comunicazione e propaganda. il ruolo dei media nella formazione dell'opinione pubblica

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 Public and human relations seek to adapt the individual to a society... They serve to make him conform, which is the aim all propaganda. Jacques Ellul  I have the greatest admiration for your propaganda. Propaganda in the West is carried out by experts who have had the best training in the world -- in the field of advertising -- and have mastered the techniques with exceptional proficiency ... Yours are subtle and persuasive; ours are crude and obvious ...  I think that the fundamental difference between our worlds, with respect to propaganda, is quite simple. You tend to believe yours ... and we tend to disbelieve ours a Soviet correspondent based five years in the U.S.

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La propaganda promuove una particolare idea o dottrina e tende a far sorgere intorno a essa il più vasto consenso possibile, servendosi di tecniche provenienti dalla sociologia e dalla psicologia e facendo un uso organizzato e deliberato di varie forme di comunicazione ben coordinate tra di loro, con lo scopo di influenzare l’opinione pubblica a favore del propagandista o del gruppo di interesse. Il volume ricostruisce l’evoluzione del fenomeno “propaganda”, sia nelle dittature sia nelle libere società, mette in luce le principali tecniche comunicative utilizzate e punta l’accento sulla sua connessione con le scienze sociali, senza le quali non si avrebbe la propaganda moderna. Nell’ultima parte si esaminano le guerre in Afghanistan e in Iraq e si ricostruiscono le tappe che hanno portato alla conquista dell’opinione pubblica.

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Public and human relations seek to adapt the individual to a society...

They serve to make him conform,

which is the aim all propaganda.

Jacques Ellul 

 I have the greatest admiration for your propaganda.

Propaganda in the West is carried out by experts

who have had the best training in the world -- in the field of advertising -- and have mastered the techniques

with exceptional proficiency ...

Yours are subtle and persuasive;

ours are crude and obvious ...

 I think that the fundamental difference between our worlds,

with respect to propaganda, is quite simple.

You tend to believe yours ...

and we tend to disbelieve ours

a Soviet correspondent based five years in the U.S.

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Indice

 Introduzione 9 

 PARTE I. TEORIA E TECNICHE DELLA PROPA-

GANDA

CAPITOLO I. La propaganda tra passato e presente 1.1 Le connotazioni negative della parola propaganda  131.2 Evoluzione della propaganda: cenni storici 161.3 Differenze e affinità della propaganda

moderna nelle democrazie e nei totalitarismi 32

CAPITOLO II. Propaganda: Caratteristiche,tecniche di produzione e tecniche di diffusione 2.1 Caratteristiche della Propaganda 37

2.2 Tecniche di produzione della propaganda 502.3 Tecniche di trasmissione della propaganda 64

 PARTE II. LA PROPAGANDA DI GUERRA E LA FOR-MAZIONE DELL’OPINIONE PUBBLICA

CAPITOLO III. Come conquistare l’opinionepubblica prima, durante e dopo i conflitti3.1 Cosa è l’opinione pubblica e il

ruolo della propaganda 733.2 La propaganda come arma di guerra 79

3.3 Preparare l’opinione pubblica alla guerra 823.4 Niente censura 843.5 Grenada: lo sbaglio della censura 913.6 Andare alla fonte: la strategia propagandistica

dopo la Sidle Commission 973.7 Embedded : ovvero l’informazione incastonata 993.8 Terzine della propaganda 101

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CAPITOLO IV. La privatizzazione della propaganda4.1 Cosa sono e come nascono le agenzie di

pubbliche relazioni 1234.2 Promuovere l’immagine 1274.3 Le agenzie di Pubbliche Relazioni

e la campagna comunicativa in tempo di guerra 1334.3.1 La guerra del Golfo 1334.3.2 Il ruolo della Ruder&Finn

nella guerra civile dell’ex Yugoslavia 1384.4 Formula della valle di Mohawk 144

 PARTE III. ANALISI SUL CAMPO

CAPITOLO V. La propaganda USA dopol’11 settembre 2001 5.1 Cosa è cambiato dopo l’11 settembre 1495.2 La propaganda statunitense nella

guerra contro l’Afganistan nel 2001 151

5.2.1 Le terzine della propaganda applicatealla guerra in Afganistan del 2001 1525.2.2 Forme della propaganda nella guerra afgana 1605.2.3 Tecniche utilizzate 1625.2.4 Conclusione 164

5.3 La propaganda statunitense nella guerracontro l’Iraq nel 2003 1665.3.1 Le terzine della propaganda applicate

alla guerra in Iraq del 2003 1675.3.2 Forme della propaganda nella guerra irachena 1745.3.3 Tecniche utilizzate 1765.3.4 La propaganda dentro i mass media liberi 182

5.3.5 Conclusione 188

Conclusioni 193

 Bibliografia 199 

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Introduzione

Il fenomeno della propaganda rappresenta per la ricercascientifica un complesso campo di indagine sul quale si sonocimentati innumerevoli autori e studiosi, cosa che ha portatonon solo ad una ricca letteratura in materia, ma anche adun’analisi poliedrica del fenomeno. Diversi studiosi, infatti, divarie discipline e con toni differenti hanno esaminato la propa-ganda da una prospettiva diversa: storica, socio-politica, tecni-co-comunicativa e così via.

L’obiettivo di questo lavoro è quello di esaminare la propa-ganda da un punto di vista sociologico e comunicativo, metten-do in evidenza le caratteristiche e gli aspetti che la contraddi-stinguono e cercando di porla in relazione con la formazionedell’opinione pubblica. Due temi molto complessi e dei quali, siè coscienti, è difficile fornire una trattazione esaustiva. Due te-mi che si intrecciano e che procedono di pari passo in questo la-voro.

Per quanto si possa credere la propaganda un fenomeno cir-coscrivibile alle sole dittature, in realtà essa è massicciamentepresente anche all’interno delle nostre società, quelle che inquesto lavoro identificheremo con il termine di società aperte.Alcuni autori, quali Pratkanis e Aronson, ritengono che la no-stra sia un’epoca contrassegnata da questo fenomeno, tanto dadefinirla come l’età della propaganda. Questo perché in ognisettore e angolo della nostra società si assiste ad operazioni dipersuasione che utilizzano i metodi tipici della propaganda: dal-la pubblicità al mondo politico, dal mondo forense a quello cul-turale.

Per poter confrontare la propaganda e la sua evoluzione in

forme societarie così diverse, come le società aperte e le societàtotalitarie, si rende necessario esaminarla nella sua duplice pro-spettiva: da una parte la si esaminerà da punto di vista diacroni-co e dall’altra da un punto di vista sincronico. In altri termini lapropaganda, come pare evidente, si presenta sotto diverse vestiin relazione al contesto storico, politico e sociale nel quale simanifesta e opera. L’obiettivo è quello di fornire una visione

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 Introduzione10

più ampia possibile del fenomeno, sottolineando sia la sua evo-luzione storica (quindi esaminandola da una prospettiva diacro-nica, cosa che mette in luce i suoi aspetti di trasformazione esviluppo nel tempo) sia la sua prospettiva sincronica (che per-mette una comparazione più immediata tra l’utilizzo che se nefa nelle democrazie e nelle dittature, ma ancora in periodo diguerra e in periodo di pace).

Ogni epoca storica tende a perfezionare ed adattare la propa-ganda - o quello che oggi noi identifichiamo con questo termine- al contesto storico sociale nel quale prospera e si radica. Alcu-ni principi ed aspetti, come si vedrà, rimangono invariati mentrealtri tendono a perfezionarsi ed altri ancora non hanno più sensodi esistere e perciò scompaiono. Per fare questo però si rendenecessario un breve excursus storico del fenomeno (aspetto acui è dedicato il primo capitolo) e un suo tentativo di definizio-ne. Diversi autori hanno fornito non solo interpretazioni diffe-renti, alle quali si presterà attenzione, ma hanno formulato an-che definizioni diverse. Racchiudere la propaganda all’interno

di una definizione rigida e stabilita una volta per tutte è impresaardua, se non impossibile. Questo è in parte dovuto alla com-plessità del fenomeno che difficilmente si fa rinchiudereall’interno di una definizione statica, ma è dovuto anche e so-prattutto alla diversa prospettiva dalla quale si osserva il feno-meno e ai diversi elementi presi in considerazione da autori di-versi. Pertanto si vuole fornire una personale definizione chemeglio rappresenta la tesi di fondo di questo lavoro.

Per quanto concerne invece la sua evoluzione sincronica sicerca di mettere in luce le affinità e le divergenze della propa-ganda tra una democrazia ed uno Stato totalitario. Anche quivale lo stesso principio adottato per la prima dimensione, ovve-

ro il suo modificarsi ed adattarsi a contesti sociali differenti. I-noltre si vede come alcuni aspetti rimangono invariati mentrealtri tendono a cambiare radicalmente poiché sarebbero super-flui o addirittura controproducenti se calati in un contesto diffe-rente. In primo luogo, dunque, si ripercorre l’evoluzione storicadel fenomeno propaganda, la sua connotazione negativa per poicercare di sottolineare le diverse forme della propaganda, le

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 Introduzione 11

tecniche utilizzate dai propagandisti per veicolare i loro mes-saggi e gli strumenti utilizzati per diffondere il messaggio.

Analizzare il fenomeno della propaganda significa anchecercare di fornire una griglia interpretativa come contributospecifico e originale al tema, all’interno della quale sono pre-senti le diverse tipologie della propaganda e le modalità diversecon la quale si presenta. Altro obiettivo, sempre su questa linea,è quello di identificare le svariate tecniche utilizzate dai propa-gandisti per cercare di veicolare i messaggi e di presentarli, inmaniera coerente ed efficace, alla propria opinione pubblica.Anche in questo caso il raffronto tra dittatura e democrazia cipermette di cogliere le analogie e le divergenzenell’applicazione di queste tecniche nelle rispettive forme socie-tarie. Di pari passo alle tecniche si cerca di illustrare ed identifi-care i principali mezzi utilizzati dal propagandista per veicolareil messaggio, tenendo sempre presente la distinzione tra formediverse di società. Dunque nella prima parte si analizza il feno-meno propaganda nella sua evoluzione storica cercando di pre-

sentarlo nella sua complessità e fornendo un’originale classifi-cazione delle diverse forme della propaganda, delle diverse tec-niche utilizzate per costruire il messaggio e i diversi mezzi im-piegati per diffondere il contenuto della campagna propagandi-stica.

Nella seconda parte di questo lavoro, invece, ci si concentrasull’uso della propaganda e delle tecniche utilizzate durante iconflitti. Qui l’analisi è incentrata, con diversi esempi storici,sull’uso che i governi democratici fanno della propaganda perpreparare l’opinione pubblica ad accettare la guerra. La propa-ganda è, infatti, una vera e propria arma di guerra, indispensabi-le in ogni democrazia perché, come evidente, senza l’appoggio

della propria opinione pubblica non si può decidere di iniziareun’avventura bellica. In particolare si prendono in considera-zione gli Stati Uniti, baluardo della libertà di informazione, apartire dalla guerra del Vietnam per mettere in luce come dopola disastrosa avventura indocinese sia cambiata la strategia dellapropaganda. Si ripercorrono le diverse tappe, dal Vietnam pas-sando dalla guerra di Grenada (1983), dalla Sidle Commission

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 Introduzione12

(1984) per arrivare alla guerra contro l’Iraq (2003) con i suoigiornalisti “embedded”. Anche in questo caso viene proposto unoriginale schema per analizzare le principali strategie della pro-paganda che qui chiamo “Terzine della propaganda”. Vengonoofferti numerosi riferimenti storici, dal Vietnam all’Iraq passan-do per l’ex Yugoslavia di Milosevic sino ad arrivareall’Afganistan del dopo 11 settembre.

Sempre in questa seconda parte del lavoro si approfondiscequel fenomeno che definisco come “privatizzazione della pro-paganda”. Si esamina, cioè, il peso e l’importanza che le agen-zie di Public Relation hanno all’interno delle società aperte. Dauna parte analizza il ruolo che le agenzie di PR giocano durantei periodi di crisi (ad esempio il ruolo che la Ruder & Finn haavuto nella guerra civile nell’ex Yugoslavia o laHill&Knowlton durante la prima guerra del Golfo) ma anche ilruolo fondamentale che queste agenzie rivestono nel cercare dipromuovere l’immagine di un Paese, in modo particolare gliUSA dopo l’11 settembre (si pensi al ruolo che Beers ha avuto

nel cercare di promuovere l’immagine statunitense pressol’opinione pubblica araba).Infine nella terza ed ultima parte di questo lavoro si calano

sul campo le analisi teoriche proposte all’inizio. Si prende inconsiderazione la propaganda bellica statunitense dopo l’11 set-tembre cercando di mettere in luce le strategie e le tecniche co-municative della propaganda durante i due principali conflitti:Afganistan e Iraq. Le cosiddette “terzine della propaganda”, e-sposte nel Capitolo III, trovano un’applicazione pratica in que-ste due guerre.

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PARTE I. TEORIA E TECNICA DELLA

PROPAGANDA TRA PACE E GUERRA

CAPITOLO I. LA PROPAGANDA TRA PASSA-TO E PRESENTE 

1.1 Le connotazioni negative della parola propaganda

La propaganda costituisce un ampio e affascinante oggettodi studio. Non poche sono le ricerche che hanno indagatol’argomento: dai più classici studi di Ellul1 a quelli più critici di

Chomsky e Herman

2

e Rampton e Stauber

3

; da quelli più acca-demici di Qualter4 e Doob5 alle più recenti ricerche di Pratkanise Aronson6. Il comune denominatore è rinvenibile nella difficol-tà riscontrata in tutte le ricerche nel definirne il concetto e por-tare avanti una trattazione obiettiva, non influenzata da pregiu-dizi. Le difficoltà sono in primo luogo imputabili alla connota-zione negativa che il concetto di propaganda ha assunto con ilpassare del tempo. Infatti, nonostante la sua iniziale neutralità,per lo meno tra i cattolici che ne hanno coniato il termine, è an-

 1 J. Ellul, Storia della propaganda, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1983; J.

Ellu., Propaganda: The Formation of Men’s Attidudes, Alfred A. Knopf Inc, NewYork, 1965.

2 E. S. Herman, N. Chomsky,  Manufacturing Consent: The Political Economy of 

the Mass Media, Pantheon, New York, 1988.3 S. Rampton, J. Stauber, Toxic Sludge Is Good for You: Lies, Damn Lies and the

Pubblic Relations Industry, Common Courage Press, Monroe, Maine, 1995.4 H.T. Qualter, Opinion Control in the Democracies, The Mac Millan Press LTD,

London, 19855 L. W. Doob, Public Opinion & Propaganda, Henry Holt, New York, 1948.6 Pratkanis A.R., Aronson E.,  L’età della propaganda. Usi e abusi quotidiani della

 persuasione, il Mulino, Bologna, 2003.

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Parte I14

data assumendo i caratteri dispregiativi di un’opera di manipo-lazione, tanto che, come Walton sottolinea,

la parola propaganda è così emotivamente carica di connotazioni ne-gative, che la stessa parola è frequentemente usata come un’armaverbale di attacco contro i punti di vista e le argomentazioni altrui e lasi usa quando si vuole condannare un discorso come non razionale.Queste forti connotazioni negative, attaccate alla parola propaganda,implicano che un discorso è immorale e illogico7.

I cattolici attribuivano alla parola propaganda una neutralitào addirittura una connotazione positiva considerandola in ma-niera del tutto simile all’educazione o alla predicazione, mentrepresso i protestanti, come si vedrà meglio più avanti, assumeràuna valenza decisamente negativa. Qui viene ad emergere unaspetto caratteristico del fenomeno della propaganda: ovvero ladiversa valutazione che dello stesso fenomeno viene data. Cosìla nostra propaganda verrà vista da noi come educazione o in-formazione e dal nemico come un qualcosa di negativo e vice-versa, noi tenderemo ad identificare l’attività del nemico o av-versario come mera propaganda e dunque priva di valore, men-tre questi la considererà educazione o informazione. Inoltre, co-sa che enfatizza la sua connotazione negativa, essa viene spessoassociata alle dittature, poiché è stato essenzialmente nei regimitotalitari che ha avuto modo di svilupparsi ed è proprio nelledittature che è stata usata come tecnica e strumento fondamen-tale per il mantenimento dello status quo.

Le dittature del Novecento hanno fatto ampio uso della pro-paganda per spingere le persone ad accettare e sostenere il re-gime ed aumentarne così la forza e la legittimità. Ogni atto, de-cisione o provvedimento del regime veniva dipinto dalla propa-

ganda come segno evidente della rettitudine e della bontà delpartito o dello Stato. Si noti però che propagandare le virtù delpartito, o spingere le persone ad accettare lo status quo, non si-gnifica necessariamente che tutti indistintamente e allo stesso

7 D. Walton, What is propaganda, and what exactly is wrong whit it?, in «PublicAffaire Quarterly», Volume 11, n. 4, Ottobre 1997, p. 384. Traduzione mia.

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Teoria e tecniche della propaganda 15

modo appoggino il regime, altrimenti non si capirebbero i mo-vimenti di ribellione e protesta, fisiologici di ogni dittatura; piùsemplicemente significa che ogni regime cerca di ottenere ilmaggior consenso possibile.

La forza di un regime consiste nella capacità di estendere ilproprio fascino. La propaganda serve anche a questo, ragion percui essa è così importante e vitale all’interno di ogni dittatura, lacui durata è garantita dal consenso che riesce ad ottenere e dallaforza di repressione che esercita: anche per ciò essa è vista intermini così negativi. Nelle dittature la propaganda è un’armafondamentale per la costituzione di un nuovo Stato, per la for-mazione dell’“uomo nuovo” ed è per questo che nei totalitari-smi essa permea l’intera attività pubblica, dalle scuoleall’informazione, dallo sport all’arte.

Sarebbe tuttavia errato considerare la propaganda come pre-rogativa delle sole dittature: tutte le democrazie, infatti, ne ne-cessitano e non solo, come verrebbe istintivamente da credere,durante le varie campagne elettorali, che si basano sulla capaci-

tà di persuasione che ogni partito o leader riesce ad attuare, maanche nel normale corso della vita pubblica. È evidente comeogni gruppo, o classe sociale, all’interno della società tenda afar uso, spesso inconsapevolmente, di alcune tecniche dellapropaganda, nel tentativo di far sentire la propria voce ed esten-dere così la propria influenza e autorità.

Le connotazioni negative attribuite alla propaganda, dovutein gran parte all’uso che le dittature del Novecento ne hannofatto, mettono in secondo piano il fatto che si tratta di tecnichecomunicative messe al servizio di una causa. Come tale le tec-niche della propaganda sono neutre, mentre possono essere ne-gative o positive le cause per le quali queste tecniche sono im-

piegate. In altri termini, ad essere condannabile sono i messaggiche veicola e non i metodi o mezzi che utilizza. Inoltre, comeappena evidenziato, la propaganda è un fenomeno trasversale,cioè non riconducibile solo alle dittature ma presente in tutte leforme di società. È un fenomeno che ha attraversato tutte le e-poche storiche. Infatti, nonostante la sua comparsa sia ufficial-mente riconducibile al 1622 (anno della Congregatio de Propa-

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Parte I16

ganda Fide) e il suo massiccio uso inizi con la prima guerramondiale, tutte le società, nel corso della storia, ne hanno fattouso. O meglio, la propaganda, così come la conosciamo oggi,non ha riscontri nel passato, ma nonostante questo è possibilerinvenirne alcuni tratti caratteristici in ogni contesto storico,benché nel passato non sia mai stata identificata come fenome-no specifico autonomo e degno di studio.

Per questo motivo si rende necessario un inquadramento sto-rico e una sintetica definizione del fenomeno propaganda, perpoi passare ad analizzare il ruolo che riveste nelle libere demo-crazie anche in termine di funzionalità per la loro evoluzione esostentamento8.

1.2 Evoluzione della propaganda: cenni storici

La propaganda è un fenomeno difficilmente definibile se-condo parametri rigidi. Infatti, qualsiasi definizione che pren-

desse in considerazione solo le caratteristiche della propagandacosì come è venuta a delinearsi nel corso del XX secolo, nontroverebbe riscontri nel passato e quindi porterebbe ad escludere,erroneamente, la sua presenza in epoche lontane. Inoltre, il fattoche la propaganda prima del secolo passato non sia stata mai, oquasi, identificata come oggetto di studio indipendente e di con-seguenza ad essa gli studiosi non abbiano dedicato particolareattenzione, complica ulteriormente il tentativo di fornirne un in-quadramento storico. Come Ellul mette in evidenza «un Grecoal tempo di Pericle o un letterato del tempo di Luigi IX non sisarebbero mai serviti di una denominazione specifica per indi-care lo stesso fenomeno che noi riusciamo ad isolare nel mondo

antico solo perché possiamo trovarvi somiglianze con quellache oggi diciamo “propaganda”»9.Nonostante la propaganda moderna come oggetto di studio

sia emersa solo nel XX secolo, la presenza del fenomeno pro-

 8 J. Ellul, Propaganda … cit., p. 232.9 J. Ellul , Storia… cit., p. 7.

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Teoria e tecniche della propaganda 17

paganda è rintracciabile in tutte le epoche storiche in cui l’uomoha cominciato ad organizzarsi in termini societari. Seguendo leindicazioni di Ellul si possono identificare, nello sviluppo dellapropaganda, tre grandi periodi storici, ovvero un primo periodoche va dalle origini sino al XV secolo; un secondo dal XV seco-lo sino agli inizi del XIX secolo; e l’ultimo dalla rivoluzionefrancese sino alla prima guerra mondiale.

In realtà l’analisi portata avanti da Ellul prende in considera-zione esclusivamente il “mondo occidentale”. Marcus10 analiz-zando il sistema di scrittura delle popolazioni mesoamericane,quali gli aztechi, i maya e gli zapotechi, ha potuto appurare co-me queste scritture contenessero simboli e immagini che inqualche misura narravano una situazione favorevole alla classeche in quel momento stava regnando. Cosa in parte ovvia mache mette in evidenza una forma primordiale di propaganda.Tutte le forme di società organizzate infatti, oggi come nel pas-sato, cercano di rappresentare, con i mezzi a loro disposizione,un contesto favorevole al gruppo sociale predominante.

Alcuni esempi aiutano a capire meglio il fenomeno ai suoiesordi nella civiltà: la falsificazione delle date storiche nei mo-numenti e nei testi Maya servivano per dare maggiore valore epeso al sovrano. Così, ad esempio, la sua data di nascita venivafatta coincidere con quella di un grande condottiero del passato,suggerendo dunque l’idea che egli ne era la reincarnazione op-pure venivano modificate le date dei cicli astronomici per mo-strare come il sovrano aveva gli astri dalla sua parte e dunqueera il condottiero giusto e cosi via. Come si vedrà meglio piùavanti, l’evocare l’appoggio divino o degli astri è una delle tec-niche della propaganda, usata ancora oggi.

Ritornando alla classificazione proposta da Ellul, si vede

come nel primo periodo, la propaganda rappresenti un fenome-no molto frammentato; non ha un’organizzazione e una tecnicaben precisa ed è principalmente legato alla presenza del propa-

 10 J. Marcus, Mesoamerican Writing Systems, Princeton, N.J., Princeton University

Press, 1992.

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Parte I18

gandista, come Pericle nell’antica Grecia o Augusto a Roma11.È soprattutto durante il periodo dei tiranni, presenti in quasi tut-te le città greche fra l’VIII e il VI secolo A.C., che nel mondoellenico la propaganda, così come noi la intendiamo oggi, sem-bra emergere. I tiranni, instaurando un nuovo tipo di regime,hanno dovuto far leva sul popolo “propagandando” le proprievirtù, con lo scopo di ottenere rispetto, adesione e fedeltà, inmaniera molto simile a quello che succede ora nelle società ri-voluzionarie, dove si sente la necessità di formare una nuovamentalità più consona ai principi della rivoluzione: per farlo siricorre alla propaganda.

Tra i tiranni spicca la figura di Pisistrato (600-527 A.C.)considerato una sorta di genio della propaganda, cosa che glivalse la cattiva reputazione di “ingannatore del popolo”. La suaabilità, unita alla sua naturale dote di eloquenza, è stata quelladi utilizzare vari mezzi magistralmente coordinati tra di loro inmodo tale da riuscire a conferire al messaggio le caratteristichedella coerenza e della ridondanza, utili per una più efficace

campagna propagandistica. Egli diresse la sua politica di propa-ganda non solo all’interno (propaganda interna) del suo regime,ma anche all’esterno, cercando di estendere così la sua influen-za oltre i confini della sua città (propaganda esterna). Inoltreutilizzò la disinformazione e la notizia falsa come elementid’azione psicologica12.

In Pisistrato rinveniamo dunque molti elementi che caratte-rizzano la moderna propaganda: la coordinazione dei diversimezzi per promuovere un unico messaggio, la messa in scenapropagandistica, il tentativo di utilizzare strumentalmente lecredenze popolari, la propaganda interna ed esterna, la divulga-zione di false notizie e l’identificazione di un nemico “pubbli-

co”. Tutti elementi che ritroviamo nelle più avanzate e moderne

11 Sulla persuasione in epoca greca e romana si rimanda a G.A. Kennedy, The Art of 

Persuasion in Greece, Princeton University Press, Princeton, 1963; G.A. Kennedy, The

 Art of Rhetoric in the Roman World , Princeton University Press, Princeton, 1972; M.Billing, Arguing and Thinking, Cambridge University Press, New York, 1987.

12 Quelli che oggi vengono chiamati PSYOP (Psychological Operation), ovvero o-perazioni psicologiche e che servono essenzialmente per influenzare il nemico.

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Teoria e tecniche della propaganda 19

campagne propagandistiche. Il paragone però impone prudenza.Non si possono sottovalutare le differenze storiche e sociali esoprattutto l’evoluzione tecnica: i mezzi di comunicazione dimassa costituiscono l’asse portante della moderna propaganda.Quello che però si vuole qui sottolineare è che, al di là delle no-tevoli differenze tra epoche tra di loro così diverse, esiste unsubstrato comune di tecniche e metodi utilizzati in questo setto-re.

Certo la propaganda ellenica manca di una componente cheoggi caratterizza le più sofisticate campagne propagandistiche:l’informazione. Questo elemento emergerà per la prima volta inepoca romana: Cesare, ad esempio, utilizzò l’informazione perfare opera di promozione della grandezza di Roma. Grazie agli

 Acta Diurna - manifesti contenenti diverse informazioni ri-guardanti la vita sociale, riassunti di leggi, operato del Senato,ed ogni altro tipo di informazione utile alla “causa romana” -che venivano affissi nei luoghi pubblici della città e divulgatigrazie all’esercito nei diversi angoli dell’Impero, rese possibile

l’esaltazione della grandezza e delle virtù di Roma, con i crismidell’obiettività. A questo iniziale cappello “soft”, sotto il qualesi nascondeva l’intento propagandistico, viene però a sostituirsila propaganda più evidente, fatta di lodi e adulazionedell’imperatore di turno, il che le fa perdere efficacia13, poiché,come oggi sappiamo, la propaganda appare più incisiva quantopiù riesce a mascherarsi sotto le sembianze di una informazionelibera e indipendente. Questo assunto di base, fatto proprio an-che da Napoleone, oggi costituisce l’asse portante di ogni cam-pagna propagandistica in particolar modo nelle società libere.

Dobbiamo comunque aspettare il Medioevo per rinvenire ul-teriori elementi di propaganda. Essa infatti scompare quasi del

tutto nel basso impero romano e ricomincia ad apparire in que-sto periodo, quando la Chiesa, nello scontro di potere conl’autorità secolare, fa leva sulla sua arma più raffinata: lo sfrut-tamento della fede. Una forma di propaganda che possiamo de-

 13 Si veda I. Lana, Velleio Patercolo o della propaganda, Giappichelli editore, To-

rino, 1952.

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Parte I20

finire psico-sociale, poiché si basa su elementi religiosi e inte-riori e non su aspetti razionali. Il papa, i vescovi e tutti gli uo-mini della Chiesa esercitano un forte e incontrastato potere sullapopolazione, che ripone in loro molta fiducia. Seguendo ancoraEllul,

I vescovi e anche i curati diventano in certa misura, agenti di propa-

ganda; non in quanto diffondono la fede cristiana (questo resta il lorocompito), ma in quanto l’utilizzano al servizio di una politica. Sonodetentori degli strumenti psicologici di pressione (la minacciadell’inferno, ad esempio), hanno una autorità immensa […] essi im-piegano questi mezzi psicologici in vista di un’azione deliberata ten-dente a dei fini temporali, perseguiti da un’istituzione.14 

La Chiesa medioevale utilizza un altro aspetto che caratte-rizzerà la propaganda moderna: l’uso del falso. Il papato fa am-pio uso della propaganda nelle crociate; o meglio, mentre alcu-ne crociate non sono state frutto di campagne propagandistichema sono nate spontaneamente dai fedeli come espressioni reli-giose, per altre invece si è riusciti a determinare l’adesione e ilmovimento delle folle grazie ad alcune tecniche tipiche dellapropaganda, ad esempio provocando un choc emozionale su unpubblico non preparato e sapendo convogliare questa emozionein un’azione. Ci troviamo dinanzi ad un punto cruciale e assaidelicato nelle operazioni di propaganda: la creazione ad hoc diun evento destabilizzante e la successiva strumentalizzazionedell’emozione improvvisa. Bisogna però distinguere tra unasemplice strumentalizzazione di un evento realmente inaspettatoe la creazione ex novo di un evento per poterlo poi sfruttare. Ilsecondo, invece, è di gran lunga più pericoloso e dannoso peruna società, poiché prevede la messa in scena di un evento, di-

pinto come imprevisto ed inaspettato, l’identificazione a prioridi un nemico e la conseguente campagna propagandistica15.

14 J. Ellul , Storia… cit., p. 32.15 Uno dei casi più celebri, che però non ha visto la sua completa realizzazione ma è

rimasto sul piano teorico, era la cosiddetta operazione “Northwoods” del 1962.L’operazione Northwoods prevedeva operazioni terroristiche sul suolo statunitense convittime statunitensi, il tutto organizzato da generali e agenti segreti statunitensi, con

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Teoria e tecniche della propaganda 21

In conclusione possiamo sottolineare come la propaganda siain questo primo periodo un fenomeno sporadico, localizzato edin qualche modo personalizzato. È un fenomeno poco costanteche per un periodo di tempo è pressoché scomparso per poi riaf-fiorare durante il Medioevo, nell’ambito dello scontro tra poterespirituale e potere temporale; per quanto non ancora strutturatasecondo parametri scientifici, la propaganda è socialmente loca-lizzata e basata, molto spesso, su elementi superstiziosi e/o reli-giosi.

Il secondo periodo che va dal XVI secolo sino allo scoppiodella Rivoluzione francese, nel 1789, è caratterizzato dallacomparsa e dall’uso sempre più importante della stampa16. In-fatti nonostante la propaganda mantenga molti elementi in co-mune con l’epoca precedente, è stato grazie all’avvento dei ca-ratteri mobili che idee e notizie si sono potuti diffondere conmaggiore celerità e in una fascia sempre più ampia di popola-zione.

Durante la Riforma protestante la crescente utilizzazione

della stampa costituì un’occasione fondamentale per la diffu-sione delle nuove idee che la caratterizzavano17. Con essa si as-

 l’obiettivo di indirizzare l’astio e l’odio verso i comunisti cubani. Nei documenti oramaideclassificati e divenuti di dominio pubblico si può leggere che il passo successivo agliattentati era quello di attribuirne la paternità ai cubani e presentare così Cuba come unoun vero e proprio pericolo per il mondo. Solo così il mondo avrebbe giustificatol’aggressione americana come atto di legittima difesa. L’obiettivo era appunto quello dicreare un’ondata di indignazione e paura facilmente strumentalizzabile dalla propagan-da. Il testo integrale declassificato è stato utilizzato per la prima volta in Australia da J.Ellistone, Spy War on Cuba, the Declassified history of US Anti-Castro Propaganda,Ocean Press, 1999 ed ora disponibili in molti siti internet.

16 Anche in questo caso emerge la visione occidente-centrica di Ellul. Infatti lacomparsa dei caratteri mobili in Europa si può far risalire al 1438 con l’invenzione dellastampa per mano di Gutemberg. Il celeste impero in realtà conosceva ed usava la stam-pa da diversi secoli. Infatti la dinastia di T’ang, che regnò in Cina dal 618 al 907, avevagià una sorta di gazzetta ufficiale.

17 Tanta è l’importanza storica della Riforma protestante, che molti storici segnanoil 1517 all’origine della storia moderna. In quell’anno Martin Lutero, frate tedescodell’ordine dei mendicanti degli eremiti agostiniani nonché professore di teologia bibli-ca, affisse sul portone della chiesa di Wittenberg 95 tesi da discutere, chiamate appuntole tesi di Lutero. Esse diedero voce alle tendenze riformatrici della Chiesa, contro la cor-ruzione e la mondanità della Chiesa e si espansero velocemente al di fuori degli austeriambiti universitari riscuotendo successo presso città e principi tedeschi. Il risultato fu la

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Parte I22

siste ad una sistematica campagna propagandistica da parte diLutero e dei suoi seguaci per la diffusione (o propagazione) deipropri principi e insegnamenti. In questo complesso ed articola-to lavoro l’uso della stampa, ed in particolar modo dei libri - perdir la verità rari e proprio per questo visti come contenitori dellaverità –, riveste un ruolo di primissimo piano. L’utilizzazionedella stampa come strumento di propaganda non è stato peròl’unico elemento caratterizzante questo periodo. L’abilità pro-pagandistica di Lutero è stata infatti quella di sfruttare diversimezzi per la diffusione dei propri insegnamenti. Inizialmentevennero diffusi pamphlets quali quelli di Van Hutten e dellostesso Lutero. Così facendo però, il target rimaneva molto limi-tato, circoscritto solo agli intellettuali o quelli che oggi chiame-remo opinion leaders. Come si vedrà meglio più avanti, questaforma di propaganda è quella definita treetops propaganda, ov-vero quella che colpisce i ceti più influenti della società. Questonon poteva bastare a Lutero, poiché la diffusione dei suoi inse-gnamenti doveva passare anche dalla persuasione dei semplici

fedeli. Egli voleva renderli partecipi della contesa, voleva in-formarli circa i motivi che l’avevano spinto ad entrare in rotta dicollisione con la chiesa. Per cui i pamphlets, intrisi di complica-te argomentazioni, non erano adatti a questo genere di target:bisognava persuaderli utilizzando un linguaggio più semplice econsono. Lutero, utilizzando un metodo già in voga nel XV se-colo quando libelli e volantini venivano diffusi non a scopopropagandistico ma informativo, si rivolse ai fedeli usando e-spressioni popolari, della vita quotidiana, del senso comune.L’abilità di Lutero è stata quella di utilizzare un mezzo propa-gandistico, come i volantini, in una chiave nuova e facendosipromotore di messaggi nuovi. Infatti, sino ad allora questi libelli

erano stati portatori di consigli pratici circa la vita quotidiana,nei campi, nel lavoro ma anche nello svago. Così si era pian pi-ano costituito un “pubblico”, non molto ampio per la verità, cheaveva preso l’abitudine di acquistare questi almanacchi che di-

 scissione del cristianesimo e dell’Europa in due universi contrapposti: cattolico e prote-stante.

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Teoria e tecniche della propaganda 23

spensavano pratici consigli. Lutero, per la prima volta, decide diutilizzare gli scritti popolari come mezzo e il suo pubblico comebersaglio della sua propaganda. Il successo è quasi immediato alpunto che l’imperatore, nel 1521, si vede costretto a censurarequesta nuova forma di propaganda, che nonostante tutto conti-nuerà a proliferare18 . Tale censura giunge vent’anni dopo lacensura contro i libri teologici segno evidente che le tesi di Lu-tero cominciano ad attecchire e far paura.

Dicevamo che Lutero non limita la sua campagna propa-gandistica all’uso della stampa, ma la estende ad altri campi econtesti. Infatti ad essa si deve aggiungere anche il tentativo diutilizzare l’istruzione come arma e mezzo di essa. Il rapporto i-struzione-propaganda caratterizzerà successivamente tutti i re-gimi, poiché la diffusione delle ideologie passerà in primis dallescuole. Alla stampa e all’istruzione devono essere aggiunte,come mezzi di propaganda, anche le canzoni composte su ariepopolari, ma contenenti messaggi propagandistici generalmentemolto semplici e ridondanti, facili da ricordare e ripetere. Anco-

ra una volta Lutero utilizza un mezzo già diffuso, che ha la suadiffusione e il suo fascino tra un pubblico popolare e lo sfruttaai propri fini. Oltre alle canzoni, infine, si deve aggiungere an-che l’uso di commedie che riprendevano tradizioni medioevali,ma riadattate alla propaganda della Riforma protestante.

Questo secondo periodo non è però solo contraddistinto dal-la sistematica campagna propagandistica di Lutero e della Ri-forma protestante, ma anche dalla necessità che avverte la Chie-sa cattolica di contrastarla. Le idee e le tesi luterane comincianoa far paura alla Chiesa romana che vede diminuire la sua influ-enza nel continente europeo. Nasce a tal proposito un organi-smo ecclesiastico espressamente orientato a diffondere la fede e

arginare l’attività della Riforma: “la Congregatio de Propagan-da Fide”. Gregorio XV eresse definitivamente in Congregazio-ne, con la bolla  Inscrutabili del 22 giugno 1622, la congrega-zione di tre cardinali che si riunivano già per ordine di papa

18 Tra i più celebri pamphlet si ricorda la congiura dei pazzi.

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Parte I24

Gregorio XIII, con l’obiettivo di delineare un piano per combat-tere l’avanzata della Riforma.

La Congregatio è della massima importanza per l’analisidella propaganda, poiché sarà proprio da essa che nascerà iltermine che designa il campo del fenomeno che analizziamo. Aldi là della sua struttura, quello che qui interessa sottolineare è lanascita di un organismo che prende il nome di propaganda e cheha il deliberato compito di presiedere e regolare tutto ciò che ri-guarda la diffusione di una ideologia o dottrina, nel caso speci-fico quella cristiana19. Sarebbe un errore però pensare alla Con-

gregatio come ad un organismo intento solo a difendersidall’avanzata protestante. Le sue funzioni divengono, con ilpassare del tempo, sempre più importanti, sino a comprendereun potere amministrativo, giudiziario e coercitivo. Essa presiedealla vita intellettuale della Chiesa, arrivando ad istituire un col-legio di formazione speciale per quei sacerdoti di conquista, ov-vero quei missionari mandati in terre dove il cattolicesimo nonera dominante. La loro è, appunto, un’azione propagandista,

poiché devono farsi portavoce e promotori dei principi della fe-de cattolica.La perdita di influenza nell’Europa continentale spinge la

Chiesa ad un repentino cambio di strategia al cui vertice vi è laCongregatio de Propaganda Fide composta da 29 cardinali,presieduta da un prefetto e ramificata in ogni Paese della cri-stianità. Tale istituzione però non è l’unica pensata e creata perarginare l’avanzata protestante. Nel 1627, ad esempio, vienecreata la “Compagnia del Santissimo Sacramento dell’Altare”,che inizialmente assolve a funzioni caritatevoli ma che ben pre-sto si trasforma in mezzo della diffusione della propaganda chepuò così addentrarsi in luoghi generalmente ad essa preclusi,

quali le galere, gli ospedali e tutti i luoghi in cui la carità puòtrovare spazio.Infine, un ulteriore elemento che si può sottolineare nel se-

condo periodo è il successo della propaganda di Luigi XIV, ba-

 19 I risultati e le attività che La Congregatio de Propaganda Fide ha conseguito so-

no di difficile analisi, vista l’impossibilità di accedere agli archivi tutt’ora esistenti.

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Teoria e tecniche della propaganda 25

sata essenzialmente su un modello propagandistico tipicodell’assolutismo: il prestigio. Infatti, sentendosi molto sicurodell’adesione popolare e al contempo diffidandone, egli concen-trerà tutta la sua campagna su contenuti di prestigio e di etichet-ta: dall’organizzazione di cerimonie alla protezione che offreagli artisti, dal lusso esibito all’organizzazione di eventi, tuttoserve a conferirgli un’aura di prestigio e di autorità. Non soloLuigi XIV ma anche Filippo IV di Spagna20 utilizzano l’avventodei primi mezzi di comunicazione come i giornali, non solo perdivulgare decreti e leggi, ma per auto-presentarsi di fronte ad unpubblico via via sempre più ampio. L’immagine del re, le sueimprese e le sue virtù cominciano ad acquistare maggior spazionella scena pubblica, grazie alla stampa. Nella Francia di LuigiXIV la “Gazette di France” che usciva due volte la settimana, e“Mercure Galant” che aveva invece una cadenza mensile, dedi-cavano ampio spazio a venerare le imprese di “Re Sole”21. Lacura e la propagandazione della propria immagine è oggi, piùche mai, di fondamentale importanza e passa anche attraverso i

settimanali rosa o gli inserti di approfondimento.L’aspetto più interessante, ai fini di una comparazione trapassato e presente nell’analisi del fenomeno, è l’uso che LuigiXIV ha fatto della propaganda esterna: una forma ben precisa eche oggi chiameremmo “propaganda sociologica”. L’obiettivo,infatti, era quello di diffonderne il modello e promuovere ilproprio pensiero, la lingua, la cultura, le arti al di fuori del con-testo nazionale, poiché la grandezza del re era legata alla gran-dezza della Francia e viceversa. Questa campagna propagandi-stica ebbe l’effetto di affermare la lingua francese come linguadiplomatica: artisti e architetti francesi giravano l’Europa peresportare il modello francese.

Ogni epoca ha prodotto le proprie vocazioni all’egemoniapolitica e culturale e ha cercato di affinare strumenti intellettualiper cercare di imporle. Luigi XIV volendo estendere la propria

20 Si veda in particolare J.H. Elliot, Power and Propaganda in the Spain fo Philip

 IV , in S. Wilentz (a cura di),  Rites of Power: Symbolism, Ritual, and Politics since the

 Middle Ages, University of Pennsylvania Press, Philadelphia, 1985, pp. 145-173.21 Si veda P. Burke, La fabbrica del Re Sole, Il saggiatore, Milano, 1993.

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Parte I26

influenza all’esterno si avvalse, come si è visto, del prestigioche la propria cultura, la lingua e le arti, godevano a livello in-ternazionale. Un po’ meno nobili sembrano essere invece gli al-tri strumenti che il re francese pare avesse adottato, quale ad e-sempio l’uso di agenti segreti che, mescolati al popolo, avevanoil compito di diffondere false voci e dicerie con il fine di in-fluenzare la nascente opinione pubblica e cercare di indebolirecosì la resistenza nei confronti dell’influenza francese.

Inoltre pare che Luigi XIV avesse assoldato giornalisti e di-rettori di giornali stranieri per diffondere il pensiero francese edaumentarne il prestigio e l’influenza. Anche questo aspetto èampiamente utilizzato oggi: nella propaganda estera, la gestionedi media da parte di governi costituisce una impareggiabile tec-nica. Si pensi ad “al-Hurra” (la Libera), una nuova emittente“libera” irachena, che ha sostituito la vecchia tv di Statodell’Iraq che, sotto il totale controllo del regime dispotico, tra-smetteva solo notizie favorevoli al regime. Oggi tale emittente ègestita dalla

 Broadcasting board of governors, agenzia federale sponsorizzata dalgoverno di Washington che già gestisce fa l’altro Radio Sawa (in lin-gua araba, inaugurata dopo l’11 settembre), Voice of America, Radio

Free Asia e la Martì (destinata agli ascoltatori di Cuba) […] La nuovatelevisione - la cui sede è in Virginia e che trasmette via satellite - haricevuto per il primo anno di attività un finanziamento di 62 milionidi dollari dal Congresso Usa [...]. Accanto ad al-Hurra,l’amministrazione americana ha previsto un ventaglio di strumenti diinformazione per il medio oriente: oltre a radio Sawa (radio Insieme,trasmette musica pop sia araba che americana e notiziari flash) c’èanche la rivista mensile Hi (Ciao, in inglese), nata a luglio [2003]22.

Ritornando alla propaganda estera di Luigi XIV, bisogna

sottolineare come a contrastarne la diffusione fu successiva-mente l’Olanda, che diede voce ai rifugiati protestanti francesinel suo territorio, permettendo loro di creare, nonostante fosse

22 E. Dusi, Iraq, i media all’americana: propaganda e Hollywood , in «la Repubbli-ca», 5 marzo 2004, disponibile all’indirizzo web:

http://www.repubblica.it/2004/b/sezioni/esteri/iraq15/imedia/imedia.html (18 di-cembre 2010).

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Teoria e tecniche della propaganda 27

contraria alla libertà di stampa, delle gazzette in francese desti-nate solo all’estero. Così l’Olanda poteva osteggiare l’influenzafrancese e, a sua volta, diffondere notizie utili alla sua causa e aquella del protestantesimo. Per ironia della storia vi è da notarecome fu proprio l’Olanda che, nel periodo tra le due guerremondiali, ed esattamente nel 1927, introdusse stazioni radio aonde corte con l’obiettivo di presentare il proprio punto di vistaal resto del mondo, nella lingua dei Paesi destinatari. Il successodi questo esperimento fu tale che nel 1939 si contarono benventicinque Paesi ad averne seguito l’esempio23.

La radiodiffusione ebbe un’estrema importanza ad esempionella propaganda antifascista in Italia: si pensi alla celeberrimaRadio Londra che, nonostante la dura repressione del regimeche puniva con la pena di morte chi veniva trovato ad ascoltarele sue frequenze, continuava a trasmettere e non poche erano lefamiglie che durante la resistenza passavano le serate ad ascol-tare, a basso volume, le informazioni da questa trasmesse. Que-sta è la testimonianza più evidente di quanto un regime abbia

paura della stampa libera, proprio perché i messaggi che essaveicola possono non essere allineati e uniformi ai precetti di re-gime, rompendo così il quadro coerente che la dittatura vuol da-re. La libertà di stampa è un valore supremo e inviolabile di tut-te le democrazie perché permette voci e visioni diverse e impe-disce alle forze al potere di costruire un puzzle uniforme, e a lo-ro funzionale, della realtà.

Ancora più importante è lo sviluppo che la propaganda e-sterna ebbe durante la guerra fredda. Da una parte l’Unione So-vietica cercava di estendere ed esportare la dottrina comunistamentre, in maniera molto più sottile e sofisticata, gli Stati Unitidiffondevano, con maggiore successo, le virtù del capitalismo e

del libero mercato. Ma è soprattutto con la diffusione delle tele-visioni satellitari, come si è visto poco sopra a propositodell’Iraq, che il campo della propaganda internazionale rag-giunge quasi ogni angolo del Paese. Il target principale, anche

23 Si veda G.S. Jowet, V. O’Donnell, Propaganda and Persuasion, Sage, NewburyPark, 1986.

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Parte I28

se ovviamente non l’unico, dell’Unione Sovietica erano i Paesiin via di sviluppo mentre gli Stati Uniti cercavano, spesso consuccesso, di esportare indistintamente e ovunque i propri mo-delli culturali, in primis la lingua e l’industriadell’intrattenimento o culturale24. Non sarebbe azzardato pro-porre un paragone tra l’operato di Luigi XIV e la più sottilepropaganda degli Stati Uniti, con la differenza che la prima eraprincipalmente legata alla diffusione del prestigio del Re e dellasua corte, mentre la seconda si fa portavoce di un modello disocietà indipendente dal leader al governo.

La diffusione e il tentativo di estendere il proprio modelloculturale ha dato luogo ad un insieme di critiche nei confrontidegli Stati Uniti, accusati di violare la sovranità nazionale e divoler limitare l’autonomia culturale degli altri Paesi, imponendola propria. Sull’onda di simili critiche è stata coniatal’espressione di “imperialismo culturale”25 con la quale si in-tende la “propaganda silenziosa”26 e occulta che i mezzi di in-formazione e l’industria culturale statunitensi cercano di espor-

tare verso il resto del mondo limando, di conseguenza, le diffe-renze culturali. Secondo Schiller in pericolo «è l’integrità cultu-rale di società deboli, i cui patrimoni nazionali, regionali, localie tribali sono minacciati di estinzione dall’espansione delle co-municazioni moderne»27.

Nonostante questa teoria sia stata oggetto di diverse critichee obiezioni che ne minano la base stessa28, la teoria nota comela tesi dell’imperialismo culturale, ha influenzato gran parte del-

 24 In realtà lo scenario è decisamente più complesso. L’influenza dell’Unione So-

vietica e del modello comunista era assai diffusa anche nei paesi sviluppati quali l’Italiae la Francia, così come l’influenza e il target della propaganda statunitense si estendevaa tutti i paesi anche a quelli in via di sviluppo. Lo scopo di tale semplificazione era quel-lo di mettere in risalto i target principali di riferimento dei due blocchi in campo propa-gandistico.

25 H. Schiller,  Mass Communication and the American Empire, Augustus Kelley,New York, 1969.

26 Si veda I. Ramonet, Propagande silenziose, Asterios Editore, Trieste, 2002.27 H. Schiller, op. cit., p. 109. Traduzione mia.28 Tra le principali critiche si veda in particolare il lavoro di J. Tomlinson, Cultural

 Imperialism: A Critical Introduction, Pinter, London, 1991.

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Teoria e tecniche della propaganda 29

le ricerche sulle comunicazioni internazionali dal 1969, anno incui compare per la prima volta, sino ai primi anni Ottanta29.

Ultimo grande periodo prima dello sviluppo e della nascitadello propaganda moderna è quello che intercorre tra l’iniziodella rivoluzione francese e la “Grande Guerra”. Si parla di unparticolare momento storico che ha costituito il retroterra fon-damentale per l’affermazione del fenomeno della propagandacosì come lo conosciamo noi oggi. Tale periodo, da un punto divista dello sviluppo della propaganda, è caratterizzatodall’emersione di due elementi fondamentali: da una parte visono elementi tecnici, oltre che socio-politici, e dall’altro vi so-no elementi che modificano l’essenza stessa della propaganda.Non si tratta solo di sottolineare le maggiori possibilità tecnicheche il progresso mette a disposizione dei propagandisti, ma ètutto lo scenario sociale e politico che viene ad evolversi.

