le variabili da considerare;

– diffondere indicatori di esse che spontaneamente generino effetti virtuosi;

– individuare ed eliminare gli errori e gli anacronismi metodologici.

La tecnica dovrà essere implementata opportunamente calibrata, dato che nasce per valutare

mansioni tendenzialmente ripetitive e standardizzate. Essa prevede alcuni passaggi:

– definizione degli obiettivi (il concetto di eccellenza è troppo astratto) precisando tempi,

modalità e grado di qualità;

– sviluppo di un modello per la valutazione dell‘efficienza e per la sua analisi;

– costruzione di un sistema aperto (in S.N.S.) di rilevazione delle carenze (al fine di esser

utile collettivamente);

– seminari divulgativi sugli obiettivi dell‘attività e sul significato degli indicatori;

– valutazione del livello di efficienza dell‘anno precedente;

– individuazione delle principali cause dei risultati insufficienti;

– eliminazione delle mancanze tramite attività di miglioramento mirate;

– quantificazione comparativa dei risultati ottenuti.

La tecnica potrebbe essere implementata in un‘area pilota e, quindi, progressivamente estesa ad

altre aree. Ciò consentirebbe di impostare un percorso sostenibile, effettuando una calibrazione

del metodo OEE sulle specificità del contesto. La pubblicazione degli indicatori costituisce un

riferimento condiviso per tutti i soggetti coinvolti.

Allegati:

1) Lettera al Prof. Salvatore Settis, Direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, 08/03/96.

2) Lettera al Prof. Salvatore Settis, Direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, 07/04/00.

3) Estratto dal testo: Debernardi O. M. G., Comunicazione Empatia Conoscenza, s. l., ed.

Debernardi, 2006, (ed. originale 2003).

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1) Gent.mo Prof. Settis,

mi rivolgo a Lei per sottoporle una richiesta alla quale farò seguire alcune note esplicative.

Le chiedo l‘appoggio della Scuola alla ricerca che sto conducendo e l‘autorizzazione

all‘utilizzo delle strutture della Scuola nei termini che, mi auguro, Lei vorrà concordare con me.

Al fine di contestualizzare la mia richiesta accennerò ad alcune considerazioni che, Le premetto,

non intendono entrare nel merito della gestione del suo mandato. Ciò che desidero è che non sia

respinta a priori una richiesta che dispone dei requisiti formali per essere posta solo in

substantia. Solitamente chi non ritualizza e istituzionalizza i propri obiettivi, deve dimostrare a

ogni interlocutore la propria competenza al prezzo di un considerevole dispendio di energie. In

tal senso va intesa la forma epistolare che scelgo per rivolgermi a Lei, anche se certo sarebbe

assai più comodo riferirmi brevemente a qualche titolo accademico. Come, a volte, offrire nello

stesso contenuto del messaggio la forma di fruizione che esso richiede è utile al fine di

comunicare senza equivoci l‘exemplum di cui intendiamo farci promotori, così con questa

lettera cerco di offrirle un‘indicazione delle mie idee. Per superare eventuali anfibologie, conto

sulla Sua apertura, in virtù della quale, insieme alle mie argomentazioni, mi auguro Lei vorrà

accogliere la mia istanza.

Nel rispetto dell‘intreccio di tradizioni del quale la Scuola è espressione, Lei meglio di

me sa che nella valutazione degli indirizzi di ricerca ne va preservato il valore, operando la

selezione e di quanti vi accedono in base agli obiettivi di ricerca che la Scuola si dà, non ci si

può limitare alla rigorosa applicazione deduttiva delle condizioni date dalle tradizionali linee;

ma occorre abbracciare un modello flessibile che faccia dell‘esercizio abduttivo un momento

non irrilevante.

Non è opera facile coniugare gli elementi tradizionali che marcano la qualità e il valore

della Scuola e la spinta verso i nuovi orizzonti che la ricerca offre e al contempo impone, col

risultato di disgregare i precedenti modelli di organizzazione del sapere. Scegliere quali ricerche

finanziare o anche solo consentire è una sfida anche in nome della responsabilità e della

consapevolezza che dalla scelta dipende la eventuale esclusione di possibili validi apporti al

sapere collettivo. Essi, infatti, possono costituire l‘embrione di iniziative che, anche se

parametrate sulla struttura valoriale vigente non appaiono collocabili nell‘area di riferimento del

positivo, possono recare in nuce fattori le cui potenzialità potranno forse contribuire a

modificare la stessa struttura valoriale in base alla quale si esprime la valutazione.

A volte il timore del nuovo impedisce di sottrarsi alle categorie consolatorie e

confortevoli del già conosciuto, piuttosto che premiare lo sforzo verso ciò che non siamo riusciti

a studiare. Commemoriamo la nostra mediocrità e perfettibilità spacciandola per validità

metodologica il cui successo è garantito, con una fiducia illimitata nel progresso scientifico del

cui paradigma dimentichiamo i limiti. Erigiamo monumenti a quella che è solo la testimonianza

della nostra incapacità di andare oltre, guardandoci bene anche solo dall‘approssimarci ai

confini del nostro sapere, adagiandoci nelle certezze appena dimostrate, ma l‘istante successivo

superabili.

Constatare il limite genera il desiderio di varcarlo. Compiacersi di ciò che si è fatto

genera l‘illusione di essere arrivati, la stasi. Paradossalmente è proprio ciò che eccede l‘ordine

organizzato dall‘ occasionale episteme che è il motore propulsivo del sovvertimento di quel

principio organizzatore. Essendo questa residualità a generare il dinamismo, ci si può chiedere

in che direzione vada la ricerca quando l‘approccio epistemologico ne riduce l‘importanza a

marginalità inefficace e perciò se ne allontana.

Ebbene, la ricerca va avanti?

