weekly report n°19/2015
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Rassegna settimanale a cura dell'Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) // 5-11 luglio 2015TRANSCRIPT
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N°19, 5-11 LUGLIO 2015
ISSN: 2284-1024
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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo
Milano, 12 luglio 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Paolo Balmas Davide Borsani Agnese Carlini Giuseppe Dentice Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Violetta Orban Maria Serra Alessandro Tinti
Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net
Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma:
Weekly Report N°19/2015 (5-11 luglio 2015), Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano 2015, www.blo-global.net
Photo credits: Reuters; Department of Defense; Alamy; US Pacific Fleet/US Navy; Prime Minister of India; AFP; Thomas Hartwell/AP; Capital.
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FOCUS
EGITTO ↴
Alle 6,30 dell’11 luglio, un’auto parcheggiata nei pressi del Consolato italiano
al Cairo in Gala’a Street – una zona centrale della capitale – e carica di 450 chilo-
grammi di esplosivo è stata fatta esplodere distruggendo tutta una fiancata esterna
della sede diplomatica e danneggiando gran parte dell’edificio. Secondo i dati del
Ministero della Salute pubblica egiziana, nell’attentato è morto un poliziotto di
guardia alla struttura e vi sarebbero all’incirca una decina di feriti, soprattutto
passanti. Dopo l’esplosione due giornalisti freelance stranieri, David Degner e Ales-
sandro Accorsi, giunti per primi sul posto sono stati brevemente fermati e poi rilasciati
dalla polizia.
In base alle notizie diffuse dal portale di intelligence statunitense SITE, l’attacco
sarebbe stato rivendicato dal Wilayat Egypt (Provincia d’Egitto), una presunta
organizzazione affiliata allo Stato Islamico (IS). La rivendicazione ha scatenato una
serie di supposizioni sui motivi dell’attacco e sulla reale identità/esistenza della sup-
posta cellula, salita alle cronache per la prima volta nel panorama terroristico egi-
ziano. A differenza degli altri attacchi rivendicati da IS e in particolare dalla sua prin-
cipale branca, ossia il Wilayat Sinai (Provincia del Sinai, WS) – gruppo già noto come
Ansar Bayt al-Maqdis –, la paternità dell’attentato al Consolato italiano si di-
scosta dai precedenti anche per il lessico usato nel testo diramato su internet dal
gruppo: i “Soldati del Califfo” sarebbero i responsabili dell’atto. Una formula, questa,
inconsueta che rappresenterebbe tuttavia una novità non solo linguistica, ma che
lascerebbe trasparire, almeno, una tripla ipotesi sul soggetto in questione: 1) nuova
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sigla jihadista interessata all’affiliazione al Califfato; 2) soggetto che è già stato affi-
liato, ma che inizia a muoversi indipendentemente da WS, come una sorta di filiale
continentale egiziana rispetto al Sinai; 3) gruppo egiziano addestrato e formato in
Libia e ritornato nel Paese in funzione destabilizzatrice.
Oltre alla questione della rivendicazione permangono numerosi interrogativi anche
sulla reale volontà del gruppo di voler colpire l’Italia, lanciando così un preciso
segnale di avvertimento. Infatti, sebbene l’asse italo-egiziano sia molto forte su di-
verse questioni regionali e mediterranee (in primis Libia, contrasto al terrorismo ji-
hadista e migrazione clandestina), non è certo che il target finale dell’attacco
fosse necessariamente il Consolato italiano. Al vaglio degli inquirenti vi sono
altre ipotesi, come anche quella che l’edificio diplomatico italiano si trovi nei pressi di
un obiettivo ritenuto sensibile dai terroristi (un tribunale o un’altra Ambasciata di
primaria importanza). Ad ogni modo, dopo aver annunciato il rafforzamento dell’al-
leanza italo-egiziana e il fatto che «il nostro Paese non si farà intimidire dagli atten-
tati», il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha immediatamente programmato
un viaggio al Cairo per il 13 luglio dove incontrerà tutto il personale diplomatico
italiano in loco e dove terrà probabilmente un incontro privato anche con il Presidente
Abdel Fattah al-Sisi.
Proprio l’ex Feldmaresciallo e il governo retto dal Premier Ibrahim Mahlab in questi
giorni sono stati al centro di numerose polemiche per la loro volontà di dare un nuovo
duro colpo alle libertà civili inasprendo maggiormente la legge anti-terrorismo. Un
nuovo aggravio del dispositivo giuridico dovrebbe restringere maggiormente le libertà
di associazione e manifestazione oltre che aumentare anche le difficoltà per i giorna-
listi nel loro lavoro di documentazione e di riscontro delle fonti.
Nel frattempo nel Sinai continua l’operazione di counter-terrorism lanciata su
più fronti dal governo centrale per stanare e porre in sicurezza il nord della Penisola
vicino al confine israelo-gazawi. Da un lato sono stati intensificati i raid aerei contro
i miliziani (uccisi oltre duecento terroristi in pochi giorni), dall’altro si è operata una
nuova fase di sviluppo della buffer zone lungo il confine. Con una misura d’urgenza,
Il Cairo ha deciso di isolare e chiudere da qualsiasi tipo di comunicazione da e verso
l’esterno le città di al-Arish, Rafah e Sheikh Zuweid, nonché i loro immediati villaggi
nelle vicinanze. Sempre le autorità cairote nel tentativo di contenere l’insorgenza
islamista-beduina nella regione hanno chiesto aiuto agli Stati Uniti per acqui-
stare tecnologia militare e civile USA per i sistemi di sicurezza e di sorveglianza
da applicare lungo i confini con Israele. In sostanza, Il Cairo vorrebbe utilizzare nel
Sinai le medesime tecnologie statunitensi poiché ritenute le misure più adatte per
contenere l’afflusso di terroristi nella Penisola.
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GRECIA ↴
A meno di 48 ore dai risultati del referendum greco del 5 luglio, che ha decretato
la vittoria del “No” (61%) al progetto di accordo presentato da Commissione eu-
ropea, BCE e FMI nell'Eurogruppo del 25 giugno, l’Eurogruppo si è riunito a Bruxelles
per procedere ad uno scambio di opinioni sulla via da seguire. Al termine della riu-
nione del 7 luglio, il Presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, ha annunciato
che il governo ellenico avrebbe presentato un nuovo piano di riforme e una conse-
guente nuova richiesta di assistenza finanziaria da parte del Meccanismo Europeo di
Stabilità (MES). La richiesta sarebbe dovuta pervenire entro l’8 luglio.