Le circostanze generate dalla Rivoluzione Francese hannoimposto un radicale cambiamento che ha inciso nella sostanzastessa della propaganda. Infatti mentre prima essa veniva subita

da parte di un pubblico ignaro, ora si tratta di soddisfare un bi-sogno reale di colui al quale i messaggi sono indirizzati. In-somma mentre prima vi era un propagandista attivo che cercavadi influenzare il suo pubblico che passivamente subiva, ora ilpropagandista deve tenere conto delle esigenze della popolazio-ne, per cui la propaganda viene vista come una sorta di incontrotra le esigenze di chi promuove un messaggio, idea o dottrina, ei bisogni delle persone a cui sono rivolti. Tali bisogni sono e-mersi con la Rivoluzione Francese che, avendo messo in discus-sione tratti e caratteristiche della società tradizionale, sente lanecessità di promuovere nuovi principi e idee, primo fra tutti ilconcetto di sovranità del popolo. Il potere passa al “popolo” che

deve però prenderne coscienza e rendersi parte attiva nel pro-cesso rivoluzionario. La propaganda dunque serve ad informar-lo, stimolarlo, renderlo partecipe: ed è qui che risiede la sua ef- 

29 Lo stesso Schiller accogliendo alcune critiche rivolte alla sua fortunata tesi, ag-giunge nella nuova edizione del 1992 un altro capitolo,  A Quarter-Century Retrospecti-

ve, in J. Schiller, Mass Communication and the American Empire, Westview Press,Boulder, 1992.

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Parte I30

ficacia. Stessa cosa dicasi per la prima “Dichiarazione dei dirittidell’uomo e del cittadino” che, approvata il 26 agosto del 1789,deve essere promossa e portata a conoscenza di tutti.

In realtà al di là di questi nobili elementi della propaganda,vi sono altri aspetti, in qualche modo legati al fermento rivolu-zionario, che l’avvicinano notevolmente alla propaganda mo-derna. In primo luogo si tratta del cosiddetto fattore guerra. Pianpiano la guerra diviene un “fattore nazionale” per cui si cerca dimobilitare il maggiore numero di persone possibili, proprio perpassare dall’esercito di mestiere ad un esercito nazionale. Perfarlo necessita una martellante campagna propagandistica atta aconvincere la popolazione sulla inevitabilità e sulla giusta causadella guerra: aspetto che, come si accennava poco sopra, ritor-nerà come tratto caratteristico della propaganda moderna. Infattila grande guerra è stata il banco di prova che ne ha sancito lanascita, soprattutto nelle democrazie come quella statunitense.La prima operazione propagandistica di un governo modernoebbe luogo nel 1916 negli USA con l’amministrazione Wilson,

che nonostante approvasse l’ingresso in guerra, doveva scon-trarsi con l’avversione di buona parte dell’opinione pubblicacontraria ad un intervento in un conflitto lontano da casa. Venneistituita allora una particolare commissione governativa per lapropaganda, denominata “Committee on Public Information”(CPI), e diretta dal giornalista George Creel, «che nel giro di seimesi riuscì a trasformare una popolazione pacifista in un popolofanatico e guerrafondaio, deciso a distruggere tutto quanto ap-partenesse alla Germania, a trucidare i tedeschi, a entrare inguerra e a salvare il mondo. Fu un grande risultato, il primo diuna lunga serie»30.

Hitler rimase impressionato da questo, e riflettendo sui mo-

tivi che avevano portato alla disfatta dell’esercito tedesco, rin-venne nell’abile uso della propaganda che aveva fatto non soloil governo statunitense ma anche quello inglese, una delle causeprincipali della sconfitta tedesca. Come lui stesso dirà nel suo

30 N. Chomsky, Atti di aggressione e di controllo. Una voce “contro”, Marco Tro-pea Editore, Milano, 2000, p. 150.

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Teoria e tecniche della propaganda 31

“diario” gli esiti a cui può giungere un’efficiente e sapientecampagna propagandistica sono “immani”. «Quello che da noisi trascurava, lo riprendeva invece genialmente il nemico, coninaudita abilità e magnifico calcolo. Io ho molto imparato dallapropaganda nemica»31.

Anche oggi le principali campagne propagandistiche pren-dono avvio o, sarebbe più corretto dire, sono parte integrante diun conflitto. Due esempi su tutti: la “guerra umanitaria” dellaNato contro la RFJ nel 1999, dove, contemporaneamente albombardamento materiale sul territorio jugoslavo è avvenuto un“bombardamento mediatico” per convincere l’opinione pubbli-ca sulla necessità della guerra, basata su principi umanitari32.Secondo e più recente esempio è la guerra anglo-statunitensecontro l’Iraq di Saddam Hussein, meglio nota come “secondaguerra del Golfo”33. Anche in questo caso si è fatto un largo usodella propaganda sia per convincere e mobilitare a proprio so-stegno l’opinione pubblica, sia per arginare le forti proteste chein tutto il pianeta si stavano sollevando contro quella guerra34.

Ma la rivoluzione francese ha identificato un ulteriore ele-mento che oggi contraddistingue ogni campagna propagandisti-ca: l’individuazione del nemico. Infatti gli uomini della rivolu-zione avevano ben capito, prima di chiunque altro, chel’identificazione del nemico è il mezzo per eccellenza per riu-scire a mobilitare la popolazione, provocando un’emozione po-polare e convogliando successivamente l’adesione della follaverso un obiettivo ben più ampio della lotta al nemico. Ovvia-mente la designazione del nemico “deve” rispettare alcune rego-le; infatti non tutti i potenziali nemici possono avere i requisitinecessari del “buon nemico”: in primo luogo deve essere spieta-to ma non troppo forte; deve essere relativamente conosciuto e

vicino (anche se oggi il problema spaziale viene meno, vista la

31 A. Hitler, La mia vita, Bompiani, Milano, 1939, p. 139.32 Sull’uso dei mass media durante la guerra mi sia permesso di rimandare al mio

M. Ragnedda, Warshow. La guerra mediatica, Nephila Edizioni, Firenze, 2002.33 In realtà sarebbe più corretto parlare di “terza guerra del Golfo”, essendo succe-

duta alla guerra Iran-Iraq (1980-1988) e alla guerra del Golfo (1991).34 S. Rampton, J. Stauber, Weapon of Mass Deception, Penguin Putnam, 2003.

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Parte I32

velocità dei trasporti) e soprattutto deve essere già poco amatodal pubblico. L’identificazione del nemico era ed è di primariaimportanza per poter spiegare all’opinione pubblica, piùsull’onda emotiva che su basi razionali, i motivi che possonospingere il proprio Paese ad adottare misure di emergenza, qualiconflitti e leggi che limitano le libertà individuali o favorisconoalcune classi sociali.

1.3 Differenze e affinità della propaganda modernanelle democrazie e nei totalitarismi 

Dopo un breve excursus storico nel quale si è cercato, senzapretesa di esaustività, di tratteggiare l’evoluzione del fenomenodella propaganda, si tenterà ora di fornire una definizione delconcetto. In altri termini, dopo averla analizzata da un punto divista “diacronico” si cercherà di delineare le affinità e divergen-ze da un punto di vista “sincronico”.

La “propaganda moderna” infatti si evolve contemporanea-mente, ma con modalità differenti, in diverse forme di società,per cui si cercherà di mettere in evidenza come essa non sia unaprerogativa delle sole dittature ma sia un tratto caratteristicodelle stesse società democratiche. Come sostiene Ellul, essa nonsolo è presente nelle società libere, ma gioca addirittura un ruo-lo essenziale per il loro sostentamento e funzionamento. Lapropaganda è uno degli elementi che porta alla creazione di unoStato democratico ed è proprio grazie ad essa che le democraziesono riuscite a difendersi dall’emergere dei partiti antidemocra-tici. Le democrazie dipendono dalle opinioni pubbliche, ed èperciò necessario, non soltanto durante le campagne elettorali,

persuadere e convincere: in tutto questo la propaganda risultaindispensabile35.

Alex Carey si spinge oltre sostenendo che il Novecento «èstato caratterizzato da tre sviluppi di grande importanza politica:la crescita della democrazia, la crescita del potere economico e

35 J. Ellul, Propaganda cit…, p. 232

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Teoria e tecniche della propaganda 33

la crescita della propaganda per proteggere il potere economicodalla democrazia»36.

Ancora più importante appare il ruolo della propagandaquando si tratta di spingere la popolazione a sostenere il proprioPaese durante un conflitto contro un tiranno o nemico, pena lasopravvivenza della democrazia stessa. Nonostante, come si èvisto, la propaganda moderna nasca in situazioni di conflitto,sarebbe un grossolano errore credere che essa sia connessa e-sclusivamente con le operazioni belliche.

Si cercherà a questo punto, di definire il fenomeno a partireda una delle più celebri definizioni di propaganda, quella for-mulata da Jowett e O’Donnell con la quale si deve intendere «iltentativo deliberato e sistematico di plasmare percezioni, mani-polare cognizioni e dirigere il comportamento al fine di ottenereuna risposta che favorisca gli intenti del propagandista»37.

Nonostante l’ampiezza e il generale consenso che convergeintorno a questa definizione, vi è da sottolinearne una nota criti-ca: gli autori fanno accenno alla manipolazione cognitiva che

comporta un’azione di pressione psicologica, aspetto che impli-ca un certo grado di distorsione e dunque conferisce una conno-tazione negativa alla propaganda. Altri autori, come Taylor, so-stengono invece che la propaganda non è di per sé sinistra econdannabile, ma va considerata in qualche modo come unatecnica neutrale. Essa infatti «non è altro che l’organizzazionedei metodi volti a persuadere la gente a pensare e a comportarsiin un determinato modo e durante una guerra questo significaindurli a combattere o a sostenere il combattimento»38.

Entrambe queste definizioni non prendono in considerazioneun elemento tutt’altro che marginale: la tecnica utilizzata. Ellulsostiene che la propaganda sia più una tecnica che una scienza e

come tale è necessario puntare l’accento sulla connessione che

36 A. Carey, Taking the Risk out of Democracy: Corporate Propaganda versus

Freedom and Liberty, The University Of Illinois Press, Chicago, 1997, p. 19.37 G.S. Jowett, V. O’Donnell, Propaganda and Persuasion. Newbury Park, Sage.

1986, p. 16.38 P.M. Taylor,  Munitions of the mind. War propaganda from the ancient world to

the nuclear age, Patrick Stephens Limited, Glasgow, 1990, p. 11.

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Parte I34

essa ha con le scienze sociali, in primis la psicologia e la socio-logia, senza le quali non si avrebbe la propaganda moderna, masolo quelle primitive tecniche già adoperate da Pericle e Augu-sto.

Un ultimo aspetto che queste definizioni non sembranoprendere in considerazione è rappresentato dagli attori che par-tecipano all’azione propagandistica. Ecco allora che una più ap-propriata definizione potrebbe essere quella che vede la propa-ganda come un’azione atta a promuovere una particolare idea

o dottrina e tendente a far sorgere intorno ad essa il più vasto

consenso possibile, servendosi di tecniche provenienti dal cam-

 po sociologico e psicologico e facendo un uso organizzato e de-

liberato di varie forme di comunicazione, ben coordinate tra di

loro, con lo scopo di influenzare l’opinione pubblica a favore

del propagandista o del gruppo che la promuove. Infatti nonnecessariamente oggi, chi promuove, organizza e coordina unacampagna propagandistica deve anche condividerne la “causa”.Come vedremo meglio più avanti, vi sono professionisti della

comunicazione che offrono i propri servizi e tecniche comuni-cative a chiunque sia in grado di pagare e a prescindere dalmessaggio che vogliono veicolare.

Ci troviamo dinanzi ad un primo e caratteristico tratto distin-tivo della propaganda moderna, del tutto nuovo rispetto al pas-sato: la privatizzazione della propaganda, ovvero il suo utilizzocommerciale in termini di mercato. Più precisamente questo a-spetto caratterizza la propaganda moderna nelle società demo-cratiche.

Esiste infatti una fondamentale differenza tra la propagandamoderna dei regimi dittatoriali e quella presente nelle liberedemocrazie. Più avanti si esaminerà meglio il rapporto tra la

propaganda nelle società totalitarie e la propaganda nelle liberedemocrazie, così come è venuta a manifestarsi nel corso del XXsecolo. Per ora ci basti ricordare che le società totalitarie, comel’Unione Sovietica o la Germania nazista, hanno eretto un si-stema di controllo totale, in cui lo Stato organizza e coordinaogni forma di messaggio: dall’ambito sportivo a quello educati-vo, dalle cerimonie all’informazione, tutto è diretto dal vigile

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Teoria e tecniche della propaganda 35

controllo del partito o del dittatore e niente può stonare inquell’armonica visione che dello Stato si vuole dare. La coeren-za e l’omogeneità del messaggio, si è visto, sono caratteristicheessenziali, ai fini di una buona riuscita della campagna propa-gandistica. Le nostre società non possono evidentemente fun-zionare allo stesso modo, ma devono tener conto della libertà distampa e di espressione, pilastri su cui si fonda ogni democrazia.Tuttavia, secondo Chomsky, anche da noi, nonostante questeformali garanzie, esiste un sistema di propaganda similenell’efficacia a quello dittatoriale, pur se differente nella forma.

Il nostro sistema funziona in maniera molto diversa e molto più effi-cacemente. È un sistema di propaganda privatizzato, che comprende imedia, i giornali di opinione e più in generale un’ampia partedell’intelligentzia e delle persone istruite. I più articolati elementi diquesto gruppo, i quali hanno accesso ai media, inclusi i giornali intel-lettuali, e che sostanzialmente controllano l’apparato educativo, do-vrebbero essere più propriamente chiamati come una classe di“commissari”39. Questa è la loro essenziale funzione: progettare, pro-pagandare e creare un sistema di dottrine e credenze che scalzeranno

pensieri e idee indipendenti e preverranno la comprensione e l’analisidelle strutture istituzionali e la loro formazione. Questo è il loro ruolosociale. Non intendo dire che lo fanno consciamente. Infatti non lofanno40.

Chomsky ritiene che i “commissari” svolgano inconsape-volmente il ruolo di propagandisti. Qui si annida una delle prin-cipali differenze tra la propaganda nelle dittature e quella nellesocietà aperte. In queste ultime, infatti, la macchina propagandi-stica che tenta di veicolare messaggi uniformi per il manteni-mento dello status quo e cerca di dare legittimità alla classe alpotere, non ha necessità di un direttore unico dietro le quinteche dirama veline ufficiali alle quali tutti i giornalisti devono at-tenersi, ma si muove quasi per inerzia, in automatico. E soprat-

 39 Termine tradotto dall’inglese commissar che si riferisce ai commissari del popolo

presenti nell’Unione Sovietica.40 Intervista a N. Chomsky in D. Bersamian, Stenographers to Power. Media and 

Propaganda, Common Courage Press, Monroe (USA), 1992, pp. 68-69.

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Parte I36

tutto senza che gli stessi attori se ne rendano, necessariamente,conto.

La posizione chomskiana è molto forte ed è essenzialmenteriferita al contesto statunitense, ma è basata su una solida analisidella produzione “intellettuale” dei “commissari”. Infatti, sem-pre secondo Chomsky, basta analizzare il lavoro che essi svol-gono all’interno dei giornali dove “liberamente” scrivono, peraccorgersi di come essi abbiano una visione “decisamente di-storta del mondo” e favorevole all’élite al governo. A riprova ditutto ciò viene portato come esempio concreto la trattazione chealcuni di loro hanno fornito circa la crisi del Vietnam, del Nica-ragua e di El Salvador: trattazioni, secondo il nostro autore, de-cisamente filogovernative ed “evidentemente false”. L’aspettopiù sofisticato di questa forma di propaganda è quella di essereinvisibile, non percepita nemmeno dai suoi propagandisti, maperfettamente funzionale al all’èlite al governo.

Evidentemente il discorso è molto più articolato e complessoe ho cercato di trattarlo in un altro lavoro41. Qui, comunque, mi

premeva sottolineare come anche nelle società democratiche e-sista un sistema di propaganda efficace ed efficiente che, purdifferendo nella forma rispetto a quella presente nelle dittatu-re ,sortisce effetti simili.

41 Per un maggior approfodimento mi si permetta di rimandare al mio M. Ragnedda, Eclissi o tramonto del pensiero critico. Il ruolo dei mass media nella società postmo-

derna, Arance, Roma, 2006.

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Teoria e tecniche della propaganda 37

CAPITOLO II. PROPAGANDA: CARATTERI-STICHE, TECNICHE DI PRODUZIONE E

TECNICHE DI DIFFUSIONE

2.1 Caratteristiche della Propaganda

Così come è difficile fornire una completa definizione delfenomeno propaganda e della sua evoluzione storica, altrettantocomplesso risulta il tentativo di evidenziarne tutte le caratteri-stiche e le forme con le quali si presenta. Sono molti gli autoriche, analizzando il fenomeno, hanno proposto diversi tratti ca-ratteristici. Quello che qui si cercherà di fare sarà fornire unapropria “griglia” interpretativa, dando conto delle varie forme emodalità con le quali il fenomeno propaganda appare.

Ad una lettura superficiale infatti la propaganda potrebbeapparire un fenomeno complesso ma coeso e unitario. In realtà,

come si cercherà di mettere in evidenza in questa particolareclassificazione delle varie tipologie di propaganda, esistononumerose possibilità di definirla in relazione alla sua funzione,alle sue caratteristiche e agli obiettivi che intende perseguire.

Una prima puntualizzazione riguarda il fatto che tutte le di-verse modalità attraverso cui il fenomeno propaganda si presen-ta non sono antitetiche, ma anzi tendono a compenetrarsi l’unl’altra. Come via via si vedrà meglio, una singola campagnapropagandistica può racchiudere al suo interno diversi aspettidella propaganda che qui si espongono separatamente. Inoltre,dove non espressamente evidenziato, questa classificazione èfrutto del mio lavoro e pur non avendo una pretesa di esaustivitàvuole essere un contributo all’analisi del fenomeno e alla suaclassificazione. Vari autori, prendendo in considerazione ele-menti diversi, hanno proposto catalogazioni diverse: cosa chemostra ulteriormente la natura poliedrica del fenomeno.

Il primo tipo di suddivisione che può essere fatto deriva dal-la situazione e dal contesto storico sociale in cui la propaganda

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Parte I38

è inserita. Si ha allora  propaganda bellica o  propaganda in

tempo di pace.Come risulta facilmente intuibile la differenza tra queste due

forme di propaganda dipende da contingenze storicheall’interno delle quali essa si sviluppa. Si ha propaganda bellicaquando si vuole preparare una nazione e la sua opinione pubbli-ca all’ingresso in guerra e durante l’evoluzione del conflittostesso. Tale tipo di propaganda è indistintamente, anche se conmodalità decisamente diverse, utilizzabile sia dai regime totali-tari che dalle democrazie. Discorso un po’ diverso deve esserefatto per la propaganda in tempo di pace: più che una forma a séstante essa deve essere letta in antitesi alla prima. Ovvero èquella forma di propaganda, attiva sempre e comunque, che nonserve per spingere un popolo in guerra ma per mantenere alto ilconsenso intorno alla classe dirigente. Qua la differenza tra de-mocrazia e dittatura si fa molto più marcata. Innanzitutto perchénei regimi essa è visibile e si manifesta in ogni luogo e poi per-ché molto spesso è ad personam, costruita intorno alla figura

del dittatore.Al di là di questa prima evidente e quasi scontata suddivi-sione, troviamo ulteriori suddivisioni sulle quali non tutti neces-sariamente convergeranno. Tuttavia vi è un sostanziale e gene-rale accordo, da parte degli studiosi, nell’accettare questa tripar-tizione che qui di seguito è riportata. Sulla base della fonte dallaquale la propaganda prende avvio, si possono evidenziare tre ti-pi di propaganda: propaganda bianca; propaganda grigia; pro-

 paganda nera. Nel primo caso la propaganda è la deliberata organizzazione

della comunicazione basata sulla diffusione di notizie e infor-mazioni che si basano su dati fondati e su fonti correttamente

identificate. Bianca perché le informazioni divulgate provengo-no da fonti attendibili e accurate per cui quello che viene “rac-contato” corrisponde sostanzialmente “al vero”, anche se poi leinterpretazioni del dato o fatto vengono usate per favorire unadeterminata linea o posizione. In questo caso si tratta solo di en-fatizzare una notizia o un fatto invitando l’opinione pubblica adiscutere su di essi. Come per tutti gli altri casi di propaganda,

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Teoria e tecniche della propaganda 39

anche in quella “bianca” si tratterà di modificare e influenzare ilcomportamento del pubblico: nella fattispecie in oggetto lo sifarà partendo da un dato di fatto vero enfatizzandolo, qualora sivoglia dare maggior risalto e propagandare le virtù di qualcunoo qualcosa, o stigmatizzandolo, quando al contrario si voglia emettere in cattiva luce qualcuno o qualcosa. Secondo Jowett eO’Donnell alcuni classici esempi di questa forma di propagandasono identificabili nelle operazioni svolte da Radio Mosca o daVOA (Voice of America) durante i tempi di pace, ma anche intutte quelle manifestazioni pubbliche che possono ispirarel’orgoglio nazionale42. In Italia un esempio classico di manife-stazione pubblica, che costituisce un esempio di propagandabianca, è la Festa della Repubblica del 2 giugno. Si può parlaredi propaganda bianca perché si esaltano alcuni valori, quali pa-tria e unità, che servono per rinforzare l’orgoglio e l’unità na-zionale. Altro esempio potrebbe essere la commemorazione deimorti di Nassirya con cui, partendo da un dato di fatto triste-mente vero, quale la morte di alcuni militari in un attentato, si

promuovono valori e idee quali patria e eroismo. Non è infattiun caso che vengano chiamati “gli eroi di Nassirya” o più sem-plicemente “i nostri eroi”.

Secondo Ostick le operazioni di Public Diplomacy (ovverole operazioni di promozione dell’immagine di uno Statoall’estero o di propaganda morbida) possono essere consideratepropaganda solo se viste in questa ottica43. Nel capitolo sulla“privatizzazione della propaganda” si approfondirà meglio que-sto aspetto; qui basta ricordare che non sempre questo assiomapuò essere ritenuto valido ed in modo particolare dopo l’11 set-tembre.

Nel secondo caso,  propaganda grigia, si monterà una cam-

pagna di informazione partendo da notizie la cui attendibilitànon è stata del tutto accertata. Nella propaganda grigia le fonti

42 G.S. Jowett, O’Donnell V., op. cit ., p. 12.43 W. A. Ostick, Public relations, U.S. public diplomacy and foreign policy public

affaire, in «The International Commerce and Policy program, George Mason Univer-sity», disponibile all’indirizzo web:

http://icp.gmu.edu/course/syllabi/capstone/Fall2002/Ostick.pdf. (18 aprile 2004)

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Parte I40

dalle quali prende avvio la campagna propagandistica, spesso,non sono state accuratamente verificate o sono incerte. Nono-stante questo, si procede come se il fatto, sul quale si basa tuttala campagna, fosse vero. Si pensi alle presunte armi di distru-zione di massa che l’Iraq avrebbe dovuto possedere. Sebbenenon ne fosse stata ancora accertata la presenza, la propagandastatunitense ha dato per scontato che il fatto fosse vero e su diesso ha costruito l’intera campagna. Cosa diversa sarebbe sup-porre che gli USA sapessero fin dall’inizio che l’Iraq non avevaquelle armi (fatto che oggi pare dimostrato) e nonostante questoha dato luogo alla campagna propagandistica partendo da un da-to non solo non accuratamente verificato, ma falso: in questocaso si ha a che fare con la propaganda nera. Essa si basa sulladiffusione volontaria di false informazioni, accuratamente co-struite, con l’obiettivo di colpire emotivamente il pubblico edottenere così un’ondata di risentimento che si cercherà di con-vogliare in azioni pratiche. La creazione e la divulgazione difalse informazioni è un aspetto che si ritrova spesso nei totalita-

rismi dove il controllo dell’informazione è totale per cui la pos-sibilità di confutare l’informazione è assolutamente ridotta. Ciònonostante, specialmente nella propaganda di guerra, essa è uti-lizzata anche dalle democrazie. Sempre secondo Ostick la pro-paganda nera è usata in particolar modo nei periodi di guerra ediretta contro il nemico44. Infatti i regimi totalitari o le vecchiemonarchie, non dovendo conquistare l’opinione pubblica usanola strategia della disinformazione per colpire il nemico, comu-nicandogli false informazioni, come parte integrante della stra-tegia militare. Nel corso della storia questo tipo di propaganda èstato ampiamente utilizzato e le campagne di disinformazionesono state un ottimo espediente per mobilitare masse di uomini,

soprattutto nei periodi di conflitti.Cosa diversa accade, invece, nelle democrazie. Fermo re-stando che anche queste utilizzano false informazioni per com-battere il nemico, in alcuni casi la propaganda nera viene rivoltacontro il proprio pubblico, in modo tale da conquistarne il con-

 44 Ibidem.

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Teoria e tecniche della propaganda 41

senso che altrimenti non riuscirebbe ad avere. Riprendiamol’esempio della guerra in Iraq: non siamo in grado di dire, al dilà di ogni ragionevole dubbio, se il governo degli Stati Uniti sa-pesse o meno che l’Iraq non era in possesso di armi di distru-zione di massa. In Gran Bretagna però il governo ha pubblicato,sempre in quel periodo, un dossier dove si metteva in luce chel’Iraq era in possesso di armi capaci di colpire il suolo inglese inquarantacinque minuti. Questo dossier, come successivamente èstato dimostrato, è un falso, cosa che ci spinge a parlare di pro-paganda nera. In quel caso l’obiettivo del governo in questa at-tività di propaganda non era il nemico, cioè l’Iraq, ma il suostesso popolo, poiché si trattava di convincerlo ad accettarequella guerra.

In definitiva, dunque, l’elemento che contraddistingue que-sta prima ripartizione è la fonte dalla quale prende avvio lacampagna propagandistica. A prescindere dalle diverse tecnicheutilizzate e dalle modalità di trasmissione del messaggio, lapropaganda si differenzia proprio a partire dai fatti e dalle in-

formazioni da cui prende avvio. Una prima suddivisione dunque,si basa sul contenuto che si vuole comunicare e che vuole esserepropagandato. La bianca, la grigia e la nera, sono tre diversimodelli di propaganda da leggersi in relazione alla fonte delmessaggio e al modo in cui l’informazione viene “impacchetta-ta”. La possibilità di successo di questa propaganda dipenderàdalla credibilità della fonte. Più è credibile la fonte dalla qualeproviene l’informazione, maggiori possibilità di successo avràla propaganda.

Prendendo in considerazione gli effetti che si vogliono otte-nere con una campagna propagandistica possiamo invece indi-viduarne due tipi:  propaganda agitativa o propaganda integra-

tiva45

.Nel primo caso il propagandista tende a strutturare le infor-mazioni in modo tale da suscitare nella popolazione un senti-mento di odio e risentimento che può essere strumentalizzato ed

45 J, Ellul, Propaganda… cit., pp. 70-79; sempre su questa contrapposizione si vedaG.S Jowett, V. O’Donnell, op. cit ., p. 12.

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Parte I42

indirizzato verso un target predefinito. Non importa quale tipodi propaganda verrà utilizzata, quello che conta è riuscire a mo-bilitare o agitare la popolazione sulla base della strumentalizza-zione di una cosa, prescindendo dalla sua o meno attendibilità.

Al contrario, nel secondo tipo di propaganda le informazionipossono essere organizzate in modo tale da calmare la popola-zione o abbassare i toni dello scontro quando la situazione puòsfuggire di mano o quando si vuole placare un certo sentimento.Anche in questo caso l’obiettivo, che è appunto quello di calma-re la popolazione, può essere ottenuto partendo da notizie vere ofalse o parzialmente vere.

Una prima considerazione da fare, che varrà anche per le al-tre forme di propaganda, è che le diverse forme si intreccianotra loro. Così possiamo avere una propaganda nera agitativa, onera integrativa, una bianca agitativa e una bianca integrativa ecosì via. Per poter identificare il tipo di propaganda utilizzata inun determinato contesto, è necessario analizzarla sempre in re-lazione ad un fattore o variabile. In quest’ultimo caso quello che

contraddistingue questi due tipi di propaganda è l’obiettivo o ilfine che sta alla base dell’azione propagandistica: agitare o cal-mare i destinatari della campagna propagandistica.

Se prendiamo in considerazione il diverso target di riferi-mento delle operazioni propagandistiche, si può proporreun’ulteriore suddivisione: grassroots propaganda o treetops

 propaganda46.

Quando l’obiettivo dell’operazione propagandistica è quellodi “colpire” il maggiore numero di persone possibili, allora si haa che fare con il primo di questi tipi di propaganda, ovverograssroots propaganda, termine che letteralmente significa“uomo della strada”, colui che è lontano dai centri di potere. Un

tipo di propaganda, dunque, che ha come target di riferimentogli uomini della strada o la gente comune ed è caratterizzatadall’ampio raggio della sua portata e dal vasto numero di perso-ne che vuole colpire e cercare di influenzare.

46 A. Carey, op. cit..

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Teoria e tecniche della propaganda 43

Non sempre però le campagne propagandistiche sono rivoltead un numero ampio di persone. In alcuni casi infattil’operazione può essere più sottile e indiretta per cui non è ri-volta indistintamente a tutta la popolazione, ma indirizzata ver-so un target più preciso e accuratamente scelto. In questo caso siha la treetops propaganda (i rami più alti dell’albero) che hacome obiettivo quello di colpire gli strati più alti della società, icosiddetti opinion makers o opinion leader quali editori, giorna-listi, dirigenti politici, docenti e intellettuali in genere. Dunquenon una campagna propagandistica con lo scopo di persuaderedirettamente il maggior numero di persone possibile, ma rivoltaa soggetti ben individuati che fungano, spesso spontaneamente,da cassa di risonanza: una campagna propagandistica rivolta airami più alti dell’albero dai quali, però, far spontaneamente epazientemente gocciolare sino al suolo o prato (grass). Anche inquesto caso sono possibili varie interconnessioni tra le diverseforme di propaganda, ad esempio propaganda nera agitativa

grassroots, ovvero una propaganda che prende avvio da false

informazioni ed ha come obiettivo quello di agitare più personepossibili, oppure propaganda bianca integrativa treetops, ovve-ro una campagna propagandistica che prende avvio da fonti ve-re ed attendibili e si pone come obiettivo quello di calmare gliopinion leader che, a loro volta, cercheranno di placare (spessoinconsapevolmente e in virtù del loro potere di influenza) un piùvasto pubblico. Vi è inoltre da aggiungere che spesso diverseforme di propaganda possono essere usate simultaneamentequalora l’obiettivo sia identico. Per intenderci, la propagandanera grassroots può essere usata con la propaganda grigia tree-

tops per agitare o, al contrario, per calmare la popolazione,Rimanendo nell’ambito del target di riferimento, come ele-

mento caratterizzante il modello di propaganda, è possibile evi-denziare un’ulteriore distinzione tra  propaganda interna o pro-

 paganda esterna.Nel primo caso, come peraltro già precedentemente anticipa-

to, l’operazione propagandistica è essenzialmente circoscrittaall’interno dei confini nazionali. La campagna di persuasione èdunque diretta all’opinione pubblica di casa ed è caratterizzata

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Parte I44

dal fatto di essere più diretta ed immediata, e può sfruttare il“fattore nazionale” facendo affidamento e giocando sui senti-menti patriottici.

Nel secondo caso, al contrario, la campagna propagandisticatenta di influenzare i cittadini di uno Stato straniero. Il suotarget pertanto si sposta all’esterno del proprio Stato, cosa cheevidentemente complica e rende più laborioso l’obiettivo. Nonpuò essere immediata e diretta come nel caso della propagandainterna, ma deve fare i conti con una cultura e spesso anche unalingua diversa. È per questo che ci si affida a propagandisti in

loco, cioè persone che vivono o che sono completamente adden-trate nello Stato oggetto di propaganda. È una forma di propa-ganda atta a facilitare la penetrazione dell’influenza di una cul-tura o Stato oltre i confini nazionali. Chi prima di tutti fece usodi questa forma di propaganda fu l’impero romano. Come ricor-da Ellul, in epoca romana essa si prefiggeva come obiettivoquello di

Creare presso questi popoli [confinanti] la convinzione della superio-rità di Roma. Raggiunta questa convinzione, questi popoli finirannoper domandare l’integrazione nel sistema romano […] Il primo siste-ma che appare in questo senso è quello delle federazioni, che rappre-sentano un eccellente sostegno della propaganda, in quanto le città re-stano indipendenti e conservano un’autonomia interna. Attraversoun’abile politica, molte città vinte non vengono oppresse, ma integra-te in una delle federazioni47.

Con il passare del tempo questa particolare forma di propa-ganda si è evoluta raffinando notevolmente le sue tecniche. O-gni Paese con mire espansionistiche ha sempre cercato di esten-dere la propria influenza all’estero, con l’utilizzo dei mezzi dicomunicazione via via disponibili.

Anche in questo caso è necessario distinguere le fonti dallequali prende avvio la propaganda e dunque se si ha a che farecon propaganda nera, grigia o bianca. È inoltre necessario met-tere in evidenza il target di riferimento, ovvero se il suo bersa-

 47 J. Ellul, Storia… cit., p. 21.

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Teoria e tecniche della propaganda 45

glio sono gli opinion leader o gli “uomini di strada”, ed infinese ha come obiettivo quello di calmare o agitare la popolazione.Sulla base di queste indicazioni possiamo allora parlare di pro-paganda nera-agitativa-grassroots-interna, o bianca-agitativa-

grassroots-interna e cosi via, secondo lo schema appena propo-sto.

Sempre proseguendo nell’ambito di queste classificazionipossiamo sottolineare altre due forme di propaganda:  propa-

ganda verticale o propaganda orizzontale.Questa classificazione è solo apparentemente simile a quella

tra grasstroots e treetops propaganda, poiché non si tratta di dif-ferenziare la propaganda sulla base del target di riferimento, maa seconda che sia nata dall’alto o dal basso. Quella verticale è laparticolare forma di propaganda utilizzata da leaders, uomini dichiesa o personaggi politici. Dittatori come Hitler e Stalin, adesempio, hanno fatto ampio ricorso ad essa. In primo luogo per-ché è la più facile da elaborare e diffondere, anche se i suoi im-mediati effetti possono scemare nel corso del tempo e si rende

necessaria una costante opera di rinnovamento

48

e poi perchétocca le corde dell’ego dei dittatori o leader. È essenzialmenteutilizzata nell’ambito della propaganda agitativa ed è rivolta adun grande pubblico (grassroots propaganda).

La propaganda orizzontale invece è di più recente creazionee nasce all’interno di un gruppo, generalmente di piccole di-mensioni e non è quindi calata dall’alto. In linea di principiotutti gli appartenenti a questo gruppo sono uguali e manca la fi-gura di un leader carismatico riconosciuto, anche se all’internodi esso vi può essere un animatore della discussione o personadi spicco.

Infine si propone un’ulteriore classificazione della propa-

ganda: propaganda politica o propaganda sociologica49

.Questa ultima classificazione esposta è della massima im-portanza, poiché ci permette di prendere in considerazione unaparticolare variante della propaganda, poco conosciuta e studia-

 48 J. Ellul, Propaganda…cit., pp. 80 ssg.49 Ivi, pp. 62-70.

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Parte I46

ta: quella sociologica. La prima di queste due forme di propa-ganda è di più facile identificazione, poiché è quella che comu-nemente viene in mente quando si menziona la parola propa-ganda: cioè quell’insieme di tecniche e metodi utilizzati daleader politici, uomini di fede, partiti, gruppi di pressione ecc…,con l’obiettivo di influenzare e di far cambiare l’atteggiamentodel pubblico o destinatario del messaggio. I metodi utilizzatisono ben specifici e a seconda dell’obiettivo che si vuole ottene-re possono essere utilizzate differenti strategie. Generalmente ilfine è ben specifico e chiaro e anche grazie alla propaganda(ovvero uno dei mezzi) si cerca di raggiungerlo. Esso a sua vol-ta può essere suddiviso in strategico o tattico a seconda che i ri-sultati vogliono essere raggiunti con un lavoro strutturato dovele linee guida e le argomentazioni siano ben ordinate (strategi-co), oppure dove i risultati vengono perseguiti senza questo la-voro di rete e si ricerca l’immediatezza degli effetti (tattico).

La propaganda sociologica invece è molto più ampia e piùdifficilmente enucleabile.

Fondamentalmente è la penetrazione di una ideologia all’interno delsuo contesto sociale. […] La propaganda così come tradizionalmenteconosciuta implica il tentativo di diffondere una ideologia attraversol’uso dei mezzi di comunicazione di massa allo scopo di spingere ilpubblico ad accettare qualche struttura politica o economica o parte-cipare a qualche azione. […] Ma nella propaganda sociologica il mo-vimento avviene all’incontrario. Gli esistenti fattori economici, politi-ci e sociologici permettono ad una ideologia di penetrare negli indivi-dui o nelle masse50.

La propaganda sociologica si manifesta in maniera quasiimpercettibile per le persone senza mai avere le sembianze dellapropaganda, così come comunemente viene intesa. Nessun pro-

pagandista la usa deliberatamente ed essa sorge in maniera qua-si spontanea. Uno degli aspetti più importanti da sottolineare èche la propaganda sociologica cerca di rendere l’individuo parteattiva in questo processo tentando di farlo adattare il più possi-

 50 Ivi, p. 63.

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Teoria e tecniche della propaganda 47

bile al contesto sociale in cui opera. In questo modo egli stessodiventerà, inconsciamente, attore protagonista, partecipandospontaneamente alla diffusione dell’ideologia dominante. Essasi manifesta in molti modi: nei film, nel mondo pubblicitario,nell’educazione e nelle tecnologie. «La propaganda sociologicaproduce un graduale adattamento ad un certo ordine di cose, adun certo concetto di relazioni umane, che inconsciamente pla-sma gli individui e li rende conformi alla società»51.

Inoltre potrebbe essere identificata come una sorta di sub-propaganda, poiché molto spesso essa può costituire il terrenoideale sul quale si innesta una più diretta ed efficace campagnapropagandistica. In questo caso le possibilità di una buona riu-scita sono maggiori, poiché il terreno è molto fertile per acco-gliere le idee che il propagandista vorrà lanciare.

In definitiva si può ritenere che questo fenomeno è molto piùampio e più difficile da inquadrare, ma molto più diffuso diquanto si possa credere. Ellul ritiene che sia sempre esistitoall’interno di ogni contesto sociale ed è ricollegabile a tutte

quelle «manifestazioni attraverso le quali ogni società cerca diintegrare il maggior numero di persone possibili all’interno diessa, unificando il comportamento dei suoi membri ad un mo-dello, e di estendere il suo stile di vita all’estero»52. È essen-zialmente nelle libere democrazie che questa forma di propa-ganda si sviluppa ed estende.

In questa particolare, anche se non esaustiva classificazionedelle varie forme della propaganda, si possono aggiungere altredue forme di propaganda: la  propaganda commerciale e la

 propaganda elettorale.La pubblicità può essere intesa come una forma particolare

di propaganda, commerciale appunto, poiché non solo utilizza e

tende a reclamizzare un qualcosa ma anche per una ragione, secosì si può dire, sistemica. La propaganda commerciale infatti siè sviluppata e prospera in una particolare forma di società, quel-la capitalista e tende inevitabilmente ad esaltarne le virtù, pro-

 51 Ivi, p. 64.52 Ivi, p. 62.

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Parte I48

prio perché essa necessita di quel sistema. In qualche misuradunque il mondo pubblicitario si fa promotore di una forma disocietà la quale a sua volta l’ha partorita e la sostiene. Dunquesocietà consumista e mondo pubblicitario si trovano in un rap-porto simbiotico e sono interdipendenti tra di loro, poiché en-trambe si abbisognano vicendevolmente o perché le sue tecni-che sono usate nei vari settori della propaganda

Dunque la pubblicità si vede “costretta” a reclamizzare opropagandare un modello di società che la sostenta. I diversispot al di là del messaggio particolare che portano al loro inter-no, fanno leva su una realtà stereotipata, imposta come modello,e perlopiù diffondono idee e valori di una specifica società:quella consumista e neoliberista. Come rileva Zanacchi «oltread agire sul piano economico in relazione alla sua funzioneprimaria, la pubblicità opera insomma come autentica agenziadi influenza sociale; una influenza portatrice di una vera e pro-pria ideologia che ha come riferimenti caratterizzanti la compe-tizione, il successo, la sessualità, l’esaltazione esasperata

dell’avere e del consumare, la riduzione della realtà a questi soli“valori”»53.La più famosa e frequente forma di propaganda presente nel-

le società democratiche è quella elettorale. Durante le tornateelettorali, infatti, ogni candidato, per ottenere il maggior nume-ro di preferenze possibili e sperare così di vincere la competi-zione elettorale, cerca di promuovere o propagandare al megliole proprie virtù. La propaganda elettorale porta con sé alcunitratti caratteristici della propaganda tout court , ovvero la conno-tazione negativa che viene ad assumere presso il nemico,l’essere sinonimo di un discorso vuoto o vago, l’utilizzazionedelle varie figure retoriche utili alla causa e così via. Essa, come

tutte le altre forme sopra elencate, si avvale sempre più delletecniche comunicative messe a disposizione dalle grandi agen-zie private che offrono i propri servizi al miglior acquirente.Mentre un tempo ci si affidava al partito che gestiva direttamen-te al proprio interno la campagna elettorale e la conseguente

53 A. Zanacchi, Pubblicità: effetti collaterali, Editori Riuniti, Roma, 2004, p. 132

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Teoria e tecniche della propaganda 49

propaganda, oggi ci si affida a delle nuove figure professionali,gli esperti in marketing politico che curano gli interessi del sin-golo o del gruppo senza necessariamente condividerne la cau-sa54.

Non va dimenticata la propaganda religiosa. Probabilmenteè la forma storicamente più diffusa della propaganda e sullaquale ci si è già soffermati nel paragrafo precedente.

Infine una particolare distinzione in auge durante la rivolu-zione sovietica è quella tra  propaganda e agitazione

55.Tale classificazione si basa sul target di riferimento, non li-

mitandosi a questo ma prendendo in considerazione anche glieffetti che essa vuole ottenere. Nel primo caso si ha a che farecon un’operazione atta a inculcare molte idee ad una o più per-sone. Il target di riferimento è, dunque, ben specifico e limitatomentre il ventaglio delle informazioni che si vogliono far cono-scere è molto ampio. Questa particolare forma è molto similealla propaganda treetops, con la differenza che qui viene speci-ficato come il numero delle informazioni da veicolare debba es-

sere ampio.L’agitazione invece viene vista come un’operazione atta adinculcare poche idee ad una massa di persone. Essa, invece, puòessere paragonata alla grassroots propaganda, poiché si rivolgead una massa indistinta di persone, ma con l’obiettivo di veico-lare poche e ben precise idee56.

54 Il campo del marketing politico o elettorale è un terreno ben studiato ed analizza-to da vari autori anche in Italia. Tra le varie opere si sottolineano: P. Facchi,  La propa-

ganda politica in Italia, Il Mulino, Bologna, 1960; M.W. Bruno, Promocrazia. Tecniche

 pubblicitarie della comunicazione politica da Lenin a Berlusconi, Costa & Nolan, Ge-nova, 1996; P.L. Ballini, M. Rindolfi (a cura di),  Le campagne elettorali nella storia

d’Italia, Bruno Mondatori, Milano, 2002; si veda anche l’interessante articolo di I.Diamanti, La politica come marketing, in «MicroMega», n. 2, 1994.

55 Per una maggiore disamina della propaganda in epoca sovietica si rimanda a A.Roxburgh , «Pravda»: Inside the Soviet news machine, Braziller, New York, 1987.

56 Come si è visto la differenza tra propagandista ed agitatore sarà presente essen-zialmente agli albori della Rivoluzione d’Ottobre e per semplicità nella nostra trattazio-ne riteniamo propaganda l’insieme di queste tecniche.

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Parte I50

2.2 Tecniche di produzione della propaganda

Dalla classificazione proposta sono emerse le varie modalitàcon le quali la propaganda si manifesta e si presenta a noi.Spesso, superficialmente, si tende ad etichettare come propa-ganda tutte le varie forme che sinora abbiamo visto. Il fenome-no in esame è dunque molto più articolato di quanto una letturasuperficiale lascerebbe intravedere. Tipi diversi di propagandacaratterizzati da diversi elementi forniscono al fenomeno in og-getto un carattere molto più poliedrico di quanto inizialmente sipotesse sospettare.

Cosa diversa sono invece le modalità e le tecniche utilizzateper diffonderla. Si cercherà allora di individuare le principalitecniche che vengono usate dai propagandisti per ottenere unacampagna efficace.

Sono innumerevoli le tecniche utilizzate per creare messaggiche siano il più persuasivi possibile. Più che il contenuto in sédel messaggio qui interessa sottolineare le modalità e le tecni-

che di produzione della propaganda. Sinora si è visto il suo e-volversi storico e i suoi tentativi di classificazione, l’uno e glialtri contrassegnati dalla difficoltà di offrire una trattazione e-saustiva. Problema che ritorna anche in questo caso. Non si hala pretesa di esaurire tutto il variegato ambito delle tecniche diproduzione, ma solo quello di offrire una panoramica sulle prin-cipali tecniche che è stato possibile identificare e che più comu-nemente vengono utilizzate. Evidentemente, non sempre tutte letecniche, che andrò ad illustrare, vengono usate contemporane-amente e non da tutti allo stesso modo. La società totalitaria,che gestisce interamente i mezzi di diffusione e ha un controllototale sull’informazione, utilizza, per dare maggiore forza ed ef-

ficacia al messaggio propagandista, tutte queste tecniche in ma-niera coerente e armonica. Le libere società, invece, usano divolta in volta, e a seconda degli obiettivi prefissati, diverse tec-niche e mai tutte contemporaneamente proprio perché la loro to-tale utilizzazione, da parte di un unico gruppo di interesse, fa-rebbe vacillare la democrazia. Inoltre nelle libere democrazie

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Teoria e tecniche della propaganda 51

non vi è un unico gruppo di potere, ma diversi gruppi utilizzanodiverse tecniche per raggiungere i propri fini.

Censura. Probabilmente è uno dei più classici stratagemmidella propaganda, utilizzato per evitare di rendere incoerente ilmessaggio che il propagandista vuole offrire. Nascondere e te-nere celati alcuni fatti che potrebbero danneggiare o inficiarel’argomentazione ufficiale è di vitale importanza per rendere lacampagna propagandista efficace. Si è detto, infatti, che per es-sere efficace la propaganda deve essere coerente, presentare lostesso messaggio in forme diverse, con diverse modalità, madeve mantenere una sua armonia. Fatti che contraddicono e in-ficiano il messaggio devono, per una maggiore efficacia dellacampagna propagandistica, essere tenuti lontani dallo scenariopubblico. In sostanza ciò sta a significare che fatti o notizie nonin linea con la versione che il propagandista dà devono esserecensurati. Vien da sé che la soppressione è una tecnica moltopiù facile da utilizzare nei regimi dove il controllo

dell’informazione è totale, a differenza delle società libere chesi basano sulla libertà di stampa. Vi è da aggiungere, però, chein alcuni casi, come durante i conflitti, la propaganda cerchi disopprimere fatti e notizie non in armonia con la versione uffi-ciale.

 Enfatizzare la paura. Attraverso l’uso di questa tecnica sicerca di costruire il supporto favorevole al propagandista instil-lando paura nella popolazione. Di questo si parlerà ampiamentepiù avanti. Qui basti ricordare il fatto che la strumentalizzazionedella paura è molto spesso alla base dell’azione propagandistica,sia in tempo di pace sia in tempo di guerra ed è la conditio sine

qua non della propaganda agitativa. I propagandisti ricorrono adessa colpendo e stimolando le più intime paure della popolazio-ne per poi basare su di esse la campagna della propaganda. Ènecessario precisare che il ricorso alla paura è utile allorquandoviene prospettata, al di là della paura, una “soluzione”, una viad’uscita. Se non vi è modo di affrontare la minaccia paventata,si ottiene l’effetto opposto, cioè non solo non si mobilitano le

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persone in favore di una causa, ma al contrario li si spinge achiudersi in se stessi57.

Il ricorso alla paura raggiunge il massimo dell’efficacia quando: 1)spaventa a morte la gente, 2) offre una raccomandazione specifica u-tile a vincere la minaccia, 3) l’azione raccomandata è ritenuta utileper ridurre la minaccia e 4) colui che riceve il messaggio crede di es-

sere in grado di realizzare l’azione raccomandata. […] L’attenzionedel ricevente viene dapprima concentrata su una paura che provocadolore; in una simile condizione di terrore è difficile pensare a qual-cosa che non sia il modo di liberarsi della paura stessa. L’ulterioremossa del propagandista consiste nell’offrire un modo per sottrarsi al-la paura: una risposta semplice e fattibile che, guarda caso, è proprioquello che il propagandista voleva dal ricevente fin dall’inizio58.

Il ricorso alla paura è senza dubbio una delle tecniche più u-tilizzate dai propagandisti sia nelle dittature sia nelle società a-perte, durante i periodi di pace ma soprattutto durante la prepa-razione della nazione e dell’opinione pubblica ad un conflittoche li coinvolgerà direttamente. Buona parte delle guerre, come

si vedrà meglio più avanti, sono giustificate sulla base della pa-ura che suscita il nemico. Anche la propaganda elettorale si ba-sa, con diversi toni, sulla paura del nemico (argomentazioni ti-piche sono: immaginate cosa succederebbe se vincesse tizio;con la vittoria di Caio la democrazia è a rischio; e così via), cosìcome la propaganda commerciale può basarsi sulla paura (que-sto è in particolar modo valido per le multinazionali dei farmaciche creano paure nella popolazione, per vendere meglio i proprifarmaci).

Frasi allusive. Il ricorso alle frasi allusive è più una caratte-ristica della propaganda nelle democrazie che non nelle dittature.Infatti mentre le dittature non sentono la necessità di “giustifi-

carsi” dinnanzi al proprio popolo, le democrazie invece devonopur sempre rispondere del loro operato e delle loro affermazionidi fronte all’opinione pubblica e pertanto si preferisce fare ri-

 57 Cfr., G.C. Chu., Fear Arousal, Efficacy and Immanency, in “Journal of Personal-

ity, and Social Psychology”, n. 4., 1996, pp. 517-524.58 A.R. Pratkanis, E.Aronson, op. cit., p. 279.

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Teoria e tecniche della propaganda 53

corso al condizionale. Potrebbe essere…, pare che…, dovrebbe-ro esserci…, sono evidenti esempi dell’uso di frasi allusive daparte della propaganda nelle società democratiche, uso che ri-sulta essere sempre più massiccio. Il motivo è rinvenibile nelfatto che tramite questo stratagemma si possono presentare fattie azioni senza fornire prove certe e verificabili. Inoltre esso siaccompagna all’enfatizzazione di uno stereotipo o pregiudizio,ottenendo così maggiore possibilità di successo. Come Hermansottolinea «quanto più l’accusa si confà a pregiudizi esistenti,tanto più è facile muoverla senza produrre prove che la sosten-gano. Solo i potenti possono usare regolarmente questi trucchet-ti»59.

