world economic scenario settembre 2019 - eurizon capital · 2019-10-10 · dino kos “se ci sarà...
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# 3 | Settembre 2019
“Negli Stati Uniti solitamente accade che ci troviamo già in profonda recessione prima di
rendercene conto.”
Dino Kos
“Se ci sarà una recessione in Europa o Cina, l’effetto sull’economia mondiale potrebbe essere
un rallentamento, non una recessione; una recessione negli USA, invece, porterebbe
probabilmente a una recessione globale.”
Eric Chaney
“Gli USA e la Cina possono parlarsi, ma non ci sarà alcun accordo. Questa è un disputa senza
evidenti soluzioni di breve termine, che potrebbe trascinarsi per anni, se non decenni – come la
Guerra Fredda. La Cortina di Ferro sta già calando.”
Jiming Ha
Il terzo trimestre del 2019 ha portato una serie di delusioni per i mercati
globali. Le misure di politica economica messe in atto dalla Cina non sono
riuscite a ridare impeto alla crescita del Paese; l’iniziale ripresa in Europa
sta mostrando segnali di difficoltà; il dialogo tra gli USA e la Cina continua a
sfociare in divergenze sempre più ampie e in scarsi interessi comuni. Al
contrario, abbiamo visto negli ultimi mesi una ripresa degli stimoli monetari a
livello globale, anche se le misure sono state accolte con maggiore
scetticismo e cautela dagli investitori. Il movimento di mercato che meglio
rappresenta il cambiamento di scenario è forse il forte calo dei rendimenti
dei titoli di Stato “core” nel corso del 2019, con il tasso sul decennale
tedesco in calo fino a -0,74% nello scorso trimestre.
Guardando avanti, la domanda principale a cui gli investitori
cercheranno risposta è se ci sarà o meno un ulteriore allungamento
dell’attuale ciclo economico e se i portafogli vadano posizionati per
cogliere opportunità più grandi o per fronteggiare rischi più seri.
In questa occasione di dibattito, Dino Kos, Eric Chaney e Jiming Ha,
influenti commentatori del contesto economico globale, hanno condiviso il
loro pensiero su questi e altri temi macroeconomici di forte attualità. ■
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Sommario
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■ La bilancia dei rischi pende chiaramente verso il basso per
l’economia globale nel 2020.
■ Nonostante i tagli dei tassi, le condizioni finanziarie negli USA sono
diventate più restrittive.
■ Negli Stati Uniti solitamente accade che ci troviamo già in profonda
recessione prima di rendercene conto.
■ Fornire ulteriore stimolo monetario potrà allungare la ripresa; ma
non senza effetti collaterali nel lungo termine.
■ Il rallentamento globale e il debito da svariati trilioni di dollari a
rendimenti negativi continueranno a esercitare una forza
gravitazionale sui tassi USA.
L’economia statunitense ha mantenuto più o meno lo stesso andamento. Il
consumatore americano è ancora forte. Tuttavia, negli ultimi mesi sono emersi
segnali di problemi in altri settori, in particolare nel manifatturiero. Gli investimenti
delle imprese sono calati, gli indici anticipatori a più lungo termine stanno subendo
un indebolimento e il picco degli utili societari sembra essere alle spalle.
La Fed ha risposto rapidamente al variare della bilancia dei rischi, tagliando i
tassi due volte quest’anno. Ci sono aspettative per un ulteriore allentamento in
futuro. Solo pochi mesi fa, alla fine dell’anno scorso, il FOMC parlava di una
possibile ulteriore restrizione nel 2019. Benché i dati economici negli USA non si
siano rivelati tanto preoccupanti da giustificare un tale cambio di atteggiamento, la
volatilità dei mercati azionari e il brusco calo di molti indici hanno avuto un ruolo
chiave.
Uno dei temi principali è la disputa commerciale tra gli USA e la Cina. L’impasse
è stata prolungata e le tensioni sono aumentate. Di recente, sono emerse voci da
fonti vicine alla Casa Bianca che potrebbero essere imposte restrizioni sulla libera
circolazione dei capitali. Si tratterebbe di un grande salto di qualità rispetto ai
negoziati condotti finora, essenzialmente centrati sulle partite correnti. Benché il
Tesoro statunitense abbia pubblicamente dichiarato che simili restrizioni non
saranno prese in considerazione ‘per il momento’, un tale scenario
rappresenterebbe un rischio enorme per i mercati globali.
DinoKos
“L’economia statunitense
ha mantenuto più o meno lo
stesso andamento.’’
