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Università degli studi di Napoli “Federico II” Dipartimento di Farmacia Corso di laurea specialistica in FARMACIA TESI DI LAUREA SPERIMENTALE IN TECNOLOGIA FARMACEUTICA Preparazione ed ottimizzazione di nanocapsule biostabili per applicazioni di smart delivery - Preparation and optimisation of biostable nanocapsules for smart drug delivery applications Relatore Candidato Prof. Antonio Calignano Luigi Angelillo Matr. 511004916 Correlatore Dr. Raffaele Vecchione Anno accademico 2014/2015

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Page 1: Tesi Luigi

Università degli studi di Napoli “Federico II” Dipartimento di Farmacia

Corso di laurea specialistica in

FARMACIA

TESI DI LAUREA SPERIMENTALE IN TECNOLOGIA FARMACEUTICA

Preparazione ed ottimizzazione di nanocapsule biostabili per applicazioni di smart delivery

-

Preparation and optimisation of biostable nanocapsules for smart drug delivery applications

Relatore Candidato Prof. Antonio Calignano Luigi Angelillo Matr. 511004916 Correlatore Dr. Raffaele Vecchione

Anno accademico

2014/2015

Page 2: Tesi Luigi

Indice

1. Introduzione

1.1 Introduzione ai Drug Delivery Systems (DDSs)

1.2 Drug Delivery Nano Systems ( DDnSs)

1.3 La tecnica Layer-by-Layer

1.4 Biostabilità in ambiente fisiologico e citotossicità dei sistemi LbL

1.5 Applicazioni in medicina

1.6 Scopo del lavoro

2. Materiali e Metodi

2.1 Materiali

2.2 Depolimerizzazione del chitosano

2.3 Sintesi del chitosano-iminotiolano

2.4 Sintesi di eparina-allilamina

2.5 Preparazione delle nanocapsule con tecnica LbL

2.6 Ellman’s test per tioli liberi

2.7 Risonanza magnetica nucleare

2.8 Spettroscopia UV-Vis

2.9 Irradiazione UV delle nanocapsule

3. Risultati e Discussione

3.1 Funzionalizzazione con 2-iminotiolano

3.2 Funzionalizzazione dell’eparina

3.3 Preparazione delle nanocapsule

3.4 PEGilazione delle nanocapsule

3.5 Cross-linking delle nanocapsule

3.6 Studi di biostabilità

Page 3: Tesi Luigi

4. Conclusioni

5. Appendice: strumentazione e principi di funzionamento

5.1 Dynamic Light Scattering (DLS)

5.2 Spettrofotometrometro

5.3 Nuclear Magnetic Resonance (NMR)

5.4 Viscosimetro Ubbelohde

Bibliografia

Page 4: Tesi Luigi

1. Introduzione

1.1 Introduzione ai Drug Delivery Systems (DDSs)

Il drug delivery (rilascio del farmaco) riguarda lo sviluppo di sistemi

alternativi per “indirizzare” i farmaci nell’organismo ed ha come obiettivo

quello di circoscrivere l’effetto biologico su una determinata tipologia di

popolazione cellulare, migliorando l’efficacia e riducendo la tossicità della

terapia. 1

L’idea di base si fonda sulla possibilità di somministrare al paziente il

farmaco in maniera predeterminata.

I sistemi di drug-delivery possono avere dimensioni macro (>1mm), micro

(100-0.1μm) o nano (100-1nm) e possono alterare la distribuzione dei

farmaci così come la cinetica; in alcuni casi inoltre consentono di avere una

riserva di molecole attive nel tessuto target per sostenere l’effetto

farmacologico nel corso del tempo.

Negli ultimi anni, la ricerca in questo campo ha conseguito enormi progressi,

grazie anche alla rapida crescita tecnologica che ha permesso lo sviluppo di

metodi alternativi di rilascio del farmaco, basati sulla nanotecnologia. La

somministrazione di agenti antitumorali, ormoni e vaccini ad esempio è stata

resa più sicura ed efficace, specie se comparata alle modalità convenzionali.

Negli anni, molti agenti terapeutici promettenti non hanno avuto successo a

causa della loro limitata abilità di raggiungere specificamente il tessuto

Page 5: Tesi Luigi

bersaglio. Ad esempio, nella chemioterapia antitumorale, i farmaci citostatici

danneggiano sia le cellule maligne sia quelle sane in fase di replicazione. Si

evince quindi la necessità di rilasciare in maniera mirata il farmaco solo nella

zona d’interesse. L’obiettivo dei drug delivery systems (DDSs) è di superare i

limiti associati alla terapia biomacromolecolare, che includono una breve

emivita plasmatica (a causa della clearance renale e del metabolismo

epatico), una bassa stabilità ed una potenziale immunogenicità, oltre a

mirare a massimizzare l’attività terapeutica e minimizzare gli effetti

collaterali. Quindi, il drug targeting verso una zona specifica è di 2

fondamentale importanza per migliorare l’efficienza dei trattamenti

antitumorali e può essere conseguita dai nuovissimi sistemi DDSs,

sfruttando la dimensione nanometrica del farmaco incapsulato e/o le

caratteristiche delle cellule bersaglio.

Esistono due tipi di targeting: il targeting attivo e quello passivo. Il targeting

passivo non altera la farmacocinetica del farmaco e sfrutta principalmente

l’effetto EPR (Enhanced Permeability and Retention): i tessuti tumorali sono

caratterizzati da un basso drenaggio linfatico e da un’ampia fenestrazione tra

le cellule endoteliali, così che l’alta permeabilità dei vasi sanguigni nel tessuto

malato consente al farmaco nano-incapsulato di passare, mentre la bassa

permeabilità dei vasi sanguigni nei tessuti sani ne previene il passaggio,

riducendo così la tossicità e gli effetti collaterali del farmaco.

Page 6: Tesi Luigi

Il targeting attivo invece, può essere raggiunto modificando il carrier: i

cambiamenti possono essere legati alla funzionalizzazione di superficie, per

esempio con anticorpi monoclonali, ligandi specifici (glicoproteine, polimeri

idrofilici) o folati, che sono stati spesso legati covalentemente ad un’ampia

gamma di carriers per il drug delivery (come liposomi, polimeri coniugati e

nanoparticelle) con l’obiettivo di incrementare l’uptake cellulare. In 3 4 5 6

effetti è stato appurato che i recettori per i folati, così come quelli della

transferrina, della biotina e dell’integrina, sono ampiamente espressi in

molte tipologie di tumore: così i ligandi possono essere coniugati ai copolimeri

anfifilici che possono essere usati come carriers. 7

Ulteriori strategie di “design” si basano sulla possibilità di allungare la breve

emivita sfruttando un coating di polimeri come il PEG (polietilen-glicole) che

ha proprietà anti-fouling; è così possibile evitare una rapida clearance e/o

l’opsonizzazione, che consiste nella deposizione di macromolecole chiamate

opsonine (macromolecole che, se rivestono un microrganismo, aumentano

enormemente l'efficienza della fagocitosi in quanto esse sono riconosciute da

recettori espressi sulla membrana dei fagociti) sul corpo estraneo, grazie alla

struttura ad ombrello che crea un carrier “stealth” (invisibile).

Si può inoltre progettare un carrier che degrada, rilasciando il composto

attivo, in seguito a cambiamenti di pH o di temperatura, e parleremo in

questo caso di un targeting fisico.

Page 7: Tesi Luigi

Nanosistemi promettenti e versatili per il drug delivery (DDnSs) includono

nanoparticelle, nanocapsule, nanotubi, nanogels e dendrimeri che vengono

sintetizzati con composizione, forma, dimensione e morfologia controllate,

così da incrementare la solubilità, l’immunocompatibilità e l’uptake cellulare

di un determinato farmaco. 8

L’esempio più lampante riguardo l’efficacia della riduzione delle dimensioni

riguarda la doxorubicina, antracicilina usata da sola o insieme ad altri agenti

chemioterapici per il trattamento di alcune forme di cancro e di metastasi al

seno. Il suo uso clinico è limitato dalla tossicità che può precludere un

adeguato dosaggio o portare a resistenza. L’accumulo di alti dosaggi aumenta

la probabilità di cardiotossicità, mentre dosi singole sono spesso limitate

dalla mielosoppressione. Alopecia, forte nausea e vomito sono alcuni degli

effetti collaterali che possono limitare la terapia con doxorubicina. Una

formulazione di questa molecola con un'efficacia comparabile e di maggiore

sicurezza ne aumenterebbe l’indice terapeutico e migliorerebbe il suo

beneficio clinico complessivo.

Recenti studi hanno dimostrato che la doxorubicina liposomiale PEGilata

(PLD, prodotto da Alza Corp. con il nome commerciale di DOXIL®) fornisce

un'efficacia comparabile alla doxorubicina, con significativa riduzione di

cardiotossicità, mielosoppressione, vomito ed alopecia. PLD è una 9

formulazione di doxorubicina in liposomi PEGilati a lunga emivita che cambia

drasticamente la farmacocinetica del farmaco e la biodistribuzione: sembra

che Doxil si accumuli preferenzialmente nei tessuti con maggiore

Page 8: Tesi Luigi

permeabilità microvascolare, che è il caso della maggior parte dei tumori con

neoangiogenesi attiva. 10 11 12

La doxorubicina è presente anche in altre formulazioni innovative: sono state

preparate micelle autoassemblanti a partire da un copolimero di PLGA

(copolimero dell’acido lattice e glicolico) e PEG coniugati con il farmaco ed il

folato, dove le frazioni di folato sono esposte sulla superficie micellare,

mentre il farmaco è fisicamente e chimicamente intrappolato nel nucleo delle

micelle. Le micelle di doxorubicina mostrano assorbimento cellulare

superiore rispetto alla DOX come tale, per via di un processo di endocitosi

mediato da un recettore per il folato che avviene in modo sito-specifico. 13

Queste scoperte suggeriscono che le tecnologie di somministrazione dei

farmaci innovativi rappresentano per i pazienti nuove aspettative di vita.

1.2 Drug Delivery Nano Systems (DDnSs)

Figura 1.1: gamma di nanodispositivi in scala. Il range dei nanodispositivi varia tra 10 e 100 nm. Nella figura le dimensioni di alcuni nanodispositivi vengono confrontate con oggetti di dimensioni diverse.

Page 9: Tesi Luigi

I sistemi di drug delivery mostrano contestualmente ad una riduzione delle

dimensioni (vedi Figura 1.1), caratteristiche diverse. Inoltre, possono essere

opportunamente trattati in superficie per ottenere determinate proprietà. In

sintesi:

•La variazione delle dimensioni influenza la biodisponibilità e l’emivita

plasmatica: somministrate a livello sistemico, particelle con diametro

variabile tra 70 e 200 nm dimostrano tempi di circolazione lunghi. Al

contrario, particelle con diametro inferiore a 70 nm possono penetrare

anche capillari molto piccoli; se poi sono inferiori a 10 nm sono per lo più

rimosse per stravaso e drenaggio renale. Particelle, invece, con diametro

superiore a 200 nm di solito sono sequestrate dalla milza e poi rimosse dai

fagociti.

•Le particelle piccole hanno rapporti superficie-volume elevati, il che

aumenta la velocità di dissoluzione delle particelle, superando problemi di

solubilità e di biodisponibilità limitata (se rivestite appropriatamente).

•La dimensione nano permette di attraversare le membrane cellulari.

•I DDS possono essere coniugati per il targeting di frazioni cellulari con lo

scopo di migliorare il rilascio mediato da recettori e possono anche essere

modificati per ottenere un targeting intracellulare efficace verso organelli

specifici, come particelle anioniche e cationiche che vengono trattenute, a

loro volta, nei lisosomi o nei mitocondri.

Page 10: Tesi Luigi

•E’ possibile decorare i DDS al fine di migliorarne emivita e biocompatibilità:

il metodo più consolidato è la PEGilazione, che nasconde l'agente al sistema

immunitario dell'ospite, aumentandone la dimensione idrodinamica,

prolungandone l’emivita plasmatica e riducendone la clearance renale.

•Molte proprietà dei DDnSs, tra cui dimensioni, peso molecolare, carica

superficiale, forma, tecniche di preparazione e di incapsulamento, possono

essere personalizzate per applicazioni specifiche.

•I DDS possono essere concepiti per regolare la cinetica di rilascio e/o la

biodistribuzione e minimizzare gli effetti collaterali tossici, migliorando così

l'indice terapeutico di un daterminato farmaco.

Segue una breve descrizione sui DDnSs più utilizzati (Figura 1.2):

Figura 1.2: esempi di DDnSs. a) Fullerene b) Nanotubi di carbonio c) Micelle d) Liposomi e) Dendrimeri f) Nanoparticelle g) Nanocapsule h) Polimero funzionale.

Page 11: Tesi Luigi

I dendrimeri sono macromolecole altamente ramificate con un’architettura

tridimensionale controllata, vicina al monodisperso; la crescita della

macromolecola parte da un nucleo centrale e procede verso l'esterno con una

serie di reazioni sequenziali, con dimensioni che variano da pochi nanometri

(10 nm) fino a 100 nm, a seconda dello stadio, da 0 al sesto. Variazioni nelle 14

proprietà chimico-fisiche, come la viscosità, la solubilità, la rigidità, la

densità, ecc, si verificano attraverso l’aumento del peso molecolare nel corso

delle varie generazioni. Agenti terapeutici e diagnostici possono essere 15

caricati sia all'interno dei dendrimeri come pure legati alla superficie, come

nel caso di frazioni di acido α-sialinico, formando composti che sono

altamente attivi nell'inibire l’emoagglutinazione di eritrociti umani da virus

dell’influenza. I dendrimeri sono stati testati come agenti nella boron 16

neutron capture therapy, che rappresenta un metodo per il trattamento delle

forme attualmente incurabili di cancro, e sono stati applicati anche in terapia

genica. Essi possono rilasciare farmaci in siti specifici, proteggendoli 17 18 19

dall'ambiente esterno e riducendo gli effetti collaterali avversi: per esempio il

5-fluorouracile (5-FU) è noto per avere notevole attività anti-tumorale, ma ha

effetti collaterali tossici elevati. Dendrimeri PAMAM, dopo acetilazione,

possono formare coniugati dendrimero-5FU che, per idrolisi, rilasciano 5FU

libera, riducendo così al minimo la tossicità. VivaGelTM, è un prodotto della 20

nanotecnologia attualmente in commercio: il principio attivo è SPL7013, un

dendrimero che è stato progettato specificamente per avere attività

antivirale per HIV e HSV, ma che al tempo stesso non fosse risultato dannoso

per la salute umana.

Page 12: Tesi Luigi

Le micelle sono formate in soluzione come aggregati in cui le molecole

componenti (ad esempio di tipo anfifilico AB o tipo copolimeri a blocchi ABA,

dove A e B sono componenti idrofobici e idrofili, rispettivamente) sono

generalmente disposte in una struttura sferoidale con il nucleo idrofobico al

riparo dall'acqua grazie ad un manto di gruppi idrofilici. Questi sistemi

dinamici, generalmente inferiori a 50 nm di diametro, sono utilizzati per il

rilascio sistemico di farmaci insolubili in acqua. Farmaci o mezzi di contrasto

possono essere intrappolati fisicamente nei nuclei idrofobici o possono essere

legati covalentemente a molecole che compongono le micelle. Le micelle si 21

formano quando la concentrazione di tensioattivo raggiunge un certo livello

critico, chiamato concentrazione micellare critica (CMC) ad un valore di

temperatura specifico (CMT): quando il tensioattivo supera la CMC, agisce

come un emulsionante. L'efficacia di rilascio del farmaco da micelle

polimeriche può essere migliorata coniugando ligandi di targeting, tra cui gli

anticorpi, sulla superficie micellare: a questo proposito, Torchilin et al. hanno

formulato micelle polimeriche anticorpo-coniugato ad azione antitumorale

(immunomicelle), incapsulando il Taxolo, insolubile in acqua, all'interno del

nucleo idrofobico delle micelle, che vengono efficacemente riconosciute e

legate dalle cellule tumorali in vitro, cedendo loro alte concentrazioni di

farmaco. Nonostante la loro semplicità, questa caratteristica rappresenta 22 23

anche il principale limite nell’essere realmente efficaci contro il tumore, che

richiede lo sviluppo di sistemi più complessi e multifunzionali.

