la banconota - numero 57 - marzo 2009

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N. 57 - Marzo 2009 la Banco nota ISSN 1972 - 8379 Il Sole 24 ORE Business Media Srl - via G.Patecchio 2 - 20141 Milano - POSTE ITALIANE SPA In caso di mancato recapito inviare all’Uff. Post. di Milano CMP Roserio detentore del conto per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la rispettiva tassa Eventi Compie 100 anni ma non li dimostra Storia Le scelte iniziali del Banco Desio 1919, il primo decennale Verso il ventennale Nuove filiali Genova: Alla scoperta del mondo marino Iniziative Fiocco rosa in Lussemburgo Strategie Quando l’impresa guarda all’estero Eventi Contenuti e significati del logo del Centenario

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La rivista periodica del Gruppo Banco Desio

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N. 57 - Marzo 2009

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EventiCompie 100 annima non li dimostra

StoriaLe scelte iniziali del Banco Desio

1919, il primo decennale

Verso il ventennale

Nuove fi lialiGenova: Alla scoperta del mondo marino

Iniziative Fiocco rosa in Lussemburgo

StrategieQuando l’impresa guarda all’estero

Eventi

Contenuti e signifi cati del logo del Centenario

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Sommario

3La Banco nota

la Banco notaNuova Serie N. 57 - Marzo 2009

Direttore Responsabile:Luigi Gavazzi

Comitato di Direzione:Riccardo Battistel, Luigi Gavazzi,Alberto Mocchi, Marco Sala, Umberto Vaghi

In Redazione:Alessandra Monguzzi

Collaboratori:Enrico Casale, Giovanni Cec ca tel li, Alessandra Monguzzi, Marco Piazza, Francesco Ronchi

Impaginazione:Diego Poletti

StampaFaenza Industrie Grafi che S.r.l.Costo copia: € 2,00

Iscrizione al Re gi stro degli Operatori di Comunicazione (ROC) N° 6357

Associato USPI Unione Stampa

Periodica Italiana

REGISTRAZIONETribunale di Milano n. 292 del 15/04/2005

Presidente: Eraldo Minella

Amministratore Delegato: Antonio Greco

Direttore Editoriale: Mattia Losi

Uffi cio Commerciale e Traffi co: Anna Boccaletti([email protected])

Il Sole 24 ORE Business Media S.r.l.Via Patecchio, 2 - 20141 MilanoTel. 02.3964.60.11 - Fax 02.3964.62.91

Testi, fotografi e e disegniRiproduzione vietata copyright©. Tutti i diritti di riproduzione in qualsiasi forma, compresa la messa in rete, che non siano espressamente per fi ni personali o di studio, sono riservati.Per qualsiasi utilizzo che non sia individuale è necessaria l’autorizzazione scritta da parte di Il Sole 24 ORE Business Media. Qualsiasi genere di materiale inviato in Redazione, anche se non pubblicato non verrà in nessun caso restituito.

Dichiarazione PrivacyAnnuncio ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del “Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica”.La società Il Sole 24 ORE Business Media S.r.l., editore della rivista La Banconota, rende noto al pubblico che esistono banche-dati di uso redazionale nelle quali sono raccolti dati personali. Il luogo dove è possibile esercitare i diritti previsti dal D.LGS. n. 196/03 è l’uffi cio del Responsabile del Trattamento dei dati personali, in persona del Direttore Responsabile della sopra citata rivista, presso la sede del Banco di Desio e della Brianza S.p.A., Via Rovagnati n.1, Desio (MI), (fax: 0362.613.206).

Editore incaricato:

4 Compie 100 anni ma non li dimostra

9 Contenuti e signifi cati del logo del Centenario

10 Le scelte iniziali del Banco Desio

12 1919, il primo decennale

14 Verso il ventennale

18 Fiocco rosa in Lussemburgo

21 Quando l’impresa guarda all’estero

24 Alla scoperta del mondo marino

26 La storia della “città dei Papi”

28 Collegno e l’Annunziata

30 Passato e presente di Finale Ligure

34 Il sistema fi nanziario in cinque punti

p. 10

p. 18

p. 4

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Eventi

4 La Banco nota

di Giovanni Ceccatelli

Esattamente 100 anni fa, e più precisa-mente il 4 agosto 1909, un gruppo di 35 persone di area cattolica e delle più

diverse provenienze ed esperienze - commer-cianti, artigiani, piccoli imprenditori, liberi professionisti - davano vita alla Cassa Rurale di Desio, “società commerciale cooperativa in nome collettivo”.

Primo presidente della Cassa venne eletto Giovanni Biancotti, dirigente di quella Tessitura Gavazzi che a Desio era una delle più fi orenti e dinamiche realtà industriali, basti dire che nel 1890 aveva già 1600 dipendenti. La neonata Cassa Rurale, del resto, nasceva anche per im-

Compie 100 anni Compie 100 anni ma non li dimostrama non li dimostraQuesta importante ricorrenza è l’occasione per ricordare

vicende e personaggi del Banco Desio con Agostino

Gavazzi, Presidente del Consiglio di amministrazione

pulso della famiglia Gavazzi, e in particolare di quell’ingegner Egidio Gavazzi che fu promotore di molte iniziative imprenditoriali in Brianza, tra le quali, proprio nel settore del credito, la Banca Popolare di Seregno e Vicinanze.

Nessun Gavazzi compare però fra i 35 fonda-tori: solo qualche mese dopo, il 26 ottobre 1909, un esponente della famiglia, Luigi Gavazzi, fi glio di Egidio, entra nel consiglio della Cassa: è il socio n. 58, e da quel momento l’istituto unirà indissolubilmente il suo destino a quello della famiglia Gavazzi.

Su su attraverso i decenni arriviamo ad oggi, al 2009, all’anno del Centenario. il Banco Desio, che, ormai Gruppo presente non soltanto in Lombardia ma in tutta l’Italia settentrionale e centrale, dal Piemonte al Veneto all’Emilia, dalla Liguria alla Toscana al Lazio, vede come presidente del suo Consiglio di amministrazio-ne ancora un membro della famiglia Gavazzi, Agostino, 64 anni, ingegnere.

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Eventi

5La Banco nota

Nella pagina a fi anco, Agostino Gavazzi, Presidente del Consiglio di amministrazione del Gruppo Banco Desio

Presidente, in apertura posso chiederle qualche ricordo personale dei suoi primi contatti con la banca ?

Certamente e le rispondo volentieri perché sono legati a mia madre ed alla mia infanzia. Con mia madre, in bicicletta, infatti ci recavamo saltuariamente al Banco ed io - avevo pochi anni - rimanevo tutte le volte impressionato dal caveau della banca, dalle sue porte corazzate. Altrettanta impressione mi fecero in seguito - siamo sempre alla fi ne degli anni Quaranta - i lavori di demolizione e di scavo della nuova, per quei tempi, sede nella piazza principale di Desio.

Un ulteriore ricordo risale a quando - anni dopo - vidi sul Libro Soci del Banco la fi rma di mia nonna Andreina Costa Gavazzi - fi glia di Andrea Costa e di Anna Kuliscioff . - che nel 1921 aveva sottoscritto 20 azioni della Cassa Rurale. In quella fi rma così lontana nel tempo e così vicina nei miei ricordi, intravidi il senso profondo del ruolo e soprattutto delle respon-sabilità che mi derivavano dall’appartenere ad una famiglia come la mia.

E certo celebrare il centenario di un’azienda di famiglia non è proprio cosa di tutti i giorni...

Non credo siano poi molte - risponde sorri-dendo il nostro interlocutore - le banche private che possono vantare un secolo di attività con la nostra continuità e stabilità degli assetti so-cietari. È questo dunque un particolare motivo d’orgoglio per noi azionisti. Ma credo rappre-senti anche motivo di soddisfazione sia per i dipendenti di oggi sia per chi ha lavorato in passato per questa banca, e per la stessa clien-tela, a cui l’anniversario deve dire qualcosa in termini di stabilità, di sicurezza, di serietà del Banco Desio.

La nostra storia, del resto, parla chiaro: il Banco è nato come Cassa rurale e quindi con nient’altra ambizione che il raccogliere i rispar-mi dei lavoratori di una zona, il circondario di Desio, all’epoca caratterizzata da un’economia ancora abbastanza modesta, e di mettere questi risparmi a disposizione di chi ne avesse bisogno. Ma già dagli anni ‘20, assecondando lo sviluppo di un contesto economico sociale costituito

Al centro della fotografi a, in piedi, Pietro Gavazzi. Alla sua sinistra, seduto, Mario Danesin; alla sua destra Ignazio Lado, seduto, con alle spalle, in piedi, Mario Veneziani. L’ultimo a destra è il consigliere Franco Gavazzi, mentre il penultimo da sinistra, seduto, è il consigliere Giuseppe Adami

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Eventi

6 La Banco nota

da artigiani e piccole e medie imprese, cioè di gente produttiva e che lavorava seriamente, abbiamo iniziato un percorso di crescita che non si è più arrestato.

Sono questi gli anni in cui le famiglie Gavazzi e Lado assumono il controllo della società.

Controllo che non abbiamo più lasciato, e che oggi esercitiamo attraverso una holding, mantenendo ancora invariate le scelte strate-giche operate a suo tempo: non impegnarsi direttamente nella conduzione della Banca, ma affi darla a professionisti, con ciò separan-do nettamente proprietà ed amministrazione dalla gestione dell’istituto.

Fu in seguito a questa scelta che nel 1931 la direzione venne affi data ad un uomo, Mario Danesin, che voglio ricordare per l’importanza che rivestì nella storia della nostra azienda. Quando il presidente Gino Gavazzi gli conferì l’incarico, il Banco aveva sei dipendenti, la sede e lo sportello occupavano due modesti locali in affi tto presso l’Orfanotrofi o Maschile di Desio. C’era una fi liale a Nova, aperta solo nei giorni del mercato con un unico dipendente che la raggiungeva partendo in bicicletta dalla sede. Per trent’anni Mario Danesin resse le sorti del

Banco - lavorando in stretta collaborazione con il presidente Luigi Lado Manca nel frattempo succeduto a Gino Gavazzi scomparso improv-visamente nel 1935, e quando nel 1961 lasciò la direzione, il Banco aveva poco meno di cento dipendenti, otto fi liali e depositi per oltre 10 miliardi di lire. Ho avuto la fortuna di conoscere Danesin e di apprezzarne l’operato - sottolinea Agostino Gavazzi - sia come direttore generale dell’istituto, sia come membro del Consiglio dì amministrazione. Infatti, quando vi entrai io, Danesin ne era ancora uno dei consiglieri più ascoltati. Era una persona estremamente deter-minata, con le idee chiare e con una rettitudine, una moralità ed un rigore ineccepibili.

Tornando alle vicende del Banco, quali i passaggi e quali i personaggi significativi degli anni successivi?

Certamente va ricordato - e siamo nei pri-mi anni sessanta - il progetto di fusione per incorporazione della Banca della Brianza. Un’operazione importantissima per noi, que-sta, compiuta sotto la presidenza di mio padre, Pietro, succeduto a Luigi Lado nel 1959, e di Mario Veneziani, il nuovo direttore generale, perché ci permise, grazie all’acquisizione di quella rete di 11 sportelli, di raddoppiare - senza sovrapposizioni - il numero delle nostre fi liali sul territorio brianzolo. Fu un’operazione rilevante, realizzata in tempi - giova rammentarlo - in cui la Banca d’Italia esercitava un controllo sugli insediamenti bancari assai severo.