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Tutti questi segnali di carattere misto hanno alimentato un clima di incertezza,
che ha sortito effetti non solo sugli investimenti delle imprese negli USA, ma
anche sulla crescita in altre regioni del mondo. I segnali di un rallentamento
globale con la Cina come fulcro appaiono piuttosto consistenti: abbiamo assistito a
un forte calo dei dati sull’export della Corea del Sud, di Taiwan e di Singapore.
Parte di questi rischi è già scontata dal mercato e grazie al repentino cambiamento
di posizione della Fed in senso accomodante, l’effetto delle tensioni commerciali sui
mercati è risultato in parte attenuato. La Fed potrebbe anche riuscire nel dare
supporto al mercato azionario, contenere la volatilità ed effettivamente allungare
quella che è stata la più lunga ripresa del dopoguerra. Io, tuttavia, resto del parere
che una recessione nel 2020 sia tanto probabile quanto improbabile e che il
supporto per le attività di rischio durerà probabilmente poco.
Nonostante la riduzione di 50pb dei tassi di interesse quest’anno e l’abbondanza di
liquidità, ci sono molte indicazioni di un restringimento delle condizioni
finanziarie negli USA. Continuiamo a vedere un’inversione di diversi segmenti della
curva dei rendimenti. In passato, questo è stato un buon anticipatore delle
recessioni: quando assistiamo a una inversione, solitamente l’anno dopo l’economia
entra in recessione.
Un secondo indizio della maggiore ristrettezza delle condizioni finanziarie è che le
quotazioni del dollaro restano solide, sia in termini del DXY che dell’indice di cambio
effettivo. Questo forse non è immediatamente evidente, perché la Fed sta tagliando i
tassi e, di conseguenza, i differenziali si sono mossi a svantaggio del dollaro.
Tuttavia, è importante tenere conto del livello dei tassi in Giappone ed Europa, pari a
zero o in territorio negativo.
Una terza considerazione riguarda il mercato Repo. Nelle ultime settimane i media
hanno parlato molto di quanto sta accadendo e la Fed è stata obbligata a compiere
diverse operazioni specifiche per fornire liquidità. Picchi del tasso Repo quali quelli
che sono stati registrati, addirittura in territorio a doppia cifra, semplicemente non
dovrebbero verificarsi. Alle banche viene richiesto di accantonare un certo livello di
riserve a fronte della raccolta e, in più, riserve collettive superiori al livello
regolamentare.
“Resto del parere che una recessione nel 2020 sia tanto
probabile quanto
improbabile .”
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Il livello di queste riserve è attualmente molto alto: nel sistema c’è al momento oltre
un trilione di dollari di riserve in eccesso. Le banche dovrebbero essere invogliate a
dare in prestito parte di queste riserve, soprattutto a tassi più elevati, dunque non
dovremmo assistere a simili picchi nell’andamento dei tassi overnight. Sono state
fatte tante ipotesi tecniche, tra cui la tempistica del saldo di un’asta del Tesoro e di
una scadenza fiscale. Tuttavia, non si è trattato di un solo episodio, ma di un
fenomeno che è durato diverse settimane, il che porta a pensare che ci sia dietro
qualcosa di più, legato forse ai parametri regolamentari introdotti dopo la grande crisi
finanziaria globale. In ultima analisi, comunque, il fatto è che la domanda di riserve in
eccesso delle banche è molto più forte di quanto previsto dalla Fed: se la Fed non è
in grado di prevedere la curva della domanda, si troverà in difficoltà a calibrare
correttamente l’offerta. E in effetti il livello delle riserve in eccesso è calato nel tempo,
da livelli superiori a due trilioni di dollari. Parrebbe che siamo finalmente giunti a un
punto in cui la domanda ha cominciato a fare pressione. Le politiche non
convenzionali della Fed potrebbero anche aver sortito effetti di lungo termine sul
funzionamento del mercato monetario.
A mio avviso, tutte queste considerazioni indicano che i rischi sono molto
sbilanciati al ribasso per il 2020, soprattutto se consideriamo la fase così
avanzata dell’attuale ciclo economico. La svolta accomodante della Fed e le
iniezioni di liquidità potrebbero aver allungato la ripresa. Ma negli Stati Uniti
accade di solito che ci troviamo già in profonda recessione prima di
rendercene conto. Finanche dopo il fallimento della Lehman gli economisti
discutevano se ci sarebbe stata o no una recessione negli USA. Ora, con il senno di
poi, sappiamo che la recessione era cominciata già a dicembre 2007. Ma all’epoca
divenne evidente a tutti solo nell’ottobre del 2008 che avremmo avuto una
recessione. Abbiamo sempre questo ritardo tra dati e realtà.