Contro-intuitivamente la ricerca è ferma. Si avviluppa su se stessa, si contorce e blocca

ogni movimento possibile. L‘uomo procede verso qualcosa di nuovo solo quando non ha più

spazio per continuare e con ciò non alludo all‘estensione dell‘ordine negli ambienti, ma allo

sviluppo di nuove categorie di ordinamento. L‘uomo è cieco: esclude dal proprio orizzonte di

intelligibilità ciò che non risulta omogeneo rispetto al criterio ordinatore. Non si è dato un

metodo per orientarsi sul piano cognitivo, nonostante gli esempi ricevuti dal passato, allora

applicati, alle problematiche che il livello evolutivo del pensiero imponeva. Ora altri sono i

problemi e vanno affrontati a partire da dove ci troviamo, senza penose regressioni. Eliminando

dal nostro pensiero ogni vacuo ragionamento seguendo gli insegnamenti di Cartesio e di

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Spinoza, di Leibniz e di Kant, ora non dobbiamo perdere tempo ed energie verso direzioni

sbagliate o privi di direzione. Se in precedenza siamo riusciti a evolvere la qualità del

ragionamento è stato per saturazione di spazio. Restando cioè sempre nello stesso luogo

abbiamo esaurito gli spazi di percorribilità e ne siamo stati necessariamente proiettati al di fuori.

Può l‘uomo procedere intenzionalmente verso un obiettivo cognitivo? È illusorio

domandarselo? L‘obiettivo non può essere posto a priori, ma rilevato dopo aver superato il

carattere inclusivo dell‘evoluzione di ogni sistema cognitivo. Certo tale tesi può apparire

eccessivamente viziata, ma nello sforzo verso la più obiettiva descrizione è ineluttabile

introdurre categorie valutative o se ne può fare a meno?

Crederlo possibile significa scadere nella metafisica, negare il principio di

indeterminazione di Heisemberg. Accettare che non lo sia permette un depotenziamento del

punto prospettico soggettivo, traslando così l‘osservatore da una posizione di osservazione

statica a una dinamica che gli fornisce una panoramica generante una messe di dati in ordine

all‘oggetto, il cui limite di gestione è proprio giusto la facoltà di elaborazione del soggetto che

non può sottrarsi a tale impressione. Ciò non significa necessariamente spaesamento, ma

viaggio, e non solo nella dimensione che pertiene all‘ermeneutica.

Oggi conoscere è spostarsi; questo in termini esperienziali genera i nuovi modelli utili a

rinnovare le definizioni di noi stessi e del mondo. Ricalcando i medesimi approcci e le

circostanze abituali si consolidano soltanto i vecchi stili cognitivi, mentre le nuove categorie

analitiche si generano dopo essere stati altrove rispetto al nostro situs analitico. È l‘azione,

impressa sui contesti, che conferiscono il senso alle parole, a sortire un effettivo cambiamento.

Questa cornice semantica – a noi peraltro occulta – consente di percepire come possibile una

diversa definizione del reale. E il soggetto partecipa di essa, coinvolgendosi sul piano

esperienziale, non rimanendo spettatore delle rappresentazioni che altri gli danno e che gli

restano estranee, inintelligibili alle proprie categorie di assiomatizzazione.

È rinegoziando lo statuto dell‘assioma che ci si apre al nuovo, al non scontato o al non

concesso, ma per esperirlo occorre un riferimento. Come il testo chiede di essere interpretato per

quello che è, senza attribuzioni soggettive di sorta, così un momento fenomenologico viene

effettivamente vissuto quando il soggetto esercita la propria libertà di azione orientandosi verso

il dato che gli si offre tramite l‘adozione di una determinata prospettiva interpretativa.

Il fenomeno, come sostiene Aldo Giorgio Gargani, pone al soggetto che lo esperisce il

limite entro il quale esercitare la realizzazione di sé, che corrisponde alla datità stessa del

fenomeno. Vagheggiare realizzazioni personali trascendendo il limite della datità di ciò che è

altro da noi, significa scadere nell‘onirico, nell‘illusione percettiva, se non nell‘allucinazione

delirante. La necessità di trascendere noi stessi alla ricerca della realizzazione deve avvenire

verso la realtà fenomenologica, e non oltre. L‘eccedenza di cui è costituita la nostra psiche va

proiettata al di là della porzione di presente da essa controllata, in direzione della realtà che

chiede di dispiegare il proprio senso e di manifestarsi attraverso di noi – e non verso l‘irrealtà.

La totalità verso cui la psiche, eccedendo se stessa, si dirige genera quell‘impressione di

lenimento dell‘angoscia nata dalla primordiale separazione da essa. Una beanza che può solo

illusoriamente essere colmata dall‘identificazione in un ruolo, aderendo così al consorzio sociale

per timore dell‘anomia che riconduce al citato senso di angoscia. L‘integrazione nel consorzio

sociale non può prescindere dall‘uniformarsi alle modalità relazionali e tecnologiche che esso

prevede.

Constatando ora che conseguenze significative, come quelle un tempo generate dal

passaggio dalla trasmissione orale della cultura a quella scritta, si stanno proponendo con la

diffusione capillare dell‘informatica e della telematica, con ricadute ineludibili sulla

soggettività, sono interessato a studiare le mutazioni che essa subisce in tale passaggio. Ma,

poiché l‘orizzonte della soggettività si confonde con quello dell‘intelligibilità e, in quanto

sistemi autopoietici, le soggettività ricreano nelle loro azioni le proprie condizioni di esistenza,

l‘ambito della riflessione si estende necessariamente allo spazio di orientamento dell‘agire

umano in senso più ampio. In tale direzione si indirizzano i miei studi.

La necessità di un monitoraggio responsabile dell‘accadere cui partecipo ha consentito

ora l‘evidenziarsi della forte esigenza di ridefinire le personali condizioni esistenziali, non

escludendo più eventuali collaborazioni intellettuali. A ciò si aggiunge il fatto che non posso più

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provvedere autonomamente al prosieguo delle ricerche, e pertanto diventa imperativo chiedere

aiuto a terzi. Sono disponibile a qualunque forma di divulgazione della riflessione che sto

coltivando, qualora la Scuola intenda farsene promotrice.

Colgo l‘occasione per porgerle i miei più rispettosi saluti.

Pisa, 8 marzo 1996 Oreste Debernardi

2) Gent.mo Professor Settis,

ho partecipato ieri all‘incontro con Monsieur Guyon e ne ho tratto non pochi spunti di

riflessione. Non ho inteso manifestarmi in quella sede per lasciare spazio espressivo ai ragazzi.

Scelgo di inviarle questa nota perché mi sembra di aver colto nelle Sue parole un sincero

interesse nell‘interpretare il suo ruolo di Direttore mediando tra la conservazione del prestigio

della Scuola, nel rispetto delle tradizioni, e la promozione della ricerca quale momento principe

dell‘istituzione.