Page 13: Tesi Luigi

Ritratto di Luca Pacioli (1495)

Fullereni e nanotubi di carbonio sono allotropi sintetici del carbonio con

proprietà che li rendono potenzialmente utili in un ampio campo di

applicazioni. I fullereni sono composti interamente da carbonio assemblati 24

in forma di sfera cava o di ellissoide, la cui parete è costituita da un foglio

dello spessore di un atomo di carbonio, e possono essere impiegati nella

somministrazione di farmaci, dopo aver legato sulla superficie il composto

attivo. I nanotubi di carbonio sono costituiti da fogli di grafite arrotolati in

una forma tubolare, e possono essere ottenuti sia a singolo foglio

(caratterizzati dalla presenza di un unico foglio di grafene) che multi-strato

(formati da diversi fogli di grafene concentrici). Il diametro e la lunghezza dei

nanotubi a parete singola possono variare tra gli 0,5-3,0 nm ed i 20-1000 nm,

rispettivamente. Le dimensioni corrispondenti per i nanotubi a parete

multipla sono 1,5-100 nm e 1-50 micron, rispettivamente. I nanotubi di

carbonio possono essere resi solubili in acqua tramite funzionalizzazione

Page 14: Tesi Luigi

superficiale. Essi possono apparentemente attraversare la membrana

cellulare come “nanoaghi” senza sconvolgere o disgregare la membrana e

localizzarsi nel citosol e mitocondri mediante un meccanismo scarsamente

compreso. Inizialmente i nanotubi di carbonio si sono rivelati potenzialmente

tossici per la salute umana, tuttavia ricerche successive hanno mostrato

come ancora molto debba essere compreso su questi sistemi: studi in vitro su

cellule del Kupffer in colture 2D e 3D (colture cellulari tessuto-mimetiche)

non hanno mostrato alcuna citotossicità dopo 24h sui modelli 3D, al

contrario dei modelli 2D, dove grosse tracce di nanotubi erano riscontrabili

all’interno delle cellule.

I liposomi sono vescicole create sulla base di molecole fosfolipidiche

organizzate in bilayer, le stesse molecole che compongono le membrane

cellulari. I fosfolipidi sono anfipatici, cioè parte della loro struttura è idrofila e

parte è lipofila. Pertanto, quando aggiunti all'acqua, la parte idrosolubile dei

fosfolipidi interagisce con l'acqua e quella lipofila la evita, formando così un

bilayer. Questo si estende in acqua per formare un foglio che poi si ripiega in

un liposoma. I SUVs (small unilamellar vescicles) sono caratterizzati da un

unico doppio strato intrappolato nello spazio acquoso che lo circonda, così

come i LUVs (large unilamellar vescicles), che differiscono solo per le

dimensioni: il diametro dei SUVs è inferiore a 100 nm, mentre quello dei

LUVs è più grande di 100 nm. I liposomi possono anche contenere strati

concentrici di lipidi, detti liposomi multilamellari, o più liposomi possono

essere formati all'interno di grandi liposomi. Una proprietà importante dei

liposomi è che le molecole non idrosolubili, come i farmaci lipofili, possono

Page 15: Tesi Luigi

essere intrappolate nella porzione lipidica del doppio strato, mentre quelle

solubili in acqua possono essere intrappolate nello spazio acquoso. Di

conseguenza, essi possono essere utilizzati come vettori per tutti i tipi di

molecole, o anche per una loro combinazione. Aspetto importante dei

liposomi è la loro stabilità nel tempo: essa dipende dal composto bioattivo, dai

fosfolipidi componenti (questi vanno incontro ad idrolisi e/o auto-ossidazione,

che possono, tuttavia, essere rallentate utilizzando agenti chelanti,

antiossidanti o tocoferoli), da variazioni di dimensioni e dalla capacità di

ritenzione del farmaco incapsulato. La loro superficie può essere decorata

anche al fine di migliorare ulteriormente le prestazioni, ad esempio

PEGilandoli (liposomi stealth). I liposomi consentono un drug-targeting verso

siti specifici evitando effetti collaterali avversi, proteggendo il farmaco

dall'ambiente esterno, fornendo un aumento dell’attività e diminuendo la

frequenza delle somministrazioni. Il vantaggio del loro utilizzo è legato alla

loro biocompatibilità, alla biodegradabilità ed alla possibilità di diverse

formulazioni che estendono la versatilità delle applicazioni. Ci sono molti

esempi di farmaci già disponibili sul mercato preparati in forme liposomiali,

come il già citato Doxil®, ma anche AmBisome® (Amfotericina B liposomiale,

utilizzata per infezioni fungine) e Lacrisex® (collirio a spray liposomiale con

Vitamina A ed E). Uno dei principali problemi dei liposomi è l’instabilità in

vivo ed il rapido riconoscimento da parte del sistema immunitario. Le

principali limitazioni nel loro uso comprendono l’elevato costo di produzione

(PEGilazione, ottimizzazione dei processi di incapsulamento del farmaco

Page 16: Tesi Luigi

ecc.), la rapida ossidazione di alcuni fosfolipidi ed effetti collaterali, come nel

caso della sindrome mano-piede causata da uno stravaso incontrollato.

Le nanoparticelle polimeriche sono vettori colloidali generalmente di forma

sferica per il rilascio di farmaco in siti specifici, con diametro da 10 nm a 300

nm, e possono essere idrofili o idrofobi. Il composto bioattivo può essere

incapsulato al loro interno per evitare l’eventuale degradazione enzimatica o

chimica, o può essere adsorbito sulla superficie, anche se svantaggioso per la

mancanza di protezione del farmaco dall'ambiente esterno. I polimeri come i

poli-alchilcianoacrilati, i poli-esteri (acido polilattico e derivati), le poli-

anidridi, l’albumina e gli alginati possono essere impiegati per costruire

nanoparticelle e, a seconda delle loro proprietà e delle caratteristiche

chimico-fisiche del farmaco, è possibile scegliere il metodo di preparazione

più appropriato. Il meccanismo di rilascio, che può avvenire per

desorbimento dalla superficie, per diffusione dalla matrice polimerica, per

diffusione o erosione della matrice, insieme al coefficiente di diffusione del

farmaco e la velocità di degradazione della matrice, sono i principali fattori

che regolano la velocità di rilascio. E’ possibile, come per altri DDnSs, fissare

sulla loro superficie ulteriori funzionalità per sintetizzare nanoparticelle

biomimetiche: frazioni del target (folato, transferrina, sequenze peptidiche),

anticorpi (trastuzumab, antigene prostatico specifico), peptidi carrier o PEG

(nanoparticelle stealth). Alcuni tipi di nanoparticelle, note come SLN (solid

lipid nanoparticles), sono realizzate a partire da lipidi solidi a temperatura

ambiente, tensioattivi ed acqua; un potenziale vantaggio è l'uso di lipidi

fisiologici che hanno bassa citotossicità con un ampio spettro di potenziali

Page 17: Tesi Luigi

applicazioni (cutanea, orale, endovenosa). Inoltre, un ulteriore vantaggio è di

evitare di utilizzare solventi organici durante la loro preparazione, che viene

effettuata attraverso un metodo di omogeneizzazione ad alta pressione.

Conseguentemente, ci sono alcuni esempi di nanoparticelle polimeriche che

mostrano una distribuzione di dimensioni molto stretta.

Recentemente, le nanocapsule si sono dimostrate come una delle forme di

DDnSs più innovative e di potenziale grande successo: esse sono costituite da

un nucleo interno, che agisce come un "reservoir" per il composto attivo, ed

un involucro esterno. La composizione del rivestimento esterno in

particolare, è decisiva nel decretare la loro stabilità e la risposta fisiologica

primaria. La preparazione delle nanocapsule può essere ottenuta mediante 25

deposizione interfacciale, polimerizzazione interfacciale, precipitazione

interfacciale, strato-deposizione layer-by-layer e procedure di auto-

assemblaggio. Strati polielettrolitici, creati tramite deposizione layer-by-

layer, offrono diversi vantaggi, tra cui il controllo delle proprietà di

superficie, lo spessore della membrana e le cinetiche di rilascio. Poiché 26

questi strati possono assumere sia lo stato aperto che quello chiuso, in

risposta a condizioni ambientali come la temperatura ed il pH, vari materiali

possono essere facilmente caricati e rilasciati. Esempi comprendono 27

farmaci, enzimi, acidi nucleici e coloranti. 28

Nanosistemi chimerici di drug delivery avanzato (chi-aDDnSs) possono

essere definiti come nanosistemi misti dovuti alla combinazione di

bionanomateriali che possono offrire vantaggi nel trasportare farmaci.

Page 18: Tesi Luigi

Dendrimeri e liposomi, per esempio, hanno le caratteristiche per essere

utilizzati assieme per produrre un unico nanocarrier chiamato liposomal

locked-in dendrimer (LLD). Tali nanovettori sono stati classificati come

sistemi chimerici avanzati grazie all'unione di due tecnologie indipendenti

per la produzione di un sistema unico con proprietà impareggiabili che

potrebbero avere vantaggi rispetto ai vettori liposomiali convenzionali.

Importanti vantaggi di tali formulazioni sono l'aumento della quantità di

farmaco incapsulabile nel sistema, importante per i costi di preparazione e

anche per gli effetti collaterali legati al carrier, e la modifica del rilascio del

farmaco dal chi-aDDnS rispetto a quello della formulazione liposomiale che

porta ad un più elevato indice terapeutico. Così come il dendrimero agisce da

modulatore per la velocità di rilascio del farmaco incapsulato (come la Dox), i

chi-aDDnSs appartengono alla categoria dei nanosistemi modulatori a

rilascio controllato (MCRnSs). 29

1.3. La tecnica Layer by Layer

Come evidenziato nel paragrafo precedente, tra i sistemi per il drug-delivery

risultano essere molto interessanti le nanocapsule, soprattutto per la

possibilità di sfruttare un sistema “reservoir”. Uno dei metodi per ottenere

questo tipo di sistemi, è il metodo Layer by Layer (LbL). Questo metodo è

stato utilizzato in una vasta gamma di applicazioni per formare film

multilayer su superfici planari, cellule biologiche e particelle colloidali; ha

aperto la strada a molte applicazioni, compresa la produzione di nanocapsule.

Nella tecnica di deposizione elettrostatica LbL (Figura 1.3) uno strato

Page 19: Tesi Luigi

polielettrolitico è adeso su una superficie carica per via della forte attrazione

elettrostatica tra la superficie ed il templante di carica opposta.

A seconda della loro natura, è possibile classificare nanocapsule cave, cioè

preparate con un modello colloidale sacrificale, e nanocapsule a core liquido,

costruite su goccioline di emulsione. Il diametro delle nanocapsule cave varia

da 200 nm a pochi micron e sono costituite da due diversi compartimenti:

l’involucro multilayer e la cavità. L'involucro è costruito attraverso

l’adsorbimento consecutivo di specie di carica opposta attorno ad un modello

sferico carico ed è tenuto insieme dalle forti forze elettrostatiche che

avvengono tra ogni strato componente. La cavità, che si ottiene dopo la

rimozione del templante sacrificale, rappresenta il volume principale delle

capsule in cui possono essere incapsulati una serie di materiali, dalle

micromolecole alle macromolecole, proteggendo così il contenuto instabile

dall'ambiente circostante ostile, aumentando anche la biodistribuzione e la

solubilità. Possono essere scelti modelli organici, come il polistirene, la

melammina formaldeide ed il diossido di silicio, come pure modelli inorganici

quali MnCO3, CaCO3 e CdCO3: i nuclei vengono successivamente rimossi per

dissoluzione con una soluzione acida o acquosa, rispettivamente. 30 31

Page 20: Tesi Luigi

Figura 1.3: rappresentazione della tecnica LbL. 32

La scelta del nucleo iniziale influenza significativamente le proprietà delle

capsule così come la loro distribuzione dimensionale e la strategia utilizzata

per caricare le molecole attive, come coloranti e farmaci, all'interno delle

cavità. Per esempio, capsule basate su nuclei organici sono tipicamente

caratterizzate da una buona monodispersità e le loro cavità possono essere

riempite dopo la dissoluzione del nucleo cambiando la permeabilità del

multilayer attraverso variazioni di pH, polarità del solvente, forza ionica o

temperatura (metodo post-caricamento). Invece, capsule basate su nuclei

inorganici porosi, come i cristalli di carbonato, possono essere caricate

direttamente miscelando le molecole cargo con i templanti porosi, ed in

seguito rivestendole con il metodo LbL con coppie di polielettroliti (metodo

pre-caricamento). Poichè dopo il processo di dissoluzione alcuni oligomeri del

nucleo originale possono rimanere parzialmente adsorbiti all’involucro,

capsule basate su templanti biocompatibili, come la CaCO3 porosa, la silice

Page 21: Tesi Luigi

mesoporosa o le microparticelle di polilattidi (PLGA, PLA, ecc), sono

tipicamente preferiti, specialmente per applicazioni biologiche.

Accanto alla scelta del nucleo, anche la scelta dei componenti degli strati è di

fondamentale importanza nell'assemblaggio con metodo LbL poiché influenza

direttamente la biocompatibilità e la biodegradabilità delle capsule all'interno

degli organismi viventi. Da un lato, capsule realizzate con componenti

dell’involucro biodegradabili intracellularmente, come poli-aminoacidi (ad

esempio poli-L-arginina), polimeri sintetici o chitosano sono molto utili per

applicazioni biomediche correlate al rilascio di composti attivi come geni,

proteine o farmaci all'interno di organismi viventi. D'altra parte,

polielettroliti biocompatibili ma non “facilmente” degradabili sono necessari

per altre applicazioni come il rilevamento intracellulare, vale a dire la

determinazione della concentrazione ionica intracellulare di diversi

organelli. Per tali applicazioni i polielettroliti sintetici biocompatibili come il

sodio polistirene solfonato (PSS), la poli-allilamina cloridrato (PAH) ed il poli-

diallil-dimetil-ammonio cloridrato (PDADMAC) sono stati ampiamente

utilizzati fino ad oggi. 33

Nanocapsule a nucleo liquido sono assemblate attraverso l’adsorbimento di

specie con carica opposta su un modello liquido, generalmente un’emulsione

O/W, stabilizzata con tensioattivi. Rispetto alle nanocapsule cave, il nucleo

liquido non viene rimosso, ma può essere utilizzato per solubilizzare farmaci

lipofili. L'uso di goccioline di emulsione come nucleo liquido dà la possibilità di

controllare la dimensione e le proprietà dell’involucro del componente

Page 22: Tesi Luigi

solubile in olio, aprendo la strada per molte applicazioni, specie nell’ambito

della farmaceutica e della medicina. La scelta del nucleo liquido dipende dalla

solubilità del farmaco e, generalmente, è composto da trigliceridi a catena

media o anche da solventi organici immiscibili con soluzioni acquose. Anche

la scelta del tensioattivo è importante, soprattutto per la stabilità e l'ulteriore

deposizione di strati, così come la scelta del polimero che compone lo stesso

involucro. Per la promettente applicazione nel campo del drug delivery,

polielettroliti biocompatibili e non tossici rappresentano la condizione

fondamentale. Quindi, i biopolimeri, come l'eparina, il chitosano, l’alginato di

sodio, il solfato di destrano ed il DNA, sono i candidati più promettenti.

Inoltre, sia nelle nanocapsule cave che in quelle a nucleo liquido, l’involucro

multilayer può essere modificato caricando simultaneamente nanoparticelle

inorganiche cariche per rendere le capsule sensibili a particolari stimoli

esterni; infine la superficie delle capsule può essere decorata per renderle

low-fouling, tramite l'adsorbimento di uno strato a base di PEG, o per renderle

ad azione mirata, legandoci elementi di riconoscimento specifici. 34

1.4. Biostabilità in ambiente fisiologico e citotossicità dei sistemi LbL

Uno dei principali problemi dei sistemi carichi è che sono facilmente eliminati

dall'organismo per mezzo dell’adsorbimento di proteine sieriche

(opsonizzazione) e successiva fagocitosi. Il legame covalente di PEG (poli-

etilenglicole) o altri polimeri idrofili sulla superficie di vari sistemi carrier ha

mostrato una riduzione del loro assorbimento non specifico dalle cellule

Page 23: Tesi Luigi

(comprese le cellule del sistema dei fagociti mononucleati) grazie alle loro

incrementate proprietà di low-fouling. 35 36 37 38

Poiché le principali forze stabilizzanti le capsule di polielettroliti sono le

interazioni elettrostatiche, il legame di una corona di PEG alla superficie della

capsula deve essere effettuato partendo da un precedente legame di PEG a

sostanze altamente caricate come polielettroliti. In questo modo, i PEG

modificati possono essere fortemente e stabilmente legati a superfici cariche

tramite interazioni elettrostatiche.

Modificare la superficie di capsule formate da strati di polielettroliti

aggiungendo un polielettrolita, poli-L-Lisina-graft-PEG, è stata una strategia

di successo per resistere all’adsorbimento di proteine e quindi

all’opsonizzazione. Come già accennato, le forze principali che 39 40 41 42

stabilizzano sistemi assemblati via LbL sono le interazioni elettrostatiche. Ciò

rende tali sistemi molto sensibili alle condizioni ambientali come variazioni

della forza ionica del mezzo o di temperatura e pertanto suscettibili al

disassemblaggio. Anche se i sistemi assemblati in questo modo possono

essere adattati per sfruttare queste proprietà, per alcune applicazioni

biomediche questa può essere una limitazione importante.