Il ricorso alle frasi allusive e all’uso del condizionale sonotecniche indistintamente utilizzate nelle democrazie durante iconflitti o durante il normale corso politico. Un massiccio edevidente uso del condizionale è stato fatto durante la guerracontro la RFY nel 1999, tanto da far parlare di “informazione alcondizionale”, come una nuova tecnica della propaganda bellica

della Nato. Come ha messo in evidenza Serge Halimi, durantequel conflitto la macchina propagandistica si è anche e soprat-tutto basata su questa tecnica

L’invasione del condizionale. Una radio francese: “Centinaia di ra-gazzi sarebbero utilizzati come banche del sangue viventi, migliaiad'altri sarebbero obbligati a scavare fosse e trincee, le donne sarebbe-

ro sistematicamente stuprate”. Una televisione statunitense: “Secondoun responsabile degli Stati uniti, decine di migliaia di persone sareb-

bero state giustiziate in Kosovo”. Una televisione francese: “Tra 100e 500mila sarebbero stati uccisi, ma tutto ciò rimane al condizionale”.“Tutto ciò” era di fonte Nato. Dopo aver annunciato una serie di falsenotizie vari dissidenti morti erano vivi, una casa distrutta era intatta,una colonna di carri serbi presa di mira era in realtà una fila di trattori

kosovari […] l’Organizzazione atlantica ha pensato che fosse suffi-ciente annunciare tutto al condizionale per non essere più accusata

di mentire. E per non dover smentire. I giornalisti occidentali hanno

59 E.S. Herman, Word Tricks & Propaganda, disponibile all’indirizzo web:http://zena.secureforum.com/Znet/zmag/zarticle.cfm?Url=articles/june97herman.ht

m (24 maggio 2003).

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Parte I54

allora annunciato le “notizie” condizionali della Nato, al condiziona-le60.

Sarebbe però un errore credere che tale tecnica sia utilizzatasono in occasione di conflitti. La propaganda politica, ad esem-pio, fa ampio ricorso a tale tecnica, sia nel tentativo di infangarel’avversario, sia nel tentativo di far passare una riforma che po-

trebbe risultare costosa in termini di immagine e più in generalein tutte quelle situazioni in cui si cerca di influenzare l’opinionepubblica.

Salire sul carro dei vincitori. Questa particolare tecnica sibasa sul presupposto che alla gente piaccia schierarsi dalla partedei vincitori. Presentare la propria azione o attività come unqualcosa di ampiamente condiviso aumenta la possibilità di a-desione da parte dell’opinione pubblica. I grandi raduni nei re-gimi dittatoriali servono a dimostrare al popolo l’unitarietà e lacoesione intorno alle decisioni del regime ed aumentarne la fe-deltà. Hitler ad esempio faceva radunare masse oceaniche, le

faceva muovere con movimenti sincronizzati per annientarel’individualità dei singoli membri e trasformare quest’ultimi inparti di un tutto: di un gregge appunto.

Nelle società democratiche, invece, si comunica l’adesionepopolare alle scelte del governo con i sondaggi di opinione ocercando di far sentire un forte sostegno intorno alle scelte.L’obiettivo vuole essere quello di persuadere gli “indecisi” adappoggiare una certa decisione poiché gli altri lo stanno già fa-cendo e di rassicurare chi invece già fa parte del gregge che lacosa migliore è quella di restarci. Ci si avvicina a quello che lasociologa tedesca Elisabeth Noelle Neumann chiamava la spira-le del silenzio. L’autrice tedesca analizza non tanto il rapportoesistente tra l’opinione pubblica e il governo ma tra l’opinionepubblica e l’individuo, ricalcando così una concezione presentein autori quali Locke e Tocqueville. Si viene in qualche misura

60 S. Halimi, La guerra delle emozioni, in “Le Monde diplomatique/il manifesto”, n.5, anno VI –maggio 1999, p. 4. Il corsivo è mio.

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Teoria e tecniche della propaganda 55

a credere, seguendo le indicazioni di Neumann, ciò che si pensache gli altri credano e questo enfatizza il ruolo che i media han-no nella formazione dell’opinione pubblica: essi infatti possonoamplificare una certa idea dandole maggiore enfasi e visibilità adiscapito di un’altra. Il gruppo che si reputa sostenitoredell’opinione maggioritaria tenderà ad esprimere con più forza elibertà le proprie opinioni e convinzioni creando cosìl’impressione di essere più numeroso e forte di quanto in realtànon sia. Si viene a creare quello che Newcomb negli anni cin-quanta aveva definito “ pluralistic ignorance” ovvero quella si-tuazione sociale all’interno della quale ogni soggetto crede diessere l’unico che la pensa in un particolare modo e per timoredi violare un tabù morale o per paura di risultare impopolare,preferisce tacere61. Così facendo si crea l’illusione che vi sia ungenerale consenso intorno ad una cosa mentre in realtà le opi-nioni discordanti sono tante ma non emergono per timore. Lepiù sofisticate e moderne forme di propaganda prendono in con-siderazione proprio questo aspetto e cercano di creare l’idea che

esista un clima d’opinione quasi unanime intorno ad un fatto,invitando dunque anche gli altri a prendervi parte, innescandocosì un processo a spirale. Secondo la Neumann i media non de-formano o riproducono fedelmente come uno specchiol’opinione pubblica, ma più semplicemente la creano.L’opinione pubblica è in sostanza «l’opinione dominante checostringe alla conformità di atteggiamento e comportamentonella misura in cui minaccia di isolamento l’individuo che dis-sente o di perdita del sostegno popolare l’uomo politico»62.

Ovviamente tale tecnica viene utilizzata sia in tempo di paceche di guerra, anche se è in quest’ultimo caso che gli esiti sonopiù immediati e tangibili.

Grande menzogna. I veri maestri di questa tecnica propa-gandistica furono Hitler e Goebbels. Secondo Hitler quanto più

61 Si veda T. Newcomb, Social Psycology, Dryden, New York, 1950.62 E.N. Neumann, The Spiral of Silence. A Theory of Public Opinion, in «Journal of 

Communication», Spring, 1974, p. 44.

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Parte I56

una notizia falsa risultava essere falsa tanto maggiore era lapossibilità che venisse accettata acriticamente.

Secondo le teorie propagandistiche naziste, uno dei modi efficaci perpersuadere le masse consiste nello sviluppare e ripetere le falsità: adesempio che il «il popolo tedesco è una razza superiore e chel’Europa è minacciata dalla cospirazione ebraica». Bugie così grossesono difficili da smentire, perché, ad esempio, il fatto che non vi sia-no prove dell’esistenza di una cospirazione ebraica può essere tra-sformato in una prova ulteriore dell’abilità degli ebrei63.

La particolarità delle grandi menzogne è appunto quella diessere difficilmente confutabile, proprio perché le prove perscagionare sono difficili da trovare. In realtà sono complesse datrovare anche le prove per accusare, ma quello che conta èl’alone del sospetto che rimane addosso. Tale tecnica è oggimolto utilizzata non soltanto nella preparazione di una nazionead una guerra ma anche nei processi64.

 Ripetizione. La ridondanza del messaggio e la sua continuareiterazione conferiscono al messaggio una maggiore credibilità.L’obiettivo è quello di ripetere alcune parole chiave che si desi-dera vengano accettate come verità. Goebbels sottolineava co-me una menzogna ripetuta centinaia e centinaia di volte diven-tava pian piano una verità. Infatti la semplice e continua ripeti-zione, magari in forme e contesti differenti e con diversi mezzi,tende ad essere assimilata dall’opinione pubblica e diviene ilcentro del dibattito. In più, proprio durante la formazionedell’opinione riguardo ad uno specifico tema, alcuni concetti ri-petuti più e più volte influiscono inevitabilmentenell’elaborazione di un’opinione che non è ancora formata.

63 A.R. Pratkanis, E. Aronson, op. cit., p. 152.64 Per un ulteriore approfondimento sull’impatto che prove prive di conferma pos-

sono avere sull’esito di un processo si rimanda a S.M. Kassin, C.L. Saunders,  Dirty

Tricks of Cross-examination: The Influence of Conjectural Evidence on the Jury, in«Law and Human Behavior», n. 14, 1990, pp. 373-384.

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Teoria e tecniche della propaganda 57

 Eufemismo. La guerra è odio e distruzione, morte e miseria.Per questo non può essere presentata per quello che è, ma devepresentarsi sotto una veste diversa. Il ricorso all’eufemismo èd’obbligo per dipingere il conflitto con colori più sgargianti delcupo e tetro coloro della guerra.

Da quando la guerra è diventata particolarmente sgradevole, i discorsi

militari sono pieni di eufemismi. Nel 1940 gli Stati Uniti cambiaronoil nome del Dipartimento della guerra in Dipartimento della difesa.Durante l’amministrazione Reagan i MX-Missile sono stati rinomina-ti “The Peacekeeper”. Durante i periodi di guerra le vittime civilivengono chiamati con il termine “effetti collaterali” e la parola “li-quidazione viene utilizzata come sinonimo di omicidio65.

Sarebbe però un errore pensare che gli eufemismi siano unatecnica tipica della propaganda bellica, poiché il loro uso è assaidiffuso nella vita politica quotidiana. Si pensi al termine “rifor-ma” dietro al quale spesso si nascondono norme che cancellanodiritti o rendono più repressivo l’operato del governo.

Fare terra bruciata. L’obiettivo è quello di indurre un grup-po di persone che supportano una certa politica a cambiare laloro posizione poiché condivisa da gruppi odiati o temuti. Taletecnica consiste dunque nel portare il target a disapprovare unaidea suggerendo che questa sia diffusa in gruppi pericolosi, percui appoggiarla significa indirettamente condividere le stesseidee del gruppo odiato. Tale tecnica viene spesso usata per“bruciare” il terreno intorno al quale un’idea, avvertita come pe-ricolosa dallo status quo, sta germogliando. Il primo passo èquello di demonizzare il nemico, farlo apparire come un mostro,per poi indurre altre persone che si stanno avvicinando a quelle

idee ad abbandonarle proprio perché sostenute da un gruppo co-sì pericoloso e temuto.

65   A. Delwiche , Propaganda Analysis, March 12, 1995. Articolo disponibileall’indirizzo web:

http://www.propagandacritic.com/articles/ct.wg.euphemism.html (14 aprile 2004).Delwiche dirige, alla School of Communications, Washington University, il sito internetPropaganda Critic.

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Parte I58

Un esempio storico potrebbe essere quello italiano degli annisettanta, denominato “Strategia della tensione”, allorquando,secondo una visione critica, una parte deviata dei servizi segreticollusa con movimenti di estrema destra, commetteva degli at-tentati per poi far ricadere le colpe sul movimento di protesta diquegli anni66. L’obiettivo era quello di demonizzare un gruppoportatore di idee avvertite come pericolose dalla classe dirigente,per poi indurre altre persone a rigettarle, proprio poiché condi-vise da un gruppo così feroce e pericoloso. Fare terra bruciatasignifica, dunque, indurre l’opinione pubblica a rigettareun’idea o un insieme di valori poiché portate avanti da un grup-po odiato e pericoloso.

Tendere a semplificare. Dinnanzi a problemi complessi e didifficile enucleazione, il propagandista offre una semplificazio-ne della realtà sociale, utilizzando generalizzazione a lui favo-revoli. Tortuosi problemi di natura economica, politica, militareecc…, vengono spesso liquidati con semplici risposte che giu-

stificano la situazione e non impegnano cognitivamente il popo-lo. Si pensi ad una crisi economica che potrebbe mettere in lucel’incapacità della classe dirigente di governare: in questo caso latecnica della ipersemplificazione consiste nell’offrire comechiave di lettura del complesso quadro economico e sociale unasemplice e favorevole generalizzazione che non impegni il pub-blico a pensare e che offra una valida, anche se semplice, rispo-sta al problema.

Proiezione o analogia. Questa è una tecnica di trasferimentodi qualità o doti da una persona, gruppo, nazione, eccetera, adun altro soggetto, in modo tale da presentarlo sotto un’altra ve-

ste. Le qualità o doti da trasferire devono essere viste in relazio-ne con l’obiettivo da perseguire. Ovvero se il propagandista in-tende lodare e osannare un leader o un popolo tenderà a proiet- 

66 Per un approfondimento sulla strategia della tensione e sulla collusione tra appa-rati dello Stato e movimenti politici, si veda S. Flamigni, Convergenze parallele, Kaosedizioni, Milano, 1998. sempre dello stesso autore si veda S. Flamigni, Trame Atlanti-

che. Storia della loggia massonica P2, Kaos edizioni, Milano, 1996.

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Teoria e tecniche della propaganda 59

tare su di esso tutte le qualità positive del leader o gruppo a cuifa riferimento in modo tale da esaltarne le virtù. Al contrarioquando l’obiettivo è quello di condannare qualcuno o qualcosasi proietteranno su di esso tutte le caratteristiche dispregiative diun gruppo atte a screditare il bersaglio.

Siamo in presenza di una tecnica ampiamente diffusa, di fa-cile applicazione e molto efficace poiché evoca una rispostaemozionale, che invita il pubblico ad associare un leader o unpopolo a qualcuno trasferendo su di esso i suoi pregi e difetti.Le teorie classiche della retorica designano le analogie comeforma di persuasione «in quanto mettono in evidenza certi pa-rallelismi e ne occultano altri e forniscono un contesto di riferi-mento alla luce del quale è possibile attribuire un senso a in-formazioni potenzialmente ambigue»67.

I propagandisti fanno sempre riferimento ad analogie conpassate situazioni storiche, evocando tragiche e dolorose paginenel caso in cui vogliano stigmatizzare il nemico e al contrariofanno riferimento a vittoriose e gloriose imprese nel caso in cui

vogliano esaltarne le virtù. Si pensi alla prima guerra del Golfodel 1991. I sostenitori della guerra, nel tentativo di preparare lanazione alla guerra, prospettarono il paragone tra Saddam Hus-sein ed Hitler. La proiezione della figura di Hitler su SaddamHussein venne pensata per stigmatizzare ulteriormente la figuradel despota iracheno. La tecnica della proiezione venne utilizza-ta però anche dagli oppositori alla guerra, i quali proponevanol’analogia con il Vietnam, cercando di mettere in luce i rischi e ipericoli che si annidavano in questa nuova avventura bellica.

 Etichettare. L’uso del pregiudizio e dello stereotipo, nellaproduzione di un messaggio propagandistico, è estremamente

frequente. L’obiettivo vuole essere quello di far sorgere pregiu-dizi nel pubblico etichettando l’oggetto della campagna propa-gandistica come qualcosa di cui il target di riferimento ha paura,teme o trova sgradevole.

67 A.R. Pratkanis, E. Aronson, op. cit., p. 126.

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Parte I60

Slogan. Ogni regime tende a coniare tutto un insieme di slo-gan che poi saranno alla base della campagna propagandistica.In realtà l’utilizzazione dello slogan non è una prerogativa delledittature, ma è ampiamente adottato anche nelle democrazie enon solo, come è evidente, nelle campagne elettorali. Lo slogangioca un ruolo di particolare importanza anche all’interno diquella forma di propaganda che si è identificato con il nome dipropaganda sociologica.

Lo slogan deve essere espressivo per impressionare e convincere. Mala sua espressività è mostruosa perché diviene immediatamente stere-otipa, e si fissa in una rigidità che è proprio il contrariodell’espressività, che è eternamente cangiante […]. La finta espressi-vità dello slogan è così la punta massima della nuova lingua tecnicache sostituisce la lingua umanistica. Essa è il simbolo della vita lin-guistica del futuro, cioè di un mondo inespressivo, senza particolari-smi e diversità di culture, perfettamente omologato e acculturato68.

Lo slogan gioca, infine, un ruolo cruciale anche nella propa-ganda commerciale: spesso, infatti, il successo di un prodotto è

legato allo slogan utilizzato per lanciarlo.

Senso comune. Con tale tecnica si cerca di convincere iltarget di riferimento che le posizioni espresse e portate avantidal propagandista riflettono il senso comune, ovvero il comunesentire della popolazione. Sono posizioni genuine, semplici, delvicino di casa. L’obiettivo non è solo quello di persuadere ilpubblico della naturalezza delle posizioni ma anche di vincerela diffidenza delle persone e conquistarne la fiducia, entrando in“confidenza” con esse. Il linguaggio utilizzato è familiare, il piùsemplice possibile perché deve ammaliare ed entrare in sintoniacon il target. Così facendo il propagandista cerca di identificarsicon l’uomo comune rendendo le sue posizioni affabili.

Ovvietà. Analizzando i vari concetti, le parole e i program-mi presentati dai propagandisti ci si accorge come il contenuto

68 P.P. Pasolini, Scritti corsari, Garzanti, Milano, 2004, (Prima edizione 1975), p.12

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Teoria e tecniche della propaganda 61

sia sempre retto e auspicabile. Il loro contenuto, cioè, è intrisodi evidenti banalità e ovvietà che portano tuttavia al loro internoun’intensa carica emotiva, poiché associate a concetti o creden-ze di alto valore. La tecnica dell’ovvietà è caratterizzatadall’appellarsi a emozioni quali amore, libertà e voglia di pace,chiedendo approvazione senza interpellare la ragione.L’obiettivo è quello di portare convinzione senza ragionamento,indurre il target di riferimento ad appoggiare una linea politicasulla base di ovvietà associate ad alti ed intoccabili valori senzaperò indurre al ragionamento. Più importante e sentito sarà ilconcetto o credenza di riferimento a cui è associata l’ovvietà,maggiore sarà l’efficacia di questa tecnica. Infatti più inviolabi-le e “sacra” sarà la credenza, minore sarà la necessità di argo-mentare i concetti e le parole del propagandista. Per questo mol-to spesso si fa riferimento alla religione o a Dio.

Garanzia. Siamo in presenza di una tecnica molto diffusanelle società democratiche e consiste nell’utilizzare, da parte del

propagandista, una testimonianza o citazione per supportare o alcontrario per rigettare una precisa posizione politica o azione. Inrealtà viene utilizzata anche nei regimi totalitari, ma assume unamaggiore rilevanza all’interno delle democrazie poiché la ga-ranzia fornita da un esperto è vista come sinonimo di imparzia-lità. Quando una posizione viene espressa da un esperto super 

 partes, il pubblico trova molte meno difficoltà nell’accettarequella idea poiché proviene da una persona attendibile. Lo sfrut-tamento della reputazione o del ruolo di una figura pubblica ri-spettata conferisce al messaggio una maggiore credibilità. Pro-babilmente ci troviamo in presenza di una delle tecniche piùcollaudate ed efficaci di promozione di un prodotto o idea di cui

le agenzie di pubbliche relazioni fanno ampio uso69

.

Parole virtuose. Ogni campagna propagandistica cerca di in-serire nel suo vocabolario, tutto un insieme di parole virtuose

69 A tal proposito si veda l’interessante lavoro di Stauber J. Rampton S., Trust Us,

We’re Experts, Jeremy P. Tarcher/Putnam, (USA), 2001.

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Parte I62

ovvero parole appartenenti al sistema di valori del pubblico, chetendono a produrre, per estensione, un’immagine positiva peruna persona o per un soggetto a cui sono associate. Tra le piùclassiche delle parole virtuose che accompagnano la propagan-da troviamo parole come felicità, pace, sicurezza, libertà e cosìvia. Qualunque sia l’obiettivo che si vuole raggiungere o iltarget preso di mira, tutte le campagne propagandistiche fannoampio uso di queste parole. Probabilmente le parole pace e li-bertà sono quelle più comunemente usate, anche, e la cosa sem-brerà paradossale, durante la propaganda che accompagna iconflitti. In particolare è proprio durante i conflitti che la parolapace è spesso presente, già a partire da Giulio Cesare, il qualechiamava le sue brutali conquiste come opera di pacificazione70.«Poiché la realtà della guerra e delle sue conseguenze sono cosìviolente, i militari quasi istintivamente usano il doublespeak 

quando discutono di guerra»71.Anche in questo caso è necessario precisare però che l’uso di

parole virtuose non è riconducibile solo alla propaganda dei

conflitti, ma anche alla propaganda politica. Infatti tutte le ri-forme (anche riforma è in qualche modo una parola virtuosa) eprovvedimenti legislativi servono per garantire ai cittadini mag-giore sicurezza o libertà, maggiore felicità e benessere. Spessole parole virtuose sono ben presenti anche nei nomi propri deipartiti. Si prenda il caso italiano: nel 2010 erano presenti sullascena nazionale, almeno tre grossi partiti che avevano la parola“libertà” nel nome proprio (Futuro e Libertà; Popolo della Libe-rà; Sinistra Ecologia e Libertà).

L’individuazione del Capro espiatorio. Molto spesso lecampagne propagandistiche si basano sull’individuazione di uncapro espiatorio sul quale riversare le colpe e la cui neutralizza-

zione ed eliminazione sarebbe quindi il punto di partenza persuperare il momento di crisi o di stagnazione. Hitler utilizzòquesta tecnica già prima di salire al governo, per mobilitare il

70 Per un maggior approfondimento di quello che viene chiamato il doppio linguag-gio si rinvia all’opera di W. Lutz, Doublespeak , HarperPerennial, New York, 1990.

71 Ivi, p. 175.

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Teoria e tecniche della propaganda 63

popolo tedesco (propaganda agitativa) spiegando i problemi e-conomici che affliggevano la Germania come direttamente cau-sati dai comunisti e dagli ebrei. Ad esempio in un discorso tenu-to a Monaco il 12 aprile 1922, Hitler identificava nell’ebreo ilcapro espiatorio da eliminare. «L’ebreo è il fermento della de-composizione dei popoli. Ciò significa che l’ebreo distrugge edeve essere distrutto. L’ebreo ci fa del male»72.

Identificare un capro espiatorio, come nel caso del ricorsoalla paura, da solo non basta. Bisogna anche proporre una viad’uscita, una soluzione, come punto di partenza per un grandeavvenire. Gli “ebrei” sarebbero divenuti il capro espiatorio pereccellenza, cosa che degenerò in odio razziale culminato con latragedia della Shoa.

Fu soprattutto la grande depressione del 1929 che permise aHitler di identificare come capo espiatorio della crisi economicagli ebrei e i comunisti. Una volta eletto cancelliere (gennaio1933) identificò i comunisti come freno dello sviluppo dellaGermania e, in un discorso tenuto a Berlino alcuni mesi dopo la

sua nomina a cancelliere, sostenne che nella sola Berlino ci fos-sero da 600.000 a 700.000 comunisti. «Come si può immagina-re un futuro tedesco se non fermiamo questa espansione? Dob-biamo combattere fino alla fine quelle tendenze che hanno divo-rato l’anima della nazione tedesca»73.

Non si poteva avere un futuro degno per il popolo tedesco seprima non si spazzava via chi, come i comunisti, avevano divo-rato l’anima e minato alle basi la nazione tedesca. Durante ilsuo regime, il ricorso al complotto giudaico-comunista fu conti-nuamente usato per individuare la causa dei problemi che la suatirannia non riusciva a risolvere.

Il capro espiatorio però non è solo una persona o un gruppo,

ma può essere una situazione o particolare evento, sul quale farricadere, nella campagna propagandistica, le colpe di alcuni er-rori e inefficienze. Molti governi democratici, ad esempio, im-

 72 Citato in G.W. Prange, (a cura di) Hitler’s words, American Council on Pubblic

Affairs, Washington, 1944, p. 71.73 Ivi, 254.

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Parte I64

putano le colpe dei loro insuccessi economici e politici a causeintangibili (la crisi economica internazionale, il flop della new

economy) o eventi catastrofici, come l’11 settembre o un grossocataclisma.

2.3 Tecniche di trasmissione della propaganda

Si è vista l’estrema importanza rivestita dalle varie tecnichedi produzione della propaganda. La creazione del messaggiopropagandistico deve passare attraverso l’uso di alcune tecniche,di cui si è data una illustrazione. Ora invece ci si soffermerà sul-le tecniche di trasmissione dei messaggi propagandistici i qualirisultano essere altrettanto importanti.. Metodi comuni di tra-smissione della propaganda comprendono: notiziari, dispaccigovernativi, revisionismo storico, volantini, film propagandisti-ci, libri, poster, canzoni, comizi, arte.

 Notiziari.  Uno dei primi ed efficaci metodi di trasmissionedella propaganda è il notiziario. La propaganda, non lo si do-vrebbe mai dimenticare, è decisamente informativa. Anzi pos-siamo dire che il ruolo di informazione è cruciale per una coe-rente campagna elettorale. Non si ha propaganda senza un coor-dinamento e una gestione dell’apparato informativo. Le notizieche devono giungere all’opinione pubblica, devono essere coe-renti e ben coordinate con tutto l’apparato informativo, e devo-no rinforzarsi a vicenda. Vien da sé come nei regimi totalitari,questo metodo sia molto più utilizzato e gestito dal potere cen-trale che non nelle società libere e democratiche.

 Dispacci governativi. Ogni apparato governativo predisponeun organismo attraverso il quale informare i propri cittadini.Nelle dittature esso diventa essenzialmente un organo e princi-pale mezzo della propaganda, attraverso il quale dare tutto uninsieme di informazioni che non possono essere ufficialmentesmentite poiché la censura sopprime ogni informazione in anti-tesi con la versione ufficiale. Nelle società democratiche invece

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Teoria e tecniche della propaganda 65

i dispacci governativi devono essere visti come un tentativo difornire una chiave di lettura e di interpretazione all’operato delgoverno. Ovviamente la versione diramata è in qualche misurafavorevole ad esso, ma a differenza delle dittature,l’opposizione può far valere la sua posizione. Come si vedràmeglio successivamente, tra i giornalisti e le fonti ufficiali, vie-ne a crearsi un clima di amicizia e di spontanea collaborazione,che tende a limare eventuali obiezioni limitandosi, spesso manon sempre, a riportare acriticamente la versione ufficiale incli-ne al potere. Storicamente gli odierni dispacci governativi pos-sono essere paragonati agli Acta Diurna, a cui si è già accennatonel capitolo precedente, inventati probabilmente da Cesare eche avevano il compito di tenere informati i Romani, e non solo,dando tutto un insieme di informazioni circa le attività del Sena-to, riassunti di leggi e tutto quello che, secondo il senato, meri-tava di essere reso pubblico. Come è facile intuire, dietro la pre-sunta obiettività si celavano spesso intenti propagandistici edanche per questo gli  Acta Diurna persero, con il passare del

tempo la loro importanza. Revisioni storiche. Aspetto molto delicato e controverso. La

rivisitazione storica può divenire un ottimo mezzo di diffusionedi principi propagandistici, quando riesce a rappresentare un de-terminato evento storico o il ruolo di un popolo con una vestequasi aurea. La modalità è quella che, poco prima, si è definitacome “proiezione” e la si può attuare anche revisionando la sto-ria, alcuni avvenimenti, alcune date ed alcune condotte. Modifi-care alcuni eventi storici può servire al propagandista ad aizzarel’odio contro un popolo o etnia, reo di aver commesso qualcheerrore in passato e sulla base di questo giustificare il proprio

operato. Può anche essere utilizzato per esaltare il ruolo storicoche un popolo o nazione ha avuto nel corso del tempo o na-scondere ai propri cittadini le nefandezze del proprio passato74.

74 Particolarmente interessante a tal proposito è stata la crisi, ribattezzata dei “libridi storia”, tra la Cina e il Giappone nella primavera del 2005. La revisione storica dei li-bri adottati nelle scuole nipponiche che cancellava le angherie e le nefandezze del regi-me giapponese durante l’occupazione della Cina, in particolar modo della Manciuria, ha

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Parte I66

La strumentalizzazione della storia è stata un’arma propagandi-stica utilizzata fin dai tempi di Velleio Patercolo, il quale, sottol’impero di Tiberio scrive una storia a questi favorevole75. Eglicerca di

dimostrare che tutto il movimento della storia universale approda aTiberio che ne costituisce il coronamento. La storia serve sia come di-

fesa sia come occasione per dimostrare l’eccellenza del regno. I temiprincipali sono la denigrazione delle antiche grandi famiglie (che sioppongono al nuovo regime), la lode per gli «uomini nuovi» (secondola linea politica di Tiberio), il trionfo di Roma sui Parti, la legittimitàdell’Impero…76.

Velleio Patercolo apre la strada a questo nuovo modo dipropagandare le virtù di un regime, leader o popolo, strumenta-lizzando la storia ai propri fini. Ma revisione significa ancheadattare i testi classici alle esigenze del regime. Molto spesso larevisione si accompagna alla censura, all’uso di parole virtuose,alla ricerca del capro espiatorio sul quale far ricadere eventualicolpe e, infine, all’etichettatura.

 Libri. Essi possono essere libri di lettura che contengonomessaggi propagandistici, saggi ma anche libri scolastici. Inquest’ultimo caso la forma propagandistica è decisamente piùgrave, poiché avviene “forzatamente” usufruendodell’istituzione educativa. Caso assai più diffuso nei regimi do-ve il governo controlla tutto e cerca di coordinare in manieracoerente in tutti i campi il messaggio propagandistico, che nonnelle democrazie dove vige la libertà di insegnamento, anche seall’interno di direttive nazionali. La propaganda all’internodell’istituzione scuola nelle democrazie è pressoché inesistente,

comportato una feroce reazione dell’opinione pubblica cinese, che è scesa in piazza intutti gli angoli della Cina, dando il via a manifestazioni anti-giapponesi. Il Giappone conla sua politica revisionista ha ottenuto l’effetto contrario, poiché i giapponesi si sono in-terrogati sul perché di tanto astio nei loro confronti da parte dei vicini cinesi ed hannori-scoperto il loro, non proprio edificante, passato.

75 Per un approfondimento del ruolo propagandistico avuto da Velleio Patercolo sirimanda a I. Lana, op cit. 

76 J. Ellul, Storia… cit., p. 33.

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Teoria e tecniche della propaganda 67

a meno che non si prende in considerazione la propagandacommerciale, ovvero il peso della pubblicità nelle scuole priva-te.

Volantini. Classico esempio di propaganda elettorale. Guar-dando le città durante le campagne elettorali ci si accorgedell’innumerevole numero di volantini distribuiti ai cittadini,nei quali si cerca di propagandare le virtù e le doti del singolocandidato o della coalizione. Sebbene i volantini siano tipicidella propaganda elettorale e sia caratteristico di questo parti-colare momento della vita politica di un Paese, lo si può riscon-trare in altre situazioni. Esistono i noti volantini della propagan-da commerciale, ovvero i volantini pubblicitari che reclamizza-no le qualità di un particolare prodotto; esistono i volantini di-stribuiti, in maniera semi-clandestina, da gruppi antagonisti e/oestremisti e in periodi di dittatura da gruppi di resistenza; esi-stono i volantini lanciati dietro il fronte nemico, nella più clas-sica delle Psycological Operations (PSYOPS)77; ma esistono

anche i volantini sportivi, distribuiti da gruppi di tifosi per in-neggiare alla propria squadra e per propagandare la propria ap-partenenza sportiva. Storicamente le prime forme di volantinicomparsi nell’Europa occidentale risalgono al 1400 circa quan-do cominciarono a circolare libelli e volantini contenenti consi-gli pratici e utili. Erano rivolti al popolo e perciò scritti con ca-rattere semplice e con illustrazioni. Non avevano niente di pro-pagandistico. Chi li utilizzò per diffondere idee e pensieri fuLutero che trasformò questi semplici ed innocui libelli o volan-tini in mezzi di propaganda.

Film propagandistici. Un capitolo molto attuale e spinoso e

che per ragioni di spazio non è possibile affrontare a pieno, è iltema dei film propagandistici. Qui basti ricordare come la guer-ra fredda, ad esempio, si sia combattuta anche sui grandi scher-

 77 Per un approfondimento della tematica si rimanda alla dettagliata lista offerta da

Philiph Taylor, http://ics.leeds.ac.uk/papers/vf01.cfm?folder=64&outfit=pmt (12 No-vembre 2010)

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Parte I68

mi e come la cinematografia sia stata ampiamente utilizzata datutte le grandi dittature. Non a caso Mussolini fece mettere su diuna parete nel cantiere degli studi di Cinecittà a Roma, in occa-sione della posa della prima pietra, il 26 gennaio 1936 il celebreslogan: “Il cinema è l’arma più potente”78. Tutt’ora negli StatiUniti, ma non solo, si cerca di utilizzare, in chiave propagandi-stica, il fascino del cinema come tecnica di trasmissione di al-cuni valori e ideali attinenti al loro modello di società.

Poster . Anche in questo caso ci si trova dinanzi ad una clas-sica tecnica di trasmissione della propaganda elettorale, ma conun particolare in più: i poster sono ampiamente utilizzati in tuttele società, ed in particolar modo in quelle dispotiche. Se è veroche durante le campagne elettorali le città delle società liberesono tappezzate di poster è anche vero che questo è sintomo didemocrazia e dunque cosa assolutamente positiva, quando lapluralità dei volti viene garantita. Nei totalitarismi invece lafaccia del dittatore è ovunque, sintomo evidente del monopolio

delle scena pubblica da parte di un unico soggetto e dunquedell’assenza di una alternativa democratica.

 La musica. Le canzoni popolari sono un eccellente modo ditrasmissione di messaggi propagandistici. Assolvono inoltre an-che al compito di rafforzare il sentimento di appartenenza na-zionale o identitaria o sono un ottimo mezzo per diffondere al-cuni slogan tipici. Tutti i regimi impongono le proprie canzoni einni, che devono essere appresi sin da tenera età. Inoltre la mu-sica tocca le corde dell’emotività, aumenta il senso di partecipa-zione e di appartenenza e infine permette di diffondere in ma-niera divertente alcuni messaggi propagandistici. Lutero ad e-

sempio utilizzò canzoni propagandistiche composte su arie po-polari, riuscendo così a sfruttare la familiarità di alcune canzonimodificandone il testo ed inserendovi messaggi propagandistici.La musica, come particolare forma espressiva dell’arte, riesce a

78 N. Marino, E.V. Marino, L’Ovra a Cinecittà. Polizia politica e spie in camicia

nera, Bollati Boringhieri, Torino, 2005.

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Teoria e tecniche della propaganda 69

stimolare le coscienze e far nascere, in chi le canta e le ascolta,un forte senso di appartenenza.

 I raduni o comizi. Hitler preferiva convocare i grandi comizie le adunate prima dell’ora di cena, quando lo stomaco bronto-lava e la gente aveva fame. Secondo lui questo stratagemmafunzionava poiché la gente affamata era più facilmente sugge-stionabile. I comizi sono stati per lunghi periodi, si pensi al do-poguerra in Italia, i luoghi ideali per la propaganda elettorale,oggi pian piano sostituiti dalla Tv e in misura crescente daInternet. I bagni di folla, però, mantengono il loro fascino e nes-suna dittatura o leader politico sembra volersene e poterseneprivare79.

 Arte. Il connubio arte-propaganda potrebbe suonare quasicontraddittorio, ossimorico verrebbe da dire, dato che l’artesembra implicare la ricerca della libertà di espressione, della ve-rità e della bellezza. Tutto il contrario di quello che la propa-

ganda pare invece rappresentare, ovvero costrizione, menzogna,organizzazione della comunicazione per promuovere una de-terminata forma di società o modello di vita. In realtà questo po-trebbe essere vero se ci si limitasse a vedere ed analizzare lapropaganda prendendo in esame solo la sua connotazione nega-tiva. L’arte deve essere vista come parte integrante di quelcomplesso groviglio di forme e metodi utilizzati dal propagan-dista per favorire la diffusione di alcuni valori o modelli socie-tari. La propaganda infatti, nel tentativo di mobilitare a propriofavore l’opinione pubblica, fa leva sull’emozione, ragion per cuiè necessario fare affidamento su chi, per mestiere ed inclinazio-ne personale, tende a scuotere le coscienze e suscitare forti e-

mozioni. Gli artisti, più di altri, con le loro opere e la loro e-spressività riescono a colpire e scuotere gli animi della popola-zione. Bisogna però distinguere tra i liberi professionisti assol-

 79 Eccezioni che confermano la regola sono quei dittatori quali Pol Pot in Cambogia

o leader che non amano farsi riprendere dalle telecamere e incontrare il pubblico prefe-rendo vivere all’ombra dei riflettori.

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Parte I70

dati a favore di una causa e gli artisti liberi che per ragioni per-sonali partecipano alla campagna propagandistica.

È necessario fare pertanto una distinzione tra quegli artistiche credendo negli ideali della rivoluzione o dei valori statuali,“offrono”, per così dire, volontariamente la loro creatività e-spressiva al servizio del governo, e chi invece, al contrario, de-ve lavorare e mettere la propria attività a disposizione del go-verno. Bisogna però precisare quanto spesso sia difficile trac-ciare una linea netta tra i volontari e i mercenari dell’arte al ser-vizio della propaganda. O meglio mentre questi ultimi sono og-gi più facilmente identificabili, si pensi alle agenzie di pubbli-che relazioni che utilizzano gli strumenti della pubblicità perpropagandare idee, messaggi e valori del miglior acquirente, illavoro di identificazione dei “volontari” risulta essere opera piùcomplessa e ardua. È difficile, ad esempio, capire il livello dicoinvolgimento emotivo degli artisti durante la prima e la se-conda guerra mondiale. Poeti, pittori, scultori eccetera, hanno,in tutti i fronti, partecipato attivamente alla campagna propa-

gandistica, cercando di esaltare la eroicità delle proprie truppe estigmatizzando l’avversario.È difficile, in un simile contesto, capire dove finisca la liber-

tà di espressione e inizi l’asservimento al proprio stato in un pe-riodo così delicato. Ancora più difficile è riuscire a capire ilcontributo di artisti e poeti alla propaganda di regime. Artistiquali Alessandro Bruschetti80 e Renato Bertelli81 durante il re-gime fascista in Italia e artisti del calibro di Heymann o Witte82 durante la Germania nazista, hanno dato un notevole contributoalla propaganda nei rispettivi regimi. In questi casi è assai diffi-

 80 Celebre pittore italiano autore di molte opere che esaltavano il fascismo tra i qua-

li è bene ricordare: Sintesi fascista del 1935.81 Scultore italiano che annovera tra le sue più importanti opere: Profilo continuo di

 Mussolini, un’opera in ceramica che riporta il profilo del dittatore su due fronti con lascritta Dux in verticale.

82 I pittori e scultori nazisti impegnati nell’edificare le magnificenza del popolo te-desco e del suo dittatore sono davvero tanti e i due su citati sono tra gli esempi più illu-stri. Per un maggior approfondimento del tema si rinvia T. Clark,  Art and Propaganda,George Weidenfeld and Nicolson Ltd, London, 1997.

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Teoria e tecniche della propaganda 71

cile capire dove finisca il contributo alla causa o l’asservimento,per comodità, alla dittatura.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 73

PARTE II. LA PROPAGANDA DI GUERRA

E LA FORMAZIONE DELL’OPINIONEPUBBLICA

CAPITOLO III. COME CONQUISTAREL’OPINIONE PUBBLICA PRIMA, DURANTE EDOPO I CONFLITTI

3.1 Cosa è l’opinione pubblica e il ruolo della propa-

ganda

Prima di immergerci nello studio delle tecniche di conquistadell’opinione pubblica prima, durante e dopo i conflitti, è ne-cessario soffermarci un attimo a riflettere sul concetto di opi-nione pubblica. Per ragioni di spazio si delineeranno solo alcunidei principali aspetti del fenomeno che meriterebbe, invece unatrattazione più esaustiva.

Pochi tra i classici hanno cercato di fornire una definizioneesatta del fenomeno. Il concetto “Public Opinion” compare perla prima volta intorno al XVIII secolo in Inghilterra, anche se sitratta, però, solo della comparsa del termine e non di un vero eproprio tentativo di tematizzazione e argomentazione83. Si co-mincia dunque a parlare di opinione pubblica già intorno al1700, ma è nel XIX secolo che il concetto viene analizzato in ri-ferimento al contesto politico e sociale, cosa che permetteun’analisi più seria e significativa. L’opinione pubblica cioècomincia ad essere vista in relazione alla sua forza di guida e in- 

83 Si veda P.F. Lazarsfeld, Metodologia e ricerca sociale, Il Mulino, Bologna, 1967,p. 894.

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Parte II74

fluenza dell’azione dei governi, alle sue caratteristiche essenzia-li ma soprattutto comincia ad essere analizzata in relazione congli istituti della sfera pubblica, quali la libertà di stampa,l’associazionismo e altre forme di coesione sociale.

Uno dei primi e interessanti lavori di analisi del fenomeno sideve a MacKinnon che intorno al 1830 cercò di studiare il fe-nomeno e capire in che modo esso concorresse e fosse funzio-nale alla democrazia84. Da allora varie riflessioni e ricerche, indiversi ambiti e discipline, hanno investigato il fenomeno, for-nendo sempre maggiori dettagli. L’ambito disciplinare che haprodotto il maggior numero di studi è stato senza dubbio quellodelle scienze politiche, cosa testimoniata dall’enorme bibliogra-fia prodotta tra gli anni ‘30 e ‘70 del secolo appena trascorso85.Tutte queste analisi tuttavia, pur affrontando ed investigando ilfenomeno con criteri scientifici, non riescono a risolvere tuttoun insieme di questioni di fondo di natura teorico-concettuale.In altri termini esse hanno sì il merito di affrontare e dare digni-tà al fenomeno ma lasciano, per lo meno in parte, in sospeso

questioni sostanziali e teoriche.Una delle principali difficoltà che si riscontra nell’affrontarele questioni concettuali è quella di dare una definizione alla no-zione di pubblico. I più comuni tentativi di definizione del fe-nomeno prendono in considerazione due distinti elementi chedanno poi luogo al pubblico come entità a sé stante: l’interessecomune per un problema o tema che, in qualche modo, delimitaquell’insieme di persone che formano il pubblico e la sensazio-ne o percezione che anche altre persone reagiscano in modo si-mile alla stessa situazione, anche prescindendo dalla loro com-

 84 W.A. MacKinnon, On the Rise, Progress and Present State of the World , Lon-

don, 1832. In ambito statunitense invece il primo significativo lavoro in materia, ancoraconsiderato importante, è stato quello di A.L. Lowell, Public Opinion and Popular go-

vernament , Longman-Green, New York, 1913.85 Le più importanti opere che costituiscono l’ossatura dell’analisi sul fenomeno o-

pinione pubblica sono quasi interamente il frutto di analisi provenienti dal mondo sociopolitico quali: M.B.Ogle, Public Opinion and Political Dynamics, Boston, 1950;N.J.Powell,  Anatomy of Public Opinion, A.A. Knopf, New York 1951; V.O. Key, Pu-

blic Opinion and American Democracy, A.A. Knopf, New York, 1951; F.G. Wilson,  A

theory of Public Opinion, H. Regnery Co., Chicago, 1962.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 75

presenza fisica. Quest’ultimo punto, ovvero l’aspettativa che al-tri reagiscano allo stesso modo dinanzi al medesimo issue, èdella massima importanza, poiché ci permette di capire comel’opinione pubblica si formi anche sulla base della percezioneche degli altri si ha. Questo fenomeno è ben evidenziato dallaricerca di Davison, il quale parla di pubblico come di un insie-me di individui che pur non conoscendosi l’un l’altro reagisco-no ad un problema con l’aspettativa che anche altri mostrerannoatteggiamenti simili sullo stesso tema86. Da questo si deduceche l’opinione pubblica è formata da persone che sono in qual-che misura influenzate dall’aspettativa di approvazione o di a-zioni simili da parte di altre.

In realtà il problema della diffusione del concetto di opinio-ne pubblica è molto più complesso e articolato di quanto si po-trebbe credere a tutta prima e di quanto si possa render contoqui87. L’opinione pubblica non è e non può essere la semplicesomma delle opinioni di un numero di persone ma è un proces-so dinamico, attivo, e come tale deve essere vista ed esaminata

in una dimensione processuale. Come Cooley sottolineaL’opinione pubblica non è un semplice aggregato di giudizi indivi-duali separati, ma costituisce un’organizzazione, un prodotto coope-rativo della comunicazione e dell’influenza reciproca. Essa differiscedalla somma di quello che gli individui hanno elaborato separata-mente così come una nave costruita da cento uomini differisce dacento barche costruite da cento uomini88.

L’opinione pubblica non è dunque l’agglomerato di tante i-dee individuali, proprio perché ogni opinione ha un peso diver-

 86 Si veda W.P. Davison, The Public Opinion Process, in «Public Opinion Quar-

terly», vol. 22, n.2, pp.91-106.87 Vi è chi, come Allport effettua una separazione netta tra pubblico ed altri aggre-

gati di persone quali folla o massa; in proposito si veda F.H. Allport, Verso una scienza

dell’opinione pubblica, in M. Livolsi (a cura di) Comunicazione e cultura di massa,Hoepli, Milano, 1969. Vi è anche chi, come Bourdieu, critica l’esistenza stessadell’opinione pubblica, affermando che essa in realtà non esiste; P. Bourdieu, L’opinione pubblica non esiste, in «Problemi dell’informazione», a. I, n.1. 1976, pp. 71-88.

88 Ch. H. Cooley, L’organizzazione sociale, Comunità, Milano, 1963, p. 96.

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Parte II76

so e l’opinione pubblica si forma attraverso la pubblica discus-sione, cosa che mette in risalto, come appena sottolineato, la suadimensione dinamica89. Si è ritenuto importante puntualizzare ilcarattere dinamico dell’opinione pubblica e la componentedell’aspettativa poiché questi due elementi ci permettono di ca-pire come la sua formazione sia un processo mobile, attivo ecome tale influenzabile da tutto un insieme di fattori. Bourdieumette in evidenza come essa sia influenzata dal grado di istru-zione, dalla vicinanza dei soggetti al problema in questione, daquestioni meramente soggettive e da tutto un insieme di altrifattori90. Secondo Lippman nell’analisi dell’opinione pubblica ènecessario tenere presente «il rapporto triangolare esistente trala scena dell’azione, la rappresentazione che l’uomo si fa diquesta scena e la reazione a tale rappresentazione, rioperante asua volta sulla scena dell’azione»91.

Aspetto più spinoso è quello che vuole investigare in chemodo e che peso ha la propaganda nella formazionedell’opinione pubblica. Aiutandoci ancora con Lippmann si può

ritenere che la propaganda sia “lo sforzo di modificarel’immagine a cui reagiscono gli individui, di sostituire un mo-dello sociale ad un altro”92. La propaganda agisce dunque a li-vello percettivo, cerca di influenzare l’immagine e la rappresen-tazione che l’individuo si crea dell’ambiente circostante, modi-ficando così la modalità con la quale si risponde e reagisce alcontesto sociale in cui si è immersi. La propaganda, come sotto-linea a ragione Lippmann, è essenzialmente la sostituzione di unmodello sociale ad un altro, poiché agendo a livello della rap-presentazione che di una cosa, azione e modello societario, si ha,si può modificare la reazione ad esso.

89 Per un’analisi più approfondita del processo dinamico dell’opinione pubblica sirimanda a H. Blumer, Public opinion and public opinion polling, in «American Sociolo-gical Review», vol. 13, n. 5, pp. 542-554.

90 P. Bourdieu, L’opinione pubblica… cit., p. 84.91 W. Lippmann,  L’opinione pubblica. La democrazia, gli interessi, l’informazione

organizzata, Donzelli virgolette, Roma, 2004 (ed. originale 1922), p. 22.92 Ivi, p. 20.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 77

Chi studia il fenomeno dell’opinione pubblica non può nontenere presente quella reazione triangolare di cui Lippman parla,così come chi analizza il fenomeno propaganda non può non te-nere presente che essa agisce a livello percettivo, cercando dicambiare ed influenzare la percezione della realtà stessa. Eccoallora come il rapporto tra propaganda e formazionedell’opinione pubblica emerge con tutta la sua forza, poichél’opinione pubblica è un fenomeno processuale che si formasulla base della percezione e dell’aspettativa che si ha degli altri.La propaganda agisce a questo livello modificando, e in alcunicasi creando, un’aspettativa favorevole al propagandista in mo-do tale da influenzare la formazione di una opinione pubblicafavorevole al gruppo di interesse. Quanto maggiore sarà la ca-pacità di agire a livello percettivo e dell’immaginario, tantomaggiore sarà la capacità di influenzare la formazione diun’opinione pubblica favorevole.

Si è visto come all’interno delle democrazie la sua conqui-sta debba essere considerata come un passo imprescindibile

dell’azione di governo. Nel perseguimento di questo obiettivoogni forma di governo cerca, attraverso la propaganda, di influi-re, modificando a proprio piacimento le immagini che del mon-do esterno ci creiamo: immagini che spesso possono esserefuorvianti. Sempre seguendo le indicazioni di Lippman si puòvedere come i principali fattori che limitano l’accesso ai fatti,determinando così un’immagine errata della realtà esterna sullabase della quale si reagisce e si prende posizione, sono dovuti a:

censure artificiali, le limitazioni dei contatti sociali, il tempo relati-vamente scarso che ogni giorno si può dedicare a seguire gli affaripubblici, la distorsione prodotta dalla necessità di comprimere i fattiin messaggi brevissimi, la difficoltà di esprimere un mondo compli-

cato con un piccolo vocabolario, e infine la paura di affrontare queifatti che sembrerebbero minacciare il consueto svolgimento della vi-ta degli individui93.

93 Ivi, pp. 22-23.

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Parte II78

Questo insieme di elementi che determinano la fuorviantepercezione e immagine che della realtà ognuno di noi si crea,sono compresenti nella nostra realtà quotidiana. Alcuni di essisono dovuti ad elementi oggettivi, quali il tempo sempre più li-mitato che si tende a dedicare alla cosa pubblica o alla scarsitàdi relazioni e contatti umani che si hanno con gli altri; vi sonoelementi strutturali quali ad esempio la distorsione oggettivadella rappresentazione della realtà operata dai notiziari o la dif-ficoltà di esprimere cose complesse con un piccolo vocabolario;infine alcuni elementi sono soggettivi, ovvero volontariamentecreati per influenzare la percezione della realtà. Si pensi al lavo-ro della pubblicità o delle agenzie di pubbliche relazioni che uti-lizzano le medesime tecniche con l’obiettivo di trasformare edinfluenzare la nostra percezione della realtà per indurci a reagirein un determinato modo, in relazione ai loro obiettivi.

La propaganda però non è solo quella operata dalle varieforme di governo legittimamente o meno costituitesi, ma anchequella esercitata dalle èlite economiche, dalle corporations il

cui ruolo all’interno della nostra vita è sempre crescente

94

. Essecercano, attraverso le forme più sofisticate di propaganda, dicreare un’opinione pubblica più accondiscendente verso i loroobiettivi, per dare legittimità al loro dominio e renderlo così na-turale95. Il mito dell’indipendenza dei media e della loro presun-ta innocenza amplifica questo processo.

94 Il ruolo che queste grosse multinazionali rivestono nella nostra vita è stato magi-stralmente descritto dal film-documentario, M. Achbar, J. Abbot, J. Bakan, The Corpo-

ration, Fandango Edizioni, Roma, 2005.95 Sul ruolo dell’èlite al potere si veda Ch. Wright Mills, The Power Elite, Oxford

University Press, New York/Oxford, 1958. Per un maggior approfondimentosull’intreccio media, politica ed economia e il ruolo della propaganda si veda N. Chom-sky, Media Control: The spectacular achievements of Propaganda, Open Media Pam-phlet Series, Seven Stories Press, New York, 1997.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 79

3.2 La propaganda come arma di guerra

Si è visto come durante la prima guerra mondiale sia venutaad emergere quella che oggi noi definiamo propaganda nel sen-so stretto del termine. Si è anche avuto modo di vedere come,nel corso della storia, si è fatto appello ai sentimenti e ai valoricapaci di scuotere le coscienze, perché essi fossero poi strumen-talizzati e trasformati in odio contro il nemico. Ciò è stato pos-sibile grazie al fenomeno che oggi chiamiamo propaganda, mache non sempre in passato è stato identificato con questo termi-ne.