A sole due ore dalla scadenza dei termini annunciati, Tsipras ha presentato il suo
pacchetto di riforme di 13 pagine, intitolato “Azioni prioritarie e impegni”, per un
valore complessivo di 12 miliardi di euro (ben 4 miliardi di euro di tagli in più rispetto
a quanto richiesto dall’Eurogruppo con il piano proposto il 25 giugno). Dalle prime
indiscrezioni, gli impegni presi sembrano essere quelli già richiesti dall’Eurogruppo
con la proposta del 25 giugno. Prima di tutto la cornice in cui si muoveranno le spe-
cifiche riforme sarà quella di un risanamento del bilancio: la Grecia si impegna a
rispettare gli obiettivi in merito all’avanzo primario così come previsti nel piano del
25 giugno (dall’1% al 3,5% nel triennio 2015-2018). In riferimento alle riforme
specifiche, il piano greco sembra prevedere: abolizione degli sconti del 30%
sull’IVA per le isole più ricche e turistiche entro il 2016, aumento dell’aliquota al 23%
per ristoranti e catering, al 13% per gli alberghi e al 6% per medicine, libri e i biglietti
teatrali; salgono a 300 milioni di euro i tagli alla difesa da concludersi gradualmente
entro il 2016; deregolamentazione di certe professioni (ingegneri, notai, ecc.) e del
settore del turismo; immediato aumento dal 10% al 13% delle tasse sui beni di lusso
e sulla pubblicità in televisione, passano poi dal 16% al 28% le tasse sulle imprese e
per gli armatori; aumento del contributo di solidarietà sul reddito e se necessario
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della tassa sugli immobili dopo la revisione catastale; rilancio del programma di pri-
vatizzazioni, che lo stesso Tsipras aveva bloccato appena arrivato al governo, com-
presi gli aeroporti e i porti del Pireo e di Tessalonica; riforma delle pensioni entro il
2022 che comprende sia un taglio progressivo delle cosiddette “baby pensioni”, so-
prattutto tramite la creazione di un sistema di disincentivi, sia l’aumento dell’età pen-
sionabile da portare a 67 anni o a 61 anni con 40 anni di contributi; ridimensiona-
mento degli stipendi entro il 2019 sulla base delle responsabilità e delle prestazioni
del lavoratore e infine un sistema maggiormente strutturato ed efficiente di lotta alla
corruzione e all’evasione fiscale. Sembra sia previsto, inoltre, anche una ristrut-
turazione del debito greco ma non si sa ancora nulla sulla forma assunta da tale
ristrutturazione, se sia stato previsto un allungamento delle scadenze o un taglio del
valore nominale del debito greco. In cambio dell’implementazione di questo pacchetto
di riforme la Grecia chiede ai creditori 53,5 miliardi per poter onorare i prestiti
fino a giugno del 2018 anche se secondo le prime stime nelle ultime settimane la
situazione greca si è aggravata a tal punto che il piano di Tsipras richiederebbe un
prestito di almeno 74 miliardi di euro per poter essere realmente implementato.
Affinché il governo potesse negoziare con i creditori, il pacchetto di riforme è stato
presentato in Parlamento di Atene, il quale nella notte del 10 luglio ha votato
parere favorevole. Tuttavia, proprio un’analisi della votazione in seno al Parlamento
può spiegare il reale valore del referendum del 5 luglio: dai primi conteggi pare che
due deputati del partito di governo Syriza abbiano votato contro la mozione, sette si
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siano astenuti e otto abbiamo votato “presente” invece di “si”, il che equivale ad una
forma di astensione. Tra i deputati astenuti l’ex Ministro delle Finanze Yanis Va-
roufakis, dimessosi poche ore dopo l’esito del referendum e poi sostituito da
Euclide Tsakalotos, già capo negoziatore della missione greca con il Gruppo di Bru-
xelles (già nota come troika). Pare dunque che Tsipras abbia giocato la carta del
referendum non tanto per una volontà di sfida nei confronti dei creditori quanto per
una necessità di rafforzare le proprie posizioni interne sia nei confronti dei partiti di
opposizione ma probabilmente anche nei confronti del proprio partito. Tuttavia il colpo
di mano di Tsipras non è rimasto senza conseguenze in quanto ha sollevato innega-
bilmente un problema di fiducia e di credibilità nei confronti di Atene che ha senza
dubbio reso maggiormente rigide le posizioni europee.
Il cauto ottimismo dei giorni successivi alla presentazione del piano di riforme,
emerso sia dalle parole di Dijsselboem, sia da quelle dei Paesi “amici” della Grecia,
(Italia, Francia, Cipro e Malta), ha lasciato il posto nuovamente all’incertezza e a
possibili conferme dello scenario più temuto, quello del Grexit. Nessun accordo,
infatti, è stato raggiunto durante la riunione dell’Eurogruppo di sabato 11
luglio tanto che l’Eurogruppo si è riunito nuovamente domenica mattina 12 per cer-
care di raggiungere un compromesso. Dalle riunioni è emersa soprattutto la netta
indisponibilità tedesca e in particolare del suo Ministro delle Finanze, Wol-
fgang Schäuble, ad accettare un piano di ristrutturazione del debito greco
così come proposto da Tsipras. Dei 286 miliardi di euro che la Grecia deve ai
creditori pubblici (Stati dell’Eurozona, BCE e FMI), la quota più alta del debito greco,
57,23 miliardi, è detenuta proprio dalla Germania, seguita dalla Francia con 42,98
miliardi di euro e poi da Italia con poco meno di 40 miliardi di euro. Secondo alcune
indiscrezioni di stampa, Schäuble ha proposto un Grexit limitato a 5 anni, pe-
riodo nel quale Atene dovrebbe procedere autonomamente ad una ristrutturazione
del debito. Da più parti si è sostenuta l’impraticabilità di una simile soluzione in
quanto non prevista in alcun modo dai trattati. Altra proposta che sembra essere
stata avanzata dalla Germania è quella di una garanzia di un prestito europeo
tramite i beni immobili greci. A sostenere la posizione tedesca vi sono numerosi
Paesi come la Finlandia – il Parlamento nazionale ha negato l’autorizzazione al go-
verno a negoziare un nuovo salvataggio per la Grecia –, la Slovacchia, i Paesi Bassi
e infine il Portogallo. Oltre a non voler farsi carico dei debiti di Atene, Lisbona si è
fatta portavoce del malcontento di quei Paesi come l’Irlanda e Cipro che nel recente
passato hanno subito una diverso trattamento nelle loro crisi economiche. Assoluta-
mente contrario ad una ristrutturazione del debito anche il FMI.