Considerare l‘École e la Scuola due accessi al mondo della ricerca ha conseguenze non

irrilevanti. La qualità della ricerca è funzione delle persone che la conducono, della loro

motivazione, degli strumenti a disposizione, dell‘ambiente in cui la svolgono, dell‘interazione

reciproca tra ricercatori. Ogni intervento su una di queste variabili ha ricadute sul risultato

finale.

Intendo portare la Sua attenzione sull‘opportunità di non limitare gli accessi a quegli

studiosi che provengono da un corso di studi istituzionale. A un osservatore attento non può

sfuggire che il progresso scientifico non si è solo appoggiato su ricerche promosse da soggetti

formati in rigidi ambiti disciplinari. Certo personaggi illustri hanno accettato di rivestire ruoli

istituzionali per svariate ragioni, ma non per promuovere i loro interessi di ricerca. Mi rendo

naturalmente conto che, per valutare la preparazione di soggetti non individuabili

disciplinarmente, non sia possibile adottare modelli valutativi disciplinari. Ma questo sarebbe un

problema di facile soluzione, se esistesse interesse in questa direzione.

Devo, purtroppo, rilevare che l‘ambizione di apertura al mondo che muove Monsieur

Guyon verrà delusa quando, di quel mondo, si promuoveranno velocità ed eccellenza,

restringendone così i campi. Il sapere ormai è così complesso che qualsiasi tentativo di

rappresentarlo rischia di rivelarsi vano. La velocità con cui si avvicendano le metamorfosi degli

approcci cognitivi è tale che supera di gran lunga qualsiasi velleità di previsione.

Come non sento di aderire a quello che pare l‘obiettivo inconscio delle scienze bio-

tecnologiche, riprodurre la vita umana, analogo scetticismo oppongo alla hybris di chi pretende

di stabilire norme e regole alla formazione di giovani menti, senza accorgersi del triste

ingabbiamento che ciò determina.

I normalisti vanno a occupare ruoli di prestigio nella società. Come stupirsene, viste le

sollecitazioni del loro super-io nella Scuola? Ma quanti di costoro hanno preferito soddisfare la

bramosia di sapere con l‘indigesto alimento del potere spinti da un loro spontaneo desiderio?

Non è forse, invece, la spinta alla competizione che ha sortito il risultato di allontanarli dalla

libera ricerca? Quella stessa ricerca che ha consentito all‘uomo, attraverso abduzioni inattese e

la sovversione degli schemi del passato, di transitare a nuovi paradigmi e a quella crescita al cui

cospetto ci troviamo. E la persistenza di obsoleti modelli finalizzati alla conservazione del

potere e alla riproduzione dell‘ordine non sono forse le ragioni della contraddittoria coesistenza

dell‘estrema ignoranza con apici di perspicuità?

Mi auguro che Lei apprezzi la franchezza con la quale ho scelto di interpellarla. Forse il

mio spirito di autoconservazione a coltivare i miei studi al riparo da ogni controllo mi spingerà a

non inviare la missiva.

Con rispetto e stima.

Pisa, 7 aprile 2000 Oreste Debernardi

[Entrambe le missive sono presenti in Debernardi O. M. G., Articoli e lettere, s. l., ed.

Debernardi, 2006.]

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3) Estratto dal testo: Debernardi O. M. G., Comunicazione Empatia Conoscenza, s. l., ed.

Debernardi, 2006, (ed. originale 2003).

Come nasce il progetto CEC

Marzo è arrivato e sono rimasto in Italia. L‘auspicato trasferimento all‘estero non è

stato possibile. Mi raccolgo, tendo a completare quanto lasciato in sospeso. Provo ad aprirmi su

più piani, ma la risposta mi delude.

Mi chiudo sul fronte familiare, mi chiudo sul fronte relazionale, mi chiudo sul fronte

amicale. Quasi senza sforzo, se ne apre presto uno nuovo.

La Scuola è sotto attacco di virus informatici. Risolvo una delicata situazione con la

rete, ma una lettera di lamentele al Direttore del centro di calcolo viene inviata da alcuni

perfezionandi. Le conseguenze non tardano ad arrivare. Il responsabile della rete è disposto a

condividere con me le problematiche relative a un router di frontiera.

L‘attività comincia e si rivela piacevolmente interessante per entrambi. La volta

seguente, la notizia di un furto costringe il CED a un cambiamento repentino che tronca sul

nascere l‘intesa appena creata.

Legenda

Fiorenzo - Direttore del CED

Pilar - responsabile tecnico del CED

Mario - responsabile della rete

From: Oreste To: Responsabile della rete

Sent: Thursday, April 04, 2002 10:54 AM

Caro Mario, in effetti, calpestare tutti gli aspetti umani attivati tra noi per rispettare la logica

della sicurezza mi disturba non poco. Tra noi non c‘era solo una collaborazione di reciproco

scambio di know-how, ma si era attivata una dimensione umana più ampia. Capisco

naturalmente le esigenze di tutela della Scuola dalle mire di Arsenio Lupin di bassa lega.

Capisco che sia stata sensibilizzata l‘area, ma la vostra posizione nei miei confronti implica una

sfiducia di fondo che non ritengo di meritare. E, tra parentesi, mi sembra indice di non saper

dove agire per una reale tutela delle risorse e della sicurezza. Ma questo è problema sul quale

non mi avete chiesto una consulenza. Ciò che mi interessa è la ―relazione‖ e mi pesa tutto ciò

che la va a ledere. Non ho voglia di perder tempo su tutto ciò che mi allontana dalla dimensione

delle ―essenze‖ di cui mi sto occupando. Questa interruzione interrompe uno scambio che,

ancorché effettuato a proposito del router di frontiera, mi consentiva una riflessione di ben più

largo respiro. Tu sei un tantino più grande di me e di solito attivo queste operazioni con persone

più giovani. Avrei voluto sviluppare la riflessione, che ti preciso non è ―su‖ qualcuno, ma ―con‖

qualcuno, anzi più che un ―qualcuno‖ è calibrata su specificità, andando sostanzialmente ad

elaborare categorie peculiari alla singolarità con cui mi relaziono. Per così dire il router era il

pretesto per un coinvolgimento, ciò forse poiché mi sono abituato a cogliere nella prassi la

verità di noi umani.