La propaganda gioca, durante i conflitti, un ruolo di primariaimportanza. Non è esagerato ritenere che la propaganda e laguerra abbiano sempre proceduto di pari passo sorreggendosil’un l’altra. Come Taylor sostiene

La guerra è essenzialmente la comunicazione organizzata della vio-lenza. La propaganda è essenzialmente un processo organizzato dipersuasione. Mentre la prima attacca il corpo, la seconda assale la

mente. Una è fisica l’altra è psicologica. Durante la guerra entrambesono in funzione. La propaganda tenta di rafforzare il morale da unlato e di inculcare la volontà di combattere dall’altra. In tal modosebbene la propaganda non possa da sola vincere guerre, è un’armadi portata non inferiore a cannoni e bombe.96 

Al pari delle armi, che con il passare del tempo sono diven-tate sempre più sofisticate, anche la propaganda si è evoluta e lesue tecniche si sono perfezionate. Ai disegni nelle caverne pri-ma e ai poemi epici dopo, si vengono oggi a sostituire formesempre più complesse e raffinate che comprendono documenta-ri televisivi, film di guerra, messaggi alla nazione tramite la TV,siti internet e cosi via. Questi elementi propagandistici, definitida Taylor “munizioni della mente”, hanno sempre avuto la loroimportanza e rilevanza nel corso della storia. Hanno mobilitatomasse in difesa dei propri confini, hanno sorretto le truppe che

96 Philp M. Taylor, Munitions of the mind. War propaganda from the ancient world 

to the nuclear age, Patrick Stephens Limited, Glasgow, 1990, p. 11. Traduzione mia.

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Parte II80

andavano in battaglia, hanno sollevato il morale dei soldati.Come si è già evidenziato, la propaganda non è di per sé un e-lemento negativo, né mistificatorio e durante i conflitti essa hail deliberato e ben organizzato compito di persuadere la popola-zione a combattere o a sostenere le ragioni della guerra. Ciò cheinvece può essere sbagliato sono le cause che possono spingerealla guerra. Va comunque precisato come vi possano esserecause giuste, per le quali valga la pena combattere, ed altre cau-se meno nobili e le cui reali motivazioni non vengono rese pub-bliche e non concorrono così a formare l’opinione pubblica. Sicostruisce allora una campagna propagandistica ad hoc con ilmanifesto obiettivo di fornire alla guerra una ragione più digni-tosa o “eticamente giusta” capace di smuovere le coscienze emobilitare le masse, le quali avranno l’illusione di muoversi indifesa dei principi propagandati e non degli interessi personalidi chi trae vantaggio dai conflitti. La propaganda è un mezzo,un processo che diffonde un’idea o opinione per ottenere un de-terminato scopo. Come lo stesso Taylor ammonisce

Quello che distingue la propaganda dagli altri metodi di persuasioneè la questione dell’intento. La propaganda usa la comunicazione perconvogliare un messaggio, una idea, o una ideologia che è designataper servire gli interessi della persona o delle persone che stanno co-municando. […] il punto chiave è che la propaganda è designata inprimo luogo a servire gli interessi della sua fonte97.

I sistemi democratici, per loro stessa natura, necessitanodell’appoggio del popolo, o perlomeno della sua maggioranza,per la codificazione delle leggi o provvedimenti e, più in gene-rale, per tutta l’attività di governo. È necessario, dunque, avereil sostegno della maggioranza dei cittadini poiché ad essi devo-

no rispondere del proprio operato. La propaganda è dunque ilmezzo per conquistare l’opinione pubblica. Questo vale per lecose di ordinaria amministrazione e, a maggior ragione, per lecose di straordinaria amministrazione. Tra queste ultime spicca

97 P.M., Taylor, Munitions of the Mind. War propaganda, cit…, p. 12. Traduzionemia.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 81

inevitabilmente la guerra, che è per eccellenza un fattore cheesula dalla quotidianità e normalità di una amministrazione. Lanostra cultura, così come buona parte delle costituzioni dei Pae-si occidentali, nasce dal rifiuto della guerra come mezzo offen-sivo e ad essa si dovrebbe giungere solo in casi di estrema ne-cessità e dopo che tutte le vie diplomatiche sono state tentate.Come sottolinea la Savarese «alla guerra si arriva quando lementi sono accecate e la ragione non è in grado di risolvere ilconflitto»98.

La guerra va vista come l’ultima delle soluzioni possibili, lapiù estrema e dolorosa ma spesso inevitabile e necessaria. Nellelibere democrazie però è imprescindibile il consenso della mag-gioranza, consenso che non sempre è scontato e facile da otte-nere99. Nel caso di un’aggressione è facile che questo consensonasca spontaneamente dal basso: è il caso di una invasione mili-tare da parte di un Paese straniero o, come successo l’11 set-tembre, di un tragico e devastante attentato terroristico. Caso-mai in questi casi si tratterà di strumentalizzare l’indignazione e

lo sdegno, trasformandoli in consenso per il governo

100

. Ben di-verso è il caso in cui non vi siano reali e imminenti pericoli. Lacampagna propagandistica servirà allora per disporre e spingerel’opinione pubblica a sostenere le scelte governative.

98 R. Savarese, op. cit . p. 1.99 Su questo punto si è molto dibattuto in occasione delle manifestazioni contro la

guerra in Iraq nel 2003. Milioni di persone in tutto il mondo hanno manifestato il pro-prio dissenso, cosa che ha fatto dire a qualcuno che i sostenitori della guerra erano inminoranza e che i governi agivano senza il necessario sostegno dell’opinione pubblica.In realtà la situazione è ben più complessa di quanto si vorrebbe credere. Negli Stati U-niti, ad esempio, non è certo se la maggioranza delle persone fosse contraria alla guerrao perlomeno non ha manifestato questo dissenso. In Italia invece la maggioranza dellepersone era contraria alla guerra, ma il governo è andato in Iraq non in guerra ma in“missione di pace”. Questo escamatoge non solo ha permesso al governo di aggirarel’articolo 11 della nostra costituzione ma anche di aggirare il “veto” posto dall’opinionepubblica.

100 Un’operazione in parte portata avanti dall’amministrazione Bush che ha stru-mentalizzato lo shock degli attentati terroristici dell’11 settembre per convogliare losdegno e la paura in consenso per l’operato del Presidente.

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Parte II82

3.3 Preparare l’opinione pubblica alla guerra

Non si arriva ad una guerra senza aver prima predisposto,favorevolmente, l’opinione pubblica. Il coinvolgimento militaredi uno Stato, infatti, richiede una duplice preparazione: quellamilitare e quella mediatica. La prima parte, lungi dall’essere af-frontata in questa sede, procede sempre di pari passo con la pre-parazione, sul livello mediatico, dell’opinione pubblica. Laguerra è un fattore eccezionale, di non-routine, che esce dainormali schemi della vita democratica di uno Stato. Richiedeperciò una lunga e attenta preparazione prima di essere “offer-ta” al pubblico, dal quale deve ricevere approvazione e sostegno.Innanzitutto deve essere depauperata dei suoi lati crudi, violenti;la guerra non può essere presentata con le sue vesti di crudeltà,ma deve esserne spogliata e rivestita con abiti meno grigi e piùsgargianti. Fuor di metafora, i cittadini chiamati ad esprimersi edare il loro nullaosta alla guerra, vengono preparati ad essa inmaniera metodica e sapiente. La propaganda è l’arma per con-

quistare l’opinione pubblica.Phillip Knightley, in un articolo apparso sul “The Guardian”,ha messo in evidenza come esistano quattro tappe nel preparareuna nazione all’ingresso in guerra:

La crisi: riportando la situazione di crisi che i negoziati non sono ca-paci di risolvere. I politici, mentre lavorano per la diplomazia, met-tono in guardia sulla possibilità di una ritorsione militare. I media ri-portano questo come “Siamo sul punto di fare la guerra” o “La guer-ra è inevitabile” ecc…La demonizzazione del leader dei nemici: equiparare il leader nemi-co con Hitler è un buon inizio proprio per l’impatto emotivo che ilnome di Hitler evoca. La demonizzazione del nemico come indivi-duo: ad esempio insinuando che il nemico sia insano. Atrocità. An-

che montando storie che suscitino una forte reazione morale101.

101 P. Knightley, The disinformation campaign, in “The Guardian”, 4 Ottobre 2001, disponibile all’indirizzo web:

http://www.guardian.co.uk/Archive/Article/0,4273,4270014,00.html (febbraio2004). Traduzione mia.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 83

Queste quattro tappe precedono l’ingresso di un Paese de-mocratico in guerra. Ancora una volta si precisa Paese democra-tico, proprio perché una dittatura non ha bisogno di chiedere ilconsenso ai propri cittadini, poiché il potere e l’autorità su cuiessa si basa non derivano dal popolo. Ciò non significa ovvia-mente che nelle dittature non esista la persuasione e la propa-ganda, ma più semplicemente che non è necessaria per otteneredai cittadini il nullaosta per qualche azione di straordinaria am-ministrazione, come le guerre appunto.

Durante i conflitti le dittature compiono sì un ingente sforzopropagandistico per mobilitare il popolo a sostenere moralmen-te e militarmente l’impresa bellica, ma non lo fanno per avere ilvia libera, visto che possono agire senza bisogno di “chieder lo-ro un parere”. Una dittatura può insomma agire senza consultarel’opinione pubblica, mentre una democrazia non può farlo, per-ché necessita di essa e del suo sostegno e non soltanto durante ilconflitto. I governi democraticamente eletti hanno il bisogno dipersuadere i propri elettori della necessità del conflitto e con-

vincerli che ciò che fanno non è solo giusto ma anche inevitabi-le, per quanto possa sembrare doloroso. La campagna propa-gandistica, affidata in primo luogo alla strumentalizzazione deimass media liberi, serve per persuadere l’opinione pubblica chela guerra che si ha intenzione di portare avanti è fatta per difen-dere gli interessi dei cittadini ed è fatta in loro nome102. La pro-paganda è molto più efficace quando i suoi messaggi sono vei-colati spontaneamente e liberamente dai mass media e vengonoavvertiti come informazione e non come propaganda. Il teatrodella persuasione si svolge quasi tutto sugli schermi televisivi esulla pagine dei giornali, e lo si fa sfruttando essenzialmente ilfattore emotivo.

Ora sempre maggiore importanza sembrano rivestire le nuo-ve tecnologie dell’informazione e in particolare Internet, sia permostrare immagini inedite, sia per aggiornare in tempo realesugli sviluppi del conflitto, sia per le PsyOps.

102 Non è un caso che uno degli slogan contro la guerra è “Not in my name” (non inmio nome).

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Parte II84

3.4 Niente censura

Nell’analisi del ruolo della propaganda di guerra all’internodelle libere democrazie, l’attenzione cade essenzialmente sullasituazione e la storia statunitense. Per evidenti motivi. Innanzi-tutto gli USA sono una delle più grandi democrazie, dove la li-bertà di stampa non solo è garantita, ma costituisce uno dei pila-stri sui quali si fonda l’intera società. Inoltre gli Stati Uniti sonospesso stati in prima fila e sotto l’occhio attento degli analisti,poiché coinvolti in numerosi conflitti armati nel dopoguerra.Sono dunque il terreno ideale per studiare il rapporto media-guerra e vedere come esso si è evoluto nel corso della storia.Ma vi è anche un’altra ragione: gli USA sono un po’ il punto diriferimento, non solo degli strateghi militari che si trovano afronteggiare il problema di come gestire l’informazione e lapropaganda, ma anche di chi vuole analizzarla e capirne i mec-canismi. Strateghi militari, analisti e giornalisti impegnati sulcampo guardano con occhi diversi questo terreno, diverso e uni-

co al contempo e ricco di informazioni.L’ingresso in guerra di un Paese democratico deve essereseguito ed assecondato dai media, che possibilmente devono a-gire “spontaneamente” da cassa di risonanza. Si rende dunquenecessario “gestire” i media, prima durante e dopo i conflitti, inmodo tale che siano poi loro ad influenzare il pubblico portandoavanti, in maniera del tutto autonoma, la propaganda e la lineaufficiale che quel determinato governo vuole. Non si sa in chemisura i media riescano ad influenzare l’opinione pubblica suargomenti così spinosi e di capitale importanza, ma pare assoda-to che essi, messi nelle giuste condizioni, influiscano nel deli-neare l’ambiente sul quale si dibatteranno questioni cruciali per

una nazione. Perlomeno questo è quanto si evince da un docu-mento redatto in occasione di una conferenza tenuta dal genera-le di brigata Mohammed Al Allaf, presso la National DefenseUniversity, National War College, nell’aprile del 2001. Il titoloè di per sé emblamatico “US Wars and CNN factor” ovvero “Le

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 85

guerre americane e il fattore CNN” 103 e dà l’ideadell’importanza che viene attribuita al fattore mediatico da partedell’establishment militare. All’interno del documento si legge

Non ci sono prove che i media, da soli, possano spingere i politici acambiare drasticamente le loro posizioni politiche, soprattutto in ma-teria di guerra e pace. Tuttavia, nelle condizioni giuste, i media pos-

sono esercitare un effetto potente nel configurare l’ambiente nazio-nale in cui politiche cruciali e decisioni di guerra devono essere mes-se in atto104.

Nel primo capitolo si è avuto modo di vedere come il rap-porto media-propaganda di guerra durante i due grandi conflittiabbia avuto un’estrema importanza sia nelle democrazie che neiregimi totalitari, proprio perché tali conflitti hanno coinvoltotutte le attività produttive e sociali del Paese. Il totale coinvol-gimento della nazione nella guerra ha comportato uno sforzopropagandistico a tutto campo nel tentativo di mobilitare tutte leforze in supporto delle truppe; supporto, si badi bene, che dove-va essere tanto morale quanto materiale, il che implicava note-voli sacrifici per l’intera popolazione costretta a limitazioni erestrizioni sociali e materiali. In questa ottica deve essere vista,ad esempio, la tolleranza verso la gestione totale e totalizzantedell’informazione da parte dei governi democratici, gestioneche in altri periodi e contesti sociali non sarebbe stata permessaed accettata.

Ora si punterà l’obiettivo sul connubio media-guerra focaliz-zando l’attenzione sull’uso della propaganda dal secondo dopo-guerra ad oggi ed in particolar modo a partire dagli anni novan-ta in poi. La prima guerra “utile” sarà pertanto la guerra di Co-rea. La televisione, intesa come il più importante mezzo di co-

municazione di massa, stava emergendo e non si aveva pienacoscienza delle sue potenzialità. Oltretutto ragioni tecniche im-pedivano un suo uso a fini propagandistici da parte dei militari

103 M. Al Allaf, US Wars and CNN factor , disponibile all’indirizzo web:http://www.ndu.edu/library/n2/n015605B.pdf (11 febbraio 2005)

104 Ibidem. Traduzione mia.

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Parte II86

statunitensi. Sempre secondo il generale Allaf «I media inizial-mente supportavano le strategie militari e riscuotevano successonel generare un supporto pubblico nazionale, ma erano incapacidi forzare la loro agenda»105.

Il vero cambiamento di rotta lo si è avuto con la guerra delVietnam che ha fatto emergere per la prima volta la necessità diimporre un controllo politico militare delle informazioni. Daquesta guerra deriva la necessità di controllare il flusso delle in-formazioni per evitare uno shock come quello dei reportage chegiungevano dal fronte e che turbavano profondamente i tele-spettatori, non abituati e non pronti a vedere la barbarie dellaguerra entrare in casa. Il Pentagono forse esagera nel ritenereche l’esito della guerra sia stata influenzata in maniera decisa-mente negativa dalle informazioni che giungevano dal fronte.Di certo si può dire che quella guerra è stata raccontata in tuttala sua crudeltà, cosa che ha notevolmente influenzato l’opinionepubblica, inizialmente favorevole al conflitto.

In realtà analizzando la modalità con la quale i media hanno

“coperto” quella guerra ci si accorge dei vari cambiamenti in-tervenuti in corso. Infatti, mentre inizialmente la guerra vieneraccontata come una marcia trionfale e la copertura mediatica èpiuttosto bassa, dopo il 1968 comincia ad essere raccontata inmaniera più regolare. La retorica ufficiale, appoggiata inizial-mente dai mass media, fornisce una visione decisamente sem-plificata del conflitto, che vede il bene, ovvero la democraziastatunitense, impegnato a combattere il male, ovvero la dittaturanordvietnamita. Come quella di Corea anche questa guerra vie-ne giustificata come una guerra giusta condotta contro il comu-nismo.

Il 1968 ha segnato uno spartiacque nella rappresentazione di

questa guerra, e non solo per il fervente clima politico e le con-testazioni all’interno dei campus universitari, ma anche per unaspetto tecnologico: le immagini dal fronte si fanno sempre piùnitide e cominciano a fare la propria comparsa le prime teleca-

 105 Ibidem. Traduzione mia.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 87

mere portatili, cosa che rende molto più complesso il lavoro dicensura diretta. Come la Savarese puntualizza

La telecronaca della guerra fu all’inizio piuttosto soft. Solo il 22 percento dei filmati mostrava immagini di violenza e solo il 24 per cen-to di essi fa vedere soldati e civili feriti o morti […] le storie preva-lenti erano quelle degli american boys in azione. Anche se non veni-va esercitata alcuna censura diretta operavano pur sempre le routinegiornalistiche e le assunzioni ideologiche condivise con i militari106.

Sino al 1968 gli orrori non vengono mostrati el’informazione sulla guerra tende ad esaltare e a concentrarsi sualcuni aspetti che ritorneranno in varie guerre successive. Laguerra viene semplificata mettendo i buoni contro i cattivi conla conseguente demonizzazione del nemico; viene esaltatol’aspetto eroico e patriottico dei “nostri ragazzi” sul fronte; ildissenso viene ridotto a fattore marginale e antiamericano; lapersonalizzazione delle storie dei “nostri soldati” al contrariodel nemico che non ha un volto e una storia. L’informazionesulla guerra è inizialmente molto soft mostrando rare immaginidi durezza e concentrandosi sul lato “umano” dei soldati statu-nitensi. Dare un volto, una nome e una storia ad uno dei tantisoldati sul fronte serviva per rendere emotivamente più vicini imilitari a chi seguiva le vicende dal salotto di casa. Un classicoesempio di questa personalizzazione della guerra è quella ripor-tata da Cumings.

I coraggiosi hanno bisogno di leader. Questo è un leader di uominicoraggiosi. Si chiama Hal Moore. Viene da Bardstown, Kentucky. Èsposato e padre di 5 figli. Sono i migliori soldati del mondo. In effet-ti, sono i migliori uomini del mondo. Sono ben preparati, ben disci-plinati [...]. La loro motivazione è formidabile. Sono venuti qui per

vincere107

.

Questo ed altri racconti simili rendevano la guerra più uma-na, dandole volti e nomi. Questa personalizzazione non è solo

106 R. Savarese, op. cit., p. 119.107 Cit. in B. Cumings, Guerra e televisione, Baskerville, Bologna, 1993. p. 120.

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Parte II88

dovuta ad una imposizione dall’alto e da una necessità propa-gandistica, ma diviene una esigenza della nuova guerra trasmes-sa dalla tv. Uno studio di Hallin mette in luce infatti come lapresenza della telecamera sulla scena bellica tende a produrreuna nuova forma di manipolazione, in larga parte legataall’esigenza che il mezzo televisivo ha di teatralizzare il raccon-to108. Hallin sostiene che il bisogno di personaggi e di persona-lizzare le notizie che la televisione ha “imposto” sono una co-stante dei resoconti televisivi, così come lo è la semplificazionedel racconto essenzialmente basato sulle dicotomie buono-cattivo. Questa variabile è applicabile anche oggi poiché farscorrere un racconto, accompagnato da immagini sempre piùspettacolari, lungo un binario convenzionale che vede contrap-posti il bene e il male, semplifica notevolmente il lavoro dellaredazione giornalistica. Nei pochi minuti, spesso secondi, chead ogni “pezzo” vengono dati, si tende ad agevolare la com-prensione dello spettatore, accompagnando la molteplicità distimoli audio-visivi, con un resoconto semplice e lineare che

spesso si basa appunto su questa manichea divisione. Nella ri-cerca di Hallin sono individuabili due elementi che, seppur rife-riti alla guerra in Vietnam, risultano particolarmente pertinentioggi: il primo è la compresenza del giornalista con i militari sulluogo di battaglia, il secondo è il processo di identificazione conle fonti109. Questi due aspetti sono oggi della massima impor-tanza per chi pianifica la guerra e tiene presente tutte le suesfumature, compreso l’aspetto mediatico.

Mentre nel Vietnam quei due elementi erano quasi casuali ederano dovuti, rispettivamente a ragioni di sicurezza e alla neces-sità di reperire informazioni, oggi entrambi questi aspetti sonoben pianificati e studiati. Anzi possiamo ritenerli due elementi

cruciali della propaganda di guerra. Come vedremo meglio nel-le pagine seguenti, nella guerra contro la RFY, la NATO è ri-masta la fonte principale delle informazioni, cosa che ha deci-

 108 D. Hallin, The Uncensored War. The Media and Vietnam, University of Califor-

nia Press, Berkeley/Londra, 1989, p. 134.109 Ivi, pp. 135, ssg.

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samente influenzato il resoconto dei media liberi che si sono,spesso involontariamente, trasformati come cassa di risonanzadella propaganda alleata, mentre la compresenza dei giornalisticon i militari era, nel caso della guerra contro l’Iraq del 2003,non solo “casuale” ma anche “obbligatoria”. Rimanere la fontedelle informazioni e far convivere e muovere militari e giornali-sti significa influenzare, in maniera significativa, i resocontidella guerra, allineandoli con la versione ufficiale.

Ritornando alla guerra in Vietnam, si vede come conl’offensiva militare vietnamita del 1968 si ha un cambiamentodi rotta nella copertura giornalistica. Cominciano ad emergerele prime discrasie tra come la guerra viene raccontata e come imilitari vogliono che lo sia. Cominciano le prime contestazionie le immagini della guerra si dipingono di un colore sempre piùacre. A questo contribuisce anche il cosiddetto “gap generazio-nale” di quegli anni, che si presenta all’interno delle redazionigiornalistiche, con degli scontri anche accesi tra vecchia guardiae giovani reporter. La guerra viene fatta da giovani e raccontata

da coetanei e questo, in qualche maniera, contribuisce ad incri-nare il patto di lealtà che, soprattutto in periodi di guerra, si in-staura tra media e istituzioni. Questo rapporto viene pian pianoa raffreddarsi sino ad incrinarsi del tutto. Le scene di violenzaperpetrate dagli statunitensi sui Vietcong vengono mostrate inTV e questo contribuisce non poco ad indignare l’opinionepubblica, la quale prende sempre più le distanze dal conflitto.L’appoggio popolare viene scemando giorno dopo giorno, cosache, alla fine, influenza anche l’esito della guerra.

È la televisione nel suo complesso che modifica in manierasostanziale lo scenario bellico. Non si può non prendere in con-siderazione il fatto che l’orrore della guerra entri nelle case dei

cittadini rendendoli in qualche misura partecipi, anche se comespettatori. Le visioni tristi e agghiaccianti del conflitto, conl’avvento della televisione, divengono dominio pubblico e laguerra irrompe negli schermi e nella vita delle persone. Comesottolinea Marshall McLuhan, «la guerra televisiva ha significa-to la fine della dicotomia tra civili e militari. Il pubblico è ades-so parte attiva in ogni fase della guerra e adesso le azioni prin-

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Parte II90

cipali di guerra vengono combattute nelle televisioni degli ame-ricani»110.

È difficile stabilire con certezza quale influenzaun’informazione libera di testimoniare abbia avuto sull’esito fi-nale della guerra. Forse, come si diceva, il Pentagono esageranell’imputare tutta la colpa della sconfitta in Vietnam ai massmedia. Certo è che essi influirono e il fattore informazione di-venne sempre più importante all’interno delle strategie militari.Il Vietnam ha messo anche in luce l’errore da partedell’amministrazione Johnson nel sottovalutare l’importanza deimedia durante le guerre, o meglio ha messo in lucel’impreparazione nel gestire un nuovo fronte di guerra: quellodell’informazione. Il Vietnam fu la prima reale guerra combat-tuta in diretta e sotto l’occhio delle telecamere. Prima di allorala censura e il controllo totale delle informazioni che giungeva-no dal fronte era la regola. Con il Vietnam vi è stato un primotentativo di gestione delle informazioni, ma gli esiti diun’informazione libera non sono stati giudicati positivamente

dai militari. La prima lezione che gli ufficiali statunitense han-no tratto dal Vietnam è che è necessario tenere “calma”l’opinione pubblica nel proprio Paese fornendo una immaginepurificata e più nobile della guerra111. Da lì in poi, l’obiettivo èsempre stato quello di impedire all’opinione pubblica di in-fluenzare l’esito della guerra

Oggi più che mai si rende necessario riuscire a controllarel’informazione poiché, come ha fatto notare Umberto Eco, “nel-la neoguerra, davanti all’opinione pubblica, perde chi ha uccisotroppo”. Ed è dunque anche dinnanzi all’opinione pubblica,quindi sui mezzi di comunicazione, che si combattono le neo-guerre. Il campo mediatico e quello militare procedono con-

giuntamente. Essi sono sempre più interdipendenti ed una loroazione disgiunta pregiudicherebbe l’esito della guerra.Il Vietnam ha dunque messo in luce quanto sia controprodu-

cente intraprendere iniziative militari senza previamente garan-

 110 M. McLuhan, War and Peace in the Global Village, New York, 1968, p. 134.111 Si veda M. Ragnedda, Warshow… cit.

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tirsi una sua rappresentazione mediatica favorevole, tale non so-lo da consentirle di raccogliere il consenso, ma anche da per-metterle una manipolazione in tempo reale degli eventi, con-forme a quella che Piero Visani chiama “la logica dell’irrealtà

reale” del mezzo televisivo.

I nuovi media saranno in grado di far vedere battaglie che non hanno

mai avuto luogo od un incontro al vertice che mostra (falsamente) illeader di un Paese nemico intento a rifiutare un negoziato di pace.[…] Ne consegue che, in un futuro sempre più prossimo, non solo laverità ma la realtà stessa potrà essere vittima della guerra. A parzialecompensazione di tutto questo si deve dire che già oggi una larga fa-scia di pubblico è abituata, in situazioni diverse, a fare uso di simu-lazioni, è probabile che essa si farà sempre più sofisticata ed accortadal punto di vista mediologico, e di conseguenza anche più scettica.[…] I media - e soprattutto la televisione – si prestano enormemente,per le loro caratteristiche tecniche, alla creazione di effetti e di realtàvirtuali, alla manipolazione non solo delle informazioni, ma anchedei sistemi di valore con cui queste vengono interpretate. […] Ciòinfluisce sul consenso delle opinioni pubbliche, essenziali in tutte ledemocrazie occidentali112.

Questo è stato ben capito dai pianificatori militari e strateghimediatici che lavorano in sintonia con la classe politica, la qualedeve rispondere del proprio operato dinanzi ai cittadini.

3.5 Grenada: lo sbaglio della censura

Nell’ottobre del 1983 gli USA furono impegnati in un nuovoconflitto, nella piccola isola caraibica di Grenada. La lezionedel Vietnam ardeva ancora. La cosiddetta “Sindrome del Viet-nam” si faceva sentire e gli USA, per evitare gli errori già

commessi allora, optarono per la linea dura: si decise, vistal’impossibilità di gestire e tenere sotto controllo l’informazionee visto l’esito negativo dell’esperienza vietnamita, di impedirel’accesso dei giornalisti al campo di battaglia. L’invasione di

112 P. Visani (a cura di) , Lo stratega mediatico. Caratteristica e compiti di questa

ipotetica figura militare, Informazioni della Difesa, Roma, ottobre 1998, p. 58.

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Parte II92

Grenada e la conseguente chiusura ai giornalisti, sancì un vero eproprio scontro con la stampa per il divieto esteso a tutti i gior-nalisti di mettere piede nell’isola 113 . Come Meli puntualizza«molti reporter furono arrestati, molti subirono intimidazioni; leprime troupes riuscirono a lavorare solo dopo tre giorni dallosbarco, a seguito di veementi proteste. Il rapporto con i media,compromesso dopo il Vietnam, veniva risolto in modo gordia-no»114.

Ben presto ci si accorse però che vietare l’ingresso ed impe-dire ai giornalisti di raccontare la guerra era molto più contro-producente, da un punto di vista dell’immagine e della propa-ganda, di quanto non si pensasse. Il divieto d’accesso significòtirarsi addosso le ire e le critiche della stampa, che accusava ilgoverno, ed in primo luogo i militari, di ledere uno dei dirittifondamentali degli Stati Uniti: il diritto di informare. Usare ilpugno duro contro la stampa fu, da un punto di vista propagan-distico, un clamoroso errore, proprio perché i giornalisti, a cortodi notizie, furono costretti ad evidenziare la non democratica

gestione della crisi da parte delle istituzioni statunitensi con unconseguente smacco di immagine. Gli apparati militari capironola portata dell’errore evidenziando la necessità di trovare un“accordo” con la stampa che potesse andar bene ad entrambi.

Subito dopo la guerra di Grenada, i principali media ed organizza-zioni professionali degli Stati Uniti, hanno chiesto al governo statu-nitense (e più specificamente ai militari) di ospitare la stampa duran-te le crisi belliche. Le ragioni erano duplici. Innanzitutto perché di-chiaravano che la stampa è sempre stata presente laddove le truppestatunitensi sono state coinvolte in operazioni di combattimento o-vunque nel mondo, anche quando le situazioni di pericolo erano ele-vate. […] L’essenza [della seconda argomentazione] è che la tradi-

 113 Per una più approfondita disamina sull’intervento statunitense nell’isola caraibi-

ca e la relativa rottura con i media, si veda P.M. Dunn, B. Watson,  American Interven-

tion in Grenada: The Implications of Operation. Urgent Fury, Westview Press, BoulderCo., 1985.

114 S. Meli, In guerra con i media, in “Sociologia della comunicazione”, a.XI – n.21 p. 52.

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zione della stampa libera ha fatto degli Stati Uniti una delle nazionipiù forti nel mondo e non si sente la necessità di modificarla115.

Questi due aspetti, ovvero la tradizionale presenza dellastampa in tutte le occasioni di guerra con relativo diritto del po-polo statunitense di sapere e la libertà di stampa come punto diforza della democrazia statunitense, hanno fatto sì che si cercas-

se un compromesso tra le opposte esigenze. Da parte dei milita-ri veniva avvertita la necessità di porre un freno all’eccessiva li-bertà di ripresa e documentazione delle varie fasi del conflitto,cosa che può pregiudicare l’esito della guerra; tuttavia dovevaessere garantito l’accesso ai luoghi di battaglia per non com-promettere il diritto-dovere dell’informazione di tenere aggior-nati i cittadini.

Nell’agosto del 1984 presero il via i lavori della Sidle Com-

mission, così chiamata dal cognome del generale Winant Sidlecoordinatore dei lavori116. Questo vertice, svoltosi tra i comandimilitari, giornalisti ed esperti di pubbliche relazioni, si prefig-geva come scopo quello di trovare una “terza via” nel complica-

to rapporto tra media e apparati militari. Il rapporto conclusivosuggeriva di non imporre all’attività giornalistica i limiti appli-cati a Grenada, senza peraltro lasciare ai giornalisti la libertà discorrazzare come in Vietnam. Non più censura totale e bloccodelle informazioni ma gestione delle stesse nell’interesse dellacausa. L’establishment statunitense apprese e fece propria la le-zione di uno dei più grandi esperti militari dell’antica Cina, SunTzu il quale affermava che: “Far sapere è spesso più importan-

te di far ignorare”. Sfruttare i mass-media risulta essere moltopiù produttivo ed opportuno di un inutile scontro che non pro-durrebbe vantaggi per nessuno. Comincia così a farsi largo

115 P. Combelles-Siegel, The Troubled path to the Pentagon’s rules on media access

to the battlefield: Grenada to Today, 15 maggio 1996, disponibile all’indirizzo internethttp://carlisle-www.army.mil/usassi (16 gennaio 2005). Traduzione mia.

116 La Siddle Commission raccomandava un insieme di punti per cercare di miglio-rare le relazioni tra i militari e i media. Il rapporto completo è stato stilato dal GeneralJohn W. Vessey, Chairman, Joint Chiefs of Staff, 23 agosto 1984. l’intero documento èdisponibile all’indirizzo web: http://www.ndu.edu/library/epubs/20030710a.pdf (14Gennaio 2005).

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Parte II94

l’idea che i mass media possono essere utilizzati come formida-bili strumenti di propaganda ed essere adoperati come cassa dirisonanza delle decisioni prese al vertice. La migliore soluzioneprospettata dalla commissione pertanto sarebbe quella di avereuna copertura totale delle operazioni di guerra da parte di mili-tari, coadiuvati in questo dai giornalisti. Alla censura viene cosìa sostituirsi il ”news management”, ovvero la gestione delle no-tizie, o come ebbe a dire in proposito il senatore statunitenseWilliam Fulbright, “la militarizzazione dell’informazione”.Questa rivoluzione implicava una maggiore professionalità inambito comunicativo da parte dei generali e degli strateghi me-diatici, la cui nuova figura cominciava ad assumere estrema im-portanza all’interno dell’apparato militare. La comunicazionedella guerra diviene parte integrante della strategia militare, ca-pace di influenzarne gli esiti al pari delle battaglie. La propa-ganda bellica nelle democrazie diviene così un settore ben spe-cifico, studiato da analisti militari e ricercatori accademici, maanche terreno fertile per grosse imprese private. Infatti vista la

delicatezza del compito, gli apparati militari si affidano semprepiù a figure professionali esterne, che curano l’immaginedell’esercito e propagandano le virtù della guerra.

Prima, durante e dopo ogni conflitto è perciò necessario sti-molare il sostegno dell’opinione pubblica nei confronti di im-prese belliche da compiere all’estero 117 . Questo comportaun’abile gestione dei media e l’emergere di nuove figure pro-fessionali nel gestire le informazioni e relazionarsi con i medialiberi. Il tema dell’influenza dei media è uno degli aspetti piùcontroversi e dibattuti in ambito sociologico e mass mediologi-co. Qui basti ricordare come il “potere dei media”, e di chi ligestisce, consiste nell’orientare cognitivamente i propri lettori,

telespettatori o radioascoltatori su alcuni argomenti chiave invi-tandoli ad elaborare autonomamente le proprie riflessioni suitemi proposti. I mass media pertanto possono, se non altro, indi-rizzare l’opinione pubblica a discutere sulla base di informazio-

 117 N. Chomsky,  Il potere dei media. Con il saggio sul fascismo strisciante, Vallec-

chi, Firenze, 1994, p. 54.

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ni e opinioni che loro stessi forniscono. Sono i media, infatti,che dettano la scaletta delle nostre preferenze. Secondo la cele-bre formulazione dell’ Agenda Setting

in conseguenza dell’azione dei giornali, della televisione e degli altrimezzi di informazione, il pubblico è consapevole o ignora, dà atten-zione oppure trascura, enfatizza o neglige, elementi specifici degli

scenari pubblici. La gente tende a includere o escludere dalle proprieconoscenze ciò che i media includono o escludono dal proprio con-tenuto118.

Shaw e McCombs parlano, però, di una influenza dei mediarelegata solo all’aspetto tematico, cioè alla scelta dei temi suiquali riflettere e non alla sostanza della nostra riflessione. In al-tri termini i media ci dicono su cosa e non cosa pensare. Questoaspetto è stato messo in discussione dall’analisi, peraltro condi-visibile, di Weiss. Egli ritiene infatti che l’informazione offertadai mass media contenga tutto un insieme di giudizi, di critiche,di osservazioni ecc… che tendono a sollecitare nel fruitoredell’informazione non solo cognizione (conoscenza di un argo-mento sul quale riflettere) ma anche una valutazione che è giàun’opinione (cosa pensare)119. Inoltre bisogna sottolineare chenon sempre è così facile rimarcare una distinzione netta tra temaed opinione, poiché spesso è assai difficile distinguere ciò chele persone pensano da ciò su cui le persone pensano120.

Il potere dei media nell’influenzare la formazionedell’opinione pubblica non è immediato come nel caso dellateoria dell’ago ipodermico, ma cumulativo, continuo, impercet-tibile nell’immediato. L’esempio che Elisabeth Noelle Neu-mann propone è in qualche misura emblematico per capire diche potere si tratta.

118 E. Shaw, “ Agenda Setting and Mass Communication Theory”, in Gazette (Inter-national Journal for Mass Communication Studies), Anno 1979, vol. XXV, n.2, p. 96.

119 H.J. Weiss, Pubblic  Issue and Argumentation Structures: An approach to the

Study of the Contents of Media Agenda Setting, in S. A. Deetz (a cura di), Communica-tion Yearbook, vol. 15. SAGE, London, pp. 374-396.

120 G.E. Lang, K. Lang, Watergate: un’esplorazione del processo di costruzione

dell’agenda, in S. Bentivegna, (a cura di) Mediare la realtà. Mass media, sistema politi-

co e opinione pubblica, Franco Angeli, Milano, 1994, pp. 158-9.

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Parte II96

La goccia d’acqua che cade continua, consuma la pietra […] gli ef-fetti dei media sono in gran parte inconsci: le persone non sono ingrado di dare dei resoconti di ciò che è accaduto. Esse mescolano,piuttosto, le loro percezioni dirette con quelle filtrate, attraverso lamediazione dei mezzi di comunicazione di massa, in un’unità indivi-sibile che alle persone sembra derivare dai loro propri pensieri edesperienze […] Molti di tali effetti dei media accadono in maniera

indiretta, in tanto in quanto adottano lo sguardo dei media ed agisco-no corrispondentemente121.

Quella goccia d’acqua che pian piano, quasi impercettibil-mente, erode la roccia, rende l’idea del potere dei media. Unagoccia presa singolarmente e fatta cadere sulla pietra non lascalfisce ed intacca, cosa che invece riesce a fare con il passaredel tempo. Così i messaggi veicolati dai media, presi singolar-mente, non riescono ad influenzare il pubblico; ma a lungo an-dare, con la loro ripetizione, con la semplificazione e con tuttele altre tecniche della propaganda prima esposte, riescono ascalfire ed influenzare la formazione dei nostri valori, delle no-

stre idee e delle nostre opinioni.Come Visani mette bene in evidenza «l’apice di questo pote-re, di questa massiccia capacità di influenza sulle dinamiche diopinione, è da qualche anno a questa parte rappresentato dallacosiddetta “videopolitica” (o CNN Politics) termine con il qualesi indica l’influsso esercitato dai media […] sulla politica»122.

Come si è ampiamente visto oggi è impensabile condurreuna guerra di “dominio pubblico” (cioè sotto lo sguardo “vigi-le” delle telecamere) senza fornire una “nobile causa” che lagiustifichi. L’obiettivo della propaganda, come più volte ripetu-to, è quello di fornire una coerente e credibile visione delle ope-razioni belliche, mantenendone alta la legittimità. Si cercherà di

far giungere dal fronte solo quelle notizie che non contraddico-no la versione ufficiale a discapito della buona informazione. Ilnews management serve appunto a questo, a calibrare e gestirele informazioni che arrivano dal fronte, cercando di armonizzar-

 121 E. Noelle Neumann cit. in M. Wolf, op. cit., pp. 63-64.122 P. Visani , op. cit . p. 40.

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le e renderle coerenti con la linea ufficiale. Non più censura to-tale dunque ma gestione delle informazioni.

3.6 Andare alla fonte: la strategia propagandistica do-po la Sidle Commission 

Dopo il 1984, anno della Sidle Commission e del compro-messo con la stampa, gli Stati Uniti sono stati impegnati in di-verse guerre a bassa intensità, guerre cioè che per il basso profi-lo pubblico che hanno rivestito sono state condotte lontano dalletelecamere. Il primo conflitto ad alta intensità dopo la pubblica-zione di questo rapporto è stata nel 1991 la guerra contro l’Iraqdi Saddam Hussein nota come  Desert Storm (Tempesta nel de-serto). Nel corso di questo conflitto furono applicate alcune del-le tecniche chiave della propaganda di guerra, quali: la demo-nizzazione del nemico, paragonato a Hitler, cosa che succederàqualche anno dopo anche con Milosevic; enfatizzazione della

sua forza e pericolosità, arrivando a considerare l’esercito ira-cheno il quarto esercito più forte del pianeta; la costruzione distorie ad hoc per turbare l’opinione pubblica, per poi strumenta-lizzarne lo sdegno convogliandolo in sostegno alla guerra, comenel caso dei neonati che sarebbero stati lasciati moriredall’esercito iracheno. A tutto questo deve essere aggiunta la“bontà del conflitto” scatenato per nobili ragioni, quali quella dibloccare un tiranno, di mettere fine ad una occupazione di unPaese straniero ingiustamente aggredito, per riportare pace edemocrazia. La campagna propagandistica statunitense ha co-niato per l’occasione termini quali “precisione chirurgica” e“bombe intelligenti” per esaltare l’accuratezza dei “nostri” eser-

citi in grado di colpire solo le linee nemiche e le sue perfide ar-mi. Ripetere più e più volte, secondo la tecnica della reiterazio-ne, concetti quali, guerra umanitaria, guerra intelligente, bombeintelligenti e mostrare le immagini dei missili ad alta precisione,significava anche spingere i media a parlare di questo ed in de-finitiva orientare il pubblico a notare l’aspetto chirurgico della

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guerra, distogliendo l’attenzione dalle inevitabili atrocità delconflitto, rendendolo quasi virtuale. Per quanto riguarda più davicino l’aspetto mediatico, gli Stati Uniti, come si vedrà meglioin seguito, si sono affidati anche a professionisti esterni per cu-rare l’immagine. Ma soprattutto il loro obiettivo è stato quellodi rimanere la fonte delle informazioni, vista la difficoltà e peri-colosità del conflitto123.

Un ulteriore perfezionamento di questa strategia si è avutonel 1999 quando la NATO ha condotto una guerra contro la Re-pubblica Federale Yugoslava (RFY). Da un punto di vista pro-pagandistico questa guerra ha visto l’elaborazione e il miglio-ramento dei principi ideati dalla Sidle Commission. La strategiapropagandistica utilizzata dalla NATO si basava essenzialmentesulla fornitura di informazioni ai giornalisti divenendo così lafonte primaria della stampa occidentale. In altri termini la NA-TO, una delle due parti in causa, diveniva la fonte sulla basedelle cui informazioni i diversi giornalisti potevano scrivere iloro resoconti. Durante quel conflitto, i principali media si sono

spesso limitati a riportare le “verità ufficiali” divulgate ognigiorno dai briefing con la stampa tenuti dal portavocedell’Alleanza Atlantica. La NATO aveva infatti allestito due in-contri giornalieri con la stampa occidentale, la quale spesso silimitava a riportare acriticamente quelle notizie. Questo sia perl’impossibilità di accedere direttamente al campo di battaglia,sia per la dipendenza dalle fonti e, non ultimo, per comodità edeconomicità. In quel caso nessuno obbligava i media a riportarele verità ufficiali di una delle due parti in causa, cioè la NATO,eppure la stampa non solo riportava fedelmente quanto JamiesShea (portavoce dell’Alleanza Atlantica) affermava, spessosmentito dai fatti, ma alcune volte ne enfatizzava il contenuto.

Chi dissentiva dalla versione ufficiale veniva bollato come so-stenitore della pulizia etnica di Milosevic. Celebre il caso del fi-losofo francese Debray che rimproverava ai media di tenere ce-late alcune informazioni, quali la distruzione di scuole e fabbri-

 123 Per un approfondimento del tema si rimanda a J. M. Arthur, Second front: Cen-

sorship and Propaganda in the Gulf War, New York, 1992.

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che e di essere troppo “servili” con la NATO. Debray fu oggettodi una durissima campagna di delegittimazione trasversale a tut-ti i media francesi. La stigmatizzazione dei dissidenti è un a-spetto assai tipico della propaganda di guerra, proprio perché siviene a creare una situazione manichea del con noi o contro dinoi, che in quel caso significava o con Milosevic o con la NA-TO 124. La propaganda cerca di creare questa situazione etico-fideistica del bene opposto al male per cui dissentire significaappoggiare il male ed essere così complici del nemico. Non vi èpossibilità alcuna di dissentire senza essere oggetto di schernoda parte dei principali media e l’esempio dei pacifisti italianiche avevano dimostrato in maniera assolutamente pacifica ilproprio dissenso per la guerra ne è la testimonianza più evidente.Essi vennero accusati, da uno dei più celebri e diffusi settimana-li italiani, di essere fiancheggiatori e sostenitori di Milosevic edei suoi crimini125.

3.7 Embedded 

: ovvero l’informazione incastonata

Nell’ambito del controllo dell’informazione il caso estremolo si è raggiunto con la guerra contro l’Iraq nel 2003. Il piùgrande successo della propaganda statunitense è stato quello diriuscire ad inglobare all’interno delle proprie truppe dei verigiornalisti, cosicché essi erano liberi di dire quello che volevano,o meglio, per citare la celebre affermazione di Fisk, liberi di di-re quello che loro (i militari) volevano sentir dire. Al seguitodelle truppe angloamericane in Iraq hanno partecipato circa 500giornalisti che hanno accettato di essere “incastonati”, militariz-zati, rinunciando così alla propria indipendenza. Questi giorna-

listi, che il Pentagono ha ufficialmente definito “Embedded”,

124 Il filosofo Regis Debray non fu l’unico ad essere accusato di sostenere il nemicoma è forse l’esempio più eclatante. Tra gli altri si ricordi Pierre Bourdieu e Charles Pa-squa.

125 In una didascalia che commentava la manifestazione contro la guerra,“l’espresso” chiamava i dimostranti “fiancheggiatori di Milosevic”, in “L’espresso” 21aprile 1999.

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Parte II100

ovvero inseriti o incastonati, non solo viaggiavano ed eranosempre a diretto contatto con i militari, ma hanno dovuto firma-re un vero e proprio contratto con il Pentagono126. A tal proposi-to Zucconi scrive:

Questa di «embed», di incastrare gli inviati nei reparti e metterli difatto agli ordini degli ufficiali, è l’ultima soluzione escogitata dal

governo insieme con editori e direttori convocati alla Casa Bianca,per risolvere il dilemma fra informazione e propaganda, tra il doveredi cronaca e il diritto alla riservatezza, che tormenta eserciti e mediada quando, nella sciagurata campagna di Crimea contro i Turchi,nacque la figura del moderno corrispondente di guerra. […] La CasaBianca sembra tornata alla tecnica usata nell’ultimo conflitto mon-diale, con giornalisti, fotografi e cameraman assimilati nelle unitàcombattenti, non arruolati, ma associati. E, di fatto, censurati127.

Il primo aspetto da sottolineare è che i giornalisti inseritiall’interno delle truppe militari vedranno solo quello che gli uf-ficiali vogliono che vedano. Inoltre il fatto di vivere per mesi adiretto contatto con i militari significa anche installare un rap-

porto umano, di amicizia con una delle due parti in guerra; si-gnifica condividere le paure, le aspettative, le speranze di unadelle parti in causa. Questo può evidentemente ledere la deonto-logia professionale dei giornalisti che presuppone la capacità disaper raccontare l’evento con occhi distaccati, lucidi, freddi, e-vitando implicazioni emotive. Emerge come il riuscire ad in-globare all’interno dell’esercito dei giornalisti, significa in-fluenzare direttamente il resoconto che essi fanno, senza doverricorrere alla censura, che come si è visto è molto spesso con-troproducente. Sfruttare l’informazione, piuttosto che reprimer-la: sembra questo in sostanza l’obiettivo della propaganda mili-tare.

Un ulteriore passo avanti rispetto al news management  èquello che in termini tecnici viene chiamato  perception

126 Il contratto firmato dagli operatori dell’informazione con il Pentagono è dispo-nibile all’indirizzo web:

http://www.defenselink.mil/news/feb2003/a200321oembed.pdf. (18 marzo 2003)127 V. Zucconi, L’esercito arruola i giornalisti. A rischio la verità sulla guerra, in

“la Repubblica”, 12 febbraio 2003.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 101

management ovvero gestione delle percezioni. Gestire non sol-tanto le informazioni che giungono dal fronte, ma organizzareuna vera campagna di comunicazione, che non riguardi solol’aspetto informativo, ma la percezione e rappresentazione dellaguerra nel suo complesso. Di questo si occupano le agenzie diPublic Relation di cui si parlerà più avanti.

3.8 Terzine della propaganda

In questa parte si propone un particolare schema per identifi-care distinte modalità di persuasione tendenti a conquistarel’opinione pubblica e spingerla a sostenere un conflitto. Si trattadi una suddivisione ideata dallo scrivente e che si attua nellapropaganda di guerra, in maniera quasi identica tra le dittature ele democrazie.

L’idea di fondo è che più si riuscirà ad applicare questi prin-cipi e maggiore sarà il sostegno che dall’opinione pubblica ver-

rà alla guerra. Ho suddiviso, come in una terzina, tre elementibasilari: ricorso alla paura e identificazione del nemico; bontà

delle nostre guerre; sostegno alla giusta causa. Ognuno di que-sti elementi è stato a sua volta suddiviso in ulteriori sottoele-menti che ne permettono meglio l’applicabilità.

Ognuno di questi elementi verrà esaminato con esempi e ri-ferimenti storici, mentre nell’ultima parte si vedrà come essipossano essere applicati alla cosiddetta guerra al terrorismo.

A) Ricorso alla paura e l’identificazione del nemico

1) Demonizzazione del nemico2) Uso da parte del nemico di armi letali e non convenzionali

3) Guerra come risposta al nemico e non come attacco

B) Bontà delle nostre guerre

1) Soccorrere una nazione o un popolo2) Giusta causa3) Estendere la democrazia

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Parte II102

C) Sostegno alla giusta causa

1) Sostegno dal di fuori: internazionale2) Sostegno dall’interno: intellettuali e artisti3) Sostegno dall’alto: divino

A)  Ricorso alla paura

Si è più volte detto che una delle armi cruciali della propa-ganda è la strumentalizzazione della paura. Tecnica ampiamenteutilizzata sia dalle dittature che dalle democrazie, sia in situa-zioni di ordinaria che di straordinaria amministrazione. Bisognaperò aggiungere che se è vero che tale tecnica è impiegata inogni contesto e situazione, è soprattutto durante la preparazionedella nazione e del popolo all’ingresso in guerra che il suo usodiviene inevitabile e prezioso. La guerra infatti viene spesso“spiegata” e presentata al pubblico più sull’onda emotiva che suquella razionale: il pathos e non la ratio è l’obiettivo della pro-paganda. È su di esso che bisogna far leva nell’opera di persua-sione e non ci si può basare sulla forza delle argomentazioni e

dei ragionamenti. Il ricorso alla paura ha caratterizzato moltecampagne propagandistiche nel corso della storia.La propaganda, come si è appena ricordato, si basa più su e-

lementi emotivi che non su fattori razionali, poiché è sul senti-mento della paura (paura del nemico, paura delle armi di distru-zione di massa o armi batteriologiche ecc…) che si riesce a su-scitare un impatto emotivo facilmente strumentalizzabile. Pro-prio al riguardo Serge Halimi parla di “guerra delle emozioni”,poiché l’obiettivo delle moderne campagne propagandistiche èquello di suscitare delle reazioni emotive, offuscare la ragione erichiedere risposte dettate dall’impulso e non dall’intelligenza.