Approcci recenti hanno sviluppato capsule la cui sintesi unisce

l’assemblaggio attraverso forze elettrostatiche via LbL ed il cross-linking

covalente tramite click-chemistry. Questo approccio versatile ha diversi 43

vantaggi: 1) i polielettroliti a bassa carica possono essere ora incorporati al

sistema LbL; 2) gruppi legati che non hanno reagito possono essere

Page 24: Tesi Luigi

facilmente post-reticolati; 3) grazie alle condizioni miti e non nocive della

click-chemistry, anche sostanze sensibili (molecole attive facilmente

denaturalizabili come proteine ed acidi nucleici) possono essere veicolate. 44

Tuttavia, la post-reticolazione della superficie delle capsule è ancora un

importante caratteristica sotto investigazione.

La maggioranza delle reazioni di click-chemistry riportate in letteratura sono

catalizzate dal rame, che determina gli effetti citotossici, anche se di recente

è stato sviluppato un approccio senza catalizzatore metallico per introdurre

gruppi funzionali al multilayer delle capsule. 45

Per quanto riguarda la citotossicità delle capsule, anche se non ancora ben

studiata, le principali fonti di tossicità sono costituite ovviamente dai

polielettroliti che compongono la parete nonché dal tipo di funzionalizzazione

incorporata nella cavità e/o nella parete. L’effetto citotossico delle capsule è 46

principalmente legato alla concentrazione ed è tempo-dipendente. 47 48

Inoltre, le proprietà chimiche intrinseche del polielettrolita carico

positivamente (policatione) si sono rivelate efficaci nell’attivare la morte

cellulare mitocondriale-mediata (apoptosi/necrosi). Grazie alla loro 49 50

carica positiva, i policationi causano danni alla membrana cellulare con

conseguente attivazione di una segnalazione che termina in depolarizzazione

mitocondriale e generazione di specie reattive dell'ossigeno (radicali) che

portano a morte cellulare. A questo proposito, peso molecolare e densità di

carica cationica dei policationi sono altri parametri fondamentali per

l'interazione con la membrana cellulare e la citotossicità. Inoltre, i 51 52

Page 25: Tesi Luigi

policationi contenenti funzionalità poli-aminiche possono comportare un

aumento delle interazioni con componenti anioniche intracellulari,

condizione che pure conduce a morte cellulare. A questo proposito, una 53

riduzione della citotossicità potrebbe essere ottenuta utilizzando materiali

che sono già presenti nelle cellule come lipidi e proteine (poli-anioni

naturali).

A causa del loro carattere anfifilico, i lipidi cellulari possono aggregare in

soluzione acquosa in strutture sferiche chiuse a doppio strato a causa delle

interazioni idrofobiche. Quando la soluzione acquosa contiene una proteina

carica, un processo di auto-assemblaggio che combina interazioni

elettrostatiche e forze idrofobiche avviene all'interfaccia immiscibile. Il

risultato è l'adsorbimento di proteine e lipidi sull'interfaccia di goccioline di

emulsione e la formazione di un involucro multilayer elastico. Nonostante 54

la compatibilità di queste capsule biomimetiche ed il potenziale di

incorporare funzioni molecolari di canali o recettori, l'approccio principale di

questa tecnica rimane il controllo della dimensione delle capsule e la

degradazione indesiderata del sistema.

1.5 Applicazioni in medicina

Uno dei possibili contributi alla medicina delle capsule multilayer via LbL è il

loro uso come sistemi carrier multifunzionali biocompatibili, sensibili alla

guida a distanza ed all'attivazione per il rilascio locale di molecole

trasportate all'interno del bersaglio (cellule/tessuti). Grazie all'elevata 55

Page 26: Tesi Luigi

versatilità della tecnica LbL, non solo possono essere caricate le molecole

idrofile, ma anche quelle idrofobiche (come molti farmaci), superando così gli

ostacoli di idrofobicità. 56

Ad oggi è un dato di fatto che le capsule multilayer polielettrolitiche di varie

dimensioni (dai nanometri ai micrometri) sono internalizzate dalle cellule. 57

L’incorporazione delle capsule avviene spontaneamente ed è cellula-58

aspecifico. Pertanto, è necessaria l'aggiunta di polimeri low-fouling con

proprietà proteina-repellente, oltre a funzioni di targeting specifiche, per

progettare nuovi veicoli per la somministrazione mirata di farmaci in vivo.

Ad esempio, microcapsule rivestite con uno strato di polielettrolita PEGilato

hanno dimostrato di sfuggire alla clearance del sistema fagocitico

mononucleato. 59 60 61

Come precedentemente descritto, il rilascio del carico da parte delle molecole

può verificarsi per esposizione a stimoli esterni (ad esempio, trattamento con

luce o ultrasuoni) o, più difficilmente, in base alle condizioni dell'ambiente

locale (cioè intracellulare). Farmaci antitumorali come la doxorubicina 62 63

hanno dimostrato di essere rilasciati dopo variazioni del pH di una

soluzione. Poiché la posizione delle capsule sembra essere in compartimenti 64

acidi, scegliendo i giusti materiali che forniscono un buon compromesso tra

rigonfiamento e rigidità, i farmaci possono essere liberati dalle capsule nel

tempo in un modo controllato auto-regolato dalle condizioni intracellulari. 65

Il basso pH delle vescicole acide dove le capsule vengono trasportate causa

rigonfiamento del multilayer con un rapido rilascio iniziale di farmaco a

Page 27: Tesi Luigi

causa delle elevate differenze nella concentrazione del farmaco fra la massa e

la cavità della capsula, seguito da un plateau. Il rilascio può continuare per 66

un certo periodo di tempo fino alla degradazione della capsula o fino a che

l'intera quantità di farmaco è stata rilasciata. Studi in vivo hanno dimostrato

che ciò potrebbe essere possibile utilizzando polielettroliti biodegradabili

DOX-caricati legati ad intervalli a templanti di cellulosa “doped” CaCO3-

carbossimetilata (CMS). Dopo la rimozione chimica del CaCO3, CMS forma un

complesso con DOX e viene stabilizzata nella cavità della capsula. L’iniezione

diretta delle capsule caricate nella sede di tumore in un topo, ha portato ad

un rilascio prolungato di DOX per 4 settimane, probabilmente a causa di un

processo termodinamico non favorevole a pH basso, e ha comportato una

riduzione del tumore. 67

L’approccio LbL sembra essere una tecnica utile non solo per la terapia

antitumorale, ma anche per la vaccinazione. Una delle principali sfide della

vaccinazione è l'erogazione efficiente di dosi efficaci e la co-fornitura di

coadiuvanti con l'antigene al fine di generare la sufficiente risposta

immunitaria. Microcapsule auto-distruggenti costituite da un multilayer di

un polielettrolita semi-permeabile attorno ad un nucleo di microgel idrofilo a

base zuccherina (dimensioni di circa 10 micron) si sono rivelate un sistema

che con una singola iniezione è in grado di rilasciare ad intervalli multipli gli

antigeni contenuti al loro interno. A causa delle grandi dimensioni del 68

nucleo, vettori di dimensioni minori possono essere incorporati nel gel.

Considerando le condizioni di semi-permeabilità della parete, l'acqua può

penetrare provocando un forte rigonfiamento del gel che conduce infine alla

Page 28: Tesi Luigi

rottura del microcontainer seguita dallo “shooting” di vettori più piccoli che

sono in grado di propagare in acqua più velocemente che se fossero in

soluzione. Questo è particolarmente importante quando la specie deve essere

rilasciata in mezzo viscoso. Regolando la densità del microgel, la resistenza

alla rottura può essere modulata ed i microcontainers sono in grado di

rilasciare il carico (ad esempio vaccini) in tempi diversi.

1.6 Scopo del lavoro

Lo scopo di questo progetto di ricerca, condotto presso l'Istituto Italiano di

Tecnologia di Napoli (IIT@CRIB), è la sintesi di nanocapsule PEGilate a nucleo

liquido stabili in diverse condizioni di pH, preparate con la tecnica LbL.

Questi sistemi sono completamente biocompatibili, in quanto si utilizzano olio

di soia e lecitina come emulsione templante (O/W) e biopolimeri, quali

chitosano ed eparina, come materiali di costruzione per l’involucro. Il low-

fouling è reso possibile grazie all’utilizzo di PEG.

Il vettore con queste caratteristiche è stato ritenuto un candidato ideale

soprattutto per la somministrazione a rilascio mirato di farmaci ad attività

antitumorale, nel tentativo di superare gli attuali limiti della terapia

“convenzionale”.

Poichè i sistemi tal quali non sono stabili in condizioni di stress ambientale

(come ad esempio in presenza di pH fisiologico o di variazioni della

concentrazione salina, oncotica, ecc), il primo passo è stato funzionalizzare i

polimeri: il chitosano è stato funzionalizzato con 2-imminotiolano (2-IT) per

Page 29: Tesi Luigi

ottenere porzioni sulfidriliche e l’eparina con allilammina per ottenere

porzioni olefiniche. In questo modo è stato possibile utilizzarle per creare

legami covalenti tra i layer attraverso una reazione di click-chemistry.

Inoltre, lo stesso tipo di reazione è stato sfruttato anche per il legame di PEG-

acrilato al chitosano tiolato.

Il grado di tiolazione del chitosano (sia quello LMW che quello

depolimerizzato) è stato determinato mediante Ellman test, mentre sono

stati condotti studi NMR per la determinazione del grado di

funzionalizzazione dell’eparina. Poi, è stata ottimizzata la deposizione di

polimeri sul templante liquido per formare il multilayer; la cui formazione e

stabilità è stata valutata con misure di dimensione, indice di poli-dispersità

(PDI) e di potenziale Z attravero la tecnica del Dynamic Light Scattering

(DLS). L’introduzione di tioli e frazioni di polimeri olefinici offre l'ulteriore

possibilità di preparare capsule che sono stabili in una gamma di condizioni,

come la variazione di pH e di forza ionica, grazie alla stabilizzazione

covalente. Infatti, dopo la preparazione di capsule nanometriche sul modello

a nucleo liquido, è possibile reticolare il polimero che forma lo strato

utilizzando una reazione di foto-attivazione di click-chemistry tra porzioni

alliliche su eparina e gruppi sulfidrilici su chitosano. Questa attivazione è

semplicemente ottenuta con irradiazione a 254 nm da una lampada UV,

senza utilizzare alcun altro reagente, e si verifica in condizioni molto blande.

La stabilità delle nanocapsule è stata valutata a pH fisiologico da misure di

light scattering. Sono stati condotti studi di stabilità su entrambi i campioni

irradiati e non irradiati per confrontarli nel tempo in diversi tipi di soluzione

Page 30: Tesi Luigi

per verificare la risposta allo stress ambientale. Per quanto riguarda la

PEGilazione sono stati svolti studi NMR per valutarne l’efficacia.

Page 31: Tesi Luigi

2. Materiali e Metodi

2.1 Materiali

Olio di soia (olio MCT; d=0,922 g/ml a 20°C) e lecitina d’uovo arricchita con

fosfatidi lcol ina t ipo Lipoid E80 (80% fosfatidi lcol ina e 7,8%

fosfatidiletanolammina i componenti principali) sono stati acquistati da

Lipoid®. Lipoid E80 è stato conservato ad una temperatura di circa -20°C,

sotto vuoto ed in atmosfera di azoto prima del suo utilizzo. Per la fase

acquosa è stata utilizzata acqua MilliQ®. Tutti i reagenti sono stati utilizzati

senza ulteriore purificazione.

Chitosano LMW (50-190 KDa, viscosità 20-300 cP, 1% in acido acetico 0,1 M,

pKa ~ 6,6 e grado di deacetilazione 84% misurato con NMR 600 MHz), acido

acetico (MW=60.05 g/mol), sodio nitrito (MW=69.00 g/mol), 1-

idrossibenzotriazolo idrato (HOBt, MW=135.12 g/mol), acido 2,2’-dinitro-5,5’-

ditiodibenzoico (reagente di Ellman, MW=396,35 g/mol), 2-iminotiolano

cloridrato (MW=137.63 g/mol), sodio boroidruro (PM=37.83), eparina sale

sodico (da mucosa intestinale suina), allilamina (MW=57.09 g/mol; d=0,761

g/mol a 25°C), poli-etilenglicole metil-etere-acrilato (Mn 2,000, Tm 49-54°C,

d=1.09 g/ml a 25°C) e sali sodici di Na2PO3 e NaHPO3 sono stati acquistati

dalla Sigma Aldrich. 1-etil-3-dimetilaminopropil-carbodiimide cloridrato

(EDC · HCl, MW=191.70 g/mol) è stato acquistato da Thermo scientific.

Dimetilsolfossido (DMSO, MW=78.13 g/mol, FP 18,5°C, BP 189°C d = 1,10) è

stato acquistato da Romil LTD. Soluzione DMEM (4.5 g/L glucosio, 10% Siero

Page 32: Tesi Luigi

bovino fetale, 3.7 g/L bicarbonato di sodio e 4 mM glutammina, 1%

aminoacidi non essenziali, 100 U/ml penicillina e 0.1 mg/ml Streptomicina).

Membrane per dialisi sono state acquistate da Spectrum Laboratories Inc.

L’acqua utilizzata era di purezza di tipo I, ottenuta da un Millipore MilliQ

Ultra-Pure Water System.

2.2 Depolimerizzazione del chitosano

La dimensione molecolare del chitosano può essere modificata per

depolimerizzazione con acido nitroso, come proposto da Allan e Peyron. 69

Questo metodo risulta essere selettivo, rapido e facilmente controllabile, e

può essere condotto in soluzione acida (pH 1), a temperature non troppo

elevate. 500 mg di CT-LMW sono gradualmente sciolti in 25 ml di una

soluzione di acido acetico 0,1M a pH 1 sotto agitazione magnetica ed a

temperatura ambiente. Poi, la temperatura viene portata a 50°C in un bagno

d'acqua e si aggiungono 4,3 mg di NaNO2. La reazione di depolimerizzazione

viene quindi lasciata procedere per 45 minuti, poi si rimuove dal bagno caldo

e si lascia raffreddare a temperatura ambiente. Lentamente si aggiunge

NaOH [1M] alla soluzione di chitosano: durante l'aggiunta, il pH della

soluzione raggiunge valori elevati (circa 10) e si osserva la precipitazione del

chitosano. Il precipitato risultante viene lavato mediante cicli di

ultracentrifuga a 15.000 rpm per 15 minuti fino a neutralità, poi viene

raccolto e disciolto in soluzione di acido acetico [0,1 M]. Si filtra di nuovo con

carta da filtro per eliminare le più piccole impurità, quindi viene dializzato

con tubo da dialisi (8 kDa cut-off) in una soluzione acquosa di NaCl 1% a pH 3

Page 33: Tesi Luigi

per 4 cicli e poi in una soluzione acquosa a pH 3 per altri 4 cicli, ed infine

liofilizzato. La viscosità intrinseca del chitosano depolimerizzato è stata

misurata usando un viscosimetro capillare Ubbelohde (comprato dalla SI

Analytics GmbH, tipo 536) a temperatura ambiente; cinque diverse

concentrazioni sono state testate e valutate. Il peso molecolare medio

viscosimetrico (Mv) è stato determinato utilizzando l'equazione di Mark-

Houwink ed è di 10,5 KDa (come riportato più approfonditamente in

appendice).

2.3 Sintesi del chitosano-iminotiolano

Una soluzione di chitosano 1% è stata preparata sciogliendo 200 mg di

chitosano (CT-LMW o CT-B) in 20 ml di soluzione di HAc 0,1 M. Dopo

completa dissoluzione, NaOH [5M] è stato aggiunto lentamente fino a

raggiungere un pH di circa 6; poi, 80 mg di 2-IT sono stati aggiunti in

atmosfera d’azoto, monitorando il pH della soluzione che rimane costante a

circa 6. Quindi, la reazione viene lasciata procedere sotto agitazione

magnetica a temperatura ambiente per 20 ore circa a pH 6,5 mediante

aggiunta di poche gocce di NaOH [1M], monitorandola nel tempo. Dopo la

reazione, il pH è ancora 6 ed è stato portato a 3 con l’aggiunta di HCl [5M]; un

tubo da dialisi (cut-off 6-8 KDa per CT-B e 12-14 KDa per CT-LMW) è stato

preparato e la soluzione è stata trasferita in esso. Otto cicli di dialisi sono

stati eseguiti: 4 cicli con una soluzione acquosa di NaCl 1% a pH 3 e 4 cicli con

soluzione acquosa a pH 3. Successivamente, il campione è stato liofilizzato e

Page 34: Tesi Luigi

conservato in frigorifero a -20°C. Successivamente è stato effettuato l’Ellman

test per stabilire il grado di funzionalizzazione dei polimeri risultanti.

