osservatorio sulla web reputation di reputation manager, be media e affari legali

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Affari Web reputation, per gli studi legali l'immagi- ne non conta da pag. 25 Emerge dall'Osservatorio sulla Web reputation di : Reputati ori Manager-BeMedia e Affari Legali L'avvocato non ama la rete DI ROBERTO MUJACCA P urché se ne parli. Fino a non molto tempo fa, chi lavora nel settore della comunica- zione utilizzava questa frase per spiegare ai propri clienti che è importante esserci sulle pagine dei giornali o in tv, e che quando questo avviene, anche per cause non proprio nobili, è comunque una cosa non necessariamente ne- gativa Ripetere quasi all'ossessione il nome di unapersona o di un'azienda consente a questi di «esistere» e, soprattutto, di non essere di- menticati. La rete, in questi ultimi anni, ha potenziato molto questo effetto moltiplicatore che fino a poco tempo fa era svolto in esclusiva solo da tv, radio e carta stampata, e attraverso lapossibilità di rilanciare, via motori di ricer- ca e/o via social network, notizie, informazioni e riflessioni, ha creato personaggi e fenomeni, e molto spesso anche senza che dietro ci fosse una volontà espressa a che questo fenomeno avvenisse. Chi ancora pare proprio non aver capito quanto sia importante cavalcare questo fenomeno comunicativo è il mondo dell'avvoca- tura Secondo quanto emerge dall'indagine se- mestrale sulla web reputation degli studi lega- li, condotta da Reputation Manager e BeMedia p e r Affari Legali, pare proprio che comunicare in rete continui a non essere una delle priorità degli avvocati italiani, a differenza delle law flrm internazionali Certo, a frenare la voglia di essere su internet dei legali ci si è messo pure il Cnf, che nel nuovo codice deontologico, in vigore proprio dalla settimana scorsa, ha messo dei paletti alle comunicazioni in rete, impossibili da fare se non gestite attraverso siti direttamente riconducibili all'avvocato. Ma siamo nel terzo millennio o no? Pag. 1

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Affari

Web reputation, per gli studi

legali l'immagi­ne non conta

da pag. 25

Emerge dall'Osservatorio sulla Web reputation di: Reputati ori Manager-BeMedia e Affari Legali

L'avvocato non ama la rete DI ROBERTO MUJACCA

Purché se ne parli. Fino a non molto tempo fa, chi lavora nel settore della comunica­

zione utilizzava questa frase per spiegare ai propri clienti che è importante esserci sulle pagine dei giornali o in tv, e che quando questo avviene, anche per cause non proprio nobili, è comunque una cosa non necessariamente ne­gativa Ripetere quasi all'ossessione il nome di unapersona o di un'azienda consente a questi di «esistere» e, soprattutto, di non essere di­menticati. La rete, in questi ultimi anni, ha potenziato molto questo effetto moltiplicatore che fino a poco tempo fa era svolto in esclusiva solo da tv, radio e carta stampata, e attraverso lapossibilità di rilanciare, via motori di ricer­ca e/o via social network, notizie, informazioni e riflessioni, ha creato personaggi e fenomeni,

e molto spesso anche senza che dietro ci fosse una volontà espressa a che questo fenomeno avvenisse. Chi ancora pare proprio non aver capito quanto sia importante cavalcare questo fenomeno comunicativo è il mondo dell'avvoca­tura Secondo quanto emerge dall'indagine se­mestrale sulla web reputation degli studi lega­li, condotta da Reputation Manager e BeMedia per Affari Legali, pare proprio che comunicare in rete continui a non essere una delle priorità degli avvocati italiani, a differenza delle law flrm internazionali Certo, a frenare la voglia di essere su internet dei legali ci si è messo pure il Cnf, che nel nuovo codice deontologico, in vigore proprio dalla settimana scorsa, ha messo dei paletti alle comunicazioni in rete, impossibili da fare se non gestite attraverso siti direttamente riconducibili all'avvocato. Ma siamo nel terzo millennio o no?

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Osservatorio Reputation Manager-Be Media/AHaxi Legali: avvocati ancora in ritardo

Web reputation, per gli studi italiani l'immagine non conta

Pagine a cura di LUIGI DELL'OLIO

N on p a s s a lo s t r a n i e r o » è s tato a lungo il leitmotiv che

ha caratterizzato le anali­si sul mercato degli studi legali d'affari in Italia. Gli intrecci tra economia e fi­nanza, sublimati dai patt i di sindacato, hanno tenuto per anni ai vertici i mede­simi noti, abili a intessere relazioni personali ai più

alti vertici delle banche e delle imprese.