L’abbiamo capito: la buona propaganda di guerra non è più la vec-chia censura, è invece saper attirare le cineprese di fronte a immaginiirresistibili e manichee, di fronte a scene che caricano di una reazio-ne emotiva mille volte più duttile dell’intelligenza: mentre la prima èdiventata la trama della scrittura mediatica automatica (di guerracome di pace), l’altra resta una macchina lenta e temibile che sele-ziona, digerisce, relativizza, paragona, integrando contemporanea-mente il ricordo di vecchissime storie senza immagini e

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 103

l’immaginazione di conseguenze ancora inimmaginabili e forzata-mente non filmabili128.

La guerra delle emozioni, lo sfruttamento del pathos, perquanto sia una tecnica antica quanto la propaganda stessa, è og-gi potenziata nella sua efficacia dai mass media ed in particolaredalla televisione. I volti sofferenti di un popolo martoriato o di

oppositori torturati sono evidenti e chiare testimonianze di unregime non più tollerabile, così come le parate militari di un Pa-ese nemico sono indice della sua pericolosità. Ma oggi vi è unaimmagine che più di tutti riesce a scuotere ed impaurire le co-scienze dei telespettatori: i messaggi dei terroristi e le loro im-magini di addestramento, trasmesse dalle nostre TV. Nessunaimmagine più di queste riesce ad impaurire e preoccupare il cit-tadino. Non è un caso che la campagna propagandistica post-11settembre faccia ampio ricorso a queste immagini ed usi costan-temente il termine “terroristi”.

Una buona azione propagandistica è quella che sfrutta estrumentalizza i sentimenti e le paure della popolazione e li tra-

sforma in sostegno alla guerra. «L’arma della paura è efficacein quanto allontana i nostri pensieri da una considerazione piùattenta delle questioni all’ordine del giorno e li incanala verso iprogrammi che permettono di liberarci della paura129».

La paura è uno dei primitivi istinti nella psiche dell’essereumano. Buona parte dei regimi moderni ha fatto ampiamente ri-corso all’arma della paura. Hitler la utilizzava già prima di an-dare al potere e nei suoi comizi, nel corso degli anni venti, face-va leva sulla paura e sul pericolo dei comunisti e degli ebrei, pe-ricoli che avrebbe sbandierato spesso anche durante i suoi co-mizi da dittatore. Il responsabile della propaganda nazista, Jo-seph Goebbels, sfruttò ad esempio la celebre frase “I tedeschidevono morire!” di Theodore Kaufman, per sostenere che gli al-leati cercavano la distruzione del popolo tedesco. Ma il ricorsoall’arma della paura, in quanto arma delle propaganda, non è di

128 S. Halimi, La guerra delle emozioni, in “Le Monde diplomatique/il manifesto”,n. 5, anno VI –maggio 1999, p. 4.

129 A. R. Pratkanis, E. Aronson, op. cit., p. 273.

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Parte II104

esclusivo appannaggio delle dittature. Rampton e Stauber met-tono bene in evidenza come la campagna propagandisticadell’amministrazione Bush per portare gli Stati Uniti in guerracontro l’Iraq nel 2003 si sia basata anche e soprattutto sull’usodel sentimento della paura130.

La tecnica di designazione del nemico verso il quale indiriz-zare l’astio e la rabbia della popolazione e poterne così sfruttarela carica emotiva per spingerla ad accettare come inevitabileuna decisione che rischierebbe di essere impopolare, è stata uti-lizzata in maniera sapiente, come si diceva, dai rivoluzionarifrancesi ed oggi ampiamente ripresa. Non si tratta però solo didesignare il nemico, ma è necessario anche e soprattutto “de-monizzarlo”.

A tal proposito possiamo identificare quattro periodi, nellastoria della propaganda moderna, che segnano altrettante moda-lità di identificazione del nemico:

a) il periodo delle due guerre mondiali

b) dalla fine delle seconda guerra mondiale sino alla cadutadel muro di Berlinoc) dalla caduta del comunismo sino all’11 settembred) dall’11 settembre sino ad oggi

Il primo periodo è caratterizzato dalla necessità di mobilitarel’opinione pubblica a favore dell’ingresso in guerra nelle dueguerre mondiali, e per farlo è necessario enfatizzare la pericolo-sità del nemico: i tedeschi nella prima e l’asse italo-tedesco-nipponico nella seconda guerra. Si è in parte visto come durantela grande guerra, grazie al lavoro della Commissione Creel, gliStati Uniti fossero riusciti a generare un’ondata di odio e di iste-

ria collettiva nei confronti dei tedeschi, in maniera simile aquanto avvenne in Gran Bretagna la quale, però, a differenzadegli USA, era parte in causa e direttamente coinvolta nellaguerra, per cui il lavoro di identificazione e demonizzazione delnemico le era relativamente più semplice. Stessa cosa dicasi per

130 S. Rampton, J. Stauber, Weapons…. cit., pp. 131-160.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 105

l’ingresso nel secondo conflitto mondiale; anche in questo casoinfatti la popolazione era in larga parte contraria alla partecipa-zione del proprio Paese ad un conflitto lontano dai confini na-zionali. La differenza fondamentale però risiedeva nel fatto chegli Stati Uniti, contrariamente a quanto successe nel primo caso,avevano subito un attacco da parte dei giapponesi nella base na-vale di Pearl Harbor, per cui il lavoro di propaganda era deci-samente più semplice, poiché, come si diceva poco sopra,sull’onda emotiva di una “aggressione inaspettata”131, il compi-to di demonizzazione del nemico è decisamente più semplice.

In entrambi i casi, il repentino cambio di opinione nella po-polazione su un fatto così importante, come la partecipazionedel proprio Paese ad un conflitto in corso, sta a testimoniarel’efficacia dell’operazione propagandistica, in buona parte basa-ta sulla paura che il nemico incuteva. Non si dimentichi infattiche uno degli aspetti che maggiormente influenzaronol’opinione pubblica, soprattutto nella prima guerra mondiale,era la presunta malvagità del nemico che si aveva di fronte. I

rapporti sulle atrocità dei tedeschi, si badi bene, erano in parteenfatizzazioni di fatti reali o non completamente verificati (pro-paganda bianca e grigia), ed in larga parte dei falsi rapporti(propaganda nera) quali le voci o dicerie, che ripetuteall’infinito diventavano realtà, secondo le quali i tedeschi “bol-livano i cadaveri” o “tagliavano le mani ai bambini”132.

Il secondo periodo è invece caratterizzato dalla lotta campalecontro il comunismo. Durante la guerra fredda gli Stati Unitiavevano identificato come nemico pubblico il regime sovietico

131 Al riguardo bisogna però rendere nota che il 7 dicembre 2001, il canale statuni-tense “History Channel” ha mandato in onda un accurato documentario prodotto dalla“BBC” chiamato “ Betrayal at Pearl Harbor ”, che avanza l’ipotesi, non del tutto nuova,che il Presidente Roosevelt e i suoi consiglieri per la difesa erano a conoscenza di un at-tacco da parte delle truppe nipponiche, ma che egli con profonda lucidità avesse per-messo che ciò accadesse così da giustificare l’entrata degli USA in guerra. Ipotesi avan-zata sulla base di documenti americani declassificati che, sempre secondo la BBC, di-mostrerebbero la complicità del Presidente Roosevelt. Per ulteriori informazioni si ri-manda a R. Stinnet,  Il Giorno dell’inganno. Pearl Harbor: un disastro da non evitare,Saggiatore, Milano, 2001.

132 Si veda H.C. Peterson, Propaganda for war: The campaign against American

neutrality, 1914-1917 , University of Oklahoma Press, Norman, 1939.

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Parte II106

e forme analoghe di governo, definiti da Reagan negli anni Ot-tanta come il “grande male”. Proprio sulla base della lotta delbene contro il male, gli Stati Uniti scatenarono, negli anni Cin-quanta all’interno degli Stati Uniti, la famigerata “caccia allestreghe” o maccartismo, dal nome del senatore McCarthy delWisconsin che se ne fece promotore e portavoce, con il manife-sto obiettivo di denunciare la presunta infiltrazione comunistaall’interno della vita intellettuale, sociale e governativa. Parepiù verosimile però che l’orchestrazione di una simile propa-ganda interna servisse per scalzare la lunga egemonia politica diRoosevelt. All’estero gli Stati Uniti portarono avanti una fer-vente campagna anticomunista, cosa che li avrebbe portati adintervenire militarmente, direttamente o indirettamente, in variangoli del mondo. Durante la guerra fredda l’accostamento diun Paese al modello sovietico poteva essere ragione sufficienteper adottare misure spesso repressive e belliche. Dal Vietnam atutti i Paesi dell’America Latina, gli Stati Uniti hanno giustifica-to il proprio intervento armato come risposta all’espansione del

comunismo, male che andava sradicato anche con l’uso dellaforza. Altro espediente utilizzato nell’ambito di questa lotta erala cosiddetta “propaganda culturale” con la quale l’intelligencestatunitense finanziava artisti e intellettuali, in maniera moltosimile a quanto succedeva nella Francia di Luigi XIV, per pro-muovere una visione del mondo che meglio si uniformasseall’“American way of life”133.

Dopo la caduta del Muro di Berlino però, l’accostamento alregime sovietico, come forma di demonizzazione del nemiconon aveva più senso. Visto che il comunismo non faceva piùpaura, si è preferito allora accostare i nuovi nemici che emerge-vano qua e là nel pianeta, come Saddam Hussein nel 1991 e Mi-

losevic nel 1999, al nemico della democrazia per eccellenza:Hitler. Non è un caso infatti che entrambi siano stati etichettaticon dei nomi che rievocavano il dittatore tedesco: “Saddam Hit-

 133 A riguardo si rimanda a F.S. Saunders,  La guerra fredda culturale.  La CIA e il

mondo delle lettere e delle arti, Fazi Editore, Milano, 2004

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 107

ler” il primo e “Hitlerosevic” il secondo134. Anche in questo ca-so va sottolineato come la diffusione di false notizie el’enfatizzazione di altre abbiano favorito il percorso di “accetta-zione”, da parte dell’opinione pubblica, della inevitabilità di unconflitto armato, visto come il male minore per bloccare un ti-ranno. Tra tutti i casi di disinformazione è da ricordare il cele-bre racconto della giovane infermiera kuwaitiana, di nome Na-yirah, che il 10 ottobre 1990 dinanzi al Congressional Human

 Rights Caucus (Commissione per i diritti umani) diede notiziapiangendo e con dovizia di particolari, di come i soldati iracheniavessero fatto irruzione nel reparto pediatrico dell’ospedale diKuwait City, impossessandosi delle incubatrici, staccandone lespine e buttando i neonati morti per terra. Simili informazioni,dal forte impatto emotivo scuotono l’opinione pubblica el’orientano verso un’approvazione dell’intervento armato. Co-me successivamente si accerterà, quando però l’effettosull’opinione pubblica è già stata ottenuto, il tutto era un clamo-roso falso

“l’infermiera” era la figlia dell’ambasciatore del Kuwait a Washin-gton, studentessa negli Stati Uniti, e l’affare delle incubatrici era sta-to inventato di sana pianta da Mike Deaver, un ex addetto alle co-municazioni del presidente Reagan, in collaborazione con la dittaamericana di pubbliche relazioni  Hill & Knowlton, entrambi stipen-diati dall’emirato135. 

Anche l’amministrazione Bush Jr ha di fatto designato i ne-mici pubblici, quelli cioè facenti parte dell’ “asse del male”,comprendente i Paesi potenzialmente ostili agli interessi statuni-tensi, tra cui figurano Iran e Corea del Nord e più in generaletutti gli stati accusati di finanziare i terroristi. Ora il personaggio

che più riesce ad incarnare la figura del male e del nemico pub-blico è senza ombra di dubbio il terrorista saudita Osama bin

134 Così è stato definito, tra gli altri, da “L’Espresso” n. 15 del 15 aprile 1999, dovenella pagina di copertina, con un abile montaggio fotografico, veniva accostata alla fac-cia di Milosevic quella di Hitler, con su scritto la dicitura ‘Hitlerosevic’.

135 I. Ramonet, La tirannia della comunicazione, Asterios Editore, Trieste, 1999, p.67.

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Parte II108

Laden, considerato l’ideatore dell’attacco terroristico dell’11settembre 2001136. È “bastato” sostenere che lo sceicco del ter-rore avesse la sua base operativa in Afganistan per dare l’inizio,proprio sul territorio afgano, a quella guerra infinita che ancoraoggi si combatte e che con tutta probabilità si protrarrà a lungo.Successivamente, nella ricerca di un casus belli per dare luogoalla guerra del 2003 contro l’Iraq, si è cercato di accostare, sen-za prove evidenti, il regime di Saddam Hussein ad “al-Qaeda”,sicuri che questo da solo avrebbe costituito un pretesto suffi-ciente137.

Lo sfruttamento della paura può avvenire lungo tre direttive:la demonizzazione del nemico; il fatto che il nemico usi armi le-tali e non convenzionali; il fatto che noi non vogliamo la guerrama vi siamo costretti per rispondere al terribile nemico. Proce-diamo con ordine.

 A.1) Demonizzazione del nemico. Questo è sicuramente unodei primissimi passi da compiere prima di scatenare la guerra

contro qualcuno. Se il nemico non ha le sembianze del male, seesso non appare forte ed inquietante, non si sentirebbe la neces-sità della guerra. Il nemico deve essere avvertito come forte ecome malvagio in modo tale da veicolare e trasformare l’odioche riesce a ingenerare nel popolo, in sostegno alla guerra.

La strategia propagandistica è quella di creare due mondi,due modelli di vita antitetici. Da una parte i buoni, dall’altra icattivi. Da un lato il bene dall’altro il male. Ricondurre tutto al-la lotta campale contro il male serve anche per allontanarel’opinione pubblica dalle vere ragioni della guerra, semplifican-dola e presentandola come guerra mossa da ragioni superiori. Sibadi bene: ambo le parti in causa utilizzano questo stratagemma,

per cui non esiste il bene e il male assoluto, ma sono entrambirelativi. Ciò significa che la nostra parte in guerra verrà dipinta

136 Molte ombre e dubbi esistono sulle dinamiche che hanno portato a quell’infaustogiorno. Per una più approfondita disamina si rinvia a M. Ragnedda, Il Sacrificio, Colibrìedizioni, Milano, 2004.

137 S. Rampton, J. Stauber, Weapon of Mass Deception. The uses of Propaganda in

 Bush’s war on Iraq, Robinson, London, 2003, pp. 91-96.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 109

come il bene, mentre il nemico verrà visto come il male e vice-versa, il nemico si presenterà al suo popolo come il bene, de-monizzandoci.

Un esempio recente può essere rinvenuto nella guerra controla RFY. La propaganda alleata ha da un lato dipinto la NATOcapitanata dagli USA come le truppe del bene, che agivano perragioni umanitarie e dall’altro lato i cattivi, le truppe di “Hitle-rosevic”, che stavano portando avanti una pulizia etnica para-gonabile alla Shoa. La nostra cultura, quella del “mai più Au-schwitz”, non poteva rimanere immobile dinnanzi ad una simileaggressione, perché rimanere inermi significava esserne com-plici. Dinnanzi ad un nemico così crudele, non vi era altra solu-zione che l’intervento armato, la cui autorizzazione, essendo inuna democrazia, poteva giungere “solo” dall’opinione pubblica.Si è fatto dunque leva sull’indignazione popolare, si sono dipin-ti i serbi come barbari e stupratori che, senza pietà, uccidevanodonne e bambini e massacravano un intero popolo inerme.

Senza entrare nel merito della questione e soffermandoci so-

lo sull’aspetto propagandistico, si può vedere come vi sia stata,da parte della NATO, una strumentalizzazione di una tragediacon un indebito paragone storico, che aveva come unico intentoquello di scuotere gli animi, di creare sentimenti di rivalsa neiconfronti di un obiettivo accuratamente prescelto: Milosevic e iserbi. Basti pensare all’analogia, spesso citata, con l’Olocaustofatta per rievocare un capitolo di storia sempre aperto e doloro-so. Quell’ingiusto paragone fu duramente criticato da una listadi 300 ebrei americani, di cui fu primo firmatario NoamChomsky «Molti fautori dei bombardamenti hanno fatto analo-gie con l’Olocausto, sostenendo che il mondo non può stare aguardare la pulizia etnica in Kosovo […] Noi sollecitiamo il ri-

fiuto di queste analogie false ed esagerate con l’Olocausto e laseconda guerra mondiale, che sono usate per raccogliere soste-gno per i bombardamenti»138.

138 Dichiarazione firmata da 300 ebrei americani riportata in “il manifesto”, 13maggio 1999, p. 6.

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Parte II110

Si notino le tecniche propagandistiche utilizzate in questacampagna, di cui si è data argomentazione nei capitoli prece-denti: ricorso alla paura; semplificazione delle ragioni chespingevano la Nato ad entrare in guerra; analogia con un eventostorico di grande impatto emotivo, come la Shoa ol’accostamento di Milosevic a Hitler;  parole virtuose, comeguerra umanitaria, che presentavano la guerra con un volto piùumano;  frasi allusive, che facevano intravedere, senza fornireprove, che nel Kosovo si stava consumando una tragedia imma-ne; l’etichettatura o uso dello stereotipo che dipingeva i serbicome geneticamente guerrafondai e portati a scatenare i conflitti;l’uso di slogan, come lottare per portare pace, sicurezza e liber-tà, spesso pronunciate dall’allora premier britannico, Blair o dalpresidente statunitense Clinton. Per concludere citiamo una di-chiarazione di Clinton che icasticamente racchiude tutti questipunti sinora accennati.«Siamo impegnati in Kosovo con i nostrialleati per un’Europa che, per la prima volta nella storia sia pa-cifica, unita e libera. E siamo lì per contrastare l’ultima grande

minaccia a quel grande obiettivo: l’instabilità dei Balcani, sca-tenata da un'infame campagna di pulizia etnica…»139.La guerra contro la RFY è solo uno dei tanti esempi storici

che possono essere addotti per illustrare e “calare sul campo” ledisquisizioni teoriche sin qui enunciate. Ci si avvale di tali e-sempi perché si ritiene siano utili per capire il corso delle cam-pagne propagandistiche e le tecniche utilizzate. Ovviamente nonè l’unico esempio, ma per ragioni di spazio lo si è citato per lasua emblematicità.

 A.2) Il nemico usa armi non convenzionali. L’enfatizzazionedelle armi che il nemico possiede, servono sia per conferirgli

maggiore credibilità come “demone”, sia per giustificarel’intervento rafforzando la volontà a combattere o sostenere ilcombattimento, convincendo altresì i cittadini sulla “moralità”della guerra. L’esempio più recente lo possiamo facilmente rin-

 139 Le dichiarazione del presidente statunitense risalgano al 23maggio 1999 e sono

citate in “La Stampa”, 24 maggio 1999, p. 2. 

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 111

venire nelle armi di distruzione di massa che il regime irachenoavrebbe dovuto possedere e che invece non sono mai state tro-vate. Di questo però ci si occuperà nell’ultima parte.

La nostra analisi ora si rivolge alle “armi non convenzionali”,utilizzate dai tedeschi nella prima guerra mondiale. La propa-ganda dei Paesi dell’Intesa tendeva a dipingere i tedeschi nonsolo come barbari che bollivano i cadaveri o tagliavano le maniai bambini, ma anche come possessori di armi diaboliche, inqualche modo illegali140. Si pensi all’uso dei sottomarini da par-te della Germania. La propaganda alleata parlava di un uso indi-scriminato da parte dei tedeschi di queste armi anche per affon-dare navi civili, come il famoso caso Lusitania141. Sono stati so-prattutto i gas asfissianti però a fare la loro comparsa come arminon convenzionali. Durante la prima guerra mondiale, tutte leparti in causa additavano l’altro come il responsabile del primoimpiego. Pare assodato che i primi ad impiegare questa tecnicafurono i tedeschi che introducendo sul campo di battaglia i gasvenefici che, lanciati tra le trincee avversarie, provocavano il

soffocamento

142

. La propaganda statunitense e britannica punta-va l’indice contro la Germania, che a sua volta indicava negliavversari i principali responsabili dell’uso di armi non conven-zionali143.

140 Sulla propaganda anglo-americana nella prima guerra mondiale si rimanda a Pe-terson H.C., op. cit..

141 Lusitania era un piroscafo americano, silurato e fatto affondare proprio dai sot-tomarini tedeschi il 7 maggio 1915, con a bordo 1200 passeggeri. A questo avvenimentofu dato ampio risalto, per mettere in luce l’uso di un’arma “illegale” da parte del nemicooltre che la sua crudeltà. In realtà pare assodato che il Luisitania, non fosse un normalepiroscafo che trasportava civili, ma una sorta di Santa Barbara, con a bordo armi e mu-nizioni, notizia di cui i generali tedeschi erano ben a conoscenza.

142 Fu il chimico tedesco, Fritz Haber, a mettere a punto il gas di cloro che, lanciaticontro le trincee, non provocavano necessariamente la morte, ma molto più spesso acce-camento e danni irreversibili al sistema respiratorio. Più avanti i tedeschi sostituirono igas di cloro con vescicanti sparati dai proiettili, contro i quali cominciavano a fare la lo-ro comparsa le maschere antigas, che diventeranno successivamente un simbolo dellearmi di distruzione di massa.

143 Le tragedie provocate dai sottomarini e dai gas, indussero i principali Stati a fir-mare a Washington il 6 febbraio 1922, un trattato contro l’utilizzo di queste armi. Anco-ra più esplicito il Protocollo di Ginevra del 1925, che vietava, in caso di guerra, l’uso digas e di armi batteriologiche.

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Parte II112

Nel 1939 il governo francese e quello inglese fecero pubbli-care una dichiarazione di intenti comune, dove si illustrava lavolontà dei due governi di attenersi, in caso di guerra, alle armiconvenzionali o guerra umana. Lo stesso Hitler, proprio allavigilia della seconda guerra mondiale, in un discorso al parla-mento tedesco, sostenne di aver proposto una “moratoria” con-tro le armi non convenzionali, che però era stata respinta dagliAlleati.

Si è respinta la nostra proposta di limitazioni dell’armamento, di e-sclusione di certe armi e certi metodi che io considero incompatibilicon il diritto delle genti […] Chiunque non si attenga ad una condot-ta umana in guerra non può attendere che un uguale comportamentoda parte nostra144.

Ancora più evidenti saranno i richiami all’uso di armi nonconvenzionali nelle guerre successive. Gli Stati Uniti sono statiaccusati di fare uso di armi non convenzionali a partire dallaguerra di Corea, quando i comunisti del Nord li accusarono di

aver utilizzato armi batteriologiche. Simile accusa, peraltro pro-vata, è stata mossa durante la guerra del Vietnam, quando letruppe statunitensi utilizzarono gas defolianti. Sino a giungerealla guerra del Golfo del 1991. Durante la cosiddetta operazione“Desert Storm”, Saddam Hussein è stato accusato di possedereed usare armi batteriologiche145 e per aumentarne l’impatto e-motivo, sono state più volte mostrate le maschere antigas.

144 A. Hitler, cit., in A. Morelli, Principi elementari della propaganda di guerra.

Utilizzabili in caso di guerra fredda, calda o tiepida, Ediesse, Roma, 2005, p. 82.145 Celebre è il caso dei giornalisti israeliani che, a causa dell’uso obbligatorio della

maschera a gas per la paura di un attacco batteriologico sul suolo israeliano, vanno inonda con la maschera. Sullo sfondo però si vede, per un attimo, un assistente alla regiache passa senza maschera, segno evidente della non necessità di portare la maschera.Essa è venuta assumendo un valore mitico, rappresentato dalla sua forte valenza simbo-lica. L’impatto iconografico rappresentato da giornalisti con la maschera a gas è tale, da“ricordare il terrore arcaico di una morte invisibile e inodore”, I. Ramonet, La tiranni-

a…cit , p. 115. Le maschere a gas erano anche le prove più evidenti della diabolicità delnemico e del fatto che egli utilizzasse armi illegali e non convenzionali.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 113

In sostanza l’utilizzo di armi non convenzionali, viene dipin-to dalla propaganda, come prerogativa esclusiva del nemico, emai come arma che gli eserciti utilizzano.

 A.3) Guerra come risposta. La guerra ci viene presentatacome estrema ratio. Alla guerra non si vorrebbe mai giungere equando vi si giunge la colpa è sempre del nemico. Come si è piùvolte sottolineato la guerra risulta essere una decisione impopo-lare, gravida di conseguenze e ripercussioni. Non la si può dun-que presentare come una scelta voluta, cosa che potrebbe dan-neggiare l’immagine del sovrano, tiranno o presidente, ma comerisposta inevitabile alle barbarie del nemico. La propaganda siprodiga a presentarla come risposta, mai come offesa. La guerraè difensiva e tutte le parti in causa la presentano come tale. Se cisi potesse elevare al di sopra delle parti si vedrebbe come esseutilizzino le stesse argomentazioni per incriminare l’altro. Tuttidipingono il nemico come l’aggressore e la guerra come inevi-tabile risposta.

 B) Bontà delle nostre guerre La nostra è pur sempre una società nata sul e dal rifiuto delle

guerre. Molti Paesi, tra cui l’Italia, portano tale rifiuto nel pro-prio codice genetico, ovvero nella costituzione. In linea di mas-sima la popolazione è pacifista. È difficile, infatti, individuareuna buona ragione, se non si è direttamente attaccati, per spin-gere le persone a sostenere una guerra, visto e considerato cheessa produce morte e distruzione. Non esiste nessun principiorazionale che ci spingerebbe ad intervenire militarmente in terrastraniera, aggredire un popolo, se non per difendere i propri in-teressi e difendersi dalle ingiuste aggressioni del nemico. La

guerra deve essere presentata, agli occhi dell’opinione pubblica,come guerra giusta ed inevitabile: come il male minore, perquanto doloroso.

Le guerre, nonostante si cerchi di tenerne celate le vere ra-gioni, sono sempre portatrici di grandi interessi. A cavallo tra ildiciottesimo ed il diciannovesimo secolo, Karl von Clausuwitz,uno dei più grandi strateghi militare del diciannovesimo secolo,

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Parte II114

parlava della guerra come di un grande gioco di interessi che«non rientra nel campo delle arti e delle scienze, ma in quellodella vita sociale. È un conflitto di grandi interessi, che si risol-ve nel sangue; solo in questo si differenzia dagli altri. Più che aqualunque arte è paragonabile al commercio che è anche unconflitto d’interessi e di attività»146 .

Come pare evidente nessuna guerra potrebbe essere accettatae avallata dall’opinione pubblica se venisse spiegata in questitermini e nessuna guerra infatti sarà mai spiegata così. Nessuno,o quasi, accetterebbe questa idea di guerra intesa come conflittodi grandi interessi, o come parte di un progetto geostrategicoben più ampio, che nulla ha a che vedere con la difesa dei dirittiumanitari e la speranza di portare la democrazia in un Paese op-presso. Sono allora necessarie altre argomentazioni per convin-cere o semplicemente rassicurare l’opinione pubblica. La disser-tazione maggiormente utilizzata prima dell’11 settembre, ed en-fatizzata per giustificare i bombardamenti era la cosiddettaguerra umanitaria. L’obiettivo è palese: creare uno slogan forte,

per il quale non si può che essere favorevoli. Se la guerra è u-manitaria, essere contro la guerra, significa non sostenere le ra-gioni umanitarie. L’associazione “guerra=umanitaria”, dunque,facilita l’accettazione della guerra, poiché cancella le connota-zioni negative.

 B.1) Soccorrere una nazione o un popolo. Quando i fini so-no nobili anche i mezzi non sono da meno. Se il fine è difendereun popolo oppresso e il mezzo-guerra è l’unico disponibile, al-lora anche la guerra sarà buona. Maggiore sarà la forzadell’assunto di base, maggiore sarà il sostegno alla guerra poi-ché vista come soluzione logica e ragionevole. Soccorrere qual-

cuno che si trova in difficoltà o che ha bisogno del nostro aiutoè tra le azioni più caritatevoli dell’essere umano. Spesso peròquesto nobile fine viene utilizzato come pretesto per creare con-senso intorno alla propria campagna propagandistica

146 K.V.Clausewitz, Pensieri sulla guerra, La biblioteca ideale tascabile, Milano,1995, p. 72.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 115

nell’obiettivo di giustificare e presentare la guerra con un voltopiù umano.

Uno dei più interessanti e completi studi in materia di inter-vento umanitario lo si deve ad uno studioso statunitense: SeanMurphy147. Grazie ad un’accurata indagine che prende in rasse-gna gli eventi dalla fase immediatamente seguente al patto Kel-logg-Briand148, fino all’entrata in vigore della Carta delle Na-zioni Unite, questo studio fa emergere come i casi più rilevantidi “aggressioni” targate come intervento umanitario sono state:l’attacco giapponese contro la Manciuria; l’occupazione dellaCecoslovacchia da parte di Hitler; l’invasione dell’Etiopia daparte di Mussolini.

Queste tre invasioni, sempre bollate e presentate come inter-venti umanitari, sono da intendersi come illustri esempi di azio-ni guidate da un’edificante retorica umanitaria e da giustifica-zioni concernenti le situazioni locali. Il Giappone proclamava divoler fondare un “paradiso terreste” attraverso la difesa degliabitanti della Manciuria aggrediti da banditi cinesi con il soste-

gno di un capo nazionalista cinese. Si noti l’analogia con lacampagna propagandistica della NATO nel 1999 circa la “que-stione kosovara”: il Giappone affermava di intervenire per di-fendere i poveri abitanti della Manciuria dalla vile aggressionedei banditi cinesi capitanati da un nazionalista cinese, mentre laNATO affermava di intervenire per difendere i poveri abitantidel Kosovo dalla vile aggressione dei paramilitari serbi capita-nati da un nazionalista serbo. Mussolini invece affermava di vo-ler liberare migliaia di schiavi e di portare avanti la missione ci-vilizzatrice dell’Occidente. Anche in questo caso possiamo ri-scontrare analogie con il Kosovo. Ed infine Hitler annunciaval’intenzione da parte della Germania di porre fine alle tensioni e

147 Sean Murphy è docente di giurisprudenza alla George Washington University edex consigliere legale presso l’ambasciata degli Stati Uniti all’Aia.

148 Il patto Kellogg-Briand fu firmato da quasi tutte le potenze mondiali nel 1928, ecol esso si proclamava la rinuncia perpetua alla guerra intesa come “strumento politico”.Il patto viene così chiamato poiché è stato promosso da Kellogg, importante uomo poli-tico statunitense e segretario di stato dal 1925 al 1929, e dal ministro degli esteri france-se Briand.

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Parte II116

alla violenza etnica e di tutelare l’individualità nazionale delpopolo tedesco e di quello ceco con un’operazione ispiratadall’onesto desiderio di servire i reali interessi delle popolazioniabitanti la regione e conforme al loro volere149.

Gli Stati Uniti nel 1999, ponendosi a capo di una specie didelegazione internazionale decisero di invadere, per ragioniumanitarie, uno stato sovrano come la RFY. La guerra umanita-ria, termine coniato per tale guerra, suggeriva, già nella suastessa definizione, la giusta causa, la nobile causa: una guerracondotta in nome di principi umanitari. Una guerra dunque giu-stificata in nome dei valori ed in difesa dei diritti umanitari.L’appellarsi ed il fare ricorso ai diritti calpestati delle minoran-ze etniche e religiose, è spesso stata usata come pretesto per te-nere celata la vera ragione che spinge ad entrare in guerra. Po-chi oggi dubitano, infatti, che le parole utilizzate da Mussolini oHitler siano state semplicemente un escamotage retorico perrendere meno aggressivo il loro intervento e galvanizzare letruppe e l’opinione pubblica. Ma a differenza delle dittature,

dove come abbiamo visto la propaganda è ben strutturata ed èun processo assolutamente visibile e tangibile, nelle democraziedove non si può non tener conto del peso dell’opinione pubblica,è necessario un maggiore e più sofisticato impegno propagandi-stico che deve tenere conto dell’autonomia e dell’indipendenzadei mass media.

 B.2) Guerra giusta. Al di là di queste argomentazioni lingui-stico-retoriche, vi è un altro punto sul quale dovremmo riflettere:il continuo ricorso alla “giusta causa” che giustifichi la “guerragiusta”. Tutte le campagne propagandistiche devono presentaree promuovere la guerra come la cosa giusta da fare; tutte le

campagne propagandistiche basano i loro sforzi sull’intento didipingere lo sforzo bellico come la guerra giusta. Sicché si puòaffermare che tale obiettivo sia divenuto una vera necessità co-municativa.

149 Si veda N. Chomsky, Il nuovo umanitarismo. Lezioni dal Kosovo, Asterios Edi-tore, Trieste, 1999: 100-101

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 117

L’utilizzazione di tale terminologia per giustificare un inter-vento armato non è nuova, anzi sembra essere un esercizio reto-rico e giuridico ben collaudato150. È soprattutto con la primaguerra mondiale però che scoppia il mito della guerra giusta,mito che ritornerà a più riprese nelle guerre successive. «In ogniPaese lo scoppio della guerra provocò, contemporaneamente al-la mobilitazione militare, una mobilitazione politica, che vide iltrionfo dell’unanimità patriottica, la diffusione del mito della«guerra giusta» affrontata da ogni Stato per legittima difesa»151.

Naturalmente, l’uso dell’espressione “guerra giusta” è moltoantico e radicato nella nostra storia. Già in epoca romana si eraelaborato un complesso e rigido sistema sulla base del qualegiustificare un intervento armato. A differenza di quanto succe-de oggi, la necessità di definire un intervento armato comeguerra giusta dipendeva piuttosto da ragioni giuridiche e tecni-che che da propositi propagandistici. Durante il periodo romanoinfatti,

si aveva bellum iustum quando i Romani muovevano guerra, secon-do l’antico rituale posto in essere dai sacerdoti Feziali, ad un popolostraniero qualora esso non avesse provveduto, entro trenta giorni, al-la richiesta di soddisfazione per l’eventuale danno subìto o temuto.La “guerra giusta” per il popolo romano consisteva in una procedurarigorosamente fissata dal diritto, a cui, per motivi di ordine giuridi-co-religioso soprattutto nel lungo periodo della formazione e delconsolidamento della civitas (VI-IV sec. a.C.) bisognava attenersiper il buon esito dell’evento bellico. L’aggettivo iustum richiamava,in quel contesto, non un valore etico di giustizia quanto piuttosto ri-gorosi criteri giuridici L’espressione bellum iustum, indicava la guer-ra secondo le regole del diritto: una guerra, diremmo oggi, giuridi-camente legittima, cioè tutta interna alla sfera del diritto152.

150 La bibliografia sulla “guerra giusta” è vasta e qui si elencano alcuni classicisull’argomento: L. Le Fur, Guerre juste et juste paix, Paris, 1920; R.H.W. Regout,  La

doctrine de la guerre juste de Saint Augustin à nous jours , Paris, 1934, rist. Aalen,1974; J.T. DELOS, Sociologie de la guerre moderne et théorie de la guerre juste, inGuerre et Paix, 1953, pp. 201-224.

151  La Storia, vol. XII, UTET/la Repubblica, p. 684.152 Introduzione al volume A. Calore (a cura di), “Guerra giusta”? Le metamorfosi

di un concetto antico, ed. Giuffrè, Milano, 2003.

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Parte II118

Guerra giusta era per i romani dunque la guerra giuridica-mente corretta e non quella che si basava su regole etiche o mo-rali: queste erano in secondo piano. Ora le posizioni si sono in-vertite: le più recenti campagne propagandistiche si sforzano didimostrare i valori etici e morali che possono giustificare unaguerra, mettendo in secondo piano il diritto internazionale. Sipensi alla già citata guerra contro la RFY avvenuta senzal’avvallo del Consiglio di Sicurezza ma presentata come giustain quanto umanitaria o la guerra contro l’Iraq nel 2003,anch’essa priva di qualsiasi sostegno giuridico e presentata co-me giusta sulla base del principio di autodifesa preventiva. Tragli altri esempi storici possiamo citare anche la guerra di Pana-ma, prontamente battezzata come Operation Just Cause

153.

 B.3) Estendere la democrazia. La guerra è pace, scrive Or-well nel suo celeberrimo romanzo. Questo paradosso contienein sé una verità di fondo: le guerre spesso vengono presentatecome inevitabili per riportare la pace. L’obiettivo della propa-

ganda è quello di dipingere il proprio intervento armato comel’estrema soluzione per riportare la pace e l’ordine. La guerra èsempre più dipinta come una medicina che anche se amara è ri-tenuta necessaria ed indispensabile per guarire il male e riporta-re serenità e benessere. Fuor di metafora la guerra spesso si ren-de necessaria per estendere la democrazia ed abbattere un regi-me. Così perlomeno la propaganda tende a presentare il conflit-to. Non è un caso che la guerra contro l’Iraq di Saddam Husseindel 2003, sia stata inizialmente presentata come guerra preven-tiva contro le armi di distruzione di massa (facendo leva sullapaura che il nemico rappresentava) e successivamente, visto ilclamoroso fallimento delle ispezioni, sia stata presentata come

una guerra fatta per estendere la democrazia in Medio Oriente.In questa ottica deve essere vista l’enfasi sulle “prime elezionilibere nell’Iraq liberato”. Questa frase racchiude al suo interno itemi della nuova propaganda nel dopoguerra iracheno. Parlare

153 A tal proposito si rimanda a B. Watson, P.G. Tsouras, (a cura di) Operation Just 

Cause: The U.S. Intervention in Panama, Westview Press, Boulder Co., 1991.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 119

di prime elezioni libere significa enfatizzare il concetto di de-mocratizzazione, poiché per la prima volta nella storia irachenasi è arrivato ad elezioni, segno evidente che la tirannia è finita.Iraq libero di conseguenza significa che la guerra è stata utileper liberare un Paese. Da ciò si deduce che la guerra è stata giu-sta perché ha liberato un popolo, ha esteso la democrazia e perquanto amara sia stata la medicina, ora il paziente sta meglio154.

C. Sostegno alla guerra

La buona propaganda di guerra deve far sentire alto il soste-gno alla propria azione. È necessario, per tenere alto il moraledelle truppe e per galvanizzare i sostenitori della guerra, indurlia credere che non solo non sono soli ma che godonodell’appoggio di tutta la nazione, della comunità internazionalee della divinità.

C.1) Sostegno interno. Il target principale di ogni campagnapropagandistica è evidentemente il proprio popolo. Sarà infatti

la nazione a scendere in guerra e sarà ad essa che verranno chie-sti maggiori sacrifici. Più la popolazione è motivata e sostiene ilconflitto, più sarà disposta a sacrificarsi per la causa. Ciò valesia per chi si impegna in prima linea con le armi in pugno, siaper chi con stenti e fatiche sostiene da casa il conflitto. La guer-ra per una nazione significa anche sacrificio di persone e di de-naro. Maggiore sarà il sacrificio richiesto e maggiore deve esse-re il sostegno dell’intero Paese e dunque più massiccia deve es-sere la campagna propagandistica.

La prima e la seconda guerra mondiale hanno richiestoall’intero Paese un immane sacrificio in termini di vittime uma-ne e in termini di produzione. L’intero Paese era coinvolto, dal-

le donne in fabbrica agli uomini al fronte, tutti lavoravano infunzione della guerra. L’esito della guerra dipendeva anchedall’impegno e dalla devozione per la causa e per aumentarne il

154 Ovviamente non tutti digeriscono ed accettano questa versione, ma qui si volevasolo evidenziare l’obiettivo che la propaganda si era prefissato a prescindere dai risultatiottenuti.

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Parte II120

coinvolgimento era necessaria una martellante campagna pro-pagandistica. Nella prima guerra mondiale, in particolare, la ge-stione dell’informazione, in tutte le nazioni coinvolte, era total-mente gestita dallo Stato, tutte le notizie provenienti dal fronteche potevano intaccare il morale delle truppe o di chi lavoravavenivano cancellate, la stampa riportava le parole chiave dellapropaganda nazionale e il mondo degli artisti e degli intellettua-li era pienamente mobilitato a favore della guerra. L’obiettivoera quello di contribuire alla mobilitazione delle coscienze, e gliartisti e i poeti erano in prima linea in questa operazione poichécon il loro talento e fascino riuscivano più di altri a diffondere,in maniera emozionante, le parole chiave della propaganda. Si èdetto emozionante poiché, come più volte ripetuto, è sul pathosche la propaganda tende a far leva e non sulla razionalità: e chimeglio degli artisti riesce ad emozionare e toccare l’intimitàdelle coscienze?

Il ruolo degli artisti viene scemando, però, già a partire dallaseconda guerra mondiale, quando le agenzie di pubbliche rela-

zioni prenderanno il loro posto nella mobilitazionedell’opinione pubblica, anche se questo non significa che il lororuolo scompaia del tutto. Cosa diversa per quanto riguarda gliintellettuali. La loro importanza non solo diminuisce, ma tendenotevolmente ad aumentare nella propaganda per le guerre mo-derne. Il loro ruolo è decisamente più importante nelle demo-crazie che nelle dittature, per l’evidente motivo che nelle primeil suo maggior status è dato dall’indipendenza. Si deve però e-videnziare che, come sottolineeremo in maniera più approfondi-ta più avanti, l’accesso al libero mercato delle idee non è sem-pre garantito e non tutte le idee hanno lo stesso peso. Le idee“antagoniste”, contro la guerra e gli interessi della classe domi-

nante non hanno la stessa possibilità di accesso e lo stesso spa-zio che le idee pro-sistema trovano. Ciò significa che gli intel-lettuali pro-guerra (nel caso specifico della propaganda bellica)troveranno maggiore spazio sulla scena mediatica, in particolarmodo nel mondo televisivo e le loro opinioni riceveranno unamaggiore enfasi delle altre.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 121

C.2) Sostegno internazionale. In questo caso il target di rife-rimento della campagna propagandistica, si sposta al di là deiconfini nazionali. Non si tratta però solo della propaganda e-sterna di cui si è fatto cenno nel secondo capitolo, o meglio nonsi tratta solo di convincere gli alleati a schierarsi dalla nostraparte. Significa anche persuadere il proprio popolo che la guerraè giusta e inevitabile anche perché è appoggiata all’estero. Nelprimo caso si cercherà di estendere la propria influenza soprat-tutto verso gli opinion leaders esteri con quella che abbiamochiamato treetops propaganda, in modo tale che essi funganospontaneamente da cassa di risonanza presso il proprio pubblico.Nel secondo caso invece il sostegno è ricercato nelle masse,grassroots  propaganda, facendo largo uso della cosiddetta tec-nica “effetto gregge internazionale”. L’obiettivo di questa tecni-ca di persuasione è quella di creare una concezione per cui an-che all’estero si appoggia la nostra decisione, cosa che aumentail sentimento di appartenere alle scelte della comunità globale.Il caso della guerra in Iraq del 2003, che si affronterà

nell’ultima parte, ben illustra questo aspetto.C.3) Sostegno divino. Se anche Dio è dalla nostra parte, le

ragioni che ci spingono in guerra non possono che essere nobili.Ecco perché da sempre si è cercato di “avere Dio” come spon-sor o supporto della guerra. Si è volutamente usato il terminesponsor, poiché tale termine riesce più di altri a rendere l’idea diun ente superiore, e giusto per eccellenza, che garantisce sullabontà della guerra. Il sostegno divino non serve però solo pergiustificare ed avallare le posizioni favorevoli alla guerra, maanche per dare maggiore forza e coraggio ai combattenti. Il pre-testo divino, come è evidente, sarà maggiore laddove la religio-

sità è più diffusa e radicata. Nei gruppi integralisti religiosi il ri-corso alla causa divina è cosa ampiamente diffusa. Molti gruppi,particolarmente di fede islamica, si rifanno, sin nel nome dellapropria organizzazione, al martirio in nome della fede.Nell’occidente laico i richiami alla religione e a Dio per giusti-ficare una guerra sono sempre meno frequenti, eccezion fattaper gli Stati Uniti. Pur essendo un Paese laico, gli USA, nella

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Parte II122

loro propaganda bellica, fanno molto spesso riferimento a Dio.Caso emblematico la frase di Bush Jr, durante la guerra control’Iraq nel 2003 che sottolineava come Dio fosse dalla loro parte;o ancora si pensi alla suddivisione manichea del bene contro ilmale che richiama pur sempre l’aspetto religioso.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 123

CAPITOLO IV. La privatizzazione della propa-ganda

4.1 Cosa sono e come nascono le agenzie di pubbliche

relazioni

Oggi esistono società private, le cosiddette agenzie di PublicRelation (PR), che hanno il dichiarato obiettivo di influenzareed orientare l’opinione pubblica per “conto terzi”. Si tratta disocietà private che portano avanti campagne propagandistichead hoc, con l’obiettivo di influenzare l’opinione pubblica su undeterminato argomento e orientarla a favore del gruppo di inte-resse. La propaganda diventa così un prodotto che viene offertosul mercato e viene acquistato come qualsiasi altro bene. Talisocietà, con i loro servizi, mirano ad ottenere, generalmente,degli effetti immediati ovvero cercano di muovere e formare

l’opinione pubblica su tematiche di attualità ed in tempi relati-vamente veloci. Questo è sicuramente il caso della propagandadi guerra o di quella commerciale, dove l’orientamentodell’opinione pubblica deve essere il più celere possibile155.

Queste grosse multinazionali risultano oggi ampiamente uti-lizzate, in termini propagandistici, in svariate situazioni: durantei conflitti, quando si tratta di convincere l’opinione pubblica adappoggiare una guerra o una occupazione di un Paese straniero;quando si tratta di promuovere o migliorare l’immagine di unoStato all’estero. Sono anche usate in tempo di pace, sia in cam-pagna elettorale sia quando si tratta di preparare l’opinionepubblica ad una riforma che potrebbe essere costosa in terminidi immagine o per curare l’immagine di una società privata156. Il

155 Una raccolta delle principali trovate pubblicitarie da parte delle PR si trova inF.C. Jacobson, Publicity stunt! Great staged events that made the news, ChronicleBooks, San Francisco (CA), 1989.

156 Per maggiori dettagli sulle strategie e le tattiche adottate dalle PR si veda D.L.Wilcox, P.H. Ault, W.K. Agee, G.T. Cameron, Public relations strategies and tactics,Longman, White Plains (NY), 1991

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Parte II124

ruolo di queste agenzie è del tutto simile a quello del “propa-gandista di stato”, ovvero di quell’ufficio o dipartimento gover-nativo preposto a tale compito. L’obiettivo è sempre lo stesso:si tratta di veicolare, attraverso tutti i mezzi a disposizione, unaparticolare immagine di un governo, di un gruppo ribelle, di unpartito o più nello specifico di una proposta di legge. Si devepropagandare una particolare idea non solo senza dover neces-sariamente condividerne i principi ma addirittura essendonecompletamente estraneo. Infatti, tra i vari clienti delle PR, comeappena accennato, vi sono anche gli Stati che in particolarimomenti storici cercano di migliorare la loro immagineall’estero, affidando il compito di “propaganda estera” non a unloro dipartimento o ufficio ma a terzi, a società private appunto.Si viene così a creare quel fenomeno che qui viene definito la“privatizzazione della propaganda”. Mentre un tempo l’attivitàdi promozione della propria immagine, di influenza e orienta-mento dell’opinione pubblica, sia interna che esterna al proprioStato, poteva essere considerata parte integrante delle attività di

uno Stato, ora questo compito viene affidato all’esterno a socie-tà private che prendono in appalto questa mansione. Nelle so-cietà democratiche non esistono dei “Minculpop” centralizzatima si assiste, anche in questo settore, ad una privatizzazionedelle varie mansioni.

La propaganda viene vista come un prodotto e come talevenduta sul mercato al miglior acquirente. L’immagine o la “ra-gione da vendere” coincidono con la posizione dei loro clienti, equesto indipendentemente dal fatto che siano governi democra-tici o dittature, istituzioni sopranazionali o gruppi paramilitari.Poco importa quali siano i clienti o le “verità” da propagandaree diffondere, poiché come dice James Harff, direttore della Ru-

der&Finn157

una delle agenzie di PR più grandi del pianeta«non siamo pagati per essere morali. Il nostro lavoro non è diverificare le informazioni ma di accelerare la circolazione di

157 L’elenco completo dei vari clienti della Ruder & Fiin è disponibile all’indirizzoweb: http://www.ruderfinn.com/about_client.asp (Marzo 2005)

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 125

quelle a noi favorevoli, per raggiungere bersagli accuratamentescelti»158.

Al di là dei diversi compiti che via via possono assumere, illoro obiettivo rimane invariato: influenzare a loro favorel’opinione pubblica su un particolare tema. Esse svolgono dellevere e proprie campagne propagandistiche per gli Stati, venden-do il prodotto “propaganda” sotto diverse etichettature, quali“curare l’immagine”, “marketing politico” ecc... arrivando, inalcuni casi, ad influenzare il mondo dell’informazione159.

Queste grosse società, così come le intendiamo oggi, hannofatto la loro comparsa negli Stati Uniti in relazione e subito do-po il lavoro della “commissione Creel”160. Tali società privateincaricate di influenzare il grande pubblico, nascono dunquecome una costola e in seguito al primo deliberato e massicciotentativo di influenzare l’opinione pubblica in uno Stato demo-cratico. Non solo il lavoro di questa commissione ha fornitomateriale e spunti dai quali partire, ma esiste un rapporto direttotra le persone che parteciparono a tale commissione e i fondato-

ri delle agenzie di PR, primi fra tutti Lippman e Bernays, sceltidal presidente Wilson, come membri del “Committee on PublicInformation” (CPI). L’attuale industria delle pubbliche relazioniè una conseguenza diretta del lavoro di Lippman e Bernays, edin particolar modo di quest’ultimo, nipote di Freud, che diresseper decenni una PR usando gli strumenti del “mestiere” comepsicologo ma anche applicando i risultati e l’esperienza accu-mulati in seno alla commissione.