2.4 Sintesi di eparina-allilammina

Una soluzione di eparina al 2% è stata preparata sciogliendo 50 mg di eparina

in 2,5 ml di acqua MilliQ. Dopo completa dissoluzione, 58 microlitri (0,773

mmoli) di allilamina sono stati aggiunti alla fase liquida ed il pH della

soluzione portato a 6,8. 40,61 mg di HOBt (0,300 mmol) e 57,62 mg di EDC

(0,300 mmoli) sono stati aggiunti alla soluzione e, dopo la loro completa

dissoluzione, il pH è stato portato nuovamente a 6,8 e la reazione lasciata

procedere a temperatura ambiente durante la notte. Il giorno dopo, la

soluzione si mostrava limpida, senza precipitati: è stata trasferita in un tubo

da dialisi (Cut Off 3.5 KDa) e sono stati eseguiti 8 cicli di dialisi (4 cicli con

soluzione acquosa di NaCl 1% e 4 cicli con soluzione acquosa semplice).

Successivamente il campione è stato liofilizzato e conservato in frigorifero a

-20°C. E’ stata effettuata un’analisi NMR per stabilire il grado di

funzionalizzazione del polimero risultante.

2.5 Preparazione delle nanocapsule con tecnica LbL

Una soluzione di chitosano all’1% è stata preparata sciogliendo il polimero in

acido acetico [0,1 M] a pH 4. Diverse quantità di soluzione di chitosano sono

state diluite a 1 ml con una soluzione di acido acetico [0,1 M] pH 4 in un

becker, e poi sono stati aggiunti 3 ml di acqua MilliQ. Quindi, 1 ml di

Page 35: Tesi Luigi

emulsione diluita al 5% di fase olio è stato aggiunto rapidamente sotto

vigorosa agitazione e mantenuto sotto agitazione per 15 minuti per

consentire la deposizione uniforme del chitosano. L'emulsione viene diluita

1: 5 con la soluzione di chitosano, quindi la sua concentrazione finale è 1%,

mentre la concentrazione finale di chitosano è 4/5 di quella iniziale.

Per la deposizione del secondo strato, una sospensione di monolayer è stata

diluita 1:2 con una soluzione di eparina disciolta in acqua MilliQ. In

particolare, la soluzione di eparina è stata aggiunta sotto agitazione vigorosa

in una concentrazione tale che il numero molare dei gruppi funzionali era 1:1

rispetto al numero molare dei gruppi di chitosano carichi già presenti in

soluzione. La stessa procedura è stata adottata per il terzo strato di

deposizione di chitosano e dei polimeri funzionalizzati. Sono stati sciolti

infine 1,25 mg di PEG-monoacrilato (5 kDa) in 0,50 ml di trilayer e la

soluzione lasciata sotto agitazione per 15 minuti. Successivamente è stata

effettuata una reticolazione con lampada UV a 254 nm ad una distanza tra

campione e sorgente di 2cm. Infine è stata effettuata una dialisi con tubo da

dialisi (cut-off 12-14 kDa) per rimuovere impurità ed il PEG in eccesso.

Dimensione, PDI e potenziale Z delle nanocapsule durante i vari stadi della

preparazione sono stati misurati utilizzando uno Zetasizer Nanoseries della

Malvern Instruments (Dynamic Light Scattering, DLS, descritto in appendice

più avanti). I campioni sono stati misurati in una soluzione diluita 1:40. Le

misure dimensionali sono state eseguite in triplicato, mediando ogni misura

su 5 corse da 100 secondi. Anche le misure di potenziale Z sono state eseguite

in triplicato, impostando in automatico la durata delle corse.

Page 36: Tesi Luigi

2.6 Ellman’s test per tioli liberi

0,50 mg di ciascun campione di chitosano funzionalizzato sono stati pesati e

sciolti in 0.5 ml di una soluzione HAc/Ac a pH 3. Dopo dissoluzione completa

per sonicazione, sono stati aggiunti 3,5 ml di una soluzione di DTNB

(reagente di Ellman) in una soluzione tampone fosfato a pH 8.03 (0,2 mg/ml)

e la reazione è stata lasciata procedere al buio a temperatura ambiente per

2h sotto agitazione magnetica. Il pH finale della soluzione è stato 7,4, con un

caratteristico colore giallo intenso.

I valori di assorbanza di TNB sono stati registrati a 412 nm. Il TNB e quindi la

concentrazione di gruppi sulfidrilici sono stati determinati attraverso una

linea di calibrazione costruita nelle stesse condizioni, consentendo la

reazione tra quantità standard di 2-iminotiolano libero con DTNB.

2.7 Risonanza magnetica nucleare

Strutture con chitosano modificato, eparina e/o PEG legato, sono state

studiate con la tecnica NMR utilizzando uno spettrometro NMR a 600 MHz

Bruker. Tutti gli esperimenti sono stati eseguiti a 298 K in D2O. In

particolare nei campioni contenenti chitosano è stata aggiunto TFA (1%).

Page 37: Tesi Luigi

2.8 Spettroscopia UV-Vis

L’analisi UV-Vis su chitosano funzionalizzato (2-iminotiolano) è stata

eseguita utilizzando lo spettrofotometro Jasco V-560. Tutte le scansioni sono

state eseguite a 200 nm/min a temperatura ambiente.

2.9 Irradiazione UV delle nanocapsule

Ciascun campione è stato trasferito in un becker da 5 ml ed irradiato con una

lampada UV per 2 ore, sotto blanda agitazione, a temperatura ambiente.

L'irradiazione è stata eseguita a 254 nm con una distanza tra sorgente e

campione di 2 cm.

Page 38: Tesi Luigi

3. Risultati e discussione

3.1 Funzionalizzazione con 2-iminotiolano

Conosciuto anche come reagente di Traut, il 2-iminotiolano (2-IT) è un

composto tioimidato ciclico ampiamente utilizzato per inserire sul chitosano

un gruppo tiolico. Come ampiamente mostrato in letteratura, grazie 70 71 72

alla sua struttura eterociclica, 2-IT mostra angolo, tensione torsionale e

tensione sterica che lo rendono più reattivo rispetto ad altri composti (come

ad esempio la NAC, N-acetilcisteina) utilizzabili allo stesso scopo.

Il composto finale presenta un braccetto sulla struttura (che riduce

l’ingombro sterico), chiuso da un gruppo sulfidrilico libero. La reattività è

aumentata in soluzione neutra o basica (da pH 7 a 10) perché il gruppo

amminico risulta non protonato ed il carbonio dell’imminogruppo risulta un

miglior centro elettrofilo ed è, inoltre, incline ad essere attaccato dal gruppo

amminico del chitosano (Figura 3.1):

Figura 3.1: reazione tra chitosano e 2-iminotiolano.

Page 39: Tesi Luigi

La reazione di coniugazione viene eseguita generalmente a pH 7 perché porta

a rese più elevate: a questo pH, il chitosano è quasi completamente dissolto

nel tampone acetato fornendo un buon accesso ai gruppi amminici ed il

reagente ha già un’elevata reattività. D’altro canto, procedendo con la

reazione a pH 5, il chitosano sarebbe completamente disciolto, ma vi sarebbe

una minore quantità di gruppi tiolici disponibili a causa dell'accesso limitato

ai gruppi amminici primari e la bassa reattività del reagente a pH 5. Il pH

della soluzione può anche compromettere la stabilità del risultante chitosano

tiolato: in particolare, maggiore è il pH e più rapidamente i gruppi tiolici del

polimero si ossidano. Quest’osservazione può essere spiegata dalla

diminuzione della concentrazione di protoni a valori di pH crescenti che

porta a sua volta ad una maggiore quantità di anioni tiolici negativi S-, che

rappresentano la forma attiva per l'ossidazione. L'ossidazione di chitosano

tiolato porta alla formazione di legami disolfuro inter- ed intra-struttura, che

possono essere fortemente ridotti se la reazione viene condotta in condizioni

inerti con azoto.

Diversi studi riguardanti la modifica del chitosano con 2-IT si concentrano

non solo sul pH di reazione, ma anche sul rapporto molare tra il polimero ed il

reagente. I migliori risultati si ottengono con un rapporto molare di 1 : 0,4 (in

grammi) tra chitosano e 2-IT ad un valore di pH 7 per la reazione

complessiva. Rispetto a ciò, la procedura è stata modificata al fine di

raggiungere più alti gradi di funzionalizzazione. Sono stati condotti studi di

stabilità sul tiomero di chitosano, che hanno mostrato una diminuzione di

frazioni di tioli liberi a causa di una reazione collaterale che comporta la

Page 40: Tesi Luigi

perdita di ammoniaca e porta a prodotti N-sostituiti del 2-IT. Questa è una

limitazione della funzionalizzazione perché conduce inevitabilmente al

degrado del prodotto finale, riducendo la resa globale della reazione. Quindi,

devono essere prese in considerazione alcune precauzioni per ridurre questa

reazione secondaria ed ottenere, in questo modo, una maggiore quantità di

polimero modificato. Abbiamo utilizzato tutte le considerazioni di cui prima

per trovare le condizioni ottimali per la reazione di tiolazione del chitosano.

E’ stata studiata la stessa reazione di funzionalizzazione con 2-IT sia su

chitosano a basso peso molecolare (CT-LMW) sia su quello depolimerizzato

(CT-B). Più studi riguardanti la modifica del chitosano con 2-IT si

concentrano non solo sul pH di reazione, ma anche sul rapporto molare tra

chitosano e reagente di coniugazione: essi dimostrano che più reagente viene

aggiunto alla soluzione, più alta sarà la resa ottenuta. Quindi, per i nostri

esperimenti, abbiamo scelto di iniziare dalla procedura riportata in

letteratura dove vengono utilizzati rapporti di CT : 2-IT di 1 : 0,4 (espresso in

grammi) e un pH di 6,5-7. Inoltre, al fine di evitare il più possibile ogni

processo di ossidazione durante la reazione di coniugazione, la sintesi è stata

eseguita in condizioni inerti sotto azoto.

Come spiegato in precedenza, il polimero tiolato risultante può essere

soggetto a reazioni collaterali che portano ad una forte diminuzione dei

gruppi tiolici liberi. Queste reazioni collaterali si verificano soprattutto

quando la reazione è completa e vengono promosse da un pH alcalino poiché,

in queste condizioni, i gruppi sulfidrilici sono nella loro forma ossidata. Per

questo motivo, il pH della soluzione è stato ridotto da 7 a 3,5. Questo pH è

Page 41: Tesi Luigi

stato impostato sia prima di trasferire la soluzione nel tubo da dialisi sia per i

cicli di dialisi successivi. Tale metodo, oltre a limitare reazioni collaterali,

rende il chitosano più solubile che nelle soluzioni di partenza.

Il chitosano funzionalizzato è stata studiato sia con analisi NMR che con

Ellman test (descritto nella sezione successiva).

� Figura 3.2: spettri NMR di chitosano funzionalizzato (blu) e non funzionalizzato (nero) con 2-IT.

La modifica della struttura al momento della funzionalizzazione può essere

evidenziata dal confronto degli spettri tra chitosano funzionalizzato e non

(Figura 3.2) in quanto è possibile osservare la comparsa di nuovi picchi

associati al nuovo sostituente, in particolare a 1,75 ppm, 2,25 ppm e 3,25

Page 42: Tesi Luigi

ppm. Tuttavia, anche in questo caso, come si vede dagli spettri, non è

possibile determinare il grado di funzionalizzazione perché è difficile

decidere la giusta assegnazione dei nuovi picchi e, quindi, non è possibile

stabilire il numero dei gruppi tiolici liberi e totali, rispettivamente. Per questo

motivo, il grado di funzionalizzazione è stato valutato attraverso l’Ellman’s

test.

3.1.2 Ellman’s test

L’Ellman’s test consiste, come precedentemente già discusso, nel far reagire

un disolfuro simmetrico, come l’acido 2,2'-dinitro-5,5'-ditiodibenzoico (DTNB

o reagente di Ellman) con tioli liberi in una soluzione leggermente basica, in

quella che è una reazione di interscambio tiolo-disolfuro. Ciò porta alla

formazione di un disolfuro misto (nel nostro caso attaccato al chitosano), ed

un anione libero, il TNB (2-nitro-5-tiobenzoato), color giallo, che assorbe

nell'intervallo UV-Vis, ad un massimo di 412 nm, presentando un’assorbanza

relativamente intensa rispetto al disolfuro misto ed al DTNB, che presentano

entrambi un massimo di assorbimento a 324 nm e sono di colore giallo

pallido.

Poiché la stechiometria del chitosano tiolato rispetto al TNB formatosi è 1:1,

la formazione di TNB può essere utilizzata per valutare il numero di tioli

presenti. L’Ellman’s test è sensibile al pH della soluzione sia durante la

reazione sia durante la registrazione dello spettro di assorbanza. Il saggio

deve essere condotto in pH leggermente basico e non può essere effettuato in

ambiente acido poiché il legame disolfuro del DTNB si potrebbe rompere

Page 43: Tesi Luigi

prima di reagire con i tioli liberi, mentre non può essere condotto in

condizioni alcaline forti perché -OH competerebbe con -S.

Il primo passo da eseguire in questa prova colorimetrica è quello di ottenere

una linea di calibrazione per TNB. La procedura per l’Ellman’s test sul

chitosano è la seguente: il chitosano viene sciolto in una soluzione tampone di

acido acetico a pH 3 e poi viene aggiunto un eccesso di DTNB, prima sciolto in

un buffer fosfato [0,5 M] a pH 8.03. L'aggiunta del reagente di Ellman ha

portato ad un pH elevato (7.4 circa), necessario per il saggio. Allo stesso

tempo, garantisce che tutti i tioli liberi del chitosano reagiscano con il

reagente di Ellman. L’Ellman’s test è utile per determinare i tioli liberi, ma

non è in grado di controllare i gruppi tiolici che hanno funzionalizzato

comunque il chitosano, ma che sono stati poi ossidati (durante, per esempio, i

passaggi di reazione o di purificazione) formando ponti disolfuro. I risultati

della funzionalizzazione sono riportati di seguito (Tabella 3-1):

Tabella 3-1: grado di funzionalizzazione dei coniugati del chitosano 2-IT.

CT-IT sintetizzato pH Gruppi tiolici liberi (μmol/g) Funzionalizzazione (%)

CT-LMW-IT 6.8 465,99 9,54%

CT-B-IT 6.8 392,06 7,98%

In accordo con i risultati riportati in letteratura, dove la resa massima

ottenuta di gruppi tiolici liberi è di 408,9 micromol/g, i gradi di

funzionalizzazione ottenuti sono comparabili, anche se leggermente

Page 44: Tesi Luigi

aumentati per il CT-LMW (465,99 mmol/g) confermando i risultati sviluppati

in una precedente tesi (455,17 mmol/g): ciò può essere spiegato dalla scelta

di abbassare il pH della soluzione di reazione da 6,8 a 3,5 prima dei cicli di

dialisi, procedimento che non è riportato in letteratura. In questo modo,

abbiamo limitato il processo di ossidazione dei gruppi tiolici liberi, nonché le

reazioni collaterali. 73

Inoltre, la tiolazione è stata eseguita anche su chitosano depolimerizzato,

ottenendo gradi di funzionalizzazione simili, in quanto la lunghezza della

catena influenza la sua tendenza ad aderire alle superfici durante la

deposizione con tecnica LbL. La funzionalizzazione del chitosano con 2-IT è 74

stato confermato essere il modo migliore per ottenere il polimero tiolato

desiderato. Questo reagente mostra diversi vantaggi (tranne il suo prezzo di

mercato) quali una migliore reattività per via della tensione sterica e

l'inclusione di gruppi tiolici nella struttura ciclica (che li protegge dal

processo di ossidazione).

La conversione di ammine in sulfidrili è una reazione one-step che non

comporta spese per altri reagenti come EDC o HOBt e, inoltre, si verifica in

percorsi selettivi e spontanei con rese più elevate. Il risultante chitosano

tiolato è flessibile perché incorpora un braccio spaziatore a cinque atomi (che

riduce l’impedimento sterico) e mantiene la carica positiva originale su N,

che è conveniente anche per conservare la sua solubilità e per la deposizione

LbL. Quest’ultima osservazione può anche giustificare perché, in questo caso,

non è stata registrata molta differenza tra CT-LMW e CT-B funzionalizzati..

