pensiero san tommaso

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  • 7/29/2019 Pensiero San Tommaso

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    San Tommaso DAquino

    Il dizionario del pensiero

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    Battista Mondin.

    Dizionario enciclopedico del pensierodi S.Tommaso D'Aquino,

    Edizioni Studio Domenicano, Bologna.

    Accidente

    Proviene da accidere che, in latino, significa giungere, sopraggiungere, accadere. Giletimologia denuncia la natura precaria dell accidente, la sua in-sussistenza, la suaincapacit di esistere per proprio conto e quindi la sua appartenenza ad altra cosa che fungeda soggetto dell accidente.

    Il primo studio sistematico di questo aspetto della realt stato effettuato da Aristotele

    nella Metafisica (libro E). Qui egli divide lente in due grandi classi, quella delle sostanze(che possono essere materiali e immateriali) e quella degli accidenti. Della sostanza egli dla celebre definizione: "E' il sostrato primo di ogni cosa, perch essa ci che non vieneriferito ad altro, mentre tutto il resto viene ad essa riferito". Quanto allaccidente, nonpossiede lessere in proprio ma lo riceve dalla sostanza; per questo motivo "lo veniamo aconoscere solamente in quanto afferriamo il soggetto che lo possiede, cio la sostanza".Ogni sostanza materiale dotata di molti accidenti, Aristotele li riduce a nove principali:qualit, quantit, azione, relazione, passione, luogo, tempo, situazione, abito.

    S. Tommaso fa suo in larga misura linsegnamento aristotelico. In un trattatello intitolatoDe natura accidentis egli sottolinea limportanza dello studio di questo argomento: "Poich

    ogni conoscenza umana prende il via dai sensi, e loggetto proprio del sensi sono gliaccidenti, ne consegue che gli accidenti danno un grande apporto alla conoscenzadellessenza di una cosa (ad cognoscendum quod quid est) (De nat. a. acc., n. 464). Conquesta affermazione S. Tommaso fa piazza pulita del pregiudizio che vede nella. qualchecosa affatto secondaria, qualche cosa di superfluo di cui la sostanza potrebbe fareimpunemente a meno. In effetti tutte le realt materiali sono circondate da un nutrito stuolodi accidente di cui non si possono mai disfare, pena la loro stessa esistenza.

    S. Tommaso osserva che dellaccidente si danno due accezioni principali: quella logica( il quinto predicabile) e quella metafisica ( il gruppo delle nove categorie opredicamenti). Dei due sensi quello che lo interessa maggiormente il secondo. Precisato

    che per accidente si intende ci che non in s ma risiede in unaltra cosa che funge dasoggetto, 1'Aquinate passa a chiarire qual lo statuto ontologico dell'accidente. Esso non privo di essere, perch se fosse privo di essere, sarebbe nulla, non una qualit, una quantit,uno spazio, un luogo, una relazione ecc. Ma non dispone di un atto dessere suo proprio.L'accidente deriva lessere direttamente dalla sostanza, alla quale lessere competedirettamente e primieramente: mentre allaccidente appartiene mediatamente esecondariamente. Per questo motivo lessere si predica dellaccidente analogicamente (Denat. acc., n. 465). Pertanto lo statuto ontologico dellaccidente quello dellinerire (inesse):"Natura accidentis est inesse, sive inhaerere ipsi rei" (ibid., n. 466). Per c una gerarchia

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    nella condizione di inerenza alla sostanza: prima viene la quantit. poi la qualit, quindi lospazio, la relazione. ecc. Tuttavia S. Tommaso ammette che ci sono accidenti, come laqualit e lazione, che possono radicarsi direttamente nella sostanza attraverso la forma enon attraverso la quantit e la materia (dr. ibid, n. 468).

    Pur ricevendo lessere dalla sostanza, la quale la sorgente, la causa dei propriaccidenti e non soltanto il loro soggetto, laccidente non si rapporta alla sostanza a mo dipotenza bens di atto. Infatti laccidente integra, determina, perfeziona. la sostanza. Si trattaper di attuazioni, determinazioni, perfezioni, forme accidentali e non sostanziali (cfr. DEMalo. q. 4. a. 2, ad 9). Per questo motivo c sempre proporzione tra la sostanza e i suoiaccidenti: "Accidens non excedit suum subiectum, scilicet non extendit se ultra suumsubiectum" (II Sent., d. 27, q. 1, a. 6. ad 1).

    In teologia S. Tommaso ricorre alla distinzione reale tra sostanza e accidenti per renderecomprensibile il mistero della presenza reale del Cristo nellEucaristia. Nel misteroeucaristico viene meno la sostanza del pane e del vino e il suo posto viene preso dal Corpoe dal Sangue di Cristo, mentre rimangono intatti gli accidenti del pane e del vino. "Inquesto sacramento tutta la sostanza del pane si converte in tutta la sostanza del Corpo diCristo, e tutta la sostanza del vino in tutta la sostanza del Sangue di Cristo. Perci questanon una conversione formale ma sostanziale. N rientra tra le specie delle mutazioninaturali, ma con termine proprio pu dirsi transustanziazione" (III, q. 75, a. 4).

    In sede metafisica il miracolo, eucaristico d luogo a due difficolt; una riguarda lapossibilit, la seconda la coerenza.

    Allaprima lAngelico risponde che Dio provvede direttamente a dare agli accidentiquellessere che normalmente viene comunicato loro dalla sostanza. Infatti "la causa primadispone di un influsso sulleffetto della causa seconda che pi veemente dellinflussodella causa seconda stessa. Per cui anche quando cessa linflusso della causa secondasulleffetto, pu tuttavia ancora permanere l'influsso della causa prima; per es. tolto il ra-zionale resta il vivente e tolto il vivente resta lessere. E poich la causa prima degli acci-denti e di tutti gli esistenti Dio, mentre la causa seconda la sostanza, essendo gli acci-denti causati dai principi della sostanza, Dio pu conservare nell'essere g1i accidenti.quando stata tolta la causa seconda, ossia la sostanza. E pertanto si deve concludere cheDio pu far si che esistano accidenti senza soggetto (sostanza)" (IV Sent., d. 12. q. 1, a. I,sol. 1).

    Allaseconda difficolt. relativa alla coerenza e alla legittimit di dare ancora il nome diaccidente a realt che effettivamente non hanno pi la propriet essenziale che li caratte-rizza, quella dellinesse, S. Tommaso risponde distinguendo tra lessere e il modo di essere.Il modo di essere naturalmente proprio dellaccidente indubbiamente l'inesse; ma ancorpi importante per la natura stessa dellaccidente di non avere in suo proprio atto d'esserema di riceverlo dalla sostanza. Ora, questo secondo elemento rimane salvo anche nelmiracolo eucaristico: gli accidenti delle specie eucaristiche non hanno l'essere in proprioma lo ricevono direttamente da Dio (cfr. IV Sent., d. 12, q. 1, a. 1, sol. 1 ad 1).

    (Vedi: SOSTANZA, TRANSUSTANZIAZIONE)

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    AMICIZIA

    Inclinazione affettiva reciproca, che nasce da una perfetta conformit di sentire e

    dalla conseguente disponibilit reciproca a svelare anche gli aspetti pi reconditi della propriapersonalit. Nella Bibbia lamicizia considerata come la forma perfetta dellamore gratuito,caratterizzata dalla partecipazione e dalla solidariet incondizionate. Dio amico delluomo, comerivela in modo privilegiato a coloro che ha scelti come cooperatori determinanti della storia dellasalvezza. Aristotele ammette tre tipi di amicizia che si suddividono a loro volta per numerosesfumature: quella che si fonda sul piacere; quella che si fonda sullinteresse e quella che si fonda sulbene morale (Etica 1156b, 7).

    Secondo San Tommaso lamicizia consiste essenzialmente in un amore scambievoletra simili: un rapportarsi ad altri come a se stessi. "Lamore col quale uno ama se stesso forma eradice dellamicizia: abbiamo infatti amicizia per gli altri in quanto ci comportiamo con loro come

    verso noi stessi" (II-II, q. 24, a. 4).Lamicizia si distingue sia dallamore sia dalla carit. San Tommaso chiarisce che c

    distinzione tra amicizia e amore mostrando come non qualsiasi amore si possa chiamare amicizia:"Non un amore qualsiasi ma soltanto quello accompagnato dalla benevolenza ha natura (rationem)di amicizia: quando cio amiamo uno cos da volergli del bene. Se invece non vogliamo del benealle cose amate, ma il loro stesso bene stesso bene lo vogliamo a noi, come quando amiamo il vinoo altre cose del genere, non si ha un amore di un amore di amicizia ma di concupiscenza. Infatti ridicolo dire che uno ha amicizia per il vino o per il cavallo. Anzi, per l'amicizia non basta neppurela benevolenza ma si richiede lamore scambievole; poich un amico amico per lamico. E talemutua benevolenza fondata su qualche comunanza" (II-II, q. 23, a. 1).

    Ma c distinzione anche tra amicizia e carit. Infatti lambito dellamicizia pigrande di quello della carit, tanto che si pu dire che la carit una sottospecie dellamicizia: "Lacarit lamicizia delluomo con Dio principalmente e quindi con gli esseri che a Lui appartengo-no" (II-II. q. 25, a. 4), e tra gli esseri che appartengono a Dio anzitutto con gli uomini. ma poi anchecon gli angeli (cfr. II-II, q. 25. a. 10). Per solo luomo buono pu avere amicizia con Dio (I-II. q.99, a. 2). e questa amicizia esige lobbedienza (II-II, q. 24, a. 12).

    Lamicizia anzitutto virt di Dio nei confronti delle sue creature dotate diintelligenza. "E' dellessenza dellamicizia che lamante voglia sia esaudito il desiderio dellamato,in quanto appunto vuole il bene e la perfezione di lui; e perci si dice che gli amici siano unmedesimo cuore (Sallustio, Catil.. 20). Ora, si visto (Libro I. c. 75) che Dio ama la sua creatura etanto maggiormente l'ama quanto pi partecipa alla sua bont che il primo e principale oggetto daLui amato. Vuole pertanto che siano adempiuti i desideri della creatura ragionevole, la quale tratutte le creature partecipa in modo perfettissimo alla bont divina"(C. G., III. c. 95).

    L'amicizia pu fondarsi o su una comunanza di vita (II-II, q. 75, a. 3) o di beni (II-II.q. 26, a.2) oppure. sulla virt (II-II, q. 106, a. I, ad 3).

    Lamicizia si basa essenzialmente sulla comunione e condivisione. Perci si dannotanti tipi di amicizia, quanti sono i tipi di comunione e di condivisione. San Tommaso elenca quattro

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    tipi di amicizia: amicizia tra consanguinei (amicitia patris et filii et aliorum consanguineorurn)fondata sulla comunione naturale dovuta alla stessa discendenza; amicizia tra "lavoratori",. fondatasulla condivisione economica, in quanto partecipano alla stessa attivit produttiva; amicizia traconcittadini, in quanto partecipano alla stessa vita politica: infine amicizia tra credenti, cio tra icristiani: "consiste nella comunione divina grazie alla quale essi fanno parte del corpo della Chiesa

    o in atto o in potenza". (III Sent., d. 29, q. 1, a. 6). L ultima l'amicizia di carit (amicitiacaritatis) e la si deve anche ai nemici (ibid.)