I lavori dell’Eurogruppo continueranno fin quando non si sarà giunti ad un
compromesso che possa, in termini economici, rispondere alla sfida della liquidità,
dell’aumento non più sostenibile del debito pubblico, delle scadenze (il 20 luglio la
Grecia dovrà rimborsare 4,2 miliardi di euro alla BCE) e dei nuovi prestiti e, sul piano
politico, possa perlomeno ricostruire un livello di fiducia tale da costituire la premessa
per un successivo negoziato con Atene. Intanto, il Presidente del Consiglio europeo,
Donald Tusk, ha cancellato il summit straordinario a 28 originariamente convocato
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per il pomeriggio di domenica 12 luglio. Rimane invece in calendario l’Eurosummit
dei Capi di Stato e di Governo dell’Eurozona. La cancellazione significa, da un lato,
che non si giungerà ad una decisione drastica e definitiva sulla Grecia perlomeno nella
giornata di domenica dato che tale decisione spetta al vertice politico a 28; ma signi-
fica anche che il vertice dell’Eurogruppo sarà molto più lungo del previsto e che dun-
que i tempi decisionali saranno fortemente dilatati. A questo punto è logico
presumere che l’Europa chiederà ad Atene di approvare e avviare immediatamente,
entro una settimana, almeno alcune riforme (tra cui soprattutto aumento dell’IVA,
riforma delle pensioni e privatizzazioni) per dare qualcosa di concreto all’Europa su
cui lavorare e su cui, soprattutto, ricostruire la fiducia persa.
Nel frattempo sul piano interno ellenico, dopo aver annunciato inizialmente la riaper-
tura delle banche nella giornata di lunedì 13, Tsakalotos ha posticipato ancora una
volta l’apertura senza indicare una data precisa. Del resto l’ipotesi è che, anche qua-
lora le banche dovessero riaprire in settimana, si continuerebbe a mantenere uno
stretto controllo sui prelievi probabilmente anche per i prossimi 6 mesi. Le banche
greche sembrano ormai prossime al fallimento ma la crisi di liquidità verso cui
si sta avviando la Grecia non farebbe altro che aggravare irrimediabilmente la crisi
dell’economia reale. Da tutto questo il governo Tsipras difficilmente potrà uscirne
indenne: la crisi ormai ingestibile sembra verosimilmente poter portare ad un rimpa-
sto del governo.
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RUSSIA ↴
La città russa di Ufa, capitale della Repubblica di Baschiria, ha ospitato dall’8 al 10
luglio il VI Vertice dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) e quello
dei Paesi appartenenti alla Shanghai Cooperation Organization (SCO). Si è
trattato di due appuntamenti importanti a cui hanno partecipato diversi importanti
attori mondiali, ad esclusione dei Paesi occidentali, come l’Iran – già osservatore della
SCO e interessata all’ingresso nella stessa –, l’India e il Pakistan. I vertici sono stati
organizzati in maniera consequenziale perché la Russia, al momento, è Presidente di
turno di entrambe le organizzazioni.
I BRICS hanno adottato, nella giornata del 9 luglio, la “Dichiarazione di Ufa”, in
cui hanno delineato una posizione comune su una vasta gamma di questioni politiche
ed economiche internazionali. In particolare, gli Stati membri hanno sostenuto
una politica e una soluzione diplomatica al conflitto in Siria «attraverso un
ampio dialogo tra le parti che rifletta le aspirazioni di tutti i settori della società siriana
e garantisca i diritti di tutti i siriani [...] senza precondizioni e interferenze esterne».
I BRICS quindi si impegnano a rafforzare la cooperazione nella lotta al terrori-
smo internazionale, dando un ruolo centrale in questa azione alle Nazioni Unite,
sottolineando che qualsiasi azione intrapresa contro il terrorismo dovrà essere con-
dotta nel quadro del diritto internazionale. Uno dei punti chiave è in questo senso la
dichiarazione contro lo Stato Islamico (IS) e gli altri gruppi terroristi, che ven-
gono condannati «in tutte le forme e manifestazioni, nei continui, diffusi e gravi abusi
di diritti umani e violazioni del diritto umanitario internazionale».
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Per quanto riguarda il Medio Oriente, vengono sollecitate Israele e Palestina a
raggiungere una soluzione a due Stati per risolvere il conflitto, condannando
Israele per la costruzione di insediamenti in Cisgiordania.
Dai BRICS è giunta una proposta di road map degli investimenti che prevede la
realizzazione di 37 progetti in vari settori, con la creazione di una Associazione
dell’energia, nel cui ambito creare anche una Banca di riserva dei combustibili e un
Istituto BRICS per la politica energetica. Secondo le dichiarazioni rilasciate da Putin
al termine del Vertice BRICS, i Paesi partecipanti hanno trovato un accordo su molte
delle questioni riguardanti la politica mondiale, in particolare vi è stato l’appoggio
dei Paesi BRICS alla Russia per quanto riguarda la questione ucraina, che
deve trovare soluzione nella piena attuazione degli accordi di Minsk.
Per quanto riguarda il vertice SCO, iniziato subito dopo la conclusione di quello dei
BRICS, la maggiore novità riguarda certamente l’ingresso di Pakistan e India
nell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Per la prima volta la SCO
accoglie nuovi membri, un allargamento strategico d’importanza fondamentale per i
piani futuri. Pur partendo da due obiettivi diversi, l’integrazione di New Delhi e Isla-
mabad si rende necessaria nell’affrontare questioni fondamentali inerenti sicurezza e
sfide strategiche comuni. Il persistere dell’instabilità afghana rappresenta un pro-
blema di primaria importanza per l’Asia Centrale e pertanto necessita di una stabiliz-
zazione interna direttamente collegata alle vicissitudini indo-pachistane. Putin ha
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criticato il lavoro fatto dalla NATO in Afghanistan che ha ufficialmente terminato
la sua missione lo scorso anno senza risolvere appieno i problemi del Paese centroa-
siatico. In tal senso il trattato sulla cooperazione dei confini (Border Coopera-
tion Agreement), firmato da tutti i membri SCO, mira ad indebolire gli estremismi
religiosi presenti nel Paese e a ridurre drasticamente i ricavati dal traffico della droga:
indirettamente punta a combattere in maniera efficace tutti i tipi di estremismi, in
particolare il potenziale pericolo derivante da un’espansione dell’IS nelle regioni
dell’Asia Centrale e del Caucaso. Al termine del Vertice, i leader della SCO hanno
siglato una dichiarazione, in cui sottolineano la necessità di lavorare per la crea-
zione di una Banca per lo Sviluppo e di un fondo di stabilità all’interno dell’orga-
nizzazione di Shanghai. Inoltre è stato fornito pieno appoggio alla Cina per la sua
proposta di creare una nuova Via della Seta economica.