Devo dire che hai saputo trovare parole molto azzeccate per segnalare la tua posizione: ―aiutami

a trovare il modo di farti capire che non vi è nulla di personale‖. A dire il vero io vivo

soprattutto l‘aspetto personale, dato che i ruoli li diserto in quanto li vivo come limite alla

sperimentazione esistenziale che pratico. Di fatto ora mi trovo una barriera di ben diversa

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consistenza di quella posta attraverso stringhe di caratteri alfanumerici che chiamano login e

password (che non è così difficile trovare).

Se all‘ex giovane hacker presente al convegno sull‘Internet security interessava come

funzionavano le macchine, a me interessa come funzionano le persone (non intese come

macchine, naturalmente). Così mi sento molto appesantito. Forse ti invio queste note perché non

voglio davvero pensare a come superare la situazione sul piano reale. Per ora voglio solo

esprimere la mia emotività. Vedrò in futuro che fare. Magari dammi qualche indicazione, se ti

interessa o cogli il senso di quanto scrivo. Ciao

From: Responsabile della rete To: Oreste

Sent: Friday, April 05, 2002 11:05 AM

Caro Oreste, so che in qualche modo ieri ti ho ferito. Non più tardi di due ore dopo ho ricevuto

la stessa ‗umiliazione‘. Ho sinceramente sofferto tutto il giorno e ancora sento il dolore di

quanto non ho ancora razionalizzato e collocato nella mente in un posto o in un modo più

gestibile e tollerabile. Sarei tentato di divagare sullo psicologico, ma ho intuito che a te non

piace molto come strumento di analisi della realtà. Anche io Oreste ho intuito che si rompeva

qualcosa di più importante prima ancora di dirtelo, ma devo rispondere di un imperativo

concordato internamente al CED. Io sdrammatizzerei un momento e cercherei di alimentare

quella parte che ancora ci fa incontrare su queste righe. Cerco di esporti il mio punto di

osservazione: ho un compito da svolgere e non posso concedermi interruzioni non

programmate; la via della collaborazione su un‘attività poteva essere un modo in cui conoscerci

senza togliere tempo ai miei doveri professionali. Altro punto importante che devi sapere: per

me la fiducia è un tentativo all‘inizio, ma occorrono anni per consolidarla: sposo la tesi

giurisprudenziale che non ammette frasi del tipo: ―...ho incontrato tizio alla stazione e mi ha

ispirato fiducia...‖. D‘altronde ti vedo da molto tempo e ti ho visto lungamente nello studio di

Marino, che ti ripeto per me è come un fratello, e questo gioca a favore della fiducia che ti ho

dimostrato. Altro punto importante che devi considerare: ritengo un dovere diffondere le mie

conoscenze e vorrei tanto coinvolgere gli studenti interessati, quindi il tuo iniziale interesse per

le slide sulla sicurezza dei router, coglieva questo mio bisogno. Purtroppo se dobbiamo parlare

di questioni che toccano la sfera della sicurezza informatica è necessario che la tua posizione nei

confronti del CED e della Scuola in generale sia formalizzata. Una via potrebbe essere avere

un‘autorizzazione dal direttore del CED a collaborare a qualche titolo con me, ma lascio a te

l‘interesse e la capacità di farlo. In alternativa gli argomenti informatici trattabili sono tanti.

Riparliamone. L‘importante è non perdere tempo durante l‘orario di lavoro, quindi

necessariamente ci dobbiamo agganciare a un‘attività finalizzata al raggiungimento di qualche

obiettivo preciso.

L‘emotività attivata si trasforma in motivazione ad agire. Velocemente si intrecciano

esigenze recenti con bisogni espressivi più remoti.

Nasce l‘idea del progetto che prende forma nei dialoghi con Mario e con alcuni allievi e

perfezionandi. Traduco i pensieri in un mail al Direttore del CED.

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From: Oreste To: Direttore del CED

Sent: Tuesday, April 09, 2002 11:00 AM

Subject: problemi e proposte

Al Direttore del Centro di Calcolo della Scuola Normale Superiore

Oggetto: modello organizzativo del network ed effetti conseguenti sulle condizioni di utilizzo

del sistema

Gent.mo Professore, scelgo uno stile informale – che spero Lei voglia benevolmente accettare –

sull‘onda di una piacevole conversazione intrattenuta con una perfezionanda che mi ha parlato

di lei e che, tra l‘altro, ha offerto un interessante punto di vista quale utente del centro di calcolo

della Scuola, alla luce della sua recente esperienza americana. Le parole della giovane

dottoressa hanno ulteriormente rafforzato l‘impressione che i recenti problemi di rete hanno

diffuso. Il frequentare la Scuola mi ha permesso non solo di seguire corsi e seminari, ma

soprattutto di essere in relazione con la comunità che accoglie. È grazie a questo contatto che mi

è facile percepire il disagio di chi incontra difficoltà nell‘usare le macchine, e ben comprendo la

percezione di chi si sente vittima di una politica avversa, o quanto meno percepisce sfocato il

potere attrattivo della Scuola nel proprio orizzonte di ricerca.

Prima problematica

Esiste una disparità considerevole, oltre a quella che è lecito attendersi, nell‘uso degli strumenti

informatici tra l‘utenza letteraria e quella scientifica. Disparità che personalmente aiutavo a

ridurre coadiuvando in modo estemporaneo chi incontrava problemi. A ciò si aggiunge il

problema causato dall‘attacco dei virus informatici. Per evitare che questi si propaghino e

diventino serio ostacolo al lavoro, la recente esperienza dimostra quanto sia essenziale una

maggiore consapevolezza degli utenti. Ed essa non è certo favorita dall‘involontaria

incomunicabilità esistente tra il personale del centro di calcolo e alcuni utenti letterati1.

Possibile soluzione

Un mediatore tra le due realtà – con le competenze tecniche e comunicative necessarie a

organizzare momenti di approfondimento dell‘uso di macchine e applicativi – permetterebbe di

evitare di assaggiare l‘amaro sapore della disapprovazione per il disservizio. Una risposta in

questo senso non sarebbe solo tecnica – non si tratta, infatti, di un problema solo tecnico – ma

anche cognitiva: essere affiancati in un tirocinio che abbia come obiettivo l‘autonomia personale

non rinvia ad un terzo l‘onere di capire, e quindi di imparare ad affrontare gli imprevisti. Penso

a una figura che sia di stimolo all‘acquisizione di competenze e non a cui, per ruolo, siano

demandate facoltà di cui è auspicabile essere depositari.