    Per lamicizia ci vuole una certa eguaglianza tra i due termini: solo una certaeguaglianza, non una perfetta eguaglianza; amicitia non requirit aequaliatem aequiparantiae, sedaequa1itatem proportionis (III Sent., d. 28, q. 1, a. 3. ad 3). Una sproporzione troppo grande tra idue termini annulla lamicizia e la rende impossibile. Occorre quanto meno una affinit analogica.E tra luomo e Dio, secondo San Tommaso tale affinit (analogia) c, e cos pu affermare che"luomo ama naturalmente Dio di amore di amicizia. ancor pi che se stesso" (III Sent.. d. 29. q. 1.a. 3).

    La sola eguaglianza per non basta: non basta che si tratti di due quaderni uguali, didue piante uguali: occorre che tra i due termini si possa stabilire una certa comunicazione, unoscambio. Da ci risulta che l'uomo non pu trattare da amici gli animali o le cose e neppure le virto le belle qualit: "infatti non comunicano nella nostra vita umana n quanto allessere n quantoall'agire; perci non possiamo nutrire nel loro confronti la benevolenza che si deve a un amico"

    (III Sent. d. 28. q. 1, a. 2).

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    Amore

    Nome che si d a tutte le inclinazioni verso qualsiasi tipo di bene. DellamoreS. Tommaso presenta varie divisioni. Anzitutto la divisione dellamore in naturale,sensitivo e razionale. L'amore naturale quello di tutti gli enti in quanto "tendono allecose conformi alla loro natura non mediante la propria conoscenza, ma in forza di quelladi colui che ha istituito la natura. Ma c un altro appetito che procede dalla conoscenzadello stesso soggetto appetente, per la segue per necessit e non in forza di un liberogiudizio. E' l'appetito sensitivo dellanimale, che per nell'uomo partecipa un riflesso dilibert, in quanto obbedisce alla ragione. C' poi un terzo appetito che segue laconoscenza del soggetto appetente, dietro un libero giudizio. Ed esso lappetitorazionale o intellettivo, denominato volont. In ciascuno di codesti appetiti lamore sta aindicare il principio del moto tendente al fine amato" (I-II, q. 26. a. 1).

    Viene poi la divisione dellamore razionale in amore di concupiscenza eamore di amicizia o dilezione. Nel primo caso, la cosa o persona che viene amata, non amata per se stessa, ma amata per un altro. Nel secondo caso, amata direttamente perse stessa. S. Tommaso non esclude la legittimit dell'amore di concupiscenza, ma losubordina allamore di amicizia. La ragione che egli adduce a giustificazione di questatesi la seguente: "L' amore col quale si ama un essere, volendo ad esso il bene, unamore in senso pieno e assoluto (est amor simpliciter)" invece lamore col quale si ama

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    assunse il pesantissimo onere di commentare personalmente da capo a fondo tutte le opereprincipali dello Stagirita. Cos lAquinate riusc a dimostrare che in tutte le questionifondamentali della metafisica, della teologia e dell antropologia Aristotele era menolontano dal cristianesimo di quanto si era soliti pensare.

    Eppure, per quanto riguarda lanima, quanto propone San Tommaso non per nullauna semplice fotocopia delle dottrine aristoteliche, ma presenta, come vedremo, sostanzialinovit e preziosi arricchimenti.

    1. NATURA DELL' ANIMA

    Lanima di natura immateriale, cio spirituale. Per la spiritualit dellanima non evidente: per scoprirla non basta la semplice autocoscienza, l'introspezione, comepretendevano gli agostiniani. Secondo San Tommaso ci vuole una "di1igens et subtilisinquisitio" (I, q. 87, a. 1); occorre dimostrarla. Punto di partenza della indagine ( inqusitio)sono le operazioni dellanima, infatti "eo modo aliquid operatur quo est" (il modo dioperare di una cosa corrisponde al suo modo di essere). Ora, "il principio intellettivo,chiamato mente o intelletto, ha unattivit sua propria in cui non entra il corpo. Ma nientepu operare per se stesso, se non sussiste per se stesso. L'operazione infatti non competeche allente in atto; tanto vero che le cose operano conforme al loro modo di esistere. Perquesto non diciamo che il calore riscalda; chi riscalda la sostanza calda (calidum).Rimane dunque dimostrato che lanima umana, la quale viene chiamata mente o intelletto, un essere incorporeo e sussistente" (1, q. 75, a. 2).

    Per San Tommaso sa che anche le operazioni pi squisitamente spiritualidellanima, come la conoscenza intellettiva e il libero arbitrio, non sono esenti da qualchelegame con la materia. Ma, a suo giudizio, ci non compromette lintrinseca spiritualitdellanima, perch la sua dipendenza dal corpo non "soggettiva" (non tocca lordine dellacausalit efficiente) ma "oggettiva" (riguarda lordine della causalit formale). Si trattainfatti di operazioni che "richiedono il corpo non come strumento, ma solo come oggetto.Infatti lintendere (intelligere) non si attua mediante un organo corporeo, ma ha bisogno diun oggetto corporeo" (In I De An., lect. II, n. 19). "Si deve dire che lintendere operazionepropria dellanima se si considera il principio da cui nasce loperazione; non nasce infattidallanima per mezzo di un organo corporeo come la vista mediante locchio; il suo legamecol corpo riguarda loggetto: infatti i fantasmi, che sono gli oggetti dellintelletto, senza ilconcorso degli organi corporei non possono esistere" (De An. 1. ad 12).

    Talvolta per provare la spiritualit (incorporeit) dell'anima, oltre che sulle singoleoperazioni dellintelletto e della volont, San Tommaso fa leva su un altro importantefenomeno, quello dellautotrascendenza: la tensione verso linfinito di tutto lagire umanopreso globalmente. "Lanima razionale possiede una certa infinit (infinitatem) sia da partedellintelletto agente, con cui pu fare tutto (omnia facere), sia da parte dellintellettopossibile con cui pu diventare tutto (omnia fieri) (...) e questo argomento evidente dellaimmaterialit dellanima, perch tutte le forme materiali sono finite" (II Sent., d. 8, q. 2, a.2, ad 2).

    2. PROPRIETA' DELL'ANIMA

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    Della prima e massima propriet dellanima umana, la spiritualit, la qualecostituisce la sua differenza specifica, in quanto la distingue essenzialmente dalle animeinferiori (vegetale e animale) s gi detto. Un' altra propriet che conta moltissimosoprattutto nella prospettiva tomistica, la sostanzialit. La dimostrazione di questapropriet consente a S. Tommaso di uscire dalle incertezze e ambiguit dellantropologia

    aristotelica. A questo proposito lAquinate, nelDeAnima, che la trattazione pi profondae completa che ha dedicato a questo argomento, ricorda due tesi che giudica inammissibili:sono le tesi estreme dei materialisti da una parte, che non riconoscono allanima alcuncarattere sostanziale ma la equiparano alle altre forme naturali, e le tesi dei platonicidallaltra, i quali non si accontentano di affermare che lanima una sostanza, ma voglionoche basti da sola a definire la realt umana, senza alcun riferimento al corpo. Contro imaterialisti gli sufficiente ribadire quanto abbiamo gi riferito a sostegno dellaspiritualit: necessario che lanima intellettiva agisca per conto proprio, avendounoperazione propria senza laiuto di un organo corporeo. E poich ciascuno agisce inquanto in atto, occorre che l'anima intellettiva abbia lessere per s non dipendente dalcorpo (oportet quod anima intellectiva habeat esse per se absolutum non dependens acorpore)" (1, resp.).

    Tuttavia, pur affermando la sostanzialit dellanima, San Tommaso non intendepassare dalla parte dei platonici (gli agostiniani) che identificavano lessere dellanima conlessere delluomo. LAquinate fa vedere che l'anima non fa specie a s e che pertanto dasola non esaurisce la realt umana: "Occorre perci concludere che lanima, pur potendosussistere per s (per se potenssubsistere) non tale da formare una specie completa, maentra nella specie umana come forma del corpo. Cos.si pu dire dellanima sia che formasia che sostanza" (ibid.).

    Rispondendo a una obiezione che riguarda la composizione ontologica dellanimaSan Tommaso fa limportante precisazione che lanima, come gli angeli, pur essendosemplice, spirituale e dotata di un proprio atto dessere, anchessa soggetta alla differenzaontologica che distingue ogni realt finita dall'Essere sussistente: anche lanima compostadi essenza e atto dessere, e di conseguenza composta di atto e di potenza, infatti "lasostanza dellanima non il suo essere, ma si rapporta a esso come la potenza allatto"(ipsa substantia animae non est suum esse,sed comparatur ad ipsumut potentia ad actum)(De An. 1, ad 6).

    3. UNIONE SOSTANZIALE DELL' ANIMA COL CORPO

    Messe al sicuro le due verit capitali della spiritualit e della sostanzialitdellanima, San Tommaso non incontra pi nessuna difficolt a far sua la tesi aristotelicadellunione sostanziale dellanima col corpo, e per dare espressione a questa verit fa suo illinguaggio ilemorfistico assegnando allanima il ruolo di forma sostanziale e al corpo ilruolo di materia: Lanima ci per cui il corpo umano possiede lessere in atto e questo proprio della forma. Perci lanima umana forma del corpo (De An.1, resp.; cfr. ad 7).

    A sostegno dellunione sostanziale San Tommaso adduce due argomenti che hannonotevole peso anche a livello empirico. 1) Lunione dellanima col corpo non pu essereaccidentale perch quando lanima scompare, nel corpo non rimane pi nulla di umano senon lapparenza. Perci se lanima fosse nel corpo come il marinaio nella nave, non

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    conferirebbe la specie al corpo n alle sue parti; invece la d; prova ne sia che, recedendolanima, le singole parti non mantengono che in modo equivoco il nome primitivo. Es.: ilnome occhio", parlando di quello di un morto, equivoco, come quello scolpito sullapietra o dipinto; cosi dicasi delle altre parti (De An. 1, resp.). 2) Lunione col corpo giovaallanima stessa sia nellordine dellessere sia in quello dellagire: Lanima unita al corpo

    per la sua perfezione sostanziale, cio per completare la specie umana, e anche per laperfezione accidentale, per perfezionare cio la conoscenza intellettiva che lanimaacquisisce attraverso i sensi; infatti questo modo di intendere connaturale alluomo (DeAn. 1, ad 7).

    Facendo dellanima la forma e lunica forma sostanziale del corpo San Tommasopu disfarsi della teoria insegnata da Platone e largamente condivisa dai suoicontemporanei, della molteplicit delle anime. Nelluomo si d una sola anima, quellarazionale, che svolge anche le operazioni delle anime inferiori, vegetativa e sensitiva.Essendo lanima forma sostanziale, che costituisce luomo in una definitiva specie disostanza, non c unaltra forma sostanziale intermedia tra lanima e la materia prima, maluomo dalla stessa anima razionale perfezionato secondo i diversi gradi di perfezione, inmodo da essere corpo, corpo animato e anima razionale (De An., a. 9). Lanima razionalein quanto forma pi perfetta in grado di assolvere anche le funzioni espletate dalle forme(anime) meno perfette. Infatti pur essendo semplice quanto allessenza, lanima potenzialmente molteplice in quanto principio di svariate operazioni; e poich la formaperfeziona la materia in ordine non solo allessere ma anche allagire, necessario chelanima, bench sia forma unica, perfezioni le parti del corpo in svariati modi, comeconviene a ogni singola operazione (De An. 9, ad 14).