Il rendimento del Treasury decennale è calato e i rendimenti statunitensi potrebbero
ridursi ancora, in parte in funzione del rallentamento economico globale e dei rischi
geopolitici, tra cui le dispute commerciali; ma la cosa importante è che abbiamo 15
trilioni di dollari di debito a rendimento negativo nel mondo, il che significa che il
mercato USA è ora un mercato high-yield. Addirittura i rendimenti greci erano più
bassi di quelli americani di circa 40pb. Questo continuerà a esercitare una
straordinaria forza gravitazionale sui rendimenti USA.
“I rischi sono molto
sbilanciati al ribasso per il
2020, soprattutto se consideriamo
la fase così avanzata
dell’attuale ciclo
economico.”
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Al tempo stesso, le politiche monetarie a livello mondiale convergeranno
probabilmente verso posizioni più accomodanti, con la riapertura di
programmi di acquisto di titoli in varie forme. Quando tutti i tassi ufficiali sono
vicini allo zero, i tassi di cambio diventano un tema di politica economica più
rilevante e potremmo anche assistere a ulteriori manovre di svalutazione
competitiva. Se evitiamo una recessione grazie a politiche monetarie sempre più
esasperate, la mia preoccupazione è che potremmo finire per trovarci in uno
scenario di stagnazione secolare alla Larry Summers, in cui una recessione
viene sì evitata, ma al prezzo di una errata allocazione di capitale e di una
crescita potenziale anemica e in deterioramento. Da molto tempo io sono del
parere che il Quantitative Easing non sia un bene per i mercati: può esserlo a breve
termine, come per esempio lo fu il primo programma di QE negli USA
immediatamente dopo la Grande Crisi Finanziaria; ma non sono convinto dei
benefici netti portati da tutti i programmi successivi. Il loro effetto sugli operatori di
mercato non è certamente stato positivo.
I recenti accadimenti sul mercato Repo negli USA sono, a mio avviso, un sintomo di
questa situazione, in cui l’eccesso di riserve ha ostacolato una corretta
interpretazione delle dinamiche di domanda e offerta sul mercato. Inoltre, in Europa
politiche tanto estreme hanno indebolito le banche. Se le banche faticano a restare
entità vibranti e redditizie, come possono effettivamente svolgere il loro ruolo nel
finanziare il resto dell’economia e nell’allocare capitale? Abbiamo visto gli effetti
del QE eterno in Giappone, dove non esiste più un mercato obbligazionario o un
mercato azionario. La Banca del Giappone e la BCE hanno esaurito, o stanno
esaurendo, le munizioni. La Fed ha ancora 175 punti base prima di portare a zero il
limite inferiore del range di riferimento per i tassi. Il fatto che le principali banche
centrali stiano esaurendo le munizioni a loro disposizione mi preoccupa, se
guardiamo al 2020. ■
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Eric Chaney
■ Una grande biforcazione tra PIL globale e commercio globale: quale
prevarrà?
■ Se ci sarà una recessione in Europa o Cina, l’effetto sull’economia
mondiale potrebbe essere un rallentamento, non una recessione;
una recessione negli USA, invece, porterebbe probabilmente a una
recessione globale.
■ Rischi al ribasso in aumento sul 2020.
■ Se l’Europa non mette in ordine la propria politica fiscale, le tensioni
politiche in Italia potrebbero risorgere e, con esse, il rischio
sistemico nell’Eurozona.
■ Vedremo se la politica della BCE funziona, incoraggiando l’eccesso
di risparmio presente nel Nord a fluire verso Sud.
■ Il debito eccessivo in Francia è il risultato di un eccessivo stimolo di
politica monetaria in Europa; in Germania l’effetto collaterale sono
le pressioni inflazionistiche sugli stipendi.
■ Le attività a basso rischio resteranno ben supportate.