Secondo le analisi di Rampton e Stauber161, i professionistidi tali agenzie, da loro definiti come i primi persuasori di massa,

158 Cit. in J. Merlino , Les verites yougoslaves ne sont pas toutes bonnes a dire, Al-bin Michel, Paris, 1993, p. 38.

159 S. Rampton, J. Stauber, Toxic Sludge, cit….160 Per una analisi più dettagliata delle origini e degli antecedenti delle PR si riman-

da a S.M., Cutlip Public relations history. From the 17th to the 20th century. The ante-

cedents, Lawrence Erlbaum Inc., Hillsdale (NJ), 1995; sempre dello stesso autore siveda, The unseen power. Public relations. A history, Lawrence Erlbaum Inc., Hillsdale(NJ), 1994.

161 Si veda S. Rampton, J. Stauber, Trust Us, We’re Experts, Jeremy P.Tarcher/Putnam, (USA), 2001.

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Parte II126

non svolgevano il loro lavoro per “semplici” ragioni economi-che ma anche perché convinti di svolgere un servizio morale pertutta l’umanità. Credevano infatti che la democrazia fosse cosatroppo complicata per la gente comune e si doveva allora dir lo-ro cosa pensare, per evitare che l’autonomia di pensiero potessedanneggiarli162 . Bernays è talmente convinto dell’importanzache gli addetti alle PR hanno nella nostra società che, enfatiz-zandone il ruolo, si spinge a sostenere che

quelli che manipolano il meccanismo nascosto della società costitui-scono un governo invisibile che è il vero potere che controlla. Noisiamo governati, le nostre menti vengono plasmate, i nostri gustivengono formati, le nostre idee sono quasi totalmente influenzate dauomini di cui non abbiamo mai nemmeno sentito parlare. Questo è illogico risultato del modo in cui la nostra società democratica è orga-nizzata163.

Bernays descriveva il pubblico come “un gregge che ha bi-sogno di essere guidato” e vedeva l’uomo muoversi e pensare ingregge, cosa che rende la gente “ben disposta verso la classe di-rigente”164. Bernays ha una visione dell’uomo e della societàche oggi potremmo definire “apocalittica”: egli infatti ritieneche l’essere umano sia facilmente influenzabile e manipolabiledall’alto, attraverso un sapiente uso dei media. Una visione que-sta in parte riconducibile al clima culturale dell’epoca contras-segnato da quello che abbiamo visto essere la “teoria ipodermi-ca”. In realtà, come evidenziato prima, gli studi sul settore han-no messo in evidenza come i cittadini non siano passivi dinnan-zi ai media ma abbiano elaborato, con il passare del tempo, lacapacità di selezionare gli input proveniente dal mondo media-tico. Sembra altrettanto vero però che, nonostante il “ruolo atti-

vo” da parte del fruitore dei media, i mezzi di comunicazione dimassa conservino qualche forma di potere di influenza. Le PR

162 Ivi, p. 42.163 E. Bernays, Propaganda, Ig Publishing, New York, 1928, p. 61.164 Per un maggior approfondimento sulla figura di Bernays come esperto di PR si

veda L. Tye, The father of spin. Edward L. Bernays and the birth of public relations ,Crown Publishers, New York (NY), 1998.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 127

si inseriscono all’interno di questo mondo svolgendo una sortadi ruolo persuasivo e di orientamento dell’opinione pubblica. Illoro compito è quello di disporre in maniera a loro favorevole iltarget di riferimento, persuadendolo e convincendolo ad accetta-re la verità da loro proposta. Tale verità può essere la bontà diun prodotto, la necessità di una guerra ma anche le ragioni e ivalori di uno Stato.

4.2 Promuovere l’immagine Il divario fra quello che siamo,

il modo in cui vogliamo essere

visti e la percezione che invece si ha di noi,

è spaventosamente enorme.Charlotte Beers

Una delle principali attività di propaganda svolta dalle PR èquella di promuovere l’immagine di una società o di uno Stato.In quest’ultimo caso si ha a che fare con la specifica forma de-

nominata “propaganda estera”. Infatti si tratta di propagandarele virtù di uno Stato al di fuori dei confini nazionali. L’obiettivoè duplice: da una parte cercare di estendere la propria influenzae dall’altra quella di limitare i sentimenti di astio.

Gli Stati Uniti, subito dopo l’11 settembre 2001, hanno av-vertito la necessità di affidare alle PR il compito di curare lapropria immagine all’estero ed in particolar modo nei Paesi ara-bi165, con l’obiettivo primario di contrastare l’antiamericanismodivampante nel pianeta. Come si è visto, dopo l’11 settembre siè assistito ad una sorta di rinascita della propaganda, dopo il“letargo degli anni Novanta”. Gli Stati Uniti cominciarono achiedersi, in maniera quasi ossessiva, il perché di tanto odio nei

loro confronti, scoprendo così di non essere quel punto di rife-rimento valoriale che credevano di essere per il resto del pianeta.Questo aspetto comporta che la propaganda interna ha prodottoi suoi frutti, essendo riuscita ad esaltare l’“american way of life”

165 N. Snow,  Information War. American Propaganda, Free Speech and Opinion

Control Since 9-11, Seven Stories Press, New York, 2003

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Parte II128

come modello di vita. Il sogno americano infatti, per buona par-te del mondo occidentale, è rimasto il punto di riferimento a cuiispirarsi e dopo la caduta del Muro di Berlino, non sembravaavere rivali nell’immaginario.

L’11 settembre ha però messo in evidenza come i valori oc-cidentali propagandati dai media, intesi nella sua accezione piùampia, non siano riusciti a superare i “confini occidentali”.Quegli attentati hanno portato alla luce un aspetto che una partedegli statunitensi probabilmente ignorava: l’esistenza di un’altraarea del pianeta che ripudia quei valori condivisi e accettati inpatria. Da ciò si può dedurre che la propaganda estera ha fallitopoiché non solo non è riuscita a veicolare i valori e a far accet-tare il modello di vita occidentale in questa particolare area delmondo ma, cosa ancora più preoccupante, non è stata in gradodi arginare l’odio contro di essa. Questo ha provocato una idio-sincrasia tra come gli americani credevano di essere percepiti evisti nel mondo e come in realtà lo erano. Emerge dunque un“gap propagandistico” tra la propaganda interna, intesa ad esal-

tare nell’immaginario del proprio popolo il ruolo che gli USAhanno nel mondo, e la propaganda esterna che si prefiggeva lostesso obiettivo ma all’estero, oltre i confini nazionali. La pro-mozione dell’immagine all’estero è almeno in parte riuscita intutto il mondo occidentale mentre, come si è visto, è deterioratanel tempo in quei Paesi a prevalenza musulmana.

Dopo quegli attentati, che hanno segnato un po’ il culmine diquesto odio, gli Stati Uniti hanno deciso di dare luogo ad unamassiccia campagna propagandistica esterna per cercare di por-re freno all’antiamericanismo dilagante. Per farlo ci si è affidatialle tecniche del marketing pubblicitario e alle PR. Questo lo sievince dal fatto che non solo alcune PR siano state incaricate di

promuovere e migliorare l’immagine degli USA all’estero, inparticolar modo nei Paesi arabi, ma anche istituendo un apposi-to dipartimento governativo reclutando persone e tecniche diret-tamente dal mondo pubblicitario e dalle PR166 . È il caso di

166 Nel sito ufficiale di questo dipartimento si legge che l’obiettivoste: “nell’assicurare che le pubbliche relazioni (di coinvolgimento, di informazione e

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 129

Charlotte Beers ex presidente e amministratore delegato di duedelle maggiori agenzie pubblicitarie del mondo, la J. WalterThompson e la Ogilvy & Mather, ingaggiatadall’amministrazione Bush, come ha spiegato Colin Powell,«per passare dalla semplice vendita dell’immagine USA… almarchio della politica estera»167. Il perché ci si è affidati alletecniche pubblicitarie nel promuovere o persuadere un contestoostile ad accettare e vedere di buon grado gli Stati Uniti ci èsuggerito da Ballardini quando puntualizza che, nell’epocadell’informazione, tutte le forme di comunicazione tendono aconformarsi al modello pervasivo ed efficace per eccellenza,che è appunto quello della pubblicità168. Questo ci fa supporreche la persuasione stia venendo a sostituirsi all’informazione,divenendo essa stessa informazione. Prima di operare con lapersuasione, tuttavia, occorre preparare il terreno con tecnichediverse.

La Beers è considerata la stratega per eccellenza del marke-ting pubblicitario e l’auspicio era appunto quello di riuscire a

“vendere” valori e idee, esattamente come succede nel marke-ting pubblicitario dove dietro ogni prodotto si vendono anchevalori. Il suo obiettivo non era tanto quello di promuovere leguerre in Afganistan o Iraq, ma quello di creare un’opinione piùfavorevole sugli Stati Uniti all’estero, in particolar modo in queiPaesi dove l’astio nei confronti degli statunitensi era maggioreed in continua crescita. La rivista statunitense Salon intervistan-do due analisti del mondo delle PR, ha chiesto che cosa si deb-ba intendere per marchio nel caso di un Paese.

guida, di influenza sulle comunicazioni internazionali importanti), vengano praticate inarmonia con gli affari pubblici (con sfera di estensione al di là degli Statunitensi) e conla diplomazia tradizionale, per dare impulso agli interessi e alla sicurezza degli USA edi produrre la base morale per la leadership Americana nel mondo” Il sito è disponibileall’indirizzo web: www.state.gov/r.

167 Cit. in I. Teinowitz, Charlotte Beers and the Selling of America, in «AdvertisingAge», 23 settembre 2002, articolo disponibile in rete all’indirizzo web: http:// www.adage.com/news.cms?newsId=36106 (18 gennaio 2003).

168 B. Ballardini, La morte della pubblicità, Castelvecchi, Roma, 1994, p. 118

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Parte II130

Charlotte Beers era un’esperta in “gestione del marchio”. Il marchioè generalmente un’idea che induce la gente ad associare i valori e-motivi al prodotto o all’idea che si sta vendendo. Questo è ciò chedicono sempre i pubblicitari, in un certo senso. “Vendi lo sfrigolio,non la bistecca”. Cercano di venderti un’automobile, non perché sitratta di un mezzo di trasporto, ma perché ti fa sentire più forte. Op-pure che ti fa sentire più sexy. Cercano di vendere in base alle rea-zioni emotive che tentano di suscitare nel pubblico169.

La campagna propagandistica della Beers non ha ottenuto glieffetti sperati, anzi secondo alcuni analisti, è stata controprodu-cente. Questo ancora una volta mostra il gap tra la propagandainterna e quella esterna. Infatti se da una partel’amministrazione statunitense, come si vedrà meglio più avanti,è riuscita a convincere l’opinione pubblica interna della necessi-tà della guerra contro l’Iraq, lo stesso non è riuscita a fare con ilmondo arabo. Anzi vi è stata una recrudescenza dell’immaginenegativa degli Stati Uniti presso questi Paesi. Le ragioni sonoda ricercarsi nel diverso terreno in cui fioriva la propaganda. Inaltri termini, come si è già visto, la propaganda è un fenomeno

onnipresente in ogni forma di società, ma per essere più efficacedeve adattarsi alla situazione sociale e culturale in cui prospera.Pensare di esportare, sulla base del modello statunitense ed uti-lizzando le tecniche della pubblicità tipiche degli Stati Uniti, ivalori e la base morale in un terreno così profondamente ostile ediverso, è impensabile oltre che controindicato.

Secondo Naomi Klein è l’impostazione stessa del lavoro af-fidato alla Beers ad essere sbagliata. Il discorso sarebbe moltopiù ampio e non può essere qui affrontato, ma non si deve di-menticare che le ragioni dell’astio nei confronti degli Stati Unitinon sono imputabili a ragioni comunicative ma pratiche, diplo-matiche. Non è questione di marketing ma di diplomazia.

Il più forte “attributo del marchio” del Paese, per usare un terminedel mondo della signora Beers, è il suo abbracciare la diversità, un

169 Intervista fatta dalla rivista Salon a S. Rampton, J. Stauber, tradotta in italiano daNuovi Mondi Media e disponibile in rete all’indirizzo web:http://www.carmillaonline.com/archives/2004/01/000546.html (15 novembre 2004)

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 131

valore che ora la Beers sta cercando paradossalmente di imporre conuniformità nel mondo, come con uno stampino. Il tentativo non soloè futile ma anche pericoloso: la coerenza del marchio e la vera diver-sità umana sono antitetici; l’uno cerca l’uniformità, l’altro celebra ladifferenza; l’uno teme tutti i messaggi improvvisati, l’altro abbracciail dibattito e il dissenso170.

Due esempi chiariranno meglio questo punto. Il dipartimento

di Stato, attraverso un privato, ha lanciato, in questo progetto di“propaganda soffice”, una nuova rivista nei Paesi mediorientali.Un lancio multimilionario che ha riguardato quattordici Paesi eche ha trovato un notevole spazio presso la stampa statunitensee che avrebbe dovuto, nelle intenzioni, lentamente, modificarela percezione che degli Stati Uniti si aveva in questi Paesi cer-cando di conquistare il cuore e le menti del loro pubblico. Que-sto è un tipico esempio di azione di PR industriale. Azione peròche non ha preso in debita considerazione le diverse visioni re-ligiose ed etiche di una differente cultura. Risultato, la rivistatanto pubblicizzata e ritenuta una sorta di cavallo di Troia percominciare a conquistare i cuori degli adolescenti, e non solo, èstata un fallimento, risultando inoltre in qualche modo offensiva.

Un’altra importante iniziativa di promozione e diffusione deivalori statunitensi nel mondo arabo studiata dal Dipartimento diStato e da Beers è stata la campagna denominata “Shared Va-

lues” ovvero valori condivisi. L’obiettivo di questa campagna èevidente sin nel titolo, cioè quello di proporre gli Stati Uniticome uno stato “civile e democratico” in cui è possibile pratica-re ogni religione e dove la tolleranza nei confronti di tutti i cre-do è garantita. Lo scopo di questa pubblicità era quello di mo-strare al target di riferimento, ovvero gli islamici dei Paesi arabi,che il musulmano americano medio viveva liberamente negli

Stati Uniti ed era scevro da qualunque discriminazione religiosae razziale. In questa pubblicità compaiono musulmani americaninon solo perfettamente integrati ma che rivestono incarichi di

170 N. Klein, The Spectacular Failure of Brand USA, in «Los Angeles Times», 11marzo 2002, disponibile in rete all’indirizzo web:http://www.naomiklein.org/articles/2002/03/spectacular-failure-brand-usa (12 ottobre2010).

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Parte II132

rilievo. Tra di essi spicca la figura di Elias Zerhouni, direttoredel National Institutes of Health o i pompieri di New York rite-nuti eroi dopo quanto successo l’11 settembre. Questo spot sa-rebbe dovuto andare in onda nelle principali emittenti arabe, maè stato ritenuto offensivo e per questo rifiutato da molte di esse.Infatti sullo sfondo di questo spot si vede una donna correre inpantaloncini, cosa che ha indignato alcune emittenti arabe. Quiancora una volta viene ad emergere uno dei principali errori del-la Beers e del suo lavoro: quello di non conoscere affatto la cul-tura e il sistema di valori dei Paesi a cui voleva rivolgere la pro-pria campagna di PR. Secondo Marcello Foa, la scelta della Be-ers per dirigere un programma così complesso di propaganda èstata sbagliata per un duplice motivo: «Il primo: la Beers è unadonna chiamata a immergersi in un contesto islamico e tenden-zialmente “maschilista”. Il secondo: è specializzata nelle Pr in-dustriali, non in quelle culturali, politiche e religiose»171.

Un aspetto cruciale per cercare di capire il fallimento di que-sta campagna di propaganda è da rinvenirsi nel contesto ostile

in cui veniva ad inserirsi. Più l’ambiente è fertile per far cresce-re e maturare le idee che si vogliono propagandare, maggioripossibilità di essere efficace avrà la campagna propagandistica.Fuor di metafora, in un ambiente ostile le “intrusioni” del nemi-co, o di chi viene avvertito come tale, vengono subito etichettatecome propaganda e per ciò ripudiate. È difficile avere successocon una “dichiarata” campagna propagandistica in un luogo o-stile. La cosa si complica ulteriormente se chi la promuove nonha una perfetta conoscenza della cultura e del contesto nel qualevuole fare breccia. Si rischia, come nei due casi appena esposti,non solo di non aver successo ma addirittura di risultare contro-producenti.

171 M. Foa, L'ultimo colpo dei 600 esperti della guerra mediatica. La strategia della

comunicazione Usa, in «European Journalism Observatory», dicembre 2003, disponibi-le in rete all’indirizzo web:http://www.ejo.ch/analysis/publicrelations/SpinCasaBianca_it.html (18 gennaio 2005).

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 133

4.3 Le agenzie di Pubbliche Relazioni e la campagnacomunicativa in tempo di guerra

La guerra porta con sé odio, distruzione e morte. Questa è laguerra per chi la vive e la subisce. Per altri la guerra è essen-zialmente un problema di  public relation. Questi professionistidella comunicazione vengono pagati per curare l’immagine diun partito, governo o se vogliamo di un modello di vita 172. Nonnecessariamente essi devono credere nella causa per cui lavora-no, ma possono essere asettici e distaccati rispetto all’immagineche devono curare, proprio come nella propaganda commerciale.Il loro obiettivo è promuovere una causa, prescindendo da even-tuali implicazioni morali o etiche, come nel caso dei servizi of-ferti a governi stranieri o dittature. Il loro compito è, infatti,quello di orientare l’opinione pubblica a favore dei soggetti dicui curano l’immagine. Ruolo ancora più importante se si pensache spesso, vista la difficoltà di conoscere direttamente alcuniscenari di guerra stranieri, non si sa “da che parte stare”. A que-

sto punto intervengono le agenzie di PR che spingono, non soloi singoli cittadini ma anche i media o la classe dirigente di qual-che Paese straniero, a prendere posizione.

Ancora una volta per capire meglio il ruolo di queste agenziesi citeranno due esempi storici relativi a due contesti diversi.

4.3.1 La guerra del Golfo 

Tra le più importanti agenzie di PR nel pianeta merita unanota particolare la “ Hill & Knowlton”173 che conta molti clientiin tutto il mondo. Tra i suoi più famosi interventi ritroviamo lacampagna propagandistica in favore della Guerra del Golfo del1991174.

172 Per una dettagliata analisi del ruolo delle agenzie di pubbliche relazioni si ri-manda al lavoro di S. Ewen, PR! A social history of Spin, Basic Book, New York, 1996.

173 Per conoscere alcuni dei clienti della Hill&Knowlton si rimanda al sito ufficialedell’agenzia: http://www.hillandknowlton.com/casestudies (14 ottobre 2010).

174 Per maggiori dettagli sull’attività della  Hill&Knowlton si rimanda a K. Miller,The voice of business. Hill & Knowlton and postwar public relations, University of North Carolina Press, Chapel Hill (NC), 1998.

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Parte II134

La Hill & Knowlton era in quel periodo la più grande agen-zia di pubbliche relazioni del mondo ed ebbe un ruolo chiavenel riuscire a mobilitare l’opinione pubblica internazionale infavore della guerra. L’obiettivo, come più volte ripetuto, rimanelo stesso: convincere l’opinione pubblica del “Paese target” o laclasse dirigente di Paesi amici, a spingere a favore di un ingres-so in guerra. Un’abile campagna propagandistica è quella chespinge le persone a chiedere ai propri rappresentanti ciò che essivogliono sentirsi chiedere, per dare l’impressione di agire in lo-ro nome. Esattamente quanto succede nel mondo del marketingpubblicitario con quello che viene chiamato “bisogno indotto”.Si crea o induce un bisogno nei consumatori e poi si offre ilprodotto che lo soddisfa.

La Hill & Knowolton sembra essere riuscita in questo propo-sito. Essa infatti, è stata “assoldata” per convincere l’opinionepubblica di alcuni Paesi ad entrare in guerra, e nell’arco di alcu-ni mesi ha spinto l’opinione pubblica a chiedere al proprio go-verno, che già aveva preso questa decisione, un ingresso in

guerra. Qui si annida la finezza della propaganda nelle demo-crazie. Un governo democraticamente eletto, infatti, non puòagire unilateralmente senza consultare il proprio popolo, ma de-ve farlo sotto la sua spinta. Nelle dittature si prende una deci-sione e poi la si comunica al pubblico affidando alla propagandail compito di convincerlo della bontà delle proprie azioni. Nelledemocrazie il passaggio è un po’ più sofisticato. Si prende unadecisione importante, come nel caso di un ingresso in guerra,ma non la si comunica direttamente al pubblico, si affida allapropaganda il compito di spingere l’opinione pubblica in quelladirezione facendo in modo di far chiedere, alla maggioranza,quello che loro, la classe al potere, vogliono sentirsi dire. In

questo modo la “democrazia formale” è salva, poiché il governoagisce in risposta alle esigenze e richieste dei cittadini (questoaspetto vale in tutti i contesti e non è una prerogativa della pro-paganda di guerra), ma non la “democrazia sostanziale”. Tema,questo, decisamente interessante ma che non è possibile appro-fondire qui.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 135

La Hill&Knowlton ha creato un gruppo, noto con la denomi-nazione “Citizens for a Free Kuwait” (Cittadini per un Kuwaitlibero), con l’intento di celare la commessa milionaria affidataledallo Stato kuwaitiano, di comune accordo conl’amministrazione Bush sr., nove giorni dopo l’invasione. Du-rante i sei mesi successivi furono stanziati circa 12 milioni didollari per sostenere questo gruppo il cui budget andò quasi in-teramente alla  Hill & Knowlton175. MacArthur descrive alcunedelle tecniche utilizzate da questa agenzia:

Il gruppo di H&K, diretto da Lauri Fitz-Pegado, vecchio ufficialedella CIA, organizzò una giornata informativa in 20 campus univer-sitari e una giornata nazionale di preghiera in tutte le chiese del Pae-se. Inoltre ottenne che 13 governatori dello stato proclamassero unagiornata nazionale con il motto “Liberate il Kuwait”. H&K distribuìdecine di migliaia di adesivi e magliette, migliaia di “pacchetti per imedia” […] nei quali si glorificava la resistenza degli uominid’affari del Kuwait e organizzò incontri con editorialisti di stampa.Lew Allison, ex-produttore delle informazioni della CBS e dellaNBS, creò 24 cassette con informazioni sul Medio Oriente176.

Qui ritroviamo un concentrato di tecniche e di target che èbene analizzare. Primo aspetto da sottolineare è il tipo di propa-ganda con la quale si ha che fare: treetops propaganda quandoil target sono i campus universitari, con i suoi studenti e profes-sori o la classe dirigente come i governatori e le gerarchie ec-clesiastiche, mentre si ha grassroots propaganda quando si di-stribuiscono decine di migliaia di gadget, poiché l’obiettivo èquello di raggiungere più persone possibili indipendentementedalla loro posizione sociale.

Iniziando dai campus è possibile vedere come questi sianoun target privilegiato per una duplice ragione: la prima è da im-

putarsi al fatto che l’università costituisce un “terreno di idee edi opinion leader ”, di soggetti cioè che, una volta influenzati,

175 Si veda, Citizens for Free Kuwait Files with FARA After a Nine-month Lag, in«O’Dwyer’s FARA Report», Vol. 1, n. 9, ottobre 1991, p. 2. Secondo questo autorevolestudio la H&K ha ricevuto, per le sue mansioni, 10.8 milioni di dollari.

176 J. MacArthur, Second front: Censorship and Propaganda in the Gulf War, NewYork, 1992.

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Parte II136

possono agire autonomamente come cassa di risonanza delle i-dee del propagandista. Secondo aspetto da non sottovalutare,colpire questo target può voler significare bloccare sul nascere,o perlomeno ridimensionare e rendere più complicate eventualicontestazioni. Si ricordi infatti che durante la guerra del Viet-nam uno dei punti forti della ribellione e dell’avversione allaguerra erano appunto i campus universitari. Organizzare giorna-te “informative” all’interno delle università significava appuntoriuscire a calibrare queste due esigenze: influenzare chi a suavolta ha la possibilità e l’autorevolezza di influenzare altri, sen-za accorgersi di essere entrato nel meccanismo della propagan-da, e dall’altra arginare sul nascere eventuali segni di protesta.

L’importanza di indire giornate di preghiera è notevole, pertutto un insieme di motivi. Innanzitutto per l’alta influenza chele cariche religiose hanno sui fedeli. Un secondo aspetto chenon va dimenticato è che pregare per il Kuwait significa inqualche modo richiedere un intervento divino in difesa di unavittima. Intervento di Dio che però in alcuni casi, come questo,

deve essere coadiuvato dall’intervento dell’uomo. Qui viene ademergere un elemento che abbiamo visto essere importante perla propaganda bellica, ovvero il “sostegno divino”.

Infine i governatori. Riuscire a mobilitare tredici governatorisignifica in qualche modo mobilitare una parte della classe diri-gente, quella a più diretto contatto con i cittadini.

La H&K, però, non ha operato da sola in questo scenario.Un ruolo importante l’ha avuto anche la Rendon Group, soprat-tutto nella gestione dell’immagine post-guerra. Tra i suoi piùbrillanti risultati, come lo stesso direttore dell’agenzia ha messoin luce dinanzi al National Security Council, vi è statal’esaltazione della liberazione:

se qualcuno di voi ha mai preso parte alla liberazione di KuwaitCity ... o se l’avete vista in televisione, avrete notato centinaia dikuwaitiani che agitavano piccole bandiere americane. Vi siete maisoffermati a chiedervi come sia possibile che la gente di Kuwait City,dopo essere stata tenuta in ostaggio per sette lunghi e dolorosi mesi,potesse avere in mano bandierine americane? E non solo, anche le

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 137

bandierine di altri Paesi della coalizione? Beh, adesso conoscete larisposta. Quello ero uno dei miei compiti177.

Anche qui viene ad emergere un elemento della massimaimportanza nella cura delle immagini, ovvero fornire situazionied eventi significativi che una volta immortalati o ripresi dallastampa libera, diventano altamente simbolici. Le bandierine che

i kuwaitiani sventolavano erano e sono l’icona e il simbolo dellagratitudine di questo popolo nei confronti dei “liberatori”. Que-sto evento riprodotto liberamente dalla stampa ha costituito unaprova abbastanza lampante di quanto “giusta” sia stata quellaguerra. Influire sulla costruzione del ricordo o della valutazionedi un qualcosa è della massima importanza per una buona riu-scita della propaganda ed è una delle tecniche principali utiliz-zate dalle PR. Inoltre, cosa che ne accresce l’importanza, si ètrattato di un fatto reale e non di un fotomontaggio o messin-scena e dunque resistente nel tempo. Questa la possiamo chia-mare propaganda bianca poiché si basa sull’enfatizzazione di unfatto realmente accaduto, anche se in qualche modo agevolato.

Un ulteriore esempio è stata la recita della liberazionedell’ambasciata americana a Kuwait City, fatta girare più volte.Questa scena vedeva i marines calarsi dal tetto ed entrare, conuna tipica azione hollywoodiana, all’interno dell’edificio. Comepiù tardi è stato accertato, quella scena fu girata due giorni dopola liberazione della città e, in realtà, è servitta per fornireun’ulteriore icona simbolica della liberazione. Pur con le dovutecautele è possibile definire questa operazione come propagandagrigia, poiché la liberazione vi è realmente stata anche se è statagirata ad uso e consumo televisivo.

Un caso di propaganda nera, sempre riferito all’aspetto ico-nografico di quella guerra, è stata la diffusione della foto delcormorano intriso di petrolio. Quel cormorano, come ampia-

 177 Cit. in S. Goff,  Jessica Lynch, Plural, The Use and Abuse of a Woman Soldier ,

in «Counterpunch», 13 dicembre 2004. Stan Goff è una persona ben addentrataall’interno delle dinamiche militari avendo insegnato scienze militari pressol’accademia di West Point e avendo preso parte a missioni segrete in El Salvador e Gua-temala, oltre all’invasione del Vietnam, di Grenada e di Haiti, solo per citarne alcune.

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Parte II138

mente noto, è stato prelevato in uno zoo ed è stato volutamenteimpregnato di petrolio negli studi della CNN. Si tratta di una fo-tografia che riproduce una falsa situazione ma che è stata diffu-sa come vera. Mentre negli altri casi si voleva esaltare il ruolodi gratitudine per la liberazione o esaltare le vittorie militari, quisi vuole stigmatizzare il nemico fornendo, ai propri cittadini,un’immagine volutamente falsa ma dal grande impatto emotivo.

Questi tre esempi mostrano come le foto, proprio per la lorogrande capacità comunicativa, sono armi sapientemente utiliz-zate dalla propaganda di guerra ed in particolar modo dalle PR.Infatti, l’immagine, più di tutti, riesce a colpire l’aspetto emoti-vo degli individui e su di esso queste agenzie lavorano.

4.3.2 Il ruolo della Ruder&Finn nella guerra civile dell’ex Yu-

goslavia. 

Iniziamo con una immagine che ha costituito un po’ il sim-bolo delle atrocità e della barbarie di Milosevic. Era il 1992 e lacrisi balcanica era precipitata. Una foto dal grande impatto emo-

tivo e che ha fatto il giro del mondo è stata quella dei prigionieribosniaci dentro un campo profughi. Nick Mamatas ha peròmesso in evidenza la natura fallace di quella icona

Le fotografie possono ingannare il mondo […]. Nel 1992, un’équipedella “Independent Television News” guidata dal giornalista PennyMarshall riprese un gruppo di uomini che guardavano fuori, da die-tro una rete di filo spinato. Erano prigionieri bosniaci in un campo diconcentramento serbo, spiegò l’ITN. L’immagine era profondamenteingannevole: i fotografi dell’ITN si trovavano in realtà all’internodel recinto, mentre gli uomini fotografati erano all’esterno e guarda-vano verso l’interno178.

Il lavoro di stigmatizzazione era già iniziato e da lì in poi sa-rebbe stato quasi irreversibile. Più il contesto sociale in cui siopera è sconosciuto maggiori possibilità di intervento e di azio-ne hanno le PR. Infatti, “pilotare” l’informazione verso una par-

 178 N. Mamatas, The public relations firms of dictators, 21 maggio 2001, disponibi-

le all’indirizzo web: http://www.disinfo.com/archive/pages/dossier/id405/pg1/ (16maggio 2003)

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 139

te e a discapito di un’altra è molto più semplice qualora il targetdi riferimento non abbia una completa conoscenza della realtàche si sta promuovendo. Così se scoppia una guerra in un’areapoco conosciuta tra due gruppi o etnie che poco conosciamo, laformazione della nostra opinione sarà più malleabile ed influen-zabile, poiché per formarcela dipendiamo interamente da terzi.Maggiore invece è la conoscenza diretta che abbiamo di qualco-sa è più complessa risulta essere l’azione di manipolazione dellenostre conoscenze. Infatti, difficilmente terzi possono orientarela nostra opinione su questioni che ci riguardano direttamente odi cui siamo direttamente a conoscenza.

Nella guerra civile nell’ex Yugoslavia era importante in-fluenzare, sin dall’inizio, l’opinione pubblica internazionale in-vitandola a prendere “liberamente” posizione a favore di unodegli attori del conflitto. Il ruolo giocato dalla già citata agenziadi Pubbliche Relazioni, “ Ruder & Finn” durante la crisi balca-nica è stato decisamente rilevante e si inserisce appunto in que-sto scenario. Essa ha cominciato ad operare nell’area sin dal

1991 quando la conoscenza dell’opinione pubblica internazio-nale in materia era irrilevante.

[…] sin dal 1991 i governi di Zagabria e Sarajevo, nonché gli alba-nesi del Kosovo, diedero compito a un’agenzia di pubbliche relazio-ni americana, la Ruder & Finn, di proteggere e incentivare la loroimmagine e di orientare le opinioni pubbliche occidentali in loro fa-vore. È significativo ricordare come la stessa compagnia si fosse ini-zialmente presentata a Belgrado, offrendo i propri servizi. Solo dopoaver ricevuto un rifiuto da parte serba, decise di accettare le propostedella parte avversa179.

Questo è un classico esempio di agenzie di PR che curanol’immagine di un governo cercando di orientare a loro favorel’opinione pubblica intrnazionale. La professionalità e il distac-co dalla causa da promuovere si evincono dal fatto che la stessaagenzia si presentò in un primo momento al governo serbo, of-

 179 V. Bratina, Tutte le vie della disinformazione, in «Jekill» giugno 1999, n. 3, arti-

colo disponibile in rete all’indirizzo web:http://www.sissa.it/ilas/jekyll/n03/dossier_info/index_dossier.htm (17 gennaio 2005)

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Parte II140

frendogli i propri servizi. Il rifiuto di Belgrado, che inizialmentesottovalutò l’importanza di una società di professionisti dellacomunicazione e propaganda nella cura dell’immagine pressol’opinione pubblica occidentale, segnò in qualche modo“l’inizio della fine per Belgrado”. Infatti, visto il rifiuto da partedi Milosevic e del suo entourage, questa agenzia decise di ac-cettare la proposta della parte avversa, allestendo così una gros-sa campagna propagandistica volta ad orientare gli opinion

leader e la gente comune, in favore della causa croata e bosnia-ca.

Probabilmente l’intero corso della guerra, delle trattative di-plomatiche e del futuro stesso della ex Jugoslavia, sarebbe statodifferente qualora Belgrado avesse deciso altrimenti riguardo leproposte avanzate dalla Ruder Finn

180.Si pensi, ad esempio, al fatto che per tutti gli anni Novanta

buona parte dei mass media occidentali hanno acriticamente dif-fuso, spesso in buona fede, notizie che più avanti la storia a-vrebbe messo in dubbio, ma che hanno avuto, come immediato

effetto, quello di diffamare il governo serbo e il suo popolo.Non è un caso che alcuni dei più atroci massacri ed omicidi,compiuti durante gli anni della guerra che hanno insanguinato iBalcani, siano stati addebitati, spesso ingiustamente, al regimedi Belgrado181. Come Bratina ha messo bene in evidenza

In dieci anni di ostilità, vi sono state numerose occasioni in cui imass media si sono bevuti la disinformazione pilotata. L’attribuzioneai serbi di massacri compiuti da croati e musulmani è stato un classi-co della guerra in Bosnia. La Cnn trasmise più di un servizio suimassacri di musulmani, con tanto di cadaveri, rivelatisi poi serbi.Nello stesso errore incorse “Newsweek” nel gennaio ‘93 quandopubblicò la foto di corpi senza vita, con la didascalia: «Non c’è la

180 Per un approfondimento sul ruolo giocato dalla Ruder & Finn nei Balcani si ri-manda a Barry Lituchy ,  Media deception and the Yugoslav civil war , disponibileall’indirizzo web:

http://www.iacenter.org/bosnia/lituchy.htm (14 marzo 2004).181 Sul ruolo delle PR nella creazione di falsi eventi su cui orientare l’informazione

si veda I.I. Mitroff, D. Warren, The unreality industry. The deliberate manufacturing of 

 falsehood and what is doing to us, Oxford University Press, New York (NY), 1989

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 141

possibilità di fermare le atrocità serbe in Bosnia?» Successivamentequei cadaveri si rivelarono serbi182.

L’attribuzione di queste efferate gesta ai serbi avveniva nontanto sulla base di prove incontrovertibili, come dovrebbe avve-nire in questi casi, ma sulla scia di pregiudizi e stereotipi chegiornalisti ed opinionisti si erano formati. Le agenzie di Pubbli-

che Relazioni agiscono in questo campo: esse sfruttano le insi-curezze umane per cercare di creare una più accondiscendenteopinione pubblica.

A titolo di esempio si riportano ed analizzano tre fatti chedai mass media occidentali sono stati attribuite al governo diBelgrado e che, invece, la storia a distanza di tempo ha messo indubbio:

a) Strage del mercato. Il 6 febbraio 1994 a Sarajevo fucommessa una strage, denominata strage del mercato poi-ché colpì il mercato cittadino. Questa strage fu da subitoimputata ai serbi ed ebbe come effetto quello di inorridire

i cittadini e spingerli a schierarsi contro il regime di Milo-sevic. L’attribuzione e l’acritica accettazione della strageè stata possibile anche perché la  Ruder Fiin da qualcheanno agiva nello scenario internazionale, con l’obiettivodi criminalizzare il governo serbo. Questa strage è stata inqualche modo la conferma di quanto da tempo si sentivanell’area e cioè che i serbi fossero i carnefici e i croati emusulmani le vittime sacrificali. Ci troviamo dinanzi aduna classica tecnica di perception managament , ovvero dimanipolazione della percezione. Questa tecnica mira amodellare la percezione che di qualcosa si ha o crearneuna ex novo, fermo restando che la posizione che si assu-me è in qualche misura favorevole al propagandista.L’accettazione acritica di una strage, che in realtà non sipuò escludere sia stata ordinata dai musulmani conl’obiettivo di porre il problema dell’assedio di Sarajevo al

182 Cfr. V. Bratina, op. cit.

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Parte II142

centro del dibattito internazionale, significa ammettereche l’opinione pubblica e i media, abbiano già sposatoquesta semplice teoria del buono contro il cattivo. Similiatti non fanno altro che rinforzare la posizione di chi hagià accettato questa visione dicotomica oppure spingerechi ancora non l’ha fatto ad abbracciarla.b) Strage del pane. A fine agosto del 1995 vi fu un’altrastrage sempre a Sarajevo, subito denominata, con grandeenfasi ed impatto emotivo: “La Strage del Pane”, nellaquale persero la vita una sessantina di persone. Da notarein questo caso il forte impatto emotivo di una strage cheuccide innocenti proprio mentre si apprestano a compiereuna delle operazioni più naturali ed essenziali dell’uomo:l’acquisto del pane o di beni di prima necessità. Il fattoche siano stati uccisi così, senza pietà e senza possibilitàdi reagire, enfatizza ancora una volta il ruolo di vittime dauna parte (quella bosniaca e quella croata) ed il ruolo dicrudeli oppressori dall’altra (i serbi). Ancora una volta la

strage fu attribuita, senza evidenti e incontrovertibili pro-ve, al regime di Belgrado e al popolo serbo cosa che an-dava a rinforzare lo stereotipo e la ipersemplificazionedella realtà (aspetti, questi, già esaminati come tecnichedella propaganda). Questa strage diede il via alle opera-zioni militari della NATO che colpirono le postazioniserbe183.C)  La strage di Racak . Nel 1999 vennero rinvenuti 45corpi senza vita e gli albanesi accusarono immediatamen-te della strage i serbi: si è subito parlato di fossa comuneriecheggiando ancora una volta la Shoa (qui emerge latecnica della proiezione o analogia). I serbi hanno secca-

mente smentito e a distanza di anni è ancora difficile dareragione o torto ad una delle due parti, poiché la commis-sione di inchiesta finlandese successivamente incaricatadi indagare sull’accaduto non è riuscita a dimostrare la re-

 183 Sul ruolo della Nato nei Balcani si veda, AA.VV., Nato in the Balkans. Voices of 

Opposition, International Action Center, New York, 1998.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 143

sponsabilità di Milosevic. Quello che conta è che al di làdelle oggettive prove che inchiodano o al contrario sca-gionano i serbi, l’opinione pubblica occidentale non haavuto dubbi nel condannare i serbi, poiché per anni sonostati dipinti come carnefici. Inoltre quella strage ha dato ilvia alla guerra contro la RFY da parte della NATO.

Alcune di queste stragi sono state poi smentite, ma le smen-tite, come il presidente della Ruder & Finn insegna, non conta-no; quello che conta è arrivare primi. L’effetto è già stato pro-dotto e a poco valgono le smentite, se non come monito futuro.Ma l’incalzare degli avvenimenti storici non lascia spazio aqueste osservazioni poiché nel frattempo altre notizie avrannoconquistato le prime pagine dei giornali, la mente ed il cuore deicittadini. Una sorta di circolo vizioso dell’informazione, in cuila velocità è il vero messaggio. Paul Viriliò sostiene che la ve-locità è il messaggio, parafrasando il classico “il medium è ilmessaggio” di mcluhana memoria184.

Quello che qui interessa non è schierarsi a favore di una par-te a discapito di un’altra, ma vedere come, nonostantel’insicurezza circa gli autori delle stragi, i media occidentali,spesso in buona fede, abbiano accettato e sposato acriticamentel’idea della colpevolezza dei serbi. Le agenzie di PR lavoranoappunto dietro le quinte cercando di semplificare la storia met-tendo da una parte i buoni e dall’altra i cattivi, rendendola cosìpiù intelligibile e comoda da decifrare. Infatti,

tra i «bersagli accuratamente scelti», a detta dello stesso Harff, c’erain primissimo piano l’influente comunità ebraica degli Stati Uniti.[…] Quando però nell’agosto del 1992 un quotidiano statunitense i-niziò a parlare dei «lager serbi», la Ruder Finn prese immediatamen-

te in mano la notizia ed ebbe buon gioco nell’evocare il paragonecon la Germania nazista e ribaltare la situazione. Il consenso dellacomunità ebraica, oltre a pesare direttamente sulle scelte politicheamericane, ha reso inattaccabile il raffronto tra serbi e nazisti. «Nellacomplessa vicenda iugoslava, dove nessuno capiva davvero cosastesse succedendo, con un solo colpo abbiamo potuto presentare una

184 Cfr. M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Milano, Garzanti, 1986.

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Parte II144

storia semplice, una storia con i buoni e i cattivi in cui era facileschierarsi», conclude Harff 185.

4.4 Formula della valle di Mohawk

Sarebbe tuttavia errato supporre che l’uso delle agenzie di

Pubbliche Relazioni come propagandisti sia un fenomeno limi-tato all’avventura bellica di un Paese. La guerra, come più voltesottolineato, è un fenomeno straordinario, assolutamente com-plesso e che nelle democrazie esige il sostegno dell’opinionepubblica, la cui conquista rende necessario il ricorso alle piùsvariate e sempre più complesse tecniche di propaganda.

Le PR sono grosse società formate da professionisti del mar-keting e della comunicazione, la cui peculiarità è la persuasione.Il teatro delle guerre costituisce un grosso e redditizio campo incui si cimentano queste grosse aziende di professioni, ma ov-viamente non è l’unico. I servizi offerti spaziano in tutti i campi,da quello politico a quello sociale, da consulenza per piccoleimprese sino a grossi Stati. Essendo professionisti, lavorano perchiunque riesca a pagare i loro onorari e così facendo sono di-ventate, con il passare del tempo, delle vere e proprie multina-zionali.

Come Chomsky sottolinea «le Pubbliche Relazioni rappre-sentano un’industria enorme nella quale ogni anno vengono in-vestite cifre nell’ordine di un miliardo di dollari. Sin dall’iniziol’obiettivo era quello di controllare l’opinione pubblica»186.Il lo-ro obiettivo e quello di influenzare l’opinione pubblica e quindila formazione del pensiero. Negli Stati Uniti, patria delle agen-zie delle Pubbliche Relazioni, questa sfida ha raggiunto i suoi

primi risultati, in tempo di pace, già a partire dagli anni trenta.Dopo la prima vittoria politica e sociale da parte dei lavoratoriamericani, con cui ottennero il diritto ad organizzarsi con il co-

 185 G. Sabato,  Non è vero ma ci credo, in «Jekill», giugno 1999, n. 3, articolo di-

sponibile in rete all’indirizzo web:http://www.sissa.it/ilas/jekyll/n03/dossier_info/inform_4.htm (gennaio 2005).

186 N. Chomsky, Il potere dei media ... cit., p. 23.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 145

siddetto Wagner Act del 1935, seguì una dura battaglia giocataproprio sull’immagine. Questa grande conquista sociale che po-neva le basi per una società più equa e giusta, dall’altra peròmetteva dei limiti al liberismo più sfrenato e di conseguenza al-le classi agiate che da questo traevano profitto. Si rese necessa-rio infangare il buon nome delle organizzazioni sindacali. Eranecessaria una campagna diffamatoria nei confronti dei sindaca-ti e di chi difendeva i diritti dei lavoratori.

I cittadini devono rimanere divisi uno dall’altro, isolati e soli. Nongli è concesso di organizzarsi, altrimenti potrebbero assumere unruolo che andrebbe oltre quello di spettatori, cioè parteciperebberoalla vita pubblica […] La classe imprenditoriale prese allora alcunecontro misure per assicurarsi che quella fosse l’ultima vittoria dei la-voratori […] L’obiettivo fu raggiunto […] e la capacità di agire at-traverso i sindacati cominciò a ridursi costantemente […]. Ciò nonavvenne per caso. Stiamo parlando della comunità imprenditoriale,che ha investito notevoli somme di denaro, attenzioni e risorse in-tellettuali per affrontare questi problemi attraverso l’industria dellePubbliche Relazioni187.

Non è sicuramente un caso che oggi gli Stati Uniti abbianouna delle percentuali più basse di lavoratori iscritti al sindacatonei Paesi occidentali e siano tra gli ultimi in fatto di diritti nelcampo del lavoro. Come Chomsky sottolinea, questo non av-venne casualmente, visto e considerato che la “National Asso-ciation of Manufacturers e la Business Roundtable” investironoingenti somme economiche e risorse intellettuali per cercare diarginare e ridimensionare le battaglie degli operai. La demoniz-zazione del nemico, intendendo con questo il sindacato, avven-ne grazie all’ausilio della agenzie di Pubbliche Relazioni. Nel1937, quando ebbe luogo il massiccio sciopero nella Pen-

nsylvania, denominato lo sciopero dell’acciaio, dove i lavoratorichiedevano più tutela per i proprio diritti, gli imprenditori spe-rimentarono una nuova tecnica, che ottenne degli eccellenti ri-sultati, per lo sgretolamento del fronte operaio.

187 Ivi, p. 24.

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Parte II146

Infatti essi raggiunsero il loro obiettivo non grazie alle squadre dipicchiatori (un sistema che non funzionava più) ma attraverso imezzi più sottili ed efficaci della propaganda. L’idea era quella ditrovare un modo per schierare l’opinione pubblica contro gli sciope-ranti, indicati come forza disgregante, dannosa per i cittadini e pergli interessi comuni. Gli interessi comuni sono appunto i nostri,quelli dell’uomo d’affari, quelli del lavoratore, quelli della casalinga.[…] I nostri ideali sono l’armonia, l’americanismo e il lavorare in-

sieme. Invece là ci sono gli scioperanti cattivi che hanno un effettonegativo, sono solo causa di guai, distruggono la nostra armonia eviolano l’americanismo188.

Il risultato di questo esperimento fu un successo, agevolatoanche grazie all’uso dei media di cui la classe imprenditorialedisponeva. Gli imprenditori che, a causa di questi scioperi e diun fronte operaio unito, temevano dovessero rinunciare ai pro-pri privilegi, usarono i media di cui erano detentori, come cassadi risonanza per le proprie posizioni. Questa operazione prese ilnome di “formula di Mohawk Valley” e sostanzialmente consi-ste nello screditare e denigrare la classe operaia colpevole con i

suoi scioperi di spaccare l’armonia e il bene comune. Inoltre gliscioperanti venivano accusati di essere antiamericani e questo inuna società fortemente patriottica, allontanava dalle loro batta-glie l’opinione pubblica. Creare questo iato tra opinione pubbli-ca e lavoratori era l’obiettivo. Pian piano il fronte operaio sisgretolava ed il consenso intorno alla loro causa diminuiva. Talitecniche funzionavano molto bene mobilitando l’opinione pub-blica intorno a concetti vuoti come quello dell’americanismo eavevano come obiettivo quello di bloccare gli scioperi189.

Già verso la fine degli anni Trenta negli Stati Uniti si capìche l’utilizzo delle squadre di picchiatori nel cercare di arginareuna protesta o movimento politico aveva esaurito la sua funzio-

ne e non era più efficace. Tale metodo lascia il posto alle opera-zioni di denigrazione mass mediatica o al linciaggio mediatico,alle azioni di marketing politico o commerciale, che intende de-nigrare l’obiettivo o esaltare, al contrario, le virtù di una società

188 Ivi, p. 25.189 Ibidem.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 147

basata sull’armonia, dove per essa si intende la limitazione degliscioperi e dei conflitti sociali. Sempre sulla stessa linea la posi-zione di Jensen.

Oltre alle campagne per politiche specifiche, ci sono due messaggifondamentali alla base della propaganda dell’ultimo mezzo secolo.Primo, non solo il capitalismo è il sistema economico naturale e

l’unico compatibile con la democrazia, ma i sindacati ed altri stru-menti di organizzazione popolare disturbano in qualche modo quel-lo che sarebbe altrimenti un sistema armonioso in cui i benevoliproprietari ed i manager laboriosi si danno da fare in maniera altrui-sta per accontentare i clienti ed i lavoratori. Secondo, gli Stati Unitiè l’unico tra i governi mondiali, presenti e passati, a perseguire lademocrazia e la libertà nel mondo. Mentre le altre nazioni agisconopuramente per interesse personale, gli Stati Uniti - città scintillantesulla collina - portano avanti una missione diversa; siamo il primoimpero benevolo del mondo190.

190 R. Jensen, op. cit .

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149

PARTE III. ANALISI SUL CAMPO

CAPITOLO V. La propaganda USA dopo l’11 set-tembre 2001

5.1 Cosa è cambiato dopo l’11 settembre

Nella particolare suddivisione storica che del fenomeno pro-paganda si è dato nelle pagine precedenti, si è visto come l’11settembre abbia costituito un suo risveglio e un suo acutizzarsiproprio in relazione ai contingenti fatti storici. In particolar mo-do l’11 settembre ha visto l’intensificarsi della propaganda in-terna e in particolar modo di quella estera: la prima conl’obiettivo di trasformare la paura e l’ansia in sostegno al Presi-dente statunitense, ai valori della patria e dunque a rinforzare lacoesione nazionale; la seconda, invece, per cercare di arginarel’antiamericanismo diffuso in varie parti del pianeta. Come si èvisto e cercato di capire, il primo di questi obiettivi, perlomenonell’immediato, è stato raggiunto con successo mentre il secon-do ha dato vita ad una campagna in qualche modo fallimentare.

La prima considerazione da fare dunque è che dopo l’11 set-tembre vi è stato un rinvigorirsi della propaganda sia interna cheesterna. Un po’ più complesso e delicato è invece riuscire a trac-

ciare una linea netta di demarcazione tra le varie forme di pro-paganda usate e vedere se si tratti di propaganda bellica o intempo di pace. Tale difficoltà è in parte dovuta alla natura sem-pre più labile e flessibile di concetti quali situazioni di pace o diguerra. Nei momenti immediatamente successivi all’attacco ter-roristico, buona parte dei telegiornali e giornali ha apertamenteparlato di stato di guerra. Quasi tutti i telegiornali statunitensi ri-

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Parte II150

portavano il banner “US under attack” (Stati Uniti sotto attac-co)191. In realtà è stata la prima volta che gli Stati Uniti venivanoattaccati all’interno del proprio territorio e questo ha provocatoun forte shock e molte preoccupazioni. Pur non essendo una si-tuazione di “guerra convenzionale”, la percezione diffusa erache si trattasse di un conflitto che, per quanto potesse essere vi-sto come diverso, aveva tutte le caratteristiche di una guerra.L’amministrazione Bush ha enfatizzato questa linea, cosa chespinge a ritenere che la massiccia campagna propagandisticamessa in piedi all’indomani dell’11 settembre debba essere con-siderata una forma di propaganda di guerra. A rinforzare questopunto le dichiarazioni di vari esponenti del governo statunitenseche hanno esplicitamente parlato di stato di guerra e dell’iniziodi un conflitto che si sarebbe protratto per varie generazioni.