La situazione è improv­v i samente cambia ta con la crisi, che ha mandato in soffitta i patt i e spinto gli investitori finanziari a con­centrarsi sul proprio core business.

Le ultime rilevazioni di Mergermarket sull'm&a (si veda, t ra gli a l t r i , Affari Legali - Italia Oggi Sette del 20 ottobre scorso) han­no evidenziato questo cam­bio di rot ta , con gli studi

internazional i che hanno preso i vertici della classi­fica relativa alle operazioni condotte in Italia (nei pri­mi nove mesi del 2014 il primato è andato a Clifford Chance, solo un­dicesima un anno fa), relegando più indietro i grandi nomi italiani.

U n ' u l t e r i o r e conferma a r r iva dall 'analisi sulla Web Repu ta t i on degli studi legali, cura ta da Repu­tation Manager e BeMedia, che Af­fari Legali - Italia Oggi Sette pubbli­ca in esclusiva.

Il campo di analisi

Le due società hanno analizzato tutto ciò che su Internet si dice di 20 gran­di studi presenti nel nostro paese.

Tredic i sono i t a l i a n i , vale a dire Bonelli Erede Pappalardo; Carnelutti; Chiomenti; Cba; D'Urso Gatti e Bianchi; Gianni Origoni Grippo cappel­li e partner; Grimaldi e associati; Lombardi Molinari e associati; Ls

Supplemento a cura di ROBERTO MILIACCA rmiHacca@class. it e GIANNI MACHEDA

[email protected] Lexjus Sinacta; Pavia e Ansaldo; Pirola Pennuto Zei e associati; Nctm e Tonucci.

Gli a l t r i set te s t ran ie­ri: Cleary Gottlieb; Clif­ford Chance; Dia Piper; Eversheds; Freshfields;

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Linklaters e Orrick. Ciascuno studio è stato

valutato secondo un punteg­gio che va da 0 a 10, consi­derando quattro macro-aree che definiscono i contorni della reputazione online: la presenza istituzionale, rife­ribile in primo luogo al sito Internet «aziendale» (que­sto indicatore vale comples­sivamente 1,5 punti , con i sot to-aree r app re sen t a t e dal design, l 'usabili tà, la ricchezza informativa, la potenzia del dominio e la frequenza di aggiornamen­to); la presenza enciclope­dica (che considera la pre­senza su Wikipedia, il livello di approfondimento e le case history citate, per un'inciden­za complessiva di 2,6 punti); la presenza nel cosiddetto Web 1.0 (che conta per 4,1 punti tra presenza nelle news, mention nei titoli dei contenuti e men­tion totali, presenza nei social e qualità dei contenuti); infine la presenza nel mondo del Web 2.0 (che considera i forum e i social network e che pesa fino a 1,8 punti tra volumetrica e presenze lesive).

Al lavoro quantitativo si è affiancato anche uno quali­tativo, che ha penalizzato le citazioni negative sul Web, premiando all'opposto quelle positive tra le 120mila fonti passate al setaccio.

Dominio straniero ai vertici

Il risultato finale vede un dominio degli studi di matrice straniera nella Top 5.

Il primo posto va a Dia Pi-per, che ottiene una media di 8 punti netti e in questo modo conferma il primato conqui­stato nell'analoga indagine condotta la scorsa primavera. Rispetto ad allora fa anche meglio, con un progresso di tre decimali.

La law-firm americana stac­ca nettamente tutti gli altri, con Clifford Chance che con­ferma la piazza d'onore a sei mesi di distanza (7,1 punti), davanti a Orrick (7,0), un'al­tra conferma.

La principale novità rispet­to alla precedente rilevazione è costituita da Eversherds, che guadagna tre posizioni e

si piazza al quarto posto con 6,9 punti, grazie soprattutto a un incremento dei volumi nei blog.

La cinquina al vertice è completata da Linklaters (che scende dal precedente quarto posto), a quota 6,6.