Con Mario Veneziani l’istituto compì un nuo-vo salto di qualità: se Danesin l’aveva costruito, è Veneziani che lo sviluppa, aprendolo al terri-torio e rispondendo alle necessità emergenti di un tessuto sociale ed economico in piena espansione. Sempre Veneziani è l’uomo che promuove la realizzazione del primi processi di meccanizzazione del lavoro e di elaborazione dei dati, segnando la fi ne di molta manualità nel lavoro di sportello .

Gli anni della presidenza di suo padre furono importanti per le sorti del Banco...

Di mio padre nella veste di amministratore del Banco ho il ricordo di un uomo serio e giu-sto. Capace, in quanto ingegnere, di aff rontare qualsiasi problema con approcci e mentalità rigorosamente analitici: ho avuto la fortuna

La sede della Banca della Brianza, incorporata dal Banco Desio negli anni Sessanta

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Eventi

7La Banco nota

di vederlo presiedere le assemblee dell’istituto quando io, allora molto giovane, incomincia-vo a parteciparvi. Degli ultimi anni della sua permanenza nel Consiglio del banco, vorrei ricordare il progetto - da lui fortemente voluto e che non riuscì a veder realizzato - di dotare il Banco di una nuova sede. La storica sede in piazza Conciliazione era diventata ormai insuffi -ciente e rammento che vennero vagliate diverse opportunità ma alla fi ne prevalse l’idea di fare l’investimento più impegnativo economica-mente ma orientato allo sviluppo ed al futuro della nostra azienda. Conservo un suo breve appunto nel quale sinteticamente annotava: “edifi cio funzionale, per la banca di oggi e di domani, semplice ma dignitoso per ragioni di immagine”, concludendo col pragmatismo e la lungimiranza che gli erano propri: “si tratta di sistemare il Banco per i prossimi trenta anni”.

Ma era anche un uomo pronto a reagire con veemenza quando riteneva lesi gli interessi aziendali. In particolare, ricordo come se fosse ieri una sua vibrata telefonata di protesta al

direttore de “Il Sole 24Ore”, quotidiano che si era permesso di diff ondere la notizia non vera della vendita del Banco senza verifi carne l’at-tendibilità con i diretti interessati. Le voci della possibile vendita del Banco Desio - commenta il Presidente - hanno rappresentano del resto una costante negli anni, perché il nostro istituto è sempre stato ambito e desiderato da più parti. Per anni, nel mondo del credito, non sono stati molti quelli che avrebbero scommesso sulle capacità di resistere del Banco, in quanto non veniva giudicato credibile un futuro per una piccola banca autonoma. In realtà - sottolinea Agostino Gavazzi -, la decisione di continuare da soli è stata premiante, ed è stato uno dei principali motivi grazie a cui siamo riusciti a crescere in maniera lineare e a diventare ciò che il Gruppo Banco Desio oggi rappresenta.

E dopo suo padre? A mio padre successe per quattro anni Pietro

de Mojana di Cologna, allora presidente del Collegio sindacale, e nel 1982 Ignazio Lado

L’Orfanotrofi o dove per anni il Banco Desio tenne la sede e lo sportello. È in questa casa che nacque Papa Pio XI

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Eventi

8 La Banco nota

- fi glio di Luigi - che resse il Consiglio di am-ministrazione fi no al 2002.

Proprio in coincidenza con la presidenza Lado il Banco conobbe un importante periodo di trasformazione e di crescita. Nell’arco di un ventennio l’istituto triplicò la rete territoriale arrivando ad oltre ottanta fi liali, nel 1995 ot-tenne la quotazione in Borsa e su quest’onda impostò una ulteriore forte espansione, da un lato crescendo nel settore della gestione del risparmio ed iniziando ad operare nel campo delle assicurazioni, dall’altro lato guardando al di fuori dei confi ni regionali.

Con Ignazio Lado ho collaborato per anni, come vice presidente. Del nostro lavoro insieme mi piace ricordare - come ho già fatto in pas-sato proprio sulle pagine de La Banconota, in occasione della sua dipartita - gli insegnamenti da lui ricevuti e l’equilibrio raggiunto tra il mio approccio pragmatico e la sua visione giuridica dei problemi, frutto dei suoi studi e della sua professione. Dopo Ignazio Lado, nel 2002 alla presidenza sono stato chiamato io.

Proprio l’ultimo decennio è quello del massimo sviluppo, per il Banco.

In termini generali, la crescita per qualsiasi impresa sana è un fenomeno inevitabile: se non ci fosse vorrebbe dire che l’impresa non è viva. Si capisce dunque perché, anche per contrastare una concorrenza via via sempre più agguerrita, il Banco dapprima si è con-solidato nella provincia d’elezione, quella di Milano, per poi puntare su quelle limitrofe, da Como a Varese, da Bergamo a Brescia, e per compiere infi ne il balzo oltre regione: in Toscana, nel Lazio, nel Veneto e in Emilia, nel Piemonte e recentemente anche in Liguria.

Con un successo incontrovertibile, per-ché, in un ampio arco temporale connotato da progressive fusioni e concentrazioni di aziende di credito in realtà ancora più gros-se, noi abbiamo esportato la nostra fi losofi a di sempre, e cioè quella di un istituto agile, a misura d’uomo, al servizio delle famiglie come della piccola e media impresa, costantemen-te attento alle esigenze della clientela e del territorio in cui opera.

Se abbiamo saputo raggiungere questi obiettivi, che indubbiamente ci fanno onore, bisogna ringraziare in particolare il manage-ment dell’istituto. Ma non voglio dimenticare tutte le persone che a diversi livelli, ruoli e responsabilità operano all’interno del Banco e del Gruppo. Solo dalla mobilitazione delle competenze e dell’impegno di tutti - nessu-no escluso - può nascere un successo vero e stabile nel tempo.

Un ringraziamento speciale va, natural-mente, alla nostra clientela, che credo possa essere soddisfatta di come viene seguita e accompagnata dal Banco - conclude Agosti-no Gavazzi -.

Noi lavoriamo per essa e da essa ricevia-mo il riconoscimento della bontà del nostro lavoro. Del resto, se mi è concesso citare un antico professore, lo scopo di ogni società è il rendere un servizio. Il profi tto è la dimostra-zione che il servizio ha risposto alle esigenze di chi ne ha fruito. Se la banca si è sviluppata nel tempo , è perché nel tempo - ed il nostro è lungo cento anni - ha ricevuto il gradimento di chi si è rivolto ad essa.

Contiamo di continuare ancora così, com-pleanno dopo compleanno.

La sede del Gruppo Banco Desio occupa oggi un moderno edifi cio

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Eventi

9La Banco nota

Contenuti e Contenuti e signifi cati signifi cati

del logo del del logo del CentenarioCentenarioÈ stato presentato lo scorso dicembre il simbolo

che accompagnerà tutte le iniziative programmate

per celebrare la ricorrenza

Qui sopra, il logo del Centenario. Vicino al titolo, un manifesto della campagna istituzionale del Banco Desio

Il Centenario è una ricorrenza di rilevante importanza per tutti coloro che, nel tempo, hanno partecipato a diverso titolo allo svilup-

po prima dell’Istituto e poi dell’intero Gruppo e che verrà scandita, lungo tutto il corso dell’an-no, da una serie di iniziative di diversa portata e coinvolgimento. Un evento così importante non può prescindere dalla presenza di un elemento simbolico in grado di riassumere e rappresentare quei valori che, sin dal 1909, hanno caratterizzato ed identificato il Banco Desio. Proprio per questo, la prima tappa del percorso di celebrazione è coin-cisa con la presentazione, lo scorso 1° dicembre, del Logo del Centenario, ovvero il simbolo che accompagnerà tutte le iniziative che saranno programmate nel corso del 2009.

Scegliere il giusto logo è spesso la parte più complessa di quel processo che gli addetti ai lavori defi niscono di costruzione del marchio (o per gli anglofoni, brand). Una sola immagine grafi ca è infatti chiamata a rappresentare in modo univoco un’azienda, un prodotto o, come nel nostro caso, un intero evento. Con quale scopo? Caratterizzare e diff erenziare evocando, in particolare, valori distintivi rispetto a quanto rappresentato dalla concorrenza. Per questo, racchiudere la storia ed i valori di un Istituto quale Banco Desio in un unico simbolo non è stata cosa semplice. Ma come è nato il nuovo logo ? E quali sono i signifi cati rac-

chiusi al suo interno? Nella sua realizzazione, il Logo del Centenario è stato concepito per evocare grafi camente valori quali continuità ed unione, concetti simboleggiati nell’immagine dalla so-vrapposizione dei due cerchi, nell’intersezione dei quali campeggiano i colori istituzionali.

Banco Desio si trova quindi idealmente al cen-tro di una continuità temporale che, attraverso i suoi 100 anni di storia, rappresenta l’aspetto più evidente delle celebrazioni. Allo stesso tempo, il logo persegue anche un obiettivo di continuità di quei valori che, sin dal 1909, hanno caratterizzato prima la banca e poi l’identità dell’intero Gruppo: la solidità, la territorialità, il cliente.

Non a caso, proprio quei valori che, nell’attuale contesto economico fi nanziario, sono oggetto di “nuova scoperta” da parte di numerosi operatori di mercato e che Banco Desio, al contrario, ha sempre posto alla base di quel modo di fare ed essere banca che sin dal 1909 ha caratterizzato lo sviluppo dell’Istituto. Un logo quindi con una forte componente simbolica. Un logo che, nella sua semplicità, vuole evocare allo stesso tempo quei tratti di concretezza e pragmatismo che solo una banca di famiglia come Banco Desio è in grado di esprimere. Sin dal 1909.

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Storia

10 La Banco nota

di Francesco Ronchi

Le scelte Le scelte iniziali iniziali del Banco del Banco DesioDesio

Esaminiamo in questo articolo tre

importanti momenti della storia

dell’istituto nei suoi primi venti anni di

vita: perché si optò per la fondazione

di una Cassa Rurale, gli orientamenti

sostenuti dai gruppi che si contendevano

le sorti della Cassa Rurale, e infi ne il

passaggio da Cassa Rurale a Cooperativa

a responsabilità limitata

La prima importante decisione in merito alla banca locale fondata nell’agosto 1909 fu la scelta del tipo di società. La forma

cooperativa venne caldeggiata dal notaio In-nocente Arnaboldi, il quale da molti anni ne era un convinto assertore. Il Codice di commercio, in vigore dal 1882, non richiedeva alle coope-rative di credito formalità maggiori a quelle, ad esempio, di lavoro; inoltre uno dei maggiori teorici della cooperazione, Luigi Luzzatti, era all’apice d’una lunga ed intensa carriera politica che sarebbe culminata di lì a pochi mesi con la presidenza del consiglio dei ministri.

In teoria v’erano tre possibili vesti giuridiche per la nuova banca cooperativa, ciascuna con vari pro e contro: una Banca Popolare; una Ban-ca di Piccolo Credito; una Cassa Rurale.

La prima soluzione appariva irrealistica, in un periodo di persistente crisi economica: per una Popolare sarebbero occorsi almeno un centinaio di soci disposti ad immobilizzare nel capitale azionario somme relativamente importanti; con l’aggravante che tale iniziativa avrebbe subito suscitato una reazione da parte di banche ben più solide, in una zona - il circon-dario di Monza - dove negli ultimi anni v’erano

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Storia

11La Banco nota

ultimi anni del XIX secolo (in un periodo di grave arretratezza del sistema creditizio) con il duplice obbiettivo di combattere la piaga dell’usura mediante il micro-credito e d’off rire ai piccoli risparmiatori locali un luogo sicuro dove conservare il denaro contante.