Page 45: Tesi Luigi

Quindi è ragionevole ipotizzare che si verifichino interazioni con sub-

strutture anioniche: in questo contesto, il chitosano funzionalizzato è stato

utilizzato per deposizioni applicando la tecnica LbL.

3.2 Funzionalizzazione dell’eparina

L’eparina è un glicosaminoglicano altamente solfatato, ampiamente utilizzato

come farmaco anticoagulante iniettabile. Questo polielettrolita ha la più alta

densità di carica negativa tra tutte le biomolecole conosciute. 75

L'eparina ad uso farmaceutico viene ricavata generalmente dalla mucosa di

intestino suino o di polmone bovino. La molecola possiede un peso molecolare

compreso tra i 3 e i 40 kDa anche se la media dei pesi molecolari della

maggior parte delle eparine commerciali si aggira tra i 12 e i 15 KDa. È, come

il chitosano, solubile in acqua, ma la presenza nella struttura di gruppi

carbossilici la rende carica negativamente alle giuste condizioni di pH, anche

a bassi valori, per la presenza contemporanea di gruppi solfato. Allo stesso 76

tempo, i gruppi carbossilici possono essere facilmente funzionalizzati per

inserire gruppi olefinici: questa reazione si basa sulla formazione di un

legame ammidico mediata da EDC e catalizzata da HOBt ed è stata effettuata

adattando una procedura già riportata in letteratura. 77 78

Il grado di funzionalizzazione è stato studiato mediante analisi NMR. Un

confronto tra gli spettri di eparina funzionalizzata (con gruppi allilici) e non

funzionalizzata è riportato in Figura 3.3. Confrontando gli spettri NMR, si

può notare che due picchi corrispondenti all’allilammina appaiono a 5.84 e

Page 46: Tesi Luigi

5.02 ppm e sono attribuiti, rispettivamente ai protoni di CH e CH2 dell’olefina

terminale. Gli ultimi protoni del CH2 allilico si sovrappongono con i segnali

provenienti dai 10 protoni degli acidi iduronico e glucuronico dell’eparina che

corrispondono ai picchi nell'intervallo tra 2,8 e 4,4 ppm.

Figura 3.3: spettri NMR di eparina funzionalizzata (rosso) e non funzionalizzata (blu).

Pertanto, è stato possibile stabilire il grado di funzionalizzazione dell’eparina applicando la seguente formula:

Il grado di funzionalizzazione risultante è dell’80%.

3.3 Preparazione delle nanocapsule

Page 47: Tesi Luigi

3.3.1 Preparazione di una nanoemulsione

Per ottenere nanocapsule a nucleo liquido stabili, è necessario partire da una

nanoemulsione stabile che costituisce il nucleo delle nanocapsule su cui

possono essere costruiti i layer mediante tecnica LbL.

Nanoemulsioni O/W (fase oleosa dispersa e fase acquosa mezzo disperdente)

posseggono diverse proprietà interessanti come biodegradabilità,

biocompatibilità, stabilità fisica e facilità di produzione e sono già diffuse

nell'industria cosmetica e farmaceutica. In particolare, sono già ampiamente

utilizzate per somministrazione orale e topica, e solo di recente è stata

introdotta la somministrazione endovenosa di nanoemulsioni per drug-

delivery e parental nourishment. 79

Le nanoemulsioni (10-100 nm) sono cineticamente più stabili e sono

caratterizzate da una superficie superiore (fino a 200 m²/g) rispetto alle

macroemulsioni (fino a 15 m²/g). Per migliorare la stabilità cinetica delle

nanoemulsioni, deve essere usato un surfattante ionico (tensioattivo).

Tipicamente si impiegano molecole anfifiliche, costituite da coda idrofobica e

testa idrofilica, si stabiliscono all'interfaccia tra le due fasi immiscibili

durante la preparazione dell'emulsione e la stabilizzano. La giusta scelta del

surfattante permette di progettare emulsioni la cui emivita varia da pochi

secondi ad anni, influenzando anche le dimensioni ed il PDI.

Esperimenti preliminari sono stati condotti dal team di ricerca e, per il

nostro scopo, è stata scelta come surfattante la lecitina anionica (composta

Page 48: Tesi Luigi

da fosfolipidi presenti nelle membrane biologiche, quindi biodegradabili)

poiché è richiesta una forte carica sulle gocce per consentire la successiva

deposizione di polielettroliti. Infatti, i suoi acidi grassi sono carichi

negativamente e si è visto che conferiscono alle goccioline un potenziale Z

negativo. Inoltre, la presenza di una carica sulle goccioline di emulsione

consente una migliore stabilità a causa della repulsione che ne consegue tra

le stesse, riducendo la probabilità di coalescenza.

Sono stati esaminati due differenti tensioattivi (lecitina di soia e lecitina

d'uovo, quest'ultima arricchita con fosfatilcolina) e due tipi di olio (olio di

semi di cotone e olio di soia): è stato stabilito dal team di ricerca che la

migliore emulsione, in termini di dimensioni e PDI, può essere ottenuta

usando lecitina d'uovo (LipoidE80) con olio di soia, per la presenza di

fosfatilcolina. Come riportato in letteratura, la fosfatilcolina (PC) può

conferire stabilità a lungo termine alle nanoemulsioni. 80

Innanzitutto è stata preparata una pre-emulsione: la metodologia adottata

non si basa sulla semplice miscelazione dei composti, ma sull'utilizzazione di

un sonicatore ad immersione. Dopo questo primo passaggio la pre-emulsione

risultante ha dimensioni dell’ordine dei micron e PDI elevati. Per questo

motivo, la pre-emulsione è stata fatta passare attraverso un omogeneizzatore

ad alta pressione (Microfluidazer) per 3 cicli e poi processata in modalità in

continuo (200 passaggi ad una pressione di 2000 bar).

Aumentando il contenuto di lecitina, è possibile ridurre la dimensione delle

gocce di olio e ciò può essere spiegato facilmente se si considera che

Page 49: Tesi Luigi

goccioline più piccole equivalgono ad aree di interfaccia più elevate tra olio ed

acqua, che quindi richiedono una maggiore quantità di tensioattivo per essere

stabilizzate. Inoltre, le emulsioni sono state conservate a 4°C perchè più

stabili rispetto a quelle conservate a temperatura ambiente, in quanto la

temperatura ridotta riduce la probabilità di coalescenza.

Per ottenere un’emulsione ottimale al fine di consentire un'ulteriore

deposizione di polimeri tramite tecnica LbL, è stata preparata un’emulsione

con concentrazione finale del 20% miscelando 2,88 g di Lipoid E80, 24 ml di

olio di soia e 93.12 ml di acqua MilliQ. E 'stata una delle migliori emulsioni

ottenute, con dimensioni delle gocce di circa 120 nm, PDI < 0.1 e potenziale Z

di circa -30 mV.

3.3.2 Deposizione del primo layer

Dopo la preparazione della nanoemulsione, il passo successivo è stato quello

di studiare la deposizione del chitosano sulla superficie carica negativamente

(a causa della lecitina) delle goccioline di olio. La deposizione di chitosano

tramite tecnica LbL avviene per attrazione elettrostatica tra la superficie

dell'olio e le molecole di polielettroliti di carica opposta presenti in soluzione.

Il chitosano può essere, infatti, carico positivamente in un intervallo di valori

di pH per via dei suoi gruppi amminici protonabili e quindi può essere

depositato sulla superficie delle goccioline d’olio mediante attrazione

elettrostatica e forze di Van der Waals e, se vi è sufficiente polielettrolita

presente, si verifica un’inversione di carica.

Page 50: Tesi Luigi

Diverse strategie di preparazione sono state sviluppate in modo da produrre

sistemi multilayer stabili senza promuovere l’aggregazione delle gocce:

1. Metodo della saturazione: consiste nell'aggiungere abbastanza

polielettrolita per rivestire completamente tutte le particelle presenti in

soluzione, in modo che ci sia poco polielettrolita libero rimanente nella

fase acquosa;

2. Metodo della centrifugazione: con questo metodo una soluzione,

contenente più polimero di quello necessario a saturare le particelle, è

aggiunta alla sospensione e l’eccesso è poi rimosso centrifugando le

particelle, risospendendole in una soluzione tampone appropriata;

3. Metodo della filtrazione: anche in questo caso una soluzione contenente

più polimero di quello richiesto è aggiunta, ma l'eccesso viene rimosso

filtrando la sospensione colloidale.

Il problema principale con gli ultimi due metodi è che promuovono

l’aggregazione delle particelle perché costrette a stare in prossimità tra loro.

Quindi per particelle liquide di una nanoemulsione O/W questi metodi

possono portare alla flocculazione o al creaming e quindi alla coalescenza. Per

questi motivi è preferibile usare il metodo della saturazione: è così necessario

aggiungere né troppo né troppo poco polielettrolita poichè sia l’eccesso sia il

deficit possono portare a flocculazione e favorire la coalescenza. Per saturare

le goccioline d’olio, la concentrazione del polimero è infatti un parametro

fondamentale: quando è zero, le particelle non aggregano per via della forte

repulsione elettrostatica tra di loro; se si aggiunge una piccola quantità, si

Page 51: Tesi Luigi

verifica la “flocculazione a ponte" perché il polimero può adsorbire alla

superficie di più di una gocciolina unendole tra loro; quando la

concentrazione di polielettrolita libero supera un certo valore critico, si

verifica "flocculazione per deplezione" perché le forze di deplezione attraenti

sono abbastanza forti da superare le varie forze repulsive (elettrostatiche e

steriche). Inoltre, è necessario assicurarsi che non vi sia polielettrolita libero

presente in soluzione perché interagirebbe con altri polielettroliti carichi

durante la formazione dei multilayer, portando a fenomeni di aggregazione.

Più avanti, quando si raggiunge la giusta concentrazione, si verifica una

repulsione sterica a causa delle dimensioni e dell'estensione geometrica delle

molecole: in questo modo, la sospensione è stabilizzata poichè le gocce

tendono a non avvicinarsi tra loro.

Figura 3.4: effetto dell’aggiunta di polimero in un sistema colloidale.

Tuttavia, ci sono altri diversi fattori che influenzano le proprietà dei layer,

quali il pH della soluzione, la concentrazione salina, il solvente e,

naturalmente, le caratteristiche dei polielettroliti. Il pH della soluzione

Page 52: Tesi Luigi

determina la ionizzazione dei gruppi superficiali e quindi la densità di carica

superficiale finale. Per la tecnica di deposizione LbL, il pH della soluzione

deve essere scelto in modo che i segni delle cariche elettriche sulla superficie

delle particelle e dei polielettroliti adsorbenti siano opposti e l’entità delle

cariche di entrambe le specie sia sufficientemente elevata. Le interazioni

elettrostatiche tra un polielettrolita ed una goccia diminuiscono con

l’aumentare della forza ionica della soluzione. Questo può essere spiegato

dall'accumulo di contro-ioni intorno alle superfici, fenomeno che di solito è

chiamato screening elettrostatico: diventa più forte come la concentrazione e

la valenza dei contro-ioni nella soluzione aumentano. Inoltre, spesso i

polielettroliti formano layer più spessi in presenza di sali perché acquisiscono

una conformazione della catena in soluzione più compatta (per via della

debole repulsione intra-molecolare). Al contrario, in assenza di sali, lo

screening elettrostatico non avviene, così che ogni carica è conservata, ed in

più i polielettroliti tendono a formare strati più sottili: in soluzione vi è una

forte repulsione elettrostatica tra i diversi segmenti della stessa catena di

polielettrolita, che porta la molecola ad essere altamente distesa. Di

conseguenza, quando all’inizio adsorbe sulla superficie di carica opposta,

tende ad essere distesa. Anche il solvente può giocare un ruolo importante,

infatti più è elevato il suo potere solubilizzante più l’interazione tra strati è

debole e lo spessore finale è elevato. Infine, la stabilità e le proprietà dei

sistemi multilayer dipendono anche dalla natura del polielettrolita utilizzato:

ad esempio lo spessore degli strati è regolato dalla loro densità di carica, che

può essere a sua volta interessata dalla concentrazione salina così come dal

Page 53: Tesi Luigi

pH della soluzione. Queste considerazioni sono state considerate per 81

preparare nanocapsule multilayer stabili, costituite da goccioline di

emulsione, completamente circondate da strati di polielettroliti.

In primo luogo, è stata studiata la concentrazione di saturazione del

chitosano per formare un monolayer stabile: può essere determinata

semplicemente valutando il potenziale Z, che passa da valori negativi (circa

-30 mV per la nanoemulsione prescelta) a positivi per tutti i campioni, e

aumenta gradualmente con l'aumento della concentrazione di chitosano

(Figura 3.5).

Figura 3.5: alterazione del potenziale Z quando il chitosano è aggiunto all’emulsione.

Questo fenomeno può essere spiegato considerando che solo una parte dei

gruppi carichi sul chitosano sono necessari per neutralizzare le cariche

opposte dei gruppi sulla superficie delle goccioline ed i restanti gruppi carichi

del chitosano possono sporgere nella soluzione acquosa. Comunque, lo switch

Page 54: Tesi Luigi

del potenziale Z da negativo a positivo conferma che molecole di chitosano

cationico adsorbono sulla superficie delle goccioline di emulsione anioniche

finché non si raggiunge un plateau. Secondo ciò, è stato possibile controllare

l'adsorbimento del polielettrolita sulla superficie delle goccioline d’olio

misurando la variazione di potenziale Z insieme alla variazione del diametro

particellare medio: a questo scopo, alcuni monolayer sono stati preparati dal

gruppo di ricerca in precedenti esperimenti, semplicemente aggiungendo la

nanoemulsione in soluzioni di chitosano a diverse concentrazioni. La

diluizione delle emulsioni con soluzioni di chitosano utilizzata per la

deposizione del primo layer precedentemente ottimizzata è di 1:5: questa

diluizione serve a diminuire la probabilità di collisione tra le nanogocce. Il pH

scelto per le deposizioni dei layer è stato 4, al fine di evitare la precipitazione

del chitosano (pKa 6,6 circa) e lasciare abbastanza cariche lungo la sua

catena, ma anche per mantenere la carica negativa sulle superfici delle gocce

di lecitina. La concentrazione finale di olio in acqua è 1% (v/v), mentre sono

state ottenute diverse concentrazioni finali di chitosano.

Esaminando l'insieme dei risultati, il potenziale Z delle nanocapsule aumenta

con l’aumentare della concentrazione di chitosano; il plateau viene raggiunto

ad un valore specifico di concentrazione del chitosano (0,0125% CT-IT) e,

inoltre, è associato alle capsule più piccole (142,1 nm) con il PDI più basso

(0,093).

Concentrazioni più elevate di chitosano non influenzano la tendenza del

potenziale Z ed, al contrario, una concentrazione di chitosano al di sotto dello

0,0125% non è sufficiente a coprire l'intera superficie dell'olio, facendone

Page 55: Tesi Luigi

quindi diminuire il valore; in ogni caso, abbiamo scelto di lavorare alla

concentrazione di chitosano più bassa possibile in modo da non pregiudicare

ulteriori deposizioni. Infatti, se si aggiunge un polianione, questo può

interagire non solo con il chitosano adsorbito sulle nanocapsule, ma anche

con il chitosano libero in soluzione, portando ad aggregati.

Per ottenere un ulteriore miglioramento della stabilità delle nanocapsule

monolayer, le abbiamo processate con un omogenizzatore ad alta pressione:

una grande quantità di nanocapsule con una concentrazione di saturazione

del chitosano di 0,0125% è stata preparata e fatta passare attraverso la

macchina. Le misure su dimensioni, PDI e Z-Potential nel tempo hanno

mostrato una certa stabilità fino a 2 settimane dall’inizio del processo.

3.3.3 Deposizione del secondo layer

Sono stati studiati i parametri di deposizione e di stabilità del secondo layer,

utilizzando le capsule monolayer precedentemente preparate; in questo caso,

l’eparina funzionalizzata è stata utilizzata come polianione perché grazie alla

sua alta carica negativa può essere adsorbita sulla superficie positiva di

capsule monolayer tramite forze elettrostatiche. Molti tentativi sono stati

effettuati al fine di trovare la giusta concentrazione di saturazione

dell’eparina: a questo scopo, diverse nanocapsule bilayer sono state

preparate con differenti concentrazioni finali d’eparina, che viene disciolta a

pH neutro ed aggiunta alle nanocapsule monolayer, diluendo la sospensione

1:1 per ciascun campione. Come per il chitosano, sono stati condotti

Page 56: Tesi Luigi

esperimenti in precedenza al fine di trovare la giusta concentrazione di

saturazione per l’eparina non funzionalizzata; abbiamo scelto di partire da

questi risultati per ottimizzare la deposizione di eparina funzionalizzata.