    4. LE FACOLTA DELL' ANIMA

    San Tommaso riconduce tutta la vasta gamma dellagire dellanima razionale a duefacolt principali: lintelletto e la volont: il primo presiede al mondo del conoscere, laseconda al mondo del volere, dello scegliere e del desiderare.

    Allintelletto spetta anche la memoria, perch quando esso si impossessato diunidea, pu ritornarvi sopra e conservarla pi tenacemente della memoria sensitiva.

    Tale memoria intellettiva non una potenza distinta dallintelletto, non essendovidiversit di oggetto, ma funzione conservativa dellintelletto che si impossessato delleidee (I, q.79, aa.6-7). Nemmeno la ragione una potenza diversa dallintelletto, ma unaltra funzione dellintelletto, il quale nelluomo non attinge gli oggetti intuitivamente,immediatamente, ma argomentando, gradatamente (I, q. 79, a. 8). N sono due diversepotenze lintelletto speculativo e lintelletto pratico, che per si distinguono secondochdelluno proprio lapprendere, dellaltro proprio lindirizzare allopera ci che appreso(I, q. 79, a. 11).

    La volont la facolt con cui luomo tende al bene, e in definitiva al beneuniversale, perch solo questo bene la pu appagare pienamente (I, q. 82, a.11). Allavolont appartiene il libero arbitrio, grazie al quale essa padrona dei propri atti e anchedegli atti compiuti dalle altre facolt.

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    (piena conoscenza delle cose naturali, dominio delle passioni, dominio delle altre cose,possesso di tutte le virt). Nel primo uomo cera la soggezione del corpo allanima, delleforze inferiori alla ragione e della ragione a Dio (I, qq. 94-96). Dopo il peccato originalelanima di Adamo, oltre che la perdita della grazia santificante, ha accusato anche la perditadi tutti i doni preternaturali, nonch un indebolimento delle sue facolt naturali, a causa

    dello scompiglio delle forze inferiori del corpo (II-II, q. 164).7. IMMORTALITA' DELLANIMA

    Per i contemporanei di San Tommaso che seguivano lindirizzo platonico-agostiniano, limmortalit dellanima non costituiva un vero problema, giacch nella loroantropologia lanima era concepita come una sostanza spirituale completa e, diconseguenza, esente da tutte le vicissitudini del corpo, inclusa la morte. Il problema dellaimmortalit dellanima sussisteva invece per coloro che avessero voluto sposare le teorie diAristotele, in particolare nella versione che ne aveva dato Averro, il quale aveva negatolimmortalit personale.

    San Tommaso, come s visto, fa sue le linee fondamentali dellantropologiaaristotelica, senza peraltro compromettere la tesi della immortalit dellanima. Largomentoprincipale che lanima incorruttibile e pertanto immortale lo ricava dallo statutoontologico peculiare che compete a essa in quanto forma del corpo, statuto che le convienein quanto possiede latto dellessere (actus essendi) in proprio, direttamente, senzadipendere dal corpo. Infatti, osserva lAquinate, si danno due tipi di forme sostanziali:

    1) forme alle quali lessere sopravviene nel momento in cui si costituisce il composto;

    2) forme alle quali latto dellessere compete ancor prima che si realizzi il composto.

    Le prime sono corruttibili; le seconde incorruttibili: Si ergo sit aliqua forma quaesit habens esse, necesse est illam formam incorruptibilem esse (De An., a. 14). E tale precisamente il caso dellanima umana. Infatti non si separa lessere da una cosa aventelessere (non separatur esse abaliquo habente esse), se non in quanto si separa la forma daessa; pertanto se ci che ha lessere la stessa forma, impossibile che lessere sia separatoda essa. Ora manifesto che il principio per cui luomo svolge lattivit intellettiva formaavente lessere in s e non solo come ci per cui una cosa (...). Dunque il principiointellettivo per cui luomo intende forma avente lessere in proprio; onde necessario chesia incorruttibile" (ibid.). Cadono pertanto le difficolt di coloro che vogliono che lanimasia mortale se unita sostanzialmente al corpo. In effetti gli assertori della corruttibilitdellanima dimenticano alcune cose gi provate in precedenza. Alcuni identificandolanima col corpo negarono addirittura che essa sia forma e ne fecero un composto dimateria e forma. Altri, sostenendo che lintelletto non differisce dal senso, di conseguenzaammisero che anche la sua attivit si svolge mediante un organo corporeo, e cos nonavrebbe lessere elevato sopra la materia, onde non sarebbe forma avente lessere (inproprio). Infine altri ancora, considerando lintelletto una sostanza separata, esclusero chelattivit intellettiva appartenga allanima stessa. Ma tutte queste teorie sono false, comeabbiamo gi mostrato in precedenza. Perci lanima umana incorruttibile (ibid.).

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    Limmortalit dellanima dote naturale essenziale, diretta conseguenza della suaspiritualit, pertanto non pu essere intaccata dal peccato originale. Infatti, il peccatotoglie totalmente la grazia, ma nulla rimuove dellessenza della cosa; rimuove qualcosacirca linclinazione a capacit della grazia. (...) Ma non mai tolto il bene di natura, perchsotto disposizioni contrarie rimane sempre la potenza, bench si allontani sempre pi

    dallatto. (De Anima 14, ad 16).Neppure Dio, che pure ha il potere di ridurre al nulla tutto ci che ha condotto

    allessere, priva lanima dellimmortalit annichilendola, perch Dio nel suo sapientegoverno delle cose non va mai contro le disposizioni naturali di cui le ha dotate (De Anima14, ad l8; C.G., II, c. 55; I, q. 104. a. 4).

    La studio di San Tommaso sullanima certamente tra i pi completi e robusti chesiano mai stati compiuti. Le sue tesi filosofiche hanno doppio valore, storico e teoretico.Hanno anzitutto valore storico perch sono state avanzate con grande coraggio in unmomento in cui sarebbe stato molto pi comodo sfuggire ai pericoli dellaverroismorifugiandosi nelle tradizionali tesi dellagostinismo. San Tommaso non ha proposto le suetesi n le ha tenacemente difese per amore di novit, ma perch le trovava molto pirispondenti alla verit che non le facili soluzioni degli agostinismi platonizzanti.

    Ma in San Tommaso queste tesi assumono anche un alto valore teoretico, perchsono basate su un fondamento razionale nuovo, pi solido di quello su cui le aveva poggiateAristotele; esse hanno per fondamento la sua originale concezione dellessere, lessereconcepito intensivamente, come ci che immediatius et intimius convenit rebus (De An.,a. 9): lessere atto immediato e diretto dellanima ancor prima che questa se ne facciamediatrice al corpo: anima humana esse suum in quo subsistit corpori communicat(lanima comunica al corpo lessere in cui essa stessa sussiste) (De An. 14, ad 11).

    Cos, San Tommaso, attingendo alle enormi risorse della sua metafisica dellessere,supera le prospettive antropologiche di Platone e di Aristotele, di Agostino e di Averro,prospettive apparentemente inconciliabili, e le unisce in una prospettiva superiore in cuilempirismo di Aristotele e Averro si sposa felicemente con lidealismo di Platone eAgostino.

    (Vedi, UOMO, ANTROPOLOGIA, CORPO, IMMORTALITA, LIBERTA,INTELLETT0)_____________________________________________________

    ANTROPOLOGIA

    FILOSOFICA E TEOLOGICADicesi antropologia qualsiasi studio dell'uomo; tale in effetti il significata

    etimologico dei termine: dal greco anthropos, uomo e logos, studio.L'uomo pu essere studiato da moltissimi punti di vieta: biologico, psicologico, so-ciologico, politico, etnologico, religioso, filosofico, teologico ecc. Noi qui, nell'esposizionedel pensiero d S. Tommaso ci limiteremo al suo discorso filosofico (antropologiafilosofica) e teologico (antropologia teologica).

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    I. ANTROPOLOGIA FILOSOFICA

    I capisaldi dell' antropologia flosofica di S. Tommaso sono due: l'appartenenza delcorpo alla essenza, sostanza dell'uomo e la sussistenza dell'anima anche senza il corpo. Conqueste due tesi, il Dottore Angelico riesce a superare e a riunire in una sintesi superiore

    l'antropologia platonica e agostiniana, che svalutava la dimensione somatica e riduceval'essenza dell'uomo alla sola anima, con l'antropologia aristotelica e averroistica, cheaffermava lunione sostanziale tra anima e corpo, ma rischiava di compromettere oaddirittura negava la sussistenza separata dell'anima e quindi la sua immortalit.

    Dalle due tesi fondamentali della sussistenza e della unione sostanziale S. Tommasoricava tutte le altre tesi caratteristiche della sua antropologia filosofica:- l'atto dellessere (actus essendi) dell'uomo prioritariamente atto dell'essere dell'anima e,mediante l'anima, diviene anche atto d'essere del corpo;- l'uomo persona, ossia un sussistente nell'ordine dello spirito, grazie all'atto d'essereunico e irripetibile dell'anima; in quanto persona luomo possiede una dignit assoluta,sacra, inviolabile:- legata sostanzialmente al corpo l'anima esposta all'impulso delle passioni. impulsiveementi che essa pu tuttavia, controllare:- lanima opera mediante varie facolt, di cui le principali sono l'intelletto e la volont.Nell'atto libero queste due facolt si intrecciano e danno luogo a un'unica operazione: l'attolibero non emesso esclusivamente dallintelletto o dalla volont ma figlio di entrambe;-luomo un essere morale, responsabile delle proprie azioni, in quanto agisce liberamenteed arbitro delle motivazioni del proprio agire, mentre gli animali agiscono istintivamente;- luomo un essere sociale e politico, per cui soggetto di diritti e di doveri rispetto aglialtri simili e alla comunit politica;-l'uomo tende alla felicit e la raggiunge soltanto col conseguimento del sommo bene, che Dio stesso. La felicit consiste nella piena attuazione delle proprie facolt; dell'intelligenzamediante la contemplazione d Dio, della volont mediante l'unione con Dio nell'amore.

    2. ANTROPOLOGIA TEOLOGICA

    Nella elaborazione dell'antropologia teologica, che lo studio dell'uomo alla luce dellaParola di Dio, S. Tommaso si avvale della grammatica dell'umano fissata nellantropologiafilosofica. Con questo strumento egli cerca d approfondire e capire meglio il senso delgrandi misteri della storia della salvezza, una storia lunga e complicata in cui si presentanole vicende della umanit nella condizione originaria del paradiso terrestre, nella condizionedesolata d allontanamento da Dio dopo il peccato e nella condizione di riconciliazionegrazie allazione redentiva del Cristo.

    Sulla scorta della Scrittura e della teologia patristica e scolastica S. Tommaso insegnache i progenitori, nel paradiso terrestre, godevano di speciali privilegi, in particolare di unastraordinaria sapienza e d un alto livello di santit. Adamo ebbe da Dio la scienza d tutte lecose necessarie per la vita: la scienza non solo di quelle che s possono conoscere per vianaturale ma anche di quelle che eccedono la conoscenza naturale e che sono necessarie perraggiungere il fine soprannaturale (I, q. 92. a.3). La santit di Adamo raggiungeva talelivello da eccellere in tutte le virt: L'uomo nello stato di innocenza possedeva in qualchemodo tutte le virt. Infatti abbiamo visto sopra che la perfezione dello stato primitivo eratale da applicare la subordinazione della ragione a Dio e delle potenze inferiori alla ragione.