Il tema principale per l’economia globale, guardando al 2020, è la grande
biforcazione tra il PIL globale e il commercio globale. La crescita globale è a
circa il 3%, alimentata soprattutto dalla resistenza mostrata dalla domanda
domestica. Tuttavia, per la prima volta da un decennio, l’andamento del commercio
globale è negativo. All’interno di questa biforcazione assistiamo a un braccio di ferro
tra legami commerciali e finanziari. Se continuiamo a distanziarci dalla
globalizzazione, i cicli economici potrebbero farsi gradualmente meno sincronizzati:
potremmo vedere un rallentamento in alcune aree del mondo e cicli più resistenti in
altre. Ma al tempo stesso, il mondo è diventato più sincronizzato dal punto di vista
finanziario, dato che la politica monetaria USA e il dollaro sono rimasti chiaramente
dominanti nel sistema finanziario globale. Dato questo paradigma, credo che se ci
sarà una recessione in Europa o in Cina, seguirà un rallentamento globale,
non una recessione globale; una recessione negli USA, invece, avrebbe
probabilmente ripercussioni a livello globale.
“Grande biforcazione
tra il PIL globale e il commercio
globale.”
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Sia in un caso che nell’altro, è importante sottolineare che stiamo comunque
parlando o di un ulteriore rallentamento, o di una recessione globale: non di una
ripresa. E benché la recessione non sia la mia previsione centrale, mi preoccupano
i rischi al ribasso in aumento per il 2020.
C’è chi dice che la Germania sia già in recessione. Due trimestri di crescita negativa
del PIL non significano recessione, a mio avviso. Tuttavia, ammetto che i rischi di
una recessione in Europa sono in aumento e che i dati economici in Germania
stanno diventando più negativi; il Paese comincia a somigliare alla Germania del
1992, quando un crollo dell’indice di fiducia IFO precedette una crisi valutaria. Una
differenza importante è che l’economia tedesca è ora molto più flessibile e, in caso
di recessione, la Germania potrà implementare il cosiddetto kurzarbeit – la riduzione
delle ore di lavoro finanziata in parte dello Stato, così come accaduto durante la crisi
finanziaria globale. Questo consente molta flessibilità alle imprese tedesche
nell’affrontare un rallentamento – benché forse non una recessione profonda.
In mancanza di politiche fiscali coordinate in Europa, la BCE è rimasta l’unico
giocatore in campo, una posizione in cui non vuole trovarsi, come spiegato da
Draghi a Sintra. Essenzialmente la BCE ha fatto tutto quello che poteva.
L’impasse in cui si trovano ora i leader europei è ben nota: i Paesi che godono di un
margine di politica fiscale hanno tassi di occupazione solidi e sono restii a fornire
uno stimolo fiscale tale da alimentare ulteriormente le pressioni inflazionistiche sui
salari. La Germania è l’esempio più lampante, con il tasso di disoccupazione più
basso del mondo occidentale. Dall’altro lato, Paesi con ampi gap di domanda, quali
l’Italia, hanno poco margine fiscale con le regole attuali. Se il rallentamento della
crescita a cui stiamo assistendo dovesse continuare, l’unico potente
strumento anticiclico di politica economica a disposizione dell’Europa
sarebbe lo stimolo fiscale. L’Italia, in un simile scenario, sarebbe un elemento
chiave, e se la nuova Commissione Europea sa il fatto suo, all’Italia verrà consentito
di rilanciare la propria economia; in caso contrario, le tensioni politiche in Italia
potrebbero riesplodere e con esse il rischio sistemico che grava sull’Eurozona.
Non è semplice capire se la polarizzazione politica stia aumentando o diminuendo,
ma le politiche sono ora al centro del ciclo economico globale, che siano
commerciali, monetarie o fiscali. Questo non è un bel presagio: le politiche sono
difficili da prevedere.
“L’unico potente
strumento anticiclico di
politica economica a disposizione
dell’Europa sarebbe lo
stimolo fiscale.”
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L’idea del “denaro fatto cadere dall’elicottero” tornerà probabilmente alla ribalta, ora
che Stan Fisher si è dichiarato a favore, e dovremo aspettarci di vedere le banche
centrali sottoposte a ulteriori pressioni. Le nuove operazioni TLTRO della BCE e la
modulazione dei tassi negativi sulle riserve in eccesso è, sulla carta, un modo molto
intelligente di trasferire liquidità da Nord verso Sud. L’incentivo per le banche con
molte riserve in eccesso, soprattutto al Nord, è di prestare alle banche con meno
liquidità, che possono prendere in prestito fondi a tassi negativi – a patto che tale
denaro venga investito nell’economia reale.