Rischi conseguenti la prima problematica

L‘approccio alle macchine ormai indispensabile a tutti seleziona, in senso darwiniano, solo chi

ha una forma mentis a esse orientata. Avvicinare in modo gradevole le persone alle macchine,

senza che ne sentano la distanza e senza che per avvicinarsi debbano perdere il piacere della

relazione – qualcosa di prossimo all‘amore che lega il musicista al proprio strumento – è, a mio

avviso, indispensabile.

Seconda problematica

D‘altra parte è necessaria sensibilità verso esigenze e desiderata dell‘utenza che pare non siano

state considerate rilevanti nell‘ elaborazione delle soluzioni tecniche. Ad esempio non è

essenziale la mancata perdita di dati per l‘attacco dei virus, quando spesso il fattore essenziale è

il tempo di consegna del lavoro ed è prioritario il reperimento di quei dati. La legittimazione

implicita che gli attacchi dei virus giustifichino deficit operativi o drastiche limitazioni

all‘utilizzo della rete cade clamorosamente di fronte all‘evidenza dell‘ultimo periodo. Le

limitazioni non sono state sufficienti a evitare i recenti problemi e ciò impone che venga

ripensato il modello organizzativo creando un equilibrio tra esigenze di sicurezza e utilizzo

degli strumenti nei termini che la particolare utenza della Scuola richiede.

1 La comunicazione non si realizza soltanto aprendo canali che però non vengono usati. Quando ognuno ritiene

esclusiva la personale articolazione del codice, ovvero intende abitare lo spazio di interlocuzione secondo il proprio

stile e proietta sull‘interlocutore il proprio modello di interazione, il risultato è l‘incomprensione.

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Possibile soluzione

Affiancare i responsabili del centro di calcolo nel cercare una riorganizzazione del sistema per

ridurre le ragioni dei disservizi. Lo schema operativo prevede un‘immersione nel sistema e il

calibrare interventi all‘interno di esso, elaborando modelli organizzativi specifici.

L‘approccio consulenziale che prevede l‘applicazione di modelli già testati in altre realtà si

rivelano perdenti in partenza perché inapplicabili alla situazione assolutamente originale della

Scuola, trascurando il momento essenziale: gli utilizzatori, come pensano, cosa intendono fare e

diventare.

Osservazioni personali

Quando chiesi l‘autorizzazione ad accedere alla Scuola cercavo un ambiente che condividesse i

miei presupposti in ordine alla ricerca e che si accordasse con la prospettiva esistenziale che

coltivavo. Nonostante una formazione semiotica, mi sono avvicinato alla matematica e

all‘informatica tanto da non riconoscermi più nella figura del letterato. Abituato com‘ero a non

restare nei limiti di una didattica, al tempo percepita come inadeguata rispetto ai miei tempi di

apprendimento e agli obiettivi che mi ero dato, non ho accettato la divisione disciplinare o

l‘assunzione di ruoli che limitassero il mio desiderio di interpretare in modo originale il

percorso cognitivo. Ho posto attenzione soprattutto a conseguire competenze, piuttosto che alla

loro certificazione e in quest‘ottica l‘ambiente umano si è rivelato prezioso stimolo alla crescita

intellettuale.

Proposte

Poiché l‘atmosfera che circonda chi è sotto impegno determina inevitabilmente la qualità dei

suoi risultati, ho deciso di sottoporLe alcune soluzioni che considero implementabili

separatamente.

1) Le offro di organizzare momenti di incontro (seminari, corsi, tutore) con gli utenti del Cluster

Windows che ne sentano la necessità – senza attendere che il disagio venga percepito come

inettitudine oppure limite dello strumento o del personale tecnico – al fine di trasferire il know-

how necessario a una soddisfazione nell‘utilizzo più completo delle macchine e del software. Il

modello relazionale non intende necessariamente ricalcare lo stereotipo del corso e del

seminario: la libertà di elaborare il modello più congruo in base alle diverse competenze degli

interlocutori permetterà di raggiungere l‘obiettivo, la cui ricaduta in termini di efficienza del

lavoro individuale e di immagine della Scuola non sarà trascurabile.

2) Le offro di collaborare con il personale del centro di calcolo per elaborare e un progetto di

riorganizzazione delle risorse – macchine e network – nel rispetto di una gerarchia di priorità

che non trascuri quelle non meramente tecniche. Penso a un‘attività consulenziale svolta

attraverso un periodo di auditing interno, seguito da un‘elaborazione collegiale di soluzioni2.

Ciò dovrebbe evitare la percezione di perdita di potere di chi se n‘è occupato sinora.

Riflessione disincantata

Non ho ancora avuto modo di parlare con i responsabili dei settori o i consulenti di cui la Scuola

si avvale e mi riservo di farlo dopo aver sentito la Sua opinione. Sono consapevole che la

seconda offerta potrebbe costituire l‘oggetto di una costosa consulenza esterna, ma sarebbe un

interessante banco di prova per i risultati delle mie ricerche relative alla produzione e alla

trasmissione della conoscenza. Mi rendo inoltre conto che occorra adeguata ―entratura‖, se mi

perdona il termine, per poter sperare venga anche solo esaminata tale offerta. Non basterà certo

l‘apparente hybris che trapela dal proporla a convincerLa della sua opportunità. Se fosse

interessato a prenderla in considerazione stabiliremmo condizioni che non si tradurrebbero in

uno sterile consumo di risorse, poiché strettamente correlate ai risultati.

Nel ringraziarLa per la Sua attenzione Le chiedo l‘autorizzazione a continuare la collaborazione

con il responsabile della rete, che ha per obiettivo prevenire attacchi alla sicurezza di rete3. La

2 L‘idea di fondo è di porre attenzione su ciò che ancora non sappiamo – e non riproporre ciò che abbiamo già

abbondantemente testato. In quest‘ottica la capacità di mettere in discussione le mete raggiunte diventa essenziale,

come prediligere risorse umane che non abbiano necessariamente al loro attivo esperienza nel settore – poiché non

potrebbero che limitarsi ad esportarla – ma a chi ha sufficienti strumenti cognitivi per creare categorie interpretative

specifiche per formulare i problemi in termini più consoni alle soluzioni auspicate. 3 Dalla continuazione della collaborazione nascerebbe un confronto tra il mondo di chi struttura la rete e quello di chi

la usa. Da tale sinergia potranno scaturire soluzioni non meramente passive sia di utilizzo, che di sicurezza.