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    compiere tutto il bene a lui connaturale cos da non commettere qualche mancanza. Uninfermo, per es., pu da se stesso compiere alcuni movimenti, ma non in grado di com-piere perfettamente i moti di un uomo sano, se non viene risanato con l'aiuto della medi-cina (I-II, q. 119, a. 2).

    Ci che va rilevato nella dottrina tomasiana del peccato, nella sua essenza e in tutte le

    sue espressioni, che non ha nulla di fatalistico, di fiscalistico o di cosistco, come qualchestudioso ha affermato. Per contro la dottrina tomasiana viene formulata con le categorie delmigliore personalisnio. Il peccato viene presentato come rottura dei rapporti dell'uomo conDio: da rapporto di corrispondenza, amore, obbedienza, si trasforma in rapporto diavversione, odio, disobbedienza. Il peccato allontanamento da Dio (aversio a Deo) inquanto misura e fine ultimo della nostra vita. L'uomo vuol contare esclusivamente sulle sueforze, rientra in se stesso e si chiude. In tal modo si rende schiavo del peccato: diventaschiavo di se stesso volendo fare lui da padrone. Tutte quelle energie che traggono alimentodal fine ultimo, Dio, cui l'essere umano si trova naturalmente inclinato e chiamato, ora sitrovano dirottate verso la propria persona, il nuovo dio. una situazione tale che una voltache vi si entrati non rimane pi scampo. Uno spirito che si sia allontanato da Dio, non po-tendo operare se non in vista di un fine ultimo, deve trasformarsi in un surrogato di Dio. questa precisamente la misura dell'asservimento. Ma uno spirito non pi sottomesso a Dioperde anche il potere su altre forze umane, che nella condizione originaria obbedivanospontaneamente ai suoi ordini. Esse ora si rendono indipendenti dal potere della ragione eseguono le loro tendenze (I- II, q. 109, a. 8). I sensi si ribellano e soltanto con grandi sforzila ragione riuscir a dominarli. Questo profondo disordine la pena necessaria per ilpeccato, quella che, come manifestazione empirica, si esprime nella sofferenza. L'Aquinatecaratterizza la pena per il peccato in questi termini: Dio lascia luomo in balia della suanatura. (natura humana sibi relinquitur) (I-II, q. 87, a. 7). questa la vera e profondaconseguenza del peccato ma anche al tempo stesso la pena che Dio infligge. II peccato stanel fatto che luomo rifiuta l'amore e la grazia di quel Dio che lo chiama a vivere incomunione con Lui. E allora Dio rifiuta questo amore all'essere umano, non lo disturbapi, lo lascia solo a se stesso. E lasciato solo a se stesso l'uomo precipita sempre pi inbasso.L'uomo dunque impossibilitato a rimettersi da solo sul retto cammino, a causa dellaprofonda disgregazione che il peccato ha causato nel suo essere: perch egli possaraggiungere la piena realizzazione d se stesso e conseguire cos la felicit (beatitudineeterna), Dio stesso gli viene in soccorso, inviando in questo mondo il suo unico Figlio,Ges Cristo. Questi libera luomo dal peccato, cio dalla aversio a Deo, lo riconcilia conDio e lo costituisce in una nuova condizione di vita: lo status naturae reparatae. In talestato la imago Dei che, col peccato, era stata indebolita e deturpata ma non distrutta, vieneripulita e potenziata: portata al secondo livello per cui pu conoscere e amare Dio inmaniera attuale e viene messa anche in condizione di raggiungere il terzo livello, in cuiconoscer e amer Dio in maniera perfetta. L'effetto del risanamento della imago operato daCristo viene espresso da S. Tommaso (come gi da S. Agostino) con la dottrina della graziasantificante.

    La grazia viene definita anzitutto, secondo il linguaggio della Scrittura, come lex no-va: Princpaliter lex nova est ipsa gratia Spiritus Sanctus, quae datar Christi fidelibus

    (III, q. 106, a. 1). Ma poi, a livello di approfondimento filosofico, Tommaso ricorre allinguaggio aristotelico e definisce la grazia come forma o qualit. una nuova forma oqualit che diventa nell'anima sorgente del suo agire soprannaturale; non quindi sem-plicemente un impulso divino ad agire bene, che rimane al d fuori di noi, bens qualche

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    cosa che viene posto da Dio dentro il nostro essere trasformandolo. S. Tommaso lo provamediante l'analogia di quanto accade nell'ordine naturale. In tale ordine Dio non provvedealle creature soltanto muovendole ai loro zitti naturali, ma donando loro le forme e lefacolt che sono i princpi di codesti atti, perch da se stesse tendano a essi. Ed cos che imoti impressi da Dio diventano connaturali e facili alle creature, secondo le parole della

    Sapienza: "Tutto dispone con soavit". Perci a maggior ragione egli infonde forme oqualit soprannaturali (formas vel qualitates supernatarales) in coloro che muove alconseguimento di un bene soprannaturale, mediante le quali li muove a raggiungere i benieterni con soavit e con prontezza. Ecco quindi che il dono della grazia una qualit (I-II,q. 110, a. 2). La grazia risiede direttamente nell'essenza stessa dell'anima, non in qualcheabito o facolt, e cos rende l'anima partecipe della natura divina: La grazia, come precedele virt, cos deve avere una sede che preceda le potenze dell'anima (dato che le virtperfezionano le potenze): essa cio deve risiedere nell'essenza dell'anima. Infatti l'uomo,come partecipa alla conoscenza divina con la virt della fede mediante l'intelletto, eall'amore divino con la virt della carit mediante la facolt volitiva, cos partecipa allanatura divina, secondo una certa somiglianza, con una nuova generazione o creazione,mediante la natura dell'anima (I-II, q. 110, a. 4).Nella spiegazione del piano soprannaturale S. Tommaso si serve come modello del pianonaturale e ne riprende tutte le linee fondamentali. Ora, lAquinate sa bene che nel pianonaturale l'uomo, oltre a una forma sostanziale, l'anima, possiede anche delle facolt (e lefacolt spirituali sono tre: memoria, intelletto e volont): quindi analogamente per il pianosoprannaturale egli considera necessari, dotare l'anima oltre che di una nuova forma, lagrazia, anche di tre facolt: fede, speranza e carit, le quali investono immediatamente le trepotenze naturali trasformandole ed elevandole cos da metterle in condizione d svolgereatti conforti a quella natura divina, di cui l'anima resa partecipe mediante la grazia.L'aversio a Deo viene cos radicalmente estirpata, mentre la conversio ad Deum divieneprofonda anche se noti definitiva. La partecipazione alla vita divina, secondo S. Tommaso,non una semplice metafora ma una stupenda realt. Seppure in modo speculare anzichdiretto (a faccia a faccia) mediante la fede, la speranza e la carit, chi stato rigeneratoda Cristo e professa la nova lex, conosce Dio, lo possiede e lo ama cos come Dio conosce,possiede e anima se stesso (I-II, q. 110, a. 3). Dobbiamo ripetere qui, a proposito delladottrina tomasana della grazia, quanto abbiamo gi osservato in precedenza a propositodella sua dottrina sul peccato. Lungi dall'intendere il mistero della grazia secondo schemifisicalistici, esterioristici, cosistici, come qualcuno gli ha rimproverato, l'Aquinate lointerpreta in un senso squisitamente personalistico. La grazia tocca in modo reale eprofondo tutto l'essere dell'uomo e lo tocca in maniera tale da trasformare radicalmente ilsuo agire: mediante la conversio ad Deum: e la generazione alla vita divina egli entranuovamente in rapporti di dialogo, di obbedienza, di amore, di piet filiale verso Dio; e inuovi rapporti con Dio esigono nuovi rapporti anche col prossimo: diventano anch'essirapporti di fiducia, di dialogo, di solidariet, di amore. L'amore verso Dio e verso ilprossimo lespressione concreta della nova lex che Cristo ha consegnato all'umanit. Cosil circolo dell'amore si chiude: quell'amore che era partito da Dio per ricondurre luomo a sestesso rigenerandolo a nuova vita, ritorna a Dio attraverso l'uomo il quale ora, mediante lapartecipazione alla vita divina, pu amare Dio come Lui ama se stesso.

    (Vedi: UOMO, ANIMA, CORPO, GRAZIA, PECCATO, SALVEZZA)

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    e forma. Infatti, sebbene ambedue risultino di potenza e atto, non sono affattoidentiche. "Primo, perch la materia non lessenza (substantia) stessa dellacosa, altrimenti avremmo che tutte le forme sarebbero accidentali comeritenevano gli antichi naturalisti; la materia invece una parte dellessenza.Secondo, perch lessere stesso (ipsum esse) non latto proprio della materia,

    ma della sostanza tutta intera; infatti lessere latto di ci che si pu dire che. Ma lessere non si dice della materia bens del tutto (de toto). Perci non sipu dire della materia che essa sia, ma ci che veramente esiste la sostanza.Terzo, perch neppure la forma lessere (ne nelle cose materiali n in quelleimmateriali) (...). Perci, negli enti composti di materia e forma, ne la materian la forma si possono dire essenza ed essere. Tuttavia la forma si pu dire ciper cui la cosa , in quanto princpio dell'essere; ma tutta quanta la sostanzae ci che (quod est) e lessere e ci per cui la sostanza si dice ente (ipsum esseest quo substantia denominatur ens). Invece nelle sostanze intellettuali oseparate, che non sono composte di materia e di forma ma nelle quali la stessaforma sostanza sussistente, la forma ci che esiste; mentre lessere sia attosia ci per cui esiste la forma (ipsum esse est actus et quo est)" (C. C., II, c. 54).

    3. Introducendo questa ulteriore composizione, che si spinge ancora pi amonte delle composizioni di materia e forma e di sostanza e accidenti, lacomposizione di essenza e atto dessere, S. Tommaso pu risolvere il problemadella creaturalit e finitezza degli angeli, senza compromettere la loro assolutaspiritualit e non guastandola con lincongrua ipotesi (degli agostiniani)dellilemorfismo. Infatti lessenza degli angeli non si identifica, come accade inDio, con lessere, ma si rapporta allessere, che atto, a mo di potenza. Equesta la sola composizione che c in essi, composizione che risultadallessenza e dallessere, e da alcuni viene detta anche di ci che (quod est) edi essere (esse), oppure di ci che (quod est) e di ci per cui (quo est)" (C. G.,II, c. 54; Cfr. De sub. sep., c. 1).