Secondo i risultati, il potenziale Z passa da positivo a negativo (circa -30 mV)

per tutti i campioni e gradualmente aumenta in valore assoluto con

l’aumentare della concentrazione di eparina: ciò dimostra che le molecole di

eparina anionica adsorbono sulla superficie carica positivamente delle

capsule monolayer. La nostra attenzione si è quindi spostata sulla ricerca

delle dimensioni e del PDI delle nanocapsule: anche se l'aggiunta di eparina

ha parzialmente destabilizzato il monolayer delle nanocapsule (dimensioni e

PDI maggiori), i migliori risultati si ottengono utilizzando una concentrazione

finale di eparina di 0,032% (148,7 nm, PDI 60,3 e -44,9 Z-potential). Una

concentrazione più alta di eparina non influisce tanto sulle proprietà delle

nanocapsule, mentre concentrazioni più basse portano a nanocapsule

peggiori in termini di dimensioni e PDI.

Anche in questo caso, abbiamo scelto di lavorare con la concentrazione di

eparina più bassa possibile per non pregiudicare ulteriori deposizioni poiché

un policatione che può essere eventualmente aggiunto alla sospensione

potrebbe interagire con alcune molecole di eparina in soluzione anziché

interagire solo con la superficie delle capsule.

3.3.4 Deposizione del terzo layer

Page 57: Tesi Luigi

La deposizione dell'ultimo layer è stata effettuata utilizzando chitosano

depolimerizzato precedentemente e funzionalizzato con 2-IT: infatti il

chitosano funzionalizzato LMW non è idoneo per questo scopo a causa del suo

alto peso molecolare che non gli consente di aderire completamente alla

superficie del bilayer, portando a trilayer molto instabili.

Studi autorevoli hanno evidenziato come con il procedere delle deposizioni è

vantaggioso ridurre il peso molecolare del polimero da depositare, affinché

esso aderisca perfettamente e non “strappi” invece il layer sottostante. La 82

concentrazione di saturazione è stato indagata preparando diversi campioni

con diverse concentrazioni finali di chitosano, monitorando l'assorbimento

del polimero con misure di potenziale Z (Figura 3.6). Le nanocapsule trilayer

sono state preparate allo stesso modo del bilayer: una soluzione contenente

chitosano disciolto in una soluzione tampone a pH 4 HAc/Ac è aggiunta in

diverse concentrazioni allo stesso volume di sospensione bilayer (diluizione

1:1). Misure di potenziale Z, dimensioni e PDI sono tracciate di seguito

(Tabella 3-2):

Figura 3.6: cambiamenti nel potenziale Z rispetto alla concentrazione di chitosano.

Page 58: Tesi Luigi

Tabella 3-2: dimensioni, PDI e potenziale Z di nanocapsule trilayer con differenti concentrazioni di chitosano tiolato.

CT-B-IT (%) Size (nm) PDI Z-potential

0,05 196,5 0,121 12,4

0,1 190,2 0,131 19,9

0,125 246,8 0,267 26,7

0,15 221,9 0,117 28,2

0,2 214,0 0,103 27,7

Il potenziale Z della superficie delle goccioline è inferiore con la diminuzione

della concentrazione di chitosano perché, in queste condizioni, la quantità di

chitosano non è sufficiente a saturare tutta la superficie del bilayer. E’ chiaro

che il valore del potenziale Z aumenta con l’aumentare della concentrazione

di chitosano; in questo caso, il plateau viene raggiunto ad una concentrazione

iniziale di 0.15%, che è stato quindi il valore scelto per i nostri scopi.

3.4 PEGilazione delle nanocapsule

Essendo la reazione di click-chemistry molto versatile, è stato interessante

esplorarne le potenzialità per decorare la superficie del trilayer delle

Z-Po

tent

ial (

mV)

0

7,5

15

22,5

30

CT-B-IT (%)

0 0,05 0,1 0,15 0,2

Page 59: Tesi Luigi

nanocapsule così ottenute con un polimero in grado di migliorare

ulteriormente le proprietà di superficie in termini di biostabilità. La scelta del

PEG è basata sulle considerazioni, espresse anche nel paragrafo 1.4, secondo

cui un rivestimento di PEG intorno al nanovettore aiuta a migliorare la

stabilità dello stesso nei fluidi biologici (proprietà low-fouling). Inoltre, la

modifica chimica del chitosano con PEG è stata vista come un modo per

dimostrare la biocompatibilità del chitosano. 83 84 85 86

Figura 3.7: confronto di grafici NMR prima e dopo irradiazione del sistema.

Per i nostri scopi abbiamo utilizzato un PEG con peso molecolare di 5 kDa, in

quanto è quello che meglio si deposita volumetricamente sulla superficie delle

capsule, e con gruppi acrilici, per formare un legame con il chitosano. La

Page 60: Tesi Luigi

reazione si ottiene semplicemente sciogliendo il PEG nella soluzione di

trilayer preparata precedentemente e successivamente eseguendo un cross-

linking (come verrà descritto nel paragrafo successivo) per aumentarne la

stabilità.

Dopo la PEGilazione delle capsule, sono state condotte analisi NMR per

verificare che effettivamente il polimero si fosse legato alla superficie del

trilayer. La differenza dei segnali tra 5.75 ppm e 6.30 ppm e a 3.00 ppm, che

corrispondono rispettivamente al segnale del doppio legame ed a quello del

PEG, che si può osservare in Figura 3.7 ci ha dato conferma dell’avvenuta

reazione.

3.5 Cross-linking delle nanocapsule

Come visto nei paragrafi precedenti, la tecnica LBL consiste nella costruzione

di nanocapsule attraverso la deposizione consecutiva di specie di carica

opposta attorno ad un modello sferico carico. Il multilayer così ottenuto è

tenuto insieme dalle forti forze elettrostatiche presenti tra ogni singolo layer.

Tuttavia, a causa della natura elettrostatica del legame, questi sistemi sono

molto sensibili alle condizioni ambientali, quali il pH , che possono portare a

disassemblaggio. Per applicazioni biomediche questa è una limitazione

importante.

Approcci recenti hanno sviluppato capsule in cui il legame elettrostatico tra i

layer è rafforzato tramite reticolazione covalente, realizzata con click-

chemistry. Una reticolazione chimica, utilizzando legami covalenti, può

Page 61: Tesi Luigi

migliorare la resistenza alle sollecitazioni ambientali delle capsule come la

fase di conservazione o durante la circolazione nel sangue per consentire al

vettore di arrivare alle cellule bersaglio. Grazie alla funzionalizzazione dei

polimeri, una reazione di reticolazione tra i gruppi sulfidrilici del chitosano e

i gruppi allilici dell’eparina può portare alla formazione del legame tioetereo

che ha il vantaggio di collegare due layer differenti, aumentando in questo

modo la stabilità complessiva delle nanocapsule. La reazione Tio-ene (Figura

3.8) non necessita di alcun reagente chimico da aggiungere alla preparazione

delle nanocapsule: questo porta a reazioni “pulite”, che sono in grado di

stabilizzare le capsule senza contaminarle; in particolare, la reazione può

essere attivata dalla radiazione a 254 nm o a 365 nm. In realtà preferiamo

utilizzare la radiazione a 254 nm in quanto essa è più efficace, al punto da

non richiedere l’utilizzo del fotoiniziatore (che è citotossico), al contrario di

quella a 365 nm per cui è invece indispensabile. Il team di ricerca ha studiato

approfonditamente la reazione, dimostrando che quella a 254 nm funziona

anche senza fotoiniziatore.

Figura 3.8: reazione click tio-ene fotoattivata.

La reazione avviene tra i tioli del chitosano e gli alcheni dell’eparina

terminale:

Page 62: Tesi Luigi

L’avvenuto cross-linking è stato dimostrato praticamente conducendo studi

di biostabilità come di seguito riportato.

3.6 Studi di biostabilità

Come illustrato in precedenza, lo scopo di questo lavoro consiste nella

realizzazione di nanocapsule polimeriche con aumentata stabilità in

ambiente biologico. Per verificare l’efficacia del cross-linking ai fini della

biostabilità abbiamo prima realizzato un sistema modello ottenuto a partire

da un templante solido, ovvero particelle di polistirene carbossilate di

dimensioni nanometriche (0.1 µm).

E’ stato perciò realizzato un trilayer con i seguenti polimeri: CT-LMW-IT per il

primo layer, Hep-P6 per il secondo layer e CT-B-IT per il terzo layer. La scelta

di avere come layer esterno il chitosano è stata voluta per sfruttare il sistema

più sensibile alle variazioni di pH (il chitosano perde la sua carica superficiale

a pH meno acidi) e, in questo modo, accentuare la differenza tra sistema con

cross-linking e senza.

In Tabella 3-3 sono riportati i valori di dimensioni, PDI e potenziale Z ottenuti

durante la realizzazione del trilayer.

Tabella 3-3: dimensioni, PDI e potenziale Z di nanocapsule trilayer con Polistirene come templante.

Size (nm) PDI Z-potential (mV)

Page 63: Tesi Luigi

Templante 120,5 0,042 -35,1

Monolayer 162,5 0,057 25,4

Bilayer 148,8 0,060 -44,9

Trilayer 196,8 0,057 23,2

Trilayer in DMEM 185,4 0,071

Trilayer in PBS 187,8 0,102

Figura 3.9: curva di distribuzione delle dimensioni delle nanocapsule durante le varie fasi.

Templante - Monolayer - Bilayer - Trilayer

Dai valori di dimensioni, PDI e potenziale Z ottenuti (vedi Tabella 3-3 e Figure

3.9 e 3.10) è evidente come le concentrazioni di ciascun polimero scelte per

le deposizioni LbL siano ottimali. Le quantità di polimero sono sufficienti ad

ottenere il cambio della carica superficiale e, d'altro canto, non eccessive da

creare problemi di instabilità nelle deposizioni successive. Infatti i valori di

PDI sono sufficientemente bassi e le dimensioni restano al di sotto dei 200

nm, sufficientemente piccole per poter sfruttare l'effetto EPR. Infine i vari

cambi di carica superficiale suggeriscono come effettivamente i polimeri

siano completamente depositati tra una fase e l’altra.

Page 64: Tesi Luigi

Figura 3.10: cambio di potenziale Z delle nanocapsule durante le varie fasi.

Le nanocapsule così ottenute sono state successivamente ridisperse in mezzi

a diverso pH e forza ionica o a pH e forza ionica maggiori, che simulassero le

condizioni fisiologiche. In particolare il sistema è stato disperso in PBS

(Phosphate Buffer Solution, 10 mM pH 7,2) e in DMEM (4.5 g/L glucosio, 10%

Siero bovino fetale, 3.7 g/L bicarbonato di sodio e 4 mM glutammina, 1%

aminoacidi non essenziali, 100 U/ml penicillina e 0.1 mg/ml Streptomicina) e

sono stati paragonati i campioni che hanno subito o meno la fotoreticolazione.

Dal confronto, riportato in Tabella 3-4 e 3-5 e nella Figura 3.11, si può notare

come vi sia un sensibile aumento delle dimensioni nei campioni che non

-50

-37,5

-25

-12,5

0

12,5

25

37,5

Templante Monolayer Bilayer Trilayer

Potenziale Z

Page 65: Tesi Luigi

hanno subito la reticolazione e che invece in soluzione acida HAc (Figura

3.11) non ci sono destabilizzazioni, come atteso.

Tabella 3-4: size, PDI e Z-Potential di nanocapsule trilayer con Polistirene come templante in DMEM

Size (nm) PDI Z-potential (mV)

UV 187,6 0,071 22,7

NO UV 274,5 0,082 23,5

Tabella 3-5: size, PDI e Z-Potential di nanocapsule trilayer con Polistirene come templante in PBS

Size (nm) PDI Z-potential (mV)

UV 185,46 0,102 23,65

NO UV 225,87 0,211 24,72

Figura 3.11: misure di dimensioni e PDI di trilayer irradiati e non di NPs di polistirene.

Una volta confermata l’efficacia della reticolazione, siamo passati ad

utilizzare il templante liquido lipofilico precedentemente descritto:

Size

(nm

)

150

192,5

235

277,5

320

Hac DMEM PBS

UV No UV

Page 66: Tesi Luigi

l’emulsione di lecitina ed olio di soia. Utilizzare la nanoemulsione comporta

vantaggi come la possibilità di incapsulare grandi quantità di molecole

idrofobiche, proteggendole al loro interno, oltre ad essere un sistema

completamente biocompatibile. I risultati ottenuti riproducendo il metodo sul

nuovo modello sono esposti in Tabella 3-6:

Tabella 3-6: dimensioni, PDI e potenziale Z di nanocapsule trilayer su L2 oil 1%

Size (nm) PDI Z-potential (mV)

Templante 126,5 0,049 -32,1

Monolayer 142,1 0,092 27,6

Bilayer 174,6 0,125 -32,6

Trilayer 186,7 0,092 28,2

Trilayer in DMEM 423,8 1,000

Trilayer in PBS 546,9 1,000

Dalla Tabella 3-6, si può notare come i trilayer preparati non siano stabili

nelle soluzioni PBS e DMEM. Questo probabilmente perchè lo spessore dei

layer e di conseguenza il grado di cross-linking che li tiene insieme non è

sufficiente. A questo punto, le strategie possibili per risolvere il problema

sono due: aumentare il numero dei layer o aumentare la forza ionica della

soluzione per avere layer più spessi. Sulla base di ciò, per i nostri scopi, le

deposizioni sono state fatte in un buffer contenente una quantità nota (5mM)

di cloruro di sodio. La presenza di cloruro di sodio in soluzione determina

così un aumento della forza ionica e di conseguenza le cariche dei

Page 67: Tesi Luigi

polielettroliti risultano maggiormente schermate, rendendo le catene

polimeriche più compatte. Ai fini della deposizione ciò si traduce in una

maggiore quantità di polimero da depositare e un maggior spessore dei layer.

La maggiore quantità di polimero si traduce anche in un maggior numero di

gruppi tiolici e cllilici disponibili al cross-linking.

Il primo risultato ottenuto con questa strategia è un aumento delle

dimensioni delle nanocapsule (confronta Tabelle 3-6 e 3-7), conseguenza

della maggior quantità di polimero depositato. Infatti è stato necessario

aggiustare le concentrazioni dei polimeri, durante le varie fasi delle

deposizioni, per i nostri scopi, nel modo seguente: CT-LMW-IT 0,015%, Hep-P6

0,035% e CT-B-IT 0,075% (rispetto alle precedenti concentrazioni di CT-

LMW-IT 0,0125%, Hep-P6 0,032% e CT-B-IT 0,015%). Il risultato di questa

modifica del protocollo di deposizione è stato valutato con le prove di

biostabilità. In particolare a differenza di quanto visto in precedenza col

sistema a minore forza ionica (Tabella 3-6), le nanocapsule risultano stabili e

di dimensioni idonee anche in presenza di DMEM e PBS (Tabella 3-7).

In Figura 3.11 sono riportati le dimensioni e il PDI del trilayer, reticolato ed

ad aumentata forza ionica, disperso in PBS e DMEM a tempo 0 e dopo una

settimana, per verificarne la stabilità nel tempo. Anche in questo caso si nota

come il cross-link renda il sistema stabile e come tale stabilità è mantenuta a

lungo.

Tabella 3-7: size, PDI e Z-Potential di nanocapsule trilayer su L2 Oil 1% con maggiore forza ionica

Page 68: Tesi Luigi

Size (nm) PDI Z-potential (mV)

Templante 126,5 0,049 -32,1

Monolayer 158,4 0,133 21,9

Bilayer 176,0 0,108 -43,4

Trilayer 212,6 0,106 18,6

Trilayer in DMEM 211,8 0,118

Trilayer in PBS 226,0 0,127

Figura 3.12: studi di stabilità su campioni di trilayer irradiati a tempo 0 e dopo 7 giorni in soluzioni di DMEM e PBS.

4. Conclusioni

Size

(nm

)

0

65

130

195

260

0 d 7 d

DMEM PBS

Page 69: Tesi Luigi

Questo progetto di ricerca si è focalizzato sulla realizzazione di nanocapsule

biocompatibili a nucleo liquido, tramite la tecnica layer-by-layer, che

risultassero stabili in ambiente fisiologico, ma che al tempo stesso

degradassero in ambiente patologico così da rilasciare il contenuto al loro

interno.

La tecnica LbL rivela grandi potenzialità in quanto i polimeri che formano i

vari layer possono essere adeguatamente scelti e, per le nostre capsule, sono

stati utilizzati chitosano ed eparina. Questi due polimeri sono completamente

biocompatibili e biodegradabili e sono già utilizzati in numerose applicazioni

farmaceutiche; è stato inoltre scelto un templante biocompatibile e

biodegradabile, cioè un'emulsione O/W costituita da componenti naturali

come la lecitina (arricchita con fosfatidilcolina) ed olio di soia. Il templante a

base d’olio garantisce la possibilità di incapsulare farmaci lipofili all'interno

dei nanocarrier, punto molto importante se si considera che circa il 65% dei

farmaci presenti sul mercato sono lipofili.