«Gli studi inter­nazionali con sede in Italia confermano il vantaggio rispet­to agli studi italiani per quanto riguarda l'immagine digita­le», sottolinea An­drea Barchies i , ceo di Reputation Manager. «La pre­senza istituzionale è l'aspetto che con­t inua a marcare la differenza: i siti Web degli studi di matrice straniera hanno uno stile più accattivante, sono ricchi di contenuti, dalla presentazione dei profili professionali aggior­nati degli avvocati di ogni sede estera ai materiali di appro­fondimento su alcune temati­che di interesse globale».

Rispetto all'analisi prece­dente, si nota però per alcu­ni un minor aggiornamento dell'area news. In più «gli studi internazionali hanno delle pagine Wiki estese e dettagliate, che citano i casi rilevanti oltre a raccontare la storia dello studio. Tra gli ita­liani solo Bonelli, Chiomen-ti e Nctm hanno una pagina dedicata su Wikipedia», conti­nua Alberto Murer, partner e consulente di comunicazione di Be Media.

E anche la presenza sui social media, da Facebook a Linkedin e Twitter, risulta molto più estesa, spesso con diversi account nei paesi in cui lo studio ha sede. «Gli ita­liani invece, oltre a non essere quasi mai presenti su più di un social network, non aggior­nano i profili attivi che così re­stano delle pagine statiche», aggiunge.

Un atteggiamento che, gli autori della ricerca definisco­no «passivo e reazionario», che restituisce un'immagine di chiusura al mercato, scarsa trasparenza e dinamicità». Prende quota Carnelutti

Tra gli studi tricolore non mancano, comunque, le note positive. Carnelutti passa dal 18esimo al 15esimo posto, pur fermandosi a una valutazione ampiamente insufficiente (3,0) grazie al nuovo sito Internet, anche in inglese. Non a caso 10 studio conquista il primato (8,7 punti) nella voce relativa alla presenza istituzionale, in coabitazione con Chiomenti. Proprio quest'ultimo confer­ma il primato nazionale nella classifica generale, piazzando­si al sesto posto assoluto con 6,4 punti, davanti a Bonelli Erede Pappalardo (5,9). L'ottavo posto è condiviso da due law-firm come Cleary Gottlieb e Freshfields (5,8), mentre Nctm completa la top ten con 5 punti.

Molto più indietro tutti gli altri, con una delle principali realtà italiani, Gianni Origo-ni Grippo Capelli che si fer­ma a 4,5, davanti a Tonucci (3,7), che spicca però per visi­bilità nei canali del Web 2.0.

Seguono LexJus Sinacta (3,2) e Pavia Ansaldo (3,1). Nel confronto con l'indagine condotta in primavera le po­sizioni sono sostanzialmente stabili, a evidenziare che poco è stato fatto per invertire la rotta. 11 Web 2.0, questo sconosciuto

Dunque, gli studi italiani, che pure negli ultimi tempi hanno investito massiccia­mente nella comunicazione, assoldando agenzie di pr o professionisti interni per co­municare il coinvolgimento nelle operazioni di mercato, che in molti casi hanno rinno­vato gli uffici e scelto location di prestigio, situate nelle zone centrali delle principali città italiane e dotate di ogni com­fort, continuano a trascurare l'importanza della comuni­cazione Web. Evidentemen­te ritenendo che i rapporti personali e l'immagine della sede «fisica» siano sufficienti a mantenere un posizionamento elevato anche a fronte di un mercato che sta cambiando rapidamente volto.

I siti Internet sono la norma ormai tra le realtà del setto­re, ma l'aggiornamento non

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è sempre continuo e anche la presenza di una pagina su Wikipedia viene spesso tra­scurata. «Bonelli, Chiomenti ed Nctm continuano ad essere gli unici ad avere una pagina dedicata su Wikipedia, dove reperire informazioni sulla storia e i casi di successo dello

studio», sottolinea Murer. Per non parlare degli strumenti del Web 2.0, ma scarsamente battuti con finalità di promo­zione del brand e ricerca di nuovi clienti.

Tornando alla classifica, al 16esimo posto si piazza la

coppia Cba-Lombardi Mo-linari associati (2,8 punti), che precede Pirola Pennuto Zei (2,6) e Grimaldi (2,0). In coda, infine, si conferma D'Ur-so Gatti e Bianchi, che si fer­ma a quota 1,7 punti.

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Web reputation, il confronto tra studi italiani e law firm

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Le law firm sanno quanto e importante la presenza sul web

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