    4) Infine, portando lessere at massimo grado di attualit e facendo di esso lac-tualitas omnium actuum, S. Tommaso pu abbandonare la tesi aristotelica dellafinitezza dellatto. Infatti latto purissimo dellessere, che in Dio esente daqualsiasi composizione e limitazione, poich in Dio non pu esserci alcunch dipotenziale, non pu non essere infinito. Ecco il ragionamento dellAquinate:"Infinita si dice una cosa perch non finita (limitata). Ora, in certa manierala materia viene limitata dalla forma in quanto la materia, prima di ricevere laforma, in potenza a molte forme; ma dal momento che ne riceve una, daquella viene delimitata. La forma poi limitata dalla materia, perch la forma,considerata in s stessa, e comune a molte cose, ma dal momento in cui ricevuta nella materia diventa forma soltanto di una determinata cosa. Se nonch la materia riceve la perfezione dalla forma che la determina, e percilinfinito attribuito alla materia racchiude imperfezione, perch come unamateria senza forma. La forma invece non viene perfezionata dalla materia,ma ne riceve piuttosto la restrizione della sua ampiezza illimitata; quindilinfinito che si attribuisce alla forma non delimitata dalla materia comportaessenzialmente perfezione. Ora, come abbiamo gi veduto, lessere stesso tratutte le cose quanto di pi formale si possa rinvenire. Quindi, siccome lessere

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    vero anche il contrario: non v essere senza l'agire; lessere diffusivum suie l'agirenon altro che il diffondersi, il propagarsi, l'espandersi dellessere.In altre parole l'azione la dimensione dinamica dell'essere. Perci S. Tommaso pudichiarare: "operatio est ultima perfectio in qua res existit"(II Sent., d. 1, q. 2, a. 2,ad2). Pertanto nella metafisica tomistica non si d nessuna concorrenza o con-

    flittualit tra essere e accidenti come in tanta filosofia moderna che concepisce lesserestaticamente.

    1. FONDAMENTO ONTOLOGICO DELLAZIONE

    S. Tommaso non si stanca di ripetere che il fondamento ontologico dellazione lente, lente reale, completo, sostanziale e sussistente, cio lente concreto, particolare,individuale: "Le azioni si verificano nelle realt partico1ari"(I, q. 29, a. 1); "le azionisono del suppositi" (Actus sunt suppositorum)"(I, q. 40, a. 1, ad 3). Ma nelle realtmateriali, che sono composte di materia e forma, il fondamento immediato dellazionee la forma, perch la forma che funge da mediatrice dellessere alla materia e checonferisce attualit alla potenza. "Lagire non compete che a una realt sussistente ins stessa (agere non est nisi rei per se subsistentis); perci non agisce n la materia n laforma, ma il composto; tuttavia questo non agisce in ragione della materia ma dellaforma, la quale atto ed principio dellagire"(IV Sent., d. 12, q. 1, a. 2, sol. 1). "Laforma, non esistendo per conto proprio, non agisce n propriamente parlando patisce;ma agisce il composto grazie alla forma, mentre subisce (patisce) a causa dellamateria"(III Sent., d. 3, q. 2, a. 1). "Lagire deriva dallessere perfetto (che ilcomposto) dato che ogni cosa agisce nella misura in cui in atto"(ibid.). Ma "nulla in atto se non possedendo la forma"(II Sent., d. 34, q. 1, a. 3). Perci la radice im-mediata dellazione e la forma; e la diversit dellazione commisurata alla diversitdelle forme. "Ogni ente agisce secondo lesigenza della propria forma, che e ilprincipio (immediato) dellagire e la norma (regula) dellopera"(III Sent., d. 27, q. 1,a. 1 sol.).

    2. LAZIONE DELLE CREATURE

    Dio, lesse ipsum subsistens suprema fonte oltre che dellessere anche dellagire.Egli la causa prima, fondamentale e principale di qualsiasi agire. Ma secondo S.Tommaso Dio non lunico agente, !a causalit non un attributo esclusivo di Dio(come sembrava sostenere S. Agostino) ne viene riservata alle creature intelligenti(come asseriva Avicenna). S. Tommaso deciso, tenace assertore dellazione dellecreature, di tutte le creature: angeli, corpi celesti, corpi terrestri, animali, uomini (I,qq. 106-119; C. G., III, c. 69; III Sent., d. 33, a. 1, a. 2). Tra i vari argomenti a cui eglifa appello per avvalorare questa tesi, i pi importanti sono i seguenti:

    a) il vincolo essenziale che lega lagire allessere: lessere sempre fontedagire e lagire sempre proporzionato allessere per cui quanto pi c diessere in una cosa tanto pi ce di agire (III Sent., d. 27, q. I, a. 1; III Sent., d.3, q. 2, a. 1; C. G., II, c. 6);

    b) la sapienza e potenza di Dio, il quale creando le cose ha voluto renderlepartecipi oltre che del suo essere anche del suo agire, e ha proporzionato il

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    loro livello nellordine dellagire al livello dellordine dellessere: "Si di-mostrato che Dio vuole comunicare agli altri il suo essere, per modo disomiglianza. Appartiene poi alla volont essere principio dellazione e delmoto. Perci essendo perfetta la volont divina, non le mancher la virt dicomunicare il suo essere ad altri, per modo di somiglianza; e cos sar ad essi

    causa dellessere"(C. G., II, c. 6);c) la dignit delle creature, la quale esige che, avendo Dio dato loro

    determinate forme con determinate potenzialit, esse non ne siano privatedellesercizio in modo che gli effetti prodotti non siano loro propri maappartengano ad altri (Dio); perch se ci accadesse non si offuscherebbesolo la dignit delle creature ma anche la sapienza di Dio: "Detrarre allaperfezione delle creature lo stesso che detrarre alla perfezione della virtdivina. Ora, se nessuna creatura possiede alcuna azione per produrrequalche effetto, si svaluta molto la perfezione della creatura, poich lab-bondanza della perfezione richiede di poter comunicare ad altri laperfezione posseduta. Questa sentenza dunque diminuisce la virt diDio"(C. G., III, c. 60).

    3. NATURA DELLAZIONE

    Lente in quanto ente, proprio perch possiede lessere, anche munito del poteredella.. Per lazione non uguale in tutti gli enti: ciascun ente agisce secondo il suomodo di partecipare allessere; ossia lagire di un ente determinato dalla propriaessenza (negli enti materiali dalla forma) che ci che esprime il grado dipartecipazione di un ente allessere. Lagire dellente finito legato al suo essere, alsuo modo di partecipare allessere. Ora, secondo S. Tommaso, nessun ente finito hadiritto allessere in forza della sua essenza. Lessere appartiene per essenza soltanto aDio. Tutti gli enti finiti ricevono dellessere dallEssere sussistente e da lui ricevonoanche la capacit di agire: ma ricevono necessariamente sia lessere sia lagire inmodo finito. Pertanto non essendo lessere per essenza, lente finito non neppure l'a-gire per essenza. Quindi lente finito deve esplicare lazione non mediante lessenza,ma mediante principi dazione distinti dallessenza (le operazioni), principi che nonsono tuttavia disgiunti da essa, ma su essa si fondano, e hanno il compito di espletarnelattualit con la loro azione. "Tra lazione di una cosa e la sua sostanza, scrive S.Tommaso, c una differenza maggiore che tra Ia sostanza e lessere della medesima.Ora, in nessuna creatura Ia sostanza lessere della medesima (nullius creati suumesse est sua substantia): ci infatti proprio di Dio soltanto. Dunque n lazione degliangeli, ne lazione di qualche altra creatura la loro sostanza. Pertanto impossibileche lazione dellangelo o di unaltra creatura, ne sia la sostanza (o lessenza). Lazioneinfatti latto di una facolt; come lessere latto di una sostanza o essenza. Ora, impossibile che una realt, la quale non atto puro e ha qualche cosa di potenziale, siala sua propria attualit: poich lattualit il contrario della potenzialit. Ma soltantoDio atto puro. Quindi soltanto in Dio la sostanza il suo essere e il suo agire"(I, q.54, a. 1).

    Tale dunque la natura dellagire creaturale. Non agire in senso pieno, ma insenso diminuito e analogico: un agire partecipato, allo stesso modo in cui partecipato

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    S. Tommaso presenta vane divisioni dellazione, di cui due ricorrono abbastanzaspesso e rivestono grande importanza:

    1) divisione tra azione immanente e transeunte: la prima perfeziona il soggettostesso che la compie (per es. il conoscere); mentre la seconda torna a vantaggio di

    qualche altro, per es. la produzione di una statua, la stampa di un libro ecc. (cfr. 1Sent., d. 40, q. 1, a. 1, ad 3;

    2) divisione tra azione che procede dallapotenza naturale e azione che segue lapotenza obedienziale (cfr. I Sent., d. 42, q. 2, a. 2, ad 4; I-II, q. 114, a. 2).

    5. AZIONE MORALE

    Nella categoria dellazione assume speciale importanza lazione morale. Infatti,mediante lazione morale luomo realizza s stesso in quanto uomo: lagire che rendeluomo moralmente buono o cattivo. A questo tipo dazione si d il nome di attoumano, che S. Tommaso studia accuratamente e minuziosamente in tutti i suoi aspetti,specialmente nella I-II, qq. 112- 121. A questo riguardo si veda la voceAtto umano.

    (V. CAUSALITA', SOSTANZA, ESSERE, ACCIDENTE, ATTO UMANO)

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    Bellezza/Bello

    Designa tutto ci che suscita nelluomo il sentimento dellammirazione. S.Tommasoafferma: "pulchra dicuntur quae visa placent, belle sono dette quelle cose che viste destanoplacere" (I, q. 5, a. 4, ad 1).

    Platone aveva gi elevato la bellezza al vertice delle cose (cfr. Convito e Fedro). Lostesso posto di privilegio continua a occupare presso i neoplatonici, S. Agostino e lo Pseudo--Dionigi.

    In S.Tommaso la bellezza fa la figura del "trascendentale dimenticato" (E. Gilson).Tutto quello che ha detto lAngelico lo si pu raccogliere in una pagina. Quel che peggio chenei pochi riferimenti frammentari a questa perfezione, egli mostra una certa tendenza aconsiderarla come una propriet materiale: lo splendor formae che colpisce i sensi (dr. I-II, q.27, a. 1, ad 3). Per uninterpretazione di S.Tommaso in questo senso sicuramente errata,perch altrove egli afferma esplicitamente che oltre che nel mondo fisico la bellezza si realizzaanche nel mondo spirituale, anzi soprattutto nel mondo spirituale (cfr. II-II, q. 145, a. 2), inquanto "tutte le cose derivano il loro essere dalla bellezza divina" (I, q. 39, a. 8; cfr. In Div.Nom. IV, lect. 5, nn. 340, 346, 349).