Vedremo se questo tipo di politica del corridoio funziona, permettendo
all’eccesso di risparmio al Nord di fluire verso il Sud. Tuttavia, l’impatto netto
dei tassi negativi è in ogni caso molto limitato. Gli effetti negativi psicologici e
politici, al contrario, sono enormi, e l’opposizione politica a cui la BCE si trova
opposta sta crescendo parecchio. Non mi ha sorpreso il fatto che i membri
francesi della BCE si siano astenuti nel voto sul pacchetto annunciato di recente. La
decisione presa a settembre dalla BCE di riaprire il programma di acquisto
titoli ha attirato notevole contrarietà perché, nonostante il rallentamento della
crescita, non ci sono ancora segnali di deflazione nell’aera euro. In Francia, tuttavia,
il debito privato sta crescendo a un ritmo molto veloce, e la somma di debito privato
e pubblico ammonta al 315% del PIL – molto più che in Italia o Germania.
L’eccesso di debito in Francia è il risultato della politica monetaria troppo
accomodante adottata a livello europeo; in Germania, l’effetto collaterale sono
le pressioni inflazionistiche sui salari. L’eccesso di debito privato può andare a
finire molto male. Credo che anche Draghi sia d’accordo che è ancora troppo presto
per riaprire il quantitative easing, ma può essere che abbia deciso di spendere il
proprio capitale politico per ritagliare un certo margine al suo successore. Christine
Lagarde dovrà guidare la revisione del quadro regolamentare della politica
monetaria della BCE, che comporterà un acceso dibattito pubblico sul QE, sugli
obiettivi di inflazione e, forse, anche sull’“helicopter money”. Consapevole del
proprio peso politico, Draghi sapeva che sarebbe riuscito a far passare la proposta
di riaprire il QE ora, mentre Lagarde avrebbe incontrato molte più difficoltà nel
costruire una maggioranza favorevole alla mossa. In un certo senso, questo è stato
“l’ultimo regalo” di Mario Draghi.
Data la presenza di così tanti potenziali rischi, guardando avanti credo che le
attività poco rischiose resteranno ben supportate. Questo si è verificato in parte
già la scorsa estate.
“Credo che le attività poco
rischiose resteranno ben
supportate.”
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E benché i mercati abbiano scontato molte notizie negative, direi che hanno anche
scontato molte notizie buone, se pensiamo alle aspettative in termini di politiche
monetarie e fiscali. Nel contesto attuale, credo che sia molto importante per i leader
anticipare la volatilità. Nel caso della guerra commerciale e tecnologica, dobbiamo
prestare particolare attenzione a shock idiosincratici, a livello di singole imprese, che
potrebbero avere impatti non-lineari e macroeconomici. Il Boeing 737 Max è un
esempio importante e attuale, dato che il suo impatto sul PIL statunitense è stato
stimato a circa due decimi di un punto percentuale. Vedo altri rischi politici e
geopolitici che il mercato sta attualmente sottovalutando, quale il clima di ostilità tra
l’amministrazione USA e la Fed e le crescenti tensioni tra Arabia Saudita e Iran.
Guardando avanti, a come potrebbe essere la situazione nel 2025 e oltre,
possiamo considerare il mondo tracciando due assi. Il primo è quello del
progresso tecnologico: a un capo c’è il rallentamento del progresso tecnologico,
dall’altro una tecnologia che diventa sempre più distruttiva. Il secondo asse è
quello del commercio globale, che potrebbe portare a un processo di de-
globalizzazione “soft” o molto più brusco.
La chiave per capire le oscillazioni della bilancia dei rischi che gravano
sull’economia globale starà nella posizione in cui ci troviamo in questo
diagramma a quattro quadranti. Se, per esempio, la globalizzazione e la
tecnologia si faranno più distruttive, le dinamiche globali saranno dominate dalla
disputa secolare tra gli USA e la Cina, uno scenario che non sarebbe favorevole per
l’Europa. La mia preoccupazione è che l’Europa parte molto svantaggiata nel
competere con gli USA e la Cina nel campo tecnologico, perché l’Europa privilegia
le regole, molte spesso a scapito del progresso tecnologico. L’Europa ha già messo
in una camicia di forza le società che vogliono sviluppare l’intelligenza artificiale. Su
questo fronte è incoraggiante vedere che, per certi aspetti, l’Europa sta realizzando,
pur con ritardo, che deve essere più decisa nel promuovere e difendere la proprietà
intellettuale. La Germania, che ha circa 6.000 imprese operanti in Cina, ha assistito
a molti trasferimenti di tecnologia e ha ora preso posizione in modo molto più
determinato sulla questione dello screening degli investimenti; ha inoltre
raccomandato alla nuova Commissione Europea di fare altrettanto, a livello
europeo.