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BREVI
CINA, 8 LUGLIO ↴
Dopo una crescita del 150% in un anno a partire dal
giugno 2014, il 12 giugno 2015 è iniziato nelle borse
di Shanghai e Shenzhen un rapido crollo che ha
interessato soprattutto i piccoli investitori e quelli
entrati nel mercato negli ultimi mesi. In un solo giorno
la borsa di Shanghai ha perso l’8% (il 25% nell’ultimo
mese) a causa del rallentamento congiunturale e dello scoppio della bolla speculativa.
Il crollo cinese ha avuto immediate ripercussioni sugli altri listini asiatici, con un calo
del 5,8% di quello di Hong Kong e del 3,14% di quello di Tokyo. L’instabilità sulle
piazze asiatiche crea apprensione a livello internazionale, in un contesto di
interdipendenza e volatilità dei mercati finanziari e di incertezza sull’evoluzione della
crisi greca. La Banca Centrale cinese (People’s Bank of China) ha annunciato nuovi
impegni per la stabilità e l’iniezione di ampia liquidità al mercato, mentre il governo
ha promesso interventi per contenere la situazione. Alcuni analisti osservano la
cattiva allocazione di capitali nel settore immobiliare cinese, che ha condotto alla
creazione di intere città fantasma e alla costruzione di in eccessivo numero di case e
appartamenti, portando a una diminuzione dei prezzi degli immobili. La conseguente
fuga di molti piccoli azionisti dal mercato immobiliare verso gli investimenti finanziari
si sta verosimilmente rivelando insostenibile.
IRAQ/SIRIA, 5 LUGLIO ↴
Lo Stato Islamico (IS) insiste in azioni offensive di
grande intensità nei molteplici fronti iracheni. I
guerriglieri islamisti sono tornati a imperversare
nell’area contesa di Baiji, riprendendo possesso dei
quartieri di Asri e Tamim e costringendo le forze di
sicurezza irachene a ripiegare dal centro urbano. La
pressione jihadista e l’estensione dei combattimenti hanno sollecitato l’invio di rinforzi
da Tikrit, mentre i caccia statunitensi e iracheni hanno aumentato la frequenza dei
passaggi su Baiji. Contestualmente, l’IS è tornata a ingaggiare i Peshmerga curdi
muovendo un importante attacco di terra su Kirkuk. Secondo le autorità di Erbil, circa
seicento miliziani islamisti hanno preso parte all’azione. Sostenuti dai combattenti
curdi del YPG siriano e del PKK turco, i Peshmerga iracheni sono stati impegnati dai
miliziani jihadisti in una serie di scontri anche nel Sinjar, a ovest di Mosul. Infine, il
Califfato ha mobilitato i propri effettivi verso Haditha, ossia l’unica città nel deserto
dell’Anbar che resta in pieno controllo delle forze di sicurezza irachene. Per questa
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ragione, il governo presieduto da Haider al-Abadi ha disposto l’integrazione dei corpi
speciali nei ranghi dell’esercito regolare e delle milizie volontarie sunnite impegnate
nella repressione dei ripetuti assalti dinamitardi lanciati dai guerriglieri islamisti. Dalla
radicalizzazione dell’insorgenza jihadista la protezione della diga di Haditha
rappresenta un obiettivo strategico primario per le parti in conflitto, ma la rinnovata
attenzione estremista è pure motivata dal tentativo di distogliere le forze di sicurezza
irachene dallo scenario di Falluja, dove il Comando operativo dell’Anbar dal 5 luglio
ha moltiplicato gli sforzi nel quartiere di Saqlawiya allo scopo di interdire le linee di
comunicazione con il capoluogo Ramadi – anch’esso sotto controllo degli estremisti.
Anche la leadership del Fronte di Mobilitazione Popolare ha individuato in Falluja la
chiave di volta della controffensiva nella provincia sunnita, ma i gruppi paramilitari
sciiti sono in larga parte slegati dalla catena di comando di Baghdad. Intanto la Corte
Suprema ha condannato alla pena capitale ventiquattro membri dell’IS sospettati di
aver partecipato nel giugno 2014 al massacro dei soldati iracheni di stanza a Camp
Speicher, nei pressi di Tikrit. Il Califfato allora denunciò e documentò l’esecuzione di
circa 1700 individui, dei quali 470 sono stati poi recuperati in distinte fosse comuni
dalle forze di sicurezza irachene. In Siria le truppe governative e le milizie di
Hezbollah hanno intrapreso il 2 luglio una pesante offensiva su Zabadani, città in
mano alle formazioni ribelli e di elevato valore strategico poiché prossima al confine
libanese e in posizione intermedia tra Damasco e le retrovie di Hezbollah. Tutto il
Paese è tuttavia interessato da violenti scontri tra le numerose fazioni che contendono
il territorio siriano.
OPERAZIONI SUL CAMPO IN IRAQ - FONTE: INSTITUTE FOR THE STUDY OF WAR
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PACIFICO, 7 LUGLIO ↴
Per la prima volta le forze armate di Giappone e Nuova
Zelanda hanno partecipato alla più grande
esercitazione militare congiunta tra USA ed Australia,
la “Talisman Sabre”. Il vice Ammiraglio David Johnston
ha tenuto a sottolineare come l’inclusione di questi due
Paesi permetterà al sistema di difesa australiano di
interagire con le controparti degli Stati vicini, senza
intaccare la bilateralità dell’esercitazione. “Talisman Sabre”, condotta dalla 7° brigata
australiana, ha coinvolto ventuno navi, tre sottomarini, duecento aerei e più di
trentamila persone. La Nuova Zelanda ha partecipato con due navi da guerra e due
elicotteri NH90, che non erano mai stati utilizzati al di fuori del territorio nazionale.
Il Giappone dal canto suo ha inviato un contingente specializzato delle forze anfibie
che già in precedenza avevano partecipato ad operazioni congiunte con la marina
statunitense. L’esercitazione avviene in un momento delicato per la regione dell’Asia-
Pacifico, con lo scopo di mandare un segnale forte e chiaro di una solida ed efficiente
collaborazione per il mantenimento della pace e della sicurezza. Alcuni esperti, tra
cui il Professor Richard Tanter, del Nautilus Institute for Security and Sustainability,
hanno fortemente criticato l’esercitazione constatando che tali azioni hanno mandato
un messaggio provocatorio ai Paesi limitrofi.