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    1. ESSENZA DELLA BELLEZZA

    Come le altre propriet trascendentali dellessere anche la bellezza consiste essenzial-

    mente in una relazione: una relazione di convenienza o di sintonia tra un aspetto dell essere ela facolt di una creatura intelligente (luomo, langelo, Dio). S.Tommaso chiarisce bene lanatura della verit, dicendo che una corrispondenza della mente (della conoscenza) con larealt, e altrettanto bene la natura della bont, dicendo che una corrispondenza tra la volonte loggetto amato. Ma egli non fa altrettanto per la natura della bellezza. Dalla definizione(quae visa placent) pare che essa interessi specialmente la facolt conoscitiva, tuttavia lo stessoS.Tommaso precisa che la bellezza non coincide n con la bont n con la verit. Non coincidecon la verit, anche se interessa la conoscenza, perch nella verit ci che conta lapprensione, la cognizione, la intuizione della cosa, invece nella bellezza ci che conta ilgodimento, il piacere, lammirazione. Ne coincide con la bont, perch in questa ci che conta il possesso, mentre nella bellezza questo escluso. Certo, realmente la bellezza coincide con la

    verit e con la bont, ma concettualmente (ratione) distinta. "Il bello realmente identico albene, per concettualmente distinto da esso (pulchrum est idem bono, sola ratione differens).Infatti, mentre il bene "ci che tutte le cose bramano e implica lacquietarsi in essodellappetito, il bello implica invece lacquietarsi dellappetito alla sua sola vista o conoscenza.Difatti riguardano il bello quei sensi che sono maggiormente conoscitivi, cio la vista e ludito,a servizio della ragione: e cos parliamo di cose belle a vedersi o a udirsi. Invece per loggettodegli altri sensi non si usa parlare di bellezza: infatti non diciamo che sono belli i sapori o gliodori. E' perci evidente che il bello aggiunge al bene una relazione con la facolt conoscitiva(ordinem ad vim cognoscitivam); cosicch si chiama bene ci che gradevole allappetito;mentre si chiama bello ci che gradevole alla conoscenza" (I-II, q. 27, a. 1, ad 3; cfr. I, q. 5, a.4, ad 1).

    2. ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA BELLEZZA

    Tre sono gli elementi costitutivi della bellezza: l'integrit, la proporzione e lo splendore(claritas): "Per la bellezza si richiedono tre elementi: in primo luogo lintegrit o perfezione(integritas sive perfectio), poich le cose incomplete, proprio in quanto tali, sono deformi.Quindi si esige la dovuta proporzione o armonia (debita proportio sive consonantia) tra le parti.Infine chiarezza o splendore (claritas): difatti diciamo belle le cose dai colori nitidi esplendenti" (I, q. 39, a. 8). Dei tre elementi il primo generalmente dato per scontato, e perquesto motivo molto spesso parlando della bellezza S.Tommaso si limita a menzionare gli altridue (la proportio o consonantia e la claritas), insistendo maggiormente sul primo, cio la giustaproporzione.

    3. DIVISIONECi sono due generi di bellezza, fisica e spirituale: La prima la bellezza del corpo, La

    seconda e la bellezza dellanima e dello spirito. "La bellezza del corpo consiste nellavere lemembra ben proporzionate, con la luminosit del colore dovuto. La bellezza spirituale consiste

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    nel fatto che il comportamento e gli atti di una persona sono ben proporzionati secondo la lucedella ragione" (II-II, q. 145, a. 2). "Perci la bellezza si predica analogicamente(proportionaliter), infatti ogni cosa si dice bella in quanto possiede un proprio splendore ospirituale o corporeo, ed costituita secondo la proporzione dovuta" (In Div. Nom, IV, lect. 5,n. 339).

    4. FONDAMENTO ONTOLOGICO

    Come negli altri trascendentali, anche nella bellezza lAquinate distingue due pianiontologici: quello della bellezza misurante (la bellezza divina) e quello della bellezza misurata(la bellezza delle creature). Questultima viene distribuita da Dio alle singole creature secondoun determinato ordine e misura. La bellezza appartiene anzitutto a Dio e in lui si identifica colsuo essere. Infatti "Dio non bello soltanto secondo una parte, oppure per un determinatotempo o luogo; infatti, ci che appartiene a qualcuno per se stesso e primariamente ( secundumse et primo), gli appartiene totalmente, sempre e dovunque. Pertanto Dio bello in se stesso enon sotto un particolare aspetto, e quindi non si pu dire che bello rispetto a qualcosa e non

    bello rispetto a unaltra cosa, n che bello per alcuni e non bello per altri; ma bello sempree uniformemente, escludendo qualsiasi difetto di bellezza, a partire dalla mutabilit, che ilprimo difetto, (In Div. Nom., IV, lect. 5, n. 346). Dio la sorgente e la causa della bellezzapresente nelle creature. Dio pulcrifico: fa belle le cose, elargendo loro la sua luce e il suofulgore: "Le sue elargizioni sono pulcrifiche (istae traditiones sunt pulchrificae), ossia donano labellezza alle cose" (in Div. Nom., IV, Lect. 5, n. 340).

    In conclusione, si pu giustamente lamentare che S.Tommaso non dedica alla bellezza lastessa attenzione che riserva ai trascendentali dellunit, della verit e della bont. Tuttaviadalle sue indicazioni frammentarie si pu ricostruire un quadro abbastanza articolato, chiaro edefinito, da cui risulta che la bellezza una propriet trascendentale dellessere, distinta dallaverit e dalla bont: presente universalmente ma si predica analogicamente, prima di Dio epoi delle creature; ha come sorgente ultima e universale Dio, il quale per la elargisce anchealle sue creature, e compie questo in due modi: facendole belle e donando ad alcune di esse ilpotere di produrre cose belle. Lunico punto che rimane oscuro nella spiegazione tomisticariguarda la facolt estetica: S.Tommaso assegna la bellezza alla facolt conoscitiva, anzitutto aisensi della vista e delludito, e quindi alla ragione, ma non spiega in che modo la relazione este-tica differisce dalla relazione meramente noetica. S.Tommaso sembra dire che la differenza stanel godimento suscitato dalla vista (sensitiva o intellettiva) di una cosa o di una verit. Maquesto certamente non basta per definire la relazione estetica. La risposta primaria che ilsoggetto esprime davanti alla bellezza non il piacere, bens lammirazione, e lammirazionenon coincide n con la cognizione (del vero) n con lappetizione (del bene), n col piacere.

    (Vedi, TRASCENDENTALI, BONTA', VERITA')

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    Bene comune

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    costituire una societ propriamente detta. Solo quando Dio stesso, mediante la suagrazia, diviene il fondamento di una nuova socialit, allora si realizza una societ insenso pieno: la societ istituita da Ges Cristo, della quale egli stesso lunico verocapo. Infatti il godimento di Dio rappresenta un fine che luomo non pu raggiungerecon le sole sue forze, ma abbisogna dellaiuto di Dio. come insegna S. Paolo (Rm 6, 23),

    la grazia di Dio la vita eterna; quindi il compito di condurre al raggiungimento diquesta meta non spetta al potere umano, ma a quello divino. Perci tale compitospetta a quel re che non soltanto un uomo ma anche Dio, quindi a nostro SignoreGes Cristo che rendendo gli uomini figli di Dio ha aperto boro la porta della gloriaceleste (De Reg., I. I, c. 15, n. 818).

    3. RAPPORTI TRA BENE PERSONALE E BENE COMUNE

    S.Tommaso afferma perentoriamente il primato del bene comune sul bene personale,ma questa tesi per essere intesa rettamente va vista alla luce del concetto intensivo cheegli ha del bene, dove, come s visto, si sottolinea lesistenza anche di un bene comunedi ordine soprannaturale, che consiste ultimamente nel godimento di Dio nella gloriaceleste. Non si tratta pertanto di una subordinazione del bene personale al benecomune temporale. La subordinazione ha luogo soltanto quando in gioco lo stessogenere di bene. Se si tratta di beni materiali, allora la comunit viene prima delsingolo; e altrettanto quando si tratta di beni spirituali. Ma se invece da parte dellapersona in gioco il bene spirituale e da parte della comunit quello materiale, allorail primo posto tocca alla persona. Il bene del tutto maggiore del bene particolare diuno solo, se si tratta dello stesso genere di bene. Invece il bene soprannaturale (bonumgratiae) di una persona supera il bene naturale (bonum naturae) di tutto luniverso(I-II, q. 93, a. 6, ad 2). Di qui laltro principio fondamentale della concezione tomisticadel bene comune: ((Luomo non ordinato alla societ civile (communitatem politicam)in forza di tutto il proprio essere e di tutti i suoi beni (...) invece ordinato a Dio intutto quello che forma il suo essere, il suo potere e il suo avere (III, q. 21, a. 4, ad 3).In conclusione, linserimento della persona nel tutto viene concepito da S. Tommasocome un ingrandimento e un arricchimento della sua personalit e non gi come unasua degradazione alla semplice funzione di una parte per entro a un organismo, senzaalcun valore proprio. A questo modo lidea cristiana del valore della personalitindividuale appare pienamente garantita, e si trova daltronde ulteriormente riaf-fermata nella concezione che, per quanto necessario possa apparire lo Stato in vistadelta realizzazione della natura umana, la vita politica non a sua volta che unacondizione e un mezzo per il raggiungimento di un grado pi completo di perfezione(L. A. Perotto).

    (V. SOCIETA, STATO, BEATITUDINE, PERSONA)

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    bene relativioparticolari, che rendono luomo buono solo parzialmente. Esplorandoci che pu rendere luomo interamente buono e perfettamente felice S. Tommaso favedere che questo titolo compete soltanto a Dio: Lui soltanto il sommo Bene che pucolmare interamente tutto lorizzonte appetitivo della volont umana. Per questomotivo solo Dio, secondo S. Tommaso, pu muovere la volont naturalmente, senza

    causarle minimamente costrizione od oppressione. Infatti, se alla volont viene pre-sentato un oggetto universalmente e sotto tutti gli aspetti buono, necessariamente lavolont tender verso di esso, quando desidera qualche cosa: infatti non potr volerelopposto. Se invece le viene presentato un oggetto che non bene sotto tutti gli aspetti,allora la volont non sar portata necessariamente a volerlo. E poich la mancanza diuna bont qualsiasi implica la nozione di cosa non buona, soltanto il bene perfetto, alquale non manca niente, un bene tale che la volont non pu non volere: e questo be-ne la felicit. Ma tutti gli altri beni particolari, mancando di qualche bont, possonosempre considerarsi come cose non buone: e in base a codesta considerazione possonoessere ripudiati o accettati dalla volont, che ha la capacit di volgersi verso unamedesima cosa secondo considerazioni diverse (III, q. 10, a. 2). S. Tommaso precisache la volont si muove naturalmente oltre che verso il sommo Bene anche verso tuttoci che conviene per natura allessere dotato di volont (luomo). Infatti con lavolont non desideriamo soltanto ci che appartiene alla potenza volitiva, ma anchequanto si addice alle singole potenze e alluomo tutto intero (ad totum hominem).Perci luomo vuole per natura non soltanto ci che forma loggetto della volont, maanche le altre cose richieste dalle altre potenze: vale a dire la conoscenza della veritper lintelletto; inoltre lessere, la vita e altre cose del genere connesse con lesistenzanaturale (I-II, q. 10, a. 1). Dalle due divisioni suddette risulta che luomo, se vuolediventare effettivamente buono e cos realizzare pienamente se stesso, deve orientaretutte le sue azioni verso il Bene supremo, Dio, che anche il bene perenne dello spirito,che nelluomo la parte pi eccellente. Perci in questa vita si devono cercareanzitutto i beni spirituali, dellanima, e poi quelli temporali o corporali e questisoltanto nella misura in cui possono giovare al conseguimento della vita eterna, ciolunione beatifica con Dio (cfr. I-II, q. 3, a. 8; q. 4, aa. 3-5; II-II, q. 11, a. 4).