Dopo l’assemblaggio LbL del multilayer, il nostro scopo era di stabilizzare

l'involucro mediante la formazione di legami covalenti, attraverso la

reticolazione UV tra gli strati, in modo che le nanocapsule risultanti fossero

più resistenti a stimoli esterni, come il valore di pH fisiologico, e quindi idonee

per la somministrazione sistemica in organismi umani. Inoltre, la loro

dimensione ridotta garantisce buone proprietà di “targeting passivo", con

seguente minor opsonizzazione e maggiore accumulo nei tessuti bersaglio,

come i tumori, che soffrono di mancanza di drenaggio linfatico e di eccessiva

permeabilità. Infine, per migliorare ulteriormente il sistema abbiamo optato

Page 70: Tesi Luigi

per una decorazione del layer più esterno con un polimero, il PEG, in grado di

conferire proprietà low-fouling. Quest’ultima caratteristica permette alle

nanocapsule di avere un’emivita più lunga, poichè non vengono riconosciute

dalle immunoglobuline e quindi rimosse.

Per ottenere la desiderata stabilità in ambiente fisiologico sono stati

fondamentali due step: il cross-linking tra i vari strati, che ha aumentato

notevolmente la stabilità del sistema, e la preparazione del monolayer in un

buffer a maggiore forza ionica che ha permesso di accrescere lo spessore del

primo strato e quindi di quello complessivo, consentendo al sistema stesso di

essere ancora più stabile anche in condizioni di forte stress ambientale.

Studi farmacologici in corso presso la facoltà di Farmacia, Dipartimento di

Farmacologia (Prof. Calignano), valuteranno la tossicità generale delle

nanocapsule in colture cellulari e successivamente in modelli animali,

approfondendo inoltre le possibilità di decorare lo strato esterno (con una

tecnica simile a quella utilizzata per la PEGilazione) anche con altri materiali

(peptidi, proteine, aptameri) in grado di conferire proprietà di targeting

attivo al sistema.

5. Appendice

5.1 Dynamic Light Scattering

Page 71: Tesi Luigi

La dimensione media, la distribuzione delle dimensioni, l’indice di

polidispersità (PDI) ed il potenziale Z della sospensione di nanocapsule sono

stati misurati con uno Zetasizer nano series (Figura 5.1), acquistato dalla

Malvern Instruments, utilizzando la tecnica del dynamic light scattering

(DLS).

Figura 5.1: Zetasizer.

Un tipico sistema di dynamic light scattering (Figura 5.2) comprende sei

componenti principali. In primo luogo, un laser (1) fornisce una sorgente di

luce per illuminare il campione contenuto in una cella (2). Per concentrazioni

diluite, la maggior parte del fascio laser passa attraverso il campione, ma una

parte è riflessa dalle particelle nel campione in tutti gli angoli. Un rivelatore

(3) viene utilizzato per misurare la luce diffusa in uno dei diversi angoli (per

esempio 173° o 90° e così via). L'intensità della luce dispersa, deve essere

entro un intervallo specifico per essere misurata con successo dal rivelatore.

Page 72: Tesi Luigi

Se viene rilevata troppa luce, allora il rilevatore diventa saturo. Per ovviare a

questo problema, un attenuatore (4) viene utilizzato per ridurre l'intensità

della sorgente laser e quindi per ridurre l'intensità di dispersione. Per i

campioni che non disperdono molta luce, come particelle molto piccole o

campioni a bassa concentrazione, la quantità di luce dispersa deve essere

aumentata. In questa situazione, l'attenuatore consentirà alla luce laser di

attraversare maggiormente il campione. L’intensità del segnale di

dispersione dal rivelatore viene passato ad una scheda di elaborazione

digitale chiamata correlatore (5).

Il correlatore confronta l'intensità di dispersione ad intervalli di tempo

successivi per derivare il tasso al quale l'intensità è variabile. Questa

informazione, detta funzione di correlazione, proveniente dal correlatore

viene poi passata ad un computer (6), dove il software analizza i dati e deriva

le informazioni sulla dimensione.

Page 73: Tesi Luigi

Figura 5.2: configurazione di un sistema DLS.

Misurazione della dimensione delle particelle

Il dynamic light scattering è una tecnica che può essere utilizzata per

determinare il profilo di distribuzione delle dimensioni delle particelle in un

sistema colloidale. In particolare, misura il moto browniano e lo correla alla

dimensione delle particelle. Il moto browniano è il movimento casuale di

particelle dovuto al bombardamento delle molecole di solvente che le

circondano. Normalmente DLS riguarda la misurazione di particelle sospese

in un liquido. Più grande è la particella, più lento sarà il moto browniano. Le

Page 74: Tesi Luigi

particelle più piccole vengono "calciate" ulteriormente dalle molecole di

solvente e si muovono più rapidamente. La velocità del moto browniano è

definita da una proprietà nota come coefficiente di diffusione traslazionale

(generalmente indicato con il simbolo D).

La dimensione di una particella viene calcolata attraverso il coefficiente di

diffusione traslazionale utilizzando l'equazione di Stokes-Einstein:

dove d(H) è il diametro idrodinamico, D è il coefficiente di diffusione

traslazionale, K è la costante di Boltzmann, T è la temperatura assoluta e η è

la viscosità. Si noti che il diametro che viene misurato con il DLS è un valore

che si riferisce a come una particella diffonde all'interno di un fluido così che

è indicato come un diametro idrodinamico. Il diametro che si ottiene con

questa tecnica è il diametro di una sfera che ha lo stesso coefficiente di

diffusione traslazionale di una particella. Il coefficiente di diffusione

traslazionale dipenderà non solo dalle dimensioni della particella "core", ma

anche da qualsiasi struttura superficiale, nonché dalla concentrazione ed il

tipo di ioni nel mezzo. Qualsiasi modifica alla superficie di una particella che

influisce sulla velocità di diffusione modifica corrispondentemente la

dimensione apparente della particella. Qualsiasi sistema reale è composto da

particelle di diverse dimensioni quindi la dimensione data dal calcolo è una

Page 75: Tesi Luigi

dimensione media. La polidispersità del sistema può essere più o meno

ampia; un parametro che fornisce questa informazione è l'indice di

polidispersità (PDI). Sia la dimensione media che il PDI sono date da analisi

cumulanti. Se la polidispersione è molto bassa, la distribuzione può essere

considerata monodispersa; più precisamente secondo gli standard del

National Institute of Standards and Technology (NIST) “la distribuzione delle

particelle può essere considerata monodispersa se almeno il 90% della

distribuzione si trova all’interno del 5% della mediana delle dimensioni".

Inoltre, lo strumento Zetasizer utilizzato nei nostri esperimenti permette un

controllo accurato della temperatura alla quale sono condotti, poiché questa

può influenzare la viscosità ed il moto browniano delle particelle in soluzione,

e rileva la luce diffusa a 173°. Questo tecnica è noto come il rilevamento a

retrodiffusione (backscattering, Figura 5.3).

Figura 5.3: geometria di un rilevatore a retrodiffusione.

Page 76: Tesi Luigi

Inoltre, le ottiche non sono in contatto con il campione e quindi le ottiche di

rilevamento sono dette non invasive. Ci sono diversi vantaggi nell'utilizzo di

un rilevamento non invasivo a retrodiffusione (NIBS):

- Il laser non deve viaggiare attraverso l'intero campione. Questo riduce

l'effetto chiamato scattering multiplo, in cui la luce da una particella è essa

stessa diffusa da altre particelle.

- Contaminanti quali particelle di polvere all'interno del disperdente sono

tipicamente grandi rispetto alle dimensioni del campione e grandi

particelle diffondono principalmente in avanti. Pertanto, mediante il

rilevamento a retrodiffusione, gli effetti della polvere sono notevolmente

ridotti.

Infine, è opportuno fare alcune altre considerazioni. Innanzitutto, è

necessario che le particelle siano piccole rispetto alla lunghezza d'onda del

laser utilizzato (tipicamente meno di d = λ/10), in modo che la dispersione di

una particella illuminata da un laser polarizzato verticalmente sia

sostanzialmente isotropica, cioè uguale in tutte le direzioni. In secondo luogo,

è importante considerare l’approssimazione Rayleigh che ci dice che Ι α d6 e

anche che Ι α = ︎1/λ︎4, dove Ι è l'intensità della luce diffusa, d è il diametro della

particella e λ è la lunghezza d'onda del laser.

Pertanto una particella di 50 nm disperderà la quantità di luce come una

particella di 5 nm. Quindi c'è il rischio che la luce delle particelle più grandi

Page 77: Tesi Luigi

sommergerà la luce diffusa da quelle più piccole. Questo fattore significa

anche che è difficile con la tecnica DLS misurare una miscela di particelle

comprese tra i 1000 nm ed i 10nm perché il contributo alla luce diffusa totale

delle particelle più piccole sarà estremamente basso. La relazione inversa a

λ4 ︎ significa che un’intensità di dispersione maggiore è ottenuta come la

lunghezza d'onda del laser utilizzato diminuisce.

Misure di potenziale Z

Il potenziale Zeta è una proprietà fisica mostrata da una qualsiasi particella

in sospensione e che è correlata alla carica superficiale della particella stessa.

Questa carica sulla superficie della particella influenza la distribuzione degli

ioni nella regione interfacciale circostante, con un conseguente aumento

della concentrazione di contro-ioni (ioni di carica opposta a quella della

particella) vicino alla superficie. Così un doppio layer elettrico esiste attorno

a ciascuna particella.

Lo strato liquido che circonda la particella esiste come due parti; una regione

interna, chiamato strato di Stern (Figura 6.4), dove gli ioni sono fortemente

legati, ed uno esterno, diffuso, in cui sono meno legati. All'interno dello strato

diffuso è presente un riquadro nozionale all'interno del quale gli ioni e le

particelle formano un'entità stabile. Quando una particella si muove (ad

esempio a causa della gravità), ioni all'interno del confine muovono con essa,

ma eventuali ioni al di là del confine non viaggiano con la particella.

Page 78: Tesi Luigi

Questo limite è chiamato superficie di taglio idrodinamico o scivolamento

aereo. Il potenziale esistente in questo confine è noto come potenziale Z.

Figura 5.4: illustrazione schematica del Potenziale Z.

Lo strato liquido che circonda la particella esiste come due parti; una regione

interna, chiamato strato di Stern (Figura 5.4), dove gli ioni sono fortemente

legati, ed uno esterno, diffuso, in cui sono meno legati. All'interno dello strato

diffuso è presente un riquadro nozionale all'interno del quale gli ioni e le

particelle formano un'entità stabile. Quando una particella si muove (ad

esempio a causa della gravità), ioni all'interno del confine muovono con essa,

ma eventuali ioni al di là del confine non viaggiano con la particella. Questo

limite è chiamato superficie di taglio idrodinamico o scivolamento aereo. Il

potenziale esistente in questo confine è noto come potenziale Z.

Page 79: Tesi Luigi

Il potenziale Z può essere utilizzato per ottimizzare le formulazioni di

sospensioni ed emulsioni. A volte, è anche un aiuto nel predire la stabilità a

lungo termine.

Misure di potenziale Z sono a volte utilizzate per valutare la stabilità dei

sistemi colloidali. Se tutte le particelle in sospensione presentano un ampio

potenziale Z positivo o negativo, allora tenderanno a respingersi e non vi sarà

alcuna tendenza per le particelle ad aggregarsi. Tuttavia, se le particelle

hanno valori di potenziale Z bassi allora non vi sarà alcuna forza a prevenire

le particelle dall’aggregarsi e flocculare. La linea di demarcazione generale

tra sospensioni stabili e instabili è generalmente considerata essere a +30 o

-30 mV. Le particelle con potenziali Z maggiori di +30 mV o minori di -30 mV

sono normalmente considerati stabili. Tuttavia, se le particelle hanno una

densità differente dalla disperdente, potrebbero sedimentare formando una

stretta colonna a riempimento (cioè una “hard cake”). Uno dei fattori più

importanti che influenzano il potenziale Z è il pH del campione. Il valore del

potenziale Z da solo, senza definire le condizioni della soluzione è un numero

praticamente insignificante. Per esempio, se consideriamo una particella in

sospensione con un potenziale Z negativo, aggiungendo alcali a questa

sospensione le particelle tendono ad acquisire carica più negativa che

aggiungendo acido a questa sospensione, fino al punto in cui la la carica sarà

neutralizzata. Ulteriore aggiunta di acido causerà un incremento delle

cariche positive. Pertanto il potenziale Z sarà positivo a pH basso e inferiore o

negativo a pH elevato. Ci può essere un punto in cui il potenziale Z passa per

lo zero. Questo punto è chiamato punto isoelettrico ed è normalmente il punto

Page 80: Tesi Luigi

in cui il sistema colloidale è meno stabile. Anche gli ioni in soluzione possono

influenzare il potenziale Z. Essi possono interagire con superfici di particelle

cariche in uno dei due modi seguenti:

1. Adsorbimento ionico non specifico, che non ha alcun effetto sul punto

isoelettrico;

2. Adsorbimento ione specifico, che porterà ad una variazione del valore del

punto isoelettrico.

L’adsorbimento specifico di ioni sulla superficie di una particella può avere un

effetto drammatico sul potenziale zeta della dispersione di particelle e in

alcuni casi può portare ad un'inversione di carica della superficie.

Lo Zetasizer Nano series calcola il potenziale Z determinando la mobilità

elettroforetica e quindi applicando l'equazione di Henry. La mobilità

elettroforetica è ottenuta effettuando un esperimento di elettroforesi sul

campione e misurando la velocità delle particelle utilizzando un Laser

Doppler (LDV).

Un'importante conseguenza dell'esistenza di cariche elettriche sulla

superficie delle particelle è che esse presentano alcuni effetti sotto l'influenza

di un campo elettrico applicato. Quando un campo elettrico viene applicato

attraverso un elettrolita, particelle cariche sospese nell'elettrolita sono

attratte verso l'elettrodo di carica opposta.

Page 81: Tesi Luigi

Figura 5.5: cella Zetasizer, con elettrodi ad entrambe le estremità, a cui è applicato un potenziale.

Forze viscose che agiscono sulle particelle tendono a contrastare questo

movimento. Quando si raggiunge l'equilibrio tra queste due forze opposte, le

particelle si muovono con velocità costante. La velocità della particella è

dipendente dalla forza del campo elettrico o dal gradiente di tensione della

costante dielettrica del mezzo, dalla viscosità del mezzo e dal potenziale Z. La

velocità di una particella in un campo elettrico è comunemente indicata come

la sua mobilità elettroforetica. Con questa conoscenza possiamo ottenere il

potenziale Z delle particelle mediante l'applicazione dell'equazione Henry:

dove z è il potenziale zeta, Ue la mobilità elettroforetica, ε la costante

dielettrica, η la viscosità e f(Ka) la funzione di Henry. Due valori sono

generalmente usati come approssimazioni per la determinazione di f(Ka): 1.5

quando determinazioni elettroforetiche di potenziale Z sono realizzate in

mezzi acquosi con una concentrazione di elettroliti moderata e 1.0 per le

Page 82: Tesi Luigi

piccole particelle in mezzi con costante dielettrica bassa. La Laser Doppler

Velocimetry (LDV) è una tecnica ben consolidata per misurare la velocità

delle particelle che si muovono attraverso un fluido in un esperimento di

elettroforesi. L’ottica ricevente è focalizzata in modo da trasmettere la

dispersione di particelle nella cella. La luce diffusa con un angolo di 17° è

combinata con il fascio di riferimento. Ciò produce un segnale di intensità

fluttuante dove il tasso di variazione è proporzionale alla velocità delle

particelle. Un processore di segnale digitale viene utilizzato per estrarre le

frequenze caratteristiche nella luce diffusa.

Page 83: Tesi Luigi

5.2 Spettrofotometro

!