STATI UNITI, 6 LUGLIO ↴
In attesa dell’ufficialità, funzionari del Pentagono
hanno anticipato ad alcune agenzie di stampa che
l’Esercito degli Stati Uniti verrà ridotto nell’arco dei
prossimi due anni di circa 40.000 soldati arrivando,
entro il 2017, a circa 450.000 effettivi; cifra più bassa
di sempre dagli anni della Seconda Guerra Mondiale e
inferiore di oltre 100.000 uomini rispetto a soli tre anni
fa. A subire i tagli non saranno, però, solo i militari. Anche il personale civile, infatti,
verrà ridotto tagliando circa 17.000 persone tra impiegati e funzionari. Nel frattempo,
ad inizio luglio il Capo degli Stati Maggiori della Difesa, Martin Dempsey, e il
Segretario alla Difesa, Ashton Carter, hanno presentato al pubblico la nuova edizione
della National Military Strategy, la quale rivede e modifica quella precedente datata
2011. Secondo quanto scritto da Dempsey, l’aggiornamento è stato reso necessario
non solo dal fatto che «il disordine nel mondo è considerevolmente aumentato», ma
anche perché gli americani hanno iniziato «a perdere alcuni dei [loro] vantaggi in
campo militare. L’America mantiene ancora la supremazia globale» rimanendo «la
nazione più potente del mondo», ma «altri Stati stanno investendo molto nelle loro
capacità militari» riducendo rapidamente il gap. I Paesi che minacciano oggi
Washington sono ben indicati nella National Security Strategy (NSS): la Russia,
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anzitutto, che viene etichettata come “Stato destabilizzatore” dell’ordine
internazionale, ma anche l’Iran (nonostante il recente tentativo di rapprochement),
la Corea del Nord e la Cina, mentre tra gli attori non statuali più pericolosi per gli USA
compare naturalmente lo Stato Islamico. La NSS sottolinea, comunque, che una
guerra convenzionale da parte degli Stati Uniti contro un’altra potenza rimane una
possibilità remota, a differenza di quella più probabile rappresentata dai conflitti
ibridi, che combinano strumenti asimmetrici con quelli simmetrici, e da quella
totalmente asimmetrica contro organizzazioni di stampo terroristico.
TUNISIA, 8 LUGLIO ↴
A pochi giorni dalla strage di Sousse e dall’introduzione
di uno stato di emergenza di 30 giorni esteso a tutto il
territorio nazionale, il governo tunisino ha annunciato
una nuova misura di contrasto al terrorismo jihadista
ormai imperante in gran parte dell’Africa
mediterranea. Durante una conferenza stampa il
Premier Habib Essid ha comunicato che l’esercito tunisino costruirà una barriera
difensiva di 168 chilometri lungo il confine condiviso con la Libia che sarà completata
entro la fine dell’anno in corso. La misura è stata motivata dalle autorità come
necessaria a proteggere il Paese dalle infiltrazioni jihadiste, tanto più alla luce dei
recenti attentati contro il museo del Bardo a Tunisi e dei resort a Sousse, nei quali
sono morte circa settanta persone. Secondo l’intelligence locale la maggior parte degli
attentatori, di nazionalità tunisina, si sarebbero formati e addestrati militarmente
nella vicina Tripolitania da dove, attraverso i checkpoint di frontiera, si sarebbero
infiltrati nel Paese nordafricano. Sebbene il confine libico rappresenti uno dei
principali motivi di insicurezza per la Tunisia, le maggiori minacce alla stabilità del
Paese provengono soprattutto dall’ampia frontiera condivisa con l’Algeria, dove
nell’area dei Monti Chaambi sarebbero operative alcune cellule islamiste, come Okba
ibn Nafaa o Jund al-Khilafa – rispettivamente più o meno legate ad al-Qaeda nel
Maghreb Islamico e allo Stato Islamico –, già responsabili di numerosi attentati contro
le forze dell’ordine e di sicurezza locali.
UNGHERIA, 6 LUGLIO ↴
Con 151 voti a favore contro i 41 negativi, il Parlamento
ungherese ha approvato un pacchetto di leggi anti-
immigrazione che prevede la realizzazione di un muro
spinato alto 4 metri lungo i 175 Km di confini condivisi
con la Serbia, già annunciato lo scorso mese dal
Ministro degli Esteri Peter Szijjarto. La recinzione, che
dovrebbe costare circa 10 miliardi di fiorini (32 milioni
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di euro), è secondo il Premier Viktor Orban una misura temporanea in attesa che
l’Unione Europea riesca a trovare una soluzione del problema immigrazione e a
giungere ad una posizione comune sulla questione relativa alle quote di accoglienza.
Più in generale la normativa, che modifica una già esistente sull’immigrazione,
velocizzerà in particolare i tempi per lo screening delle domande di asilo e concederà
la possibilità di respingere le domande di migranti provenienti da Afghanistan, Iraq e
Siria che siano passati attraverso Paesi “sicuri” senza richiedere alloggio lì. La riforma
prevede anche una disposizione che consentirà di revocare le richieste di asilo per i
migranti che lasceranno il luogo di assegnazione dell’Ungheria per più di 48 ore senza
autorizzazione, questo al fine di evitare il ripetersi di casi di rifugiati che, dopo aver
ottenuto asilo, lascino il Paese per dirigersi verso l’Europa occidentale. Ciò dovrebbe
di fatto accelerare le misure di espulsione degli immigrati dall’Ungheria in risposta al
numero record di migranti e rifugiati giunti nei primi 6 mesi del 2015 (secondo le
stime del governo sarebbero almeno 72mila gli ingressi illegali). In una lettera aperta
ai legislatori ungheresi, Montserrat Feixas Vihe, Rappresentante regionale per
l’Europa Centrale presso l’UNHCR, ha criticato gli emendamenti in quanto non
garantirebbero sufficienti standard umanitari e morali, ma Orban – impegnato nella
lotta all’immigrazione clandestina proveniente dal cosiddetto “corridoio balcanico” –
ha respinto le accuse dichiarando che non sono state prese sufficienti misure in
Europa per scoraggiare i fenomeni migratori.