L’esperimento che in questa parte si tenterà, sarà quello diesaminare la campagna propagandistica dell’amministrazioneBush alla luce di quanto sin qui argomentato. Si vedranno per-tanto le varie tecniche applicate sul campo e come le cosiddette

terzine della propaganda siano pertinenti con la campagna pro-pagandistica contro l’Iraq. L’obiettivo sarà pertanto quello di ve-rificare se i principi argomentati ed elencati nelle pagine prece-denti siano in qualche misura applicabili alle due guerre susse-guitesi all’11 settembre. Si parlerà in particolar modo della cam-pagna contro l’Iraq, nonostante un’altra guerra sia andata in sce-na subito dopo l’11 settembre, ovvero la guerra afgana. In realtà,come vedremo, vi è stata anche in quel caso una decisa campa-gna propagandistica, ma il breve tempo interconnesso da un e-vento considerato da tutti come casus belli e la guerra è statotroppo breve per poter capire il reale peso che la propaganda haavuto in quella occasione, nel conquistare l’opinione pubblica e

spingerla ad accettare un conflitto armato.

191 I banner sono quelle scritte che compaiono in basso nei teleschermi e che, con iltitolo o banner appunto, danno il quadro generale all’interno del quale leggere le notizie.Nel caso specifico quasi tutti i telegiornale riportavano il banner che gli Stati Uniti eranosotto attacco “suggerendo” dunque come chiave di lettura di tutte le notizie che giunge-vano, quella di essere in guerra.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 151

5.2 La propaganda statunitense nella guerra control’Afganistan del 2001

Quei ventotto giorni che separano gli attentati terroristicidall’inizio della guerra contro l’Afganistan non hanno reso ne-cessaria una seria campagna propagandistica ad hoc, ovvero unacampagna per mobilitare l’opinione pubblica ad appoggiare laguerra contro il regime talebano. Questo non significa che inquelle quattro settimane sia mancata una campagna di propa-ganda, ma che essa assumeva un carattere più generale e di am-pio respiro, all’interno del quale la guerra afgana è stata presen-tata come un primo e dovuto passo. L’immediatezza della rispo-sta non permette di analizzare l’evolversi della propaganda conle varie tappe della conquista dell’opinione pubblica e le tecni-che utilizzate. Come si vedrà più avanti, questo sarà possibileinvece nella fase preparatoria alla guerra contro l’Iraq, poiché harichiesto una seria e lunga campagna propagandistica, iniziatacon largo anticipo rispetto all’inizio delle operazioni militari ve-

re e proprie.In realtà, nonostante la “relativa facilità” con cui si è ottenutoil consenso dell’opinione pubblica, in questa prima offensivamilitare di quella che sarebbe stata definita da lì in avanti comeguerra al terrorismo, possiamo pur sempre ritrovare un concen-trato di aspetti della propaganda di guerra che abbiamo visto edesaminato nella parte chiamata “terzine della propaganda”. Siparla di “relativa facilità” poiché lo shock  e lo smarrimentodell’opinione pubblica erano talmente intensi e forti che non sirendeva necessario studiare una campagna ad hoc, ma “bastava”gestirne la paura, naturalmente suscitata dagli attentati terroristi-ci, convogliandola in sostegno alla guerra. Come più volte ripe-

tuto sotto uno “shock reale” riuscire a mobilitare la popolazionein proprio favore risulta un lavoro molto più facile. Esito nonsempre scontato e certo, ma decisamente più semplice da ottene-re: spesso è sufficiente enfatizzare, e non creare ex novo, la pau-ra.

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Parte II152

5.2.1 Le terzine della propaganda applicate alla guerra in Af-

ganistan dell’ottobre del 2001 Nella prima terzina utilizzata si è visto come  Il ricorso alla

 paura e l’identificazione del nemico si concretizza attraverso treelementi: a) la demonizzazione del nemico; b) l’identificaionedell’uso da parte del nemico di armi letali e non convenzionali; c)la guerra come risposta al nemico e non come attacco. Elementiquesti che, in occasione del conflitto afgano, sono stati facili dacreare e convogliare verso il target-Afganistan.

La prima, e forse unica, difficoltà era quella di dare un voltoal nemico: infatti se si vuole demonizzare qualcuno bisogna dar-gli prima un volto, renderlo visibile e solo dopo indirizzarglicontro l’astio della popolazione. Bin Laden è stato subito identi-ficato come il principale responsabile. Ma egli non è una nazio-ne né tanto meno è a capo di uno stato ma è “semplicemente” ilcapo della rete terroristica che non ha ufficialmente una patria néuna base. Questo aspetto in qualche misura rende, se possibile,ancora più inquietante la figura di questa rete terroristica: essen-

do invisibili sono più difficili da identificare e colpire. Il primopasso della propaganda statunitense è stato allora quello di dareun volto e un nome verso cui convogliare la rabbia e la voglia divendetta della popolazione: Bin Laden, soprannominato, non acaso, lo “sceicco del terrore”. All’indomani dei sanguinosi atten-tati, il suo volto campeggiava in tutte le prime pagine dei giorna-li statunitensi e internazionali e la sua faccia è ben presto diven-tata l’icona del male e il simbolo del terrorismo192. Se il capodella rete terroristica è visto come il demone, il posto in cui si ri-fugiano i suoi affiliati viene visto come l’inferno da cui partonoe si addestrano i piccoli diavoli che disseminano terrore. Eccoallora che una volta identificato il nemico e localizzata la base

del terrorismo nelle montagne afgane, l’attacco, contro questaarea, si rende inevitabile. La popolazione sembra essere troppo

192 Su questo punto molti critici hanno insistito, mettendo in evidenza la celerità conla quale il principale colpevole del più complesso attentato terroristico della storia siastato identificato. I quotidiani italiani, mandati in stampa meno di quattro ore dopol’accaduto, hanno riportato in prima pagina la foto di bin Laden, cosa che testimonia co-me la figura del colpevole sia stata identificata in un paio di ore.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 153

scossa e volere una risposta immediata: se quello è il posto dacolpire, la guerra contro l’Afganistan e contro il male è fonda-mentale e inevitabile. Demonizzare l’Afganistan risulta quindiun lavoro piuttosto semplice e dagli esiti scontati.

Il secondo elemento ci dice che il nemico usa armi non con-venzionali. Anche in questo caso non è difficile propagandarequesto aspetto: la continua riproposizione dell’immagine delleTwin Towers colpite dagli aerei bomba sono la prova più evi-dente che il nemico è spietato ed usa armi fuori dal comune. Ilterrorismo è per eccellenza un’arma non convenzionale, poichéuccide indiscriminatamente e semina panico tra la popolazionecivile. Ancor di più: il suo obiettivo è anche quello di terrorizza-re, di modificare gli stili di vita a cui si è abituati, di gettare nelloscompiglio un’intera popolazione. Un’arma dunque tanto letalequanto anomala; un’arma non convenzionale appunto.

Anche il terzo elemento risulta essere facilmente dimostrabi-le e propagandabile. Gli attentati terroristici sono la prova piùevidente che il nemico ha iniziato ad attaccarci e la guerra che si

sta per fare è una guerra di difesa. Si bombarda l’Afganistan inrisposta all’attacco della rete del terrore. Lì è stata localizzata (atorto o ragione poco importa) la base operativa da cui sono parti-ti gli attentatori e lì deve indirizzarsi la risposta dell’esercito sta-tunitense. La guerra è dunque facilmente presentabile comeguerra di difesa.

Il primo obiettivo, quello di demonizzare il nemico e presen-tare la guerra come una risposta e non come un attacco, è am-piamente riuscito, visto lo stato di ansia e paura della popolazio-ne.

Proseguendo in questa linea si può vedere come anche i prin-cipi contenuti nella seconda terzina siano in parte esauditi. Que-

sta seconda terzina che, come si è visto, è il tentativo di giustifi-care la correttezza della “nostra” guerra, è suddivisa in tre e-lementi distinti ma conseguenti e compenetrati, ovvero: a) soc-correre una nazione o un popolo; b) estendere la democrazia; c)giusta causa.

Le donne con il burqa e gli uomini con la barba lunga che lepicchiavano e sottomettevano sono stati per settimane l’icona e

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Parte II154

il simbolo della “barbarie” del regime dei talebani. Bin Laden ela sua rete hanno le basi operative in Afganistan: essi sono inbrevissimo tempo divenuti il simbolo del male e dell’odio control’occidente. Il regime che gli dà ospitalità, i talebani appunto, èaltrettanto feroce con il suo popolo. Tutte le immagini e i filmatiche arrivavano dal fronte, improvvisamente diventato il centrodel mondo mediatico, rinforzavano l’idea di un regime barbaro,crudele e spietato. La guerra contro l’Afganistan è stata presen-tata, anche, come una guerra in difesa dei diritti umani e in so-stegno ad una popolazione sottomessa. Il burqa è stato raffigura-to come il simbolo dell’oppressione femminile, e la guerra comerisposta alla vessazione. Una guerra dunque fatta per soccorrereun popolo oppresso dalla crudeltà di un regime. Mi sia concessauna puntualizzazione. La condizione femminile in Afganistanera tale almeno dal 1996, ovvero da quando i talebani salirono alpotere, ed in parte è così tutt’ora. Ma ora non è al centro del di-battito, mentre nel periodo immediatamente precedente la guerra,così come nelle settimane in cui il conflitto era in corso, lo è sta-

to

193

. Tra i tanti articoli apparsi sulla stampa internazionale diquel periodo, che mettevano in luce la condizione femminile af-gana come simbolo di oppressione, l’articolo di Toynbee sembrauno dei più emblematici.

Il burqa che la copre dalla testa ai piedi, con la sua sinistra, soffocan-te piccola griglia, è più che uno strumento di persecuzione: è un mo-do per mettere alla gogna la sessualità femminile. Trasforma qualsiasi

193 Qui emerge con tutta la sua forza la validità del concetto basilare della Teoriadell’Agenda setting, ovvero il fatto che il potere dei mass media e di chi li gestisce, con-siste non tanto nel dirci cosa pensare, ma dirci su cosa pensare. Chi ha la possibilità diinfluenzare la scaletta o agenda informativa ha anche la forza di imporre all’opinionepubblica alcuni temi o aspetti che altrimenti difficilmente arriverebbero alla sua atten-zione. Così facendo i media ci invitano a riflettere su un qualcosa, allontanando dai no-stri orizzonti cognitivi altri aspetti che non si prendono in considerazione. Il caso dellacondizione femminile in Afganistan ne è un esempio lampante: per mesi i mass media cihanno invitato a riflettere su questo, portando alla nostra attenzione informazioni riguar-danti quello specifico caso, mentre non hanno parlato e non parlano della medesima si-tuazione in cui versano le donne in altri paesi cosiddetti amici. Quando questi ultimi nonsaranno più considerati amici, la propaganda farà in modo che i mass media si occupinodi quella situazione, per lungo tempo sottotaciuta, invitando l’opinione pubblica a pren-dere posizione su una realtà, per larga parte, sino ad allora sconosciuta.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 155

donna in un oggetto di disprezzo, troppo disgustoso e intoccabile peressere visto. È un indumento carico di viscida allusività sessuale:quale irrefrenabile desiderio sarà lascivamente in agguato sotto il suocupo mistero? È un modo per trasformare le donne in oggetti, in crea-ture accucciate che chiedono e si aspettano di essere violentate e vit-timizzate194.

L’abilità di una campagna propagandistica all’interno delle

società libere è quella di provocare una discussione su un deter-minato tema, nel caso specifico la condizione femminile nel re-gime dei talebani, e lasciare che i media si mobilitino da soli,senza costrizioni o forzature. Tutta l’informazione prodotta suquesto issue andrà a rinforzare l’idea di base di questa campagnapropagandistica: ovvero la situazione di sopraffazione del popo-lo-target. Ripetiamo questa situazione era tragicamente vera masino ad allora i media tendevano ad ignorarla, così come conti-nuano ad ignorare la medesima situazione in altri Paesi. Inoltre,per via della concorrenza e dell’andamento stesso del ciclo in-formativo, i media tendono a rincorrersi su un determinato tema,aggiungendo sempre ulteriori dettagli, in un circolo virtuoso.Questo contribuisce notevolmente alla buona riuscita della pro-paganda, per un duplice motivo: da una parte perché a parlare diquesto sono i media indipendenti spesso avallati dalle denuncepresentate, tempo prima, da varie organizzazioni in difesa dei di-ritti umani, e dall’altra perché l’effetto ridondanza amplificaquesto punto. L’abilità di una campagna propagandistica stadunque nel riuscire a provocare una discussione e lasciare i me-dia liberi di parlarne. Al contempo però devono tenere lontanodalla scena mediatica altre realtà simili presenti in contesti di-versi. Per fare un esempio: la condizione delle donne in ArabiaSaudita non è molto diversa da quella afgana, ma essa è rimasta

pressoché assente dalla scena mediatica. Se da una parte è pursempre vero che le associazioni dei diritti umanitari si occupanoin contemporanea anche di questo, i loro dati non serviranno, infunzione propagandistica, sino a quando l’obiettivo non saràquel Paese. La propaganda statunitense è riuscita nell’intento di

194 P. Toynbee, Behind the burqa, in «The Guardian», 28 Settembre 2001, p. 5.

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Parte II156

portare i media a parlare della situazione dei diritti umani nelPaese-target . Ecco dunque come la guerra sia stata facilmentepresentata come un’operazione per soccorrere un popolo oppres-so.

Altro elemento è quello qui identificato come “guerra svoltaper estendere la democrazia”. Soccorrere un Paese o un popolosignifica anche e soprattutto estendere ed esportare la democra-

 zia. Infatti un intervento mirato e temporaneo in difesa della po-polazione oppressa non estirperebbe le radici di questa barbariema solo il male manifesto. È necessaria dunque una guerra inprofondità che si prefigga come obiettivo quello di estendere lademocrazia, cosa che peraltro rende più sicuro il mondo, poichéabbattere un nemico così feroce significa anche e soprattuttoprosciugare l’acqua in cui nuotano i terroristi. L’estensione dellademocrazia è un elemento di fondamentale importanza sul qualela propaganda si è concentrata prima del conflitto ed in partico-lar modo dopo le operazioni militari, quasi a rinforzare le ragio-ni della guerra e giustificare quelle prossime venture. Il processo

a Milosevic, ad esempio, è stato presentato come il simbolo piùevidente dell’avvenuto avvio della democratizzazione della Ser-bia, cosa che ha reso quella guerra giusta e sensata, visti i risul-tati ottenuti, ed è servita da esempio per le altre guerre, comequella afgana, che nel frattempo erano in corso. Stesso esempiole “libere elezioni” nell’“Afganistan libero” avvenute dopo laguerra: esse rappresentano il segno evidente che la democrazia èarrivata anche sulle montagne afgane, cosa che non solo ha rin-forzato la scelta di aver fatto la guerra contro questo Paese macostituisce tutt’ora la prova, ampiamente usata dai propagandisti,che la guerra è servita per estendere la democrazia, così comenel frattempo stava succedendo in Iraq. In altri termini il proces-

so di democratizzazione, spesso ridotto alla “libertà” di voto, di-viene il segno e l’icona che giustifica la bontà della guerra. Se ilfine è quello di estendere la democrazia, cosa testimoniata dallelibere elezioni, il mezzo guerra, anche se doloroso, è stato vin-cente e positivo.

Terzo ed ultimo elemento di questa parte è da vedersi comela summa o conseguenza logica dei due elementi precedenti.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 157

Una volta individuato il covo dei terroristi e presentato lo scena-rio della barbarie di questo regime, ed una volta prospettato co-me obiettivo quello di estendere la democrazia come primo pas-so per un mondo più sicuro, la guerra non può che essere giusta.La causa scatenante l’offensiva militare è quella di “smantellarele infrastrutture del terrore” per prevenire ulteriori tragedie.Questa è una giusta causa dalla quale far scaturire una guerra.

La guerra però, deve avere un consenso. Giungiamo così allaterza parte di questa particolare trattazione, ovvero il sostegnoalla giusta causa. La riprova che una guerra è giusta è data anchedal fatto che sia la popolazione interna, sia la comunità interna-zionale e se vogliamo anche Dio concordano e sostengono laguerra.

Il primo passo è dunque quello di ottenere il sostegno internoalla guerra. Aspetto tra i tre che risulta essere il più semplice,anche se non sempre scontato, e il principale obiettivo al qualeconcorrono gli altri due elementi. Nel caso specifico della guerracontro l’Afganistan, presentato all’opinione pubblica come guer-

ra contro i talebani o i terroristi, il suo raggiungimento era inqualche misura scontato. Si diceva che lo shock degli attentatiaveva generato un senso di isteria collettiva facilmente convo-gliabile in consenso per una guerra, che si proponeva come ri-sposta immediata a quegli attentati. Infatti, in seguito a grossishock il consenso interno alla guerra è sempre stato alto. Per ci-tare il caso degli Stati Uniti si ricordi l’aggressione giapponesealla base militare di Pearl Harbor che ha subito acceso un pro-fondo risentimento antigiapponese in patria trasformatosi subitoin alto consenso all’ingresso in guerra; consenso tutt’altro chescontato senza quel casus belli, per una guerra che si svolgevadistante da casa. Il forte impatto emotivo che gli attacchi susci-

tano, quando abilmente strumentalizzati, sono facilmente tradu-cibili in consenso alla guerra. Nel caso in oggetto dunque il con-senso interno circa la decisione di entrare in guerra è stato facil-mente raggiunto.

Inoltre tale consenso, in una sorta di circolo vizioso, tende adaumentare quando si percepisce che anche gli altri lo appoggino:questo vale sia a livello interno sia a livello esterno, per via di

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Parte II158

quella tecnica che si è identificato con il termine di “effetto-gregge”. In altri termini, quanto più la propaganda riesce a pre-sentare la guerra come una “decisione” unanimemente accettatatanto maggiore sarà il consenso che intorno ad essa si accenderà.La propaganda deve dunque creare e far percepire questo con-senso intorno alla decisione-guerra, a prescindere dal consensoreale. Infatti, come uno dei più grandi sondaggi sull’opinionepubblica mondiale condotto a fine settembre del 2001 ha messoin evidenza, mentre l’opinione pubblica statunitense era favore-vole alla guerra, stessa cosa non è accaduta nella restante partedel mondo195. Si giunge così al secondo punto e cioè quello difar percepire il sostegno internazionale alla propria causa, cosache tende a rinforzare, come si vedrà meglio più avanti nel casodell’Iraq, il consenso interno. Appoggio internazionale che inrealtà non vi è stato né in un caso né nell’altro. Nel già citatosondaggio infatti, si vede come ad esempio in Francial’opposizione fosse del 67% ed in Svizzera addirittura dell’87%,con punte del 94% in Messico. Anche Paesi, come l’Inghilterra,

che hanno direttamente partecipato al conflitto, hanno mostratoun’opposizione interna alla guerra che, nel caso inglese, ha rag-giunto il 75%. Gli unici tre Paesi, secondo quanto emerso dalsondaggio, che hanno mostrato un’opinione pubblica favorevolesono stati: gli Stati Uniti, Israele e India. Secondo Miller però,questo disaccordo internazionale intorno alla guerra è stato ma-scherato dai principali media inglesi e statunitensi, cosa che hafatto aumentare nelle loro opinioni pubbliche la percezioni (erra-ta) di un consenso internazionale intorno alla guerra. Come luistesso ha messo in evidenza

Sia la televisione che la carta stampata negli Stati Uniti come in In-ghilterra hanno continuato ad insistere sulla schiacciante maggioran-za che sosteneva il bombardamento. […] Le notizie televisive che ri-

 195 Si veda il sondaggio condotto dalla Gallup International, Gallup International

Poll on terrorism in the US, 9 Ottobre 2001, disponibile all’indirizzo web:http://www.gallup-international.com/surveys.htm (18 gennaio 2002).

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 159

prendevano le manifestazioni contro la guerra in Inghilterra come ne-gli Stati Uniti li rappresentavano solo come una ristretta minoranza196.

Miller riporta alcuni esempi, quali il telegiornale della BBC1del 13 ottobre del 2001 alle 21.50, il quale, commentando unamanifestazione contro la guerra ha dichiarato: “nonostantel’intensità emotiva contro le azioni militari che si respira qui [a

Londra ndr.], rimangono pur sempre una ristretta minoranza”197

.Sempre sulla stessa lunghezza d’onda i commenti delle news delgiorno successivo, cosa che mostra come l’informazione liberaabbia in qualche modo presentato il consenso generale intornoalla guerra in maniera distorta198.

Che la propaganda statunitense faccia spesso riferimento alsostegno divino lo si evince da tutto un insieme di motivi, primofra i quali la classica formula “God Bless the US” che il Presi-dente statunitense proclama sempre alla fine di ogni discorso.Questa formula non è però direttamente collegata con la propa-ganda ma testimonia casomai l’importanza della religioneall’interno della cultura statunitense. Nel caso specifico però, il

Presidente statunitense ha più volte parlato esplicitamente delsostegno divino alla guerra, così come ha volutamente ridotto ilconflitto alla semplice contrapposizione tra il bene e il male, incui ovviamente gli Stati Uniti erano il bene. La cosa interessanteda sottolineare è che la stessa cosa ha cominciato a fare il regimedei talebani una volta appreso di essere divenuto l’obiettivo del-la guerra: entrambi dipingevano l’altra parte come la testa delserpente o il diavolo ed entrambi, anche se gli Stati Uniti in mi-sura decisamente minore, parlavano di sostegno divino allaguerra. Portare Dio dalla propria parte, significa in qualche ma- 

196 D. Miller, World Opinion Opposes the Attack on Afghanistan, 21 novembre 2001,articolo disponibile all’indirizzo web:http://www.medialens.org/articles/the_articles/articles_2001/dm_world_opinion.html (16maggio 2005).

197 Ibidem.198 Si è già visto come i media liberi tendano, senza esserne obbligati dalla censura

ufficiale e dall’alto, ad allinearsi sulla posizione del governo. Nel caso specifico di comei media si siano autocensurati fornendo un’immagine diversa della guerra in Afganistansi rimanda all’interessante articolo di S. Lucas,  How a free press censors itself , in «NewStatesman», 12 Novembre 2001, pp. 14-15.

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Parte II160

niera dare maggiori garanzie sulla liceità del conflitto, cosa chefa aumentare il consenso intorno al proprio operato, anche sequesto aspetto deve essere sempre messo in relazione con la re-ligiosità e devozione di un popolo.

In conclusione si può sottolineare come sia il consenso inter-nazionale che quello divino sono strumentalizzati per accrescereil consenso interno, quello che maggiormente conta, visto che aloro i governi democratici devono rispondere.

5.2.2 Forme della propaganda nella guerra afgana

Nel tentativo di identificare la tipologia di propaganda im-piegata in questo conflitto si utilizzerà la classificazione dellapropaganda proposta nel secondo capitolo.

Si ha anzitutto a che fare con una propaganda di guerra, an-che se essa si inserisce all’interno di una più generale e com-plessa operazione di propaganda. È un tipo di propaganda diguerra che utilizza in particolar modo notizie provenienti da fon-ti attendibili. È dunque una propaganda di guerra-bianca e solo

raramente grigia. Non risultano invece, alla luce dei dati in no-stro possesso e al di là di ogni ragionevole dubbio,l’utilizzazione di una forma di propaganda nera.

Altro punto: essendo una forma di propaganda che tende aconvogliare l’angoscia e lo sgomento della popolazione in so-stegno alla guerra è una forma di  propaganda agitativa. Qui ènecessaria una puntualizzazione: quando si tratta di “aizzare” glianimi contro il target prestabilito, l’Afganistan e il regime dei ta-lebani nel caso in oggetto, si ha a che fare con una forma di  pro-

 paganda agitativa, mentre quando si tratta di calmare la popola-zione evitando che l’astio degeneri in odio razziale contro lacomunità musulmana si tratta di  propaganda integrativa. La vi-

sita del Presidente statunitense ad una moschea deve essere vistain questa ottica, cioè come un tentativo di sedare l’animosità e lavoglia di vendetta di molti statunitensi. Inoltre calmare la popo-lazione evitando che si faccia “giustizia da sé” non è solo un attodovuto nei confronti di una comunità che in nessun modo puòessere ritenuta colpevole per quanto accaduto, ma è anche unmodo per serbare questa forza ed indirizzarla su obiettivi che la

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 161

propaganda agitativa individuerà. In altri termini, se l’obiettivodella propaganda di guerra agitativa vuole essere quello di indi-rizzare la voglia di vendetta contro l’Afganistan è inutile, oltreche controproducente, lasciar sfogare la popolazione contro leminoranze religiose all’interno del Paese.

La propaganda di guerra, grigia e agitativa si è sviluppatalungo due binari: è stata una propaganda rivolta agli opinionleader, quindi treetops propaganda, ma al contempo è stata an-che indirizzata verso l’intera popolazione, dunque grassroots

 propaganda. In realtà quest’ultima forma di propaganda è statadecisamente più diffusa poiché lo shock degli attentati ha colpitotutti indistintamente e questo ha provocato un reale sentimentodi paura nella popolazione che ad alta voce chiedeva una rispo-sta anche se non necessariamente una guerra. Dunque la princi-pale forma di propaganda utilizzata è stata la grassroots propa-

ganda poiché era alle persone comuni, agli uomini di strada, alcittadino che essa era rivolta, cercando di spiegare che l’unica ri-sposta possibile era una guerra sotto forma di operazione di po-

lizia internazionale per dare la caccia ad un uomo e alla sua ban-da. Il proclama tipicamente statunitense del Presidente Bush chechiede alle sue truppe di avere bin Laden “Dead or Alive” è unmessaggio semplice che tende a far leva sull’uomo di strada.

Anche per quanto riguarda la contrapposizione tra obiettivointerno ed obiettivo esterno si può dire che vi è una compresenzadi elementi. Infatti la propaganda post-11 settembre è stata unaduplice propaganda, come evidenziato poco sopra, che si rivolgesia ad un target interno che ad uno esterno. Anche per quantoconcerne la propaganda nel cercare di mobilitare l’opinionepubblica a favore della guerra contro l’Afganistan ritroviamoquesta compresenza di target. La propaganda interna non è solo

caratterizzata dalla ricerca istantanea di un consenso, ma è ancheindirizzata a far apprezzare l’operato del Presidente in quantoesponente di un determinato partito, mentre la propaganda ester-na è soprattutto una propaganda a lungo termine ed indirizzataad attirare consenso intorno alla figura del premier, a prescinde-re dal suo orientamento politico. In altri termini, la propagandainterna si pone un duplice obiettivo: trasformare la paura in po-

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Parte II162

polarità per Bush, che infatti vede salire notevolmente il suo in-dice di gradimento nei sondaggi, e convogliarla nell’accettarenon solo una guerra immediata come quella afgana ma anche uninsieme di riforme costose in termini di immagine. Dietro questapropaganda di guerra interna si cela, dunque, anche una formaparticolare di propaganda che è appunto quella elettorale. I son-daggi dimostrano che uno dei presidenti meno amati dagli statu-nitensi è divenuti in seguito agli attentati dell’11 settembre unodei più popolari. Cosa da una parte normale poiché da sempredietro ad un evento tragico ci si stringe intorno al presidente diturno, ma anche abilmente pilotato dalla propaganda. Da allora ilpresidente è stato dipinto come un “comandante in capo” fermoe risoluto e anche su questo ha giocato, con successo, la suacampagna elettorale per il 2004.

Ritornando alla propaganda estera invece, emerge come essasia stata una campagna in particolare rivolta agli opinion leader(treetops propaganda) per vincere quel riserbo di fondo che unaparte dell’opinione pubblica internazionale riveste nei confronti

della politica estera degli Stati Uniti, e sia una campagna a lungotermine, volta cioè a costruire e solidificare alleanze in vista diulteriori operazioni all’interno di un vasto fronte aperto contro ilterrorismo. All’estero dunque l’obiettivo era quello, per quantoconcerne il mondo occidentale, di solidificare alleanze e perquesto la propaganda era principalmente rivolta verso i “deci-sion maker”, ovvero la classe dirigente, e minare le basidell’antiamericanismo per quanto riguarda il mondo musulmano.

5.2.3 Tecniche utilizzate

Capitolo a parte invece per quanto riguarda le tecniche utiliz-zate in questa tanto breve quanto intensa campagna propagandi-

stica. Il primo elemento, come facilmente intuibile, è stato il ri-corso alla paura, o meglio l’enfatizzazione di questa. Non si èperò trattato di un elemento in qualche maniera indotto dallapropaganda, ma è stata la conseguenza naturale di quanto acca-duto la mattina dell’11 settembre. Il sentimento della paura è laprima istantanea reazione ad atti terroristici che, appunto, tendo-no ad incutere terrore nella popolazione.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 163

Un’altra importante tecnica utilizzata è stata senza dubbioquella della ridondanza o ripetizione. Ma anche qui la ripetizio-ne delle immagini del terrore, ovvero la caduta delle torri o le af-fermazioni che indicavano nell’Afganistan la sede del terrore e-rano più un processo naturale e fisiologico del sistema mediaticoche un’imposizione della propaganda. Ciò non toglie però chequesta tecnica abbia avuto la sua importanza nel trasmettere efar assorbire alcuni principi fondamentali della propaganda sta-tunitense, quali “siamo in guerra” e “quella contro l’Afganistanè la prima delle guerre che si combatteranno per estirpare il ter-rorismo”.

Altra tecnica utilizzata è stata quella della ipersemplificazio-

ne della situazione. Gli attacchi terroristici sono stati giustificaticome un atto barbaro mosso da persone che odiano la libertàdell’occidente. In parte questa affermazione risulta essere verama quello che colpisce è la sua semplicità, una banalità che inrealtà non spiega le ragioni dell’odio. Una semplicistica liquida-zione del problema che non lo spiega, ma ne offre solo una ba-

nale chiave di lettura sulla quale si poggia la propaganda. Ilcomplesso quadro storico e culturale che ha portato non tantoall’atto in sé ma alla costituzione di gruppi terroristici armatinon può essere spiegato solo sulla base di un odio verso un altromodo di vivere ma ha radici molto più profonde e radicate. Lapropaganda deve però semplificare, fornire chiavi interprativesemplici e proporre soluzioni altrettanto semplici, quali quella diesportare la democrazia.

Una conseguente tecnica ampiamente utilizzata in quella oc-casione è stata quella dell’etichettatura. Si è visto comel’obiettivo di questa tecnica è appunto quello di far sorgere pre-giudizi nel pubblico di riferimento etichettando l’oggetto della

campagna propagandistica come qualcosa di cui questo ha paura,teme o trova sgradevole. L’Afganistan è stata etichettata comeun luogo popolato da barbari oppressori oltre che la sede dellacentrale del terrore. Colpire questo obiettivo avrebbe significatoanche dare una risposta alle proprie angosce e paure.

Non tanto nella propaganda diretta contro l’Afganistan mapiù in generale nella campagna post-11 settembre gli attentati

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Parte II164

terroristici sono stati utilizzati come capro espiatorio di tutti imali. Dall’economia alla limitazione dei diritti umanitari,dall’andamento della borsa alla riforma delle pensioni, tutto èstato visto in virtù di quanto accaduto quel giorno. Gli attentati,e più in generale il terrorismo internazionale, sono diventati lacausa sulla quale riversare tutte le colpe.

Come ogni campagna propagandistica anche quella control’Afganistan non poteva non usare parole virtuose che, apparte-nenti al sistema di valori del pubblico, tendono a produrre, perestensione, un’immagine positiva della cosa a cui sono associate,in questo caso della guerra. La parola maggiormente utilizzatadalla propaganda statunitense è stata senza dubbio “libertà”. Laguerra al terrorismo è, dunque, presentata come una guerra perla libertà e per la democrazia, poiché estirpare il seme del terro-rismo significa, in definitiva, estendere la democrazia e la libertàovunque nel mondo.

Infine un ultimo elemento identificabile in questa campagnapropagandistica e che, al pari delle parole virtuose, accompagna

tutte le campagne, è l’uso degli slogan. “Dead or alive”, “loprenderemo” e “rendere il mondo più sicuro”, sono stati traquelli più usati dall’amministrazione Bush.

5.2.4 Conclusione

Il periodo intercorso tra gli attentati terroristici e la guerracontro l’Afganistan è stato un tempo decisamente limitato cosache non ha richiesto dunque una specifica campagna propagan-distica. L’appoggio alla guerra è stato altissimo e quasi incondi-zionato. Un sondaggio citato dalla PIPA, ha rilevato come “unostraordinariamente alto 91%” della popolazione si dichiarava fa-vorevole all’uso di militari statunitensi contro i gruppi terroristi-

ci che si trovavano dietro gli attacchi dell’11 settembre”199

. Altroelemento da prendere in considerazione è che l’82% di essi erafortemente favorevole, segno evidente che la popolazione ri-

 199 Il sondaggio è cit. in PIPA. Americans on the War on Terrorism, disponibile

all’indirizzo web: http://www.pipa.org/OnlineReports/Terrorism/findings.html (18maggio 2005)

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chiedeva un’immediata e decisa risposta militare ai gruppi chesostenevano il terrorismo. L’unico problema, come si è visto, eraquello di identificare il covo dei terroristi e convogliare contro diesso, in una funzione quasi catartica, l’odio e l’angoscia dellapopolazione. Una volta individuata la base operativa in Afgani-stan l’operazione di demonizzazione è stata piuttosto semplice;così come semplice è stato il lavoro di presentare la guerra comerisposta. A contribuire ancora di più al successo della propagan-da è stata la continua riproposizione delle immagini di donnecompletamente velate, cosa che aumentava l’idea di un regimeoppressivo e autoritario.

Un aspetto non secondario da tenere in considerazione è ilfatto che così facendo si colpiva e stimolava un target ben preci-so della popolazione statunitense, quello che più di tutti fa senti-re il dissenso: le organizzazioni umanitarie. La situazione fem-minile (altro target è stato l’associazionismo femminista moltoattivo negli Stati Uniti) e più in generale quella dell’intera popo-lazione afgana, era decisamente discutibile e su questo vi era un

generale consenso. L’obiettivo allora era quello di minimizzareil dissenso utilizzando le stesse fonti e argomentazioni delle or-ganizzazioni in difesa dei diritti umani. Presentare la guerra co-me la risposta a questa condizione era anche un modo per eti-chettare gli oppositori come sostenitori dei talebani oltre che,ovviamente, di essere antipatriottici e antiamericani.

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Parte II166

5.3 La propaganda statunitense nella guerra control’Iraq nel 2003

Più interessante, e al contempo più complesso, si fa il lavorodi analisi della campagna propagandistica statunitense control’Iraq nel 2003. Questa è stata più articolata, lunga e ha vistol’entrata in gioco di molti altri fattori, rispetto alla propagandaantiafgana.

Il ricorso allo shock dell’11 settembre, la riproposizione con-tinua delle immagini delle Twin Towers che crollano e i presuntilegami tra un “regime nemico” e i terroristi di al-Qaeda sono sta-ti alla base delle campagne propagandistiche post-11 settembre.Questi aspetti, usati in varie occasioni, risultano però partico-larmente validi nella campagna propagandistica contro l’Iraq2002/2003. Come si è visto infatti la guerra contro l’Afganistanè stata troppo immediata e l’appoggio della pubblica opinioneera quasi “scontato”, come succede in simili situazioni, per cuiponderare il reale peso della propaganda in quell’occasione ri-

sulta essere assai più complicato.Cosa ben diversa è stata la preparazione dell’opinione pub-blica, in quel complesso tentativo di conquistarne la fiducia e ilsostegno sia prima, sia durante la guerra contro l’Iraq. In questocaso ci troviamo di fronte ad una sistematica e lunga campagnapropagandistica, iniziata tempo prima e senza un reale casus bel-

li. L’argomento principale è stato in parte identico a quello uti-lizzato contro l’Afganistan e relativo dunque alla responsabilità(dell’Iraq in questo caso) in quello che è successo l’11 settembre.Con due fondamentali differenze che complicano il lavoro deipropagandisti statunitensi: una temporale, l’altra argomentativa.La prima dovuta al fatto che, quando la campagna propagandi-

stica contro l’Iraq è entrata nel vivo, erano passati ormai moltimesi da quando l’11 settembre 2001 gli aerei bomba avevanodisseminato panico e sgomento. Non vi era più l’impatto forteed emotivo che l’essere “under attack ” impone, inoltre la fiducianel Presidente che quegli atti aveva rinforzata, pur rimanendo al-ta, cominciava a calare. Mancava l’impatto emotivo forte, man-

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 167

cava la strumentalizzazione dello shock e l’istantaneità del casus

belli. Cosa che la propaganda, per essere efficace, deve riuscire acreare.

La seconda differenza è che non vi era un legame netto e di-retto tra l’Iraq ed al-Qaeda. Infatti nessuno dei 19 terroristi era dinazionalità irachena, non vi era nessuna base di addestramentoin Iraq e nessun diretto contatto tra le rete del terrore e il regimeiracheno è mai stato dimostrato; questi ed altri aspetti rendevanocomplessa un’argomentazione in favore di questa tesi. L’esitopositivo, pertanto, a differenza di quanto successe conl’Afganistan, non era scontato e l’appoggio dell’opinione pub-blica non solo non era garantito ma doveva essere conquistatosul terreno. Per questo analizzare il ruolo che la propaganda haavuto in tutto ciò, risulta particolarmente utile oltre che stimo-lante.

5.3.1 Le terzine della propaganda applicate alla guerra in Iraq

del 2003 

Sulla scia di quanto fatto nell’analisi della campagna propa-gandistica “Afganistan 2001”, si indicheranno i tratti caratteri-stici che hanno contraddistinto la propaganda (di guerra) statuni-tense nell’operazione qui soprannominata “Iraq 2003”.

La prima terzina, come già visto, gravita intorno alla necessi-tà di identificare il nemico, demonizzarlo mettendone in lucel’uso di armi non convenzionali e presentare la nostra guerracome risposta a questo.

A differenza di quanto successo nel primo caso, nei confrontidell’Iraq non è difficile dare un volto e un nome al nemico: Sad-dam Hussein. In realtà risulta particolarmente semplice anche illavoro di demonizzazione del nemico, sia per via della figura del

dittatore iracheno, sia per via della precedente (1990-1991)campagna propagandistica. La sua crudeltà era nota a tutti percui il primo passo, cioè quello di demonizzarlo, è risultato essereun’impresa particolarmente semplice. Oltretutto la cosa si sem-plificava ulteriormente visto il lavoro di demonizzazione già in-trapreso nella precedente campagna propagandistica del 1990/91.Si è trattato dunque di riproporre lo stereotipo, in parte vero, del

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Parte II168

dittatore che con crudeltà soggiogava il suo popolo e lo riducevain schiavitù. Nella prima campagna propagandistica control’Iraq, nel tentativo di demonizzarlo, si è preferito accostare ildittatore iracheno al dittatore per eccellenza: Hitler. Come vistonon è un caso che sia stato soprannominato Saddam Hitler. Madopo l’11 settembre è la rete terroristica di Al Qaeda che più ditutti riesce ad impaurire: collegare il Paese-target ad essa costi-tuisce un punto fondamentale nella conquista dell’opinione pub-blica. Si è visto come la localizzazione della sua base operativasul territorio afgano abbia costituito uno dei principali motiviche hanno giustificato quella guerra. Nel caso iracheno riuscire adimostrare come esso fosse direttamente coinvolto negli attentatidell’11 settembre avrebbe sicuramente costituito un punto in fa-vore della propaganda statunitense, poiché non solo avrebbe re-so più semplice il lavoro di demonizzazione ma avrebbe anchericollegato questa guerra agli attentati e ne avrebbe fatto riviverelo shock .

Aiutandoci con i sondaggi condotti da PIPA/Knowledge Ne-

tworks Poll che monitorizza, periodicamente, l’opinione pubbli-ca statunitense su un insieme di problemi nazionali, si può vede-re come questo obiettivo sia stato raggiunto200. Uno dei risultatiche salta all’evidenza è che, prima dello scoppio della guerra, il68% degli intervistati fosse convinto che l’Iraq avesse giocatoun ruolo importante nell’organizzazione degli attenti terroristicidell’11 settembre201. Ciò significa che più di due persone su trehanno creduto che gli attentati terroristici siano stati possibiligrazie e con il sostegno dell’Iraq, nonostante non siano mai statetrovate prove in proposito. Percentuale che rimane altissima an-che nel dopoguerra.

200 The PIPA/Knowledge Networks Poll è un lavoro congiunto tra Center for Inter-national and Security Studies at Maryland (CISSM) presso School for Public Affairsdell’università del Maryland e Center on Policy Attidudes (COPA) un’organizzazionenon-profit di studi sociali assieme al Knowledge Networks che opera nell’ambito deisondaggi in scienze sociali e ricerche di mercato con base in Menlo Park, California.

201 The PIPA/Knowledge Networks Poll,  Misperceptions, the Media and the Iraq

War , 2 ottobre 2003, disponibile all’indirizzo web:http://www.pipa.org/OnlineReports/Iraq/Media_10_02_03_Report.pdf (12 Settem-

bre 2004).

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Infatti, in un sondaggio condotto a giugno del 2003, più dellametà del campione intervistato sostiene che questi legami nonsolo vi erano, ma ne erano state addirittura trovate le prove202.La percentuale aumenta decisamente tra coloro che hanno ap-poggiato la decisione di entrare in guerra, così come aumenta tracoloro che sostengono il partito del Presidente. Aspetto interes-sante, ma sul quale ritorneremo in seguito, è che questa percen-tuale è ancora maggiore tra i repubblicani (il partito di Bush) cheseguivano da vicino le notizie.

[Sempre a giugno di quell’anno alla domanda]: “Credi che sia statatrovata una chiara ed evidente prova che l’Iraq sostenga al-Qaeda ono?” Il 52% ha detto che la chiara evidenza è stata trovata, e appenail 43% ha detto no e il 5% non era sicuro. Nonostante le intense di-scussioni sull’argomento prodotte sulla stampa, in agosto il numeroera sostanzialmente uguale: 49% credeva che le prove del collega-mento fossero state trovate, 45% credeva il contrario e il 6% non erasicuro203.

La demonizzazione del nemico è stata raggiunta, poiché co-

me i sondaggi dimostrano, un’alta percentuale di statunitensi hacreduto all’esistenza di questo legame, il che rende il nemico an-cora più diabolico.

Il secondo passo, questo sì più complesso, era quello di di-mostrare che il dittatore iracheno faceva uso di armi non con-venzionali o di distruzione di massa204. Per questo furono inviatigli ispettori dell’ONU e quelli statunitensi alla ricerca delle armidi distruzione di massa che avrebbero costituito la prova eviden-te della necessità del conflitto. La discussione in seno al Consi-

 202 The PIPA/Knowledge networks Poll, The American Pubblic on International Is-

sues. Americans on Iraq: WMS ,links to Al-Qaeda, Reconstruction , 1 Luglio, 2003, dis-ponibile all’indirizzo web:

http://www.pipa.org/OnlineReports/Iraq/july1_iraqreport.pdf (15 Settembre 2004)203 The PIPA/Knowledge Networks Poll,  Misperceptions, the Media and the Iraq

War , 2 ottobre 2003, disponibile all’indirizzo web:http://www.pipa.org/OnlineReports/Iraq/Media_10_02_03_Report.pdf (12 Settem-

bre 2004).204 La strategia utilizzata dalla Casa Bianca per arginare il rischio di proliferazione

delle armi di distruzione di massa è disponibile all’indirizzo web:www.whitehouse.gov/news/releases/2002/12/WMDStrategy.pdf (9 gennaio 2004).

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Parte II170

glio di sicurezza dell’ONU del 5 febbraio 2003, dove il segreta-rio di Stato statunitense Colin Powell era intento a persuadere glialtri i membri del Consiglio circa il possesso di armi di distru-zione di massa da parte di Saddam Hussein, deve essere vista inquesta ottica, ovvero come la prova più evidente che il dittatoreiracheno possedeva queste armi205. L’immagine di quello chemolti analisti definirono senza esitazione un vero insuccesso di-plomatico e propagandistico, è stata l’ampolla fatta sventolaredal capo della diplomazia statunitense che voleva dimostrarecome una quantità infinitesimale di “antrace” poteva uccideremigliaia di persone. Fu un chiaro insuccesso perché, come af-ferma De La Gorge, «il risultato fu in netta contraddizione conle aspettative del segretario di Stato. Fu subito chiaro che alcunidei documenti su cui si basava la sua denuncia erano del tuttoprivi di valore»206.

Riuscire a dimostrare che l’Iraq possedesse quelle armi, uni-tamnte alla demonizzazione del suo leader, erano considerati e-lementi sufficienti per scatenare una guerra. Anche in questo ca-

so aiutiamoci con i sondaggi per vedere come questo obiettivosia stato raggiunto. Uno degli aspetti più interessanti da sottoli-neare è come, a guerra ufficialmente conclusa (il sondaggio in-fatti risale a giugno del 2003), quasi una persona su quattro ri-tiene che le armi non solo vi erano ma che addirittura siano statetrovate207. La percentuale potrebbe sembrare bassa e non signifi-cativa, mentre in realtà è molto eloquente poiché tale sondaggioè stato condotto dopo che le ispezioni dell’ONU208, così comequelle dell’intelligence statunitense volute dall’amministrazione

205 Il discorso pronunciato dal segretario di stato americano, Colin Powell, dinanzi alConsiglio di sicurezza dell’ONU è disponibile all’indirizzo web:www.un.int/usa/03clp0205.htm (14 maggio 2003).

206 P. M. De La Gorge, Soli contro tutti, in “Le Monde diplomatique/ il manifesto”, n.4, anno X – aprile 2003, pp. 8-9.

207 The PIPA/Knowledge networks Poll, The American Pubblic on International Is-

sues. Americans on Iraq: WMS, inks to Al-Qaeda, Reconstruction, 1 Luglio, 2003, dis-ponibile all’indirizzo web: http://www.pipa.org/OnlineReports/Iraq/july1_iraqreport.pdf (15 Settembre 2004)

208 La risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu n. 1441 (2002) che obbligal’Iraq a subire le ispezioni dell’Unmovic e dell’Aiea, è disponibile all’indirizzo web:www.un.org/Docs/journal/asp/ws.asp?m=S/RES/1441( 16 gennaio 2003).

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Bush, non sono riuscite a trovare presenze di tali armi209. Ciò si-gnifica che la propaganda è riuscita nell’intento di persuadereuna larga fetta della popolazione nonostante l’evidenza dei fattidimostri il contrario.

Questi elementi hanno sicuramente influito sull’appoggiodell’opinione pubblica statunitense alla guerra che fu rinominata“guerra preventiva”210. Ecco che si giunge così al terzo elementoche però, almeno in parte, viene stravolto nella sua accezione o-riginale. La guerra contro l’Iraq viene presentata come una guer-ra di difesa anche se non si è stati attaccati. Questa è, da un pun-to di vista storico, una grossa novità. Su questo punto la propa-ganda statunitense ha notevolmente insistito, come dimostra ilfatto che il Presidente statunitense abbia più volte dichiarato chenon si poteva di certo aspettare un attacco iracheno per poterscatenare la guerra, ma bisognava agire prima. Dunque, seppurpreventiva, la guerra veniva presentata come difensiva, perchéera fatta in difesa della popolazione statunitense e del mondo li-bero. Prevenire un attacco imminente, punto sul quale la propa-

ganda statunitense e quella inglese hanno più volte insistito, si-gnifica dunque difendersi.La seconda terzina insiste invece nel dimostrare la bontà del-

le nostre guerre che devono essere presentate come operazionimilitari in soccorso di un popolo oppresso, per estendere la de-mocrazie ed aventi una nobile e giusta causa. Come nel caso del-la campagna Afganistan 2001 anche in questo caso questi prin-cipi sono stati seguiti. In essa però mancava quell’aspetto icono-grafico e simbolico forte, quale quello delle donne con il Burqao gli uomini con la barba lunga a dimostrarne, con una facileimmagine, l’oppressione. Che Saddam fosse un dittatore era,come detto, tristemente noto, ma a differenza di quanto successe

209 Il testo del rapporto sulle ispezioni in Iraq dell’Agenzia internazionaledell’energia atomica, pubblicato il 27 gennaio 2003 è disponibile all’indirizzo web:www.iaea.org/worldatom/Press/Focus/IaeaIraq/unscreport_290103.html (14 marzo2003).

210 La dottrina Bush sulla guerra preventiva è stata esposta per la prima volta alla National Security Strategy nel Settembre 2002 ed è disponibile all’indirizzo web:www.whitehouse.gov/nsc/nss.pdf (24 maggio 2003).

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Parte II172

per i talebani l’assenza di un’immagine così forte come il velointegrale sulle donne, faceva venir meno l’impatto iconograficoe rappresentativo dell’oppressione. Nel primo caso bastava met-tere in copertina o far vedere una donna velata per suscitarel’idea di un popolo oppresso. Nel caso iracheno questa immagi-ne forte, questa icona dell’oppressione sembra mancare. Atten-zione, non si vuole sostenere che non vi siano immagini altret-tanto eloquenti che dimostrano la malvagità del dittatore: di que-sto il nostro immaginario è pieno. Il problema è trovare il simbo-lo dell’oppressione. Forse l’immagine più forte da questo puntodi vista è quella del genocidio dei kurdi del 1988, quando il re-gime usò armi chimiche per decimare gli oppositori. Forse, an-che se questa potrebbe essere vista più come la prova della suacrudeltà che come simbolo di oppressione di tutto il popolo. Ne-anche l’immagine dei bambini che muoiono di fame può essereusata in questo senso, perché la propaganda irachena ne imputa-va la colpa all’embargo voluto dagli Stati Uniti. Al di là diun’immagine emblematica, non è stato così difficile dimostrare

che quella irachena fosse una dittatura e che gli oppositori (comei kurdi ad esempio) venivano torturati ed uccisi. Ecco allora chela guerra viene presentata come una guerra di liberazione. E suquesto punto insiste tanto la propaganda statunitense tanto quella“alleata”. Si noti il termine: parlare di “alleati” significa evocarela guerra di liberazione dal nazifascismo avvenuta ad opera deglialleati appunto.