“Possiamo considerare il
mondo tracciando
due assi. Il primo è quello del progresso
tecnologico. Il secondo è quello del
commercio globale.”
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Tuttavia, se la tecnologia diventa più distruttiva, a fronte di un
indietreggiamento solo graduale della globalizzazione, ne potrebbe risultare
un mondo relativamente stabile, con una feroce competizione per la
leadership tecnologica, ma in cui il commercio globale può tornare a crescere
alla pari con la crescita economica globale. Questo scenario sarebbe molto
più favorevole per l’Europa, e il potere “soft” dell’Europa aumenterebbe in una
certa misura. ■
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JimingHa
■ Pechino resta focalizzata sulle riforme strutturali, a scapito della
crescita ciclica.
■ Questo cambierà solo in caso di pericolo per la stabilità sociale.
■ La prossima tornata di dazi USA avrebbe un impatto sproporzionato
sull’occupazione.
■ Esiste un forte rischio di disaccordi e conflitti sempre maggiori tra i
due Paesi in altre aree, quali la cultura, la geopolitica e il campo
militare.
■ Contrariamente al diffuso ottimismo, la disputa tra USA e Cina
probabilmente si intensificherà, anziché appianarsi, nei prossimi
trimestri e anni.
In Cina, i dati economici sono ancora in peggioramento. Da inizio anno, le
politiche economiche sono state allentate, ma questo non ha arrestato il
rallentamento. I dati più recenti mostrano che la produzione industriale è diminuita
fino a toccare un minimo assoluto ad agosto, i prezzi alla produzione sono in calo da
tempo, e gli investimenti fissi sono su un trend negativo, nonostante il supporto
fornito dall’aumento della spesa in infrastrutture. Nel frattempo, il recente sondaggio
PMI è risultato misto, dato che l’indice generale è salito leggermente, ma tra le
componenti chiave, le aspettative riferite a occupazione e commercio sono risultate
le più deboli. La guerra dei dazi tra gli USA e la Cina ha certamente cominciato a far
sentire i propri effetti. Le esportazioni della Cina hanno svoltato in negativo negli
ultimi mesi, a causa soprattutto del calo delle vendite agli USA.
La Cina sta crescendo al ritmo più basso da decenni, ma nessuno sa realmente
quale sia il ritmo di crescita dell’economia: anche prendendo il valore nominale
attuale del +6%, il PIL si sta scollegando drasticamente da una crescita molto più
lenta del consumo di carburante diesel, storicamente strettamente correlato con la
crescita del PIL. Il Premier Li Keqiang ha detto di recente che sarà molto difficile che
la Cina cresca a un tasso superiore al 6%.
Temo che neppure l’implementazione continuativa di politiche accomodanti basterà
a risollevare la crescita.
“La Cina sta crescendo al
ritmo più basso da decenni.”
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Uno dei principali ostacoli all’adozione di un piano di stimolo più potente, quale
quello messo in atto da Pechino in risposta alla crisi finanziaria globale del 2009, è
l’elevato livello del debito nel Paese, oltre al recente aumento dell’indice dei prezzi al
consumo, dovuto all’epidemia di influenza suina. Anche l’incertezza che attanaglia il
settore privato e il deterioramento dei rapporti commerciali con gli Stati Uniti
continueranno a pesare sulla crescita. Ma l’aspetto cruciale è che benché la Cina
abbia allentato sia la politica monetaria che la politica fiscale, ha evitato di
introdurre stimolo nel settore immobiliare, fondamentale per il Paese.
L’indicazione in tal senso è venuta direttamente dal Presidente Xi e segna una
discontinuità fondamentale rispetto ai precedenti cicli accomodanti. Nei
prossimi anni, la Cina adotterà politiche immobiliari più lasche? Questo è un
interrogativo importante, perché pur peggiorando gli squilibri presenti nell’economia
cinese a più lungo termine, nel breve periodo una simile decisione potrebbe davvero
far ripartire l’economia con forza.
Anche i consumi, pur restando il motore più forte delle crescita in termini relativi, si
sono indeboliti di recente. Tuttavia, è importante distinguere tra il consumo di beni,
in calo in particolare nel settore auto, dove le vendite sono crollate a tassi a doppia
cifra, e in quello dei telefoni cellulari, e il consumo di servizi, quali sanità, istruzione e
viaggi, ancora molto forte. Questo significa che le esportazioni di auto tedesche
verso la in Cina sono deboli. Le vendite di aerei europei alla Cina sono invece
sostenute e potrebbero crescere ulteriormente.