VATICANO/AMERICA LATINA, 5-13 LUGLIO ↴
Con l’ultima tappa in Paraguay (in corso di
svolgimento), Papa Bergoglio concluderà il suo viaggio
apostolico in Sud America, il più lungo viaggio del suo
pontificato, durato ben 8 giorni. Papa Francesco è
partito alla volta di Quito, capitale dell’Ecuador, il 5
luglio e farà rientro a Roma il 13 luglio. Nella sua prima
visita in Ecuador ha celebrato due messe, a Quito, nel
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parco del bicentenario, e a Guayaquil, la capitale finanziaria del Paese, ed in entrambe
le occasioni è stato seguito da una folla oceanica. Nel suo discorso, davanti al
Presidente ecuadoriano Correa, il Papa ha chiesto equità e fine delle ineguaglianze,
scagliandosi contro l’individualismo «che ci separa e ci pone l’uno contro l’altro». In
Bolivia, davanti al Presidente Evo Morales e ad una folla di due milioni di persone,
che lo accoglie calorosamente nella piazza del Cristo Redentore di Santa Cruz, il
Pontefice si è scagliato nuovamente contro l’ingiustizia che «sembra non avere mai
fine e che crea disillusione, tristezza e amarezza». Molto toccante è stata la visita che
Bergoglio ha voluto fare al luogo in cui è stato ucciso, il 21 marzo del 1980, il gesuita
Luis Espinal, difensore dei minatori, rapito il giorno prima dai paramilitari del
sanguinoso dittatore Luis Garcia Meza. La mattina dell’11 luglio il Papa è giunto ad
Asuncion, capitale del Paraguay: qui Bergoglio è stato accolto con gli onori militari e
celebrazioni in lingua guaranì, la lingua indigena riconosciuto come idioma ufficiale al
pari dello spagnolo. Il suo primo discorso pubblico lo ha tenuto, dopo una visita di
cortesia al Presidente Horacio Cortes, dinanzi al corpo diplomatico riunitosi nel
Palazzo presidenziale. Ha ricordato che il Paese ha superato periodi difficili, guerre e
dittature, grazie all’esempio di semplici paraguayani e al sacrificio delle donne che
«sulle loro spalle di madri, mogli e vedove hanno portato il peso più grande».
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ALTRE DAL MONDO
ALGERIA, 5-8 LUGLIO ↴
Almeno 35 persone sono morte a seguito degli scontri avvenuti a Ghardaia, Guerrera
e Berianne, nel sud del Paese, tra la comunità berbera mozabita e i gruppi arabofoni
dell’area. Come riferisce l’agenzia di stampa nazionale APS, questo episodio rappre-
senta il dato più pesante dell’ultimo biennio, ossia da quando nel Paese è ripresa la
lotta inter-etnica tra i gruppi berberi e quelli arabi, quest’ultimi accusati di occupare
elitariamente tutti i gangli del potere ponendo le popolazioni Amazigh in una condi-
zione di marginalizzazione politica ed economica. Nel tentativo di ristabilire l’ordine
pubblico nelle città ribelli, il governo di Algeri ha deciso sia di inviare oltre 4.000
uomini delle forze di sicurezza (militari e poliziotti) sia di nominare una commissione
d’inchiesta che faccia luce sull’escalation di incidenti tra le due comunità etniche.
ARABIA SAUDITA, 9 LUGLIO ↴
La famiglia reale ha annunciato la morte all’età di 75 anni dell’ex Ministro degli Esteri
Saud al-Faisal. Figlio di Re Faisal, il Principe è stato a capo della diplomazia del Regno
dal 1975 fino alla sostituzione nel dicastero con l’ex Ambasciatore saudita negli Stati
Uniti, Adel al-Jubeir, in occasione dell’ultimo rimpasto di governo. Al-Faysal, da
tempo malato, era stato nominato consigliere e inviato speciale del Re e supervisore
per gli affari esteri.
BOSNIA ERZEGOVINA, 8 LUGLIO ↴
A nulla è servito posticipare di 24 ore la votazione in seno al Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite circa l’approvazione di una Risoluzione riguardante la qualifica-
zione del massacro di Srebrenica quale crimine di genocidio proprio in occasione del
ventesimo anniversario dei tragici fatti (11 luglio). Come annunciato, infatti, la Russia
ha posto il veto, ex art. 27 dello Statuto delle Nazioni Unite, in qualità di membro
permanente del CdS alla bozza di Risoluzione bloccandone definitivamente l’adozione
nonostante i 10 voti a favore (4 invece gli astenuti: Cina, Nigeria, Angola e Vene-
zuela). «Adottare questa risoluzione al Consiglio di Sicurezza sarebbe stato contro-
producente e avrebbe potuto portare a maggiori tensioni nella regione», questa la
ratio del veto così come emerge dalle parole dell’Ambasciatore russo all’ONU, Vitaly
Churkin, che ha definito la bozza «non costruttiva, aggressiva e politicamente moti-
vata». Il governo serbo ha condannato le violenze commesse a Srebrenica arrivando
nel 2010 ad adottare una dichiarazione di condanna, ma rifiuta tenacemente l’idea
che si sia trattato di un genocidio. L’appoggio della Russia a Belgrado, del resto, si
inserisce in una storia millenaria di amicizia tra i russi e i serbi ma anche probabil-
mente in una logica di contrapposizione al “blocco occidentale” in seno al Consiglio di
Sicurezza.
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BURUNDI, 8 LUGLIO ↴
Una settimana dopo lo svolgimento delle elezioni legislative e comunali, la Commis-
sione elettorale ha reso noti i risultati di questa votazione molto contestata. Data
l’assenza dei partiti di opposizione, il partito del Presidente Pierre Nkurunziza, il
CNDD-FDD, ha vinto le elezioni, ottenendo 77 seggi su 100 disponibili nell’Assemblea
Nazionale. Il tasso di partecipazione è stato del 75%, un dato molto alto se si consi-
dera che le proteste nel Paese vanno avanti da mesi, ma più basso del dato delle
elezioni comunali del 2010, dove si era raggiunto il 90%.
COLOMBIA, 7 LUGLIO ↴
Cambio ai vertici militari nel Paese andino: il generale Alberto Mejìa Ferrero ha sosti-
tuito il parigrado Jaime Alfondo Lasprilla; il comandante della marina, l’ammiraglio
Hernando Wills è stato sostituito dal vice ammiraglio Leonardo Santamaria e infine,
il capo dell’aeronautica, il generale Guillermo Leon è stato sostituito dal parigrado
Carlos Bueno Vargas. Il cambio è stato voluto dal Presidente Juan Manuel Santos
dopo la pubblicazione, il 24 giugno, del report dell’ONG Human Rights Watch dal titolo
Evidence of Seniorn Army officers’ Responsibility for false positive killings in Colom-
bia. Secondo quanto pubblicato dall’ONG, i militari colombiani hanno ucciso per anni
migliaia di civili facendoli passare per guerriglieri così da gonfiare il numero dei ribelli
uccisi e ottenere in questo modo promozioni e riconoscimenti. Nel rapporto, che
prende in considerazione il periodo che va dal 2006 a oggi, sarebbero più di 200 le
uccisioni extragiudiziali commesse dalla 4° e dalla 9° Brigata.