Una guerra condotta in nome della libertà. Per questo si pa-ragona questa guerra a quella contro il nazismo ed è per questoche si insiste sull’accoglienza trionfale che il popolo irachenoavrebbe dovuto riservare alle truppe anglo-americane, comesuccesse in Italia e in Germania nel 1945: accoglienza che in re-

altà non vi è stata. La caduta della statua di Saddam Hussein aBagdad è divenuta il simbolo della liberazione e la festa trion-fante del popolo il segno evidente, per la propaganda, della bon-tà della guerra. In realtà, come l’immagine dimostra, la piazzaera semivuota, ma la foto si restringe e si concentra solo sullepoche decine di persone che “affollano la piazza”. Vista da lon-tano l’impatto è completamente diverso: una piazza vuota, gente

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 173

più curiosa che felice, nessuna gratitudine verso il liberatore. Matutti i media internazionali hanno riportato l’immagine ristrettadella piazza che dà l’idea di una folla festante: questa immagineè divenuta il simbolo non dell’oppressione (come il burqa) madella liberazione, ovvero il passo successivo.

Parlare di liberazione significa anche e soprattutto parlare diestensione della democrazia. La guerra irachena si è protrattamolto più a lungo di quanto gli analisti militari avevano previstoe questo significa anche un’estensione della propaganda. Pernon far calare il consenso intorno ad una guerra che non si èsmesso di combattere - nonostante il proclama ufficiale delmaggio 2003 durante il quale il Presidente statunitense apparvesu una portaerei, in mezzo ai militari con una enorme scritta allespalle che diceva “missione compiuta” - bisogna tenere alto ilmorale dell’opinione pubblica. La propaganda dunque continuadurante tutto lo svolgimento delle operazioni militari. Anzi sem-bra rinforzarsi poiché il sostegno dell’opinione pubblica tende adiminuire con il protrarsi di una guerra che era stata annunciata

come breve. Dunque sono i successi della guerra ad essere esal-tati: prime elezioni libere, la cattura del dittatore, con il propa-gandistico proclama di Bush “we got him” (l’abbiamo catturato)ma anche la necessità di continuare, vista la presenza dei terrori-sti sul suolo iracheno. Pian piano, però, i mass media statuniten-si in particolare e occidentali in generale, hanno smesso di occu-parsi della guerra in Iraq, spostando così l’attenzionedell’opinione pubblica su altre tematiche.

Tutto questo serve per rendere la “guerra giusta”. Si giungecosì all’ultimo aspetto di questa terzina che è appunto quella digiustificare non solo la guerra ma il suo protrarsi proprio perchéla guerra è giusta e sensata. È giusta perché ha liberato il mondo

da un feroce dittatore; è giusta perché ha portato la democraziain un nuovo Paese; è giusta perché serve a combattere i terroristied impedire che essi possano ripetere quanto fatto l’11 settembre.

La terza ed ultima terzina infine ci dice che ogni buona cam-pagna propagandistica deve attirare a sé il sostegnodell’opinione pubblica interna, internazionale ed avere il soste-gno divino. In realtà questi due ultimi aspetti devono essere visti

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Parte II174

più come elementi che servono per consolidare il primo, checome obiettivi a sé stanti. Infatti, come già visto, maggiore saràil sostegno internazionale e maggiore sarà l’appoggio internopoiché il primo viene utilizzato come riprova del consenso cre-scente intorno ad una data decisione. Non importa se il sostegnointernazionale vi sia realmente o meno, quello che interessa èche sia propagandato come tale. Esattamente come successo nelprimo caso in esame, anche qui la campagna propagandisticastatunitense cerca di mostrare il consenso internazionale alle o-perazioni militari come un dato di fatto. Come vedremo megliopiù avanti, coloro che credono all’esistenza di questo appoggiointernazionale sono anche coloro che appoggiano più facilmentela guerra.

In questo caso specifico però l’appoggio internazionale nonpuò essere ridotto solo ad una operazione di propaganda interna.Ovvero creare un consenso internazionale non serve solo ad au-mentare quello interno ma anche a dare vita ad una coalizione divari Paesi che fornisca alla guerra un’immagine di coesione in-

ternazionale. La guerra, è bene ricordarlo, è stata scatenata senzaprevia autorizzazione del consiglio di sicurezza e senza un realecasus belli. L’appoggio internazionale si rende dunque inevitabi-le per non far apparire l’azione di forza statunitense comeun’operazione unilaterale, cosa che danneggerebbe l’immaginestatunitense all’estero. Per questo si rende necessaria una mas-siccia campagna di propaganda esterna, volta a conquistarel’opinione pubblica e i governi stranieri.

Infine l’appoggio divino. Questa è una classica operazione dipropaganda interna in una nazione, come quella statunitense,fortemente segnata dal peso della religione. Il rischio però èquello di creare una nuova crociata o guerra di religione, cosa

che comprometterebbe i rapporti con i Paesi “arabi moderati”.L’enfatizzazione dell’aspetto divino è pertanto usato con cautela,proprio per motivi diplomatici e strategici.

5.3.2 Forme della propaganda nella guerra irachena

Così come nel caso dell’analisi della campagna propagandi-stica “Afganistan 2001”, anche ora, nel tentativo di evidenziare

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 175

le forme che la propaganda è venuta assumendo, si utilizzerà laclassificazione proposta nel secondo capitolo.

Come evidente si ha a che fare con una forma di propaganda

di guerra, poiché l’obiettivo è quello di mobilitare l’opinionepubblica a favore del conflitto che si sta delineando. È mancatol’impatto emotivo forte dell’11 settembre, perciò la campagna èpiù lunga e complessa; è mancato il casus belli, dunque il pro-trarsi delle operazioni di conquista dell’opinione pubblica sonopiù articolate. Questo rende la propaganda di guerra un lavoropiù intricato e vede l’alternarsi di varie forme di propaganda. Ri-troviamo sia la propaganda bianca, quando si sostiene che Sad-dam Hussein è un feroce dittatore, ma soprattutto ritroviamo la

 propaganda nera, poiché si sono diffuse volontariamente falseinformazioni, quali il possesso di armi di distruzione di massa,l’appoggio dato alla rete di  Al-Qaeda nell’organizzazione degliattentati terroristici, la possibilità di colpire in quarantacinqueminuti il suolo britannico ed infine l’appoggio internazionale al-la guerra. Tutte cose che l’evidenza dei fatti ha smascherato.

Questi aspetti, come vedremo meglio più avanti, sono serviti perconquistare l’opinione pubblica. Dunque il primo vero tratto ca-ratteristico di questa campagna propagandistica è che si è trattatodi una propaganda bellica-nera. Inoltre è stata una campagna a-

gitativa poiché l’obiettivo era quello di agitare, animare la popo-lazione e spingerla ad accettare un conflitto contro un tiranno.Come nel primo caso, anche qui vi sono stati momenti di  propa-

ganda integrativa per migliorare i rapporti con gli alleati arabi odi fede islamica. Ma, a differenza di quanto successe nella cam-pagna afgana, il sentimento di vendetta e di farsi giustizia da sénon aleggiava nell’aria come nei giorni immediatamente succes-sivi agli attentati, per cui la necessità di placare gli animi non era

così impellente.Il target di questa campagna propagandistica è duplice. Dauna parte si vuole colpire il maggior numero di persone possibili,poiché il sostegno alla guerra deve provenire dal maggior nume-ro di soggetti possibili, dall’altra si vuole colpire i centri dirigen-ti, i direttori dei giornali, gli opinion leader. Per questo si puòparlare di una compenetrazione tra grassroots e treetops propa-

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Parte II176

ganda. Con una puntualizzazione: la seconda forma di propa-ganda serve indirettamente per rafforzare la prima, poiché è an-che tramite gli opinion leader che si influisce sul maggior nume-ro di persone possibili. Inoltre, sempre prendendo in considera-zione il target, ci si accorge come anche in questo caso vi sia unduplice obiettivo da colpire: l’opinione pubblica interna e quellainternazionale. Si ha a che fare dunque con una propaganda in-

terna ed una esterna, ma a differenza di quanto successo nellaguerra afgana, la propaganda all’estero non si limita solo ed e-sclusivamente agli opinion leader ma vuole colpire il maggiornumero di persone possibili: in altri termini la propaganda ester-na non è solo treetops propaganda ma anche grassroots propa-

ganda. Infatti a differenza del primo caso, la protesta contro laguerra è stata particolarmente attiva in ogni angolo del globo,indice della scarsa popolarità del conflitto: impopolarità che de-ve essere combattuta. L’amministrazione statunitense, dunque,intensifica la propaganda all’estero, sia direttamente (si veda lacreazione dell’Office Strategic Information) ma anche indiret-

tamente cercando di coinvolgere il maggior numero di governipossibili che a loro volta, essendo parte in causa, si vedono co-stretti a propagandare le virtù della guerra, aiutati in questo dallapropaganda statunitense.

Vista l’avversione verso il conflitto e visto il peso che essapoteva avere in termini di immagine per i politici che la sostene-vano, essa è diventata anche terreno di scontro politico. Anchesulla guerra si è giocata la campagna elettorale del 2004 negliStati Uniti, assumendo così i caratteri della propaganda elettora-

le, da un lato con i democratici in parte contrari alla guerra,dall’altro con i repubblicani del presidente Bush ampiamente fa-vorevoli al conflitto. Questo aspetto, come facilmente intuibile,

vale solo ed esclusivamente dopo l’inizio della guerra e non nelperiodo della sua preparazione.

5.3.3 Tecniche utilizzate

 Il ricorso alla paura. Si è più volte detto che una delle prin-cipali tecniche della propaganda è la strumentalizzazione dellapaura. La guerra infatti viene spesso “spiegata” e presentata al

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 177

pubblico più sull’onda emotiva che non su quella razionale: il pathos e non la ratio è l’obiettivo della propaganda. È su di essoche bisogna far leva e non sui ragionamenti. Come ampiamentevisto il ricorso alla paura ha caratterizzato molte campagne pro-pagandistiche nel corso della storia, ma l’11 settembre ha mo-strato chiaramente l’importanza di questa tecnica. È più che ra-gionevole ritenere che l’uso di essa sia una delle caratteristicheprincipali della strategia propagandistica di questa nuova eradella propaganda. La principale paura è, ovviamente, quella diun nuovo attentato, in stile 11 settembre, o quella di nuove armichimiche e biologiche. Ecco perché la propaganda bellica control’Iraq di Saddam Hussein ha fatto leva su questo aspetto non se-condario della guerra.

Frasi allusive. La propaganda al condizionale, come Halimila definì in occasione della campagna propagandistica che portòalla guerra contro la RFY. Nell’ambito della campagna Iraq2003, l’uso di questa tecnica, ovvero delle frasi allusive è stataampiamente utilizzata. “Potrebbe colpirci da un momento

all’altro”, “Non dobbiamo aspettare un altro 11 settembre” e co-sì via: ecco alcuni esempi di frasi allusive utilizzate in questaoccasione. Per il semplice fatto che non potevano essere smenti-te e che rievocavano ansie e paure mai del tutto superate, taletecnica ha mostrato tutta la sua efficacia.

Salire sul carro dei vincitori. Anche questa tecnica ha trovatoposto in questa campagna. Sbandierare i sondaggi quando rite-nuti favorevoli, far percepire alto il sostegno dell’opinione pub-blica a livello internazionale, far percepire che l’azione che si staportando avanti è condivisa dai più, è servito per creare quelclima che ha portato, nonostante le massicce manifestazioni con-tro la guerra, a far schierare la maggioranza degli statunitensi a

favore della guerra e della scelta del presidente Bush.Grande menzogna. Si è visto, quando si è parlato dell’usodella propaganda nera in questa occasione, come le menzogneabbiano costituito uno dei principi cardine della campagna pro-pagandistica. I laboratori mobili per la produzione di antrace edaltre sostanze chimiche e batteriologiche mostrate da Colin Po-well, nella famosa seduta del 5 febbraio 2003 al “Palazzo di ve-

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Parte II178

tro”, sono una chiara prova dell’uso di questa tecnica. Quelleimmagini che pur non hanno retto alla prova dei fatti, hanno nelfrattempo colpito l’immaginario collettivo. Nel dare la notizia,infatti, i TG hanno riportato quanto detto dal segretario di Statoamericano come se fosse un dato di fatto e quella immagine èdivenuta presto l’icona del possesso di armi di distruzione dimassa del regime iracheno. La smentita non ha lo stesso valoresimbolico e la stessa forza delle affermazioni.

Censura. Il pentagono, nel cercare di gestire in proprio favo-re l’informazione, ha fatto firmare un contratto ai giornalisti cheseguivano le truppe. L’obiettivo, come si è visto, era appuntoquello di fornire un’immagine della guerra ad uso e consumodella propaganda statunitense: la censura in questo caso è unatecnica fondamentale. Inglobare all’interno dell’esercito i gior-nalisti, non significa però solo censurare quanto essi avranno dadire, ma significa anche e soprattutto limitare il loro angolo diosservazione, censura preventiva, o bloccare sul nascere le loroosservazioni: questa è quella che possiamo chiamare autocensu-

ra. La presenza di giornalisti indipendenti e di televisioni cheosservavano da un punto di vista arabo, essendo questo il lorotarget di riferimento, ha fatto comunque perdere a questa tecnicauna parte dell’efficacia che ha sempre avuto nel corso della sto-ria.

 Ripetizione. L’ossessiva ripetizione del messaggio che Sad-dam Hussein possedeva le armi di distruzione di massa ha fattocredere, come il sondaggio poco sopra esposto ben evidenzia, aduna parte della popolazione che quelle armi non solo vi eranoma che addirittura erano state trovate, nonostante le ispezionidell’ONU abbiano dimostrato il contrario. Stessa cosa dicasi perla ripetizione del messaggio che Saddam sia stato in qualche

maniera collegato agli attentati dell’11 settembre. Anche in que-sto caso, nonostante prove al riguardo non siano mai state trova-te, prima dello scoppio del conflitto una cospicua parte della po-polazione statunitense, ben il 68%, ci ha creduto. Risultato resopossibile grazie alla ridondanza e alla continua ripetizione delmessaggio.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 179

 Eufemismo. Anche questa tecnica, che possiamo considerarequasi un classico della propaganda di guerra, ha fatto la suacomparsa nel corso di questa campagna. Denominare la guerracon il termine “ Iraq Freedom” è un chiaro ed evidente tentativodi presentare, all’opinione pubblica, la guerra come una cosagiusta e accettabile.

Tendere a semplificare. Le ragioni della guerra sono statebanalizzate e semplificate al massimo, cosa che da una parte hareso possibile il facile assioma di guerra contro il terrorismo edall’altra non è stata in grado di spiegare le reali ragioni dellaguerra. Anche la propaganda contro la guerra ha semplificato lemotivazioni che hanno spinto il governo statunitense a scatenareil conflitto, riducendo il tutto ad una semplice quanto banaleguerra per il petrolio. Essa può essere una chiave di lettura manon è ne può essere l’unica. La propaganda però, sia a favore siacontraria alla guerra, tende per ragioni pratiche a ridurre al mi-nimo le varianti che intervengono nel conflitto. Da un lato laguerra è stata presentata come parte della più complessa guerra

globale al terrorismo, dall’altra come una guerra per il petrolio.Questo testimonia come, al di là delle posizioni pro e contro laguerra, la propaganda ha ipersemplificato, senza spiegare, le ra-gioni della guerra.

Proiezione o analogia. Anche qui ci troviamo dinanzi ad unadelle più classiche tecniche della propaganda bellica e agitativa:la proiezione delle caratteristiche dispregiative da un soggetto adun altro. L’accostamento della figura di Saddam Husseinall’emblema ed icona del male (post 11 settembre), ovvero O-sama Bin Laden, ha voluto significare questo. Come già detto,Saddam non aveva un gran bisogno di essere nuovamente crimi-nalizzato e demonizzato, vista la pessima immagine che di lui il

mondo intero si era fatto, ma l’accostamento agli strateghi delterrore significava proiettare su di lui quest’ulteriore stigma ne-gativo. Se lui è come loro, può attaccarci di nuovo da un mo-mento all’altro. L’obiettivo della propaganda, nell’utilizzarequesta tecnica, era appunto quello di giustificare la guerra comeatto preventivo per scongiurare che una simile tragedia, ben

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Parte II180

scolpita nei cuori e nelle menti degli statunitensi, si potesse ripe-tere un’altra volta.

Garanzia. L’uso di questa tecnica in realtà è stata maggior-mente usata dalla propaganda contro la guerra più che da quellapro. Infatti chi si opponeva alla guerra citava spesso Hans Blix,ovvero il capo degli ispettori dell’ONU incaricato di cercare learmi di distruzione di massa, che con le sue dichiarazioni controla guerra è diventato un po’ il punto di riferimento degli opposi-tori211. Figura autorevole, super partes che doveva testimoniare egarantire come le armi di distruzione di massa, ovvero lo “smo-king gun”, la pistola fumante o casus belli, era un semplice pre-testo e che la guerra era già stabilita a priori. La propaganda proguerra invece, per arginare queste ed altre autorevoli dichiara-zioni, faceva intervistare, dai principali giornali e network tele-visivi indipendenti, ex scienziati del regime di Saddam, semprecoperti da anonimato (cosa che se da una parte ne diminuiva lacredibilità dall’altra era testimonianza della pericolosità del re-gime, visto che anche i dissidenti avevano paura di parlare) i

quali cercavano di dimostrare il contrario e cioè che se le armiancora non erano state trovate era semplicemente perché Sad-dam le aveva nascoste bene. L’uso di questa tecnica, pertanto, siè bilanciata, ma visto il peso diverso che ai “due garanti” venivadato, si potrebbe aggiungere che questa tecnica sia risultata leg-germente favorevole ai pro guerra nonostante ne abbiano fattomeno uso.

Capro espiatorio. Il terrorismo è la causa di tutti i mali: dalladisoccupazione alla limitazione dei diritti, dall’andamento delmercato sino ai tagli del sistema sociale. L’uso di tale tecnicaperò non può essere limitato a questa campagna, ma è in qualchemaniera l’asse portante di tutta la propaganda post 11 settembre.

Il fatto che esso costituisca il male e la causa di tutte le insicu-rezze e difficoltà, significa anche che bisogna combatterlo conogni mezzo e la guerra ne è il principale strumento.

211 Il discorso ufficiale tenuto da Hans Blix dinanzi all’ONU e ripreso più e più voltedalla propaganda contro la guerra è disponibile all’indirizzo web:www.un.org/Depts/unmovic/blix14Febasdel.htm (18 giugno 2003)

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 181

Parole virtuose e slogan. Come in tutte le campagne propa-gandistiche anche in questa occasione l’uso di parole virtuoseche accompagnavano il sostantivo guerra avevano come obietti-vo quello di produrre, per estensione, un’immagine positiva del-la guerra. Se la guerra, come la propaganda alleata ha più volteribadito, è fatta per estendere la democrazia ed è fatta in nomedella libertà e per garantire maggiore sicurezza, deve essere diconseguenza anche una guerra giusta che, per quanto dolorosa, ènecessaria. Più la propaganda, anche attraverso l’uso degli slo-gan pro guerra, riesce a far passare queste idee ed associazionimaggiore sarà l’estensione alla guerra di queste parole e ideevirtuose. Gli slogan servono anche a questo, ad associare allaguerra una parola virtuosa che richiami un ideale nobile e condi-viso.

 Annientare l’opposizione. Tra i Paesi contrari alla guerra èemersa per forza e compattezza la Francia. Questo ha attiratocontro Chirac e il suo governo un vespaio di polemiche, chespesso hanno sfiorato l’eccesso. Non si dimentichi la copertina

di un giornale di Murdock, magnate australiano fieramenteschierato a favore della guerra. I suoi giornali, settimanali e tele-visioni hanno duramente attaccato la posizione francese tanto damettere nella copertina di uno dei suoi più famosi settimanali unfotomontaggio di un verme con la faccia del presidente francese.Oltre a queste trovate populiste che servono per alimentare vec-chi stereotipi, mi hanno colpito le riflessioni del giornalista bri-tannico Christopher Hitchens che sulle colonne del Wall StreetJournal attacca duramente la linea francese con l’intento di de-molire la figura del Presidente francese. Queste le sue parole

È un uomo che lo scorso anno ha dovuto farsi rieleggere per

conservare l’immunità da procedimenti penali per gravi accusedi corruzione. È un uomo che ha aiutato Saddam Hussein acostruire un reattore nucleare, pur sapendo benissimo cosa vo-lesse farne. È un uomo a capo della Francia ma, in realtà, è unuomo palesemente in vendita212.

212 C. Hitchens, The rat that roared , in «The Wall Street Journal», 6 febbraio 2003, p.3.

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Parte II182

5.3.4 La propaganda dentro i mass media liberi 

Vediamo, ora, il peso e l’importanza che la propaganda haall’interno dei mass media liberi e come questi ultimi hanno gio-cato un ruolo di primissimo piano nel conquistare l’opinionepubblica durante le due guerre.

La propaganda, come più volte ribadito, si conforma ed adat-ta al terreno in cui prospera. All’interno delle dittature funzionain un modo, nelle libere democrazie in un altro. Le forme dipropaganda in questione si sono sviluppate all’interno di societàlibere, dove la libertà di stampa è costituzionalmente garantita,dove non esiste la censura ufficiale e dove i giornalisti non sonofunzionari di partito o dello Stato. Ciò nonostante anche in que-sto caso si ha a che fare con una forma di propaganda visibile edanalizzabile. Ne abbiamo visto le forme, le tecniche utilizzate,ne abbiamo analizzato, almeno in parte i contenuti. L’obiettivoin questo paragrafo sarà quello di dimostrare come i mass medialiberi abbiano contribuito, in parte volontariamente e in parte in-consapevolmente, a sostenere le ragioni della guerra, diventando

così strumenti o cassa di risonanza della propaganda. Ci si aiute-rà ancora una volta con i sondaggi e le analisi condotte da PI-PA/Networkledge. Da essi si evince come esista una netta inter-relazione tra “misperceptions” e sostegno alla guerra. Ma cosasono le “misperceptions”? Possiamo tradurre questo termine conl’espressione  false assunzioni, ovvero  percezione errata della

realtà.La nostra attenzione cade su quei mesi di preparazione alla

guerra, quelli in cui si rende necessaria la campagna propagandi-stica di preparazione e persuasione della pubblica opinione, poi-ché, come la stessa analisi sostiene, con il passare del tempo es-se verranno assottigliandosi e le false convinzioni dovranno

scontrarsi con l’evidenza delle prove. Nel frattempo il lavoro diconquista dell’opinione pubblica ha ottenuto i suoi risultati. Letre principali “misperceptions” sono: legame tra l’Iraq e gli at-tentati dell’11 settembre; possesso da parte irachena di armi didistruzione di massa; sostegno internazionale alla guerra. Come

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 183

il sondaggio ha messo in luce, l’86% di coloro che credevano atutte e tre le principali false assunzioni erano favorevoli allaguerra213. Esiste, dunque, una correlazione più che evidente tramisperceptions e sostegno all’ingresso in guerra. Dunque se nededuce che maggiore sarà il numero di persone che fanno pro-prie queste false assunzioni, maggiore sarà il sostegno alla guer-ra da parte dell’opinione pubblica. Compito, dunque, della pro-paganda è quello di diffondere queste false assunzioni o disin-formazioni (propaganda nera), per far aumentare il numero deisostenitori del conflitto. Come gli stessi autori del sondaggiomettono in evidenza, la percentuale di persone favorevoli al con-flitto tra coloro che non credevano a nessuna di queste false no-tizie era decisamente bassa. Il sondaggio infatti rivela come so-lo il 23% di coloro che non credevano a neanche uno di questiassunti era favorevole all’ingresso in guerra.

A questo punto entra in gioco il ruolo dell’informazione. Atutta prima si potrebbe obiettare che il credere a queste false as-sunzioni derivi da una scarsa informazione dei singoli cittadini.

In altri termini si potrebbe pensare che il sostegno alla guerra siamaggiore in quei cittadini che non si informano. In realtà, e semi è concesso, questo è l’aspetto più preoccupante: la ricercamette in luce come il numero di persone che avevano queste fal-se assunzioni, aumentava tra coloro che dichiaravano di seguireda vicino l’evolversi della situazione attraverso le informazionidei mass media. In sostanza, coloro che erano favorevoli allaguerra lo sono stati sulla base di false assunzioni; false assun-zioni che si sono create attraverso i telegiornali e i giornali.

Il rapporto “media liberi” e propaganda emerge con tutta lasua forza, poiché è tramite la libera informazione che queste fal-se assunzioni sono arrivate e sono state metabolizzate

dall’opinione pubblica ed è in definitiva grazie ad esse che unaparte della popolazione ha appoggiato la decisione di andare inguerra. I media liberi sono dunque stati la cassa di risonanza del- 

213 The PIPA/Knowledge Networks Poll,  Misperceptions, the Media and the Iraq

War , 2 ottobre 2003, disponibile all’indirizzo web:http://www.pipa.org/OnlineReports/Iraq/Media_10_02_03_Report.pdf (12 Settembre2004).

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Parte II184

la propaganda. Ma ancora: è soprattutto grazie alla credibilitàche i media liberi ed indipendenti possiedono che queste falseassunzioni hanno attecchito sull’opinione pubblica statunitense,costituendo la prima ed obbligata tappa nel percorso di conqui-sta dell’opinione pubblica. Si ribadisce ancora una volta chequeste false percezioni aumentano tra quella fascia di popola-zione che dichiara di seguire più da vicino le notizie. Maggiore èdunque l’esposizione alle notizie, tanto maggiore è il livello dimisperceptions. In altri termini chi maggiormente cerca infor-mazioni riguardanti il conflitto, più si espone alle false informa-zioni, tendendo così ad appoggiare l’offensiva militare.

Nel periodo di preparazione alla guerra in Iraq e nel periodo succes-sivo al conflitto, una significativa porzione di pubblico statunitenseha avuto un numero di false assunzioni che hanno giocato un ruolochiave nel generare e sostenere la decisione di andare in guerra. Unasignificativa parte del pubblico ha creduto che l’Iraq fosse diretta-mente coinvolta negli attacchi dell’11 settembre e che gli evidenti le-gami tra Iraq e al-Qaeda fossero stati trovati, che le armi di distruzio-ne di massa fossero stati trovati in Iraq dopo la guerra e che abbia u-

sato queste armi durante la guerra, e che l’opinione pubblica mondia-le approvasse la decisione degli USA di andare in guerra214.

Riassumendo: la propaganda serve a far aumentare il soste-gno all’ingresso del Paese in guerra; questo è maggiore tra chi èdisinformato e crede a false assunzioni (misperceptions) ed ilnumero di questi aumenta in relazione alla loro esposizione aimedia; da qui si deduce che i media, o meglio una loro conside-revole parte, fungono da cassa di risonanza per la campagnapropagandistica, in maniera simile a quanto succede nelle ditta-ture, con la differenza ovvia che nelle libere società i media sonoliberi e non sotto controllo del regime. In sostanza questo sta a

significare che maggiore era il tempo di esposizione ai media emaggiore era la possibilità di appoggiare un intervento armato.

214 The PIPA/Knowledge Networks Poll,  Misperceptions, the Media and the Iraq

War , 2 ottobre 2003, disponibile all’indirizzo web:http://www.pipa.org/OnlineReports/Iraq/Media_10_02_03_Report.pdf (12 Settembre2004).

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 185

In realtà la situazione è decisamente più articolata e comples-sa ed entrano in gioco molte altre variabili. Innanzitutto bisognaprendere in considerazione l’attitudine politica dei singoli citta-dini. Infatti chi si dichiara vicino alla linea del Presidente tende acredere più facilmente a queste false assunzione e di conseguen-za ad appoggiare con maggiore facilità l’intervento armato. Que-sta forma di propaganda faceva più facilmente leva su chi soste-neva il presidente e la sua amministrazione. Si vede inoltre comeil sostegno alla guerra sia, al contrario, inversamente proporzio-nale tra i democratici che seguono le notizie. A differenza diquanto succede fra i repubblicani, dove il numero di persone chesostiene la guerra cresce in proporzione con l’esposizione ai me-dia, nel partito avverso questa relazione decresce conl’esposizione ai media. La domanda che ci si pone allora è: per-ché l’86% dei repubblicani che seguivano da vicino le notiziesono favorevoli alla guerra, mentre il loro numero scende al19% nei democratici che seguivano le informazioni?

Una prima spiegazione può essere dovuta alla modalità con

la quale gli uni e gli altri si esponevano ai messaggi; i democra-tici credevano quel genere di informazioni non attendibili poichéritenute non obiettive, mentre i repubblicani, al contrario, vede-vano quelle informazioni come riprova di quanto sostenevano.

Questo è quello che possiamo chiamare il fenomenodell’esposizione e della percezione selettiva. Il primo di questidue fattori, ovvero l’esposizione selettiva, mette in evidenza ilfatto che il pubblico si espone al messaggio o alla campagnapropagandistica, come in questo caso, in maniera congeniale alleproprie attitudini, afferrando le informazioni che rinforzano leopinioni preesistenti e scartando invece quelle che sono difformial proprio pensiero iniziale. In una delle sue formulazioni più

classiche, il meccanismo che presiede alla percezione selettiva,viene presentato come “ Il rapporto positivo esistente tra le opi-

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Parte II186

nioni dei soggetti e ciò che essi scelgono di ascoltare e legge-

re”215.Esporsi selettivamente ai media in conformità con le proprie

attitudini, però non è sufficiente per spiegare la differente perce-zione che si ha dinanzi allo stesso medium o messaggio. È ne-cessario allora parlare di percezione selettiva, intendendo conessa il fatto che l’interpretazione che ognuno di noi può dare diun messaggio può cambiare completamente il significato e ilsenso del messaggio stesso. Così dinanzi alla stessa informazio-ne, le persone più vicine al Presidente statunitense e che segui-vano più da vicino le notizie tendevano a interpretare il messag-gio in maniera diversa da quanto facevano i democratici, e que-sta diversa percezione li portava a dare un significato diverso almessaggio. Come Klapper ha messo in evidenza, «i membri delpubblico non si presentano alla radio o alla televisione o al gior-nale in uno stato di nudità psicologica: essi sono, al contrario,sorretti e rivestiti da predisposizioni già esistenti, da processi se-lettivi e da altri fattori»216.

I comportamenti e le assunzioni che l’audience farà proprisono ovviamente influenzati da tutto un insieme di altri elementi,quali memoria selettiva, ma anche modalità con la quale il mes-saggio viene elaborato e presentato al pubblico, importanza chesi dà ad un fatto a discapito di un altro, l’essere accompagnatoda una foto o filmato, e da tutto un insieme di altri elementi nonmeno importanti, di cui non si può dare conto qui. Quello chepare invece importante sottolineare è che, come Kappler mettebene in evidenza, non ci si presenta ai media e ai suoi messaggiin uno stato di nudità psicologica. In altri termini, la modalitàcon la quale ci si rapporta al messaggio influenza la percezione el’interpretazione che del messaggio si dà. Persone favorevoli

all’operato del Presidente tenderanno ad accettare più facilmentele sue allusioni e il suo operato e viceversa. La propaganda si

215 Lazarsfeld P., Berelson B., Gaudet H., The People’s Choice. How the Voter 

 Makes Up his Mind in a Presidential Campaign, Columbia University Press, New York,1948, p. 164.

216 J.T., Klapper, The Science of Human Communication, Basic Books, New York,1963, p. 247. Traduzione mia.

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 187

basa anche su questo e tende a fornire quelle informazioni chepotrebbero confermare e rinforzare la posizione già assunta, perpartito preso. Infatti a differenza della dittatura, nelle democra-zie è sufficiente conquistare la maggioranza della popolazione.

Una seconda e più significativa spiegazione potrebbe esseredovuta al tipo di news o canale che i diversi soggetti seguivano.Come gli autori della ricerca hanno sottolineato, il livello di mi-

sperceptions cambiava in relazione ai network seguiti: coloroche guardavano le news dei telegiornali vicini ai repubblicani,come FOX ad esempio, avevano un grado di false assunzionimolto più elevato rispetto a chi si informava dalla carta stampatao guardava altri canali.

“Solo” il 47% di coloro che si informavano sull’andamentodei preparativi sulla guerra traendo le proprie informazioni daigiornali, aveva una di queste tre misperceptions, a discapitodell’80% di coloro che seguivano le news della FOX.

Il canale della FOX come tutto il circuito mediatico facentecapo a Murdoch, era decisamente favorevole all’ingresso in

guerra, ed ha utilizzato tutti i suoi media per propagandare la ne-cessità del conflitto. In questo caso si può vedere come la lineaeditoriale del proprietario sia stata imposta a tutti i suoi giornalie come dunque la proprietà influenza, in maniera diretta e forte,il contenuto delle notizie e la linea politica della redazione. Inol-tre le persone che seguono le news della FOX costituiscono giàun target di repubblicani che, come si evidenziava prima, trova-no in quelle notizie un genere di informazioni che conferma giàla propria opinione iniziale.

Bisogna però pur sempre tenere presente che una campagnapropagandistica tramite i mezzi di informazione risulta essereinefficace se i media attraverso cui i messaggi vengono veicolati

sono avvertiti come indipendenti. Dopo la sbornia propagandi-stica del Novecento, con l’uso sistematico da parte delle dittatu-re di una informazione controllata e diretta dallo Stato, il cittadi-no ha sviluppato, quello che qui definiamo “anticorpi culturalicontro la propaganda”. Più si pensa che un determinato organo,partito o medium faccia propaganda e meno lo si riterrà credibilee i suoi messaggi risulteranno quindi inefficaci da un punto di

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Parte II188

vista propagandistico. Al contrario più la fonte verrà considerataindipendente e minori resistenze gli “anticorpi culturali” porran-no.

Come evidenziato nel primo capitolo, già Napoleone avevaintuito il fatto che i lettori accettano più facilmente il tipo di in-formazioni provenienti da un giornale libero rispetto a quelleprovenienti da uno sotto controllo del regime: assunto che sem-bra essere più vero che mai, visto che la libertà di informazionee di stampa è il presupposto di base di ogni democrazia. Inevita-bilmente negli USA, come in ogni angolo del mondo, vi sonomedia filogevernativi e quelli un po’ più critici. Normale giocodelle parti per una democrazia. Ognuno ha indiscutibilmente ildiritto di presentare una notizia come crede, enfatizzando un a-spetto e dando minor peso ad un altro, in quel rapporto dialetticoche caratterizza una società libera. Allora la Fox farà bene ad en-fatizzare la posizione dell’amministrazione Bush, mentre laPBS/NPR, farà bene a criticarne il contenuto.

Quello che risulta un po’ più preoccupante è però la diffusio-

ne di false informazioni. Fa infatti parte della deontologia pro-fessionale il diffondere solo notizie accertate e ritenute vere.Quando l’80% di coloro che crede ad almeno una di quelle trefalse assunzioni che si è citato, segue un canale (Fox), è alta-mente probabile che questo canale abbia diffuso notizie non ve-ritiere o non confermate, andando così contro la deontologiaprofessionale e rompendo quella linea che separa l’informazionelibera e indipendente dalla propaganda.

5.3.5 Conclusioni

Un aspetto che bisogna prendere in debita considerazione è ilcontesto nel quale viene a svilupparsi la propaganda. Come si è

cercato di mettere in evidenza nelle pagine precedenti, essa in-fatti non è onnipotente, come molti casi storici hanno conferma-to, primo fra tutti la campagna propagandistica messa in piedidagli Stati Uniti in seguito all’11 settembre per migliorare lapropria immagine all’estero. Questa ha infatti dimostrato comegli esiti di una campagna propagandistica calata dall’alto senzauna debita conoscenza del territorio e senza che si adegui al ter-

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 189

reno, spesso può risultare controproducente. Al contrario la pro-paganda si rivela decisamente utile quando, operando in un ter-reno favorevole, vuole ottenere effetti immediati, quali mobilita-re la popolazione intorno alla guerra o una decisione importante.Il caso iracheno dimostra come la propaganda statunitense siastata efficace nel riuscire a creare un consenso intorno a quellaguerra, nonostante molti fattori andassero contro, primo fra tuttila protesta internazionale.

Abbiamo in parte visto i motivi per cui la propaganda volta alenire all’estero l’antiamericanismo, abbia fallito; tra di essispicca la differenza culturale, l’imposizione dall’alto di messag-gi e l’essere visti come propagandisti. Questi elementi hanno si-curamente influenzato l’esito della campagna propagandistica.Ben diversa era la situazione sul proprio territorio. I propagandi-sti statunitensi conoscevano bene i gusti, i timori e le paure sullequali fare leva; essi non venivano visti come propagandisti edinoltre i mass media, i principali diffusori dei messaggi propa-gandistici, sono avvertiti come indipendenti e ad essi il pubblico

prestava maggiore ascolto.Si è detto come ognuno di noi si rapporti in modo diverso aimessaggi, selezioni il canale o le notizie in modo differente, leinterpreti e le memorizzi in maniera diversa. È perciò interessan-te vedere cosa influenzi lo stato d’animo e il modo di rapportarsial mondo e alle notizie. In sostanza, una campagna propagandi-stica, avrà maggiori possibilità di successo su una popolazioneche in parte è già favorevolmente predisposta. Per dirla metafo-ricamente, se il terreno sul quale deve crescere e svilupparsi lapropaganda è ben fertile, essa avrà maggiori possibilità di attec-chire.

L’11 settembre ha decisamente sconvolto l’opinione pubblica

e la popolazione che si sente molto più fragile e più facilmenteattaccabile. Da qui l’ipotesi che il clima post-11 settembre abbiamodificato il modo di rapportarsi all’informazione, anche se inmisura diversa a seconda dell’appartenenza partitica. La guerrain Afganistan non ha richiesto un’intensa e prolungata campagnapropagandistica, oltre la “semplice” enfatizzazione e strumenta-lizzazione della paura degli attentati. La guerra è stata troppo

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Parte II190

immediata e conseguente allo shock e questo non ha dato tempoa ragionamenti sulla sua reale utilità; per questo vi è stato unconsenso quasi unanime, sul territorio statunitense, all’operatodel Presidente. O meglio gli oppositori non hanno alzato la voce,credendosi in netta minoranza217.

L’Iraq è invece stato un duro terreno di scontro. Da una partei repubblicani, sostenitori del Presidente e del suo operato cheerano favorevoli alla guerra e dall’altra democratici o indipen-denti, in parte contrari alla guerra. Su tutti indistintamente in-combeva però l’incubo degli attentati. Bush e la sua amministra-zione hanno saputo sfruttare abilmente la popolarità di cui gode-va il presidente all’indomani dell’11 settembre; hanno enfatizza-to la necessità di stringersi intorno a lui e alle sue decisioni inuno dei momenti più difficili della storia statunitense. Infattinelle situazioni di crisi, la campagna propagandistica, volta adottenere il consenso dell’opinione pubblica risulta decisamentepiù semplice.

L’amministrazione Bush ha cercato di strumentalizzare ed

usare ai propri fini propagandistici la paura sostenendol’esistenza di collegamenti Iraq e al-Qaeda, cosa peraltro testi-moniata dal fatto che quasi tre persone su quattro degli intervi-stati ritiene che ciò sia avvenuto. Come i già citati sondaggi met-tono in evidenza, ben il 71% degli intervistati sostiene chel’amministrazione statunitense abbia insinuato che l’Iraq di Sad-dam Hussein fosse coinvolta nell’attentato dell’11 settembre218.Insinuazione che ripetute all’infinito è diventata certezza per piùdella metà della popolazione intervistata, con dei picchi del 78%tra i sostenitori di Bush. Questo aspetto ci ricorda un’altra delletecniche tipiche della propaganda esaminate in precedenza: ov-vero la ridondanza o ripetizione.

217 Per un approfondimento di questo tema si rimanda al concetto di  pluralistic igno-

rance di cui parla T. Newcomb, op.cit., e da cui prende in qualche maniera spunto la teo-ria della “spirale del silenzio”.

218The PIPA/Knowledge networks Poll, The American Pubblic on International Is-

sues. Americans on Iraq: WMS, inks to Al-Qaeda, Reconstruction, 1 Luglio, 2003, dis-ponibile all’indirizzo web: http://www.pipa.org/OnlineReports/Iraq/july1_iraqreport.pdf (15 Settembre 2004).

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 La propaganda di guerra e la formazione dell’opinione pubblica 191

Tenendo presente le affermazioni, già ampiamente argomen-tate di Lippman, ovvero che la propaganda agisce a livello per-cettivo, cercando di cambiare ed influenzare la percezione dellarealtà stessa, possiamo sostenere che l’obiettivo della propagan-da è quello “di modificare l’immagine a cui reagiscono gli indi-vidui”. L’immagine alla quale dovevano reagire gli individui, inquesta specifica campagna propagandistica, era quella di un at-tacco tanto certo quanto imminente. Tanto più le persone crede-vano a questo, tanto più tendevano ad appoggiare la guerra.

In conclusione possiamo notare come, nonostante le ispezionidell’ONU e degli stessi agenti statunitensi abbiano dimostratoche in realtà il dittatore iracheno non possedeva le armi di di-struzione di massa ed appurato che non aveva legami diretti conla rete di terroristi, una parte della popolazione statunitense(target primario della campagna propagandistica) abbia accettatotali assunti per veri. Questi due elementi, assieme alla percezio-ne che l’intera opinione pubblica mondiale appoggiassel’amministrazione Bush, hanno enormemente pesato nel mobili-

tare l’opinione pubblica statunitense (ma non solo) a favore diun intervento armato in Iraq. Il fatto che queste armi non sianostate trovate ha sicuramente influito sulla percezione chel’opinione pubblica si è fatta della guerra. Ma questo è ancheuno dei motivi per cui la propaganda statunitense ha, in corsod’opera, cambiato il leit-motiv di questa guerra (ovvero il moti-vo principale che dovrebbe giustificare l’intervento), dipingen-dola come una guerra per sovvertire un tiranno ed esportare lademocrazia.

Dunque riuscire a far passare come veri, grazie all’ausilio, avolte volontario e spesso inconsapevole dei mass media indi-pendenti, questi assunti influenza non poco l’esito di una cam-

pagna propagandistica. I mass media si sono rivelati ancora unavolta il principale mezzo di diffusione dei messaggi propagandi-stici pro guerra o pro-sistema.

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193

Conclusioni

Sulla base della ricerca condotta si può sostenere con forzache ogni forma societaria ha sviluppato ed usa costantemente lapropaganda. Sebbene il fenomeno si presenti in forme diverse,in relazione al periodo storico e in relazione al tipo di società(dittature o società aperte), nella sostanza rimane pressoché in-variato. La ricerca qui condotta è andata a rafforzare l’idea chela propaganda, nonostante le connotazioni negative che ha avuto,sia un mezzo tecnico, e dunque neutrale, che alcuni gruppi di in-teresse usano per raggiungere i propri fini.

Ho cercato di dimostrare come sia errato ritenere che la pro-paganda sia circoscrivibile alle dittature o, come nel caso dellesocietà aperte, alle elezioni o in tempo di guerra. Come pare evi-dente, le dittature fanno ampio ricorso alla propaganda, la qualeviene istituzionalizzata e diviene parte integrante del processo dilegittimazione del potere. In questo caso è lo Stato che si fa cari-co della campagna propagandistica, gestendo unilateralmente

l’informazione e strutturando la campagna propagandistica se-condo una logica compatta e unitaria. Cosicché i messaggi daveicolare sono perfettamente coerenti tra di loro ed è possibilerinvenirli nell’educazione e nello sport, nell’informazione insenso lato e nella cultura. Ogni angolo della vita pubblica è in-vaso da messaggi propagandistici tesi a rinforzare il potere delloStato. Era così nell’Italia fascista e nella Germania nazista; eracosì nell’Unione Sovietica e nelle dittature sudamericane. È così,ancora oggi, in tutti quei regimi che hanno resistito alla forzadella democrazia. Ma se nella mia analisi mi fossi limitato soloed esclusivamente allo studio del fenomeno all’interno delle dit-tature non avremmo potuto cogliere le affinità e le divergenze

della propaganda tra dittatura e società aperte. Se la nostra anali-si si fosse limitata ad analizzare solo ed esclusivamente lo svi-luppo del fenomeno in chiave storica avremmo perso di vista imeccanismi che regolano la propaganda all’interno della societàdemocratica.

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Conclusioni194

La prima valutazione da fare è che tutte le classi o gruppipredominanti all’interno di qualsiasi tipo di società, hanno svi-luppato un meccanismo di legittimazione del potere. Infatti, dasempre la classe al potere ha usato tutti i mezzi a sua disposizio-ne per fare in modo che il proprio predominio apparisse comequalcosa di naturale e indiscutibile. Tanto maggiore e naturaleapparirà il dominio di una classe o gruppo politico al potereall’interno di una società, tanto maggiore sarà l’apporto che adesso è stato dato dalla propaganda. La propaganda deve esserevista dunque come un processo “quasi naturale” di legittimazio-ne del potere costituito ed ecco perché nessuna classe o gruppoal potere, in qualsiasi organizzazione sociale si trovi, può farne ameno.

La differenza fondamentale tra una dittatura e una democra-zia è dovuta però al fatto che la prima può fare ricorso alla forzaper imporre l’ordine e l’omologazione del comportamento, men-tre la seconda deve garantire i principali diritti democratici deipropri cittadini. Ciò significa che le dittature accompagnano la

campagna propagandistica con un uso della forza, a differenzadelle democrazie che non possono fare ricorso, salvo eccezioni,a forme di violenza sui propri cittadini.

Inoltre, mentre le dittature non fanno nulla per mascherare laloro forza e presenza, la propaganda all’interno delle libere de-mocrazie, trova la sua forza nella sua invisibilità. Da qui unadelle primarie divergenze tra la propaganda nei regimi autoritarie quella nelle democrazie: i primi elaborano un sistema di pro-paganda onnipresente e visibile, mentre le libere democrazie e-laborano un tipo di propaganda onnipresente ma invisibile. Ilprimo trarrà la sua forza dall’essere onnipresente e visibile o-vunque, con il suo logo, le manifestazioni oceaniche, le parate

militari, le divise e così via. Le democrazie, che si basano sul li-bero commercio, propagandano ed esaltano il sistema capitalistain tutte le sedi ma lo fanno diversificando il messaggio e affi-dandolo ad una rete di propagandisti involontari. Non esiste unlogo del libero mercato, così come non esiste un unico manifestopro-sistema, ma la sua continua e incessante esaltazione è avver-tita ovunque.

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Sempre continuando su questa scia si può notare come, men-tre nelle democrazie, salvo i casi di propaganda di guerra, non siavverte la necessità di un direttore unico dietro le quinte, nelledittature viene spesso istituita la figura del propagandista con ildeliberato obiettivo di coordinare la campagna propagandistica.Uno Stato democratico manca di una simile figura; ciò nono-stante, la coerenza del messaggio propagandato è garantita dacomplessi meccanismi, in parte oggettivi, cioè dovuti alla routi-ne, ed in parte soggettivi, voluti cioè dalla classe dominante checerca così di tutelare i propri interessi e i propri privilegi.L’influenza può non essere vistosa ed essere a volte involontaria,ma è difficile mettere in discussione il fatto che esista anche nel-le società democratiche una forma di propaganda che tende a le-gittimare e rafforzare la classe al potere. Essa coincide con i de-tentori dei media, i quali hanno dunque la capacità di immetterenel libero mercato delle idee, quelle a loro più favorevoli e cen-surare, o filtrare, quelle che possono ledere i loro interessi priva-ti. Tutto questo accade sotto l’aureola della libertà di stampa che,

è bene sottolinearlo, rimane costituzionalmente garantita. Lapropaganda, come Napoleone aveva intuito, risulta essere moltopiù efficace quando si presenta sotto forma di libera informazio-ne.

Come nelle dittature anche nelle democrazie dunque esiste unsistema di legittimazione del potere affidato alla propaganda, maa differenza delle società chiuse, le democrazie devono fare iconti con la libertà di parola e di pensiero. Nessuna forma di so-cietà è mai riuscita a controllare il pensiero, ma solo a omologa-re la sua manifestazione. Le società aperte e la loro classe al po-tere invece, non possono fare uso della forza per omologare ilcomportamento e pertanto cercano di agire alla base, cercando di

influenzarne il pensiero. Si arriva così al paradosso della presen-za di una maggiore libertà di pensiero critico in una dittatura chenon nella democrazia. Paradosso spiegabile con il fatto chel’assenza di libertà di manifestazione del pensiero è linfa vitaleper il pensiero critico.

L’assenza di un direttore unico dietro le quinte che dirige ecoordina la campagna propagandistica è valida solo in casi di

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Conclusioni196

ordinaria amministrazione, quando si tratta cioè di legittimare labontà del sistema del libero mercato. A questo compito sono in-fatti preposti: la pubblicità, che per sua stessa natura deve veico-lare messaggi che invogliano al consumo e che esaltano il siste-ma; i mass media detenuti e diretti da chi vive in una condizionedi prestigio e privilegio all’interno della società; dall’industriaculturale e così via. Il sistema viene esaltato e difeso “volonta-riamente” da queste istituzioni. Durante i casi di straordinariaamministrazione, però, come nel caso di un conflitto armato, igoverni delle società aperte, per conferire alla propaganda diguerra una maggiore efficacia, affidano ad un direttore unico ilcompito di coordinare l’intera campagna propagandistica. Sem-pre più spesso si fa ricorso a organismi privati che organizzano,seguendo le tecniche del marketing, una campagna propagandi-stica pur non condividendone necessariamente i principi e i va-lori. Viene ad emergere così quello che abbiamo identificato conl’espressione “privatizzazione della propaganda”. Le agenzie dipubbliche relazioni gestiscono e dirigono per conto terzi l’intera

campagna propagandistica. Questo è un tratto caratteristico dellanostra epoca. Mai prima, nel corso della storia, si era affidata adenti esterni il compito di dirigere ed organizzare la campagna diinfluenza dell’opinione pubblica. Simili campagne non si limita-no solo a presentare la guerra sotto una diversa veste per farlaapparire indolore e come male minore ma, come il caso statuni-tense post-11 settembre ha dimostrato, anche per risollevarel’immagine di uno Stato oltre i confini nazionali. La propagandaesterna è divenuta pertanto una questione di marketing ed è ge-stita da società private. Il caso specifico statunitense ha anchedimostrato quanto complicato sia agire in un contesto ostile per-lopiù quando la propria campagna viene subito avvertita come

propaganda. Gli Stati Uniti hanno perciò cercato di fondare quo-tidiani, magazine e televisioni “indipendenti”, nei Paesi occupatie nel mondo arabo in generale, per veicolare messaggi propa-gandistici atti a lenire l’antimericanismo diffuso.

L’analisi della propaganda di guerra utilizzata dagli Stati U-niti per preparare l’opinione pubblica al conflitto control’Afganistan prima e l’Iraq dopo, ha inoltre permesso di calare

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sul campo le tecniche e le forme della propaganda analizzate inchiave teorica nei primi capitoli.

Sempre questo studio sul campo ci ha anche permesso di ve-dere come agisca e prenda forma la propaganda all’interno dellalibere democrazie.

In ultima analisi si può sostenere che la propaganda, da ve-dersi più come tecnica che come scienza, riveste un’enorme im-portanza in ogni forma di società e serve per far adattare l’essereumano al contesto sociale in cui vive.

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