Sebbene il mercato abbia già in buona parte preso atto e scontato un rallentamento
in Cina, gli sviluppi sul fronte del commercio rappresentano un enorme rischio
al ribasso, a mio avviso. Se tutti i dazi annunciati verranno effettivamente
applicati entro l’inizio dell’anno prossimo, l’impatto annualizzato sulla Cina è
stimato a un punto percentuale del PIL. Naturalmente ne risentiranno anche i
consumatori americani, poiché molti dei prodotti coinvolti rappresentano una quota
massiccia delle importazioni degli USA e sono prodotti che non possono essere
sostituiti da altri Paesi nel volgere di una notte. Guardando avanti al 2020, la
bilancia dei rischi pende certamente verso il basso. Se la guerra commerciale
dovesse subire una tale escalation, lo yuan calerebbe ulteriormente per fare
fronte all’incremento stimato del 7% dei dazi effettivi.
“Gli sviluppi sul fronte del
commercio rappresentano
un enorme rischio al ribasso.”
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Ci sono grosse sfide all’orizzonte. Fino a oggi l’occupazione in Cina ha mostrato una
buona resistenza, ma la prossima tornata di dazi avrebbe ripercussioni
significative sull’occupazione, poiché molti dei prodotti interessati sono beni di
consumo ad alta intensità di manodopera, quali i prodotti elettronici, i mobili, i
giocattoli. Se tutto questo porterà a un riassetto della catena produttiva mondiale, a
beneficiarne saranno Paesi quali il Messico, il Vietnam, la Malesia e Taiwan.
Pechino sarà costretta o a intervenire per salvare l’economia nel breve periodo e
proteggere la crescita dell’occupazione, oppure a continuare a perseguire un
sentiero di riforma. Se dovessero presentarsi rischi per la stabilità sociale,
credo che Pechino cercherà un compromesso, facendo pendere la bilancia
politica più a favore di un’espansione del credito che non delle riforme
strutturali, almeno temporaneamente.
Un aspetto ancora più preoccupante è che gli ultimi sviluppi indicano un
allargamento della guerra commerciale tra USA e Cina ad altri settori, tra cui la
tecnologia e la finanza. Dopo aver introdotto dazi sulle importazioni cinesi e imposto
restrizioni sulla fornitura alla Cina di prodotti tecnologici americani, gli USA, come
suggerito da voci recenti, potrebbero pensare di imporre sanzioni finanziarie alla
Cina. Il Tesoro statunitense ha chiarito che non sta prendendo in considerazione
simili sanzioni “per ora”. Ma se le voci sono fondate, non solo verranno limitati gli
investimenti cinesi negli USA, ma anche gli investimenti americani in Cina, sia in
termini di attività di portafoglio che di investimenti esteri diretti. L’importazione di
tecnologia avanzata e gli investimenti esteri diretti hanno rappresentato pilastri
importanti del modello di crescita adottato dalla Cina negli ultimi decenni. Pertanto,
se le dispute commerciali hanno avuto l’effetto di ridurre l’attivo delle partite
correnti cinesi, un embargo sulla vendita di tecnologia ed eventuali restrizioni
sugli investimenti sarebbero di gran lunga più devastanti per l’economia e la
bilancia dei pagamenti della Cina, nonché per i mercati globali.
A mio avviso, la probabilità che venga raggiunto un accordo quest’anno è
molto bassa, nonostante le attese del mercato. Questa affermazione potrebbe
sorprendere alcuni. Ma l’amministrazione Trump vuole o un accordo molto
vantaggioso, o nessun accordo: e un accordo molto vantaggioso per gli USA
sarebbe percepito come molto svantaggioso per la Cina. La Cina vuole continuare a
utilizzare le proprie politiche industriali per perseguire i suoi obiettivi di crescita
economica per il lungo termine, quali il piano ‘’Made In China 2025’’ e
l’avanzamento tecnologico.
“La probabilità che venga raggiunto
un accordo quest’anno è
molto bassa .”
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Le sue politiche comprendono continui sussidi e trasferimenti di tecnologia che gli
USA semplicemente non possono accettare. La strada più facile da seguire sarà un
incremento da parte della Cina degli acquisti di prodotti agricoli statunitensi, il che è
anche nell’interesse della stessa Cina, viste le recenti pressioni inflazionistiche sui
prezzi domestici dei prodotti alimentari. Ma questo ai negoziatori americani non
basterà. Gli USA continueranno a tenere a bada il mercato dicendo che le due parti
stanno dialogando. Potranno anche parlare, ma non ci sarà alcun accordo.