    2. BONTA' DELLATTO UMANO

    Perch gli atti umani siano moralmente buoni - contribuiscano cio a rendere buonoluomo - non basta la bont ontologica dellatto, perch ontologicamente latto sem-pre buono nella misura in cui partecipa allessere; e non basta neppure la bont del-loggetto cui latto diretto. Per la bont morale questi due elementi non bastano; neoccorrono altri tre: il fine, i mezzi e le circostanze. Se viene a mancare anche uno solodi questi cinque coefficienti, latto diventa cattivo: Bonum ex integra causa, malum exquocuinque defectu, non si stanca di ripetere S. Tommaso (cfr. I-II, q. 71, a. 5, ad 2;II-II, q. 79, a. 3, ad 4;De Malo, q. 2, a. 2, ad 2).

    (V. BENE ONTOLOGICO, BEATITUDINE, VIRTU, VIZIO, ATTO UMANO)

    _______________________________________________Bene (ontologico)

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    1. L' IMPORTANZA DELLA BIBBIA PER LA TEOLOGIA

    In teologia la Bibbia (o S. Scrittura) rappresenta la fonte pnimaria, principale efondamentale. S. Tommaso lo dimostra studiando la natura di questa scienza, la quale

    si basa primariamente non sulla ragione bens sullautorit: anzitutto sullautoritdivina (di Dio) e quindi sullautorit dei suoi inviati: i profeti, gli apostoli, GesCristo. Ora nella S. Scrittura che sono stati conservati gli oracoli di Dio. La teologiadesume direttamente dalla Bibbia i suoi principi: "I suoi princpi non li prende dallescienze filosofiche, ma immediatamente da Dio per rivelazione. E perci non mutuadalle altre scienze come se fossero superiori, ma si serve di esse come di inferiori e diancelle"(I, q. 1, a. 5, ad 2). Pertanto "della autorit della Scrittura canonica la teologiasi serve come di argomenti propri e rigorosi" (I, q. 1, a. 8, ad 2).

    E' sulla base sicura e indeclinabile della S. Scrittura che la teologia compie il suo la-voro. Aderendo alle verit che sono accolte per fede, essa passa ad altre verit, comeda altrettanti princpi ad altrettante conclusioni. Cosi il credente possiede la scienza dici che concluso a partire dalla fede"(De Ver., q. 14, a. 9, ad 3). E secondo S.Tommaso si tratta di vera scienza, "perch anche se non rende evidenti (non facitapparere) le cose che crediamo, si serve tuttavia di queste per rendere evidenti (facitapparere) altre cose, e ci con lo stesso tipo di certezza nei due casi"(in De Trin., lect.2, q. 2, a. 2, ad 6). Sulla stessa linea egli non esita a scrivere commentando lo PseudoDionigi: "Niente di ci che pu essere tratto (quaecumque elici possunt) da ci che contenuto nella Scrittura un corpo estraneo (non sunt aliena) nella dottrina di cuitrattiamo (la teologia), anche se non allo stesso modo contenuto nelle Scritture" (InDiv. Nom., I, lect. 1. n. 11). La teologia, perci, non pu limitarsi a ci che espressamente contenuto nella Scrittura, ma va oltre, pur senza uscire dalle virtualitdelle fonti della Rivelazione. La teologia si muove sempre nellinterno dellaRivelazione stessa; e lo sviluppo che prende la dottrina rivelata, per quanto vasto, nondeve mai alterarla. Nel suo lavoro la teologia si serve anche del ragionamento "manon gi per dimostrare i dogmi, che altrimenti si perderebbe il merito della fede; maper chiarire alcuni punti del suo insegnamento" (I, q. 1, a. 8, ad 2).

    2. USO DELLA BIBBIA

    Nelle sue opere S. Tommaso ricorre a tutti i libri della Bibbia, maggiormente a quellidel N. T., ma fa ampio uso anche di quelli dellA. T., soprattutto dei Salmi, dellaSapienza e del Proverbi. Le testimonianze bibliche negli scritti del Dottore Angelicohanno sempre carattere di accenno e richiamo, e ci si spiega perch egli non vuoleallungare la lista delle citazioni. "Ma a lui non si pu davvero muovere il rimproverodi fare il pi crudele scempio delle testimonianze bibliche e patristiche per trarle asostegno delle sue ricerche e affermazioni. Perch, specialmente per lui, vero ilcontrario: le sue affermazioni dottrinali egli le trae sempre dalle testimonianzebibliche, le quali si presentano isolate e come scarnificate dalla triturazione meto-dologica, ma non sono n svuotate del loro contenuto proprio, n riempite con unsenso diverso da quello che hanno. Queste testimonianze, secondo la strutturadellarticolo, o sono riportate nella prima parte dove sono elencate le difficoltallenunciato della ricerca che si inizia sempre col Se (utrum), nel quale bene si

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    esprime il carattere scientifico dellindagine teologica e il suo senso critico; o sonocitate negli argomenti di opposizione globale alle difficolt precedenti; o sonorichiamate nel corpo dellarticolo per mettere in rilievo che laffermazione teologicatraduce bene il pensiero biblico; o sono riferite nella risposta alle difficolt per farvedere che, nel contesto, le parole hanno un senso perfettamente conforme allinsegna-

    mento dato; oppure, in un luogo parallelo, si chiarisce quello che altrove era rimastooscuro, si determina quel che si presentava un poco vago o appena delineato, sisviluppa quel che prima era semplicemente accennato e presentatogerminalmente"(C. Pera).

    Quanto al testo usato da S. Tommaso, si tratta della Bibbia Parisiensis, unottimaedizione della Vulgata, curata dalluniversit di Parigi agli inizi del sec. XIII. Essaaveva lordine dei libri sacri come nelle moderne edizioni e la divisione in capitoliintrodotta da Stefano Langton nel 1214, come la nostra.

    (Vedi: TEOLOGIA, AUTORITA', FILOSOFIA)

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    _____________________________________________________Caso

    E' in generale laccadere senza vera e propria causa, preter-intenzionalmente.Fu teorizzato come principio oggettivo dagli atomisti, in contrapposizione al determini-smo universale del Fato. Secondo Epicuro e Lucrezio gli atomi, che sono i primi

    elementi della realt, si aggregano tra di loro per caso, e, cos, danno origine allamolteplicit delle cose; anche lordine apparente che si incontra nella natura fruttodel caso, non del Demiurgo o di qualche altra divinit. Gi Anassagora, Platone e gliStoici, considerando luniverso come organizzato in ogni sua parte da un Principiorazionale (il Nous, il Demiurgo, il Logos), videro nel caso solo una causaincomprensibile dallintelletto umano. Alla stessa conclusione furono condotti pi tardii filosofi cristiani: Origene, Agostino, Boezio.

    Secondo S. Tommaso ci che noi diciamo caso in realt frutto di causecontingenti, il cui modo di operare sfugge alluomo ma non alla conoscenza di Dio ealla divina provvidenza: "Se Dio non ha provvidenza di questi eventi singolari, ciavviene o perch Dio non li conosce, o perch non pu o perch non vuole averne cura.Ma non si pu dire che Dio non li conosca, perch si dimostrato che a Dio sono noti(Libro I, c. 65). Ne si pu dire che Dio non possa averne cura (Libro II, c. 22) (...). Eneppure si pu affermare che Dio non voglia governarli, poich la sua volont si portauniversalmente su tutti i beni (Libro 1, c. 75); ora il bene di quelli che sono governaticonsiste massimamente nellordine del governo. Non si pu dunque dire che Dio nonabbia cura di queste cose singolari". (C. G. III, c. 75, n. 2503)._____________________________________________________

    Conversione

    In campo religioso "il cambiamento di direzione" di chi si volge da una vita di pec-cato a una vita di totale dedizione a Dio, oppure di chi abbraccia una nuova religione.NellA. T. il richiamo alla conversione costante in tutti i profeti. Nel N. T. laconversione (metanoia) il tema centrale della predicazione del Battista. Ges pone laconversione come condizione fondamentale per essere accolti nel Regno (Mt 4, 17; Mc1, 14-15).

    S. S. Tommaso non ha mai messo a tema la questione della conversione, persaltuariamente fa delle considerazioni interessanti che riguardano tutti gli aspetti emomenti principali della conversione. In primo luogo, per la conversione non basta labuona volont ma occorre la grazia di Dio. S. Tommaso lo spiega assai bene trattandodel Sacramento della Penitenza: "La prima condizione richiesta nella Penitenza ilriordinamento della mente, in maniera che si rivolga a Dio e si distolga dal peccato(...). Un tale riordinamento non pu aversi senza la grazia, poich la nostra mente nonpu senza la carit convertirsi debitamente a Dio (mens nostra debite ad Deumconverti non potest sine caritate); ora la carit non viene concessa senza la grazia"(C.G., IV, conversione 72, n. 4070). In secondo luogo, la conversione non mai cosaagevole e comporta il superamento di ogni genere di difficolt, alcune che provengonodallesterno e altre dallinterno: "Convertirsi alla beatitudine suprema difficile perluomo (converti ad beatitudinem ultimam homini quidem est difficile), sia perch cisupera le capacit della natura, sia perch incontra un ostacolo nella corruzione delcorpo e nella infezione del peccato"(I, q. 62, a. 2, ad 2).

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    forma, corpo animato secondo una terza, e cosi via. Ma in tale ipotesi solo la primaforma, che farebbe esistere la sostanza in atto, sarebbe sostanziale, e tutte le altreaccidentali. Dunque dobbiamo dire che la medesima forma, una di numero, quellache fa essere una cosa sostanza, e la fa essere nellultima specie specialissima e in tuttii generi intermedi (...). Pertanto essendo lanima forma sostanziale, che costituisce

    luomo in una determinata specie di sostanza, non c unaltra forma sostanzialeintermedia tra lanima e la materia prima, ma luomo perfezionato dalla stessaanima razionale secondo i diversi gradi di perfezione, in modo da essere corpo, corpoanimato e animate razionale. Per la materia che riceve dallanima razionale le perfe-zioni di grado inferiore (es. corpo, corpo animato, animale) va intesa simultaneamentecon le disposizioni convenienti, e quindi come materia propria dellanima razionale,che d lultima perfezione. Pertanto lanima, in quanto forma che d lessere, non hanulla di intermedio tra s e la materia prima (De An., a. 9).

    3. IL CORPO, COSTITUTIVO ESSENZIALE DELLA PERSONA

    I platonici cristiani, identificando luomo con lanima, potevano sostenere chelanima persona. Per S. Tommaso questa tesi inammissibile. Infatti, perdefinizione, la persona un sussistente razionale oppure intellettuale (C. G., IV,corpo 35, n. 3725). Perci il concetto di persona comporta che si tratti di qualcosa didistinto, sussistente e comprendente tutto ci che c nella cosa; invece il concetto dinatura abbraccia solo gli elementi essenziali (III Sent., d. 5, q. 1, a. 3). Ora, come svisto, il corpo fa parte dellessenza stessa delluomo, perci anche il corpo uncostitutivo essenziale della persona. Certo luomo persona grazie allanima, perchla persona essenzialmente un fatto spirituale: solo chi dotato di spirito (di naturaintellettuale o razionale, come dice S. Tommaso) persona. Ma luomo non unospirito puro, bens uno spirito incarnato; ed quindi persona soltanto nella unione colcorpo. Perci il corpo essenziale perch luomo sia persona. Solo grazie al corpolanima guadagna quella individualit e quel dinamismo che sono indispensabili per laperfezione della persona. Pertanto bisogna escludere che lanima da sola sia persona:Da tutto quanto si detto risulta che lanima, essendo soltanto una parte delluomoe, come tale, quando separata, pur ritenendo la capacit di riunirsi al corpo, non puessere detta una sostanza individua come lipostasi o la sostanza prima; e cos dellamano o di qualsiasi altra parte delluomo. Perci non le conviene n la definizione n ilnome di persona (I, q. 29, a. 1, ad 5).