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collaborazione è cominciata partendo dalla configurazione dell‘elemento più importante: il

router di frontiera. L‘intesa con il responsabile è stata immediata grazie alla sua disponibilità e

avevo pensato che la mia mancanza di ruolo in quel contesto avrebbe evitato le consuete

dinamiche di potere, ma purtroppo si è materializzato un problema ulteriore. La recente

effrazione ha modificato l‘approccio alla sicurezza globale, costringendo il Sig. Mario, a

chiedermi di formalizzare il mio ruolo con la Scuola. Cordialmente.

From: Oreste To: Direttore del CED

Sent: Wednesday, April 10, 2002 9:29 AM

Gent.mo Professore, se desidera delucidazioni in merito al mail che le ho inviato ieri mi trovo in

sala utenti del centro di calcolo. Sarò ben lieto di incontrarla in giornata impegnandoLa lo

stretto necessario a chiarirLe la proposta. Cordialità.

From: Direttore del CED To: Oreste

Sent: Wednesday, April 10, 2002 11:19 AM

Caro Oreste, sarei molto contento di capire meglio il senso del tuo mail. Puoi passare dal mio

studio stamattina? Io sono qui fino all‘una.

From: Oreste To: Direttore del CED

Sent: Tuesday, April 09, 2002 5:50 PM

Caro Professore, conoscerLa è stato per me entusiasmante. Ha superato ogni positiva

descrizione che possono avermi fatto di Lei. Le preannuncio che dalle conversazioni che sto

intrattenendo con il personale del CED, e con alcuni ragazzi e docenti ottengo reazioni assai

positive al progetto la cui bozza sto redigendo. Le conversazioni sono necessarie a redigerla.

Volevo anche scusarmi per aver parlato con lei a una velocità eccessiva, ma pensavo che mi

avrebbe offerto solo pochi minuti. In ogni caso sono stato contento che dopo l‘ora trascorsa

insieme lei era ancora sorridente come all‘inizio e la sua stretta di mano sicura quanto all‘inizio.

Quanto all‘imbarazzante domanda che mi ha fatto: ―quanto vuoi‖, Le dirò che mi sta

costringendo ad un interessante dilemma.

Oscillo tra la necessità di fare una richiesta accettabile dalla Scuola ed una che riconosca il

valore del progetto in cui mi sto impegnando.

Nel prendere informazioni ho scoperto quanto la Normale retribuisce i cantanti. Ne ha un‘idea?

Ma sarò serio: non porrò come logo nelle slide che presenterò la scritta: ―Sigh, perché non ho

fatto l‘artista da grande?‖

A presto.

Consegno la bozza al Direttore del CED.

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PROGETTO SPERIMENTALE

COMUNICAZIONE – EMPATIA – CONOSCENZA

nel contesto della relazione con sistemi informatici

Focus: qualità emotiva nella relazione di apprendimento.

Obiettivo di lungo termine:

migliorare la qualità emotiva della relazione con la rete e con le macchine.

Obiettivo intermedio:

elaborare un modello di gestione e di utilizzo delle risorse informatiche che rispetti le

priorità formative della specifica utenza con focus sulla qualità emotiva.

Obiettivo a breve termine con gli utenti:

· recuperare la qualità della percezione dell‘ambiente di lavoro attraverso interventi

oggettivi e soggettivi;

· favorire un approccio emotivamente positivo all‘uso delle risorse informatiche;

· fornire gli strumenti cognitivi necessari ad un autoapprendimento delle modalità di

installazione e di configurazione di sistemi operativi e di software applicativi, passando

dall‘adattamento passivo allo strumento, alla configurazione autonoma dei sistemi;

· massimizzare l‘utilizzo dei sistemi e ridurre le perdite di tempo, i tempi di

apprendimento, i disservizi per incapacità di utilizzo;

· fare esperienza di hacking controllato, al fine di imparare a difendere la sicurezza dei

propri sistemi.

Obiettivi a breve termine con il personale del centro di calcolo:

· stabilire un nuovo canale comunicativo tra personale del centro di calcolo e utenti;

· concordare la documentazione on line necessaria alla transizione al nuovo sistema

operativo e alle modalità di configurazione del software;

· stimolare l‘emergere di desideri di crescita personale, di autorealizzazione,

individuando l‘identità vocazionale e fornendo indicazioni che aumentino la

consapevolezza di sé al fine di effettuare autonomamente una pianificazione esistenziale

e professionale.

Metodologia: elaborare, applicare, verificare, correggere o ridefinire una

strategia di intervento differenziata e calibrata sui diversi livelli di consapevolezza e di

sensibilità emotiva. La ridefinizione delle prassi in itinere avverrà qualora si rivelino in

contrasto con gli obiettivi. Flessibilità e autonomia operativa durante la sperimentazione

permetterà di ridefinire gli obiettivi parziali nel rispetto dell‘obiettivo generale.

Relazioni aggiornate dell‘attività svolta consultabile via web interno. La verifica

dei risultati avverrà attraverso un sistema di verifica da elaborare.

Occasione di sperimentazione: passaggio al nuovo sistema operativo. Ciò

richiederà adattamenti che è importante vengano gestiti tenendo conto della dimensione

emotiva.

Soggetti coinvolti nel progetto: utenti dei sistemi (docenti e allievi), personale

del centro di calcolo (in quanto gestori delle risorse di rete).

Target della sperimentazione: docenti, allievi iscritti al corso ordinario e

perfezionandi.

Condizioni operative: completa autonomia decisionale ed operativa, senza

obblighi di orario che non siano stati concordati con gli interlocutori.

Referenti diretti: il Direttore del centro di calcolo e il Direttore della Scuola.