C’è stato un cambiamento fondamentale nella politica degli USA nei confronti della
Cina, come esplicitato nella National Security Strategy USA del 2017, in cui la Cina
viene definita come un avversario, non come un semplice concorrente. Questa è la
direzione generale delle relazioni USA-Cina. La politica della Cina consiste
nell’aspettare l’esito delle elezioni americane del 2020, fiduciosa com’è che il proprio
peculiare sistema politico le consentirà di sopravvivere alle sanzioni USA e alla
presidenza Trump – ma l’impostazione della politica statunitense non cambierà
neppure con un presidente diverso e i rapporti tra i due Paesi potrebbero deteriorare
in un conflitto vero e proprio in molti campi. A mio avviso, la situazione attuale è
molto simile alla Guerra Fredda. Questo conflitto durerà decenni. La Cortina di
Ferro sta già calando. ■
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DinoKos
Dino Kos, già Responsabile “Mercati” presso la Federal Reserve Bank di New York, è
Vice Presidente Esecutivo presso CLS Bank International, New York. Nel 2011 è stato
co-fondatore di Hamiltonian Associates Ltd. New York, una società specializzata nella
consulenza su temi macroeconomici. Ha lavorato presso Hamiltonian Associates tra il
2011 e il 2013, offrendo consulenza a hedge fund, fondi comuni e altri investitori su
ciclo economico, valute e mercati obbligazionari. In precedenza, Dino Kos è stato
Direttore Generale di Portales Partners LLC New York (2008 – 2011) e Direttore
Generale e Direttore Globale del dipartimento “Banche centrali e fondi sovrani” di
Morgan Stanley Investment Management Hong Kong (2007 – 2008). Tra il 1985 e il
2007 ha lavorato presso la Federal Reserve Bank of New York dove nel 2001 è
diventato Vice Presidente Esecutivo del “Markets Group”. ■
Eric Chaney
Eric Chaney è consulente su temi macroeconomici e geopolitici presso Institut
Montaigne e tramite la sua società, EChO. È stato Capo Economista Globale del
Gruppo AXA dal 2008 al 2016. Tra il 2000 e il 2008 è stato Capo Economista per
l’Europa presso Morgan Stanley, dove era entrato nel 1995. Precedentemente è stato
a capo del dipartimento Previsioni dell’istituto statistico francese INSEE e responsabile
delle previsioni e analisi economiche globali del Ministero del Tesoro francese. È
membro del Comitato Scientifico dell’Autorità di supervisione dei Mercati Francesi
(AMF). Dal 2014 è vicepresidente del Consiglio di Amministrazione di IHES (Institut
des Hautes Etudes Scientifiques). ■
JimingHa
Jiming Ha è Visiting Professor presso la Darden Business School della University of
Virginia e consigliere di amministrazione indipendente di Lufax China.
Nel 2018 è stato Senior Fellow del forum China Finance 40. Entrato a far parte di
Goldman Sachs in qualità di Managing Director nella divisione Investment Banking
Services nel 2010, è stato da allora e fino al 2017 Vicepresidente e Capo Investment
Strategist dell’Investment Strategy Group for Private Wealth Management (PWM),
specializzato in ricerca macroeconomica sulla Cina. Precedentemente, è stato capo
economista della China International Capital Corporation dal 2004 al 2010 e Senior
Economist presso il Fondo Monetario Internazionale (FMI) dal 1993 al 2004. Tra il 2001
e il 2003 ha inoltre lavorato presso la Hong Kong Monetary Authority all’interno del
Fondo Monetario Internazionale (FMI) e dal 1999 al 2001 è stato rappresentante
dell’FMI in Indonesia. ■
Eurizon Advisory Board
# 3 | Settembre 2019
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investimenti o come una comunicazione di marketing né una raccomandazione o
suggerimento, implicito o esplicito, rispetto ad una strategia di investimento avente ad
oggetto gli strumenti finanziari o emittenti strumenti finanziari né come una sollecitazione o
offerta, né come consulenza in materia di investimenti, legale, fiscale o di altra natura.
Le informazioni vengono aggiornate su base trimestrale.
Le opinioni, previsioni o stime contenute nel presente documento sono formulate con
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