GERMANIA, 8-9 LUGLIO ↴
Il Cancelliere tedesco Angela Merkel si è recata in visita ufficiale in Albania, Serbia e
Bosnia con lo scopo di rassicurare i partner balcanici sulla loro prospettiva di ingresso
nell’Unione Europea. In un momento di incertezza politica dovuta alle vicende della
Grecia – a cui peraltro i Paesi dell’area sono esposti –, oltre che ai crescenti investi-
menti stranieri nei principali asset economici di questi stessi e alle continue minacce
per la sicurezza (dovute all’aumento dei toni nazionalistici, della corruzione e di fe-
nomeni legati al terrorismo), la missione della Merkel – annunciata lo scorso anno
nel corso della Conferenza di alto livello a Berlino sui Balcani Occidentali – ha assunto
una particolare rilevanza per l’impegno europeo nella regione.
GUATEMALA, 7 LUGLIO ↴
Secondo la perizia del National Forensic Science Institute, ente pubblico autonomo
guatemalteco, l’ex generale Efrain Rios Montt, 89 anni, non sarebbe in grado di poter
assistere né fisicamente, né psicologamente ad alcuna seduta giudiziaria nel nuovo
tentato processo contro la sua persona. Rios Montt, che ha governato il Guatemala
tre il 1982 e il 1983, è stato riconosciuto colpevole di genocidio e crimini di guerra il
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10 maggio 2013 e condannato a 80 anni di carcere, ma è tornato in libertà a sole due
settimane dalla precedente sentenza annullata per vizi procedurali dalla Corte costi-
tuzionale. Un nuovo processo avrebbe dovuto avere luogo a luglio. Dopo la perizia
proprio l’avvio del procedimento è messo in discussione: il tribunale che gestisce il
caso dovrà preliminarmente decidere se accettare o meno la perizia della difesa. Sol-
tanto in caso di rigetto della stessa il dibattito potrà, infatti, avere luogo.
KENYA, 7 LUGLIO ↴
Nel nord est del Paese, alcuni uomini armati hanno attaccato il villaggio di Soko
Mbuzi, situato nei pressi della frontiera con la Somalia. L’attacco, come indicato da
un responsabile della sicurezza kenyana sul suo profilo Twitter, è iniziato la mattina
presto, con alcuni combattenti di al-Shabaab che hanno attaccato il villaggio, ucci-
dendo 14 persone, principalmente lavoratori di una fabbrica locale.
KUWAIT, 9 LUGLIO ↴
Tre fratelli di nazionalità saudita sono stati arrestati per il coinvolgimento nell’atten-
tato terroristico che lo scorso 26 giugno ha provocato la morte di ventisette persone
nella moschea sciita di al-Imam al-Sadeq nella capitale. Le indagini condotte con-
giuntamente con le autorità saudite hanno portato all’identificazione di oltre 20 so-
spettati legati alla cellula saudita dello Stato Islamico, il Wilayat Najd (Provincia del
Najd). Gli arrestati, un cui quarto fratello combatte in Siria sotto le insegne del Calif-
fato, hanno confessato di aver ottenuto l’esplosivo dal Bahrain.
IRAN, 10 LUGLIO ↴
Proseguiranno fino al 13 luglio prossimo i negoziati sul dossier nucleare iraniano a
Vienna tra i rappresentanti di Teheran e quelli del P5+1. Il nuovo nodo che impedisce
di siglare l’accordo risulta essere quello dell’intera e immediata cancellazione delle
sanzioni economiche e militari che gravano sull’Iran. «Le sanzioni militari devono
essere abolite, questa è la posizione dell’Iran, della Russia e della Cina», ha affermato
un diplomatico iraniano. I Paesi europei e gli Stati Uniti vi si oppongono. Una fonte
europea ha espresso sorpresa per la richiesta di Teheran e ha dichiarato che «l’abo-
lizione dell’embargo militare non è mai stata in agenda».
LIBIA, 8-9 GIUGNO ↴
I rappresentanti dei due governi libici sono tornati a riunirsi a Shkirat, in Marocco,
nel tentativo di trovare una soluzione pacifica condivisa alla crisi politica e di sicurezza
nel Paese nordafricano. Al quinto tentativo negoziale, i delegati di Tobruk avrebbero
accettato la proposta del rappresentante speciale delle Nazioni Unite Bernardino
Leon, mentre i rappresentanti di Tripoli avrebbero rifiutato il piano di pace. Intanto
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sul campo la tensione rimane ancora molto alta in tutto il Paese. In Cirenaica e in
particolare a Bengasi si sono registrati numerosi attentati e attacchi tra e contro le
milizie legate ad Ansar al-Sharia, le fazioni di Derna del Mujahideen Shura Council e
forze dell’ordine. In uno di questi, accaduto l’8 luglio scorso, sono morte 14 persone.
Nelle stesse ore, lo Stato Islamico (IS) ha segnato due nuove importanti vittorie
simboliche: da un lato l’annuncio della conquista completa della città di Sirte, dall’al-
tro l’omicidio a Misurata del capo dei servizi segreti militari del governo di Tripoli, il
Colonnello Taher al-Wish. L’attentato è stato rivendicato dal Wilayat Tarabulus (Pro-
vincia di Tripoli), gruppo locale legato ad IS.
MALI, 5 LUGLIO ↴
Un comunicato dell’esercito francese ha annunciato la cattura di due terroristi e l’uc-
cisione di un terzo in un’operazione delle forze speciali a Kidal, nel nord est del Mali.
La vittima sarebbe Ali Ag Wadossene, un cittadino francese convertito all’Islam e
divenuto uno dei leader di al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM) nell’area, tra i
presunti responsabili del rapimento del cittadino francese Serge Lazarevic nel 2011.
MESSICO, 11 LUGLIO ↴
Per la seconda volta in 14 anni, il leader del cartello di Sinaloa, Joaquín Guzmán
Loera, meglio noto come El Chapo, è evaso dalla prigione federale di massima sicu-
rezza di Altiplano, a un centinaio di chilometri da Città del Messico, dove era stato
incarcerato nel febbraio 2014. Già fuggito dal carcere di Guadalajara nel 2001,
Guzmán risulta essere uno degli uomini più ricercati e pericolosi al mondo. Nel 2009
la rivista specializzata Forbes lo ha posto tra le personalità più ricche del globo, grazie
ad una fortuna personale stimata in oltre un miliardo di dollari.