    4. LA DISCIPLINA DEL CORPO

    Luomo un essere culturale. S. Tommaso non ha sviluppato nessuna filosofia dellacultura in senso moderno (v. CULTURA), ma ha detto cose egregie intorno allaeducazione (v. EDUCAZIONE). In uninteressantissima pagina dellaSummaTheologiae egli dimostra la necessit della disciplina (ossia della educazione, ocoltivazione). A coloro che sostengono che non c bisogno di disciplina (educazione)perch luomo sarebbe gi munito dalla natura di tutto ci che gli occorre, lAquinatereplica: certamente per natura luomo ha una certa attitudine alla virt; ma laperfezione di codesta virt viene da lui raggiunta mediante la disciplina. Del restovediamo che luomo fa fronte anche alle sue necessit di cibo e di vestiario mediantelindustria personale di cui la natura offre i primi elementi, cio la ragione e le mani,

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    non per il completo sviluppo, come negli altri animali, ai quali la natura gi offrecompleto il rivestimento e il cibo. Ora, luomo non risulta facilmente preparato in sestesso a tale disciplina; poich la perfezione della virt consiste principalmente nelritrarre luomo dai piaceri illeciti, che attirano di pi specialmente i giovani, sui qualila disciplina (educazione) chiamata ad agire maggiormente. Perci necessario che

    gli uomini siano applicati da altri a codesta disciplina, per raggiungere la virt (I-II,q. 95, a. 1).C uneducazione non soltanto dellanima ma anche del corpo, e la stessa

    disciplina dellanima fortemente condizionata dalla disciplina del corpo. DaltrondeS. Tommaso sottolinea continuamente la dipendenza dellanima dal corpo sianellordine conoscitivo (lintelletto dipende dai sensi e dalla fantasia), sia nellordineaffettivo (la volont subisce molto spesso limpulso degli appetiti e delle passioni).Luomo esercita la disciplina del corpo mediante la virt della temperanza (v.TEMPERANZA).

    5. RISURREZIONE DEL CORPO

    La risurrezione della carne e la vita eterna lultimo articolo del Credo. Si tratta diun articolo di fede. Tuttavia, soprattutto nellantropologia di S. Tommaso, una veritprofondamente conforme alle attese del cuore umano. Esistono infatti notevoli ragionidi convenienza a favore del dogma della risurrezione dei corpi. Abbiamo visto che leanime degli uomini sono immortali; quindi restano separate dai corpi dopo la morte.Ma sappiamo pure che lanima ha la tendenza naturale a stare col corpo, poich disuo forma del corpo; perci lo starne divisa contro la sua natura. Ora niente che contrario alla natura pu durare in perpetuo; quindi lanima non rester sempredivisa dal corpo. Essa infatti immortale, e per questa prerogativa dovr un giornoricongiungersi al suo corpo. Questo non altro che la risurrezione. Si puredimostrato che luomo, per naturale desiderio, tende alla felicit, che lultimaperfezione delluomo. Ma chiunque privo di una cosa appartenente alla suaperfezione, non ha ancora la felicit perfetta, perch il suo desiderio non del tuttoappagato. Infatti ogni essere imperfetto brama naturalmente di acquistare laperfezione che gli manca. Ora lanima separata dal corpo in certo modo imperfetta,come imperfetta ogni parte che fuori del suo tutto, essendo naturalmente lanimaparte della natura umana. Quindi non pu luomo conseguire la felicit ultima selanima sua non si ricongiunge al corpo; tanto pi che abbiamo dimostrato comeluomo non possa in questa vita raggiungere la felicit ultima (C. G., IV, q. 79).

    (Vedi: ANTROPOLOGIA, UOMO, ANIMA, RISURREZIONE)____________________________

    Cultura

    Come si pu desumere dall'Index Thomisticus, S. Tommaso conosce il terminecultura ma lo usa, come fanno generalmente tutti gli autori latini dellantichit e delmedioevo, o nel significato letterale di cultura dei campi o nel significato metaforico diculto degli idoli o culto degli dei; egli non lo adopera mai nei tre nuovi sensi che iltermine cultura ha acquisito successivamente: d erudizione, di educazione, di

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    struttura della societ. Ci non significa che egli ignori la res designata da questenuove accezioni. Tutt'altro: quantomeno dell'educazione e dell'erudizione egli ha unconcetto molto elaborato e profondo.

    Per trattare della cultura nel senso di educazione egli si avvale del terminedisciplina di cui d la seguente definizione: Disciplina autem est receptio cognitionis

    ab alio (In I anal., lect. 1, n. 9). Nella questione XI del De Veritate dedicata al maestro(De magistro) ci ha lasciato un luminoso saggio di pedagogia. Sulla necessitdelleducazione (disciplina) egli si espresso egregiamente anche nella SummaTheologica, in un brano che vale la pena riprendere alla lettera. A coloro che so-stengono che non c' bisogno di disciplina (educazione) perch l'uomo sarebbe gi mu-nito dalla natura stessa di tutto ci che gli occorre l'Aquinate replica: certamente.per natura l'uomo ha una certa attitudine alla virt come abbiamo gi visto; una laperfezione di codesta virt viene da lui raggiunta mediante una disciplina. Del restovediamo che l'uomo fa fronte anche alle sue necessit di cibo e d vestiario mediantel'industria personale, di cui la natura offre i primi elementi, cio la ragione e le mani,non per il completo sviluppo, come negli altri animali, ai quali la natura offre gicompleto rivestimento e cibo. Ora l'uomo non risulta facilmente preparato in se stessoa tale disciplina. Poich la perfezione della virt consiste principalmente nel ritrarrel'uomo dai piaceri illeciti, che attirano di pi, specialmente i giovani, sui quali ladisciplina chiamata ad agire maggiormente. Perci necessario che gli uomini sianoapplicati da altri a codesta disciplina, per poter raggiungere la virt (I-II, q. 95, a. l).

    Per parlare della cultura nel senso di erudizione S. Tommaso si avvale soprattuttodei termini scientia e philosophia che, a suo giudizio, sono le forme pi elevate delsapere umano. L'analisi che egli fa di tale sapere cos acuta e la strutturazione cosperfetta che gli storici non esitano a dire che nel medioevo la filosofia della culturatocca con lui la vetta pi alta, in quanto S. Tommaso riesce a conferire alle cognizioniparziali della cultura classica e patristica una struttura unitaria, sintetizzante edorganica. M. Grabmann, che ha ricostruito abilmente le linee fondamentali dellafilosofia della cultura dell'Aquinate, dichiara che il suo merito principale di avereportato a compimento la grande missione della cultura del suo tempo: la valorizza-zione del pensiero aristotelico da poco riapparso, a vantaggio della Weltanschauungcristiana, della teologia e della filosofia. Per, si affretta a precisare lo stessoGrabmann, quella di S. Tommaso non una filosofia della cultura in senso moderno:In S. Tommaso la filosofia della cultura la deduzione, la dimostrazione e la criticadei valori e dei beni della cultura secondo i principi e i canoni metafisici e teologici delsistema (M. Grabmann, La filosofia della cultura secondo S. Tommaso, tr. it.,Bologna 1931, pp. 12-14). In effetti, come abbiamo visto, S. Tommaso studia la culturasoprattutto nella sua funzione pedagogica: come formazione della persona, attraversol'assimilazione di quei valori che maggiormente contribuiscono ad arricchirla e arealizzarla. Tali sono i valori del Vero, del Bene, del Bello e del Santo.S. Tommaso non ha nessuna familiarit con la cultura concepita come formaspirituale di un popolo, di una nazione, che il concetto pi moderno di cultura. Lafunzione della cultura intesa in questo modo diventata oggetto di ricercheapprofondite e sistematiche, dando origine a quella importante disciplina che sichiama antropologia culturale, soltanto verso la fine del XIX secolo (con Tylor, Boas,Durkheim ecc.). Lo studio di questo aspetto della cultura estremamente importante,perch quello che ci fa capire l'essere di una societ (popolo, nazione), la sua vita, suoi dinamismi, le sue strutture, il suo sviluppo, i suoi obiettivi, il suo ruolo nella

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    storia. uno studio fondamentale anche per la comprensione e la soluzione dinumerosi problemi, in particolare il problema del rinnovamento della cultura, ilproblema della inculturazione del messaggio cristiano, il problema della localizzazionedella Chiesa, il problema della natura della Chiesa stessa in quanto popolo di Dio ecc.Anche se l'Aquinate non ha elaborato nessuna filosofia della cultura in senso

    moderno, nella sua antropologia ha presentato un ricchissimo concetto dell'uomo, che d grandissimo aiuto nella costruzione di una filosofia della cultura intesa comeforma spirituale, ossia come anima della societ.

    (Vedi: CIVILTA, RELIGIONE)Desiderio (naturale)

    Si dice di qualsiasi inclinazione dellappetito, sia di quello sensitivo sia di quellointellettivo (volont) verso un bene (piacere, ricchezze, gloria, virt, verit, Dio).S.Tommaso lo collega normalmente alla inclinazione della volont: "Desiderium estinclinatio voluntatis in aliquod bonum consequendum" (C. G.,III, c. 26). Nella S.Scrittura questo termine presente nel significato di impulso, e corrisponde a quantonella filosofia greca (specialmente in Pitagora e Platone) va sotto il nome di"passioni"; per cui si hanno d. buoni e d. cattivi.

    Qualsiasi bene pu essere oggetto di desiderio, ma, ovviamente, lo in modospeciale il sommo bene, quel bene che appaga pienamente luomo e lo rendeperfettamente felice. Senonch c un bene (un fine ultimo) che inconoscibile anchedalla ragione (dai filosofi) e un bene (un fine ultimo) che pu essere conosciutosoltanto grazie a una speciale, divina rivelazione. S.Tommaso pone esplicitamente ladistinzione tra un bene (felicit) naturale e un bene (felicit) soprannaturale."Esistono per luomo due tipi di beatitudine o felicit.

    La prima, proporzionata alla natura umana, luomo pu raggiungerlamediante le risorse (per principia) della sua natura.

    La seconda, che sorpassa la natura umana, luomo pu raggiungerla soltantocon la grazia di Dio (sola divina virtute), mediante una partecipazione della divinit. Epoich questa seconda beatitudine supera le proporzioni della natura umana, lerisorse naturali di cui luomo dispone per ben operare secondo le sue capacit nonbastano a indirizzare luomo alla predetta beatitudine. Perci necessario che daparte di Dio vengano elargite altre forze che indirizzino luomo alla beatitudinesoprannaturale (ad beatitudinem supernaturalem), come dalle risorse naturali vieneindirizzato, sia pure con laiuto di Dio, al fine connaturale (ad finem connaturalem), equeste nuove forze si dicono virt teologali, sia perch hanno Dio per oggetto, essendonoi da esse indirizzati a Dio, sia perch sono infuse in noi d