La Desio del 1909, pur mantenendo talune caratteristiche del borgo agricolo d’un tempo, era un centro industriale ed amministrativo ben collegato alla rete ferro-tramviaria briantea e nazionale tramite Milano, Monza e Seregno. I maggiori imprenditori locali (la famiglia Ga-vazzi, titolare di tessiture e fi lande, e Raimondo Targhetti, proprietario del Lanifi cio Nazionale) intrattenevano rapporti d’aff ari con le principali banche del Regno.

La Cassa Rurale di Desio conobbe immedia-tamente un notevole successo, specie per la raccolta di depositi: segno che molti piccoli ri-sparmiatori non si fi davano di banche “esterne”, anche quando - come nel caso di quella mon-zese - si presentavano con la rassicurante veste di sostenitrici delle “opere cattoliche”. Tuttavia proprio l’insperato andamento della raccolta contribuì a ridimensionare l’importanza della prima importante associazione depositaria presso la nuova Cassa Rurale, e cioè la “Mutua S. Sebastiano” (un fondo ideato e gestito dal referente dell’Oratorio di Desio, il futuro pre-vosto don Erminio Rovagnati).

state acquisizioni da parte dei maggiori istituti milanesi. La formula del Piccolo Credito, più specifi camente connotata in senso “cattolico”, aveva avuto una certa fortuna in Lombardia nel primo biennio del secolo, anche perché s’indirizzava alla conciliazione degli interessi, non sempre coincidenti, degli agricoltori e dei piccoli imprenditori e commercianti. Tuttavia v’era un grosso ostacolo: a Desio operava già una fi liale del Piccolo Credito Monzese, una banca che aveva saputo guadagnare la fi du-cia anche d’una parte degli amministratori comunali.

La scelta fi nale

In favore della terza tipologia giocava un altro elemento, e cioè il fatto che ai soci era chie-sto il versamento d’una cifra quasi simbolica, una lira; inoltre non tutti i sottoscrittori erano in grado di comprendere qual fosse la contro-partita richiesta dai Tribunali per consentire l’inizio dell’attività senza avere a disposizione mezzi propri: l’accettazione della responsabilità illimitata, cioè il fatto che in caso di fallimento essi si dichiaravano pronti a concorrere con tutti i loro averi al ripianamento del defi cit.

Date tali premesse, la scelta di costituirsi come Cassa Rurale risultava logica, anche se non priva d’elementi potenzialmente ambigui. Infatti questa formula era stata applicata dagli

Accanto al titolo, un certifi cato azionario della Cassa Rurale di Depositi e Prestiti

La Tessitura Gavazzi, che nel 1890 aveva 1600 dipendenti

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Storia

12 La Banco nota

1919, IL PRIMO DECENNALE

Il diritto di votoGià alla fi ne del 1909, infatti, il sacerdote si

vedeva costretto a prendere posizione contro i’iniziativa di limitare a cento il numero dei soci della Cassa Rurale, portato avanti dal direttore del personale della tessitura Gavazzi, Giovanni Biancotti: un chiaro segnale dell’intenzione di superare la formula della cooperativa ad azio-nariato diff uso, in cui ogni iscritto aveva diritto di voto in assemblea, a prescindere dalla quota di capitale in suo possesso.

Un altro problema riguardava i rapporti con le banche cattoliche interessate ad off rire supporto tecnico e, soprattutto, a remunerare i versamenti di danaro fresco provenienti dalla Cassa Rurale. Oltre al Piccolo Credito Monzese, era concreto l’interesse del Banco Ambrosiano di Milano, nel cui consiglio d’amministrazione sedeva dal 1904 Giuseppe Gavazzi, fi glio pri-mogenito del sindaco di Desio.

Dati di bilancio alla mano si può aff ermare che nei primi anni di vita della nuova banca non furono però queste banche a “drenare” una parte consistente degli impieghi, bensì i cosiddetti “conti correnti attivi”, cioè linee

di credito aperte nei confronti della Gavazzi, della Cooperativa Agraria Desiana e di talu-ne iniziative imprenditoriali poste in atto da Biancotti nel campo dell’edilizia scolastica e dell’artigianato del mobile, ad un tasso d’in-teresse pari o leggermente inferiore rispetto a quello di mercato. Quando la prassi s’era ormai consolidata, e stabilizzato il numero dei soci in centoventi circa, vennero gli anni diffi cili della Grande Guerra a mutare le prospettive di sviluppo del futuro Banco Desio.

Al centro, un documento datato 24 luglio 1926 che certifi ca la conversione di 222 vecchie azioni del Banco Desio in altrettante azioni al portatore

Giovanni Biancotti

La prima signifi cativa ricorrenza nella vita della Cassa Rurale di Desio, i dieci anni dalla fondazione, venne a cadere in un anno denso d’avvenimenti. La conclusione d’una Guerra durata troppo a lungo non aveva portato mi-glioramenti sostanziali nel tenore di vita degli italiani, molti dei quali anzi vennero a trovarsi in una condizione più precaria. Per eff etto della rapida smobilitazione delle truppe, in molti degli “stabilimenti ausiliari” del Nord il perso-nale femminile, cui s’era fatto largo ricorso per supplire alla carenza di operai, venne licenziato senza tanti complimenti. Le donne tornavano ad essere considerate cittadini di serie b, escluse dal voto e quindi dall’importante appuntamen-to elettorale di novembre, il primo in cui venne applicato il sistema proporzionale, che sanciva il primato dei partiti politici rispetto ai vecchi comitati elettorali locali.

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Storia

13La Banco nota

Sulle donne ricadeva anche in larga parte il problema del sostegno psicologico ai reduci, molti dei quali erano tornati a casa sconvolti o mutilati, e quindi impossibilitati a riprendere le attività e lo stato sociale precedenti. Molti altri reduci avevano invece imparato a bere e gio-care d’azzardo; a farsi obbedire da altri uomini, a girare armati, e ciò contribuiva ad accrescere le diffi coltà di reinserimento in realtà sociali un tempo fortemente strutturate, com’erano i paesi della Brianza milanese.

Il dopoguerra Per la banca desiana dal punto di vista del

conto economico il 1919 non rappresentò una cattiva annata: con la pace erano ripresi i ma-trimoni rimandati in attesa di tempi migliori, e di conseguenza le richieste di prestiti a breve termine. In aumento, purtroppo, anche i prestiti legati ai numerosi lutti provocati dalla terribile pandemìa nota come “Spagnola”, che infi erì in tutta Europa nel 1918-19.

Un fenomeno in sé negativo, l’infl azione, favoriva il giro d’aff ari della Cassa Rurale: da un lato l’aumento dei furti induceva le famiglie a non lasciare i risparmi sotto la classica mat-tonella; dall’altro la carenza di generi di largo consumo (alimentari, vestiti) e la loro distribu-zione contingentata rendeva opportuno per le cooperative di consumo, alcune delle quali clienti e azioniste della Cassa Rurale, poter di-sporre di denaro contante per acquistare merci “d’occasione”, senza indagare troppo sulla loro provenienza.

Tuttavia la banca nel corso dell’anno dovette fare i conti con i forti contrasti emersi all’in-terno della compagine sociale tra un gruppo cattolico-democratico, rappresentato dal rag. Alessandro Bianchi e da don Giovanni Penati, simpatizzanti del nuovo Partito Popolare ita-liano fondato a gennaio su iniziativa di don Luigi Sturzo, e gli azionisti legati al direttore del personale della Gavazzi, Giovanni Biancotti, il quale durante l’estate fu protagonista della dura vertenza tra l’azienda tessile e il sindacato d’ispirazione cattolica diretto da Achille Grandi, le cosiddette “leghe gialle”.

La vertenza culminò nello sciopero del 24 agosto, che coinvolse praticamente tutte le aziende desiane. Alla richiesta d’adeguamenti salariali la proprietà opponeva i problemi ge-nerali del settore serico e quelli originati dalla cessazione delle commesse militari. In una posizione intermedia rispetto ai due gruppi s’erano posti sia il prevosto ed assistente ec-clesiastico della Cassa Rurale, don Erminio Rovagnati, sia il presidente Santino Colombo. Il primo sperava che la piccola banca potesse accrescere il proprio impegno in uno dei pochi Santino Colombo

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Storia

14 La Banco nota

VERSO IL VENTENNALE

settori produttivi che dopo la fi ne della Guerra poteva off rire nuovo lavoro e benessere alle famiglie, quello mobiliero, mentre a Colombo stava a cuore la Cooperativa Agraria, per il cui funzionamento era fondamentale ottenere credito dalla Cassa Rurale.

La politica dell’Italia Il dibattito veniva seguito con grande at-

tenzione dal gruppo di soci legato ad Attilio Pissavini, fratello dell’amministratore della vasta proprietà desiana di Tommaso Tittoni. Anche per quest’ultimo il 1919 fu un anno speciale: in primavera l’ex ministro degli Esteri ed ex ambasciatore a Parigi aveva assistito con un misto di sgomento e d’intima soddisfazione alla serie d’errori inanellati alla Conferenza di pace di Versailles dal presidente del Consiglio, Vittorio Emanuele Orlando, e dal ministro degli Esteri Sidney Sonnino, che costarono loro il posto in giugno.

L’astro emergente della politica italiana, Francesco Saverio Nitti, richiamò Tittoni alla guida degli Esteri, ma dovette ben presto pen-tirsene, perché nel clima di veleni e diffi denze

che caratterizzarono in quei mesi la politica internazionale il desiano si dimostrò non meno “ingenuo” dei suoi predecessori.

L’appannarsi dell’immagine pubblica del ministro indusse Pissavini a cercare un accordo personale sia con il parroco sia con Biancotti; sul versante opposto, i cattolici democratici desiani, ottenuto l’appoggio dei seregnesi, decisero di dare vita in dicembre ad una nuova società cooperativa edifi catrice, agricola e di consumo, la Pro Desio, destinata fatalmente a contrapporsi a quelle già esistenti, sia in campo cattolico-moderato che socialista.

L’anno seguente i termini del dibattito in-terno sarebbero stati completamente modi-fi cati da quella che per il momento appariva un’ombra lontana: il crollo della Banca Italiana di Sconto, di cui durante la Guerra la Cassa Ru-rale era divenuta “corrispondente”, valendosi del suo servizio per emettere assegni.

Attilio Pissavini

La Cassa Rurale di Desio alla fi ne del 1920 aveva modifi cato lo statuto per diventare una cooperativa a responsabilità limitata, in grado d’accogliere come soci non solo persone fi siche, ma anche altre società; dal 1924 aveva assunto la denominazione Banco Desio, e agli inizi del 1926, alla vigilia dell’entrata in vigore delle nuove leggi bancarie, s’era trasformata in una Spa, col capitale di mezzo milione di lire.

Nel 1929, quando si festeggiarono i vent’anni dall’inizio dell’attività, la guida dell’istituto era saldamente nelle mani della famiglia Gavaz-zi, ed in particolare dei cugini Gino e Giulio Gavazzi.

Gino rappresentava il gruppo degli eredi di Egidio Gavazzi, i quali avevano creato una so-cietà, La Fraterna, allo scopo d’agire di concerto nella gestione delle società di cui la famiglia era azionista. In particolare Gino, oltre che la presidenza della piccola banca desiana (che era solo una delle cinque con cui intratteneva-no rapporti regolari i Gavazzi) aveva assunto anche quella della Casa di Salute per Signore, meglio nota con la successiva denominazione di Cliniche Zucchi di Monza.