Risorse necessarie al progetto:

a) affidamento di un notebook per il periodo della sperimentazione;

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b) disponibilità di un ufficio (anche per poche ore al giorno) ove ricevere gli utenti;

c) disponibilità saltuaria dell‘aula Fermi fornita di proiettore video;

d) spazio macchina su server della Scuola interrogabile dal web;

e) autorizzazione a conoscere ogni problematica connessa a rete e sistemi al fine di non

intralciare il lavoro del centro di calcolo e rendere più semplice la trasmissione di ogni

conoscenza;

f) esplicita richiesta da parte del Direttore ai dipendenti e agli allievi di favorire

l‘iniziativa;

g) autorizzazione a far effettuare piccoli cambiamenti senza costi nelle due sale;

h) autorizzazione all‘uso della mensa al costo per i dipendenti;

i) se disponibile, alloggio in una camera della Scuola.

Tempi: cinque mesi per organizzare, applicare, verificare e correggere i risultati

sperimentali.

Dopo l‘approvazione del progetto, ovvero la sua autorizzazione, partirà la prima

fase organizzativa della quale si ipotizzano i seguenti momenti (indicazioni di

massima):

· disbrigo delle pratiche amministrative necessarie;

· consegna del portatile ed installazione dei software necessari;

· stesura del piano di lavoro del progetto e relativa immediata applicazione;

· riunioni preliminari con il personale del centro di calcolo per concertare i tempi di

collaborazione e gli obiettivi tecnici;

· preparazione della fase pubblicitaria del progetto;

· comunicazione da parte della Direzione dell‘iniziativa in corso;

· istituzione degli orari a disposizione dell‘utenza non appena disponibile l‘ufficio;

· raccolta di punti di vista dell‘utenza tramite contatto personale e via mail;

· ideazione del piano di lavoro tenendo conto di ogni elemento emerso a quel momento;

· istituzione dei corsi-laboratorio e pubblicizzazione dei seminari;

· affiancamento al personale del centro di calcolo in relazione alla creazione del disco

immagine con il software che verrà installato nel passaggio al nuovo sistema operativo;

· redazione della documentazione on-line relativa;

· partecipazione alle riunioni del centro di calcolo il cui impatto decisionale riguardi la

rete e le condizioni di utilizzo dei sistemi;

· verifica del grado di accoglienza da parte dell‘utenza e dei risultati sul piano cognitivo;

· preparazione dell‘elaborato finale.

Un successivo periodo, la cui durata verrà valutata in base ai risultati

sperimentali, permetterebbe l‘applicazione dei risultati su scala maggiore. Sarebbe

interessante poter iniziare con l‘arrivo dei nuovi iscritti.

Sarebbe opportuno far transitare ritualmente dall‘istituendo ufficio i nuovi

utilizzatori. Oltre a consegnare i dati relativi all‘account, sarebbe possibile fare una

valutazione di massima delle competenze informatiche dell‘utente e pubblicizzare

l‘iniziativa in corso.

Perché proprio io?

Quando chiesi l‘autorizzazione ad utilizzare gli strumenti di cui la Scuola dispone

cercavo un ambiente umano che condividesse i miei presupposti in ordine alla ricerca e

che si accordasse con la prospettiva esistenziale che coltivavo.

Frequentare la Scuola mi ha permesso non solo di coltivare i miei interessi di

ricerca, ma mi ha consentito di essere in relazione empatica con la comunità che

accoglie. Il progetto mi darebbe la possibilità da una parte di sottoporre a verifica i

risultati delle mie ricerche sui meccanismi che regolano le attività cognitive e dall‘altra

di mettere a frutto la mia competenza in comunicazione empatica.

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Presentazione grafica dello schema di interazione con i soggetti (diagramma di Pert)

Progetto sperimentale

COMUNICAZIONE — EMPATIA — CONOSCENZA

From: Oreste To: Direttore del CED

Sent: Friday, April 12, 2002 1:24 PM

Subject: dimenticavo…

Gent.mo Professore, ho dimenticato di dirLe che il frontespizio, l‘introduzione e l‘indice che

trova nel documento sono esemplificazione di quello che potrebbe essere l‘elaborato finale. Le

altre quattro pagine con obiettivi, metodologia, ragioni della scelta personale, richiesta

economica sono la bozza della proposta che discuteremo la prossima settimana quando vorrà

incontrarmi. Buon fine settimana.

Continuo a rivedere la bozza del progetto rendendomi conto di quanto la prima fosse

lacunosa. Nuove riflessioni che hanno per oggetto il nuovo impegno si susseguono senza posa.

In effetti, tutto ciò è normale in un processo di natura sperimentale.

Dopo aver sentito che il Direttore del CED parlerà al Direttore della Scuola, consegno

alla segreteria della direzione la bozza del progetto.

Al Direttore della Scuola Normale Superiore

Al Vice Direttore della Scuola Normale Superiore

e Direttore del Centro di Elaborazione, Informazione e Calcolo

Oggetto: richiesta di approvazione del progetto sperimentale “qualità emotiva nella relazione di

apprendimento‖

Gent.mi Professori, dopo profonda riflessione e lunghe discussioni con le persone che

potrebbero esservi coinvolte, presento la bozza del progetto di sperimentazione alla Vostra

valutazione.

Il documento intende dare un‘idea di massima del progetto. Trattandosi di operazione a stretto

contatto con una molteplicità di soggetti, saranno possibili continue revisioni in itinere. Mi

attendo anche da Voi contributi e indicazioni che sarò ben lieto di seguire.

Qualora non riteniate opportuno approvare la richiesta economica indicata, chiedo che almeno

autorizziate l‘iniziativa, permettendomi ugualmente di procedere nei termini descritti. Dalla

sperimentazione alcuni vantaggi deriverebbero comunque alla Scuola in quanto verrebbe

qualificata la relazione empatica con gli strumenti da parte del gruppo di allievi a cui mi

rivolgerò. Anche il personale del centro di calcolo, grazie all‘inevitabile riflessione che scaturirà

dagli affiancamenti e dalla collaborazione, ne trarrà certo beneficio in termini di motivazione al

lavoro.

Grazie per l‘attenzione. Con stima.

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La prossimità teorica tra il progetto e i risultati delle ricerche del Prof. Damasio, invitato

a tenere le lezioni fermiane, dà un‘ulteriore spinta all‘iniziativa. Mi ribello all‘attesa e comincio

i contatti via e-mail e personali.