NIGERIA, 7 LUGLIO ↴
Almeno 25 persone sono state uccise a Zaria, nel nord est della Nigeria, a seguito di
un attentato attribuito a Boko Haram. L’esplosione ha riguardato gli uffici dell’ammi-
nistrazione dove numerosi funzionari ed insegnanti si erano recati per farsi registrare.
Da quando si è insediato nel maggio di quest’anno il Presidente Mohammad Buhari
gli attacchi di Boko Haram si sono intensificati provocando almeno circa 500 vittime.
PAKISTAN, 10 LUGLIO ↴
Sette esponenti del gruppo terroristico Tehreek-i-Taliban Pakistan (TTP) sono stati
arrestati a Karachi dalla polizia pachistana. Nell’arresto della cellula terroristica, che
stava pianificando un attentato nella città, sono stati rinvenuti grandi quantitativi di
armi ed esplosivi. Intanto, l’ex portavoce dei TTP, Shahidullah Shahid, è stato ucciso
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da un drone statunitense nella provincia afghana di Nangarhar nello stesso bombar-
damento in cui hanno perso la vita uno dei comandanti dello Stato Islamico in Afgha-
nistan, Gul Zaman, e altri quarantanove miliziani.
THAILANDIA/TURCHIA, 9 LUGLIO ↴
Alcuni manifestanti hanno assaltato il Consolato thailandese ad Istanbul, distrug-
gendo finestre e saccheggiando alcune parti dell’edificio in segno di protesta per la
deportazione in Cina, da parte della Thailandia, di centinaia di musulmani uiguri. Lo
riportano le agenzie di stampa Bangkok Post, Reuteurs e l’agenzia di stampa turca
Dogan. Gli uiguri rappresentano all’incirca il 45% della popolazione nella regione au-
tonoma dello Xinjiang ed accusano Pechino di reprimere le loro attività commerciali,
culturali e religiose. La sorte della minoranza ha destato una certa preoccupazione,
tanto che la Turchia ha voluto convocare l’Ambasciatore cinese per chiedere chiari-
menti in merito.
UCRAINA, 7 LUGLIO ↴
Si è concluso senza significativi risultati il nuovo round di colloqui a Minsk, in Bielo-
russia, del cosiddetto Gruppo di contatto (Ucraina, Russia e rappresentanti delle re-
gioni separatiste filo-russe con la mediazione dell’OSCE). In occasione della ripresa
delle trattative sono momentaneamente cessati gli scontri nel villaggio di Shyrokyne,
testa di ponte per un’eventuale offensiva verso Mariupol, da cui i ribelli si sono stra-
tegicamente ritirati e per la quale il leader della DNR, Aleksandr Zakharchenko, ha
chiesto una demilitarizzazione. Mariupol resterebbe comunque obiettivo prioritario
come confermerebbero i colpi di artiglieria e l’arroccamento delle posizioni separatiste
a Pavlopil – a nord-ovest di Mariupol – e lungo l’autostrada H20 che congiunge il
centro portuale sul Mar Nero con Donetsk.
YEMEN, 9-10 LUGLIO ↴
Dalla mezzanotte del 10 luglio fino alla fine del Ramadan, il prossimo 17 luglio, è
entrato in vigore nel Paese un cessate il fuoco mirato a garantire un’assistenza uma-
nitaria alle popolazioni locali sul campo. Dopo diverse tornate di trattative non uffi-
ciali, il governo legittimo riparato a Riyadh del Presidente Abd Rabbuh Mansur Hadi
e i delegati delle milizie sciite Houthi a Sana’a hanno accettato la tregua umanitaria
proposta dall’inviato speciale delle Nazioni Unite Ismail Ould Cheikh Ahmed. Dall’ini-
zio della guerra il 26 marzo scorso sono morte oltre 3.000 persone, metà delle quali
civili, e 14.000 sarebbero i feriti. Secondo l’ufficio per il coordinamento degli Affari
Umanitari delle Nazioni Unite, l’80% della popolazione (circa 21 milioni) sarebbe sulla
soglia della povertà assoluta e dell’indigenza dettata dall’assenza di acqua e cibo,
mentre oltre un milione sarebbero i rifugiati interni al Paese. Non è ancora chiaro se
la tregua umanitaria sarà estesa anche all’est dello Yemen, sotto il controllo di al-
Qaeda nella Penisola Arabica.
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ANALISI E COMMENTI
LA DIFFICILE COLLABORAZIONE TRA CINA E USA NELLO SPAZIO CIBERNETICO
AGNESE CARLINI ↴
L’avvento dell’era digitale è alla base della creazione di un nuovo campo di battaglia.
Le tecnologie moderne hanno consolidato nuovi metodi di scontro, tanto che le teorie
classiche sulla guerra sono state aggiornate ed adattate alle peculiari caratteristiche
del quinto dominio della conflittualità (5th domain of war). Gli attacchi cibernetici
contro strutture d’interesse nazionale e private sono aumentati notevolmente nel
corso degli ultimi anni accrescendo la volontà degli Stati ad investire maggiormente
nelle strategie di sicurezza per le infrastrutture sensibili. Una mancanza di sicurezza
nel cyber-spazio diminuisce la fiducia della società nel sistema informatico da cui ne
deriva una delle principali fonte di prosperità (…) SEGUE >>>
RITORNO ALLA GUERRA FREDDA?
RUSSIA E USA NELL’ATTUALE CONTESTO INTERNAZIONALE
NICOLÒ FASOLA ↴
Negli ultimi mesi si dà sempre maggior voce nel dibattito pubblico al ritorno di uno
scenario da Guerra Fredda, dipingendone lo spettro nel quadro delle crescenti ten-
sioni tra l’Occidente – Stati Uniti in particolare – e la Russia di Putin, costellate di
continui rimbecchi e reciproche prospettive di dispiegamenti nucleari. Di un tale ri-
corso alle chiavi di lettura storiche si può invero tracciare una lunga lista già nei
confronti degli stessi rapporti con la Russia, partendo da quando Putin venne ricon-
fermato alla presidenza della Repubblica nel 2004 – anno della cosiddetta Rivoluzione
Arancione in Ucraina, oltre che dell’ingresso nella NATO di sette Paesi appartenenti
al Patto di Varsavia –, passando per la prima crisi energetica tra Mosca e Kiev del
2006 e giungendo alla guerra russo-georgiana del 2008, fino ad oggi (…) SEGUE >>>
A cura di
OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE
Ente di ricerca di
“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”
Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale
C.F. 98099880787
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