Giulio era uno dei fi gli di Pio Gavazzi; dal 1926 aveva accettato la carica di Podestà (cioè

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Storia

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Sindaco) di Desio, raccogliendo idealmente l’eredità dello zio Egidio, che aveva guidato l’amministrazione locale dal 1883 sino alla morte, nel 1910, e poi di suo padre Pio, che era stato sindaco nei successivi dieci anni.

Gli incarichi professionaliI due cugini erano entrati per la prima vol-

ta nel Consiglio d’Amministrazione del Banco Desio in occasione della trasformazione in società anonima, ed avevano anche una vita professionale piuttosto intensa: Giulio per la sua carica pubblica, Gino perché impegnato a salvaguardare gl’interessi della moglie Rosa (fi glia del fondatore della Pirelli) nell’ambito del complesso passaggio generazionale che nella seconda metà degli anni ‘20 aveva per protago-nisti i suoi cognati Piero e Alberto Pirelli.

Date tali premesse, entrambi nei primi anni dopo la nomina ad amministratori tennero in grande considerazione, per la gestione del Banco Desio, il parere di chi da più tempo s’occupava della realtà economica locale. Gino faceva riferimento al fratello maggiore Giusep-pe ed al cognato Luigi Lado, i quali seguivano anche gli interessi degli eredi di Luigi Gavazzi, prematuramente scomparso nel 1917; Giulio invece era il referente di altri suoi familiari, de-tentori di quote minori, e s’appoggiava a due dei fondatori della banca: il prevosto don Erminio Rovagnati e Giovanni Biancotti, già direttore del perso-nale della tessitura Gavazzi.

Giuseppe, ispiratore della Fra-terna, dalla fi ne del 1919 aveva accettato di fi gurare quale pre-sidente dell’Agraria Desiana, al fi ne di raff orzare la posizione del gruppo dirigente, soggetto a pres-sioni di carattere politico. Lado era invece azionista nella Società del Gas di Desio. Il parroco e Biancotti erano rimasti scottati alcuni anni prima dallo scarso successo arriso ad un’iniziativa imprenditoriale, la produzione di mobili in stile, cui il Banco Desio agl’inizi degli anni ‘20 aveva fornito prestiti consistenti. Non in cifre assolute, ma perché - come tutte le casse rurali - aveva dovuto ricorrere ai depositi della

clientela, e non a capitali propri, per poter eff et-tuare quel tipo di fi nanziamenti. I due fondatori avevano appoggiato nel 1925-26 la decisione della famiglia Gavazzi d’entrare direttamente nel capitale della banca, onde evitare nuovi tentativi di scalata da parte di altre banche, tuttavia avevano chiesto di mantenere una certa continuità gestionale, lasciando al suo posto di direttore, l’avvocato Ernesto Volonté, di Milano, il quale s’era guadagnato la stima degli azionisti del Banco per l’impegno con cui aveva condotto la vendita della cascina Boscaiola, una proprietà immobiliare in territorio milanese pervenuta a seguito del fallimento personale d’un cliente, senza dubbio non strategica per l’azione della banca desiana.

Volonté era sostenuto anche dal lissonese Ferdinando Paleari, industriale mobiliere e azionista di minoranza del Banco che, anche dopo il 1926, aveva mantenuto la carica di Vicepresidente, peraltro priva d’eff ettivi po-teri. Dato che Volonté non s’intendeva molto di tecnica bancaria e di contabilità, Biancotti aveva pensato d’affi dare un ruolo dirigenziale ad Ernesto Masolo: questi aveva maturato una lunga esperienza al Banco, di cui era dipendente e piccolo azionista, ed aveva accettato di buon grado di lasciare il suo posto in Consiglio a Giulio Gavazzi.

Villa Tittoni, in un’immagine degli inizi del Novecento

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16 La Banco nota

Tuttavia il presidente Gino Gavazzi e i suoi familiari, consapevoli del fatto che risiedendo abitualmente a Milano non erano in grado di controllare da vicino l’operato del direttore, preferirono affi ancare a Volonté una persona di loro fi ducia, Camillo Prandoni, nominato Condirettore.

La situazione politico-economica La famiglia Gavazzi aveva sempre mantenu-

to rapporti frequenti e cordiali con il più noto tra i nativi di Desio, Achille Ratti, il cui padre nell’Ottocento era stato per un certo periodo dipendente della loro fi landa desiana.

Quand’era stato eletto cardinale arcivesco-vo di Milano e - dal febbraio 1922 - Sommo Pontefi ce con il nome di PIO XI, essi avevano

dovuto concordare i fe-steggiamenti con le altre famiglie notabili e con l’amministrazione comu-nale, di cui non avevano più la guida. Erano tempi di diffi coltà economiche e di disordini legati agli opposti estremismi poli-tici, spesso connotati da posizioni anticlericali. Al-cuni dei “rossi” più accesi avevano quale modello la rivoluzione sovietica in Russia, mentre tra i “neri” erano in tanti a non aver dimenticato le posizioni pacifi ste assunte da Be-nedetto XV durante la Guerra.

In Brianza l’azione del Papa non aveva suscitato particolari passioni; nel mondo cattolico infatti persistevano, pur con va-rie sfumature, le divisioni emerse in modo a volte traumatico all’epoca della dura lotta di Pio X contro

le posizioni dei cosiddetti Modernisti, nonché le contrapposizioni legate all’esperienza del Partito Popolare e la scelta compiuta dai suoi dirigenti nel 1922-24 in merito all’adesione, o meno, al fascismo.

La famiglia Gavazzi in quegli anni si trovò ad essere complessivamente connotata del-l’antica amicizia con il senatore Carlo Ottavio Cornaggia, il quale, pur se con qualche distin-guo, aveva sostanzialmente aderito al regime. Tuttavia non va dimenticato il profondo aff et-to che legava Filippo Turati ai familiari della fi glia adottiva Andreina Costa; in particolare il primogenito di Luigi Gavazzi, Luigi Jr., col-laborò all’organizzazione del diffi cile espatrio in Francia del leader socialista avvenuto nel dicembre 1926.

Le simpatie per l’azione del governo si concentravano soprattutto tra i familiari di Pio Gavazzi, il quale fu per diversi anni, ai primi del secolo, consigliere comunale a Nova Milanese; ciò paradossalmente rappresentò un ostacolo allo sviluppo dell’attività del Banco, che vi ave-va aperto agli inizi degli anni ‘20 la sua prima fi liale: molti cattolici del paese infatti rimasero fedeli alla locale Cassa Rurale di Nova, che riuscì a sopravvivere sino al 1928.

I rapporti con la ChiesaAgli inizi del 1929 appariva evidente il fatto

che il regime fascista non sarebbe stato in grado di assicurare alla maggioranza degli italiani sti-pendi paragonabili a quelli dei più evoluti paesi europei; tuttavia le politiche dirigistiche ave-vano contribuito a dare alle famiglie maggiori prospettive in campo previdenziale rispetto ai governi liberali precedenti. Benito Mussolini aveva compreso che un accordo generale con la Chiesa cattolica, avrebbe accresciuto il con-senso nei suoi confronti e di conseguenza con-tribuito a ridimensionare le ambizioni di alcuni gerarchi: l’11 febbraio 1929 pertanto vennero sottoscritti i Patti Lateranensi, cioè gli accordi di mutuo riconoscimento tra il Regno d’Italia e lo Stato della Città del Vaticano, accordi che presero il nome dal palazzo di San Giovanni in Laterano in cui avvenne la loro fi rma.

Giulio Gavazzi diede quindi il via a solenni celebrazioni a Desio, culminate con l’intitola-zione della grande piazza antistante la chiesa alla Conciliazione; erano pressoché conclusi i lavori del nuovo asilo infantile “Pio XI”, commis-sionato nel 1928 all’impresa dei F.lli Schiatti, il cui padre era stato uno dei primi azionisti del Banco . Nei mesi seguenti il podestà di Desio indisse un concorso per la costruzione della

La Chiesa Parrocchiale di Desio. Sul suo sagrato sarebbe stato collocato il gruppo statuario dedicato a Papa Pio XI, illustrato nella pagina a fi anco

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Storia

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statua in bronzo del Pontefi ce, da porre al cen-tro della piazza, promettendo che avrebbe lui stesso pagato ogni spesa, senza gravare sulle tasche dei cittadini.

L’economia desianaQuesta decisione non era dovuta al fatto

che l’economia locale godesse d’un forte sviluppo; anzi, era forse vero il contrario. Nel distretto industriale di Monza si faceva sentire la crisi dei cappellifi ci, che non riuscivano più ad esportare le grandi quantità dei primi anni del secolo, anche a causa d’un cambiamento profondo nei gusti dei consumatori, su cui avevano scarsa presa i modelli tradizionali, troppo standardizzati o ormai troppo costosi. Della cosa era ben consapevole uno dei fratelli di Giulio, Carlo Gavazzi, azionista ed ammini-stratore dell’ex Cappellifi cio Carozzi, uno dei maggiori del capoluogo brianteo. A Desio nella seconda metà del 1928 erano emerse gravi diffi coltà per una delle maggiori aziende meccaniche della zona, le Offi cine Metallurgi-

che, terziste per conto della Edoardo Bianchi & C. di Milano e di altre fabbriche di biciclette. Un’altra ragione per la quale il podestà evitò di rivolgersi al consiglio comunale per chiedere un eventuale contributo alla realizzazione della statua bronzea era la consapevolezza del fatto che i Patti Lateranensi erano stati mal digeriti da molti esponenti dell’establishment di matrice liberal-conservatore che pure aveva aderito al Regime e ne sosteneva l’azione politica.

La fi gura di maggior spicco in tale gruppo era probabilmente il notaio Antonio Colleoni, che nell’ultimo decennio era andato progressi-vamente staccandosi dal Banco Desio, con cui aveva collaborato dopo aver rilevato l’attività d’un grande amico dei Gavazzi, il notaio Inno-cente Arnaboldi. Colleoni mirava a raccogliere a livello locale l’eredità politica dell’ormai molto anziano e stanco presidente del Senato Tom-maso Tittoni, e ci sarebbe riuscito di lì a pochi anni, quando assunse la guida dell’ammini-strazione comunale dopo una lunga carriera di assessore.

Achille Ratti, Papa Pio XI, è nato a Desio il 31 maggio 1857 ed è scomparso nella Città del Vaticano il 10 febbraio 1939. È salito al Soglio di Pietro nel 1922

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Iniziative

18 La Banco nota

È nata Rovere SICAV, che si propone di selezionare il gestore più adatto per ogni classe di

investimento, sotto il controllo diretto della nostra società di gestione

Fiocco rosa Fiocco rosa in Lussemburgoin Lussemburgo

La congiuntura negativa che ha caratteriz-zato i mercati finanziari negli ultimi mesi ha minato la fiducia dei risparmiatori nei

confronti del sistema finanziario: la scarsa con-sapevolezza degli investitori circa il contenuto di alcuni prodotti ha evidenziato la presenza sul mercato di strumenti non sempre coerenti con il profilo di rischio desiderato, mettendo in discus-sione la logica di distribuzione multibrand.

Per i distributori diventa di fondamentale importanza la conoscenza diretta degli investi-menti, mentre, dai clienti, arriva una richiesta di maggiore semplifi cazione e trasparenza.

Questa è la motivazione strategica di Rove-re Sicav, i cui Comparti sono gestiti in delega da primarie società di gestione, selezionate

in funzione di criteri oggettivi e soggettivi predeterminati, secondo la logica del gestore delegato “più adatto” per ogni tipologia di comparto.