From: Oreste To: Direttore del CED

Sent: Monday, April 15, 2002 12:38 PM

Gent.mo Professore, ho consegnato alla Segreteria del Direttore, Prof. Settis, il documento che

trova allegato privo della 3° e 4° pagina (descrizione dei tempi e dei costi del progetto) poiché

attendo di rivederle insieme a Lei. PoterLa incontrare ancora forse aiuterebbe Lei a superare

dubbi e naturali resistenze, e a me a formalizzare meglio la direzione di marcia. In questi giorni

seguirò gli incontri con Damasio. A presto.

From: Oreste To: Direttore del CED

Sent: Monday, April 22, 2002 12:59 PM

Subject: richiesta lumi

Gent.mo Professore, potrebbe essere così gentile da informarmi in merito alla Sua decisione

relativa al progetto? Mille grazie.

From: Direttore del CED To: Oreste

Sent: Wednesday, April 24, 2002 1:23 PM

Subject: RE: richiesta lumi

Stiamo andando bene, ti saprò dire meglio venerdì. Fiorenzo

Sono ancora in attesa del placet dei Direttori.

Una struttura rileva le istanze poste in modo rituale e a patto che siano contemplate tra

quelle previste. Il progetto esorbita la consuetudine, eccede gli schemi e perciò verrà

probabilmente assimilato a categorie preesistenti al fine di essere concettualizzato. Il rischio di

rifiuto è alto.

L‘attesa mi snerva. Mi sono calato ancora una volta in uno stato di dipendenza

logorante. L‘emotività è regina anche dei tempi.

Attendere la decisione pone problematiche di vario ordine. Mi accorgo che il tempo è

elemento essenziale nel dinamismo emotivo. Ma cos‘è il tempo in questa prospettiva?

L‘aspettativa ne stabilisce la qualità. Lo dilata o lo comprime a seconda dell‘orientamento

emotivo del momento. Dovrei controllare l‘idea del tempo: se ciclico è rassicurante, se infinito o

progressivo è ansiogeno. Restare intrappolato in questo schema ha troppe ricadute. Devo

uscirne.

Lunedì 29 aprile 2002, ore 22:00, intermezzo del concerto di Mariko Sano al Teatro

Verdi di Pisa. Fiorenzo si avvicina. Gli presento per scherzo la mia accompagnatrice che ben

conosce. Mi dice: ―In poche parole: sì‖. E poi aggiunge: ―Cominciamo con cinquanta.‖

Continuo a scherzare dicendo che era l‘obiettivo che mi ero posto. Ribadisce che non sa come

fare. Gli chiedo di ristringerci le mani.

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Commenti di amici alla lettera al direttore del 2016

Da Luciano M., psicoanalista

L'ho letto rapidamente. Avrei molte esitazioni io a rivolgermi a un prof. Barone per

antonomasia. Se devo giudicare il genere letterario lo riterrei un generoso tuo sforzo per

districarti dai grovigli affettivi e di senso che ti hanno visto in 'prima persona' adeso a quell'

esimio ed illustrissimo istituto. Vale la pena di frequentarlo oltre al piacere di incontrarvi

qualche lontano fantasma? Nel caso fosse invece una lettera vera sorveglierei maggiormente la

prosa andando più direttamente alla proposta ed eviterei accuratamente ogni riferimento al

traffico di Napoli che alle vicende matrimoniali di Marco ...:-)

Da: Jacob V., violinista

Impressioni su lettera al Direttore della S.N.S.

Trovo molto interessante leggere la tua lettera sia nei termini con cui ti rivolgi al destinatario sia

nei contenuti, in cui affiora quanto intenso sia stato il tuo coinvolgimento in Normale nel

passato, e anche quanto l'intero tuo percorso di formazione l'abbia dedicato ad avversare il

sistema di divisione disciplinare a cui l'università obbliga lo studente. Grazie per il rilievo che

hai dato alla nostra esperienza.

Questo tema dell'esperienza pluridisciplinare che hai condiviso con Lorenzo Foà, è stato un

motivo di riflessione anche per me, ho valutato con sempre maggiore coscienza l'importanza del

tuo discorso più volte ripetuto, quello dell'autonomia di ogni individuo proporzionale alla

coscienza e conoscenza di tutti i profili esistenziali (saper risolvere e gestire i problemi ad es.

psicologici, informatici, relazionali, logistici, materiali, in totale autonomia allontana dalla

schiavitù della moneta, e quindi dalla schiavitù del lavoro, dalla schiavitù del Sistema).

Ma il mondo della mia generazione, avendo imparato a seguire i modelli dettati dall'alto e

quindi ad ambire a una carriera brillante che potrà essere svolta soltanto in un ambito specifico,

si ostina (come anch‗io ho fatto) a seguire un percorso di iperspecializzazione, attraverso cui il

singolo può assicurarsi un successo relativamente soddisfacente (a scapito di tutti gli altri aspetti

esistenziali!) senza togliere il lato frustrante della concorrenza che spesso rende la vita

dell'uomo in carriera meno stimolante, più povera nel profilo sociale, e a volte opprimente.

L'idea dell'uomo poliedrico del Rinascimento che apprende principalmente da dati empirici di

proprie esperienze potrebbe essere una controtendenza di una prossima fase positiva.

Per adesso ho visto adottare un'idea di questa mentalità a pochi miei coetanei che hanno iniziato

il loro percorso di autonomia affittando qualche colonica abbandonata negli appennini.

L'autodescrizione messa tra le parole del Prof. Foà "tachipsichico che parla in fretta facendo

correlazioni inusitate" è molto buffa, mi ha fatto scompisciare...

Nel complesso, anche a seguito delle esperienze che ho avuto la fortuna di vivere da

protagonista, approvo tutti i punti proposti nella definizione del progetto. Mi rendo conto che la

proposta potrebbe risultare ambiziosa da concretizzarsi, soprattutto dal punto di vista di un

neodirettore di una gloriosa scuola che non ti conosce personalmente , ma conoscendoti, hai

tutte le carte per sviluppare il progetto con grande slancio. Nel mio personalissimo parere, la

proposta al destinatario potrebbe essere molto più efficace se proposta da te di persona,

cercando di stabilire un appuntamento senza troppe premesse sull'obiettivo in questione. Scrivi

bene, ma quando si tratta di convincere, nessuno ti resiste in un confronto a quattr'occhi.

Scusa son lento e sono in Polonia. Se mi viene in mente altro, lo scriverò in altra email.

Saluti da Wroclaw

J