Figura 5.6: Spettrofotometro

La spettrofotometria UV/Visibile si basa sull’assorbimento selettivo da parte

di molecole, delle radiazioni con lunghezza d’onda compresa fra 10  nm e

780 nm. Tale gamma spettrale si può suddividere in tre regioni:

• UV lontano (10 - 200 nm)

• UV vicino   (200 - 380 nm)

• Visibile        (380 - 780 nm)

Questo tipo di assorbimento comporta l’eccitazione degli elettroni di valenza,

la quale richiede energie tanto più elevate quanto più grande è la distanza fra

il livello elettronico di partenza e di arrivo delle transizioni. Tale fenomeno lo

si può sfruttare a fini analitici, irraggiando il campione in esame con una

Page 84: Tesi Luigi

radiazione, a lunghezza d’onda conosciuta, di intensità fittizia (I); rilevando

poi l’intensità della radiazione emergente (I-x) si definisce trasmittanza la

grandezza: T= (I-x) / I. Ricordando che ogni singola sostanza da analizzare

assorbe ad una lunghezza d’onda specifica, la legge che descrive questo tipo

di assorbimento, è la legge di Lambert-Beer, la quale è applicabile soltanto nel

caso di radiazioni monocromatiche. La sua formulazione è: A = a · b · C, dove 

A = assorbanza (log1/T), a = coefficiente di estinzione (molare se la

concentrazione viene espressa in mol/l), b = spessore della cella e C =

concentrazione della specie in esame. Lo schema dello strumento è il

seguente:

     

Figura 5.7: modello di spettrofotometro. 1) specchio mobile; D) sorgente; 2) elemento disperdente; W) monocromatore; 3) filtro ottico; 4) chopper; 5) campione; 6) bianco; 7) sistema riallineamento;

8) rivelatore; 9) sistema di elaborazione dati.

La sorgente è costituita da una lampada, la quale deve emettere una

radiazione quanto più possibile costante e riproducibile. Per emissioni nella

regione del visibile si usano lampade a filamento di tungsteno che coprono un

Page 85: Tesi Luigi

intervallo di lunghezze d’onda compreso fra 930 e 330 nm; la temperatura di

lavoro è di circa 3000° K e naturalmente l’intensità della radiazione

luminosa dipende dalla tensione applicata, secondo la relazione I  = V4. Per

lavorare nella regione UV si usano invece lampade al deuterio (un isotopo

dell’idrogeno) le quali emettono in modo continuo al di sotto dei 400 nm; il

bulbo della lampada è infatti riempito di questo isotopo che viene eccitato

tramite scarica elettrica; ritornando allo stato fondamentale, l’elettrone

emette una radiazione di energia che viene poi diretta verso uno specchio

mobile che lo riflette verso il monocromatore.

Il monocromatore è costituito da due parti: un elemento disperdente e un

filtro ottico. Questo strumento riesce a scomporre la radiazione policromatica

emessa, in bande monocromatiche.

La qualità di tale strumento dipende da due parametri: l’ampiezza della

banda passante (responsabile della scelta di una particolare radiazione) ed il

potere risolvente (la capacità di separare fra di loro più lunghezze d’onda).

Come nel caso del monocromatore di cui è fornito il nostro apparecchio,

vengono spesso usati sistemi a riflessione che garantiscono un recupero

energetico di circa l’80% sulla radiazione policromatica incidente; in questi

dispositivi l’elemento disperdente è costituito da un piano caratterizzato da

solchi con un particolare angolo di taglio (angolo di Blaze), e vi sono due

tipologie di reticoli: echelle (la riflessione avviene sul lato più lungo) o

echellette (la riflessione avviene sul lato più corto). Come in tutti i

monocromatori, la radiazione policromatica viene divisa in tanti raggi i quali

possono dare un interferenza costruttiva (quando la differenza di cammino

Page 86: Tesi Luigi

ottico è uguale ad un numero intero di lunghezze d’onda) o distruttiva in tutti

gli altri casi.

E' importante ricordare che ogni elemento disperdente a riflessione funziona

in maniera ottimale ad una particolare lunghezza d’onda, chiamata

lunghezza di Blaze, dove cioè l’angolo di riflessione e l’angolo di diffrazione

coincidono dando luogo ad una radiazione monocromatica ad elevata

intensità.

Il comparto celle è la sezione dello spettrofotometro dove il raggio incidente

viene sdoppiato con un chopper, in due radiazioni di uguale intensità e diretto

rispettivamente verso il campione e verso il bianco. Questa modalità a doppio

raggio permette di eliminare i problemi dovuti alla non costante emissione

della lampada; infatti si riesce con tale artificio a rilevare un assorbimento in

maniera relativa facendo un rapporto bianco/campione.

Le soluzioni da analizzare vengono poste in celle (di larghezza circa uguale

ad 1  cm) di materiale diverso ed a seconda che si lavori con radiazioni di

lunghezza d’onda compresa nella regione UV o visibile, si usano

rispettivamente cuvette rettangolari di quarzo o vetro.

I più comuni rivelatori sono: celle fotovoltaiche, fotodiodi, fototubi e

fotomoltiplicatori. Nel caso dei primi due tipi si riesce a trasformare la

radiazione luminosa in segnale elettrico, grazie a caratteristiche dei

conduttori, nei quali gli elettroni sottoposti a radiazione luminosa passano

dagli orbitali di legame (banda di valenza) a quelli di antilegame (banda di

conduzione). Nei primi due modelli, abbastanza simili, la radiazione colpisce

Page 87: Tesi Luigi

un semiconduttore, rivestito da due lamine di metallo, e produce un segnale

di corrente misurato da un galvanometro; l’unica grossa differenza consiste

nell’applicazione, nelle celle fotoconduttive, di un generatore che permette

quindi una misura relativa della corrente (prima e dopo che la radiazione ha

colpito il semiconduttore). Nei fototubi e nei fotomoltiplicatori si sfrutta

l'effetto fotoelettrico grazie al quale un metallo è ionizzato da una radiazione

di opportuna energia. I fotomoltiplicatori hanno una elevata sensibilità e sono

in grado di ampliare il segnale prodotto dalla radiazione che colpisce la

griglia di metallo, grazie ad una disposizione in serie di anodi a potenziale

crescente dall’alto verso il basso. Si ottiene così un effetto a cascata che

amplifica il segnale di 106 rispetto a quello che si ottiene dai fototubi. Per tutti

i detector esiste una relazione di proporzionalità fra l’intensità di corrente

generata e quella della radiazione incidente.

Questa sezione dello strumento serve alla rielaborazione e alla presentazione

dei dati ottenuti. Solitamente sono presenti microprocessori in grado di dare

il risultato direttamente in assorbanza e di scegliere fra varie modalità di

gestione dello spettrofotometro, quali: il tipo di lampada, la banda passante

del monocromatore, la risoluzione, il tempo di risposta, il rapporto segnale-

rumore, etc.

Page 88: Tesi Luigi

5.3 Ubbelohde

Figura 5.8: viscosimetro Ubbelohde.

Il viscosimetro è uno strumento che si usa per misurare la viscosità dei fluidi.

Il metodo classico di misura è dovuto a George Gabriel Stokes e consiste nel

misurare il tempo che un fluido impiega a transitare attraverso un capillare

di vetro di lunghezza nota. Questo metodo è tuttora utilizzato per la

misurazione standard della viscosità dell'acqua e più in generale per i fluidi

newtoniani. In condizioni ideali può avere una precisione dello 0,1% circa.

Non è adatto alla misura in fluidi ad alta viscosità o contenenti particelle

solide. Inoltre non si può utilizzare con fluidi non newtoniani. La

determinazione della viscosità è basata sulla legge di Poiseuille:

Page 89: Tesi Luigi

in cui t è il tempo di eluizione di un volume V di fluido. Il rapporto dipende

dal valore del raggio del capillare R, dalla pressione applicata P, dalla

lunghezza del capillare L e dalla viscosità dinamica η. La differenza media di

pressione è data da:

essendo ρ la densità del liquido, g la costante di gravità e H l'altezza media del

menisco liquido.

In genere la viscosità del liquido viene confrontata con la viscosità di un altro

liquido, per cui si impiega la viscosità relativa, che è data da:

.

in cui t0 e ρ0 rappresentano il tempo di deflusso e la densità del liquido puro.

Nel caso di soluzioni molto diluite, vale la seguente relazione:

e la cosiddetta "viscosità specifica" viene calcolata come:

Page 90: Tesi Luigi

La viscosità intrinseca può essere determinata sperimentalmente misurando

il numero di viscosità in funzione della concentrazione in corrispondenza

dell'intercetta dell'asse delle ordinate.

Un viscosimetro di tipo Ubbelohde è uno strumento di misura che utilizza un

metodo basato misurazione della viscosità in un capillare. E’ raccomandato

per soluzioni polimeriche cellulosiche a viscosità più elevata. Il vantaggio di

questo strumento è che i valori ottenuti sono indipendenti del volume totale.

Il dispositivo è stato inventato dal chimico tedesco Leo Ubbelohde.

Il viscosimetro Ubbelohde è di vetro a forma di U con un serbatoio su un lato e

una lampadina di misura con un capillare dall’altra. Un liquido viene

introdotto nel serbatoio e poi aspirato attraverso il capillare con la lampadina

di misurazione. Rilasciata il palloncino, il liquido torna indietro attraverso il

bulbo di misura e il tempo necessario per il passaggio del liquido attraverso

due marchi calibrati è una misura della viscosità. Il dispositivo Ubbelohde ha

un terzo braccio estendentesi dall'estremità del capillare e aperto

all'atmosfera. In questo modo la testa di pressione dipende solo da un'altezza

fissa e non più dal volume totale di liquido.

Page 91: Tesi Luigi

5.4 NMR

Figura 5.9: NMR

La determinazione della struttura di un composto organico è utile per il

riconoscimento di composti noti, per la struttura di composti nuovi (prodotti

naturali) e per la conferma della struttura di prodotti di reazione.

Attualmente la determinazione delle strutture dei composti è effettuata quasi

esclusivamente attraverso tecniche spettroscopiche. La spettroscopia

utilizza l’interazione di una radiazione elettromagnetica con le molecole del

campione in esame per ricavare informazioni sulla loro struttura. Tra le

tecniche spettroscopiche troviamo: spettroscopia ultravioletta (UV),

spettroscopia infrarossa (IR), risonanza magnetica nucleare (NMR) e

Page 92: Tesi Luigi

spettrometria di massa (MS).

L’energia totale di una molecola può essere considerata come la somma

dell’energia di spin nucleare (NMR), dell’energia vibrazionale (IR),

dell’energia rotazionale (microonde), dell’energia traslazione o dell’energia

elettronica (UV).

Figura 5.10: schema di una postazione NMR

Page 93: Tesi Luigi

La spettroscopia di risonanza magnetica nucleare sfrutta la differenza di

energia che i vari stati di spin nucleari possono assumere in presenza di un

campo magnetico. Il nucleo atomico, poiché carico ed in movimento, genera

un campo magnetico. Perciò ogni nucleo dotato di spin si comporta come un

piccolo magnete, è cioè dotato di un momento dipolare magnetico. Il momento

magnetico è proporzionale al momento di spin e ne ha la stessa direzione. La

costante di proporzionalità tra il momento magnetico ed il momento di spin è

detta rapporto giromagnetico. Il rapporto giromagnetico è una caratteristica

intrinseca del nucleo, è diverso da nucleo a nucleo, e non può essere previsto

teoricamente, ma solo misurato.

I due stati di spin α e β di un nucleo hanno la stessa energia, a meno che il

nucleo non sia in un campo magnetico. In questo caso, lo stato α assume

un’energia minore dello stato β e diventa possibile un tipo di spettroscopia

che sfrutta il passaggio tra gli stati α e β del nucleo. Questo tipo di

spettroscopia è detta spettroscopia NMR. L’equazione che mette in relazione

la differenza di energia ΔE tra gli stati di spin α e β con il campo magnetico

(B0) ed il rapporto giromagnetico (γ) è l’equazione fondamentale per l’NMR:

ΔE= γhB0

La differenza di energia tra gli stati α e β è molto piccola, quindi il numero di

nuclei nello stato α è molto simile a quello dei nuclei nello stato β. I nuclei

nello stato A assorbono fotoni passando allo stato β, ma i nuclei nello stato B

Page 94: Tesi Luigi

emettono fotoni per emissione stimolata e passano allo stato α.

L’assorbimento netto di radiazione elettromagnetica è dovuta solo dal piccolo

eccesso di nuclei nello stato α rispetto a quelli nello stato β. La sensibilità

NMR è quindi bassa. La differenza di popolazione tra gli stati α e β è

direttamente proporzionale a ΔE, e quindi a B0 e γ. Quindi la sensibilità di un

esperimento NMR aumenta all’aumentare del campo magnetico applicato; i

nuclei utilizzabili per l’NMR devono avere I ≠ 0, in particolare sono utili i

nuclei con spin ½. Tutti i nuclei con numero atomico pari e massa atomica

pari hanno I ≠ 0. Il nucleo dell’idrogeno è il nucleo più utilizzato per NMR,

poiché ha il rapporto giromagnetico più alto di tutti i nuclei stabili ed ha

abbondanza isotopica del 100%. Le nubi elettroniche intorno ai nuclei sono in

grado di schermare leggermente il campo magnetico subito dal nucleo e

quest’effetto è diverso da atomo ad atomo. Quindi i nuclei chimicamente

differenti risuonano a frequenze leggermente diverse, e queste differenze di

frequenza sono dette spostamenti chimici o chemical shift. Le differenze di

frequenza sono piccole ma possono essere misurate accuratamente. E’

possibile correlare il chemical shift alla distribuzione di elettroni nella

molecola e quindi alla struttura chimica. Il campo magnetico applicato causa

un movimento degli elettroni nella nube elettronica, che produce un campo

magnetico indotto che scherma il nucleo. L’effetto schermante è tanto

maggiore quanto maggiore è la densità elettronica intono al nucleo. Perciò i

protoni circondati da un’alta densità elettronica risuonano a frequenza

inferiore di protoni circondati da una bassa densità elettronica. Quello che è

collegato alla struttura della molecola no è quindi la frequenza assoluta di

Page 95: Tesi Luigi

risonanza, ma il chemical shift. L’intensità di un segnale nello spettro NMR è

proporzionale al numero di protoni che lo genera. Per l’intensità si intende

non l’altezza del picco, ma l’area sottesa al picco, cioè l’integrale del picco.

I segnali degli spettri NMR hanno struttura fine (o molteplicità): ogni protone

dà luogo a più di un segnale. La causa della struttura fine è l’accoppiamento

spin-spin, ossia l’influenza degli stati di spin di un nucleo sulla frequenza di

risonanza dei nuclei che lo circondano, per via dei momenti magnetici. I

momenti magnetici nucleari possono interagire in maniera diretta o

indiretta, attraverso gli elettroni di legame. L’accoppiamento attraverso

quest’ultimo meccanismo è detto accoppiamento scalare ed è responsabile

della molteplicità dei segnali. L’accoppiamento scalare dipende dal numero di

legami chimici che separano i nuclei e non dalla loro distanza nello spazio. In

generale sono visibili accoppiamenti tra nuclei separati fino a 3 legami.

La cuvetta per NMR è una provetta di vetro con pareti molto sottili,

tipicamente di 5 mm di diametro in cui si pongono da 500 μL ad 1 ml di

soluzione di campione. Per la buona riuscita degli esperimenti è molto

importante che lo spessore del vetro sia estremamente uniforme e che la sua

forma sia esattamente cilindrica. La spettroscopia NMR ad alta risoluzione

può essere effettuata solo su campioni in soluzione, a causa dell’anisotropia

del chemical shift e degli accoppiamenti dipolari. Il solvente non deve

interferire con la misura, e per questo si usano solventi deuterati. E’

comunque possibile usare come solvente anche l’acqua, usando tecniche

particolari per la soppressione dell’enorme segnale dei protoni dell’acqua.

Page 96: Tesi Luigi

Anche i solventi deuterati contengono una piccola percentuale di atomi di H e

danno luogo ad un segnale residuo.

Per la spettroscopia NMR è necessario un campo magnetico il più possibile

intenso (perché aumenta la sensibilità), uniforme (perché i segnali sono

stretti) e costante nel tempo (perché gli esperimenti possono essere lunghi).

Il campo magnetico è generato da un magnete superconduttore, in cui una

corrente molto intensa circola in una bobina di materiale superconduttore

immerso in elio liquido a -268.8 C°. La cuvetta NMR è posta su un apposito

supporto ed è introdotta nel magnete dall’alto con un sistema pneumatico. La

cuvetta va a finire al centro del magnete, nella zona in cui il campo magnetico

è più intenso, all’interno di un solenoide di rame che funge da antenna

trasmittente e ricevente per la radiofrequenza. La console NMR ha il compito

di produrre la radiazione elettromagnetica che poi interagisce con le

molecole del campione all’interno del magnete. Poiché si tratta di

radiofrequenze, queste sono prodotte da circuiti elettronici, e arrivano al

campione su fili di rame. Inoltre la console riceve la debole radiofrequenza

emessa dal campione, ampliata milioni di volte, è poi elaborata dalla

workstation. Uno spettro NMR può essere ottenuto in 2 modi: per scansione

della frequenza, si varia la frequenza della radiazione elettro-magnetica e si

misura l’assorbimento ad ogni frequenza, o per scansione del campo, si varia

il campo magnetico a frequenza costante.

Page 97: Tesi Luigi

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