La SICAV Rovere opera in Lussemburgo at-traverso la propria società di gestione, Rovere Société de Gestion S.A., società conforme alla direttiva UCITS III e controllata all’80% dal Gruppo Banco Desio attraverso la sub-holding Brianfi d Lux. Il reale vantaggio che Rovere Si-cav è in grado di off rire ai nostri clienti è che la nostra società di gestione, in modo autonomo e libero, sceglie, indirizza e controlla i gestori delegati con la facoltà di sostituirli qualora non dovessero più rispondere ai livelli qualitativi ri-tenuti ottimali. Obiettivo di questa operazione

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Iniziative

19La Banco nota

di analisi e scelta dei singoli gestori. L’approccio qualitativo utilizzato implica la conoscenza di-retta delle società di Asset Management nel loro complesso: struttura organizzativa, storia, aree di specializzazione e di eccellenza, affi dabilità, conoscenza e diff usione dei prodotti a livello internazionale e nazionale.

L’analisi quantitativa si è invece direzionata sull’analisi delle performance su più orizzonti temporali, l’analisi della replicabilità e consi-stenza dei risultati e la rischiosità conseguita (volatilità, resistenza nelle fasi di ribasso, sco-stamento rispetto ai benchmark).

non è dunque ampliare la gamma di prodotti off erti, bensì, coerentemente con i bisogni della nostra clientela e nel rispetto dei vincoli normativi, gestire il patrimonio in modo più effi ciente e performante.

Il progetto Rovere nasce dalla pluriennale esperienza in Lussemburgo del Gruppo e dal-l’incontro con due solide realtà bancarie del panorama italiano: Banca del Piemonte e Cassa di Risparmio di Ravenna. Dalla storia secolare di queste tre realtà Rovere trae principi e valori sui quali impostare la propria attività.

I vantaggiLe SICAV rappresentano una forma di rispar-

mio semplice e accessibile: grazie alle dimensio-ni dei patrimoni raccolti e alle ampie possibilità di investimento, i risparmiatori benefi ciano dei vantaggi della diversifi cazione, godendo al tempo stesso di un servizio di gestione svolto da qualifi cati operatori del settore.

Attraverso la partecipazione ad una SICAV il risparmiatore acquista azioni, diventando socio della stessa, con i conseguenti vantaggi e diritti. A ciò si aggiunge un favorevole regime fi scale: la tassazione fi scale viene applicata solamente all’atto della cessione delle azioni.

Rovere Sicav è una SICAV multicomparto di diritto lussemburghese che si compone di una gamma semplice ma completa: 8 Comparti che esprimono le capacità gestionali di altrettante case di investimento di comprovata esperienza ed affi dabilità. Questa struttura multicomparto permette di costruire un’asset allocation per-sonalizzata, off rendo la possibilità di scegliere i Comparti più adatti alle esigenze dei clienti in termini di obiettivi, propensione al rischio e durata dell’investimento.

Per ogni comparto, abbiamo infatti scelto il gestore “più adatto” tra i più noti gestori di fondi attivi sulle principali piazze fi nanziarie. L’attenta selezione dei processi di investimento e il controllo diretto esercitato dalla società di gestione sono gli elementi distintivi che fanno di questa gamma una risposta concreta alle richieste dei nostri clienti.

La gestioneFondamentale per valutare la qualità di

questa operazione è comprendere i criteri, qualitativi e quantitativi, utilizzati nel processo

Rovere Sicav si compone di 8 Comparti: • Rovere Liquidità per le normali funzioni di

liquidità, che investe in strumenti del merca-to monetario con vita residua non superiore ai 12 mesi.

• Rovere Obbligazionario Breve Termine, che investe principalmente in titoli a tasso variabile e a tasso fi sso a breve scadenza, puntando ad un rendimento superiore a quello del mercato monetario

• Rovere Obbligazionario, che investe princi-palmente in titoli a tasso fi sso mantenendo un’esposizione al rischio di tasso moderata, con l’obiettivo della crescita del capitale investito.

• Rovere Bilanciato Obbligazionario, un com-parto misto che investe principalmente in obbligazioni governative e societarie non-ché in strumenti fi nanziari di natura azionaria per un controvalore compreso tra il 10% e il 30% del fondo, al fi ne di perseguire la ri-valutazione del patrimonio con un livello di rischio medio-basso.

Il marchio della nuova società

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Iniziative

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La gamma è completata da 3 Comparti azionari per l’accesso ai mercati:

Rovere Azionario Euro, Rovere Azionario Europa e Rovere Azionario Nord America.

Per ciascun comparto sono previste due classi di azioni: la classe retail “RC”, acquistabile da tutti gli investitori, e la classe Istituzionale “IC”, solo per Investitori Istituzionali.

I controlliÈ questo il ruolo strategico della Società di

Gestione. Rovere Societé de Gestion S.A. è in-fatti responsabile delle seguenti attività:• Supervisione della gestione dei Comparti: la società di gestione sceglie, indirizza e con-

trolla i gestori delegati, selezionati tra i migliori fund manager attivi sulla scena italiana ed internazionale.

• Commercializzazione: attiva le convenzioni e cura i rapporti con i

Distributori ed i Soggetti che utilizzano i Com-parti all’interno delle gestioni patrimoniali.

• Risk Management: la società è responsabile del controllo e della

gestione complessiva dei rischi, con un par-ticolare focus al rischio di credito, mercato e valutario, nonché all’utilizzo di strumenti derivati.Queste tre prerogative, come la presenza

diretta nel territorio del Lussemburgo, costi-tuiscono i veri vantaggi che da ora possiamo off rire a tutti i nostri clienti che aderiranno alla “Rovere Sicav”.

Barbara AlfanoDirettrice di Rovere Sicav

Il progetto Rovere nasce dall’incontro del Gruppo Banco Desio con due solide realtà bancarie italiane: Banca del Piemonte e Cassa di Risparmio di Ravenna. Ripercorriamo brevemente la storia di questi due istituti, i cui metodi di lavoro e le cui tradi-zioni ben si coniugano con quelli del Banco Desio.

Banca del Piemonte - È una banca regionale, privata e indi-pendente dal 1912: non appartiene ad alcun gruppo ban-cario italiano o estero, è infatti orientata a creare valore per finanziare la propria crescita per conservare l’indipendenza, che permette scelte libere e autonome nell’interesse della clientela. Vuole essere vera, solida, banca del territorio, vicina

alle famiglie, alle imprese, agli artigiani, ai commercianti, ai professionisti e agli agricoltori piemontesi.Cassa di Risparmio di Ravenna - È una banca privata ed indipendente dal 1840, è capogruppo dell’omonimo Gruppo bancario (Gruppo Autonomo di Banche Locali). La peculiarità della Cassa di Risparmio di Ravenna è quella di “pensare in modo internazionale”, offrendo prodotti e servizi sempre più qualificati e di “agire in modo locale” grazie al forte radicamento sul territorio e alla snellezza e tempestività dell’operatività non condizionata dalla complessità delle strutture decisionali.

• Rovere Flessibile Attivo è il comparto che investe invece in OICR di natura azionaria ed obbligazionaria, lasciando ampia delega al gestore di determinare l’asset allocation ottimale per perseguire la crescita del patri-monio con un livello di rischio medio alto.

I PARTNER DEL BANCO DESIO IN ROVERE SICAV

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Strategie

21La Banco nota

Il Banco Desio dispone di prodotti e servizi che risultano essere particolarmente

utili alle piccole e medie aziende operanti sui diversi mercati internazionali

Come noto, la globalizzazione dei mer-cati, la crisi della domanda interna e dei sistemi produttivi locali hanno imposto

alle imprese, grandi e piccole, di andare oltre al confine italiano, di cercare acquirenti all’este-ro, di fare quel salto di qualità necessario per competere nell’agone competitivo quali sono appunto i mercati internazionali.

Molte aziende hanno scelto da tempo la strada della delocalizzazione “produttiva” con investimenti diretti all’estero che inizialmente hanno riguardato Romania, Ungheria, Repub-blica Ceca e Polonia e che successivamente si sono concentrati prevalentemente in Cina.

Altre aziende hanno invece puntato sulla internazionalizzazione commerciale mirando soprattutto ad una espansione del fatturato export verso i paesi emergenti. Si sono nel frattempo spalancati mercati vastissimi (Cina e Russia) e la concorrenza si è fatta sempre più agguerrita.

In un tale contesto, peraltro condizionato dalla attuale congiuntura sfavorevole mon-diale, il rapporto tra banca e impresa sta ra-pidamente evolvendo soprattutto per quegli istituti che, come il Banco di Desio, hanno un forte radicamento territoriale ed una relazione preferenziale con l’azienda.

Ne parliamo con Michele Montanaro, attuale responsabile area Estero del Banco Desio con esperienze maturate in diverse realtà aziendali bancarie sempre sul tema del commercio in-ternazionale e dell’operatività estero.

Come vede il rapporto banca-impresa alla luce dell’esperienza maturata in tale contesto?

In generale le banche sono consapevoli di essere percepite dalle imprese-clienti preva-lentemente come “controparte” e non come “partner” cui essere affi ancati nel processo di crescita aziendale e di internazionalizzazione.

Quando l’impresaQuando l’impresaguarda all’esteroguarda all’estero

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Strategie

22 La Banco nota

Dopo Romania, Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia ora è la Cina ad attirare gli investimenti delle aziende che hanno scelto la strada della delocalizzazione produttiva

In conseguenza di ciò, i servizi per le imprese dovrebbero arricchirsi di contenuti in una logica di “partnership di lungo termine” con il cliente.

Accanto alle tradizionali attività di fi nanzia-mento e di servizi di pagamento, assume una importanza sempre più rilevante l’off erta di quei prodotti e servizi, come ad esempio i crediti documentari e le garanzie internazionali, che risultano essere particolarmente fi delizzanti ed off rono alla banca la possibilità di accom-pagnare il cliente in modo personalizzato nella gestione delle sue attività di interscambio con l’estero.

Quali le possibili soluzioni?Prima di tutto bisogna fare una distinzione

tra le esigenze delle grandi aziende che vanno ad internazionalizzarsi e le PMI che rappresen-tano la nostra clientela-tipo.

Una grande azienda tendenzialmente ha bisogno di supporto in loco, cioè direttamente nel paese estero dove è in fase di realizzazione il progetto di investimento produttivo. La pre-senza territoriale del partner bancario (Uffi cio di Rappresentanza, Filiale Estera, eccetera) risulta pertanto rivelarsi un fattore determinante per potere garantire alla azienda italiana che sta investendo in un determinato paese lo stesso supporto operativo normalmente riservato alla stessa azienda dalla fi liale italiana della sua banca.

Nel caso di una PMI è invece necessario - in fase iniziale - disporre di un’ampiezza di prodotti e servizi molto “basic”. Una PMI ha bi-sogno in prima battuta di garantirsi gli incassi dei futuri clienti esteri e pertanto lo strumento della lettera di credito può rappresentare una valida soluzione.

Senza trascurare la necessità che l’azienda potrebbe avere di partecipare a gare d’appalto indette in un paese estero per cui è necessario essere assistiti da una garanzia (Bid Bond) emes-sa dalla propria banca. Oppure la necessità di potere disporre di tutta la gamma di garanzie internazionali (es: Advance Payment Bond, Retention Money Bond, Performance Bond) ne-cessarie per il corretto perfezionamento delle operazioni di commercio internazionale.

Al di là dell’ampiezza dei prodotti e dei ser-vizi disponibili, credo che una piccola o media

impresa abbia bisogno di essere “assistita” nella sua operatività quotidiana, soprattutto quando si devono assumere decisioni in merito alla accettabilità o meno di determinate clausole contrattuali che riguardano il regolamento fi -nanziario delle loro esportazioni. Se una banca vuole veramente diff erenziarsi nei confronti del panorama delle PMI deve integrare l’off erta dei prodotti e servizi con una componente di consulenza tecnica ed anche culturale che con-senta, soprattutto nelle strutture poco dotate delle PMI, di colmare un vuoto formativo.

Dove si colloca il Banco di Desio in questo contesto di internazionalizzazione?

Non disponendo di strutture “operative” all’estero, soprattutto in quei mercati più at-trattivi quali Brasile, Russia, India e Cina (in gergo “BRIC”), ci stiamo concentrando sullo

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Strategie

23La Banco nota

sviluppo quali-quantitativo della gamma dei servizi off erti - ci spiega Michele Montanaro -. Stiamo inoltre dedicando molta attenzione allo sviluppo delle competenze tecniche dei nostri addetti estero affi nché la già elevata qualità del servizio reso alla clientela possa presto raggiungere livelli di eccellenza.

Per quanto riguarda i colleghi della rete di-stributiva, abbiamo appena realizzato un piano di interventi formativi / informativi rivolti alle varie fi gure di Filiale. Il programma è stato per-sonalizzato in funzione delle specifi che attività svolte dai colleghi interessati (Responsabile, R.A.M., Settorista Aziende, Addetto Aziende).

Questo programma formativo ha preso vita dalla consapevolezza di dovere comunicare alla nostra clientela in “maniera sistematica e più effi cace” la nostra off erta anche di prodotti e servizi estero.

Quali sono invece i vostri principali fattori competitivi?

Innanzitutto una “fi liera” operativa e decisio-nale molto corta che ci consente di operare con tempi di esecuzione particolarmente brevi e di potere così soddisfare le richieste anche della clientela più esigente. Tramite un canale diretto con la nostra Area, diamo inoltre la possibilità, sia ai colleghi della rete distributiva che ai clienti, di potere ottenere praticamente in “tempo reale” una qualifi cata assistenza operativa ed un elevato supporto consulenziale soprattutto in riferimen-to a tutte quelle operazioni che presentano un maggiore indice di complessità. Forniamo inoltre una ampia consulenza su tutti gli aspetti legati all’interscambio con l’estero che possono spaziare dallo smobilizzo dei crediti all’esportazione alla informativa su come accedere ai servizi di SACE e/o di COFACE per assicurare i crediti dal rischio politico (default del paese del debitore estero) e/o commerciale (default del debitore estero).

E quale il progetto nel cassetto?In tutti questi anni di esperienza maturata

lavorando a contatto con le aziende, non solo lombarde, che operano con l’estero - risponde il nostro interlocutore - ho avuto modo di verifi care come spesso le PMI evidenzino, al loro interno, un gap di competenze tecniche soprattutto per quanto attiene l’utilizzo e la gestione di determi-nati e complessi strumenti fi nanziari quali sono i crediti documentari, le stand-by L/C, le garanzie internazionali. Ancora oggi le PMI investono con il contagocce nella formazione del proprio perso-nale amministrativo soprattutto per l’approfondi-mento di specifi che tematiche operative.

Ecco..., il progetto nel cassetto è proprio quello di potere sviluppare e consolidare le relazioni operative “estero” con la nostra clientela abitua-le anche mediante l’organizzazione di specifi ci incontri formativi allo scopo di recepire le reali esigenze delle aziende in materia di attività all’in-terscambio e potere quindi off rire delle valide e concrete risposte operative. Sempre sulla scorta di esperienze personali e professionali maturate, mi sento di aff ermare che il metodo migliore per convincere un cliente della nostra competenza e professionalità è quello di “dimostrarlo sul campo e con i fatti” come si conviene ad una qualsiasi azienda che ama fare bene le cose semplici.

l.b.n.

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Nuove Filiali

24 La Banco nota

Genova, per i non genovesi, si è sempre identificata con il suo porto. Negli ultimi 15 anni, però, un’altra istituzione ne ha

intaccato il predominio, tanto da essere iden-tificato con la città stessa: stiamo parlando del suo Acquario, ormai conosciuto in ogni dove. Ripercorriamone la storia.

L’Acquario di Genova - ci racconta una pubblicazione del suo uffi cio stampa - è stato costruito in occasione di Expo ‘92, celebrazione del quinto centenario della scoperta del Nuovo Mondo da parte di Cristoforo Colombo, con l’in-tenzione di ristrutturare e valorizzare un’area, piena di storia e tradizioni, situata nel cuore del centro storico di Genova: il Porto Antico.

Il progetto dell’area e dell’Acquario è del-l’architetto genovese Renzo Piano, che ha vo-luto realizzare un’opera che diventasse parte integrante della città, abbattendo i muri di delimitazione che per anni hanno tenuto i ge-novesi lontani dai moli. L’architettura interna dell’Acquario è opera, invece, dell’architetto statunitense Peter Chermayeff che, negli anni

Alla scoperta Alla scoperta del mondo marinodel mondo marino

Sono circa 800 le specie e oltre 10.000 gli esemplari di pesci, rettili, anfi bi, mammiferi, uccelli ed

invertebrati che si possono osservare all’Acquario di Genova

‘70, ha cambiato radicalmente il concetto di “acquario”. Chermayeff ha progettato un per-corso espositivo che coinvolge il visitatore come se fosse realmente sott’acqua. Dopo l’apertura parziale dell’aprile ‘92, per le Cele-brazioni Colombiane, l’Acquario di Genova viene defi nitivamente inaugurato il 15 ottobre ‘93. Di proprietà pubblica, l’Acquario è ge-stito dalla fi ne del ‘95 da Costa Edutainment S.p.A., società privata impegnata a sviluppare il mondo dell’intrattenimento educativo. La parola edutainment, acronimo di “educational entertainment”, defi nisce al meglio la missione della società.

Dall’estate del ‘98, l’Acquario di Genova si è ulteriormente arricchito con il rinnovamento di tutto il percorso e l’arrivo della Grande Nave Blu, una vera nave con 2.500 metri quadrati di esposizione. Il tema dominante, la biodiversi-tà, è sviluppato attraverso la riproduzione di ambienti e l’esposizione di animali tipici del Madagascar scelto come paese simbolo per la ricchezza delle specie che in esso vivono. L’Ac-

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A Genova il Banco Desio ha aperto una fi liale in Corso Brigata Liguria, 50

quario di Genova, anno dopo anno, si conferma una struttura di eccezionale successo. Ad oggi è l’acquario che presenta la più grande esposi-zione di biodiversità ed ecosistemi in Europa.

La missione - Oltre alla forte caratterizza-zione turistica, l’Acquario ha la missione di sensibilizzare ed educare il grande pubblico alla conservazione, alla gestione e all’uso re-sponsabile degli ambienti acquatici attraverso la conoscenza e l’approfondimento delle specie animali e dei loro habitat.

L’Acquario consta di 70 vasche che riprodu-cono ambienti marini, lacustri e terrestri. Sono circa 800 le specie ospitate, con oltre 10.000 esemplari tra pesci, rettili, anfi bi, mammiferi, uccelli ed invertebrati. Due interi piani sot-tomarini sono destinati agli impianti di trat-tamento dell’acqua, alle oltre 200 vasche per l’ambientamento degli animali, ai laboratori di analisi chimica, allo studio veterinario, alla sala controllo e a tutte le altre funzioni indispensabili alla vita dell’Acquario.

I visitatori - La struttura è visitata media-mente da 1,3 milioni di persone all’anno. Il 45% dei visitatori proviene dal Nord Ovest dell’Italia. La Liguria incide solo con l’11%. Il Nord Est ha un peso del 17%, il Centro del 18% e il Sud e Isole del 16%. Gli stranieri sono il 4%: in particolare tedeschi, inglesi, francesi, svizzeri e americani. Oltre il 30% dei visitatori dell’Acquario è tornato nel tempo a visitare la struttura. Una percentuale di circa 6% dei vi-sitatori totali è costituita dai “fedelissimi” che

ripetono la visita più volte nel corso dello stesso anno. Il principale target di riferimento della struttura è costituito da famiglie con bambini, pari al 60% dei visitatori; il restante è composta da: 16% turismo organizzato, 10% scuole, 7% visitatori che usufruiscono di promozioni ed ulteriore 7% di varia tipologia.

L’Acquario di Genova si colloca pertanto tra le principali mete turistico - culturali in Italia dopo Musei Vaticani, Scavi di Pompei, Palazzo Ducale a Venezia, Complesso Monumentale di Santa Croce e Galleria degli Uffi zi (fonte: Dossier Musei 2006 del Touring Club Italiano).

L’indotto economico - L’Acquario di Genova è stato fi n dall’inizio un punto di riferimento per il rilancio turistico della città e della Ligu-ria. Numerose iniziative sono nate sulla scia del successo di pubblico. Attorno all’Acquario sono sorte proposte complementari come La città dei bambini e dei ragazzi, il Padiglione del Mare e della Navigazione, dal 2004 sostituito dal nuovo Galata Museo del Mare, e il Museo Nazionale dell’Antartide.

Dopo 15 anni di attività, l’Acquario di Ge-nova ha superato il traguardo di 17 milioni di visitatori ed è diventato il motore propulsore dell’economia turistica del territorio. A confer-ma di ciò, dai risultati di una ricerca condotta da Eurisko nel 2000, emerge come l’Acquario sia considerato l’attrazione più importante di Genova.

l.b.n.

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La storia della La storia della “città dei Papi““città dei Papi“

di Alessandra Monguzzi

Savona, la cui origine risale all’età del bronzo, è così conosciuta perché ben due Pontefi ci,

Sisto V e Giulio II, emersero da una potente famiglia locale, i Della Rovere

Quello che diventerà la Savona di oggi è un nucleo abitato che si forma, sull’al-tura del Priamar, già a metà dell’età del

bronzo. Si sviluppa vicino alla foce del torrente Lavaniola, soprannominato poi Letimbro, nel XVIII secolo, da quello che oggi chiameremmo un gruppo di intellettuali, gli Arcadi Sabazi.

Queste zone sono occupate dai Liguri, antica popolazione appartenente al ceppo indoeuro-peo o addirittura a quello pre-indoeuropeo, la cui stirpe si diff use nel Nord Italia, nella Francia meridionale, in Spagna. Da essi discendono sia il nome dell’attuale regione italiana, sia quelli di alcune città, come la francese Narbonne, la catalana Barcellona e la nostra Savona.

Su su attraverso i secoli, Savona si trovò allea-ta dei Cartaginesi in epoca romana, durante la Seconda guerra punica, e quindi a combattere contro Roma e la sua vicina alleata, Genova.

Come si sa, lo scontro fra le due città - Roma e Cartagine - si concluse dopo alterne vicen-de con la vittoria della prima, che sottomise pertanto Savona chiamandola Savo Oppidum Alpinum. Siamo attorno all’anno 180 avanti Cristo, ed è in questo periodo che Savona comincia a contendere a Genova il primato di porto principale della zona.

Secoli dopo, con l’inizio delle migrazioni di popoli germanici, Savona decadde fi no a venir distrutta completamente dal re longobardo Rotari, nel 641. La città seppe però risorgere sotto il dominio dei Franchi di Carlo Magno, fi no a diventare contea dell’impero, e riapren-dosi al traffi co marittimo. Costituitasi in libero comune nel 1191 (Hoc habet ex Coelis, q. sit Saona fi delis, è il motto), inizia per la città un periodo di alleanze economiche ma anche di scontri politici con la vicina Genova ed alcune

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È in Piazza Mameli, 28 lo sportello del Banco Desio a Savona

delle sue più importanti famiglie. La vicinanza dell’importante repubblica marinara con Savo-na diventa sempre più motivo di scontro, che non si concluderà bene per Savona: essa verrà defi nitivamente conquistata nel 1528 da parte di Andrea Doria ed Antoniotto II Adorno.

Conseguenze primarie della conquista furono da un lato l’ingresso di Savona nel-l’orbita politica di Genova, da un altro lato la distruzione di numerosi edifi ci civili e religiosi, come la Cattedrale di Santa Maria di Castello e alcune torri delle principali famiglie patrizie. In più, venne interrato quel porto che, nel primo Trecento, era classifi cato fra i primi cinque del Mediterraneo per capacità ricettiva di grandi navi mercantili. Al posto del 21% circa del tessuto urbano cittadino, smantellato pietra su pietra e riutilizzato per l’interro del bacino portuale - ci dice Wikipedia - verrà costruita la maestosa fortezza del Priamar, sui ruderi del-l’antico Oppidum romano.

La città visse il periodo di massimo splendore fra il XIII e il XIV secolo: non a caso Savona fu sede di zecca, con l’emissione di oltre cinquanta tipi di monete. Dopo un altro periodo di de-cadenza, la città seppe scuotersi dal ristagno solo nel Settecento, epoca in cui la città seppe ridare vigore la sua attività marinara. Ancora un secolo e dopo il periodo napoleonico la Repubblica ligure, e Savona, con il Congres-so di Vienna entrano a far parte del Regno di Sardegna (1815), col quale confl uirà nel Regno d’Italia, dal 1861.

È in quello stesso anno che viene aperto lo stabilimento siderurgico Tardy & Benech, a cui si fa risalire la rivoluzione industriale savonese.

Savona non a caso è ricordata come la “città dei Papi”: una delle sue famiglie patrizie più infl uenti, i Della Rovere, espresse ben due Papi, Francesco della Rovere, salito al soglio di Pie-tro come Papa Sisto IV, e suo nipote Giuliano della Rovere, e cioè Giulio II. Al primo va dato il merito di aver fatto costruire la Cappella Sistina, a Roma, al secondo di aver protetto come mecenate Michelangelo e Raff aello, e di aver costituito a sua difesa il corpo delle guardie svizzere.

A Savona dovette risiedere per qualche tem-po Papa Pio VII, protagonista di una strenua bat-taglia con Napoleone. Il corso infatti dapprima si era appoggiato alla Chiesa per legittimare il suo potere, ma poi le si rivoltò contro quando Pio VII si rifi utò di riconoscere l’investitura di alcuni vescovi francesi eff ettuata autonomamente dal Bonaparte, che voleva riaff ermare la superiorità dello Stato sulla Chiesa, sia dal punto di vista temporale, sia da quello spirituale.

Dopo una lunga serie di eventi fra cui le scomuniche papali e l’ invasione del territorio della Chiesa da parte delle truppe francesi, Pio VII si decise a denunciare un accordo estorto in precedenza da Napoleone. Arrestato, il Papa venne imprigionato ancora a Savona, per riot-tenere la libertà con la sconfi tta di Napoleone a Lipsia, nel 1813.

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di Francesco Ronchi

Collegno e Collegno e l’Annunziatal’Annunziata

La Certosa venne fondata nel 1641 per volontà della duchessa Cristina, sorella del re di Francia

Luigi XIII, la quale garantì ai monaci una rendita legata ad un vasto patrimonio fondiario

Collegno non è uno dei tanti centri della “cintura” di Torino. Se lasciamo il traffico di Corso Francia, storico collegamento

tra la città e i centri della Bassa Val di Susa, questo comune ci offre piacevoli sorprese. Il territorio lungo la Dora dalla Tangenziale al nodo viario del Castello Saffarona (sulla riva sinistra) e all’aeroporto (sulla riva destra) si caratterizza ancor oggi per la successione di campi delimitati dalle bealere, canali d’irriga-zione d’impianto longobardo.

L’acqua della Balera del Conte azionava le pu-legge del Molino della Seta: un grosso edifi cio adattato nel ‘700 a fi landa, dopo essere stato per almeno quattro secoli centro per la lavorazione della canapa, prodotto tipico della zona.

Parlando d’archeologia industriale è d’ob-bligo menzionare il Villaggio operaio Leumann; s’estende per 60 mila mq nella zona sud ovest del comune. Come in altri esempi otto-no-vecenteschi (i villaggi Rossi a Schio; Crespi a Capriate; Milanino a Cusano) l’ing. Pietro Feno-glio s’è ispirato ai villini inglesi per un progetto che intendeva concretizzare un’illusione tipica d’una concezione egualitaria ma paternalista d’armonia e convivenza tra i lavoratori.

Il fondatore, l’imprenditore cotoniero Na-poleone Leumann (1841-1930), già dopo la Grande Guerra si rese conto del fatto ch’era impossibile mantenere le caratteristiche “so-ciali” del suo esperimento; ciò nondimeno il Villaggio è sopravvissuto anche alla crescita

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La fi liale di Collegno del Banco Desio è in Corso Francia, 202

Nel 1802, due anni dopo la vittoria di Na-poleone a Marengo, anche le proprietà della Certosa furono incamerate dal Demanio, ed in gran parte subito rivendute. Restava il prestigio legato all’essere la chiesa Cappella dell’Ordine dell’Annunziata, ribadito ancora nel 1840 da Carlo Alberto; ma dieci anni dopo il successore, Vittorio Emanuele II, fi rmò (per “far cassa”) le Leggi Siccardi, che portarono alla soppressione di numerose istituzioni ecclesiastiche.

Così la Certosa fu progressivamente tra-sformata in una dependance del Manicomio di Torino. I frati, costretti ad una diffi cile con-vivenza, per molti anni chiesero che vi fossero solo reparti maschili e che ai degenti fosse proibito il passeggio nel chiostro.

Negli anni ‘20 questo luogo di dolore e soff erenza , che ospitava centinaia di “reclusi”, conobbe una fama internazionale perché fu teatro del celebre caso giudiziario Canella-Bruneri, cui nel 1962 s’ispirò una delle più note commedie di Totò, Lo smemorato di Collegno.

Nella prima metà degli anni ‘90, in applica-zione della nuova legislazione sugli ospedali psichiatrici, per la Certosa iniziò una nuova vita: quella di polo culturale. Il cui punto di forza (in aggiunta al chiostro e alla suggesti-va ex farmacia dei certosini) è rappresentata dalla ricca biblioteca scientifi ca, recentemente riordinata e aperta al pubblico. Come gran parte del complesso, che ospita anche gli uffi ci dell’Asl.

disordinata di case, palazzi e capannoni degli anni del Boom economico, fi no all’acquisto in blocco da parte del Comune, che s’è poi attiva-to per la conservazione e la fruizione culturale del complesso.

Al dominio dei Savoia sono legati il Castello e la Certosa dell’Annunziata. Il primo monu-mento venne edifi cato nel 1171 da Umberto III presso un’ansa della Dora, per controllare meglio le barche che vi passavano. Più volte danneggiato, venne in gran parte rifatto con funzione residenziale nella prima metà del ‘600 per celebrare l’infeudazione di Collegno, col titolo di conte, a Giovanni Francesco Provana (1551-1625), prefetto di Mondovì e gran can-celliere del Ducato.

La Certosa sorse nel 1641 per volontà della duchessa Cristina, sorella del re di Francia Lui-gi XIII, la quale assicurò al gruppo di certosini giunti da Avigliana una rendita legata ad un vasto patrimonio fondiario. Il progressivo spostamento dalla Savoia a Torino delle fun-zioni direttive del Ducato rendeva necessario disporre d’una nuova cripta cimiteriale desti-nata ai cavalieri dell’Ordine della Santissima Annunziata, fondato da Amedeo VI, il quale nel 1383 aveva donato ai certosini la Certosa di Pierre-Chatel, nell’Ain: un ex castello posto a strapiombo sul fi ume Rodano.

Nel 1737 Carlo Emanuele III fece costruire un portale monumentale, su disegno di Filippo Juvarra, per celebrare le sue nozze con Elisa-betta Teresa di Lorena.

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Itinerari

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di Enrico Casale

Passato e presentePassato e presentedi Finale Liguredi Finale Ligure

Questo centro della Riviera di occidente non è solo una importante località turistica ma anche

un concentrato di storia ed un museo a cielo aperto ricco di castelli e di chiese

Ai più il nome di Finale Ligure ricorda le vacanze estive, il mare, il divertimento. Ma Finale è qualcosa di più di una lo-

calità turistica. È un concentrato di storia e un museo a cielo aperto. Le sue origini affondano nella preistoria. Secondo alcuni archeologi, i primi insediamenti in questa zona sono del Paleolitico. Lo testimonierebbero i reperti rin-venuti nelle numerose caverne ritrovate nel territorio finalese.

Un po’ di storiaDurante l’epoca romana il territorio di Finale

Ligure segnava il confi ne tra le popolazioni dei liguri sabazi e dei liguri Ingauni, le antiche tribù presenti nel ponente ligure già in epoca preistorica.

La più antica testimonianza cristiana in Li-guria fu scoperta nella frazione di Perti. Anche dopo le invasioni barbariche il fi nalese rimase

sotto controllo bizantino fi no alla conquista da parte di Rotari nel 641. La prima testimonianza scritta del territorio fi nalese risale invece al 967, quando l’imperatore Ottone I in un diploma donò ad Aleramo del Monferrato molte terre, fra cui il castello di Orco, sopra Finale. Il fi na-lese fu ereditato dal discendente di Aleramo, Enrico del Vasto, che ne ottenne l’investitura da Federico Barbarossa nel 1162, assieme ad altre terre della marca di Savona.

Le fortune di Finale Ligure però sono legate alla famiglia dei Del Carretto, discendente da Enrico. Fu proprio la famiglia Del Carretto a crea-re il potente Marchesato di Finale, annettendosi altri feudi minori. Il Marchesato però non ebbe mai vita facile perché dovette sempre scontrarsi con la Repubblica di Genova, proprietaria della quasi totalità dei porti della Liguria e che non accettava un vicino ingombrante che interfe-riva con le sue politiche commerciali.

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Itinerari

31La Banco nota

Nella pagina a fi anco, uno scorcio di Finale Ligure

Tuttora, la struttura urbanistica di Finale Li-gure si articola in tre nuclei principali: Finalma-rina (o Finale Marina, la zona urbanizzata più di recente con l’aff ermarsi del turismo balneare di massa, i cui abitanti sono chiamati «gnabbri» in dialetto fi nalese); Finalpia (o Finale Pia, sita sulla costa che conserva la struttura originaria della città); Finalborgo (o Finale Borgo, il capoluogo dello storico Marchesato di Finale circondato dalle antiche mura quattrocentesche e sovra-stato dai castelli Govone e San Giovanni). An-dando verso Noli si incontra invece la frazione di Varigotti, famosa per le sua spiagge e per le caratteristiche abitazioni dei pescatori, in stile saraceno. Qui aveva sede il porto medievale (quello attuale è in una diversa insenatura in direzione di Finale).

Castel Govone Sopra il colle del Becchignolo, lo sperone

che domina Finalborgo, Enrico I Del Carretto o suo fi glio Enrico II costruirono nel XII secolo un palazzotto feudale. Nei secoli successivi

Genova riuscì a imporre ai Del Carretto le convenzioni commerciali del 1290 e del 1340. Nel 1385 la repubblica divenne addirittura proprietaria di metà del feudo, con la sentenza emessa dal doge Antoniotto I Adorno. Questa imposizione non fu più accettata dai Del Car-retto non appena ottennero la protezione dei Visconti prima e degli Sforza poi. Tra il 1447 e il 1448 Genova invase il Marchesato e distrusse Finalborgo e Castel Govone. Due anni dopo, però, Finale tornò ai suoi feudatari.

Da Genova alla SpagnaNel 1496 Alfonso I Del Carretto ottenne da

Massimiliano I la totale investitura del Marche-sato, confermata nel 1529 da Carlo V. Nel 1558, facendo leva sul malgoverno di Alfonso II Del Carretto e sulla ribellione di alcuni fi nalesi, Genova invase nuovamente il marchesato. Se-guirono alcuni decenni di turbolenza politica, fomentata dalla Spagna, che fi nalmente riuscì a impadronirsi del Finalese nel 1602 quando Andrea del Carretto, dopo lunghe e complicate trattative, vende i suoi diritti sul feudo a Filippo II, re di Spagna con un contratto fi rmato a Mila-no. Il Finalese, comunque, rimase formalmente un feudo imperiale anche se feudatario era direttamente il re di Spagna. In questo periodo Finale diventa una testa di ponte del dominio spagnolo in Italia. Il Borgo diventa un governa-torato con un presidio militare stabile a difesa dei suoi confi ni. Nel 1713, a seguito del trattato di Utrecht, la Repubblica di Genova acquistò dall’imperatore il dominio utile del Marchesa-to, divenendone il feudatario ed esercitando il proprio potere tramite un governatore. In questi anni si scatena una dura lotta tra i governatori genovesi, i discendenti dei Del Carretto e i Sa-voia. Il dominio genovese fu confermato nella pace di Aquisgrana del 1748. Il fi nalese divenne poi parte integrante del Regno di Sardegna nel 1815 e del Regno d’Italia nel 1861.

Finale oggiNel 1927 nasce il Comune di Finale Ligure

dalla fusione di tre preesistenti Comuni: Final-borgo, Finale Marina e Finale Pia. Oggi Finale è uno dei Comuni più belli della Riviera di Ponente. Situato fra i promontori della Caprazoppa e di Capo Noli, il suo territorio fa parte della Comu-nità Montana Pollupice.

Finalborgo è uno dei tre comuni dalla cui fusione è nata Finale Ligure

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Itinerari

32 La Banco nota

La basilica di San Biagio, a Finale

esso venne ampliato e fortifi cato. Fu distrutto nel 1448 dai genovesi e subito ricostruito da Giovanni I Del Carretto. Nel corso del secolo successivo il castello fu ulteriormente am-pliato, con l’aggiunta della splendida Torre dei Diamanti (circa 1490), e rinforzato con la costruzione di una cinta di mura esterne. Nel 1715 l primo governatore della Repubblica, Antonio Spinola, nel 1715 per volere del Con-siglio della Superba, ordinò lo smantellamento della fortezza, mediante posa e detonazione di mine. Dalle esplosioni si salvarono soltan-to parte dei muri perimetrali del palazzo, gli ambienti sotterranei e la Torre dei Diamanti

della quale furono però abbattute le volte. Le rovine giacquero così per più di due secoli. Il 29 dicembre 1989 il castello è stato donato al comune di Finale Ligure dai Cavassola, ultima famiglia proprietaria.

Il nome comunemente utilizzato negli ultimi due secoli è stato Castel Gavone; recentemente, però, sotto l’infl usso di una più approfondita conoscenza del passato, è tornato a essere diff uso il nome Castel Govone. Entrambe le versioni sono attestate nei documenti trecen-teschi; anzi Govone sembra prevalere sino al-l’epoca spagnola (castillo Govon). Dal XIV al XVI secolo il nome coincide con quello dell’abitato circostante, una frazione di Perti demolita nel corso della costruzione della cerchia di mura cinquecentesche.

Forte San Giovanni Il Forte San Giovanni fu fatto costruire dagli

Spagnoli nel loro intento di fortifi care il territo-rio. Il forte fu realizzato tra il 1640 e il 1644 per rinforzare la difesa dell’imbocco delle dirama-zioni delle valli interne dei torrenti Pora e Aquila. La realizzazione del Forte di S. Giovanni, che si adattava al profi lo orografi co naturale, inglobò l’antica torre medievale di raccordo delle mura. Ulteriori interventi furono eff ettuati da Gaspare Berretta tra il 1674 e il 1678. Il castello servì poco alla Spagna, fu infatti abbandonato nel 1700 e demolito parzialmente da Genova nel 1715 (il Forte era infatti il doppio di quello attuale). Nel 1882 fu trasformato in carcere femminile e fu dismesso completamente agli inizi del secolo XX. Dopo anni di abbandono, durante i quali la fortezza fu trasformata in deposito e abbandonata, nel 1984, la Soprintendenza ai monumenti iniziò un restauro che ha riportato il Castello al suo originario splendore. Il Comune vorrebbe trasformarlo in un punto di aggrega-zione culturale e di vetrina per il territorio.

Castelfranco La Fortezza di Castelfranco fu costruita dai

genovesi nel 1365, in seguito alla vittoria sui Marchesi Del Carretto, sull’altura del Gottaro, in posizione dominante su tutto il litorale, da Capo Caprazzoppa a Capo San Donato. Nei tre secoli successivi passò di mano più volte tra le truppe dei Del Carretto e quelle genovesi. Nel periodo di occupazione spagnola, il castello

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Itinerari

33La Banco nota

Forte San Giovanni, costruito dagli Spagnoli nel XVII secolo per rinforzare il territorio di Finale

subì importanti trasformazioni e modifi che allo scopo di migliorarne la debolezza difensiva: a tal scopo tra il 1642 e il 1645 furono costruiti i forti di Sant’Antonio a nord e dell’Annunziata a est, congiunti con un unico recinto fortifi cato.

Successivamente, tra il 1674 e il 1677, si raf-forzò il forte dell’Annunziata e si costruì il forte di Lignì, proprio in cima al Gottaro. Nel 1713 Genova, divenuta padrona del Finale, demolì tutte le fortifi cazioni edifi cate dagli spagnoli, con esclusione di Castelfranco, che rimase at-tivo fi no al 1745, quando respinse l’attacco di quattordici navi inglesi. Dopo questo ultimo momento di gloria, la fortezza fu adibita prima a carcere, poi a infermeria e in seguito fu progres-sivamente abbandonata. Dal 1938 il castello è di proprietà del Comune che, dopo la parziale demolizione degli anni ‘50, ha intrapreso una serie di interventi per il suo riutilizzo come sede di eventi culturali e di spettacolo.

Le Chiese Finale Ligure ha anche alcune chiese che, oltre al valore religioso, hanno un grande interesse arti-stico-architettonico. La Chiesa di San Biagio fu ricostruita tra il 1633 e il 1650. Ha pianta a croce latina ed è divisa in tre navate. La cupola centra-le conserva l’originario campanile ottagonale del XV secolo. Al suo interno, sono conservati

dipinti della prima metà del XVI secolo come l’ancona di Santa Caterina di Oddone Pascale del 1533, la Madonna del Rosario di Vincenzo Tamagni e il San Biagio di Raff aello De Rossi. Altre opere di pregio risalgono al XVIII secolo. Molto belli il pulpito di Pasquale Bocciardo e la balaustra dell’altar maggiore, opera di suo fratello Domenico. Diversi dipinti sono dovuti al bravo pittore fi nalese Pierlorenzo Spoleti.

La Basilica di San Giovanni Battista è in stile barocco, si trova nel centro storico di Finale. La chiesa si presenta a croce latina divisa in tre navate con cupola centrale e imponente facciata affi ancata da due campanili del 1762. Al suo interno sono conservati dipinti del XVI, XVII e XIX secolo e un crocifi sso di Anton Maria Maragliano.

Infi ne la Chiesa di Santa Maria, un edifi cio religioso in stile barocco che si trova a Finalpia, adiacente al complesso conventuale benedetti-no. L’edifi cio venne completamente ricostruito tra il 1725 e il 1728 a navata unica ed è corredato dall’originario campanile, cuspidato e con sette ordini di bifore, eretto nel XIII secolo in stile gotico. All’interno della chiesa sono presenti, oltre al tabernacolo del XVI secolo e ad arma-di intarsiati dal frate Antonio da Venezia nel 1530, dipinti del Moreno e una pala attribuita a Nicolò da Voltri.

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Recensioni

34 La Banco nota

Il sistema fi nanziarioIl sistema fi nanziarioin cinque puntiin cinque puntiDai sistemi di pagamento all’ultima crisi derivata dai mutui subprime: un libro spiega

come orientarsi in un settore che richiede un’estrema chiarezza di idee e di signifi cati

Il volume “Finanza e credito in Italia” (Società editrice Il Mulino) nasce dalla collaborazio-ne di due autori con matrice professionale

diversa: quella aziendalistica didattica e pro-fessionale del Prof. Francesco Cesarini; e quella macroeconomica, quantitativa e monetaria del Dott. Giorgio Gobbi. La lettura del volume è alquanto accattivante poiché il focus non è

sugli intermediari ed i loro problemi ma piuttosto sui clienti (famiglie ed imprese). Il libro è suddi-viso in 5 capitoli: il punto di partenza è il sistema fi nanziario e la sua impor-tanza nel funzionamento delle moderne economie, in quanto fornisce, da un lato, l’infrastruttura dei sistemi di pagamento e, dall’altro, permette di trasferire le risorse dagli operatori economici che risparmiano, ovvero le famiglie, a quelli che in-vestono, ovvero imprese e pubbliche amministra-zioni. L’osservazione si sposta poi sugli strumenti fi nanziari a disposizione delle imprese e sulla loro complessità rispetto a quelli delle famiglie, an-che perché molto spesso collegati al mercato della

proprietà e del controllo e, quindi, all’area del-l’investment banking e del private equity.

Viene poi analizzato il problema del razio-namento del credito ed è dimostrato come non sia il prezzo del denaro lo strumento che riequilibra domanda e off erta, piuttosto come il fenomeno sia insito in una carenza informativa. Infatti, le ineffi cienze generate dalle asimmetrie informative nel mercato del credito comporta-no sia costi privati, costituiti da perdite per le banche che si rifl ettono poi su tassi di interesse troppo elevati o su fi nanziamenti insuffi cienti per le imprese, che costi pubblici, dovuti alla cattiva allocazione delle risorse.

Un ampio cenno è poi rivolto alle crisi che si sono manifestate con l’evolversi dei mercati fi nanziari, tipicamente iniziate con il dissesto di alcuni intermediari, seguito poi da un eff etto domino sugli altri. Non è poi tralasciata la re-cente crisi derivante dai mutui subprime ed è nella contestualizzazione di tale crisi che viene messa in luce l’importanza della regolamenta-zione e vigilanza sui mercati, ed una sostanziale esigenza di convergenza dei principi e delle pratiche di regolamentazione.

In conclusione emerge che il sistema fi -nanziario italiano si è avviato verso una rispe-cializzazione, per eff etto della quale il nome “banca” potrà riferirsi ad attività diversifi cate, che un’ulteriore concentrazione del sistema bancario sia ormai da ritenersi improbabile e che sia piuttosto giunto il momento per tra-sferire i vantaggi derivanti dalle fusioni anche alla clientela.

e.d.

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